30GIORNI GENNAIO 2014:ok 3-02-2014 9:50 Pagina 25 PARLIAMO DI PARATUBERCOLOSI Indipendentemente dal possibile ruolo zoonotico di MAP, è necessario ridurre la contaminazione della catena alimentare, migliorare lo stato sanitario e la redditività dei nostri allevamenti. di Emilio Olzi succedendo? O meglio, cosa non deve succedere? e Regioni stanno recependo le Linee guida per l’adozione dei piani di controllo e certificazione nei confronti della paratubercolosi bovina, in Gazzetta Ufficiale del 19 no- Norma Arrigoni - Per quanto riguarda il ruolo zoonotico di MAP, da parte della comunità scientifica non c’è univocità di pareri a riguardo, né ci sono stati a questo proposito pronunciamenti da parte degli organi ufficiali preposti (EFSA). Il problema paratubercolosi è venuto alla ribalta nel momento in cui alcuni paesi terzi (India, Cina, Russia) hanno cominciato a chiedere all’Italia delle garanzie commerciali relative alla paratubercolosi sui prodotti a base di latte. In particolare la Cina e la Federazione Russa ci chiedono di documentare L vembre scorso. Ancor prima di entrare nel merito di questo documento, abbiamo chiesto alla nostra Collega Arrigoni di spiegare da quali motivazioni di sanità pubblica origina l’esigenza di affrontare il MAP (Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis)? Insomma: cosa sta l’assenza di casi clinici di paratubercolosi in allevamento e l’India ci impone di dimostrare che i trattamenti tecnologici cui il latte è sottoposto sono in grado di inattivare MAP. Teniamo presente che l’esportazione dei nostri prodotti lattiero caseari verso questi Paesi (Cina in particolare) è in netta espansione e che la nostra industria lattiero casearia è fortemente interessata ad ampliare questi mercati. Dobbiamo anche considerare che in Europa molti paesi, in particolare Olanda e Danimarca, hanno messo in atto già da diversi anni dei piani di intervento volti a ridurre la prevalenza di infezione o a “certificare” le proprie produzioni. Il pro- 30Giorni | Gennaio 2014 | 25 INTERVISTA A COLLOQUIO CON NORMA ARRIGONI 30GIORNI GENNAIO 2014:ok 3-02-2014 9:50 Pagina 26 INTERVISTA ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ blema appare quindi ad oggi più di tipo commerciale che di sanità pubblica in senso stretto. Quello di cui bisogna rendersi conto è che questa è un’occasione da non perdere per cominciare a lavorare, in linea con gli altri paesi nord-europei, per migliorare lo stato sanitario e la redditività dei nostri allevamenti, qualificando commercialmente le nostre produzioni. Emilio Olzi - Quasi trent’anni fa MAP è stato isolato dall’intestino di un uomo affetto da questa malattia, ma le correlazioni non sono del tutto certe. Cosa c’è di nuovo? N. A. - Gli scienziati hanno dimostrato come esista un’associazione tra la presenza di MAP e la malattia di Crohn dell’uomo, nel senso che appare 7 volte più probabile albergare MAP a livello intestinale per un malato di Crohn che per un soggetto sano o con altre patologie intestinali. Quello su cui la comunità scientifica non è d’accordo è se il ruolo di MAP presente nell’intestino sia quello di innocuo commensale, o se sia l’agente causale della malattia. È importante continuare le ricerche perché il miglioramento delle metodologie diagnostiche non solo potrebbe arricchire di contributi relativi al grado di associazione tra MAP e malattia nell’uomo, ma potrebbe anche permettere di chiarire un suo eventuale ruolo eziopatologico. L’esposizione della popolazione umana a MAP attraverso varie fonti alimentari (latte e derivati, carni, acqua, vegetali) è ormai dimostrata. Inoltre, dato che tutti i trattamenti chimicofisici presi in considerazione per il risanamento degli alimenti e delle acque non sono completamente efficaci nell’inattivare MAP, ed in considerazione anche dell’ipotesi che antigeni di MAP non vitale possano rappresentare un rischio per il consumatore, l’unico punto critico veramente efficace per ridurre la contaminazione della catena alimentare consiste nel ridurre la prevalenza di infezione negli allevamenti di animali di specie 26 | 30Giorni | Gennaio 2014 sensibili. In altre parole, allo stato attuale delle conoscenze e quindi indipendentemente dal possibile ruolo zoonotico di MAP, è necessario iniziare a lavorare per ridurre la contaminazione della catena alimentare, in accordo con quanto auspicato in via precauzionale da alcune Autorità sanitarie. E. O. - Nessuno si augura allarmi mediatici disastrosi per il comparto bovino e del latte. Nelle Linee guida si parla di “commercio consapevole”: qual è il ruolo dei produttori in questi piani e cosa devono sapere? N. A. - Non è la prima volta che ci troviamo di fronte alla possibilità di un allarme mediatico che possa far crollare di colpo i consumi dei pro- "NON È POSSIBILE PENSARE CHE LA PARATUBERCOLOSI POSSA ESSERE AFFRONTATA SENZA IL SUPPORTO DEL VETERINARIO AZIENDALE" dotti di origine animale (ricordiamoci della BSE!). Nel caso specifico, nell’eventualità che MAP fosse definito un “pericolo” per l’uomo, non possiamo farci trovare impreparati, perché potremmo essere costretti ad affrontare un problema sanitario di enorme portata in tempi brevi, cosa non compatibile con la biologia della malattia che richiede anni per il risanamento. Teniamo presente che la stima di allevamenti infetti in Italia supera il 50%. Prepararsi adesso significa cominciare a lavorare subito per ridurre la prevalenza di infezione in allevamento e produrre dati per poter dimostrare che il problema è sotto controllo. Non è ammissibile oggi che un allevatore non conosca il pro- prio stato sanitario e si reputi tranquillo solo perché non ha mai visto casi clinici. L’allevatore attento, sotto la guida del proprio veterinario aziendale, dovrebbe gestire la propria situazione sanitaria, attraverso la pianificazione di programmi di test diagnostici e l’adozione di un piano di biosicurezza mirato. A proposito di “commercio consapevole”, l’allevatore deve sapere che l’acquisto di animali è la principale via d’introduzione dell’infezione in allevamento e che un test in compravendita eseguito su animali giovani (<24 mesi) non ha nessun significato, perché gli animali infetti a quest’età risultano generalmente sieronegativi. Pertanto, per questa specifica malattia, la garanzia della sanità del singolo deve passare necessariamente attraverso l’attestazione della sanità della mandria intera. Per questo abbiamo voluto introdurre nelle linee guida una classificazione degli allevamenti basata sul rischio, che dovrebbe essere adottata prioritariamente dagli allevatori che vendono animali da vita, ma soprattutto richiesta da parte degli allevatori che comprano questi animali. E. O. - Quali sono i punti qualificanti delle Linee guida per ognuno dei soggetti che dovrà attuarle? N. A. - Le linee guida nascono da un’esigenza commerciale di certificazione delle produzioni, a supporto delle quali è stato introdotto un sistema di sorveglianza passiva con segnalazione obbligatoria dei casi clinici al Servizio Veterinario della ASL. Anche se al momento la qualifica di “allevamento senza casi clinici” è sufficiente per l’esportazione dei prodotti lattiero-caseari, non ci si può certo fermare a questo punto. In un allevamento infetto che non attua idonei piani di intervento, la malattia tende lentamente a diffondersi ed i casi clinici, anche se non sono ancora comparsi, hanno una probabilità crescente di manifestarsi negli anni futuri, parallelamente all’aumento della pre- 30GIORNI GENNAIO 2014:ok 3-02-2014 9:50 Pagina 27 _____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ valenza. Bisogna intervenire prima possibile per ridurre la prevalenza di animali infetti, almeno fino al livello di “allevamento a basso rischio”, riducendo così la probabilità di comparsa di casi clinici, attraverso l’adozione di misure di biosicurezza/biocontenimento e di opportuni test diagnostici per individuare e gestire gli animali infetti. Oltre alla sorveglianza sui casi clinici, le linee guida hanno colto l’occasione per istituire un sistema di classificazione degli allevamenti bovini in base al rischio della presenza di paratubercolosi in azienda, basato sugli esiti di esami sierologici eseguiti su animali di età superiore a 36 mesi, secondo protocolli di prelievo codificati. A tutti gli allevamenti verrà associato un livello di rischio, anche se la progressione rispetto al livello iniziale è volontaria. Maggiore è il numero di anni in cui i test hanno dimostrato esito negativo, maggiori saranno le garanzie di indennità dell’allevamento, anche se non assolute. È ovvio che l’allevatore che vende animali da vita è più motivato a certificarsi, perché potrebbe avvalersi del proprio status per qualificare commercialmente le proprie manze, ma questo potrebbe valere anche per chi invia animali ai centri genetici, o deve certificare il proprio latte nell’ambito della filiera. re tra il veterinario pubblico, che deve accertare e certificare lo stato sanitario dell’allevamento, e il veterinario libero professionista, a cui è affidato il piano di gestione sanitaria aziendale. Non a caso, le linee guida individuano chiaramente la figura del veterinario libero professionista all’interno del piano di gestione sanitaria. Sulla base delle esperienze di colleghi stranieri che lavorano in questo campo da anni, il ruolo del veterinario libero professionista per il controllo di questa patologia è cruciale, sia per la formazione/informazione dell’allevatore, che per la valutazione dei rischi di diffusione in allevamento e per la stesura del piano di biosicurezza aziendale, che necessita di periodiche verifiche dei risultati ed eventuali rimodulazioni. Non è possibile pensare che una malattia come la paratubercolosi possa essere affrontata senza il supporto del ve- INTERVISTA terinario aziendale, che deve rappresentare il punto di riferimento tecnico-scientifico e gestionale per l’allevatore, modulando il piano in base a obiettivi e risorse, ma anche sostenendone la motivazione nel tempo. E. O. - Quali sono invece gli aspetti più complessi e quali le condizioni più favorevoli che si devono verificare per la migliore attuazione delle Linee guida? N. A. - Un grande impegno deve essere concentrato sulla formazione dei veterinari aziendali e pubblici alla gestione della problematica in allevamento, in particolare parliamo di analisi del rischio, interpretazione di test diagnostici e stesura di piani di gestione sanitaria. La malattia è complessa da affrontare perché ha un periodo di incubazione che può variare da 2 a 15 anni; per questo i test diagnostici rispondono tardivamente e E.O. - Nel nostro Paese da anni si vogliono definire ruolo, compiti e funzioni del veterinario aziendale. La lotta al MAP è impossibile da affrontare senza un ruolo attivo e pesante della sanità privata. Cosa ne pensi? N. A. - Le linee guida non hanno il compito di dire con quali risorse il provvedimento deve essere realizzato, ma piuttosto quello di definire cosa deve essere fatto per raggiungere gli obiettivi prefissati. Saranno le Regioni che, nell’atto applicativo, definiranno con quali risorse realizzare questi obiettivi, secondo quanto disposto dalle linee guida. È certo che il successo dell’intervento dipenderà dalle sinergie che si verranno a crea- 30Giorni | Gennaio 2014 | 27 30GIORNI GENNAIO 2014:ok 3-02-2014 9:50 Pagina 28 INTERVISTA ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ “SE NON SI INIZIA A LAVORARE NEI NOSTRI ALLEVAMENTI, LA DIFFUSIONE DELLA PARATUBERCOLOSI, È DESTINATA AD AUMENTARE”. piano di controllo. Una sfida per la veterinaria, pubblica e privata in sinergia, sarà quella di mantenere la motivazione degli allevatori nel tempo, perché i tempi di intervento sono particolarmente lunghi; la sfida sarà quella di riuscire a far entrare la biosicurezza nella routine gestionale degli allevatori, insegnando loro a ragionare in un’ottica di prevenzione sanitaria, con risvolti positivi sul benessere, sulla redditività aziendale e non ultimo, sul consumo di farmaci. E. O. - Quali erano le stime ante-Linee guida sulla diffusione dell’in- fezione nei bovini in Italia e quali le stime sui tempi di quella eradicazione raccomandata dall’Europa? N. A. - Sappiamo che la prevalenza di aziende infette nel nostro Paese è molto elevata, oltre il 50%, in linea con quanto osservato in altri Paesi Europei ed extraeuropei. A fronte di questo, la prevalenza di animali infetti è piuttosto contenuta e questo costituisce un presupposto favorevole all’applicazione di Piani di intervento. La maggior parte dei Paesi nordeuropei sta applicando da anni piani di controllo e/o certificazione, per lo più volontari, con lo scopo di qualificare le proprie produzioni. Credo sia arrivato anche per la nostra zootecnia il momento di intervenire, non solo perché ci è stato imposto dai mercati, ma anche perché la paratubercolosi per gli allevamenti è un problema economicamente rilevante e perché corriamo il rischio tra qualche anno di essere fuori mercato. Se non si coglierà questa occasione per iniziare a lavorare nei nostri allevamenti, la diffusione della paratubercolosi, ripeto, è destinata inesorabilmente ad aumentare: la previsione è che, in assenza di interventi di prevenzione, nel 2020 si raggiunga il 90% di allevamenti infetti. ■ AGENDA VETERINARIA DIC - 1 2 3 4 5 6 7 - DO LU MA ME GIO VE SA - GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG WWW.AGENDAVETERINARIA.IT spesso devono essere interpretati, in particolare nelle fasi iniziali di infezione, dove possono risultare altalenanti per poi stabilizzarsi nelle fasi più avanzate di malattia. Per uniformare le conoscenze sulla malattia, il nostro Centro di Referenza ha messo a disposizione gratuitamente una Formazione a Distanza (FAD) che nel 2013 ha fatto registrare 700 discenti. La FAD, aggiornata sulla base delle novità emerse all’ultimo congresso nazionale (Brescia, 28 novembre 2013), verrà riaperta nelle prossime settimane. Un rischio è che i casi clinici non vengano segnalati da parte degli allevatori o dei veterinari. Per incentivarne la segnalazione, è stato istituito un controllo al macello, con segnalazione della presenza di casi sospetti all’ASL di competenza dell’allevamento. Inoltre, a seguito della segnalazione di un caso clinico, le linee guida prevedono un controllo sierologico gratuito su tutti gli animali di età superiore a 36 mesi, a carico del Servizio Sanitario nazionale. I risultati dei test saranno messi a disposizione dell’allevatore che, insieme al proprio veterinario aziendale e sotto la supervisione del veterinario dell’ASL, potrà volontariamente applicare un
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