ha pronunciato la presente sul ricorso numero di

N. 05757/2014REG.PROV.COLL.
N. 06028/2004 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6028 del 2004, proposto dal Signor
Famiglietti Vittorio, rappresentato e difeso dagli avvocati Elena Miniero e Simone
Addario Solieri, con domicilio eletto presso Studio De Angelis in Roma, Via
Portuense, n. 104;
contro
Comune di Casalecchio di Reno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e
difeso dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il suo studio, in
Roma, Via Principessa Clotilde, n. 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA, SEZIONE I, n.
354/2004, resa tra le parti, concernente risarcimento danno per mancato rilascio
concessione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2014 il Cons. Luigi
Massimiliano Tarantino e udito per la parte appellata l’avvocato Clarizia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierno gravame trae origine dal rigetto, da parte dell’impugnata sentenza, della
domanda di risarcimento del danno - proposta contro l’amministrazione comunale
appellata - asseritamente cagionato a causa del mancato rilascio di concessione
edilizia.
2. Accadeva, infatti, che con domanda 18.7.1992 Vittorio Famiglietti avesse richiesto
al Sindaco del Comune di Casalecchio di Reno il rilascio di una concessione edilizia
per la realizzazione nel sottotetto di un immobile di sua proprietà di tre camere con
terrazzo. Con nota 5.11.1992 il Sindaco aveva negato la concessione. Contro il
diniego era stato proposto ricorso al TAR dell'Emilia-Romagna (R.G. 12/93), che
con sentenza n.882/02 (e dopo favorevole provvedimento cautelare n.249/93) lo
aveva accolto per difetto di motivazione. Avvalendosi di tale decisione il Famiglietti,
con istanza 22/10/2002, aveva richiesto al Sindaco di pronunziarsi nuovamente
sulla originaria domanda dell' 18.7.1992. Con r.ar. 18.11.02 l’amministrazione
comunale aveva comunicato che la domanda non poteva essere accolta.
3. A fronte della suddetta situazione il TAR, interpellato dal Famiglietti, concludeva
per l’inammissibilità del ricorso per mancata tempestiva impugnazione del diniego
del 18.11.02, stante la necessità di osservare il principio della cd. pregiudiziale
amministrativa. Il giudice di prime cure, inoltre, valutava l’iniziativa giurisdizionale
in questione anche infondata nella parte in cui aveva a sostenere che il diniego del
2002
sarebbe
meramente
confermativo
della
pregressa
inattività
dell’amministrazione, non risultando provato il nesso causale, in quanto: a) nel
diniego del 2002 non si da atto che secondo la previgente disciplina l’istanza sarebbe
risultata accoglibile; b) non è stata provata dal ricorrente la spettanza del titolo
edilizio; c) è da escludere che si fosse formato un silenzio assenso; d) lo stato di
incertezza ben sarebbe potuto essere superato dal ricorrente con la presentazione di
una nuova istanza.
4. Con l’odierno gravame si censura la sentenza di primo grado per le seguenti
ragioni: I) la mancata impugnazione del provvedimento del 2002 non rileverebbe,
perché il danno sarebbe stato cagionato dal comportamento serbato
dall’amministrazione prima dell’adozione dell’atto citato, comprovando che
l’impossibilità di ottenere il titolo edilizio avrebbe cristallizzato il danno in capo
all’appellante; II) il rigetto del TAR si fonderebbe sulla mancata prova che in base
alla pregressa disciplina il titolo edilizio fosse assentibile, ma se si pone mente alla
data della presentazione dell’istanza (18 luglio 1992), il cui diniego era sospeso con
ordinanza cautelare del TAR, avrebbe dovuto ritenersi operante la normativa
sopravvenuta con il d.l. 468/2004, che introduceva in materia la disciplina del
silenzio assenso, sicché l’istanza doveva ritenersi accolta; III) non ha pregio quanto
stabilito dal TAR circa l’adozione del provvedimento di diniego da parte
dell’amministrazione comunale, perché l’efficacia di quel diniego sarebbe stata
sospesa dal medesimo TAR; IV) non potrebbe invocarsi alcun comportamento
negligente da parte del ricorrente nel periodo intercorso tra l’accoglimento
dell’istanza cautelare ed il termine previsto dalla normativa del 2004 per la
formazione del silenzio assenso.
L’appellante invoca in subordine apposita c.t.u. ai fini di una puntuale
quantificazione del danno che assume di aver subito.
5. In data 13 ottobre 2004 si è costituita l’amministrazione comunale chiedendo il
rigetto dell’appello e con la successiva memoria del 3 ottobre 2014 ha precisato le
proprie difese evidenziando che la domanda di risarcimento del danno avanzata
dall’appellante in ragione del diniego del 2002 sarebbe inammissibile perché lo stesso
non è stato previamente impugnato. Inoltre, non sarebbe intervenuto alcun
accertamento in ordine alla spettanza del titolo edilizio, né da parte della sentenza
del TAR che aveva caducato il primo diniego, né da parte del ricorrente in primo
grado. Al contrario, da un lato, il Comune avrebbe offerto la prova contraria,
dall’altro, non potrebbe ritenersi formato il silenzio assenso, perché pur se il diniego
era stato sospeso dal TAR, lo stesso sarebbe rimasto valido sino alla pronuncia
definitiva. La domanda risarcitoria non potrebbe, inoltre, essere accolta perché il
comportamento dell’appellante non sarebbe stato diligente.
6. In data 13 ottobre 2014 l’appellante ha depositato memoria di replica nella quale
sostiene che l’istanza del 22 ottobre 2002 non andava intesa come nuova domanda
di titolo edilizio ma come mero sollecito di quella presentata nel 1992.
L’amministrazione comunale non avrebbe mai esternato le ragioni per le quali
l’istanza presentata nel 1992 non sarebbe accoglibile, né ciò potrebbe fare in sede
giurisdizionale, stante il divieto di integrazione in giudizio della motivazione.
Pertanto, a fronte degli estremi per ritenere integrato l’illecito da parte
dell’amministrazione e formato il silenzio assenso, non potrebbe revocarsi in dubbio
che l’impugnazione del provvedimento emesso nel 1992 rappresenterebbe
comportamento diligente da parte dell’appellante, che avrebbe in questo modo
cercato di evitare il danno.
7. Con la memoria di replica del 14 ottobre 2014, l’amministrazione appellata, oltre
a ribadire le proprie difese, ha eccepito l’irricevibilità della memoria di replica
dell’appellante, che non avrebbe potuto esercitare una simile facoltà, per non aver
preventivamente depositato memoria conclusionale.
8. Preliminarmente il collegio respinge l’eccezione sollevata all’amministrazione
comunale in relazione alla memoria di replica depositata dall’odierno appellante,
facendo proprio il costante orientamento di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons.
St., Sez. V, 11 luglio 2014, n. 3561).
Invero, l’art. 73, co. 1, c.p.a., stabilisce che <<1. Le parti possono ……..presentare
repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza fino a venti giorni
liberi>>; nel disegno della richiamata norma, costituiscono il presupposto
indefettibile per la redazione di note in replica: il deposito di memorie conclusionali,
il rispetto dei termini perentori a ritroso e la sinteticità dello scritto; dal tenore
testuale della norma in esame non si ricava, pertanto, l’ulteriore limite prospettato
dalla difesa della comunale (ovvero l’impossibilità di concentrare l’illustrazione delle
proprie difese nella memoria di replica ove quella conclusionale non contenga
effettive controdeduzioni o non sia stata addirittura redatta).
8. Nel merito l’appello è infondato e non può essere accolto. Occorre, infatti,
ribadire che il positivo esito del ricorso avverso il diniego di concessione edilizia del
5.11.1992 grazie alla sentenza n.882/02 del TAR per l’Emilia Romagna è stato
pronunciato per vizi formali, quali il difetto di motivazione, sicché in quella sede il
TAR non ha operato alcun riconoscimento della spettanza del titolo edilizio in capo
all’odierno appellante.
Una simile prova, che l’appellante non fornisce neanche successivamente, non può
desumersi attraverso la tesi da quest’ultimo propugnata secondo la quale la
sospensione con ordinanza cautelare n. 249/93, del diniego avrebbe imposto un
nuovo obbligo di provvedere in capo all’amministrazione comunale, sicché il
sopraggiungere del d.l. 468/1994, avrebbe consentito il formarsi del silenzio assenso.
Questa prospettazione cozza con l’architettura del giudizio di annullamento
all’interno del processo amministrativo. La sospensione cautelare, infatti, a
differenza della pronuncia caducatoria serve a mantenere la res adhuc integra, ma non
produce effetti definitivi. Nella fattispecie, pertanto, sarebbe stato necessario (ma
nessuna iniziativa è stata assunta dall’odierno appellante) compulsare in sede di
esecuzione l’amministrazione comunale, al fine di ottenere un nuovo
provvedimento, non potendosi ritenere che la sospensione degli effetti del diniego
impugnato avesse portata eguale alla definitiva eliminazione dello stesso. Un simile
effetto, com’è noto, discende soltanto dalla pronuncia definitiva. È, quindi, solo con
quest’ultima che rivive l’obbligo di provvedere in capo all’amministrazione.
9. Anche il tentativo da parte dell’originario ricorrente di dimostrare la spettanza del
titolo edilizio non coglie nel segno. Infatti, l’amministrazione comunale appellata ha
correttamente smentito una assentibilità dell’istanza di concessione edilizia, senza
che possa esserle opposto un divieto di integrazione della motivazione in giudizio,
che non opera in sede di giudizio risarcitorio, poiché in questa sede
l’amministrazione è tenuta a replicare alla presenza degli elementi dell’illecito
extracontrattuale addebitatigli dal privato e non ad amministrare in giudizio.
Nella fattispecie l’amministrazione ha, pertanto, condivisibilmente evidenziato che
A causa della percentuale di ampliamento del sottotetto, pur se adibito a deposito,
l’istante non poteva ottenere il titolo edilizio, non ricorrendo a suo favore la
condizione soggettiva di coltivatore diretto e quella oggettiva di fabbricato rurale.
Ancora l’ampliamento avrebbe comportato una sopraelevazione del fabbricato, da
intendersi come nuova costruzione e quindi contraria alla disciplina all’epoca
vigente.
Per completezza si evidenzia che dalla documentazione in atti emerge che nessuna
fattispecie di silenzio assenso si è mai perfezionata.
10. Pertanto, considerato che la giurisprudenza di questo Consiglio, con
orientamento dominante (Cons. St., Ad. Plen. 3 dicembre 2008, n. 13, seguita in
modo incontrastato dalla giurisprudenza successiva delle singole Sezioni: Sez. V, 16
aprile 2014, n. 1860; Sez. III, 25 febbraio 2013, n. 1137; Sez. IV, 4 settembre 2013,
n. 4439, Sez. V, 22 gennaio 2014, n. 318; Sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 5938) e dal
quale non ci sono ragioni per decampare, ritiene che il risarcimento del danno da
lesione di interesse legittimo sia ancorato al riconoscimento in capo al ricorrente di
un bene della vita leso dalla condotta antigiuridica dell’amministrazione e che nella
fattispecie una simile conclusione non può essere raggiunta, appare inevitabile
respingere tutte le doglianze contenute nel presente gravame.
11. Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della
soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal
regolamento 10 marzo 2014, n. 55.
12. Il Collegio rileva, inoltre, che la pronuncia di infondatezza del ricorso si fonda,
come dianzi illustrato, su ragioni manifeste che integrano i presupposti applicativi
della norma sancita dall’art. 26, co. 1, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata
data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210;
Sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252; Sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733, cui si rinvia a
mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative
ed alla determinazione della misura indennitaria).
Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto in
esame sono state, nella sostanza, recepite dalla novella recata dal d.l. n. 90 del 2014
all’art. 26 c.p.a.
Invero:
a) l’art. 26, comma 1, che rinviava (e rinvia) all’art. 96 c.p.c., prevedeva la condanna,
su istanza di parte, al risarcimento del danno se la parte ha agito o resistito in giudizio
con mala fede o colpa grave (art. 96, comma 1, c.p.c.), nonché la condanna anche
d’ufficio in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata;
b) il d.l. n. 90 del 2014 ha inciso sia sull’art. 26, co. 1, c.p.a., in termini generali,
valevoli per tutti i riti davanti al giudice amministrativo, sia sull’art. 26, comma 2,
c.p.a., in termini specifici, valevoli solo per il rito appalti;
c) sebbene l’art. 26, co. 1, continui a richiamare l’art. 96 c.p.c. in tema di lite
temeraria, detta ora una regola più puntuale stabilendosi che in ogni caso, il giudice,
anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore
della controparte, di una somma equitativamente determinata, comunque non
superiore al doppio delle spese liquidate, in presenza di motivi manifestamente
infondati.
La condanna della parte ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli
effetti di cui all’art. 2, co. 2-quinquies, lett. a) e f), l. n. 89 del 2001.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:
a) respinge l’appello;
b) condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, spese che liquida in euro
4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di
rimborso di spese generali) in favore del Comune di Casalecchio di Reno;
c) condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Casalecchio di Reno
della somma di euro 2.000,00 (duemila/00) ai sensi dell’art. 26, co. 1, c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Francesco Caringella, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)