www.ildirittoamministrativo.it N. 03676/2014REG.PROV.COLL. N. 06058/2013 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6058 del 2013, proposto da: IMPRE S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Rosina Casertano, Stefano Casertano, con domicilio eletto presso Stefano Casertano, in Roma, via Panama, 74; contro - U.T.G. - Prefettura di Caserta, Ministero dell’Interno, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; - Comune di Santa Maria Capua Vetere, Stazione Unica Appaltante Provinciale di Caserta; per la riforma della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE I, n. 02322/2013, resa tra le parti, concernente interdittiva antimafia - risoluzione contratto di appalto; 1 www.ildirittoamministrativo.it Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Caserta e Ministero dell’Interno; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 maggio 2014 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Casertano Francesco su delega di Casertano Rosina e di Casertano Stefano e l’avvocato dello Stato Palatiello; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Nucleo Investigativo Interforze presso l’U.T.G. di Caserta ha rilevato, con verbale del 27 settembre 2012, che l’acquisto della società appellante da parte della sig.ra S.G. (la quale ne è diventata socia unica ed amministratrice, trasferendo la sede legale) la espone al condizionamento da parte di ambiente deviati, in quanto: - la sig.ra S.G. è un insegnante (precaria) sprovvista di mezzi finanziari e capacità professionale adeguati; - è sorella di V.G., moglie di V.S., amministratore di due società interdette ai fini antimafia, con provvedimento uscito indenne dai giudizi di impugnazione (al riguardo, cfr. TAR Campania, I, n. 565/2008 e n. 56/2010, confermate, rispettivamente, da Cons. Stato, VI, n. 1711/2011 e n. 1718/2011). Il Prefetto di Caserta ha adottato su tale base l’interdittiva antimafia prot. 26/2012/SUAP/12.b/16ANT/Area1 in data 1 ottobre 2012. Il Comune di Santa Maria Capua Vetere ha conseguentemente (mediante determina dirigenziale n. 759 del 18 ottobre 2012) risolto il contratto di appalto per lavori di rifacimento della pavimentazione stradale in corso con la società (n. rep 12370/2012 in data 28 giugno 2012), applicando la penale del 10%, prevista dall’art. 13 del contratto stesso in obbligatorio recepimento dell’art. 2, lettera c), del Protocollo di legalità. 2 www.ildirittoamministrativo.it 2. Il TAR Campania, con la sentenza appellata (Napoli, I, n. 2322/2012), ha respinto il ricorso volto all’annullamento di detti provvedimenti, affermando che: - alla luce degli orientamenti giurisprudenziali consolidati, l’adozione della misura interdittiva “tipica” (ex artt. 4 del d.lgs. 490/1994 e 10 del d.P.R. 252/1998, oggi 91 ss. del d.lgs. 159/2011), per sua natura cautelare e preventiva e rispondente a finalità (non di accertamento di responsabilità, bensì) di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, non richiede la prova di un fatto ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali, se considerati in modo complessivo, non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste; - sulla base degli elementi indiziari richiamati nel provvedimento, l’adozione appare giustificata; - anche la risoluzione contrattuale discendeva dalla corretta applicazione degli artt. 13 e 14 del contratto e del Protocollo di legalità, la cui impugnazione non era assistita da specifiche censure. 3. Nell’appello - con riferimento a censure di errore nei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, irrazionalità e violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 27, 41 e 97 Cost., nonché 4 del d.lgs. 490/1994, 10 e 11 del d.P.R. 252/1998, 10 della legge 575/1975, 3 della legge 241/1990, 2727 e 2729 c.c. - si ripropongono le censure disattese dal TAR, sottolineando che: - V.S. (incensurato, ancorché le sue imprese – La Riva Bianca s.c. a r.l. ed EMG appalti S.r.l., siano colpite da interdittive) è terzo rispetto alla società interdetta, e non è stata fornita alcuna prova della sua idoneità a condizionare i processi decisionali dell’impresa e della cognata; - resta, dunque, soltanto il rapporto di parentela, ma l’ipotesi di una “contaminazione familiare”, di per sé arbitraria, è comunque smentita dalla circostanza che vi è un terzo fratello, L.G., apprezzato vicequestore del Commissariato di PS di Aversa; - quanto alla mancanza di adeguata capacità tecnico-economica autonoma, risulta che S.G. ed il marito G.P., entrambi impiegati, hanno monetizzato alcune proprietà 3 www.ildirittoamministrativo.it ricavandone 83.000 euro, somma che hanno deciso di impiegare per avviare insieme un’attività imprenditoriale (S.G. come amministratore, G.P. come procuratore speciale), avvalendosi quale direttore tecnico del geom. S.P., esperto del settore; ciò denota una capacità adeguata all’entità dell’unico lavoro preso in appalto, per un importo di soli euro 213.804,36 e di semplice esecuzione (trattasi di manutenzione stradale, che richiede l’assunzione nel cantiere di quattro operai, oltre all’acquisto dei materiali ed al nolo delle attrezzature); - non sussiste il deficit di impugnazione del Protocollo di legalità, posto che non è stato prodotto agli atti di causa, ed il TAR ha evidentemente motivato in ordine alla censura perché era a conoscenza della portata del documento in quanto sottoposto alla sua disamina in altri contenziosi; ne deriva una plateale carenza istruttoria. 4. Resiste, con memoria meramente formale, l’Avvocatura Generale dello Stato. 5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto. 5.1. Secondo l’orientamento consolidato di questa Sezione: - l’informativa interdittiva antimafia, essendo espressione della logica di anticipazione della difesa sociale, non richiede un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello che serve per provare l’appartenenza di un soggetto alla criminalità organizzata; ben può a tal scopo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore soltanto sintomatico ed indiziario, con l’ausilio di indagini che possono riferirsi anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo (cfr., da ultimo, da Cons. Stato, III, 5 marzo 2013, n. 1329). Ai fini dell’adozione dell’interdittiva, i fatti sintomatici ed indizianti che sostengono la plausibilità della sussistenza di un collegamento tra impresa e criminalità organizzata possono anche incentrarsi nelle relazioni familistiche dell’interessato con contesti e persone che non lasciano seriamente propendere per la loro affidabilità (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 4 settembre 2013, n. 4414); - deve tuttavia ritenersi che il mero rapporto di parentela (o di affinità), in assenza di ulteriori elementi, non sia di per sé idoneo a dare conto del tentativo di infiltrazione, in quanto non può ritenersi sussistente un vero e proprio automatismo tra un legame 4 www.ildirittoamministrativo.it familiare, sia pure tra stretti congiunti, ed il condizionamento dell’impresa, che deponga nel senso di un’attività sintomaticamente connessa a logiche e ad interessi malavitosi (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 10 gennaio 2013, n. 96); se è infatti vero, in base alle regole di comune esperienza, che il vincolo di sangue può esporre il soggetto all’influsso dell’organizzazione, se non addirittura imporre (in determinati contesti) un coinvolgimento nella stessa, tuttavia l’attendibilità dell’interferenza dipende anche da una serie di circostanze ed ulteriori elementi indiziari che qualifichino, su un piano di attualità ed effettività, una immanente situazione di condizionamento e di contiguità con interessi malavitosi (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 26 febbraio 2014, n. 930). 5.2. Nel caso in esame, come sopra esposto, esiste un collegamento familiare con soggetto svolgente attività imprenditoriale in società dello stesso settore, colpite da interdittive antimafia uscite indenni da giudizi di impugnazione. Può al riguardo sottolinearsi che – come, del resto, viene ricordato nello stesso ricorso di appello - la società La Riva Bianca è risultata connotata “dalla ripetuta presenza nel tempo nel suo organo gestionale di personaggi aventi rapporti con consorterie o ambienti camorristici e strettamente imparentati con soggetti ivi coinvolti in un contesto complessivamente significativo e preoccupante” (cfr. sent. n. 565/2008, cit.); e che la società EMG, cessionaria di ramo d’azienda della prima, era stata interdetta poiché la cessione celava la continuità dell’attività di impresa già inibita alla cedente (cfr. sent. n. 56/2010, cit.). Rispetto a detto collegamento familiare, tale da assumere una valenza significativa ai fini della valutazione della sussistenza del pericolo di infiltrazione, non può operarsi – come vorrebbe l’appellante – una sorta di somma algebrica con il legame familiare dello stesso grado esistente con un soggetto che svolge apprezzata attività nell’ambito della Polizia di Stato, così da condurre a bilanciare e neutralizzare la rilevanza del primo. Ogni legame famigliare e sociale non può che assumere rilevanza di per sé, trattandosi di argomentare presunzioni sulla base di elementi aventi valore sintomatico ed indiziario, e non essendo possibile misurare l’influenza che ciascuno 5 www.ildirittoamministrativo.it dei soggetti è davvero in grado di avere nei confronti degli altri e delle loro scelte di vita. 5.3. Tuttavia, secondo l’orientamento sopra ricordato, l’esistenza di collegamenti familiari non è sufficiente, ma occorrono ulteriori elementi, utili a supportare l’attendibilità della supposizione di interferenza che nasce dal collegamento familiare. Nel caso in esame, è accaduto che il soggetto in situazione di collegamento familiare che lo rendeva suscettibile di attenzione investigativa, abbia acquisito improvvisamente l’azienda, pur essendo priva di alcuna qualifica imprenditoriale, in quanto risulta che abbia svolto solo attività di insegnante o educatrice presso scuole pubbliche; lo stesso può affermarsi per il marito, anch’egli investito di compiti rappresentativi della società, pur essendo un impiegato privo di esperienze imprenditoriali pregresse. La stessa società appellante dà conto che, alla luce della mancanza di esperienza e capacità specifica degli amministratori, “Si sarebbe trattato di un salto nel buio laddove i due coniugi avessero voluto districarsi nel mondo degli appalti senza avere conoscenza del relativo settore” (cfr. memoria in data 11 aprile 12014), ma ribatte che a ciò ha ovviato l’assunzione di un direttore tecnico con una lunga esperienza nel settore. L’argomentazione non appare persuasiva; intanto, l’attività di gestione di impresa ha contenuti distinti e richiede attitudini diverse rispetto a quelli della conduzione operativa di un cantiere; poi, appare poco plausibile che un soggetto esperto, titolare egli stesso di impresa edile appaltistica (come viene precisato nella citata memoria), metta le proprie capacità al servizio di una società, potenziale concorrente, avente una gestione del tutto nuova ed inesperta; l’intervento nella società del direttore tecnico viene infatti definito dall’appellante (sempre nella citata memoria) alla stregua di un “decisivo rapporto amicale”, ma dell’origine e della giustificazione di questo rapporto nulla viene precisato. Può aggiungersi che la situazione economica dei coniugi non appare tale, per capacità reddituale e consistenza patrimoniale, da affrontare senza timori l’avvio dell’attività 6 www.ildirittoamministrativo.it imprenditoriale. L’appellante rivendica la disponibilità da parte dei coniugi, a seguito di vendite di proprietà immobiliari, di complessivi 83.000 euro, e la titolarità da parte del marito di un reddito stabile (di cui non viene precisata l’entità; mentre sui redditi della moglie, definiti nella sentenza di primo grado “irrisori”, non vengono fornite ulteriori indicazioni). Tali elementi, però, non appaiono, da un punto di vista economico-finanziario, del tutto rassicuranti; è vero infatti che l’investimento per acquisire l’intero capitale sociale è limitato a 10.000,00 euro, e che la tipologia dell’appalto non presenta aspetti di particolari complessità o rischio imprenditoriale, tuttavia occorre considerare la necessità di allestire il cantiere, acquistare i materiali, noleggiare le attrezzature e stipendiare i quattro operai indicati come forza lavoro da utilizzare. Del resto, la stessa appellante (nella memoria in data 19 aprile 2014) è quasi costretta a concludere nel senso che i coniugi “avevano il diritto di investire i loro denari liberamente, anche di “bruciarli” in una iniziativa economica, senza che ciò possa far scaturire il giudizio prognostico di cui è causa”. In tale contesto, la vicenda traslativa di cessione o affitto di ramo d’azienda – che, di per sé, costituirebbe una ordinaria operazione commerciale – può ragionevolmente presentare elementi indiziari di una sostanziale intestazione fittizia della gestione imprenditoriale utile ad aggirare le verifiche antimafia, o comunque dettata dall’intenzione di esercitare l’attività di impresa nei rapporti con la Pubblica Amministrazione attraverso schermi societari. Così come ha ritenuto il TAR Campania nella sentenza appellata. 5.4. Il quarto motivo di appello, concernente l’errata applicazione delle previsioni degli artt. 13 e 14 del contratto e del Protocollo di legalità, alla luce dell’art. 11 del d.P.R. 252/1998, non è di facile comprensione. Nell’appello, dopo il richiamo delle censure del ricorso di primo grado e la riproduzione della motivazione della sentenza di primo grado riguardante i suddetti profili di illegittimità, si sottolinea che il Protocollo di legalità, richiamato tra gli atti impugnati nel ricorso introduttivo, non è stato acquisito al giudizio, e si ipotizza che il TAR abbia comunque pronunciato su di esso perché ne era a conoscenza (aliunde). 7 www.ildirittoamministrativo.it Il motivo di appello si risolve unicamente nel sostenere che “Ne scaturisce, quindi, che la suindicata censura azionata in prime cure, stante la mancata acquisizione agli atti di causa (con relativa riserva di motivi aggiunti al riguardo), è essa stessa affetta da una plateale carenza istruttoria”. Il Collegio osserva che non si fa questione di travisamento del tenore testuale del contratto e del Protocollo di legalità, peraltro descritti e commentati nei ricorsi e nella sentenza del TAR, che non è stata chiesta in appello l’acquisizione in via istruttoria del Protocollo, e che non risulta l’appellante abbia dato seguito alla riserva di motivi aggiunti (a quanto sembra, legata ad una supposta incompleta conoscenza degli atti). Perciò, ogni argomentazione concernente la completezza documentale e la conoscenza da parte del TAR del Protocollo appare ormai irrilevante. 5.5. Tenuto conto della mancanza di attività defensionale sostanziale da parte dell’Avvocatura dello Stato, si ravvisano giustificati motivi per disporre la integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Romeo, Presidente Angelica Dell'Utri, Consigliere Hadrian Simonetti, Consigliere Silvestro Maria Russo, Consigliere Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore 8 www.ildirittoamministrativo.it L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 14/07/2014 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 9
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