20 Marzo 2014 - La Repubblica

la Repubblica
DIARIO
GIOVEDÌ 20 MARZO 2014
DI REPUBBLICA
■ 52
Le tensioni con l’Ucraina ripropongono il tema secolare
dell’espansionismo di Mosca, una costante nella storia
del paese alimentata da pulsioni politiche, culturali e religiose
IMPERO
Quell’intramontabile sogno
della Grande Madre Russia
PAOLO GARIMBERTI
LIBRI
LEV TOLSTOJ
Guerra
e pace
Mondadori
2012
I racconti
di Sebastopoli
Garzanti
2004
EDUARD
LIMONOV
Libro dell’acqua
Alet
2004
FEDOR
DOSTOEVSKIJ
L’idiota
Feltrinelli
2014
RENATO
RISALITI
Storia
della Russia
Bruno
Mondadori
2005
G. PAOLO
CASELLI
La Russia
nuova
Mimesis
2013
LUCIANA
CASTELLINA
Siberiana
Nottetempo
2012
ANNA
POLITKOVSKAJA
La Russia
di Putin
Adelphi
2005
MAURO
MARTINI
L’utopia
spodestata
Einaudi
2005
LEONARDO
COEN
Putingrad
Alet
2008
ANDREA
GRAZIOSI
Dai Balcani
agli Urali
Donzelli
1999
econdo il Levada Center, unanimamente
considerato il più indipendente centro di sondaggi della Russia, oltre
il 70 per cento dei russi approva la
politica di Putin verso l’Ucraina e
di conseguenza l’annessione della Crimea. Il 67 per cento è convinto che le forze «nazionaliste» o
addirittura «fasciste» dell’Ucraina abbiano provocato la crisi e
soltanto il 2 per cento è critico verso il presidente. La cerimonia imperiale durante la quale Vladimir
Putin, seduto a un tavolo con arabeschi dorati e circondato da tre
soldati in alta uniforme, ha firmato il trattato di annessione della
Crimea ha toccato i cuori e le menti dei russi. «I nostri cuori non possono restare freddi. La nostra storia comune, le radici della nostra
cultura e le sue origini spirituali, i
nostri fondamentali valori e la
stessa lingua ci uniscono per sempre», si legge in un appello di cento grandi nomi dell’arte e della
cultura, tra i quali Valerij Gergiev,
direttore stabile della London
Symphony Orchestra. Anche i tradizionali avversari o critici di Putin, compreso Mikhail Gorbaciov,
si sono uniti al coro. Dmitrij Agranovskij, un avvocato che ha difeso
in tribunale decine di attivisti dei
diritti umani, ha accompagnato
un tweet con la foto di un blindato russo in Crimea con questo inno alla gloria: «Alzati, Grande Paese! Levati per la lotta mortale contro le forze oscure del fascismo!».
Perfino Aleksej Navalnyj, il blogger oggetto di persecuzioni giudiziarie, tacitato per due mesi prima
e durante le Olimpiadi con arresti
domiciliari senza telefono e internet, ha finito per allinearsi ricordando in un lungo e articolato post che l’Ucraina non è un paese
straniero per i russi: «Datemi pure dello sciovinista slavofilo, ma la
cosa più importante per la Russia
è di avere rapporti fraterni con
l’Ucraina e la Bielorussia».
Nel Dna secolare dei russi c’è
sempre stata la vocazione imperiale. E Vladimir Putin, che è la
quintessenza di quello che là
chiamano orgogliosamente «un
vero uomo» (secondo un’espressione molto machista della lingua
di tutti i giorni, che si attaglia perfettamente all’ex colonnello del
Kgb), l’ha risvegliata e solleticata,
questa voglia di Impero, che la fine dell’Urss pareva aver sopito.
La grande differenza tra l’imperialismo sovietico, che Stalin
agitò con i discorsi alla radio in
tempo di guerra, e che i suoi successori esercitarono in modo brutale con gli interventi «fraterni» in
Ungheria e Cecoslovacchia, e
l’imperialismo russo di oggi è che
Il consenso
S
I sondaggi sono tutti
a favore di Putin. E con lui
si schierano avversari
come Gorbaciov e uomini
di spettacolo come Gergiev
Urss
La grande differenza
rispetto all’Unione Sovietica
è che oggi non c’è
l’ideologia, ma l’appello
ai valori e alle radici comuni
questo non è sostenuto da (o giustificato con) un’ideologia. Putin
è un realista pragmatico, qualcuno dei cantori che fioriscono attorno al Cremlino, come in tutte le
corti imperiali, lo accosta addirittura a Henry Kissinger. Putin non
invoca la vittoria del comunismo,
o del «socialismo realizzato» come diceva Suslov, l’ideologo di
Breznev. Bensì fa appello alle «radici», ai «valori comuni della nostra storia», alla «Grande Madre
Russia», piroettando tra il comunismo ateo (che aveva appreso alla scuola del Kgb) e il patriottismo
religioso.
Se c’è un modello imperiale al
quale ispirarsi per Putin questo è
impersonato da Caterina II, che i
russi ricordano come Ekaterina
Velikaja (Caterina la Grande), la
prima ad annettere la Crimea nel
SILLABARIO
IMPERO
1784 sottraendola all’Impero ottomano. E forse proprio a lei pensava Putin quando ispezionava gli
impianti olimpici di Sochi, belli
fuori e malconci dentro. Come
erano i «villaggi Potemkin», che
l’astuto consigliere della zarina
preparava per le sue visite con facciate di cartone che nascondevano le brutture della realtà.
La Crimea, d’altronde, è un paradigma della vocazione imperiale della Russia. È stata la causa di
due guerre (quella russo-ottomana dal 1787 al 1792, dopo l’annessione russa di tre anni prima e
quella del 1854-55 con la quale inglesi, francesi e Regno di Sardegna, alleati con i turchi, cercarono
di fermare l’espansionismo russo
verso Costantinopoli). È stata l’ultima roccaforte dell’Armata bianca anti-bolscevica. È stata con-
RYSZARD KAPUSCINSKI
a Vorkuta tornai nuovamente a Mosca, un po’
per togliermi il gelo di dosso, ma anche per sentire quali nuovi venti spirassero sulle vette del
potere. Soprattutto su quelle del potere imperiale. In
uno stato come l’ex Urss esiste infatti uno strato di gente adibita esclusivamente a pensare su scala imperiale.
Gente del genere vive con uno scopo solo: assicurare la
durata e lo sviluppo dell’Impero, qualunque ne sia la denominazione attuale (e anche nel caso dovesse crollare,
il loro compito consisterà nel rimetterlo in piedi al più
presto). Nei paesi di piccole o medie dimensioni non esiste uno strato sociale equivalente. Lì le élite sono prese
dai loro affari privati, dai loro giochi locali, dalle loro questioni interne. Nell’Impero invece lo strato dominante
ragiona su scala completamente diversa, su scala imperiale. Perché stupirsi? L’Impero è stato costruito a prezzo del cibo, del vestiario, delle scarpe rotte, del sangue.
D
quistata dai tedeschi, dopo l’eroica resistenza di Sebastopoli. Liberata dai russi nel 1944, declassata
da Stalin, che l’aveva ripulita etnicamente dei tatari, da regione autonoma a semplice Oblast (provincia). E poi regalata dall’ucraino Krusciov con motivazioni
piuttosto pretestuose (secondo
alcuni perché era semplicemente
ubriaco) all’Ucraina, quando
però tutti si dicevano «fratelli»
sotto l’unica bandiera rossa dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Infine lasciata
all’Ucraina da Boris Eltsin quando morì l’Urss e la Russia era economicamente troppo affranta e
politicamente troppo debole per
avanzare rivendicazioni territoriali.
Ed è proprio da lì, dalla rivendicazioni di tutto ciò che è russo (o
comunque slavo) per storia, lingua e tradizioni, che è partito Putin per soddisfare le brame imperiali del «vero uomo russo»: che
siano l’Abkhazia e l’Ossezia (per le
quali ha fatto una guerra alla
Georgia), la Crimea o perfino la
piccola repubblica di Trans Dnestr per finire, come scrive lo stesso
Navalnyj, con l’Ucraina e la Bielorussia. Quando Putin disse che la
fine dell’Unione Sovietica era «la
più grande tragedia della Storia»
non pensava al colosso comunista, ma a un «impero euroasiatico
costruito sui fondamentali principi del nemico comune» (l’atlantismo, i valori liberali e democratici, il dominio geopolitico degli
Stati Uniti), come scrisse in un libro del 1997 Aleksandr Dugin, oggi assai influente, insieme a un altro super-falco, Aleksandr
Prokhanov, nel cerchio sempre
più ristretto dei consiglieri di Putin.
Nessuno aveva capito il disegno di Putin in Occidente e ancor
meno negli Stati Uniti, dove la sovietologia è stata dismessa dalla
Casa Bianca, dal Dipartimento di
Stato e perfino dalle università come una scienza obsoleta e inutile
e tutti gli studi e le analisi dell’intelligence si sono concentrati sul
Medio Oriente, la Cina e Al Qaeda.
L’unico che aveva avuto l’intuizione che la vocazione imperiale
russa potesse prima o poi risorgere dalle ceneri dell’Urss era stato
Bill Clinton quando aveva detto al
suo sovietologo Strobe Talbott,
che si lamentava dell’erraticità
del comportamento di Eltsin, bevitore, fumatore, donnaiolo:
«Meglio avere a che fare con un
Eltsin ubriaco che con un suo successore sobrio». Cinque anni dopo al Cremlino arrivò Putin. Sobrio, glaciale, marziale. E imperiale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gli autori
IL SILLABARIO di Ryszard Kapuscinski è tratto da Imperium (Feltrinelli). Paolo Garimberti ha scritto Il
dissenso nell’Europa orientale prima e dopo Helsinki (Vallecchi). Lo
storico inglese Timothy Garton
Ash è autore di Free World (Mondadori).
I Diari online
TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei testi completi, sono consultabili su Internet in formato pdf
all’indirizzo web www. repubblica.
it. I lettori potranno accedervi direttamente dalla homepage del sito,
cliccando sul menu “Supplementi”.
Montesquieu
Benjamin Franklin
Fedor Dostoevskij
Un impero nato
dalla guerra si conserva
con la guerra
Un grande impero
come capita a una grande torta
viene consumato ai bordi
In Europa non sono
ancora così audaci
là l’impero è fatto di pietra
Considerazioni sulle cause..., 1734
Life and Essays of Benjamin Franklin, 1776
I demoni, 1873
■ 53
IVAN IL TERRIBILE
PIETRO IL GRANDE
ALESSANDRO II
L’URSS
OGGI
Nel 1547 Ivan IV,
detto il Terribile,
viene incoronato
primo Zar
di Russia
Grande esponente
della dinastia Romanov
sale al potere
nel 1682. Nasce
l’Impero russo
Figlio di Nicola I
e al potere dal 1855,
con lui l’Impero russo
raggiunge la massima
espansione
Dopo la Rivoluzione
russa, cade l’Impero
e nasce l’Urss, stato
federale composto da
repubbliche sovietiche
Esplode la crisi ucraina,
Putin “si riprende”
la Crimea. Torna
la vocazione imperiale
della Russia
Le tappe
Che cosa possono fare l’Occidente e l’Europa di fronte al revanscismo del Cremlino
È INCOMINCIATA CON LA CRIMEA
MA L’OBIETTIVO FINALE È KIEV
TIMOTHY GARTON ASH
adate, qui è in ballo l’Ucraina intera, non solo la
Crimea. Vladimir Putin
lo sa bene. Gli ucraini lo
sanno bene. E noi non dobbiamo
dimenticarlo. Non c’è nulla che
noi o il governo locale possiamo
fare per ristabilire il controllo
ucraino sulla Crimea. La battaglia
decisiva ora è per l’Ucraina orientale. Se l’Ucraina intera parteciperà il 25 maggio ad elezioni pacifiche, libere e regolari, potrà sopravvivere come un unico paese
indipendente (meno la Crimea).
Tornerà anche su un chiaro sentiero democratico e costituzionale. Dovrebbe essere questa la
priorità che l’Ue e l’Occidente dovrebbero porsi nei prossimi due
mesi, in ogni loro azione.
Solo un ingenuo ai limiti del criminale o un simpatizzante comunista incallito potrebbe sostenere
che i gruppi filorussi oggi all’opera per creare caos, disorientamento e violenza in città come
Donetsk e Kharkiv non siano attivamente sostenuti da Mosca.
Martedì il New York Timesha pubblicato una testimonianza diretta
di una di queste manifestazioni
pilotate a Kharkiv. Sul piedistallo
di una gigantesca statua di Lenin
un enorme striscione recitava «La
nostra patria: Urss!». Come sottolineavano i giornalisti era tutto organizzato a beneficio della televisione russa. Qualunque cosa decida poi di fare Putin, la narrazione per i media è già bella e pronta,
sia nel caso di un intervento e inasprimento delle ostilità sia nel caso in cui il presidente russo, come
senza dubbio preferirebbe, ricatti l’intero paese costringendolo a
ritornare nella sfera d’influenza
russa.
Sarebbe altrettanto ingenuo
però fingere che molti in Ucraina
orientale non nutrano reali timori. Cominciamo con l’abbandonare le etichette “di etnia ucraina”
e “di etnia russa”. Non significano
quasi nulla. La realtà è un miscuglio fluido e complicato di identità nazionali, linguistiche, civiche e politiche. Ci sono individui
che si identificano come russi.
Altri vivono prevalentemente
in russo ma si sentono ucraini. Ci sono innumerevoli famiglie di origine mista, con
genitori e nonni che hanno
vagato per l’Unione Sovietica. La maggior parte di loro preferirebbe non dover
scegliere. In un sondaggio
condotto nella prima metà di
febbraio solo il 15 per cento degli intervistati nella regione di
Kharkiv e il 33 di quelli dei dintorni di Donetsk auspicavano che
l’Ucraina si unisse alla Russia.
Nello stesso sondaggio il dato
B
AL COMANDO
Sopra e sotto, Nicola II in un ritratto e durante
la sua incoronazione (1896). A sinistra, una
vignetta di Der Wahre Jacob sulla Russia (1914)
A destra, una mappa dell’Impero (1800 circa)
Le identità etniche
Le etichette etniche alle quali siamo abituati
possono non significare quasi nulla
La realtà è un miscuglio fluido e instabile
di identità nazionali e linguistiche
che a volte si cristallizzano
come un composto chimico
riferito alla Crimea era il 41. Mettiamoci poi un mese di radicalizzazione in ambito politico e la
presa di controllo da parte russa
con l’eliminazione dei programmi in lingua ucraina dai canali tv.
Aggiungiamo i continui servizi sui
media di lingua russa sul «colpo di
stato fascista» a Kiev, esacerbati
da certe frasi e gesti folli dei rivoluzionari vittoriosi nella capitale.
Togliamo i tatari di Crimea e gli
ucraini residenti in Crimea, che in
massima parte boicottano il referendum. Condiamo con una
manciata abbondante di brogli
elettorali. In men che non si dica il
41 per cento diventa 97.
Non è solo la “tecnologia politica” russa che cambia le cifre e le alleanze. In momenti così traumatici sono le identità che cambiano
e si cristallizzano immediatamente come un composto chimico instabile a cui si aggiunge una
goccia di catalizzatore. Ieri eri uno
jugoslavo, oggi un serbo o un
croato imbestialito.
Quindi qualunque azione in
Ucraina e per l’Ucraina venga
compiuta nelle prossime settimane e mesi deve necessariamente essere calcolata per evitare
che il composto di identità cambi
stato. Poco prima della straordinaria invettiva imperiale del presidente Putin al Cremlino un canale televisivo ucraino ha trasmesso un altro discorso. Parlan-
do in russo, il primo ministro del
governo ucraino ad interim, Arseniy Yatseniuk, ha detto che «al fine di preservare l’unità e la sovranità dell’Ucraina» il governo di
Kiev è pronto a concedere «la più
vasta gamma di poteri» alle regioni prevalentemente russofone
dell’est. Le municipalità avrebbero il diritto di gestire proprie forze
di polizia e facoltà decisionale
nell’ambito della scuola e della
cultura.
Era proprio la cosa da fare. Ora
il premier e i suoi colleghi dovrebbero recarsi in quei luoghi e ripeterlo senza posa – in russo. Dovrebbero sostenere l’uso del russo come seconda lingua ufficiale
in queste zone. Dovrebbero attivamente auspicare la presenza di
un candidato filo-russo alle elezioni presidenziali. E dovrebbero
fare il possibile per garantire elezioni libere e regolari, cui dare copertura mediatica diversificata in
lingua russa e in lingua ucraina,
come non è stato per il voto in Crimea.
L’Occidente in generale e l’Europa in particolare possono sostenere questa evoluzione in molti modi. L’Ocse, la Ue ed altre organizzazioni internazionali dovrebbero subissare l’Ucraina di
osservatori elettorali. I governi
occidentali devono far sì che le
autorità ucraine abbiano immediatamente il denaro per pagare i
conti. I partiti politici e le Ong possono inviare consulenti. L’Occidente può anche alzare la posta in
gioco, rendendo più accattivante
sotto il profilo economico a medio
e lungo termine l’offerta di rapporti con la Ue. Può minacciare Mosca
di sanzioni ben più aspre di quelle
attualmente imposte, non solo se
Putin fa entrare in Ucraina orientale le sue forze con o senza etichetta, ma se continua a tentare di
destabilizzare la zona per procura.
È arrivato il momento di parlare
fuori dai denti agli oligarchi russi
come Rinat Akhmetov, che in
Ucraina orientale conta quanto
un’istituzione statale. Senza clamore ma con decisione bisogna
mostrar loro carota e bastone: un
futuro roseo per i vostri affari nell’economia mondiale se contribuite alla sopravvivenza dell’Ucraina come stato indipendente
con un governo autonomo; in caso
contrario sarete strangolati finanziariamente e andrete incontro ad
una serie infinita di processi. (Uno
degli oligarchi dell’est, Dmitro Firtash, è già stato arrestato in Austria
sulla base di una richiesta di estradizione da parte dell’Fbi. Roba che
riguarda un progetto di investimento datato 2006, dicono; niente
a che fare con la politica di oggi, si
capisce). Se lo sport olimpico di
Putin è la lotta estrema noi non
possiamo di certo limitarci allo
sport del badminton.
Non voglio dire che quanto avvenuto in Crimea non conti. Nel
suo discorso al Cremlino, Putin ha
messo a segno qualche punto accusando l’America di unilateralismo e l’Occidente di far figli e figliastri, ma ciò che ha fatto mette a
rischio le fondamenta dell’ordine
internazionale. Ha ringraziato la
Cina di averlo appoggiato ma Pechino vuole la secessione dei tibetani attraverso un referendum? Ha
ricordato come l’Unione Sovietica
avesse accettato l’unificazione tedesca e ha chiesto ai tedeschi di sostenere l’unificazione del “mondo
russo” che, a quanto pare, comprende tutti i russofoni. Con una
retorica che riecheggia più il 1914
che il 2014 la Russia di Putin ormai
è una potenza revanscista a tutti gli
effetti.
In assenza del consenso di tutte
le parti dello stato esistente (non
vale il paragone con la Scozia), senza il dovuto processo costituzionale e senza un voto libero, l’integrità
dell’Ucraina, garantita vent’anni
fa dalla Russia dagli Usa e dalla
Gran Bretagna è stata distrutta. In
pratica, sul territorio, non vi si può
porre rimedio. Resta da salvare,
però, ed è possibile farlo, l’integrità
politica del resto dell’Ucraina.
Traduzione di Emilia Benghi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LIBRI
ALEKSANDR
SOLZENICYN
Arcipelago
Gulag
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2013
MARIUSZ
SZCZYGIEL
Gottland
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2009
PAUL
BUSHKOVITCH
Breve
storia
della Russia
Einaudi
2013
ALEKSANDR
PUSKIN
Il viaggio
a Arzrum
Biblion
2013
MICHAIL
BULGAKOV
La guardia
bianca
Feltrinelli
2011
IVAN
TURGENEV
Memorie di
un cacciatore
Rizzoli
2001
ANDREAS
KAPPELER
La Russia Storia
di un impero
multietnico
Edizioni lavoro
2006
BORIS
PASTERNAK
Il dottor
Zivago
Feltrinelli
2013
VASILIJ
AKSJONOV
L’isola
di Crimea
Mondadori
1988
NICHOLAS V.
RIASANOVSKY
Storia
della Russia
Bompiani
2001