relazione

Un tragico pomeriggio di Storia
Mercoledì 26 febbraio il sig. Gianfranco Bruschi è venuto a spiegarci la sua vita
durante la seconda Guerra Mondiale. Ha scritto un libro che si intitola “Un tragico
pomeriggio di Storia” che narra com’era la vita durante il fascismo.
Per prima cosa ci ha raccontato che quando aveva 10 anni, il 27 aprile 1945 a Spino
d’Adda, suo padre è stato fucilato dai nazisti durante una rappresaglia: in quel
momento è stato travolto da una profonda tristezza che prova ancora.
Descrive anche com’era la scuola al sabato: i bambini dovevano esserci perché
altrimenti l’insegnante era costretta a segnalarlo alle Camicie Nere e per l’assente
c’erano severe punizioni come essere bacchettato sulle mani con un’asta di legno o
mettere le mani sotto le ginocchia. Se l’insegnante non avesse segnalato l’assenza ci
sarebbero state delle conseguenze (il Sig. Bruschi ci ha raccontato che proprio per
non aver segnalato un’assenza non hanno rivisto la loro maestra per molto tempo).
All’entrata in classe tutti dovevano fare il saluto romano. Mussolini con questo sistema
voleva utilizzare la mitologia dell’antica Roma. Infatti, il saluto romano (fatto alzando
il braccio destro con la mano aperta) nell’antica Roma era indirizzato esclusivamente
agli imperatori ed ai generali e Mussolini voleva “ricostruire” l’impero romano.
Nell’aula c’erano il quadro di Benito Mussolini, di Vittorio Emanuele e il Crocifisso.
I maschi dovevano indossare una camicia nera, un fazzoletto azzurro, i pantaloni
grigio-verde e il fez.
Le ragazze invece indossavano una camicetta bianca. Svolgevano attività donnesche e
sulla pagella era riportato anche il voto di queste attività insieme a quello delle altre
materie.
A scuola le materie più importanti erano: canto, bella scrittura, lettura espressiva,
aritmetica, italiano, religione, cultura fascista e storia, geografia, scienze, igiene,
diritto ed economia, educazione fisica e disciplina.
Inoltre c’era un quaderno per le punizioni (ricorda di averne presa una che consisteva
nello scrivere 100 volte “viva Benito Mussolini!”).
A volte il sabato si teneva l’addestramento e ai ragazzi dai 7 ai 17 anni veniva dato un
moschetto di legno, mentre a 18 anni veniva consegnato un fucile di ferro.
Quando potevano esserci dei bombardamenti si esercitavano con le maschere antigas,
abbastanza potenti da resistere allo Ziklon-B (un gas velenoso contenuto nelle bombe).
Per comprare i prodotti alimentari di prima necessità si aveva una tessera chiamata
“ANNONARIA” sulla quale il negoziante apponeva un timbro sulla casella dedicata, a
seconda dell’ acquisto. Se non si aveva la tessera del partito non si potevano fare
acquisti.
Quando una famiglia aveva tanti figli le razioni giornaliere di cibo aumentavano;
se arrivava ad avere 7 o più figli venivano assegnati dei premi.
Il Signor Bruschi ci ha detto anche che il colore maggiormente usato all’epoca era il
nero, nere le divise militari, nere le bandiere e nero il colore del fascismo e del
nazismo.
Egli ha conosciuto molte persone sopravvissute ai campi di concentramento che gli
hanno raccontato la vita nei campi.
Sig. Bruschi
Mi è piaciuto molto che il che il signor Bruschi ci abbia lasciato delle testimonianze
sulla vita durante il fascismo. Inizialmente non voleva scrivere il libro, ma è stato
invogliato da alcuni ragazzi per mantenere viva la memoria di ciò che è stato.
(Denise Formisano)
Io penso che l’intervento del Sig. Bruschi sia servito molto, perché ci ha fatto
riflettere su cosa è successo durante la Seconda Guerra Mondiale. Non pensavo che a
quei tempi la scuola fosse così e che ci fosse la tessera per fare la spesa. Del signor
Bruschi mi ha colpito che, anche se non voleva scrivere il libro, lo ha fatto perché
dei
bambini
lo
hanno
incoraggiato
e
invogliato.
(Chiara Bertelli )
Il Signor Bruschi è riuscito a raccontare nei dettagli la storia della sua infanzia
durante la Seconda Guerra Mondiale in poco tempo: ciò fa capire che questo è un
ricordo ben saldo nella sua mente e di certo non lo dimenticherà mai. Sicuramente per
lui non è stato facile, perché non riesco a immaginare il dolore che ha provato quel 27
aprile 1945.