Nel cuore delle tenebre - lettura di approfondimento sulla

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Letture storiche
Nel cuore delle tenebre
Il genocidio e la depredazione del “Libero Stato del Congo”
Un “immenso serpente”. «Un
n immenso serpente con la testa
nel mare, il corpo disteso che curva lontano su un vasto
territorio e la coda persa nel profondo del continente»
continente - così
lo scrittore J. Conrad nel suo famoso Cuore di tenebra,
descrive il fiume Congo.
Chiamato dagli indigeni Nzere (significa il fiume che inghiotte
tutti gli altri, ed è da qui che deriva il nome originario,
“Zaire”, dello Stato), il Congo col suo corso
cor di 4700 km ed il
suo estuario ampio 160 km è il secondo fiume africano dopo
il Nilo, mentre con una
na larghezza che arriva a 16 km è il
secondo al mondo dopo il Rio delle Amazzoni per portata d’acqua: esso nasce sul massiccio
montuoso fra la Repubblica Democratica del Congo e lo Zambia e dà il nome ai due stati che
separa, la Repubblica del Congo
ongo (ad ovest,
ovest con capitale Brazzaville) e la Repubblica Democratica
del Congo (ad est, con capitale Kinshasa).
Un genocidio di cui non si parla.
parla Tutto il bacino del
grande fiume ha conosciuto fin dall’epoca coloniale un
saccheggio incontrollato da parte degli europei ed è
stato insanguinato da un genocidio,
genocidi oggi largamente
ignorato, dalle dimensioni agghiaccianti.
agghiaccianti Tra il 1880 e il
1908 alcuni milioni di congolesi (le stime variano da tre
a dieci milioni) furono torturati, mutilati o uccisi dal re
del Belgio Leopoldo II,, all’epoca padrone, anzi
onnipotente tiranno, del Congo..
Da Stanley al “Libero Stato del Congo”.
Congo” Che il Congo potesse essere un affare colossale, Leopoldo
II lo capì leggendo gli articoli di Henry Morton Stanley, giornalista ed esploratore britannico.
britannico
Stanley diresse, tra il 1874 e 1877, la prima spedizione nel cuore dell’Africa equatoriale,
discendendo tutto il corso del fiume Zaire. Al ritorno descrisse nei suoi articoli e in un libro le
enormi ricchezze celate in quelle regioni
region remote e l’importanza economica del grande fiume.
fiume «Chi
controllerà il grande fiume avrà sotto controllo la grande autostrada per i traffici dell'Africa».
Quando nei suoi scritti Stanley elenca le ricchezze del Congo ha l’acquolina in bocca e intende
farla venire anche agli europei:
«Le
Le foreste del Congo sono piene di prezioso legno rosso, del guajaco, del mogano e del
fragrante albero della gomma. Alle loro basi può trovarsi una quantità inesauribile di gomma
fossile, con cui si inverniciano
inverniciano le vetture e i mobili nei paesi civili; i loro tronchi trasudano
mirra e incenso; il loro fogliame è ricoperto dall’orcilla, utile per tingere. Il legno rosso,
tagliato, sminuzzato e raschiato, produce una tinta d’un cupo color cremisi molto
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apprezzata…; le noci della palma da olio danno un burro che è un articolo importante per il
commercio; le fibre d’altre piante forniscono il miglior cordame. Fra i cespugli selvatici si
trova spesso la pianta del caffè. Nelle sue pianure, nelle sue giungle, nei suoi pantani,
prosperano gli elefanti i cui denti forniscono l’avorio … Le acque rigurgitano di innumerevoli
mandrie di ippopotami, le cui zanne sono pure di valore; si trovano anche pelli di leone,
leopardo, scimmia, lontra, antilope, bufalo, ed altro bestiame,. Ma ciò che più conta,
possiede 40 milioni di abitanti discretamente industriosi e attivi» (H.M. Stanley, Il Congo e la
creazione del nuovo libero Stato, pp 364-365).
Allettato da succulenti inventari come questo, Leopoldo II nel 1878 assoldò Stanley e lo inviò nelle
foreste congolesi per stipulare contratti commerciali e diplomatici con le popolazioni locali. In
cinque anni l'agente Stanley avviò lo sfruttamento sistematico del Paese per conto del sovrano del
Belgio. Nel 1885-86 il Congresso di Berlino divise l’ Africa fra le potenze europee e Leopoldo
ottenne la sovranità del “Libero Stato del Congo”, da lui fondato e completamente separato dal
Belgio. Da questo momento Leopoldo ebbe mano completamente libera su un’area vasta sette
volte l’Italia: le popolazioni indigene furono espropriate, deportate, ridotte in schiavitù e
massacrate senza pietà al minimo segno di protesta. Boma divenne la capitale temporanea del
nuovo stato, Leopoldo II vi stabilì un governatore generale e un capo della polizia. L'area del
bacino del Congo fu poi divisa in 14 distretti amministrativi, a capo di ognuno dei quali fu messo
personale europeo tra cui mercenari e avventurieri di ogni risma. Il 21 settembre 1891 Leopoldo
impose con un decreto il monopolio di stato su due dei principali prodotti ricavabili da quei
territori, il caucciù e l’avorio. Nel giro di pochi anni tutte le risorse del Congo furono addentate da
compagnie commerciali dotate di diritti su territori immensi, nelle quali però il sovrano del Belgio
o lo stato del Congo (cioè sempre Leopoldo II) avevano la maggioranza delle azioni.
La “politica dell’oblio”. Se oggi la terribile carneficina compiuta dalla colonizzazione europea in
Congo è ignorata, lo si deve anche al fatto che essa fu presto occultata. «Il Congo offre un
singolare esempio della politica dell'oblio. Leopoldo e i funzionari belgi che gli succedettero fecero
tutto il possibile per cancellare potenziali prove incriminanti», scrive lo storico Adam Hochschild
nel suo libro Gli spettri del Congo. Nell’agosto del 1908, poco prima di cedere ufficialmente la
propria colonia personale al governo del Belgio, Leopoldo II fece infatti bruciare per otto giorni
consecutivi la maggior parte degli archivi dei suo possedimenti congolesi. «Regalerò ai belgi il mio
Congo, ma non avranno diritto a sapere ciò che vi ho fatto», sembra che abbia detto. Fu così che
una parte importante, e raccapricciante, della storia della dominazione europea in Africa venne
cancellata. A riportare alla luce lo sterminio dei congolesi oggi sono i pochi documenti
amministrativi rinvenuti dagli storici. Ma soprattutto sono centinaia di impressionanti fotografie
in bianco e nero scattate da missionari e reporter indipendenti ai tempi dei massacri. Immagini
sbiadite e raccapriccianti mostrano uomini frustati, donne trattate come animali, bimbi ridotti in
schiavitù. E montagne di mani e piedi mozzati. «Il taglio degli arti era la punizione prevista per
tutti coloro che si ribellavano al lavoro forzato imposto dal monarca belga, o semplicemente non
producevano quanto dovuto», chiarisce ancora Hochschild. Nonostante le fotografie e l’opera
degli storici tuttavia il genocidio congolese è oggetto ancora di un’opera di sostanziale
occultamento da parte di varie istituzioni del Belgio, dove a riguardo sono diffuse idee
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negazioniste (secondo le quali in Congo non ci sarebbe stato nessun genocidio, mancherebbero le
prove per sostenere il contrario) o riduzioniste (secondo le quali in Congo Leopoldo II avrebbe
commesso alcune atrocità ma nessun massacro sistematico), tutte mirate a cancellare dalla storia
della monarchia belga l’atroce macchia dello sterminio di un popolo.
La vita (e la morte) dei congolesi al tempo di Leopoldo II. All’inizio della colonizzazione, lo Stato
creato da Leopoldo aveva bisogno soprattutto di portatori, lunghe colonne di uomini che
trasportavano ogni sorta di oggetto. I portatori venivano retribuiti con poco più del cibo necessario
a reggersi in piedi. Venivano normalmente impiegati anche i bambini che portavano per intere
giornate carichi di dieci chili. Non di rado i portatori erano incatenati per il collo, per impedirne la
fuga. Ecco come Edgard Picard, un senatore Belga, descrive una carovana di portatori che incontrò
lungo il grande fiume:
«Neri, infelici, coperti da un lurido perizoma, le teste ricciute e nude che reggevano il
carico, una cassa, una balla, una zanna d’avorio; molti di loro erano malaticci, curvi sotto
un fardello reso ancor più pesante dalla stanchezza e dall’alimentazione insufficiente:
una manciata di riso e un po’ di pesce essiccato e puzzolente; pietose cariatidi su due
gambe, bestie da soma con esili gambe da scimmia, lineamenti tirati, occhi strabuzzati e
sgranati per lo sforzo di mantenere l’equilibrio e lo stordimento per la spossatezza. (….)
Vanno e vengono (….) a migliaia, morendo lungo la strada, o una volta terminato il
viaggio, tornando a morire di spossatezza nei loro villaggi». (citato in Gli spettri del
Congo pag. 150-151).
Il grosso affare che arricchì Leopoldo II era soprattutto il caucciù. Tutti i congolesi furono
obbligati a raccoglierlo senza alcun compenso.
«Nella maggioranza dei casi, l’indigeno deve compiere ogni due settimane un viaggio
di un giorno o anche più per raggiungere nella foresta un luogo con una quantità
sufficiente di alberi della gomma. Qui conduce una misera esistenza. Deve costruirsi
un riparo temporaneo che non può sostituire la sua capanna; non ha il suo cibo
abituale, è esposto alle intemperie del clima tropicale e agli attacchi di bestie feroci.
Deve poi portare il prodotto raccolto all’agenzia dell’amministrazione (o della
compagnia); solo allora può tornare al suo villaggio, dove rimane appena due o tre
giorni, prima che gli venga assegnato un nuovo compito. Di conseguenza la maggior
parte del suo tempo è occupata nella raccolta del caucciù». Dalla Relazione della
commissione d’inchiesta che nel 1906, sotto la pressione dell’opinione pubblica
internazionale, accertò parzialmente la situazione del Congo sotto il dominio di
Leopoldo II.
Il sistema di raccolta del caucciù era esso stesso uno strumento di tortura. La gomma,
contrariamente a quanto avveniva in Brasile non era infatti ricavata dall'incisione degli alberi ma
dal taglio dei rampicanti della Cryptostegia grandiflora. Dopo aver tagliato il rampicante gli
indigeni vi si rotolavano sopra; una volta seccato e indurito, il caucciù veniva strappato (in modo
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piuttosto doloroso) dalla pelle. Nel tempo divenne sempre più difficile trovare piante, nonostante
ciò le quote imposte aumentarono inesorabilmente.
A parte il caucciù, ogni villaggio doveva consegnare all’amministrazione pecore o maiali o galline,
una certa quantità di manioca e ancora arachidi e patate. L’intero villaggio doveva inoltre lavorare
un giorno su quattro alle opere pubbliche. Era una vita da schiavi.
L’adempimento degli obblighi veniva assicurato da guardie africane organizzate nella Force
Publique, costituita per sorvegliare e terrorizzare la popolazione. Gli ufficiali erano funzionari dello
Stato mentre la truppa era composta da membri delle tribù cannibali dell'alto corso del Congo
oppure da ragazzini rapiti, portati nelle missioni cattoliche dove era impartito loro un
addestramento militare in condizioni simili a quelle della schiavitù. Attrezzata con armi moderne e
con la chicotte — una frusta di pelle di ippopotamo - la Force Publique soleva catturare e torturare
ostaggi, bruciare i villaggi che non obbedivano agli ordini e soprattutto, come abbiamo già
sottolineato, amputare mani e piedi.
Con la depredazione al Congo, Leopoldo assicurò a ogni membro della numerosa famiglia reale un
reddito annuo fra i 75 mila e i 150 mila franchi; acquistò in Belgio e in Francia vaste proprietà
terriere per un valore di 30 milioni di franchi ed effettuò spese enormi per corrompere la stampa,
in modo da mascherare i crimini che andava commettendo.
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La foto di Nsala. Un giorno un uomo di nome Nsala Wala, membro della tribù Nsongo, si presentò
a casa di una missionaria di nome Alice Harris; aveva con sé un pacchetto realizzato con delle
foglie, lo scartò e ne mostrò il contenuto:
una mano e un piede della sua bambina di
cinque anni. Alice Harris scattò allora una
famosissima foto in cui si vede l’uomo che
osserva gli arti della figlia. Questa foto –
insieme a molte altre di bambini senza mani
– venne spedita ai media occidentali, e
sconvolse il mondo. Negli Stati Uniti ed in
Inghilterra le foto venivano proiettate in
incontri pubblici. Mark Twain le inserì nel
suo pamphlet contro il re del Belgio
intitolato Soliloquio di re Leopoldo.
Il marito della Harrys mise anche per iscritto e fece circolare alcune esperienze personali.
Leggiamo John Harris:
«In fila, vi sono quaranta figli di un villaggio africano, ognuno con la sua cesta di
gomma. La quantità di gomma viene pesata e accettata, ma… quattro ceste pesano
meno del dovuto. L’ordine è rapido, crudele, fulmineo: il primo colpevole viene
afferrato da quattro robusti boia, gettato sulla nuda terra, immobilizzato mani e
piedi, mentre un quinto si fa avanti portando lunga frusta di pelle di ippopotamo
attorcigliata. La frusta colpisce veloce e incessante, e gli aguzzi bordi ondulati
penetrano in profondità nella carne… sulla schiena, sulle spalle e sulle natiche il
sangue zampilla da una decina di punti. La vittima si contorce invano nella stretta del
boia» (citato in Gli Spettri del Congo, pag. 264-265).
Sotto la pressione dell’opinione pubblica internazionale, impressionata da testimonianze
drammatiche e inequivocabili come queste, nel 1908 Re Leopoldo pose fine alle sue indiscriminate
atrocità e cominciò una sistematica opera di insabbiamento.
Immagini di ragazzini congolesi mutilati dagli sgherri di Leopoldo II
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