TEOLOGIA DEI SACRAMENTI APPUNTI PER

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INTRODUZIONE
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La nozione di “sacramento”
Cristo, sacramento del Padre
La Chiesa, sacramento di Cristo
I sacramenti di Cristo e della Chiesa
Che Dio possa incontrarsi con l’uomo e che questo incontro di fatto avvenga è una delle verità fondamentali e irrinunciabili del cristianesimo.
Dio, Creatore e Padre, manda il Figlio suo come uomo fra gli uomini, e invia nell’uomo il suo Spirito
di verità e di amore, perché l’uomo possa diventare la sua “viva gloria”; la salvezza altro non è se non
comunione dell’uomo con Dio, resa possibile dal dono di vita, di grazia e di amore concesso da Dio.
Ma ogni comunione interpersonale, per essere vera e autentica, deve rispettare le caratteristiche delle
persone che si incontrano. Com’è allora possibile che si incontrino Dio e l’uomo, fra loro così profondamente diversi, pur essendo stato l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio?
L’uomo non può certamente mettersi a livello di Dio. I suoi tentativi in tal senso, per essere “come Dio”, si sono rivelati vuoti, infruttuosi, controproducenti, impossibili. L’incontro può avvenire solo perché
Dio scende al livello dell’uomo: e il segno di Dio con l’uomo si chiama Gesù Cristo.
L’incontro dell’uomo con Dio è un incontro “sacramentale”:
L’UOMO SI INCONTRA CON IL DIO INVISIBILE
MEDIANTE LA MANIFESTAZIONE VISIBILE UMANA
DI QUESTO STESSO DIO.
Ma è anche un incontro “personale”: l’uomo, persona, formata di anima e di corpo, si incontra con Gesù Cristo, persona divina che ha assunto in sé la natura umana, e dunque è vero uomo e vero Dio; e per
mezzo di Gesù Cristo, si può avere accesso al Padre, nello Spirito.
L’agire costante di Dio è “sacramentale”: la sacramentalità è la dimensione del mistero cristiano.
Se è vero che ogni uomo è immagine e riflesso di Dio (cfr. 1Cor 11,7), fatto a somiglianza sua, solo
Gesù di Nazareth è la piena rivelazione del Padre, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), splendore
della gloria di Dio e impronta della sua sostanza (Eb 1,3): «quando venne la pienezza dei tempi, [Dio]
mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, unto di Spirito santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a
risanare i cuori affranti, “medico della carne e dello spirito”, mediatore di Dio e degli uomini» (SC 5).
Ma Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, morto e risorto, è salito presso il Padre, una volta terminata la
sua missione sulla terra: la sua mediazione terrena ha avuto un termine. Come può allora la salvezza, da
lui realizzata e meritata, raggiungere ogni uomo che non sia suo contemporaneo? Come può Cristo essere
oggi “sacramento di salvezza” per noi?
Come Gesù fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli apostoli, ripieni di Spirito santo, per
predicare il vangelo a tutti gli uomini e annunziare che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci
ha liberati dal potere di satana e dalla morte.
Gesù ha voluto la Chiesa, come suo corpo sino alla fine del mondo.
La Chiesa è allora il prolungamento nel tempo del mistero di Cristo, è il segno di Cristo per ogni
uomo, è in Cristo «come sacramento o segno dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere
umano» (LG 1).
Incontrarsi con la Chiesa significa incontrarsi con il Cristo: la invisibilità del corpo glorificato del
Cristo viene in un certo senso resa visibile dalla Chiesa, che può quasi essere definita “il Cristo continuato
ed esteso nei secoli”.
Tutta la Chiesa è sempre sacramento di Cristo, è sempre segno che parla di lui. Ma particolarmente
in alcuni momenti essa manifesta meglio questa sacramentalità: si tratta dei riti sacramentali, gesti nei
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quali la Chiesa attua se stessa come sacramento di Cristo in maniera oggettivamente più chiara ed efficace; sono l’attuazione del suo essere salvifico.
Abbiamo fin qui già parlato di sacramento e di sacramentalità, ma senza darne una definizione; si può
comunque intuire che sacramento può equivalere a “segno sacro”, e che sacramentalità è la caratteristica di qualcosa o di qualcuno in riferimento, appunto, ai sacramenti.
Del resto il cristiano fa esperienza dei sacramenti fin dall’inizio della propria esistenza: li vive prima di sapere cosa siano. E certamente essi sono una realtà da vivere più che una nozione da apprendere: anche per questo motivo essi non figurano nel simbolo di fede, pur essendo oggetto della fede cristiana e definiti nei dogmi della Chiesa.
È necessario però che noi ora riflettiamo sul significato di sacramento, se volgiamo fare teologia, in
connessione anche a un altro termine, quello di mistero, che gli è prossimo sia per origine terminologica che per contenuto.
Questa riflessione chiarirà il senso ampio che va dato e riconosciuto a questi termini – e quindi a queste realtà –, e che ingloba il senso specifico che «sacramento» assunse, all’incirca nel secolo XII, in rapporto ai sette riti della Chiesa denominati, appunto, da allora in poi, «i sacramenti».
Il termine mistero viene utilizzato dalla teologia con due significati:
- una verità inaccessibile ad una comprensione umana esauriente (es.: il mistero della Trinità”);
- gli atti cultuali, nel senso che la celebrazione liturgica viene ritenuta carica di una presenza soprannaturale, e perciò di reali possibilità salvifiche, anche se impercettibili.
Col 1,27 definisce testualmente il Mistero come «Cristo in voi, speranza delle genti»: Cristo non solo
in se stesso, ma «in voi», «nei vostri cuori» (Ef 3,17).
I Misteri sono quei gesti rituali nei quali la salvezza di Dio in Gesù diventa salvezza dell’uomo.
Per cercare di capire che cosa è un sacramento possiamo partire da una esperienza molto comune, che tutti noi sicuramente abbiamo vissuto.
Ci sono, nella nostra vita e in quella di tutti i popoli, degli avvenimenti che consideriamo così importanti da sentire il bisogno di ricordarli a regolari intervalli di tempo. Gli sposi celebrano, o comunque ricordano il giorno del loro matrimonio: si chiamano nozze d’argento, d’oro, di diamanti.
La nostra patria, come tutte le altre nazioni, ricorda i fatti fondamentali della sua storia nelle feste civili.
È questa un’esperienza molto importante e molto bella: fare memoria di un avvenimento, per conservarne sempre vivo il ricordo. Ovviamente non facciamo memoria di tutto quello che ci capita. Ci sono infatti avvenimenti del tutto insignificanti e ce ne sono invece altri così importanti che hanno cambiato la nostra esistenza. Conosco degli sposi che ricordano esattamente luogo e tempo in cui si sono incontrati per la prima volta e perfino come erano vestiti in quel momento.
Teniamo, dunque, ben presente questa nostra esperienza e facciamoci ora una domanda: esiste un avvenimento assolutamente unico nella vicenda della nostra salvezza cristiana? Un avvenimento centrale? Sì, esiste: questo avvenimento unico, centrale, fondamentale è la morte e la risurrezione di
Gesù!
Se voi prendete una sfera e la poggiate su un tavolo, vedrete che qualunque sia la grandezza della sfera, essa tocca il tavolo solo in un punto: poggia tutta su un solo punto. Qualcosa di analogo avviene nella
storia dell’umanità. Tutta la storia dell’umanità, dal primo all’ultimo uomo, poggia su un solo momento del tempo: quello della morte e risurrezione del Signore. Il punto di appoggio della “sfera”
del mondo è la Pasqua di Cristo!
Approfondiamo ora questa considerazione. Che significa che l’evento pasquale della morte e risurrezione di Cristo è l’avvenimento centrale e fondamentale di tutta la storia dell’umanità? Significa anzitutto
che quanto è accaduto a Gesù è destinato a verificarsi anche nella vita di ciascuno di noi. Anche noi infatti siamo destinati alla morte e alla risurrezione.
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Questo è lo scopo dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio. Egli si è fatto uomo, ha assunto la nostra stessa condizione, si è fatto carico dei nostri peccati per salvarci, per introdurci nuovamente nella vita eterna, a cui la nostra condizione di peccatori non può farci accedere. Gesù è veramente
“l’Agnello di Dio, che porta su di sé il peccato del mondo” (Gv 1,29). Egli si presenta all’umanità peccatrice come “l’agnello mansueto condotto al macello” e come “pecora muta di fronte ai suoi tosatori”, secondo le espressioni di Isaia applicate a Lui dagli evangelisti. Con stupore e venerazione contempliamo il
suo amore, che arriva a dare la sua vita per noi sulla Croce: “Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). E questo Egli l’ha fatto “per noi e per la nostra salvezza”; l’ha
fatto a causa dei nostri peccati. Lo dice con chiarezza S. Paolo: “è stato messo a morte per i nostri peccati” (Rm 4,25; Gal 1,4; 1Cor 15,3). E in modo ancora più chiaro S. Pietro: “Egli portò i nostri peccati nel
suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (1 Pt
2,24). La vera Croce che Gesù porta è quella dei nostri peccati! Egli ha messo a morte nella sua carne la
nostra natura umana peccatrice, la nostra “carne di peccato”, come la chiama S. Paolo (Rm 7,18.25; 8,3).
Nell’immolazione di Gesù al Calvario la nostra carne di peccato muore, così che può avvenire il nostro
passaggio alla condizione gloriosa della risurrezione. Ciascuno di noi può realizzare, attraverso la morte e
risurrezione di Cristo, questo “passaggio” dalla morte alla vita, dal peccato alla santità, dalla vita precaria
e debole alla gloria eterna.
Ora, perché questo “passaggio” accada è necessario che ciascuno di noi entri in contatto reale con
la morte e risurrezione di Cristo. “Contatto reale” vuol dire anche contatto “fisico”, sensibile. Ricordate la donna che soffriva di emorragie, di cui parla il Vangelo? Ella, mentre si trovava vicino a Gesù,
pensava: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita” (Mc 5,28). Non è sufficiente
perciò leggere e meditare la Bibbia, che racconta la Pasqua del Signore. È necessario che noi siamo
fisicamente e realmente “innestati” nella sua morte e risurrezione.
Come è possibile questo “innesto”, questo “contatto reale”? L’evento della morte e risurrezione di
Gesù è accaduto duemila anni fa… Sembra impossibile partecipare realmente ora ad un avvenimento accaduto tanto tempo fa… Ma ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio! Per rendere possibile
questa nostra partecipazione reale alla Pasqua di Cristo, che ci consente di passare dalla morte alla vita,
Dio ha istituito i Sacramenti. Essi sono i mezzi donatici da Dio, attraverso cui noi possiamo essere realmente “innestati” nella morte e risurrezione di Gesù. I sacramenti non moltiplicano l’evento della Pasqua
del Signore, che rimane storicamente unico. Essi però lo ricordano, anzi lo rendono presente qui ed ora
per noi e per la nostra salvezza!
A questo punto possiamo dare una definizione dei sacramenti. La prendiamo dal Catechismo della
Chiesa Cattolica, in cui si dice che i sacramenti sono “forze che escono dal Corpo di Cristo, sempre vivo
e vivificante, azioni dello Spirito Santo operante nel suo Corpo che è la Chiesa, i capolavori di Dio nella Nuova ed eterna alleanza” (n.1116).
Cerchiamo ora di approfondire questa definizione. I sacramenti sono anzitutto forze che escono dal
Corpo di Cristo. Tutte le cose che Gesù ha fatto nella sua vita terrena, i suoi gesti e le sue parole, costituiscono un “sacramento”, cioè una manifestazione della potenza di amore di Dio Padre. Le mani di Cristo che toccano e guariscono, la sua Parola che annuncia la verità, la sua totale donazione d’amore sulla
Croce fanno di Cristo stesso il “sacramento” del Padre, la manifestazione visibile del suo Amore per
l’umanità. Il primo sacramento è perciò Cristo stesso, la cui azione di salvezza si perpetua oggi nella storia attraverso i sette segni sacramentali.
Possiamo dire dunque che tutti i sacramenti che noi celebriamo provengono da Gesù e continuano efficacemente oggi la sua opera salvifica. I sacramenti sono tutti di Cristo, sia nel senso che egli stesso li ha
istituiti, sia nel senso che è Lui stesso a celebrarli attraverso la persona del ministro: quando il sacerdote
confessa, è Cristo che confessa; quando celebra la S. Messa, è Cristo che sta celebrando l’Eucaristia!
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In secondo luogo la definizione del Catechismo dice che i sacramenti sono azioni dello Spirito Santo
operante nel suo Corpo che è la Chiesa. La presenza salvifica di Cristo attraverso i sacramenti è resa
possibile oggi dall’azione dello Spirito Santo. È infatti lo Spirito Santo che rende sempre attuale la Pasqua di Cristo, facendola essere per noi oggi evento di salvezza. Attraverso l’azione dello Spirito, per esempio, la Parola di Dio è sempre la stessa, eppure risulta sempre nuova ed attuale, capace di dirci le cose
più utili per la nostra vita di oggi. Attraverso l’azione dello Spirito la Chiesa può celebrare gli stessi gesti
salvifici di Cristo, primo fra tutti il sacrificio della Croce, reso presente nell’Eucaristia: è la potenza dello
Spirito Santo, infatti, che trasforma il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo.
Lo Spirito Santo opera nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa. In questo senso la Chiesa non è un’altra
cosa rispetto a Cristo, ma è il prolungamento nella storia della presenza salvifica del Signore. Grazie alla
presenza dello Spirito Santo la Chiesa è “sacramento universale di salvezza” (LG 1), perché Cristo stesso
ha affidato alla sua Chiesa la sua opera di salvezza. E se Cristo, come abbiamo visto, è il sacramento del
Padre, la Chiesa è “sacramento di Cristo”, segno visibile ed efficace della sua azione di salvezza nella
storia. Concretamente questo vuol dire che tutti i sacramenti si celebrano nella Chiesa e attraverso la
Chiesa. Non esistono sacramenti privati: anche quando un sacramento fosse celebrato da poche persone o
nella clandestinità (come è avvenuto nei luoghi in cui la Chiesa è stata perseguitata), esso è sempre una
celebrazione pubblica e comunitaria, che avviene con l’apporto di tutta la Chiesa e si riversa beneficamente su tutta la Chiesa.
Questo ci fa dire che dobbiamo superare una mentalità privatistica che talvolta serpeggia ancora nelle comunità cristiane e nella mente di molti che pur si dicono cristiani. Non esistono Messe “private” o
personali; come non esistono Battesimi da celebrare in privato. Ogni sacramento viene celebrato
nell’ambito della comunità ecclesiale. Anche i sacramenti che potrebbero sembrare più “privati”, come
la Confessione o l’Unzione dei malati sono, in questo senso, sacramenti ecclesiali, che i singoli celebrano
in forza della loro appartenenza alla Chiesa e che la Chiesa celebra arricchendo l’intero Corpo mistico
di Cristo.
Per tutti i motivi che abbiamo visto i sacramenti sono, come dice il Catechismo, i capolavori di Dio
nella nuova ed eterna alleanza, quell’Alleanza definitiva di amore, che è stata sigillata nella morte e risurrezione di Cristo e che noi celebriamo in modo efficace nell’Eucaristia e negli altri sacramenti. Era
questa consapevolezza che faceva dire a S. Ambrogio: “Tu ti sei mostrato a me, o Cristo, faccia a faccia. Io ti ho incontrato nei tuoi sacramenti”.
Dietro i gesti visibili della celebrazione dei sacramenti noi cogliamo il capolavoro dell’amore di Dio
per noi. Attraverso i segni materiali, che si concretizzano nell’uso del pane, del vino, dell’acqua, dell’olio,
noi siamo uniti efficacemente al costato di Cristo crocifisso e risorto, da cui è scaturito il dono dello Spirito Santo, che ci salva e ci rigenera a nuova vita. In una bellissima omelia sulla Pasqua Melitone di Sardi
poneva in bocca a Cristo stesso queste parole: “Sono io il Cristo. Sono io che ho distrutto la morte, che ho
trionfato sul nemico. Orsù dunque, venite voi tutti popoli della terra, immersi nei peccati: ricevete la remissione dei peccati. Sono io, infatti, la vostra remissione, sono io la Pasqua della salvezza”.
L’accoglienza della salvezza pasquale, quale si attua qui ed ora attraverso i sacramenti, esige da parte
nostra la disposizione fondamentale della fede. I sacramenti infatti non sono affatto dei gesti “magici”,
che noi celebriamo semplicemente per tradizione sociale o per abitudine…
Provate a pensare quanto siano vuote e superficiali certe celebrazioni di matrimoni, in cui l’unica
preoccupazione sembra essere quella esteriore della “cerimonia”: la bella Chiesa, le foto, il vestito della
sposa… La partecipazione dell’assemblea in tanti casi è del tutto inesistente, al punto che quasi nessuno
si accosta alla comunione o ascolta quanto viene detto durante la celebrazione. La stessa cosa potrebbe
dirsi di certe Messe di Prima Comunione o di Cresima, in cui gli aspetti consumistici prevalgono su tutto
il resto… Quanto è diversa invece la celebrazione di un matrimonio da parte di due sposi che fanno già
un cammino di fede e si sono preparati bene a questo evento fondamentale della loro vita. Quanto diver-
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sa è la celebrazione eucaristica di una comunità fervorosa, che comprende e vive nella fede il mistero che
sta celebrando!
Certo, non possiamo affermare che l’efficacia di un sacramento dipenda in primo luogo dalla fede di
chi lo celebra. I sacramenti sono efficaci perché in essi agisce Cristo stesso e perché il Padre esaudisce
sempre la preghiera della Chiesa del suo Figlio. I sacramenti agiscono ex opere operato, ossia “per il
fatto stesso che l’azione viene compiuta”, in virtù dell’opera salvifica di Cristo, realizzata una volta per
tutte. Ne consegue che l’efficacia del sacramento non dipende dalla fede di chi lo celebra o di chi lo riceve, ma dalla potenza dell’amore di Dio: “come il fuoco trasforma in sé tutto ciò che tocca, così lo Spirito
Santo trasforma in vita divina ciò che è sottomesso alla sua potenza” (CCC n. 1127).
Questo però non vuol dire che l’azione del ministro e del ricevente siano del tutto ininfluenti. Si
può parlare infatti anche dell’ex opere operantis, che essenzialmente consiste nella fede della persona che celebra il sacramento, fede che indubbiamente rende l’efficacia di grazia del sacramento
stesso a livello soggettivo. Abbiamo considerato poco fa che il sacramento del matrimonio, per esempio,
viene celebrato con maggiore dignità, consapevolezza e frutto da due fidanzati che hanno percorso un
cammino di fede, rispetto a chi va a sposarsi in chiesa magari solo per tradizione… Il sacramento sarà
valido ma non fruttuoso.
Quali sono gli effetti dei sacramenti? Tutti i sacramenti ci donano la grazia, che ci permette di adempiere fedelmente la nostra missione di battezzati, in forza della fedeltà di Cristo al Padre.
È come se Dio mi donasse in ogni sacramento un blocchetto di assegni intestati a me e già firmati in
bianco da Lui… Su questi assegni io posso scrivere di volta in volta la cifra che mi occorre, per poi presentarmi a riscuoterla allo “sportello” della sua banca: il tabernacolo!… Il conto corrente di Dio avrà
sempre la copertura! Ogni battezzato ha il suo blocchetto di assegni…
Ogni battezzato può sempre ricevere dal Signore le grazie necessarie a vivere con fedeltà il proprio
ministero. A me sacerdote occorrono ogni giorno tante grazie attuali per rimanere fedele alla mia consacrazione e vivere santamente questo prezioso ministero. A voi occorrono pure tante grazie attuali per superare i giorni duri e difficili, per vincere le tentazioni, per affrontare malattie o lutti…
Mi vengono in mente le parole di Isaia:
“O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza
denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio
per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti” (Is 55,1-2).
Attraverso i sacramenti il Signore ci offre il “cibo succulento” di cui abbiamo bisogno per vivere bene
e per puntare con decisione alla santità.
I sacramenti, come sappiamo, sono sette.
Cominceremo a vedere la prossima volta singolarmente questi sette sacramenti, istituiti da Gesù e affidati alla sua Chiesa.
IL SETTENARIO SACRAMENTALE
Il numero sette è simbolo di totalità, di pienezza e di perfezione essendo formato da due numeri perfetti: il tre (il divino) e il quattro (il creato).
I teologi medioevali attribuirono così al numero sette una dignità e un significato teologico fondamentale.
Sono sette i doni dello Spirito santo,
i peccati capitali,
le virtù (3 teologali e 4 cardinali),
sette i giorni imposti da Mosè per la purificazione dalla lebbra,
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sette le beatitudini
e sette anche i sacramenti.
Per gli scolastici il qualitativo-simbolico è più importante dell’aritmetico-quantitativo.
Applicato ai sacramenti questo numero significa la pienezza e la perfezione di grazia e aiuto contro il
peccato.
Per Tommaso d’Aquino il numero sette indica l’universalità, per cui l’organismo sacramentale abbraccia la vita cristiana tutta intera, degli individui come della Chiesa. Questo principio è basato sulla analogia
esistente fra la vita dello spirito e la vita del corpo per cui Tommaso vede lo sviluppo della vita spirituale
del cristiano come un cammino simile a quello della vita corporale. Egli argomenta in questo modo:
- due sono le perfezioni che l’individuo deve raggiungere: una rispetto alla propria persona, l’altra rispetto alla società in cui vive, essendo l’uomo per natura animale socievole;
- il perfezionamento diretto alla vita del corpo e quindi alla propria persona ha tre tappe:
1. la generazione, per cui l’uomo comincia ad essere e a vivere e nella vita dello spirito le corrisponde il battesimo che è una generazione spirituale;
2. la crescita, per cui l’uomo raggiunge la pienezza della sua statura e della sua forza e nella vita dello spirito le corrisponde la cresima, nella quale ci viene dato lo Spirito santo per irrobustirci;
3. il nutrimento, con cui l’uomo conserva la vita e la forza e nella vita secondo lo spirito le corrisponde l’eucaristia;
- ora questo potrebbe essere sufficiente se l’uomo fosse fisicamente e spiritualmente in deperibile, ma
siccome non è così e l’uomo incorre oltre alle malattie corporali anche in quelle spirituali, cioè nei
peccati, sono necessari dei rimedi contro le infermità, e questi rimedi sono due:
1. il primo è la guarigione che restituisce la salute e nella vita dello spirito le corrisponde la penitenza;
2. il secondo è il recupero delle forze con l’esercizio e nella vita secondo lo spirito gli corrisponde
l’unzione degli infermi;
- rispetto alla collettività l’uomo si perfeziona in due modi:
1. svolgendo il servizio di governo e compiendo atti pubblici e nella vita dello spirito a ciò corrisponde il sacramento dell’ordine;
2. secondo la propagazione della specie: questo avviene mediante il matrimonio, tanto per la vita
corporale che per quella spirituale.
Comunicando la vita del Risorto, i sacramenti assumono e santificano tutta l’esistenza umana, inserendosi nei momenti fondamentali della vita dell’uomo. Così, dalla nascita alla crescita, all’incontro con gli
altri e alle responsabilità sociali, fino alla malattia e alla morte, i sacramenti comunicano, di volta in volta,
la grazia del Redentore. La ragione ultima, dunque, dell’esistenza di un settenario sacramentale va ricercata in questa direzione, nel riferire cioè la totalità dell’esistenza umana alla totalità del mistero pasquale.
I SACRAMENTI DI INIZIAZIONE CRISTIANA
Iniziamo adesso la trattazione specifica dei singoli sacramenti.
I primi sacramenti ad essere presi in considerazione sono i sacramenti dell’iniziazione cristiana, quei
sacramenti cioè con cui si dà inizio alla vita cristiana: battesimo, cresima ed eucaristia.
Seguono poi gli altri sacramenti: penitenza, unzione degli infermi, ordine e matrimonio.
Il termine iniziazione non viene dal linguaggio biblico, ma da quello religioso, specialmente delle religioni misteriche. La Chiesa lo usa soprattutto perché è stato introdotto dai Padri.
Che cos’è l’iniziazione cristiana? Il termine “iniziazione” deriva dal latino in-eo che significa “entrare dentro”. Di conseguenza l’espressione “iniziazione cristiana” indica il processo globale attraverso il
quale si entra nella vita cristiana, cioè si diventa cristiani.
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Per iniziazione cristiana si intende il cammino che, grazie soprattutto ai tre Sacramenti
dell’iniziazione cristiana [Battesimo, Cresima ed Eucaristia], introduce nel mistero di Cristo e della
Chiesa, cioè fa diventare cristiani». Si tratta di un cammino disteso nel tempo e scandito
dall’ascolto della Parola di Dio, dalla celebrazione dei Sacramenti e dalla testimonianza della carità, attraverso il quale si diventa figli di Dio, membri della Chiesa, suo popolo, e si apprende a vivere da cristiani.
Tale cammino può essere percorso da una persona già adulta, che si converte a Cristo, oppure anche da
un fanciullo. Nel primo caso, dopo un tempo adeguato di evangelizzazione, di formazione, di esperienza e
di verifica, si procede alla celebrazione unitaria dei tre Sacramenti dell’iniziazione cristiana che rendono
partecipi del mistero pasquale di Cristo; nel secondo caso, per lo più si tratta di fanciulli che hanno già ricevuto il Battesimo da bambini e che devono completare l’iniziazione cristiana mediante un cammino di
fede e la ricezione della Cresima e della Eucaristia. Sta crescendo tuttavia anche da noi il numero dei fanciulli che non sono ancora stati battezzati e che devono percorrere l’intero cammino della iniziazione cristiana.
«L’iniziazione cristiana – risponde Mons. F. Lambiasi – è la grazia più grande ed insieme la missione fondamentale e prioritaria che la Chiesa ha ricevuto in dono dal suo Signore». Questo infatti è
il mandato che il Signore risorto ha lasciato ai suoi discepoli: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19). La Chiesa è nata
dal Cristo crocifisso e risorto come vergine nella fede e viene resa madre dallo Spirito per generare nuovi
figli a Dio Padre.
L’iniziazione cristiana non è quindi uno dei tanti settori della pastorale; ne è piuttosto lo snodo decisivo, la sintesi più ricca e significativa e lo scopo fondamentale. Se è vero che la Chiesa esiste per evangelizzare, è altrettanto vero che l’evangelizzazione è finalizzata alla nascita della fede e della vita in Cristo,
come lascia intendere il testo di Mc 16,15-16: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni
creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo». Di conseguenza una comunità cristiana che non offrisse più cammini concreti e appetibili per diventare cristiani non solo si priverebbe di un’attività importante
ma anche della sua funzione, del suo scopo. «Se la chiesa-madre – scrive ancora Mons. F. Lambiasi - non
generasse più figli si condannerebbe alla sterilità […]. Insomma non sarebbe più Chiesa. La Chiesa è tale
perché genera cristiani, altrimenti perde la sua ragion d’essere».
Tuttavia a partire dall’alto medioevo non si insiste troppo sul tema della iniziazione cristiana poiché,
per certi versi, “si nasce già cristiani”, non solo perché il Battesimo viene dato quasi con la nascita stessa
ma anche perché si respira la fede cristiana fin dai primi giorni di vita sia in famiglia sia nella società.
Oggi le cose sono cambiate: aumentano gli adulti non battezzati e, anche nel caso ancora diffuso del Battesimo dei bambini, diventa indispensabile per i ragazzi un cammino di “iniziazione” cioè di progressiva
“introduzione” alla fede e alla vita cristiana, poiché questi ragazzi – che si presentano per la prima Comunione e la Cresima – spesso non hanno ricevuto alcuna educazione cristiana. Oggi, come diceva ai suoi
tempi Tertulliano, «cristiani non si nasce ma si diventa». È per questo che a partire soprattutto dal Vaticano II si è ripreso a parlare con insistenza e urgenza di “iniziazione cristiana”.
Un testo di Tertulliano descrive, in modo sintetico ma chiaro, il rito di iniziazione in uso nella Chiesa
del suo tempo:
La carne viene lavata, perché l’anima sia purificata; la carne riceve l’unzione, perché l’anima sia
consacrata; la carne viene segnata, perché l’anima sia fortificata; la carne viene adombrata
dall’imposizione della mano, perché l’anima sia illuminata dallo Spirito; la carne viene nutrita
del corpo e del sangue di Cristo, perché l’anima sia saziata di Dio (De resurrectione).
Si tratta di una testimonianza molto importante, perché fa vedere come, fin dai primissimi secoli del
cristianesimo, si viene introdotti nella comunità ecclesiale mediante un cammino di iniziazione, che comprende tre gesti rituali sacramentali:
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- il battesimo (espresso dal lavacro);
- la cresima (espressa dall’unzione, dal segno della croce e dall’imposizione della mano);
- l’eucaristia (cibo e nutrimento dell’anima).
Il battesimo, la cresima e l’eucaristia costituiscono la base dell’impianto di tutta la vita cristiana.
L’iniziazione cristiana non si esaurisce nel fatto celebrativo dei tre sacramenti, ma è base di partenza di
una continuità che dura per tutta la vita.
L’intima unità del processo di iniziazione cristiana, attraverso i sacramenti del battesimo, della cresima
e dell’eucaristia, consiglia di non dividere in modo rigoroso la trattazione di questo processo, soprattutto
per quanto riguarda i due sacramenti costitutivi del cristiano: il battesimo e la cresima.
Di fatto nella Scrittura e nel primo periodo patristico questi sacramenti vengono trattati sempre insieme, tanto che molte volte, quando si parla del battesimo, bisogna intenderlo come battesimo-cresima.
La trattazione congiunta ha il vantaggio di rendere più comprensibile il carattere unitario del mistero
pasquale a cui vengono iniziati i soggetti.
Però, per motivi didattici, ogni singolo sacramento viene studiato dapprima attraverso la testimonianza
della sacra Scrittura, poi nello sviluppo storico della fede della Chiesa, ed infine in quelli che sono i suoi
effetti particolari. Anche noi seguiremo, grosso modo, questo schema tenendo sempre in considerazione il
fatto che si tratta di sacramenti che appartengono ad un processo globale che attualizza e ripresenta il mistero pasquale di Cristo, in modo tale che l’uomo, nel riceverli, viene assunto in questo dinamismo salvifico per mezzo del quale la sua vita – per dirla con Paolo – rimane nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3).
1. Battesimo
1.1. Fondamenti biblici
Dal punto di vista terminologico «battezzare», «battesimo» deriva dal greco bàptô, baptizô che significa «immergere», «sommergere».
Il NT, nell’uso di questo termine, introdurrà un’importante novità: utilizzerà baptizô in un senso esclusivamente cultuale (Mc 7,4; Lc 1,38), cioè nel senso tecnico di «battezzare».
Questo fatto dimostra che per il NT il battesimo comporta qualcosa che era inusitato presso gli altri riti e presso i costumi del tempo (per esempio le abluzioni giudaiche di cui parlano 2Re 5,14 e Gdt
12,7). Anche le religioni ellenistiche, infatti, oltre all’AT e al giudaismo, conoscevano le abluzioni, ma
studi recenti hanno dimostrato che il verbo baptizô, pur se qualche volta compare in contesti religiosi per
indicare queste abluzioni rituali, tuttavia non assumerà mai quel significato tecnico e sacrale proprio del
NT. In sostanza, il NT si preoccupa di indicare un qualcosa di assolutamente nuovo, il battesimo cristiano
cioè, un termine libero da equivoci.
Nonostante questa originalità, bisogna tuttavia riconoscere che il battesimo cristiano si riallaccia immediatamente ad un altro battesimo che non è ancora quello di Gesù, ma ad esso strettamente congiunto e
finalizzato, il battesimo di Giovanni.
a) Il battesimo di Giovanni
Il battesimo che Giovanni predica e conferisce sulle rive del Giordano esige la conversione del cuore
in vista della venuta del Signore. Esso è, innanzitutto, espressione di penitenza per la conversione del cuore (Mc 1,4; Lc 3,3), ma ciò che è indice di novità assoluta è che esso si presenta come annuncio di un altro battesimo, il battesimo «in Spirito santo e fuoco» che sarà donato da Gesù Cristo (Mt 3,11; Mc 1,8).
b) Il battesimo di Gesù
Giovanni predicava un battesimo di penitenza, praticava questo rito per la conversione e la remissione
dei peccati. Gesù, il Figlio di Dio aveva bisogno di un tale battesimo? Qual è il significato del battesimo
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di Gesù? Gesù stesso ha spiegato il suo battesimo. Nella fila di coloro che si riconoscono peccatori e bisognosi del perdono divino si colloca anche Gesù, sapendo e volendo ciò che sta per fare. Giunto da Giovanni è riconosciuto come il Messia: io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? Ma Gesù
gli risponde che quel gesto è necessario, affinché si compisse ogni giustizia. Questo breve dialogo tra
Giovanni e Gesù sta al centro della scena con cui Matteo presenta il battesimo di Gesù. A Giovanni che
voleva impedirgli di farsi battezzare da lui, Gesù risponde: «Lascia fare per ora, perché conviene che così
adempiamo ogni giustizia». La volontà di Gesù di farsi battezzare non dipende dal fatto che egli abbia dei peccati da farsi perdonare, ma perché è venuto a compiere ogni giustizia. La giustizia è nella
Bibbia la conformità alla volontà di Dio, quella espressa nella Scrittura e portata al suo compimento, che Gesù con la sua vita e insegnamento esprime e fa conoscere ai suoi discepoli. L’uomo è detto
giusto se aderisce con la sua vita alla volontà di Dio. Nel battesimo di Gesù al Giordano, sia Gesù
che Giovanni obbediscono alla volontà del Padre. La volontà del Padre è la salvezza di tutti gli uomini. Per questo egli ha mandato il suo Figlio nel mondo. Capiamo dunque il valore programmatico delle
prime parole che Gesù pronuncia nel vangelo di Matteo e che dicono il senso di tutta la sua vita e missione: egli è il Figlio di Dio soprattutto perché obbedisce liberamente alla volontà del Padre. Fa parte della
volontà divina che il Figlio senza peccato si confonda tra i peccatori e sia trattato da peccatore, per portare
su di sé il peccato del mondo e aprire all’umanità il cammino della salvezza. Non per i suoi peccati, ma
per i nostri egli viene battezzato. Scrive san Massimo di Torino che nel Giordano non fu l’acqua che santificò Gesù, ma Gesù che santificò l’acqua, tutte le acque!
Sempre nel NT leggiamo che la Chiesa apostolica battezza «nel nome di Gesù». Cosa vuol dire ciò?
Tanto Mt (28,16-20) quando Mc (16,14-18) ricordano che, dopo la sua risurrezione, Gesù affida agli
apostoli la missione di evangelizzare. Matteo poi è ancora più preciso: i discepoli devono portare il lieto
annuncio a tutte le genti, facendole discepole e battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo (Mt 28,18-20). Il battesimo, insieme alla fede dona la salvezza, fa diventare discepoli ed apostoli.
Ora, se la Chiesa primitiva battezza «nel nome del Signore Gesù» (At 2,38; 8,16; 10,47; 19,5; 22,16), è
perché essa ha ricevuto l’ordine da Gesù stesso.
«Battezzare nel nome di…» vuol dire essere posti in relazione diretta con la persona di Gesù (appartenenza, adesione, passaggio alla sua signoria), con la sua opera salvifica, e poiché la sua opera richiama la
potenza del Padre e l’azione dello Spirito, il battesimo dice essenzialmente riferimento alla vita stessa
Trinità, è il dono della vita divina in Cristo. Ma, questo viene particolarmente approfondito dalla riflessione di Paolo sul battesimo.
c) Il battesimo in san Paolo
Una vera e propria elaborazione teologica sul battesimo, all’interno dell’esperienza e della prassi battesimale delle prime comunità cristiane, ci viene fornita dalle lettere di san Paolo. L’Apostolo, infatti, parla
del battesimo in parecchi brani e spesso con una grandissima varietà di immagini: il battesimo viene visto
come rigenerazione, nuova creazione, nuova nascita, illuminazione, purificazione, santificazione, ecc.
Fondamentalmente, per Paolo il battesimo è un evento, l’evento della fede caratterizzato da tre elementi essenziali:
- pone in intima relazione con Cristo;
- è l’inizio di una vita nuova;
- è segno di appartenenza al corpo di Cristo.
In primo luogo, dunque, il battesimo pone in intima relazione con Cristo in virtù di una partecipazione
(e non soltanto spirituale) alla sua morte e alla sua risurrezione: il testo di Rm 6,4-11 ha un sapore profondamente realistico, si parla non di un semplice accostamento spirituale o morale alla morte e risurrezione di Cristo, ma di una presenza attualizzante, per il credente, del mistero pasquale.
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Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare
in una vita nuova. 5Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo
saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. 6Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è
stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo
più schiavi del peccato. 7Infatti chi è morto, è liberato dal peccato. 8Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, 9sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più;
la morte non ha più potere su di lui. 10Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte;
ora invece vive, e vive per Dio. 11Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per
Dio, in Cristo Gesù.
Il testo afferma con chiarezza che il battesimo è il sacramento dell’incorporazione al transito pasquale
di Cristo: morire con lui per rivivere con lui. Si viene realmente conformati alla morte e risurrezione di
Cristo.
È molto utile leggere il testo di Rm 6,4-11 all’interno dello sviluppo del pensiero di Paolo:
1. nel c. 5 Paolo insiste sulla forza salvifica della morte di Cristo, nuovo Adamo, attraverso la quale il
peccato è stato purificato e la condanna è stata superata dalla grazia;
2. nel c. 8 descrive la stile di vita di quelli che non sono più sotto la condanna ma sotto la grazia: è la
vita dello Spirito.
I cc. 6 e 7 sono una parentesi in questo processo che si apre con un possibile malinteso: è forse indifferente che il cristiano resti nella condizione di peccato? A questa possibile obiezione l’apostolo risponde
affermando che il cristiano, come tale è morto al peccato; ciò è avvenuto sacramentalmente nel battesimo.
Quel che è certo, prosegue l’apostolo, è che il cristiano non cessa di vivere il dramma della tentazione,
della lotta interna tra il bene e il male (Rm 7,18-23).
La sequenza del suo pensiero sarebbe: Cristo, il nuovo Adamo, ha purificato il peccato dell’uomo mediante il suo mistero pasquale, nel quale veniamo inseriti col battesimo, per poter vivere secondo lo Spirito, frutto di questo mistero.
In secondo luogo, allora, il battesimo è l’inizio-dono di una vita nuova nello Spirito. Vivere in Cristo
attraverso il battesimo significa vivere nello Spirito (Rm 8,2). Paolo esprime questo «essere nuova creatura» del battezzato con la famosa contrapposizione tra il «vivere secondo la carne» e il «vivere secondo lo
Spirito», tra i «frutti della carne» e i «frutti dello spirito» (Gal 5,13-26). Chi è rinato a vita nuova (la vita
dello Spirito), realmente morendo e realmente risorgendo con Cristo, adesso è una creatura nuova, non
può non vivere «nello Spirito» e «secondo lo Spirito».
Questo sigillo del battesimo, che segna l’intervento dello Spirito, in terzo luogo, è un segno di appartenenza al corpo di Cristo, alla comunità dei credenti. L’essere stati battezzati in un solo Spirito, nel medesimo Spirito, ci porta a superare ogni divisione, a formare un corpo solo: «Come infatti il corpo è uno
solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il
Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci,
schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1Cor 12,12-13).
Volendo riassumere le affermazioni della sacra Scrittura sul battesimo, possiamo dire che per il NT:
- il battessimo è essenziale per diventare cristiani;
- il battesimo è partecipazione al mistero pasquale di Cristo;
- il battesimo inaugura l’esistenza vissuta nello Spirito santo;
- il battesimo ci lega al corpo di Cristo che è la Chiesa;
- il battesimo ci dà la condizione di figli di Dio e ciò proviene dalla comunione e somiglianza col Figlio ottenuta con la grazia dello Spirito, nella fede.
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Tutto questo non per un semplice rito (poco sappiamo delle modalità rituali del NT), ma per un atto
decisamente libero di risposta con la conversione e la fede alla parola del Vangelo. L’inizio sì di una vita
nuova, ma non come un semplice momento, bensì come atteggiamento costante che si fonda su una trasformazione interiore.
1.2. Dati storico-dogmatici
Naturalmente, nel corso della storia i dati scritturistici che abbiamo presentato verranno ulteriormente
arricchiti, approfonditi e sviluppati. Il battesimo diventerà il momento iniziale della vita cristiana. Qui mi
limiterò a raccogliere soltanto le testimonianze più significative per la genesi e lo sviluppo di una teologia
del battesimo.
a) L’epoca dei Padri (II-VII sec.)
Nei primi due secoli le testimonianze principali che abbiamo si riferiscono essenzialmente alla catechesi preparatoria e alla celebrazione. Nella Didachè, uno scritto della fine del I secolo, il battesimo viene
presentato come il rito mediante il quale uno diventa membro della Chiesa e della comunità locale, impegnandosi a scegliere e a seguire la via della vita. Viene amministrato in acqua corrente, nel nome della
Trinità, ma nel caso in cui l’acqua fosse poca, si versa solo sulla testa per tre volte, nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito santo. Battesimo per immersione quindi, o anche per infusione.
Nel III secolo, in Occidente, viene scritto il primo trattato sul battesimo, il De baptismo, ad opera di
Tertulliano. In quest’opera, Tertulliano inaugura la metodologia catechetica patristica che consiste appunto nell’insegnare la dottrina dalla liturgia.
L’opera fondamentale di questo periodo, comunque, per la teologia e la liturgia del battesimo è la Tradizione Apostolica attribuita ad Ippolito di Roma, scritta intorno al 215-220. Vedremo questo testo parlando della cresima.
b) Riforma e Controriforma
La Riforma protestante affermerà che il battesimo, come del resto anche gli altri sacramenti, è soltanto un segno della fede in cui si sperimenta la salvezza di Dio e, di conseguenza, non c’è nessun rinnovamento interiore e nessuna rigenerazione.
Il concilio di Trento (1542-1563) ci offre alcuni dati teologici di fondo che avranno rilievo nei successivi sviluppi della teologia e della prassi battesimale.
Sinteticamente il concilio sottolinea che:
- il battesimo è un sacramento della nuova alleanza;
- rimette il peccato originale presso i bambini e gli adulti;
- rimette tutti i peccati attuali e le pene dovute al peccato;
- dona la giustificazione interiore;
- imprime un carattere indelebile;
- introduce nella Chiesa;
- il battesimo è necessario alla salvezza;
- i bambini devono essere battezzati.
1.3. Riflessione sistematica
Quali sono cioè gli effetti del battesimo?
L’effetto principale del battesimo è l’inserimento della persona nel mistero pasquale di Cristo (SC 6).
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Abbiamo visto come san Paolo insista particolarmente sul fatto che il battesimo è partecipazione al mistero di Cristo, più precisamente alla sua Pasqua che è la rivelazione massima suprema dell’amore di Dio
per l’uomo, il compimento dell’opera di Cristo. Questo «passaggio» definitivo compiuto da Cristo nella
sua morte e risurrezione si attua nel battesimo di ogni credente. La morte e la risurrezione di Cristo sono
state, in un certo senso, una specie di battesimo collettivo in cui tutti gli uomini sono passati dal regno
delle tenebre al regno di Dio, dallo stato di inimicizia alla comunione con Dio. Il battesimo individuale
non è altro che la partecipazione personale a questo atto fondamentale, carico di forza e di grazia: si muore con Cristo e in Cristo al peccato e si risorge con Lui a vita nuova.
San Leone Magno a tal proposito, parlando del simbolismo dell’acqua afferma
Il Signore Gesù è diventato un uomo della nostra stessa razza perché noi potessimo essere partecipi della natura divina. A tal fine, quella sorgente di vita che Egli ha attinto nel seno della Vergine, l’ha racchiusa nel fonte del battesimo, ha dato cioè all’acqua la stessa fecondità che ha dato
alla Madre. La potenza dell’Altissimo, e l’adombramento dello Spirito Santo, come ha consentito
a Maria di generare il Salvatore, così consente all’acqua di generare il credente.
Il parallelismo è tra lo Spirito Santo che ha reso fecondo il grembo di Maria, e lo Spirito Santo che
rende feconda la Chiesa nel fonte battesimale. Nel Figlio vengono generati i figli. L’acqua è segno di questa fecondità. Nel Battesimo si partecipa all’essere giusto del Cristo morto e risorto.
L’incontro con Cristo ha una conseguenza sul piano ontologico dell’uomo: il rinnovamento interiore.
In particolare, la conseguenza è la santificazione del nostro essere creaturale. È una liberazione
dall’egoismo e dalle forme falsificate di relazione con Dio e con gli altri. Ma c’è anche un dato di fatto
che ci deriva dalla nostra esperienza: tutti noi battezzati siamo peccatori, ovvero di fatto pecchiamo.
Si tratta del problema legato alla concupiscenza, cioè l’inclinazione al male.
Il Concilio di Trento, nel Decreto sul peccato originale, ricorda che nel battezzato permane la concupiscenza che ci deriva dal peccato originale. Col Battesimo la macchia è tolta, ma rimane l’alone che è la
concupiscenza. Il battesimo, sacramento della fede, tende a conseguire in noi la trasformazione piena in
figli di Dio, e ad escludere in noi ogni peccato. Ma il problema non è se Dio ci trasformi pienamente,
quanto se noi ci lasciamo trasformare da Lui. La questione non si situa nell’efficacia dell’azione di Dio,
ma nella nostra risposta. L’esperienza del proprio peccato che hanno vissuto i santi è esperienza
dell’ostacolo all’azione di Dio: quanto più è forte l’illuminazione della grazia nell’uomo, tanto più questi
è capace di scoprire i punti oscuri che ancora rimangono in lui. Su questa stessa linea si può pensare al
peso che nella vita del credente hanno le mancanze quotidiane, i peccati veniali, che anche se guardate in
se stesse isolatamente non producono risultati gravi, tuttavia nel loro ripetersi possono essere sintomo della debolezza della nostra opzione per Dio, della fragilità del nostro amore per Lui, o addirittura di un positivo allontanamento dalla sua amicizia. In un simile ordine di cose sappiamo pure che la concupiscenza,
anche se non è in se stessa peccato, proviene dal peccato ed inclina al peccato. Non siamo mai del tutto
liberi da questa propensione al male. Inoltre, per il Nuovo Testamento, la giustificazione piena è una speranza escatologica, non è un’acquisizione definitiva in questa vita. Dobbiamo continuare a lottare per la
nostra salvezza con timore e tremore. L’uomo è internamente trasformato nell’azione giustificatrice di
Dio accolta nella fede. Però, tanto per ciò che concerne la sua accettazione personale della grazia, quanto
sociale in cui si trova nella Chiesa e nel mondo è interessato al peccato. Solo alla fine dei tempi il Mistero
di Cristo brillerà nei giusti in tutto il suo splendore, e sarà realtà la piena purificazione e giustificazione di
tutti gli uomini salvati.
Tentazione, sofferenza, morte continuano a caratterizzare la vita del battezzato, ma ora siamo in grado
di affrontare tali prove con più forza interiore.
Tutto ciò ci fa pensare alla grazia battesimale in senso dinamico, e non statico, l’amore di Dio, cioè, è
comunicato non solo nel momento battesimale; tale momento sacramentale, semmai, è quello che dà inizio ad una continuità di questa comunicazione di grazia lungo tutta l’esistenza. Anche il carattere, che de-
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ve pure essere inteso in senso dinamico. Il carattere, che garantisce il rapporto con Cristo, è un segno della permanenza dell’assoluta fedeltà di Dio: l’impegno di Dio con l’uomo nel carattere diviene praticamente la possibilità di poter ricominciare ogni volta a riallacciare con Dio un rapporto, tutte le volte che noi
uomini infrangiamo con Lui l’Alleanza.
AG 11 dice: «I cristiani sono tenuti a manifestare con la testimonianza della parola e l’esempio della
loro vita l’uomo nuovo di cui sono stati rivestiti nel Battesimo». L’essere nuova creatura avviene a motivo dell’incontro con Cristo. Ma abbiamo visto che rimane in noi la concupiscenza, l’inclinazione al peccato. Questo significa che, per manifestare questa novità di vita, ci vuole uno stile di vita che sia segnato
dal combattimento.
Il CCC, al n. 405 afferma:
Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha il carattere
di colpa personale: consiste nella privazione della santità e della giustizia originali. Ma la natura
umana non è interamente corrotta; è impedita nelle sue proprie forze naturali: sottoposta
all’ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, e inclinata al peccato. Il Battesimo, donando
la vita nella grazia di Cristo, cancella il peccato originale, e volge di nuovo l’uomo verso Dio. Le
conseguenze di tale peccato, sulla natura indebolita ed incline al male, rimangono nell’uomo e lo
provocano al combattimento spirituale.
Afferma anche, al n. 407:
La dottrina del peccato originale offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione
dell’uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha
acquistato un certo dominio sull’uomo, benché questi rimanga libero. Il peccato originale comporta la schiavitù sotto colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo. Ignorare che l’uomo ha
una natura ferita, cioè incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della
politica, dell’azione sociale e dei costumi.
L’apostolo Paolo diceva che bisogna rinnovare il proprio modo di pensare, e la rinuncia a satana fatta
nel battesimo comporta l’impegno a questo rinnovamento, che è un esercizio continuo.
Il battesimo è anche il rito che incorpora alla Chiesa. Non è il battezzato ad entrare ma, propriamente parlando, viene fatto entrare. Chi agisce è Cristo che incorpora a sé, al suo corpo che è la Chiesa, il
nuovo membro, servendosi della comunità cristiana. Questa incorporazione avviene, dunque, nello stesso momento sia al Corpo di Cristo, sia al Corpo mistico di Cristo. Nel Battesimo non si può separare
l’incorporazione a Cristo da quella alla Chiesa; il movimento è unico, distinguibile ma non separabile. Si
è contemporaneamente incorporati a Cristo in quanto incorporati alla Chiesa.
Lo Spirito santo è effuso nel battezzato come presenza continua e operante. Questa presenza definitiva
dello Spirito di Dio è stata chiamata carattere, che traduce il termine biblico «sigillo» (sfraghìs).
Basandosi su alcuni testi del NT (2Cor 1,21-22; Ef 1,13-14; 4,30; Ap 7,2-8) in cui viene fatto esplicito
riferimento ad un «sigillo» impresso nel battezzato, la Tradizione della Chiesa e il Magistero indicano,
con questo termine, un «segno» definitivo di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, iscritto in modo stabile nei cristiani dallo Spirito santo.
Il carattere corrisponde alla consapevolezza che l’evento dell’alleanza degli uomini con Dio in Cristo
è definitivo. In altri termini la dottrina del carattere esprime una appartenenza irrevocabile a Cristo e alla
sua Chiesa, con un impegno assoluto di Dio nei confronti dell’uomo che gli dà «diritto» alla grazia.
Il battezzato potrà sottrarsi ai benefici di tale impegno, potrà misconoscerne il significato e perdere la
grazia, ma esso non sarà più cancellato o revocato: «una volta cristiano, sempre cristiano». Per questo
qualora il peccatore si ravveda, tornando a migliori disposizioni e riconciliandosi con la Chiesa e con Dio,
rientrerà in possesso della grazia che aveva perduto con la sua colpa. considerazioni analoghe si possono
fare per il carattere della cresima…e per il sacramento dell’ordine che configura in modo permanente a
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Cristo sacerdote e abilita ad agire in suo nome a servizio della comunità, della parola e dei sacramenti
(Rocchetta, 472).
Il senso del carattere è questo: nel battesimo avviene una consacrazione perenne e vitale che lega il
battezzato a Cristo e allo Spirito. Nel battesimo i cristiani diventano «appartenenza» o «proprietà» della
Trinità, «concittadini dei santi e familiari di Dio», «eredi secondo le promesse». Per questo il battesimo
non si ripete più ed è fondamento stabile del «popolo dei battezzati» e della missione ecclesiale.
La fedeltà di Dio va oltre le infedeltà dell’uomo: Dio è il garante del suo progetto, fedele al suo «sì»
per la salvezza dell’umanità.
1.4. Il battesimo dei bambini: sguardo teologico-pastorale
Riguardo al battesimo dei neonati, vengono sollevate le seguenti obiezioni:
- ha senso amministrare il battesimo a dei neonati, incapaci di formulare la propria professione di fede personalmente?
- legata all’incapacità del bambino a esprimere una fede personale c’è anche la sua inadeguatezza a
fare scelte di vita.
Già nel II e III sec. abbiamo e testimonianze di Policarpo, Origene, Giustino, Ireneo, Tertulliano, Ippolito (quindi varie e diversamente localizzate), che attestano l’uso del pedobattesimo e lo fanno risalire
all’epoca apostolica.
Su quali fondamenti è iniziata questa prassi?
Un motivo può essere riscontrato nel fatto che si riteneva imminente la parusia e d’altronde il battesimo era necessario per entrare nel regno dei cieli (Gv 3,5) che, come afferma Gesù stesso in Mc 10,14, è
anche per i bambini, ragion per cui, per farvi entrare anche i bambini conveniva battezzarli.
Agostino, pensando al suo battesimo ricevuto da adulto, nelle Confessioni scrive:
Dio mio, ti prego, vorrei sapere, se pure tu lo volessi, per quale disegno fu differito allora il mio
battesimo. Fu un bene per me che mi siano state allentate, per così dire, le briglie al peccato, o
sarebbe stato bene il contrario? Per questa ragione dunque ancor oggi si sente dire da ogni parte
dell’uno e dell’altro: «Lascialo fare: non è ancora battezzato». Eppure riguardo alla salute fisica
non diciamo: «Lascia che si produca altre ferite: non è ancora guarito». Dunque sarebbe stato
molto meglio per me guarire subito; che, per me, tanto io quanto i miei familiari avessimo posto
ogni diligenza nel porre la mia anima difesa dalla tua salvezza, al riparo sotto il tuo riparo, che
non le avresti rifiutato. Sarebbe stato meglio davvero (I, c. 11).
Possiamo affermare che questa prassi nei primi secoli è uso costante e indiscusso in tutta la Chiesa, e
viene fatta risalire unanimemente alla tradizione apostolica.
Il maggior problema teologico legato al battesimo dei bambini sembra essere questo: l’impossibilità di
porre, al momento del battesimo, un loro atto di fede personale. Il sacramento del battesimo, come
d’altronde qualsiasi altro sacramento, comporta, come elemento essenziale ed intrinseco, la professione
della fede, senza la quale si avrebbe un rito magico, vuoto e privo di significato, e non più un sacramento
cristiano.
Nel 1980, nell’Istruzione sul Battesimo dei Bambini (IBB), la Congregazione per la dottrina della fede
esponeva le ragioni teologico-pastorali del pedobattesimo.
I motivi che legittimano il battesimo dei bambini sono fondamentalmente i seguenti:
1. il battesimo è necessario in quanto via normale per la salvezza. Esso è «il segno e lo strumento
dell’amore preveniente di Dio che libera dal peccato e comunica la partecipazione alla vita divina:
per sé, il dono di questi beni non deve essere differito ai bambini» (IBB, 28);
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2. il battesimo si fonda sull’azione preveniente di Dio che giunge al bambino attraverso la mediazione
della Chiesa e della famiglia. Tale azione di Dio viene prima di ogni risposta. In realtà, il bambino è
persona molto prima di essere in grado di manifestarlo mediante atti di coscienza e di libertà, e come tale può già diventare figlio di Dio e coerede di Cristo mediante il sacramento del battesimo. La
sua coscienza e la sua libertà potranno in seguito, a partire dal loro risveglio, disporre delle forze infuse nell’anima dalla grazia battesimale (IBB, 20).
3. nel battesimo dei bambini è in atto la fede della Chiesa. Chi presenta i bambini dà garanzia per la
loro educazione alla fede, ma «se tali garanzie non sono veramente serie, si potrà essere indotti a
differire il sacramento, o addirittura a rifiutarlo, qualora siano certamente inesistenti» (IBB 28).
Dai principi sopra accennati derivano le risposte ai problemi che vengono suscitati a livello praticopastorale:
- Quale fede può avere un bambino piccolo?
La fede, prima che un fatto di maturità personale, è un dono. L’ambito primo di tale dono è la Chiesa
nella quale avviene il battesimo. La fede della Chiesa è antecedente ad ogni scelta personale. Il battesimo
è sempre il «sacramento della fede», per il bambino come per l’adulto. Nel battesimo sono posti i germi
di una vita e di una fede che avranno sviluppo e consapevolezza in tutto il tempo dell’esistenza (come avviene per le potenzialità umane di un bambino che nasce).
- Un bambino ha capacità di effettuare scelte personali?
Quanto alle scelte personali, chi viene battezzato, è anzitutto «uno che è scelto da Dio». Dio sceglie
già dall’eternità e, poi, attraverso precisi interventi della storia della salvezza.
- Quale libertà decisionale ha un bambino di fronte alla vita?
La libertà di ogni persona umana di fronte alle scelte della vita non è mai una libertà totale e assoluta,
essa è sempre relativa. In primo luogo ogni libertà è relativa a Dio, cioè è una libertà creaturale. In secondo luogo la libertà è relativa poiché dipenderà sempre dal mondo circostante. Per i genitori credenti
battezzare un bambino non sarà mai imporgli abusivamente un onere ma aprirgli la strada di un dono, situarlo nella condizione più favorevole per la salvezza. Il dilazionare non è, per i genitori credenti, una
particolare attenzione verso il bambino, così come non lo sarebbe il rinviarne l’educazione in vista di
scelte più consapevoli assunte dal bambino stesso.
- Come può un bambino proporsi degli impegni definitivi per la vita?
L’Istruzione sul Battesimo dei Bambini, Pastoralis actio, richiede che nelle famiglie ci sia fede e impegno educativo per la crescita dei loro piccoli. Ed è necessario che si verifichi una collaborazione con la
comunità, affinché il battesimo dei bambini sfoci in un ambiente di vita cristiana che aiuti il formarsi di
una consapevolezza profonda e di una maturità vera.
2. Cresima
La Chiesa cattolica conosce un secondo sacramento d’iniziazione alla fede e alla vita cristiana: la cresima. Questa viene trattata come un sacramento autonomo, normalmente staccato dal battesimo e amministrato dal vescovo.
Si pongono diverse domande alle quali cercheremo di rispondere:
1. Che cosa ha portato alla duplicità dei sacramenti d’iniziazione?
2. Che cos’è la cresima a differenza del battesimo? Vale a dire: in che cosa consiste questa differenza
non soltanto rituale e perciò visibile e qual è il significato salvifico e quindi teologico della cresima a differenza del battesimo?
3. Perché sono necessari due sacramenti d’iniziazione cristiana? Cosa “manca” al battesimo perché si
debba esigere un secondo sacramento?
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2.1. La dissociazione fra il battesimo e la cresima
Nei primi secoli fino al primo Medioevo (anno 1000 ca.) né la Chiesa orientale e né quella occidentale
celebrava un vero e proprio rito di cresima. La celebrazione d’iniziazione alla Chiesa, dopo la preparazione catecumenale, era una sola, ma consisteva di riti diversi susseguenti. Come rito più importante si considerava il bagno battesimale nell’acqua, dopo il quale seguivano altri riti come unzioni, imposizioni delle
mani e il sigillo con il segno della croce. L’iniziazione veniva considerata al suo termine, quando il battezzato partecipava alla celebrazione eucaristica.
Lo svolgimento dell’intera celebrazione battesimale ci viene descritto in modo molto dettagliato da Ippolito di Roma nella Traditio apostolica. Ippolito, dopo aver descritto il bagno battesimale che consisteva
di tre immersioni accompagnate dalla professione di fede, espone i riti che si svolgevano abitualmente
dopo il bagno:
«Quando riemerge [il battezzato],
il presbitero lo unge con olio consacrato e dice:
“Io ti ungo con l’olio santo nel nome di Gesù Cristo”.
Poi i singoli dovranno asciugarsi, vestirsi e quindi entrare in Chiesa.
Il vescovo, però, impone loro le mani e pronuncia le invocazioni:
“Signore Iddio, tu li hai resi degni di ottenere la remissione dei peccati mediante il bagno
della rigenerazione dello Spirito santo; invia su di essi la tua grazia perché ti servano secondo la tua volontà; a Te l’onore, Padre, Figlio e Spirito santo nella Chiesa santa, ora e nei secoli dei secoli. Amen”.
Con la mano versa poi dell’olio consacrato sul loro capo e dice:
“Io ti ungo con l’olio santo nel Signore, il Padre onnipotente e il Cristo Gesù
e lo Spirito santo”.
E segnando la fronte, gli dà il bacio della pace e dice: “Il Signore sia con te”».
L’intera celebrazione consiste perciò di questi elementi liturgici che si susseguono:
Battesimo
Prima Unzione
Imposizione delle mani
Seconda Unzione
Sigillo
Bacio della pace
I primi due elementi, e precisamente il bagno battesimale e la prima unzione, secondo Ippolito vengono amministrati dal presbitero, mentre i riti seguenti si svolgono per mano del vescovo. Sono infatti questi
ultimi riti che formeranno poi gli elementi essenziali di una celebrazione sacramentale che si renderà poi
indipendente dalla celebrazione battesimale.
Soltanto dopo il secolo IX nella Chiesa occidentale si incomincia ad amministrare il sacramento della
cresima come sacramento autonomo e staccato temporalmente dal battesimo, mentre la Chiesa orientale
fino ad oggi ha conservato l’unità d’iniziazione. La Chiesa orientale non consoce due gradini di iniziazione cristiana. Fino ad oggi anche i bambini vengono cresimati e ricevono l’eucaristia nella stessa celebrazione in cui vengono anche battezzati.
Per quale motivo la Chiesa occidentale ha cambiato questa prassi e ha adottato un duplice rito iniziatico?
Il motivo per questo cambiamento e per lo spezzamento della celebrazione di iniziazione è stato la regolamentazione sul ministro della cresima: soltanto ai vescovi è consentito compiere alcuni dei gesti po-
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stbattesimali: l’imposizione delle mani, la seconda unzione ed il sigillo con il segno della croce. Siccome
il vescovo non poteva essere presente in ogni celebrazione battesimale, questi gesti vennero rimandati e
computi più tardi dal vescovo. Il battesimo, per la sua necessità salvifica, non poteva essere rimandato. I
riti post-battesimali non erano considerati de necessitate salutis nel senso stretto dell’espressione. Si giunse così, nella Chiesa occidentale, ad una dissociazione tra il battesimo e la cresima.
Con l’introduzione della comunione dei bambini, la Chiesa occidentale in pratica ha persino cambiato
l’ordine del susseguirsi dei sacramenti. L’eucaristia viene data ai bambini prima che siano cresimati. Per
questo si pone il problema, circa il significato della cresima amministrata e celebrata dopo la prima comunione, se il battezzato è già stato iniziato al mistero centrale della Chiesa che è l’eucaristia.
A nulla valgono, dal punto di vista teologico, i motivi psicologici e di pedagogia che hanno motivato
questo cambiamento nel nostro senso moderno di concepire la cresima come ratifica e rinnovamento conscio del proprio battesimo, come confermazione appunto.
2.2. Cos’è la cresima a differenza del battesimo?
Fare la domanda, in che cosa consista la differenza fra battesimo e cresima vale a domandare, quale sia
la sacramentalità dei riti post-battesimali:
- quale evento salvifico si celebra in essi a differenza del battesimo?
- perché il battezzato ha bisogno di essere confermato?
- che perfezionamento dona la cresima ulteriormente al battesimo?
Questo però vale anche a domandare, in che cosa consista l’imperfezione del battesimo. Non conferisce esso già tutta la salvezza, la comunione con Dio e l’appartenenza alla Chiesa?
Tentiamo adesso di trovare una soluzione teologica a questa difficoltà di definire la cresima e di comprenderne le proprietà specifiche.
Partiamo da un dato storico e liturgico al quale la Chiesa occidentale non ha voluto rinunciare: nella
tradizione occidentale – lo abbiamo già detto – la cresima normalmente richiede di essere conferita dal
vescovo. Ricordiamoci che in primo luogo per questo motivo la cresima è stata separata dal battesimo
nella tradizione occidentale. Questo fatto non è certamente senza significato. La cresima, ci viene detto,
ha un legame speciale col ministero apostolico.
L’iniziazione cristiana a un certo punto esige il ministero apostolico proprio perché colloca il battezzato nella missione apostolica della Chiesa e non conferisce soltanto una salvezza ad uso e godimento privato.
La cresima mette in rilievo una realtà ecclesiale, porta il battezzato in contatto con il ministero apostolico e lo inserisce nella successione apostolica di tutta la Chiesa. Il battesimo mira alla salvezza del singolo, la cresima invece mira alla Chiesa intera. Mentre la salvezza del singolo può venire tramandata da un
battezzato all’altro, la realtà conferita dalla cresima viene tramandata soltanto da colui che è responsabile
per la Chiesa e che è stato inserito in quella successione apostolica che pure è espressione visibile del dono dello Spirito santo.
Dopo queste considerazioni rimane da capire perché sono necessari due sacramenti d’iniziazione.
La duplicità dell’iniziazione cristiana sembrerebbe corrispondere alla duplicità delle missioni salvifiche nell’economia della salvezza. Paolo vede il fondamento della fede cristiana in queste due missioni, in
quella del Figlio come in quella dello Spirito santo. Nella lettera ai Galati l’apostolo afferma:
Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto le
legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che
voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che
grida: «Abbà, Padre!» (Gal 4,4-6).
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Paolo distingue chiaramente due missioni salvifiche che scaturiscono dalla volontà di Dio di salvare
l’umanità:
1. la missione del Figlio, «perché ricevessimo l’adozione a figli»;
2. e la missione dello Spirito santo, come «prova» del fatto che noi siamo figli.
Il Figlio ci è mandato cioè perché diventassimo figli anche noi, perché ricevessimo la figliolanza.
Quest’adozione a figli di Dio non può essere riconosciuta se non nello Spirito. È lo Spirito santo che attesta la nostra figliolanza divina, che testimonia che nel Figlio anche noi siamo figli.
Le due missioni salvifiche evidentemente non sono due missioni separate e indipendenti, ma una non
c’è senza l’altra. Così il battesimo non va visto semplicemente in relazione alla missione del Figlio, il
quale è pieno di Spirito santo. Similmente la cresima non deve essere intesa semplicemente come espressione sacramentale della missione dello Spirito santo. Infatti lo Spirito rimarrebbe nascosto in noi se non
ci fosse stato rivelato dalla Parola. I due sacramenti di iniziazione cristiana pongono ciascuno l’accento su
realtà diverse che rivelano il mistero nascosto della nostra comunione con Dio. Comunione con Dio che
abbiamo soltanto per Cristo nello Spirito santo. La duplicità delle missioni salvifiche ci viene poi testimoniata nella duplicità di Pasqua e Pentecoste.
La cresima vista così è il sacramento che conclude l’iniziazione cristiana celebrando che essere battezzati nella morte del Signore ed essere rivestiti di Cristo è allo stesso tempo un essere ripieni di Spirito
santo. Pertanto è un sacramento distino ma non separabile dal battesimo.
Alcuni teologi si sono espressi in favore del conferimento della cresima anche ai bambini nella stessa
celebrazione nella quale vengono battezzati. Infatti, con le stesse ragioni con le quali si giustifica il pedobattesimo, si può giustificare anche la cresima dei bambini. Se non si vede un problema nel battesimo dei
bambini, non lo si può vedere nemmeno nella loro cresima.
Ritornare all’ordine sacramentale di battesimo-cresima-eucaristia mi pare anche di essere nell’intenzione del Vaticano II (vd. PO 5§2; LG 10; soprattutto SC 71).
Oggi, il processo molto progressivo di secolarizzazione delle nostre società, obbliga la Chiesa a rivedere tutta la sua pastorale di iniziazione cristiana. Dobbiamo domandarci sinceramente se contribuisca alla
sincerità dei segni che la Chiesa sia composta di una maggioranza di pagani battezzati, di battezzati cioè
che non hanno mai avuto la possibilità di capire cosa significhi il loro essere battezzati. La Chiesa sarà
sempre composta da peccatori. Ma può essere composta da pagani?
3. Eucaristia
L’ultima tappa dell’iniziazione cristiana è il sacramento dell’eucaristia.
Il nostro studio parte dal dato rivelato.
3.1. Fondamenti biblici
a) La frazione del pane nella comunità apostolica
La prima cosa che sappiamo sull’eucaristia nel NT è che la comunità cristiana si radunava, soprattutto
la domenica, per celebrare quella che essi chiamavano «la frazione del pane», in obbedienza al comando
del Signore: «Fate questo in memoria di me». In primo luogo vedremo allora come appare questa celebrazione, sia nelle lettere di Paolo che negli Atti.
Paolo, in 1Cor 10, scritta verso l’anno 55, parla del «pane che noi spezziamo» e del «calice che noi
benediciamo», e afferma che sono «la comunione con il corpo e il sangue di Cristo». Nel c. 11 parla ancora di questa celebrazione e la chiama «la cena del Signore», biasimando il modo in cui veniva celebrati
dai cristiani di Corinto. La prima notizia che abbiamo dell’eucaristia è quindi una denuncia contro certi
gruppi che la interpretavano male. Paolo parla della «cena del Signore» come di una celebrazione già co-
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nosciuta, tramandata dalla tradizione, e la connette con l’ultima cena di Gesù e il suo comando di reiterarla in sua memoria.
Gli Atti degli Apostoli danno altre notizie sulla celebrazione di questa eucaristia.
In At 2,42 leggiamo: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello
spezzare il pane e nelle preghiere».
La vita della prima comunità è descritta con quattro elementi basilari che Luca presenta a due a due:
- (1) insegnamento degli apostoli e (2) comunione;
- (3) frazione del pane e (4) preghiera.
In At 20 si narra come la comunità di Troade si riuniva il primo giorno della settimana «per spezzare il
pane», come già prima, in Lc 24 ci viene raccontato che i discepoli di Emmaus riconobbero il Signore
nello «spezzare del pane».
In ogni caso, da quanto detto fin qui possiamo trarre le seguenti considerazioni:
- il nome che riceve nel NT questa celebrazione è duplice: «frazione del pane» e «cena del Signore».
Solo alla fine del I secolo e all’inizio del II riceverà una nuova denominazione che diventerà la più
comune: quella di «eucharistia», che mette in rilievo piuttosto la benedizione e l’azione di grazie;
- questa è una celebrazione comunitaria: il verbo che appare più spesso in tale contesto è «riunirsi»
(At 20,7; 1Cor 11,8.17.20.33.34; 14,23.26);
- questa celebrazione si svolge in connessione con un pasto, come indicano i nomi che riceve;
- sebbene i testi ci forniscano poche notizie, sembra che fin dalla prima generazione ci fosse una connessione tra la cena eucaristica e la celebrazione della parola: At 2,42 parla della didaché degli apostoli; At 20 parla di un lungo discorso di Paolo; Lc 24 ricostruisce il momento in cui il Risorto
spiega ai discepoli il significato delle Scritture;
- il ritmo della celebrazione non era annuale, come quello della pasqua ebraica, ma almeno settimanale (la domenica);
- l’idea centrale, soprattutto nei testi di Luca, è la presenza del Signore risorto tra i suoi. I testi identificano o mettono in relazione la presenza salvifica del Risorto con l’esperienza eucaristica della
comunità. Ed è per questo motivo che le apparizioni del Risorto sono spesso inquadrate nel contesto
di un pasto: Emmaus, sulla riva del lago, nel cenacolo.
b) La categoria di “memoriale”
Per poter interpretare le parole e i gesti di Gesù nell’ultima cena e quello che la prima comunità intendeva fare quando celebrava l’eucaristia, ci dobbiamo soffermare su alcuni concetti chiave della loro cultura religiosa.
L’AT, la cultura ebraica, ci danno la chiave per capire meglio il mistero cristiano e in concreto
l’eucaristia.
La comunità cristiana iniziò a celebrare l’eucaristia obbedendo al comando di Gesù: «Fate questo in
memoria di me». Che cosa significa celebrare un convito come ricordo? Rispondere a questa domanda
equivale trovare la risposta a quest’altra domanda: qual è la ragione ultima per cui il Signore Gesù, la vigilia della sua passione, ha voluto istituire il sacramento del suo corpo e del suo sangue?
Una chiara risposta a questa domanda ci viene dalla comprensione della categoria di memoriale e dal
significato teologico-spirituale della cena pasquale ebraica. La comunità cristiana infatti ha interpretato la
cena del Signore e l’eucaristia come la nuova celebrazione pasquale, che portava alla pienezza quella ebraica.
Vediamo allora il significato della pasqua ebraica la cui valenza teologica si intreccia con la categoria
di memoriale.
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L’uscita dall’Egitto è senza dubbio l’evento che predomina tra le pagine dell’AT, così da doversi considerare il fulcro di tutta la prima economia salvifica. Infatti l’uscita dalla schiavitù in Egitto, attraverso il
passaggio del Mare, segna la nascita dei figli d’Israele come popolo del Signore.
Nel racconto di Es 12,1-14 Dio annuncia che il passaggio del Mare sarà preceduto dall’ultima cena in
Egitto.
Il contesto dell’ultima cena in Egitto ci rivela che l’espressione «il sangue sarà per voi quale segno»
(Es 12,13) va riferita all’efficacia del sangue inteso come segno di alleanza, e perciò come segno di appartenenza e di protezione. Attraverso il sangue dell’agnello, Israele viene dichiarato non più appartenente a Faraone, cosicché, vedendo il segno del sangue, lo Sterminatore sarà costretto a saltare al di sopra
delle case contrassegnate. Spargendo il sangue dell’agnello pasquale sulle porte delle case, Israele, anche
se fisicamente si trova ancora in Egitto, nella mediazione profetica del segno realmente già ne è uscito.
Anzi, nel segno dell’agnello pasquale Israele ha già passato il Mare. L’ultima cena in Egitto compiuta la
vigilia del passaggio del Mare è in tal modo riferita, attraverso una prefigurazione unica, al suo futuro
immediato che è appunto il passaggio del Mare. Perciò essa si configura come segno profetico
dell’evento, giacché profeticamente lo annuncia e salvificamente lo compie.
L’ultima cena in Egitto e il passaggio del mare, pur nel rispetto della peculiarità di ogni singolo momento, sono un unico e indivisibile intervento salvifico.
Ma c’è di più.
Abbiamo visto che, con il passaggio del Mare, Israele muore alla schiavitù di Fa-raone e nasce al servizio del suo Signore. Tuttavia sappiamo pure che Israele non si riscopre servo indefettibile. Già il racconto dell’Esodo ci dice che Israele riprende a mormorare contro il suo Signore e a disperdersi, a rimpiangere l’illusoria prosperità d’Egitto (cf Es 16,3; Nm 11,5; 14,2-3) e a voler tornare da Faraone (cf Nm
14,4).
È allora che ci si pone la domanda: «In qual modo attingere nuovamente all’efficacia salvifica del passaggio del Mare? Come uscire ancora una volta dalla schiavitù e sottrarci dalla mano di Faraone che su di
noi ha ripreso a regnare? Potremo forse tornare in Egitto, per ripassare un’altra volta il Mare? L’evento
del passaggio è unico e irripetibile. E allora come fare?».
Intimamente legato a Es 12,13, interviene il messaggio del versetto successivo e ad esso complementare, con la sua risposta sempre adeguata.
Attraverso l’espressione «questo giorno sarà per voi quale memoriale» (Es 12,14), il comando divino
vuole significare che il segno dell’agnello pasquale dato la vigilia del passaggio del Mare non esaurisce
in essa le sue potenzialità teologiche. Tale segno dovrà essere ripreso dalle generazioni successive,
perché sia memoriale di redenzione.
In virtù di questo ordine di iterazione, il segno dell’agnello pasquale viene riferito, altre che al futuro
immediato di coloro che fisicamente stanno per passare il Mare, soprattutto al futuro lontano delle generazioni che, non fisicamente ma nella fede pur sempre realmente, passeranno il Mare.
Nel Rituale della pasqua ebraica è previsto che nel corso dell’annuncio pasquale il figlio più giovane
pone la domanda prevista da Es 12,26: «Perché diversa è questa notte da tutte le notti?». A lui e all’intera
assemblea conviviale il padre di famiglia risponde annunziando gli eventi dell’esodo. Quindi conclude
con una solenne monizione che la tradizione attribuisce a Rabbàn Gamaliele, il maestro di Paolo.
Ecco il testo:
In ogni generazione e generazione ognuno è obbligato a vedere se stesso come essendo proprio lui
uscito dall’Egitto, siccome è detto: «E annuncerai a tuo figlio in quel giorno, dicendo: È in virtù
di questo [agnello pasquale che questa notte mangio], che il Signore fece a me [quello che fece]
quando uscii dall’Egitto» (Es 13,8). Non i nostri padri soltanto redense il Santo – benedetto Egli
sia! -, ma anche noi redense con essi, siccome è detto: «E noi fece uscire di là, per farci venire e
darci la terra che aveva giurata ai nostri padri» (Dt 6,23).
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Annunciando gli eventi dell’esodo alla comunità domestica riunita sotto la sua presidenza, il padre di
famiglia rende noto ai presenti che allora ognuno, personalmente, era là. Ciò avviene grazie alla consumazione dell’agnello. Attraverso la ripresa e l’iterazione del segno dell’agnello si compie quindi una reale
ripresentazione dell’intera comunità pasquale all’evento fondatore, il quale rimane unico e irripetibile.
Secondo la concezione di memoriale, attraverso la celebrazione del rito si supera ogni barriera di tempo e
di spazio ed effettivamente ognuno è là sulle rive del Mare.
Ogni memoriale ha tre direzioni per gli Ebrei:
1. ricorda il passato
2. lo proietta verso il futuro in un’attesa escatologica
3. sente che l’evento storico e quello futuro si concentrano nell’«oggi» della celebrazione.
Il presente è la continuità del passato e l’anticipo del futuro. La comunità entra nella dinamica di questo memoriale sentendosi contemporanea agli eventi passati e destinataria del compimento futuro.
È in questo quadro teologico che Gesù istituì il sacramento dell’Eucaristia, cioè la nuova pasqua, che
prolunga e porta a pienezza la dinamica sacramentale della comunione all’antico agnello pasquale.
La cultura religiosa ebraica ci aiuta a capire il linguaggio che sta alla base dell’eucaristia della prima
comunità. Ma non ci spiega l’origine dell’eucaristia come dono del corpo e del sangue del Signore risorto.
Quello che appare nell’eucaristia è troppo nuovo per poter affermare che ci sia stata un’influenza decisiva
degli elementi che fin qui abbiamo raccolto. E questo perché l’eucaristia non ebbe origine per volontà della comunità, ma in un fatto più concreto: l’iniziativa e il comando dello stesso Cristo, come ci dicono i
racconti dell’istituzione.
c) I racconti dell’istituzione
Le fonti che ci narrano come Cristo istituì l’eucaristia nella sua ultima cena sono quattro:
1.
2.
3.
4.
Mt 26,26-29;
Mc 14,22-25;
Lc 22,15-20;
1Cor 11,23-26.
A queste dobbiamo aggiungere Giovanni: egli non racconta direttamente i gesti eucaristici della cena,
ma al c. 6 riporta il discorso sul pane della vita.
«L’istituzione dell’Eucaristia anticipava sacramentalmente gli eventi che di lì a poco si sarebbero realizzati, a partire dall’agonia del Getsemani» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia [EdE], n. 3).
Ma, come negli eventi dell’esodo, pure qui c’è di più.
Se Gesù non avesse istituito l’Eucaristia, l’evento della sua morte e risurrezione sarebbe rimasto isolato in quelle coordinate spazio-temporali che furono allora le sue, e la Chiesa delle generazioni, che siamo
noi, non avrebbe avuto modo di tornare e di immergersi salvificamente in esso. Ma pure qui, per grazia di
Dio, non fu così.
Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti. Ogni fedele può così prendervi parte e attingerne i frutti inesauribilmente
(EdE 11).
La celebrazione dell’Eucaristia è dunque il nostro modo di partecipare agli eventi di morte e risurrezione del Signore, è, in altre parole, il nostro Calvario e la nostra Pasqua.
Attraverso il battesimo siamo stati immersi una volta per tutte nella morte-risurrezione del Signore, ma
non siamo divenuti perfetti. Ci disperdiamo ancora, ancora torniamo ad ammiccare nostalgici ai faraoni di
turno che incontriamo quotidianamente sul nostro cammino, cioè i nostri egoismi, la ricerca esasperata
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della ricchezza, del potere, del prestigio, della fama, dell’autorealizzazione al di là di ogni limite e norma.
Per questo il ritorno al Calvario teologicamente si impone: un andare non fisico, bensì nel memoriale, ossia attraverso la ripresa rituale del segno profetico del pane e del calice, attraverso un’azione sacramentale
e quindi assolutamente reale.
E mentre facciamo [la frazione del pane] nella celebrazione eucaristica gli occhi dell’anima sono
ricondotti al Triduo pasquale: a ciò che si svolse la sera del Giovedì santo, durante l’Ultima Cena, e dopo di essa» (EdE 3).
Quando si celebra l’Eucaristia presso la tomba di Gesù, a Gerusalemme, si torna in modo quasi
tangibile alla sua «ora», l’ora della croce e della glorificazione. A quel luogo e a quell’ora ritorna
spiritualmente ogni presbitero che celebra la Santa Messa, insieme con la comunità cristiana che
vi partecipa (n. 4).
In secondo luogo, la constatazione che la cena pasquale ebraica non era e non è la rimemorazione psicologica della liberazione di Israele dall’Egitto, ci aiuta a comprendere – a maggior ragione – come
l’Eucaristia non possa essere scambiata per una semplice esperienza di ricordo. Non è al Cenacolo che ci
riportano le messe, bensì al Calvario (= intero evento pasquale).
3.2. La presenza reale
Il concilio di Trento afferma che nel sacramento dell’eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del
vino, Cristo, vero Dio e vero Uomo, è presente veramente, realmente e sostanzialmente. Ognuno di questi
tre avverbi chiarisce il precedente: ognuno di essi è specificato dal successivo. Cristo è presente veramente in quanto realmente, ed è presente realmente in quanto sostanzialmente. La presenza di Cristo è vera
perché è reale, ed è reale perché è sostanziale.
Il concilio spiega che ci sono due forme diverse di presenza: un «naturale», circoscritta alla destra del
Padre e un’altra «sacramentale», che altrettanto reale ed è quella che crediamo che Cristo abbia
nell’eucaristia, anche se in un modo difficile da esprimere. L’argomento fondamentale che presenta Trento per questa fede è la convinzione continua della Chiesa per tutte le generazioni.
Il concilio di Trento specifica che la conversione del pane del vino nel corpo e nel sangue del Signore
è chiamata, in modo conveniente e appropriata, transustanziazione cioè, cambia la sostanza pur rimanendo gli accidenti. C’è una distinzione tra gli accidenti e la sostanza. In altri termini, non vi è identità tra ciò
che una cosa appare e ciò che una cosa è. Si vede e si gusta il pane, ma si crede che è il corpo del Signore.
Siamo dunque nella dimensione dell’essere. Perché si colga questa presenza è necessario andare oltre i
sensi, cercando di cogliere ciò che non è percepibile dalla sola ragione. Vengono usati due concetti precisi: conversione e transustanziazione. I due concetti insieme dicono la presenza di Cristo, che non è fisica come nel caso dell’Incarnazione, ma appunto sacramentale.
Come intendere la presenza reale di Cristo nell’eucaristia?
Innanzitutto dobbiamo distinguere
1. il fatto che avviene in essa: che cosa crediamo e celebriamo? Che Cristo è presente e si dona a noi
nell’eucaristia;
2. la finalità: perché e per chi si fa presente? Nell’eucaristia Cristo stesso diventa cibo per noi per comunicarci la sua stessa vita, la sua nuova alleanza, per edificare la sua comunità come corpo suo;
3. il modo di spiegare questa presenza: cosa avviene nel pane e nel vino perché noi possiamo credere
fermamente che essi sono il corpo e il sangue di Cristo offerti per noi?
Il dato biblico e patristico fondamentale è il fatto e la sua finalità. Come si spieghi questo mistero è una
domanda legittima, che non preoccupò le generazioni cristiane dei primi secoli, ma più tardi, quando fu
formulata, ricevette diverse risposte. Con la Scolastica, nei secoli XII e seguenti, la risposta più comune,
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assunta poi a Trento, fu quella della «transustanziazione». Trento però non chiuse la via per una riflessione ulteriore sul modo della presenza di Cristo nell’eucaristia.
Nel 1967, Joseph Ratzinger scrisse un articolo sulla transustanziazione, dove cercava di chiarire la
questione:
La trasformazione eucaristica si riferisce per sua stessa definizione non a ciò che appare, bensì a ciò
che mai potrà apparire; in termini più chiari, questo significa che sul piano fisico e chimico non si verifica assolutamente nulla nelle offerte, e nulla nemmeno in qualche punto microscopico. Anche dopo la
trasformazione, queste rimangono dal punto di vista fisico e chimico quelle che erano prima. Il Signore
non è presente come una cosa naturale, ma in modo personale, in riferimento a delle persone. Il fatto
che questo essere qui non abbia alcun ovvio carattere naturale, positivamente significa che deve essere
compreso nel modo in cui soltanto l’amore può rendersi presente, e cioè come libero concedersi e donarsi dell’Io al tu.