IL CASTELLO LONGOBARDO DI MONTORO CENNI SUL SITO Il castello è situato a 320 mt. s.l.m. sulla Chiesa di S.Matteo collina che Torre colombaia sovrasta il casale Borgo di Montoro. È perfettamente visibile da chi percorre la superstrada SAAV in direzione Avellino. In linea d'aria -per antichi motivi strategici- il castello di Montoro è in asse, sia visivo che altimetrico, con il castello di Mercato San Severino. Quest’ultimo è posto sulla collina del Palco e si sviluppa per 10 ettari che vanno dai 365 mt. del “Palatium” ai 250 mt. sul livello del mare della “torre aragonese” di forma rotonda. Mentre la fortificazione di Mercato San Severino è leggibile nel perimetro murario e può essere raggiunta attraverso sentieri sterrati e pedonali abbastanza curati, il castello di Montoro pur usufruendo di una carrozzabile che termina presso il vicino Santuario di San Pantaleone non è altrettanto godibile (e visitabile) nel suo recinto fortificato. Il frequentato Santuario e l’attiguo castello sono raggiungibili anche dal villaggio di Borgo tramite un agevole sentiero 1 pedonale a gradoni adattato a suggestiva Via Crucis. La lettura storica del sistema fortezze della zona peggiora considerando un solitario bastione (l'unico rimasto) del castello di Solofra che, a sua volta, a guardia del passo del Montepergola era in contatto tramite segnali con i castelli di Montoro e Ferrari (quest'ultimo ben tenuto e di facile accesso). Lo spurio torrione di Solofra appare squallido dalla superstrada come ultima sentinella di un castello sgretolatosi negli ultimi tempi in quanto finanche incastrato in una cava attualmente in disuso. Il castello di San Severino era in comunicazione con quello di Nocera in una lunga linea difensiva su cui è ricalcato il tracciato ferroviario Tirreno - Adriatico via Cancello, attraverso l’Irpinia e la Lucania. Il castello di Montoro è servito dalla stessa ferrovia in quanto una lunga galleria ne attraversa la collina su cui è posto. Il sito, rispettando lo sfondo delle selve, potrebbe essere attrattivo con l’opportuna integrazione tra le diverse viabilità. Comunque il sistema difensivo di circa 200 castelli che costellano il territorio da Molfetta a Caserta, secondo l'imperatore Federico II di Svevia avrebbe dovuto difendere il suo reame di Napoli e Sicilia dalle invasioni, ma così non fu. Pertanto al viaggiatore che discenda la superstrada SA-AV da Fisciano verso Montoro, o che comunque -per diletto, turismo o studio- segua la linea dei castelli federiciani, basterà un distratto sguardo per valutare lo stato di conservazione dei manieri che vanno dal rudere al ripristino secondo criteri non oggettivi (ovviamente dal punto di vista storico e paesaggistico). NOTIZIE E CONSIDERAZIONI STORICHE I Longobardi di origine germanica nel VI secolo d. C. invasero l’Italia. Il loro regno ebbe capitale Pavia e l’attuale Regione Lombardia ne ricalca i confini. Sconfitti dai Franchi di Carlo Magno, nel 774 ripiegarono sui loro domini più meridionali ossia i Ducati di Spoleto e Benevento. Quindi si parla di “Longobardia Maior” e “Longobardia Minor”. Il Ducato di Benevento andava dal Centro Italia fino a parte della Calabria e in Irpinia 2 vi sono innumerevoli testimonianze della loro presenza: S. Angelo, Guardia, Torella dei Lombardi e –per contro- Castelfranci ricorda gli antichi conflitti. Nel territorio montorese sono frequenti i cognomi: Lombardi, Longobardi, Barbato, Barbarisi, Sica, Castaldo e luoghi legati alle riunioni: Sala di Torchiati e di San Felice. Inoltre i Longobardi introdussero le torri fortificate di struttura quadrata che, con l’avvento della polvere da sparo, furono sostituite con quelle rotonde come “l’Aragonese” di Mercato San Severino. Il tipo di torre quadrata diede luogo ai campanili infatti in località Sant’Eustacchio, ai piedi della collina di San Pantaleone ove sorge il castello di Montoro, si può osservare la torre campanaria annessa alla Chiesa Madre simile alla torre colombaia del castello. Quest’ultima in buone condizioni poteva forse ospitare piccioni viaggiatori a scopo militare. È rimasta abbastanza intatta come altri storici edifici montoresi perché utilizzata per impieghi rurali, mentre le pietre del castello e dell’antico acquedotto Claudio quando i feudatari abbandonarono il castello perché non più difendibile sono state impiegate in altri usi. Il castello Longobardo è raggiungibile dallo stesso casale di Sant’Eustacchio di Montoro attraverso sentieri selvosi che penetrano nelle cinte murarie ed esiste un sistema di grotte utili probabilmente al fabbisogno d’acqua della fortezza. In una infatti, denominata “Grotta di Nella”, si sente uno scroscio d’acqua. A Montoro è credenza popolare che tale acqua s’inabissi in un corso sotterraneo e abbia comunicazione con la sorgente del fiume Sarno. “Nella” – diminutivo di “Giovannella”- fu, nelle leggende locali una donna caduta nella grotta e poi salvata dal marito nei pressi del fiume. Poiché il mito non è mai una falsificazione della realtà ma piuttosto un richiamo ad un mondo arcaico, non si dovrebbe mai ridurre tutto a leggenda ma piuttosto interpretare vecchie verità per non tralasciare una parte di cultura montorese e di storia complessiva del territorio. Non si possono escludere, oltre questo, altri collegamenti sotterranei. Nell’846 il Ducato di Benevento si divise nei due Principati di Salerno e di Benevento. Quindi la Strada dei Due Principati va dal lungomare di Salerno, dove la città ha attribuito lo stadio al principe longobardo Arechi, all’arco di Traiano di Benevento. Il confine tra i due 3 Principati passava tra Forino e Montoro e la zona montorese ricadeva sotto il Castaldato di Rota (da rotaticum: pedaggio imposto per il transito di merci e persone) e, dalla dominazione normanna fino all’Unità d’Italia nel 1860, fu sottoposta alla pertinenza del Principato Citra. Quindi i castelli fin qui menzionati compreso quello di Forino sono coevi ed erano fortezze a guardia del territorio con caratteristiche simili. Il castello di Montoro ha una peculiarità specifica di particolare interesse storico. Lo attesta il ritrovamento di monete romane di bronzo, oltre un quintale, rinvenute nel 1864 nella pertinenza del castello in località “Retomuro”. Si stava costruendo la strada ferrata che da Piano di Montoro conduce ad Avellino e vennero alla luce anche vetusti sepolcri in tufo con scheletri ed armi romane. Per la refertazione si può consultare il n° 6 del “Mattino” di Napoli del 7 gennaio 1934. Per il conio, le monete vanno ritenute appartenenti alla cassa di una Legione romana che, dopo la sconfitta ad opera dei Sanniti a Caudium nel corso della II Guerra Sannitica, ripiegò, valicato il “tappo – serus” di Serino, su Montoro. Secondo alcuni storici il toponimo “Montoro” deriverebbe appunto da Mons (monte) e Torus (rialzo) ossia un monte (o una collina) da cui si poteva osservare e sorvegliare. Un rione del villaggio Banzano prende il nome di Tuori o –ab antiquo- Tuoro. Ad Avellino esiste Tuoro Cappuccini; a Solofra Toro Soprano e Sottano; il rialzo dell’agro nocerino si definisce San Valentino Torio e così via. Tuttavia cosa dovevano osservare i legionari? Sarebbero tornati a Roma solo dopo tre anni dalla disfatta sottoponendosi, ulteriormente, all’umiliazione delle Forche Caudine. Certamente attraversando il passo tra il Taburno e il Partenio non avrebbero potuto portare seco le casse di danaro che sarebbero state requisite dai Sanniti. Ecco allora la necessità di seppellirle in un luogo “rialzato” ma osservabile per poi recuperarla in seguito, a meno che non fossero sorte delle complicazioni. Visto che ce ne furono e che i Longobardi costruivano secondo i criteri romani e che forse nel luogo del castello c’era un precedente manufatto romano abitativo, qualsiasi recupero restaurativo dovrebbe tener conto di queste argomentazioni e delle giuste disposizioni, e sovrapposizioni, dei locali. Montoro fino al 884 d.C. non è nominata in 4 documenti, ciò non vuol dire che non esistesse come località, solo che non aveva una sua individualità politica, venendo definita “Locum in finibus rotensis” ossia ricadente giuridicamente nel tenimento del Castaldato dei Rota del Principato di Salerno. Montoro, secondo alcuni studiosi, divenne feudo a se stante solo nel 1269. Secondo altri studiosi però Montoro già nel 987 costituiva Castaldato a sé e ne furono conti: Malefrit (987), Landone (1012), Polfrido (1032), Maione (1053). In ogni caso fu una terra collegata al territorio rotense. I Longobardi erano stanziati fino al II secolo d. C. presso il fiume Elba in Germania per poi lentamente scendere verso l’Italia. Viaggiarono sempre per vie terrestri e una volta stabilitisi in Italia vissero sempre da guerrieri asserragliati nelle loro fortezze, poco inclini a mescolarsi con le popolazioni locali. Veneravano santi guerrieri e così a Montoro sono presenti i culti di San Michele, San Leucio, Sant’Eustacchio che si sovrapposero ai Santi barbuti (con la barba) di origine bizantina: San Pietro, San Cipriano e San Bartolomeo. I Normanni erano guerrieri massicci e crudeli, gente di mare e quando si spostarono dalla penisola Scandinava subito conquistarono il Ducato di Normandia in Francia e il regno d’Inghilterra. Una loro nave che si recava in Terrasanta naufragò sulla spiaggia di Santa Teresa a Salerno e i quaranta (Quaranta è un cognome salernitano) guerrieri superstiti furono assoldati come mercenari dai Longobardi. I loro primi insediamenti furono ad Aversa e Capua. I signori de’ Capua furono –in seguito- principi della Riccia, gran conti di Altavilla Irpina e conti di Montoro. Proprio loro a partire dal XVI secolo spostarono la dimora del feudo di Montoro dal castello al “palatium” o nella vulgata popolare: il “palazzotto”, sito su un’antica villa rustica romana del I secolo d. C. in località Figlioli. Il saccheggio della villa ad opera dei de Capua servì ad abbellire la loro dimora napoletana l’attuale palazzo Marigliano al Decumano Inferiore. Sui resti del palazzotto in Piano fu edificata la villa dei de Felice, loro erariali, con attuale altro proprietario, mentre la villa rustica versa in condizioni miserevoli. Gisulfo II (1030-1090) fu l’ultimo principe Longobardo di Salerno e secondo alcuni storici soggiornò nel castello di Montoro per poi essere rinchiuso prima nel castello di Avellino e poi in quello di Sarno. Sua sorella la 5 principessa Sichelgaita, ultima dei Longobardi di Salerno, fu moglie di Roberto il Guiscardo (l’astuto) della famiglia normanna degli Hauteville (Altavilla) il quale subentrò con la sua stirpe nel governo del Principato. È di grande interessante storico il collegamento genealogico tra le dinastie regnanti in Francia ed Inghilterra con le famiglie feudatarie dei territori salernitano, rotense e montorese. Un parente di Roberto di nome Angerio, tra i suoi figli (Filii Angerii: Filangieri) aveva Turgisio che, valoroso compagno (comites / conte) d’armi del Guiscardo, fu il primo conte normanno di Rota. Gloriandosi di possedere le reliquie di un santo Abate del Norico, dette al suo casato il nome San Severino. Morì nel novembre del 1081 e fu capostipite della potentissima famiglia dei principi Sanseverino. Egli dal Guiscardo fu investito di tutti i possedimenti con i relativi castelli che andavano da Serino a Sarno. Turgisio proveniva dalla città di Troyes in Francia e il suo nome nella vulgata popolare passò come Troisi cognome di origine normanno molto diffuso nelle vallate dell’alto Sarno. IL CASTELLO DI MONTORO: RETROSCENA DELLA STORIA LA MEMORIA DI UN Nel 1999 Il Sindaco di Montoro Inferiore dott. Mario Bianchino, attuale Primo Cittadino di Montoro, già si era speso per il ripristino del castello e, nell’ambito di questa ed altre iniziative culturali, invitò la scrittrice Angela Picca presso la locale biblioteca per la presentazione del libro: “Syfridina – contessa di Caserta (1200?-1279)- La studiosa, nel suo dramma, ricostruisce l’antefatto del retroscena di un periodo tra i più importanti della storia d’Italia: quello del tramonto della casa normanno-sveva. Nel 1250 muore l’imperatore Federico II –stupor mundi- (lo stupore del mondo), figlio di Enrico IV di Svevia e dell’ultima dei normanni Costanza d’Altavilla. Gli subentra il figlio prediletto benché illegittimo Manfredi. Costui viene scomunicato da papa Clemente IV che chiama Carlo d’Angiò 6 dalla Francia per eliminare la dinastia sveva. Manfredi “biondo, bello e di gentile aspetto …”, come lo descrive Dante nel III canto del Purgatorio, appronta le difese in vista dello scontro e affida il ponte di Ceprano a Riccardo Sanseverino, conte di Caserta e figlio di Syfridina. Il principe Riccardo è cognato di re Manfredi in quanto ne ha sposato la sorellastra Violante. Riccardo non combatte, consegna il ponte a Carlo d’Angiò che in tal modo può aggirare, sconfiggere e uccidere Manfredi a Benevento nel 1266. Riccardo Sanseverino imbeve un fazzoletto nel sangue del cognato e, a cavallo, percorre –furioso- tutto il campo di battaglia. Non solo, da allora lo stemma della famiglia Sanseverino sarà una banda rossa in campo bianco e re Carlo confermerà a Riccardo tutti i suoi titoli e feudi. La città di Mercato San Severino nel suo stemma non ha ritenuto riferirsi alla famiglia di riferimento ed ha assunto una fascia bianca in campo azzurro con sovrastante il Santo. Nondimeno Syfridina è custode del segreto del figlio e trepidante non può far nulla per contrastare gli eventi che condizioneranno i ghibellini, tuttavia presagisce il futuro dell’Italia e del Mezzogiorno Manfredi, secondo i cronisti del tempo, durante un’assenza del cognato Riccardo avrebbe abusato della di lui moglie Violante, nonché sua sorellastra, in quanto figlia naturale di Federico. Violante dopo lo stupro rimane demente e Riccardo –appreso il misfatto- si vendica di Manfredi. La violenza subita da Violante sembra sia avvenuta durante un temporale nel corso di una battuta di caccia, nel castello di Montoro. Una località tra i casali montoresi di Preturo e Borgo ancora si chiama campo Manfredi. DATI CARATTERISTICI L’impianto del castello di Montoro è articolato in tre cinte murarie. La prima delimita il mastio (o maschio) ed è la stessa struttura del castello, la seconda: racchiude la sommità della collina e la terza ne discende le pendici. Il castello sorge nel punto più alto della collina su un banco di roccia, mostra un perimetro rettangolare con cortile centrale quadrato e 7 torri angolari quadrate. Si accede al cortile tramite una porta posta a NordEst che presenta, tuttora riconoscibili, i principali sistemi di difesa come feritoie laterali nella parte bassa e caditoie nelle parte alta delle pareti laterali. La porta d’ingresso presenta due sbarramenti, a filo della volta vi è una piombatoia circolare, mentre a filo del cortile forse una saracinesca. Dunque si ricava che l’ingresso era provvisto di difesa sia radente che piombante. Le porte laterali dell’ingresso non funzionano da difesa e dall’analisi muraria risultano aggiunte quando il castello acquista funzioni cisterna residenziali. cisterna Dall’ingresso si accede alla corte o cortile pressoché quadrato di 13,40 x 13,90. Il perimetro è caratterizzato da otto grossi archi: quattro aperti e quattro chiusi. Dal cortile si accedeva ai corridoi di distribuzione e i muri perimetrali di questo spazio erano caratterizzati da elementi architettonici e decorativi in tufo grigio peculiare del montorese; tracce di essi permangono in pochi frammenti seppure significativi come il notevole capitello di una lesena scolpito con motivi floreali. La corte dunque non era solamente una 8 piazza d’armi ma gli ornati lasciano intravedere un uso, per così dire, mondano. Gli ambienti del lato Ovest sono crollati e si distinguono i livelli sotterranei adibiti a cisterne. I locali del lato Est corrispondono alla parte residenziale del castello e sono quelli in migliore stato di conservazione. Al primo livello si nota un doppio ambiente con un grande arco centrale, probabilmente si tratta di cucine e servizi. A questo livello si accede da due porte: una a sinistra del cortile, l’altra posto sotto la scala ubicata nell’angolo Sud-Est del mastio. La scala conduce al livello superiore dove è ubicata una grande sala rettangolare di circa 10x15 metri, da questa si accede in una sala più piccola, nell’angolo Nord-Est, in cui è presente in quest’ultima un grosso camino. Due torri quadrate angolari di 6x7 mt. si localizzano nel lato orientale, mentre su quello occidentale rimangono poche strutture. Sul versante a mezzogiorno permangono i muri perimetrali del mastio e sono conservati in due livelli, qui persistono parti delle coperture a crociera, le finestre e le feritoie per la difesa. È da sottolineare che nel castello di Ferrari si producevano le punte in ferro per le frecce da balestra che poi ricevevano l’impennatura dall’ormai scomparso quanto rinomato grifone irpino (avvoltoio), il paese di Quadrelle in provincia di Avellino prende il nome dalle quattro piume che fungevano da timone al dardo che, solo tramite balestra, poteva essere lanciata da feritoie come quelle del castello di Montoro. Questa lavorazione tipica delle nostre terre era conosciuta e apprezzata in tutta Europa. Nell’angolo Sud-Ovest è ubicata una caratteristica torre pentagonale esternamente e circolare all’interno. È servita da scala propria e si comprende che si tratta di un corpo aggiunto successivamente all’impianto rettangolare del mastio. Altre strutture direttamente collegate al castello sono due muri che partono da una bassa torre circolare dal diametro di circa 3 metri; essa presenta feritoie per la difesa radente, ancora posizionata a Sud-Ovest e ancora testimonianza di un’aggiunta successiva di epoca aragonese quando già si apprestavano le armi da fuoco. La seconda cinta muraria racchiude tutta la parte pianeggiante della collina di San Pantaleone; è costruita in materiale calcareo locale e si può ancora ammirare lungo la moderna strada che conduce al Santuario. La struttura muraria non supera l’altezza di 4 mt. La 9 terza cinta muraria nel lato Nord si unisce con la seconda, edificata anch’essa con materiali locali e in molti tratti si conserva ancora ad un’altezza variabile tra i 4 e i 5 mt. Anche questa cerchia è caratterizzata nell’angolo a Nord-Est da un bastione pentagonale e da uno quadrato secondo uno schema presente nel castello di Nocera. In quest’ultima recinzione muraria sono poco riconoscibili altre strutture, essa comunque continua verso Ovest fino ad inglobare il Santuario di San Pantaleone assieme ad altri antichi manufatti sulle estreme propaggini della collina. Sul lato Sud, al centro del secondo e terzo circuito murario si eleva un fabbricato di circa 6x12 mt. con parete absidata sul lato orientale e finestre strombate rivolte a Sud. Questa struttura testimonia la presenza nel circuito fortificato di una grande chiesa, da identificare con quella di San Matteo così come è attestato da un documento del 1190. RILIEVI STORICI È da rilevare come il terreno circostante tutto l’impianto del castello ha una coloritura gialla (una contrada montorese si chiama Flavita ossia: flavus /giallo); il fenomeno è dovuto a dei luccicanti granelli metallici depositati in strati bituminosi. Non si può escludere che l’intera collina fosse di natura eruttiva e che il colore molto più marcato di oggi abbia dato fondamento anche ad altre ipotesi del toponimo Montoro: tipo Mons Aureus o Monte d’oro. Comunque le caratteristiche recinzioni murarie e le strutture ancora oggi affascinano per tale origine geologica. Dall’analisi dei ruderi non si può ritenere il castello di Montoro di grande mole, piuttosto una rocca comunque fortificata da ben tre recinzioni murarie; in Montoro è frequente il cognome Della Rocca. Naturalmente è di grande interesse storico-paesaggistico perché quasi inurbato nel contesto territoriale montorese e con alcune curiosità storiche non ancora del tutto chiarite. Esiste tra Borgo e Preturo una località detta Episcopio, tale fatto assieme ad altre argomentazioni, fa ritenere ad alcuni storici che Montoro fosse Sede Vescovile. L’Episcopus però nell’Alto Medioevo poteva essere 10 un ufficiale o un ispettore ecclesiastico, ossia un canonico non a capo di una Diocesi. Già all’origine del castello esisteva la chiesa di San Nicola extra-muros (al di fuori del mastio), successivamente fu elevata, maestosa e tuttora identificabile, la già citata chiesa di San Matteo (di chiara devozione salernitana). Inoltre codici e antichi regesti affermano l’esistenza di un intero casale detto Castello che, in seguito, assieme agli scomparsi casali quali Pesculi e Fontana Vetere, finì per confluire nel casale di Banzano. Nell’Alto Medioevo la zona al vertice della collina risulta dunque densamente abitata, mentre ai piedi della collina si forma un semplice suburbio (o sobborgo) di poche abitazioni, le quali avrebbero dato vita al casale di Borgo. Il castello fortificato, la grande chiesa di San Matteo e i casali circostanti lasciano pensare che ivi risiedesse, per quanto riguarda Montoro, sia l’autorità religiosa che civile, la quale –in quell’epoca- coincidevano nella stessa persona. I Normanni (nord-men / uomini del nord) vedevano gli animali delle loro terre (lupi, alci) accoppiarsi secondo la prevalenza del maschio dominante. Non è difficile immaginare che tali vigorosi guerrieri, conquistando una terra di meschini agricoltori di origine bizantina, quando i Longobardi non ne avevano troppo mescolato il sangue, li riducessero a servi della Gleba, cioè li asservissero alla terra e praticassero lo “Jus primae noctis” (Il diritto della prima notte). La loro intenzione era, per così dire, genetica, ossia profanare la sposa prima del legittimo consorte allo scopo di costituire una riserva di guerrieri e tale intento era tollerato dalla Chiesa. Si ricorda che nel XII secolo il feudo di Montoro fornì guerrieri (o scudieri) autoctoni alla spedizione di Guglielmo Sanseverino in Terrasanta. Nel secolo XI, una storia montorese, che forse l’indagine storica dovrebbe approfondire per definirne i limiti della leggenda, narra di un normanno vescovo-conte malvagio di nome Cennamo, il quale oltre a varie atrocità praticava abitualmente lo Jus primae noctis. Si racconta anche che il cattivo fosse duramente punito dai componenti della famiglia Ragno di Borgo offesi in quanto la fanciulla Syfridina (stesso nome della contessa di Caserta) loro consanguinea era stata rapita e condotta al castello dagli armigeri del vescovo-conte. Mentre il feudatario celebrava messa in San Matteo con 11 indosso i paramenti sacri fu introdotto in una botte chiodata che, precipitando lungo il botro della collina, si schiantò infine contro il cosiddetto tiglio del Mercatello. Sembra che l’oltraggio ai paramenti abbia comportato la scomunica per l’intero territorio di Montoro. Ma questa vicenda e il suo esito appartiene ad un’altra storia. CONCLUSIONE L’analisi complessiva delle strutture rimanda ad un impianto normanno che ingloba una forte impronta longobarda su probabili persistenze romane. Le maggiori trasformazioni riguardano il nucleo centrale del castello. Analizzando i documenti pervenutici e i resti architettonici si può ascrivere il castello nella sua forma finale al periodo svevo ed inserirlo a pieno titolo nel novero dei castelli federiciani. Avendone la possibilità quest’aspetto potrà essere contestualizzato nell’ambito comparativo con gli altri castelli della zona e già ripulendo dalla vegetazione i ruderi –previa messa in sicurezza delle murature con criteri storici- l’osservazione sarà più puntuale rispetto alla presente relazione. Si potrà con maggiore precisione delineare, qualora non esistano più accurate descrizioni, la struttura architettonica ed eseguire un’approfondita indagine archeologica. Solo dopo queste attività preliminari-e ciò non vale solo per il castello di Montoro- si potrà valutare quali interventi adottare per evidenziare l’enorme rilevanza storica senza alterare e modificare i luoghi. 12
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