www.civilecontemporaneo.com Sent. n. 4089/2013 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PALERMO Terza Sezione Civile Nella persona della Dott.ssa Sebastiana Ciardo, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA ********* nella causa iscritta al n° 6791 del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2008 TRA Mattarella Sergio, Mattarella Bernardo e Mattarella Maria, elettivamente domiciliati a Palermo in via Messina 7/d, presso lo studio degli avv.ti Giuseppina Cassata e Antonio Coppola che li rappresentano e difendono per mandato in calce all’atto di citazione ATTORI CONTRO R.T.I. Reti Televisive Italiane s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata a Palermo in via Simone Corleo n° 32, presso lo studio dell’avv.to Paolo Ziniti che la rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente agli avv.ti Stefano Previti e Pierluigi Piccolini del foro di Roma, per mandato a margine della comparsa di costituzione risposta CONVENUTA E Taodue s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata a Palermo in via.le Regina Margherita n° 42, presso lo studio dell’avv.to La Fauci Belponer del foro di Palermo che la rappresenta e difenda, unitamente e 1 www.civilecontemporaneo.com disgiuntamente all’avv.to Fabio Lepri del foro di Roma per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta TERZA CHIAMATA Conclusioni per gli attori: come in atto di citazione e successive memorie ex art. 183 comma VI; conclusioni per la convenuta: come in comparsa di costituzione e risposta; conclusioni per la terza chiamata: confermando la riserva in appello avverso la sentenza non definitiva n° 1336/2010, insiste nelle richieste istruttorie a suo tempo articolate e non ammesse; in via subordinata, conclude riportandosi integralmente a quanto dedotto in comparsa di costituzione e risposta. ~~~~~~~~~~~~~~ MOTIVI DELLA DECISIONE Sergio Mattarella, Bernardo Mattarella e Maria Mattarella, con atto di citazione ritualmente notificato, convenivano in giudizio la R.T.I. Reti Televisive Italiane s.p.a. (di seguito R.T.I. s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, e chiedevano la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale patito, in conseguenza del contenuto diffamatorio di alcune scene, trasmesse all’interno della fiction televisiva “Il Capo dei Capi”, lesive della memoria dell’on.le Bernando Mattarella, rispettivamente loro padre e nonno. A tal fine censuravano, in particolare, il contenuto falso e diffamatorio di due scene, trasmesse nel corso della III puntata, ove veniva evocata nel pubblico dei telespettatori la falsa credenza che l’on.le Mattarella fosse amico e conviviale di Vito Ciancimino, al punto da intrattenersi a casa sua per giocare a carte e che fosse vicino ad ambienti mafiosi e del malaffare imprenditoriale con l’amicizia dell’imprenditore Caruso. Evidenziavano, ancora, la totale assenza, nella fiction, di alcun riferimento al terribile agguato mafioso che aveva trucidato l’on.le PierSanti Mattarella, al chiaro scopo di offuscare il ruolo avuto da quest’ultimo nella lotta alla criminalità organizzata esaltando falsamente, al contempo, la figura dell’on.le Bernardo Mattarella quale uomo politico siciliano amico dei mafiosi e complice di un’organizzazione deviata. Si costituiva nel giudizio la R.T.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, che preliminarmente eccepiva il difetto di competenza e la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto nonché il difetto di legittimazione attiva degli attori. 2 www.civilecontemporaneo.com Nel merito contestava i fatti e rilevava la totale assenza, nelle scene della fiction censurate da parte attrice, di alcun collegamento tra la figura dell’on.le Bernardo Mattarella e esponenti dell’organizzazione criminale. Soggiungeva la carenza di prova sul danno lamentato e chiedeva, previa chiamata in causa della TAODUE s.r.l., società produttrice della fiction e tenuta a garantire la RTI s.p.a. in forza dell’art. 17 dell’accordo siglato tra le parti, l’estromissione dal giudizio e, in subordine nel caso di mancata estromissione, il rigetto della domande con vittoria delle spese di lite. Ritualmente evocata si costituiva la TAODUE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, che associandosi alle eccezioni preliminari sollevate dalla convenuta, negava ogni contenuto diffamatorio delle due scene richiamate dalle difese attoree, e richiamava le fonti ufficiali da cui erano state tratte le notizie relative ai rapporti politici tra l’on.le Bernardo Mattarella e Vito Ciancimino, segnatamente le relazioni della Commissione antimafia del 2001 e del 2006. Chiedeva, pertanto, il rigetto delle domande proposte, con vittoria delle spese di lite. ~~~~~~~~~~~~~ Tanto premesso, deve preliminarmente essere integralmente richiamata la sentenza, non definitiva n° 1336/2010 emessa in data 16 marzo 2010, che ha rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalle parti convenute e quella di nullità dell’azione proposta. Sempre in via preliminare, deve prendersi atto del contenuto del contratto di acquisto, sottoscritto da RTI s.p.a. e da TAODUE s.r.l., in data 16 febbraio 2007 (doc. n° 17 produzione convenuta), la cui clausola n° 17, così testualmente recita: “Taodue garantisce l’originalità delle opere (soggetto e sceneggiature) di cui in premessa D) e H) e che le stesse non sono, in alcun modo, lesive di diritti personali o patrimoniali di terzi; RTI da ogni e qualsiasi molestia e turbativa da parte di terzi che pretendano e assumano diritti sul Programma in questione obbligandosi, sin d’ora, a manlevarla da ogni onere, spesa giudiziale e da ogni eventuale danno che dovesse subire o comunque rifondere a terzi, in qualsiasi momento a partire dalla data del presente atto. A tal fine. Taodue si obbliga a porre in essere tutte le azioni, anche giudiziali, che fossero necessarie od opportune ai fini della tutela dei diritti concessi. La Cessionaria avrà comunque la facoltà di agire autonomamente per la tutela dei propri diritti”. 3 www.civilecontemporaneo.com Ora, siffatta clausola contrattuale, in forza della quale la società produttrice ha assunto l’obbligo di manlevare la RTI per eventuali danni a terzi che dovessero derivare dalla diffusione dell’opera “Il Capo dei Capi”, assume certamente rilevanza nei rapporti interni, tra le parti sottoscrittori dell’accordo, ma non può produrre valenza esterna direttamente rispetto ai terzi danneggiati, i quali hanno comunque il diritto di agire nei confronti sia della società produttrice che della società distributrice dell’opera asseritamente lesiva, che hanno contribuito solidamente alla circolazione della trasmissione televisiva, con l’effetto che la garanzia, avente contenuto convenzionale, esplicherà effetti interni gravando il solo garante degli effetti pregiudizievoli di un eventuale sentenza di condanna. Ne consegue che deve essere rigettata la richiesta di estromissione dal giudizio avanzata dalla RTI s.p.a. L’esame dell’eccezione di merito, sollevata dalle società convenute, afferente la dedotta legittimazione attiva degli attori, i quali non potrebbero agire facendo valere la lesione del diritto all’onore e alle reputazione del defunto Bernardo Mattarella, non avendo agito nella qualità di suoi eredi, postula l’analisi della controversia muovendo dalla ricostruzione delle scene oggetto di censura ad opera degli attori. Gli attori censurano, in particolare, due scene della terza puntata della fiction “Il Capo dei Capi”, andata in onda in data 8 novembre 2007, che narra la vita di Toto Riina e la storia della mafia, da punto di vista, dell’esordio e dell’ascesa, violenta e sanguinaria del gruppo c.d. dei “corleonesi” capeggiati dal boss, riproducendo tutte le fasi della guerra tra i clan, la terribile stagione delle stragi, la commistione di affari tra politica e criminalità organizzata, il susseguirsi di omicidi, negli anni dal 1969 fino al momento dell’arresto di Riina. Le due scene incriminate, (tutta la terza puntata è registrata nel dvd prodotto da parte attrice, nella versione andata in onda per la prima volta in televisione l’8 novembre 2007 all. n° 1) interessano entrambe l’on.le Bernardo Mattarella: la prima raffigurandolo mentre si intrattiene, a casa di Vito Ciancimino - noto politico democristiano di origini corleonesi, divenuto Assessore ai lavori pubblici di Palermo e poi Sindaco, arrestato per collusioni con la mafia, avendo favorito, in gran parte degli appalti pubblici che caratterizzarono il c.d. “sacco di Palermo”, i gruppi criminali e particolarmente il clan Riina – per una partita a carte cui partecipa pure Caruso, noto e ricco imprenditore del trapanese, li presente insieme al figlio; la seconda nella quale Riina e Provenzano leggono la prima pagina del giornale 4 www.civilecontemporaneo.com “L’Ora” che riporta la notizia della morte di Mattarella ricollegandola all’avvenuto rapimento del figlio di Caruso. Nella prima scena, che si svolge nel salone di casa Ciancimino (presso il Castello di Donnafugata), il dialogo tra i tre fa menzione della presenza dell’on.le Mattarella che conversa amichevolmente con Caruso e con il figlio, e poco dopo giunge nella stanza attigua Totò Riina il quale chiede di incontrare Ciancimino. Quest’ultimo si alza dal tavolo con fare infastidito e si allontana per incontrare il boss il quale apertamente gli chiede di farli entrare negli affari e negli appalti gestiti dal politico promettendogli di appoggiarlo per farlo diventare sindaco. A quel punto, Ciancimino fa capire al boss che avrebbero avuto bisogno di “tanti soldi” per entrare in affari con i gruppi criminali palermitani. La scena successiva riproduce il rapimento del figlio di Antonio Caruso ad opera dei corleonesi e la successiva lettura del giornale “L’Ora” ad opera di Bernardo Provenzano, la cui prima pagina riporta la notizia della morte dell’on.le Mattarella e il titolo del quotidiano, inquadrato nella scena, ove si legge: “Stroncato da infarto l’on.le Mattarella” on sottotitolo “rapito il piccolo Antonio Caruso, l’On.le Mattarella stroncato da un infarto dopo la notizia”, accompagnata dal commento di Provenzano: “l’On.le Mattarella appena ha saputo del rapimento ci scoppiò il cuore! Del resto era suo parrino”. Gli attori agiscono nel giudizio lamentando la lesione alla reputazione e all’onore del loro congiunto che viene rappresentato nel romanzo televisivo quale soggetto colluso con personaggi della politica, incriminati per mafia, e con imprenditori attraverso la rappresentazione di fatti non veritieri, poiché nessun legame di amicizia era mai intercorso tra Bernardo Mattarella e Ciancimino, salvo la frequentazione solo politica del resto pure venuta meno anni prima dell’avvenimento narrato nella fiction, in conseguenza dell’adesione di Ciancimino ad una contrapposta corrente, quella dei “fanfaniani”, guidata a Palermo dai politici Gioia e Lima. Inoltre, interamente costruita è la familiarità con l’imprenditore Giacomo Caruso, il cui figlio non fu battezzato da Mattarella, e tutta la vicenda del rapimento, non addebitabile ai corleonesi ma altri criminali, poi processati e condannati, e tutta la prima pagina del quotidiano L’Ora, ricostruita falsamente associando la morte dell’on.le alla vicenda del rapimento di Antonio Caruso. Infine, gli attori si dolgono dell’assenza, in tutto il romanzo televisivo, di qualsiasi riferimento alla cruenta morte dell’on.le Pier Santi Mattarella, figlio di Bernardo Mattarella, ucciso proprio dalla mafia corleonese di Totò Riina, che risponderebbe ad una precisa scelta televisiva di voler offuscare la memoria della famiglia Mattarella, non 5 www.civilecontemporaneo.com riproducendo intenzionalmente un fatto fortemente violento e grave, l’uccisione del Presidente della Regione Siciliana, ad opera delle cosche criminali eseguito allo scopo di annientare un politico che aveva fortemente osteggiato, con scelte concrete e coraggiose, l’ascesa affaristica dei poteri criminali. I convenuti, dal canto loro, negano che le immagini e le scene avessero contenuto diffamatorio non avendo in alcun modo collegato l’on.le Mattarella a Toto Riina o alla mafia corleonese, ed invocano l’esimente del diritto di cronaca-critica, indicando le fonti ufficiali da cui hanno tratto le notizie poi diffuse sotto forma di fiction televisiva. Tanto premesso, gli assunti sostenuti dagli attori devono essere condivisi nei termini che di seguono si espongono. La visione della fiction “Il Capo dei Capi”, consente di qualificare l’opera come film-documentario, nella misura in cui, riproducendo in maniera fedele episodi della storia criminale della Sicilia degli anni 1969-1978, caratterizzati, per un verso, da stagioni di stragi, malaffare, violenza inaudite nei confronti di stessi affiliati ai clan mafiosi e di soggetti terzi, uomini dello Stato o anche ignari cittadini, e, per altro verso, la lotta delle autorità e della magistratura alla criminalità organizzata, raffigura un quadro storico in qualche modo veritiero dei fatti narrati, ricostruiti con personaggi veramente vissuti in quegli anni, i cui nomi e luoghi sono fedelmente riprodotti. L’intera storia della criminalità organizzata corleonese di quegli anni viene narrata in maniera attenta e rigorosa, con riproduzione di nomi, luoghi e date reali, seppur offrendo al pubblico una versione “romanzata” particolarmente apprezzata (si veda lo share di ascolti prodotto da parte attrice). Infatti, lo scopo agevolmente desumibile dall’intera opera è quella sociale di raffigurare la realtà mafiosa di quegli anni nella maniera più veritiera e cruenta, rammentando la tragicità di fatti ed avvenimenti che profondamente segnarono la storia siciliana dell’epoca, seppur costruiti attorno alla figura di Totò Riina. Tale qualificazione consente di operare una preliminare distinzione tra i confini esistenti ed individuati dalla giurisprudenza nel corso degli anni, tra diritto di critica e diritto di cronaca, alfine di intendere l’attività di riproduzione di opera televisiva, come nella specie, scriminata dall’esercizio dei predetti diritti e non diffamatoria. La norma di riferimento è quella contenuta nell'art. 21 Cost., che tutela la libertà di manifestazione del pensiero, da contemperarsi che la tutela della dignità, dell’onore e della reputazione dei soggetti in qualche modo interessati dalla diffusione di notizie, nell’esercizio del diritto di cronaca o critica. 6 La distinzione tra critica (ovvero la personale interpretazione di un fatto che non può pretendersi assolutamente obiettiva e può essere esternata anche con l'uso di un linguaggio colorito e pungente, purché non leda la integrità morale del soggetto), e cronaca (ovvero la narrazione di un fatto di cronaca), assume importanti refluenze in tema di parziale attenuazione nel primo caso della valutazione di antigiuridicità della condotta, illustrate dalla giurisprudenza della Suprema Corte, in tema di diffamazione a mezzo stampa: “In tema di diffamazione a mezzo della stampa, quando la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell'autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza deve lasciare spazio alla interpretazione soggettiva dei fatti esposti, atteso che la critica mira non già ad informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali, e, se è vero che, come ogni diritto, anche quello in questione non può essere esercitato se non entro limiti oggettivi fissati dalla logica concettuale e dall'ordinamento positivo, da ciò non può inferirsi che la critica sia sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita” (Cass. civ., Sez. III, 10/07/2008, n. 18885). Siffatto bilanciamento “è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all'interesse pubblico, cioè nell'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto dalla stessa e, quindi, fuori di essa, ma dell'interpretazione di quel fatto, interesse che costituisce, assieme alla correttezza formale (continenza), requisito per la invocabilità dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica” (Cass. civ., Sez. III, 06/08/2007, n. 17172). Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, “possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purchè siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. Non può, invece, essere riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 cod. pen. nei casi di attribuzione di condotte illecite o moralmente disonorevoli, di accostamenti volgari o ripugnanti, di deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica” (Cass. civ., Sez. III, 28/11/2008, n. 28411). Ma nel caso, di opera cinematografica o televisiva, i contenuti dei predetti principi si arricchiscono stante la necessità di tutelare al contempo il valore artistico dell’opera, parimenti sottoposto a protezione costituzionale (art. 33 Cost.). 7 www.civilecontemporaneo.com Ed invero, ancorché la libertà dell'espressione artistica sia formalmente dotata di copertura costituzionale a sé stante, rispetto alla liberà di manifestazione del pensiero, la prima è in ogni caso tenuta a rispettare i medesimi limiti fissati per l'esercizio del diritto di cronaca, primo fra tutti quello della verità dei fatti esposti e soggetti a critica e, quindi, della veridicità della ricostruzione offerta. L'art. 33 Cost., infatti, deve ritenersi volto a sancire l'indipendenza della creazione artistica e della ricostruzione scientifica dalla interferenza illegittima dei pubblici poteri e, principalmente, della sfera politica, mentre, sul piano dei rapporti orizzontali, con riguardo cioè ai diritti inviolabili degli altri soggetti, loro riconosciuti in forza degli artt. 2 e 3 della Carta tra i quali figurano anche i diritti concernenti il rispetto dell'identità personale, dell'onore e della reputazione sarebbe sempre l'art. 21 a dettare le condizioni inderogabili idonee a giustificare, in qualunque forma, il legittimo esercizio dello jus narrandi, rispettando comunque la sostanziale verità dei fatti ed il principio della continenza. Ora, “Occorre innanzitutto rilevare la profonda diversità esistente tra la notizia giornalistica, l'attività saggistica o documentaristica, da una parte, e l'opera artistica, sia essa teatrale, letteraria o cinematografica, dall'altra. Le prime hanno lo scopo di offrire al lettore o allo spettatore informazioni, notizie, fatti, vicende, esposte nel loro nudo contenuto o ricostruite attraverso collegamenti e riferimenti vari, al solo scopo di rendere edotto il lettore o lo spettatore di determinati avvenimenti, oppure di ricostruire attraverso di essi un discorso che abbia un tessuto politico, narrativo, giornalistico o storico. L'opera artistica se ne differenzia per l'essenziale connotato della creazione, ossia di quella particolare capacità dell'artista di manipolare materiali, cose, fatti e persone per offrirli al fruitore in una visione trascendente gli stessi, tesa all'affermazione di ideali e di valori che possano trovare riscontro in una molteplicità di persone. Per raggiungere questo fine l'opera artistica si sviluppa attraverso toni a volta elegiaci, altre volte drammatici o comici, ed adopera gli strumenti della metafora, del paradosso, dell'iperbole; comunque, esagera nella descrizione della realtà tramite espressioni che l'amplificano, per eccesso o per difetto. Siffatta peculiare caratteristica dell'opera artistica e soprattutto l'imprescindibile deformazione della realtà in essa impressa, impone al giudice, chiamato a delibare la pretesa risarcitoria come conseguenza della diffamazione, un accertamento diverso rispetto a quello comunemente svolto con riguardo all'esercizio dell'attività giornalistica e documentaristica” (cfr. Cass. 7 maggio 2009 n° 10495 in motivazione). Sennonché, nella specie, la qualificazione dianzi operata come romanzo televisivo avente le caratteristiche di un “documentario” consente di associare l’opera ad una 8 www.civilecontemporaneo.com ricostruzione storica per la quale diventa esigibile un preliminare riscontro circa la veridicità dei fatti narrati. Difatti, la scelta di rappresentare personaggi reali, ancorché attraverso una visione “romanzata”, non può elidere il successivo controllo di veridicità delle vicende narrate; controllo necessario per escludere l'illegittimità dell'opera in relazione alla tutela dei diritti fondamentali di cui agli artt. 2 e 3 Cost. (cfr. Cass. 12 febbraio 2008 n° 3267). La fattispecie, infatti, va ricondotta alla diffamazione consumata attraverso opera dell'ingegno, nell'ambito della tutela e dei limiti dell'art. 21 Cost., sicché l'autore di tali opere, seppur libero di esercitare con essa una legittima critica (storica, politica o anche artistica), “deve ritenersi gravato dall'onere di fedeltà rispetto ai fatti da cui avesse preso spunto per la sua rielaborazione; e ciò soprattutto con riguardo a quei fatti che sono idonei a caratterizzare l'operato, la personalità e la moralità dei personaggi reali coinvolti nelle vicende rappresentante, a nulla rilevando la circostanza per cui il carattere artistico dell'opera ammetterebbe di per sé una qualsiasi deformazione o astrazione dell'elemento storico-narrativo dalla realtà, giustificata da particolari intenti drammatici e inevitabilmente fondata su semplificazioni e contrapposizioni schematiche d'effetto” (cfr. Cassazione pen. 19 ottobre 1979). A riguardo, gli autori dell’opera cinematografica potrebbero pure riportare fatti non veri purché l'informazione generale non venga stravolta in guisa da renderla lesiva dell'onore e della reputazione dei soggetti rappresentati. Ovvero, si potrebbero adottare cautele necessarie a confondere il riconoscimento o a rendere quanto meno equivoca la riconoscibilità dei personaggi. Difatti, il Tribunale aderisce alla tesi secondo cui “all'autore di un romanzo storicosociale di ambientazione contemporanea è imposto l'obbligo - ove non voglia incorrere nella lesione dell'altrui reputazione - di adottare le cautele necessarie a confondere il riconoscimento o a rendere quanto meno equivoca la riconoscibilità dei personaggi” (cfr. Tribunale Cagliari, 13 marzo 1989) e quella espressa più chiaramente da altra giurisprudenza di merito: “L'opera cinematografica che si presenti quale filmdocumentario, ossia quale cronaca di vicende storiche, deve attenersi alla realtà dei fatti. Costituisce, pertanto, diffamazione con il conseguente obbligo di risarcire il danno subito, l'attribuzione ad un personaggio facilmente identificabile del compimento di atti e comportamenti privi di riscontro nella realtà e frutto dell'opinione dell'autore dell'opera” (Corte appello Roma, 23 settembre 2002). 9 www.civilecontemporaneo.com Ora, alla stregua dei principi di diritti formulati, deve riconoscersi alla complessiva informazione veicolata dalle scene oggetto di censura da parte degli attori, un carattere lesivo della reputazione dell’on.le Bernardo Mattarella. Difatti, non possono essere vagliati i momenti nei quali lo stesso è richiamato o raffigurato in maniera parcellizzata ma deve tenersi conto del carattere complessivo dell’immagine del deputato trasmessa al pubblico, che certamente è quella di un uomo politico, amico di Ciancimino, al punto tale da intrattenersi con lui in momenti di svago e convivialità – la partita a carte, appunto, con altri amici imprenditori – la cui notoria collusione con la mafia evoca inevitabilmente l’idea che il gruppo di politici ed imprenditori seduti a quel tavolo erano tutti, in qualche modo, interessati a fare affari insieme. Il quadro scenico è completato dall’arrivo di Totò Riina il quale, seppur in una stanza separata, chiaramente comunica a Ciancimino di voler entrare nel mondo degli appalti e di voler “spartire” la consistente fetta di guadagno con gli altri gruppi criminali, invocando la comune provenienza dalla stessa terra e dalle medesime origini. In siffatto contesto la presenza dell’on.le Mattarella sembra rafforzare la posizione politica di Ciancimino che, nel rapporto con il clan corleonese, svolge un ruolo da protagonista e da intermediario tra “Cosa nostra” e la politica funzionalizzata all’indebito arricchimento con soldi pubblici. Ora, nel contesto descritto la circostanza del mancato incontro tra lo stesso Mattarella e il boss mafioso non appare decisiva e non elide l’immagine certamente negativa e diffamante che emerge dalla scena, ove l’on.le viene raffigurato come parte integrante di un sistema di affari sporchi nel quale, per il ruolo di primo piano dal medesimo rivestito nella scena politica nazionale dell’epoca, non può non avere avuto una funzione esso stesso di primo piano. Tale assunti, seppur nell’analisi parcellare dei singoli momenti della scena, non emergono con chiarezza, tuttavia costituiscono, ad avviso del Tribunale, il contenuto del messaggio informativo che emerge dalla visione del film. La diffamazione operata ai danni di Bernardo Mattarella scaturisce dalla non veridicità dei fatti narrati, giacché non vi sono elementi per ritenere provato il rapporto di amicizia con Ciancimino, e non è veritiera la comunanza di interessi politici giacché è, piuttosto, provata la militanza in correnti diverse della Democrazia Cristiana (si vedano gli articoli di giornale prodotti da parte attrice) e l’assenza di qualsiasi legame tra i due, come anche dichiarato dal teste Fasino Mario. 10 D’altra parte, proprio l’indicazione nominativa dell’on.le Mattarella – chiamato così da Ciancimino qui abbiamo due importanti, l’onorevole Bernardo Mattarella e il futuro onorevole Antonio Caruso – avrebbe imposto una rigorosa ricerca e rappresentazione di un fatto veritiero se attribuito ad una persona realmente vissuta, con incarichi di primo piano nella politica italiana del tempo, tant’è che nella versione della fiction distribuita dal Gruppo Editoriale “L’Epresso” (pure prodotta dagli attori), il riferimento nominativo viene del tutto omesso. Ancora più significativa è la seconda scena, che raffigura una pagina del quotidiano L’Ora del 2 marzo 1971 letta e commentata da Bernardo Provenzano, del tutto differente da quella effettiva pubblicata, nella quale non vi è riportato alcun collegamento tra la morte dell’on.le Mattarella e il rapimento di Antonimo Caruso. L’intera ricostruzione del rapimento, che precede la lettura del giornale in un casolare tra i due boss mafiosi, è stata alterata ed attribuita falsamente al clan dei corleonesi, seppur fossero state già emesse da anni le sentenze di condanna nei confronti dei veri responsabili, soggetti non appartenenti a quella cosca (si vedano copie degli articoli del Giornale di Sicilia, relative alle condanne inflitte dal Tribunale penale di Palermo del 31.10.1975 e del 13.11.1975). Ed anche la notizia e il commento di Provenzano, che ricollega la morte del deputato all’apprendimento della notizia del rapimento di Antonimo Caruso, suo presunto “figlioccio”, sono fatti risultati non veri e già smentiti, all’epoca della pubblicazione della notizia sul quotidiano L’Ora, da una lettera al direttore da parte del figlio, Pier Santi Mattarella (all. n° 11). Ora, seppur la circostanza dell’assenza del vincolo di battesimo esistente da Mattarella e Antonio Caruso possa non essere stata conosciuta dalla società produttrice del film, tuttavia l’avere ricostruito l’intera vicenda, in maniera del tutto difforme dalla verità dei fatti, arricchisce di contenuti diffamatori l’immagine del politico con forti legami con importanti imprenditori, che può essere ricattato, attraverso il sequestro del “figlioccio”, che avrebbe portato alla cosca dei corleonesi non solo la liquidità richiesta da Ciancimino per entrare nel modo degli appalti pubblici ma anche l’appoggio dell’importante uomo politico democristiano, con ruolo significativo a livello nazionale. L’intera vicenda, però, è frutto di una ricostruzione non rispondente a verità e contribuisce a ledere l’onore e la reputazione dell’on.le Mattarella. 11 www.civilecontemporaneo.com Del resto, anche alfine di evitare la proliferazioni di contenziosi, la versione della fiction distribuita dall’Espresso riproduce le due scene modificate, ove sono state eliminate i riferimenti all’on.le Mattarella. Parimenti rilevante è l’omessa riproduzione, anche semplicemente quale notizia riportata dalla fiction, dell’omicidio dell’on.le Pier Santi Mattarella, che, seppur non censurabile sotto il profilo della scelta televisiva degli autori perché annoverabile nella porzione di discrezionalità che compete agli autori di un’opera cinematografica e, dunque, esplicazione della libertà artistica, tuttavia tale scelta diventa rilevante solo nella misura in cui esalta l’immagine di collusione del politico Bernardo Mattarella, senza essere in alcun modo offuscata da una scelta coraggiosa del figlio di combattere il potere mafioso nella pubblica amministrazione, pagata con la vita. Siffatta omissione, infatti, assume valenza “stridente” con l’intera ricostruzione pregevole e spesso fedele degli omicidi di mafia perpretati in quegli anni, anche quelli tragicamente coinvolgenti uomini dello Stato – basti visionare le scene delle stragi in cui morirono i Giudici Falcone e Borsellino – perché l’omicidio di Pier Santi Mattarella costituì un importante e tragico capitolo della storia di mafia, che così aveva alzato il tiro colpendo al vertice il potere politico con l’uccisione del Presidente della Regione Siciliana. L’omessa narrazione di tale fatto storico, ancorché non censurabile specificamente, contribuisce comunque a rafforzare il contenuto diffamatorio pieno e lesivo della reputazione dell’on.le Mattarella e dei suoi familiari, vittime secondarie dell’illecito. A questo punto, si impone la necessità di vagliare l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, sollevata dalle parti convenute. Gli attori, infatti, agiscono nel giudizio lamentando il pregiudizio alla reputazione del loro prossimo congiunto, chiedendo al contempo tutela della sua memoria e di quella della famiglia che ha subito un discredito dalla diffamazione del familiare. Il Tribunale, in ordine al dedotto difetto di legittimazione attiva, osserva che, nella specie, i congiunti di una persona deceduta la cui reputazione sia stata lesa hanno diritto ad ottenere il risarcimento del danno che essi stessi hanno subito, quale conseguenza del pregiudizio patito dal proprio familiare. Ed invero, l’illecito in esame assume valenza plurioffensiva producendo effetti pregiudizievoli sia direttamente nella sfera individuale e morale della persona direttamente diffamata sia dei loro prossimi congiunti, componenti la famiglia il cui nome e reputazione patisce al contempo effetti negativi nei rapporti all’esterno con i terzi. 12 www.civilecontemporaneo.com E’, dunque, condivisibile il principio espresso dalla giurisprudenza di merito, per il quale: “A tutela dell'onore e dell'integrità morale della persona dopo la sua morte - offesi da una pubblicazione - sono legittimati ad agire i suoi stretti congiunti, sia perché le offese ledono il sentimento di pietà che essi nutrono nei confronti dell'estinto sia perché esse arrecano pregiudizio all'onore, al decoro ed all'integrità morale loro personali, poiché dell'offeso essi portano il nome e rappresentano la naturale continuazione generazionale” (Trib. Palermo 2 marzo 2009). L’offesa subita dal familiare deceduto, infatti, assume carattere “espansivo”, fino a riflettersi in senso negativo e pregiudizievole nei confronti dei prossimi congiunti, la cui stima nella società può risultare danneggiata dalla diffusione di notizie infamanti riguardanti membri della famiglia. Ed, ancora, può richiamarsi altra condivisibile giurisprudenza: “Il concetto di reputazione non riguarda soltanto la stima che si ha di se stessi ma anche la considerazione che i terzi hanno dei prossimi congiunti per l'agire della persona offesa. La diffamazione si riflette inevitabilmente sui prossimi congiunti per l'offesa subita da un proprio familiare, offesa che si espande fino a coinvolgere le loro persone. Conseguentemente il pregiudizio arrecato al defunto si estende ai prossimi congiunti che subiscono un danno diretto e immediato (nel caso di specie gli attori lamentavano l'offesa arrecata alla dignità del loro padre, definito in un articolo giornalistico "folle e codardo")” (Trib. Roma 6 ottobre 2011). D’altra parte, nella specie, gli attori hanno rivestito e rivestono incarichi pubblici, sono impegnati politicamente ed hanno un ruolo di visibilità nella società, sicché l’eventuale diffamazione di Bernardo Mattarella, rispettivamente padre e nonno di Sergio Mattarella e di Bernardo e Maria Mattarella, assume inevitabilmente connotati offensivi del buon nome della famiglia e della loro reputazione, seppur pregiudicata solo in via indiretta, con riflessi negativi nei rapporti con i terzi, nella vita politica e professionale di ciascuno di loro. Ne consegue che gli stessi sono legittimati ad agire iure proprio, per una lesione alla sfera non patrimoniale dei diritti della personalità, quale vittime secondarie dell’illecito plurioffensivo. Pertanto, la condotta tenuta dalle società produttrici e distributrici della fiction è idonea, a spiegare offesa all’onore ed alla reputazione di Bernardo Mattarella, non risultando, peraltro, detta condotta, scriminata dall'esercizio del diritto di critica o di cronaca, stante il colposo superamento dei relativi limiti. 13 www.civilecontemporaneo.com Passando, a questo punto, al profilo della quantificazione dei danni, il risarcimento del danno avrà ad oggetto unicamente un pregiudizio di natura non patrimoniale a motivo dell’attitudine astratta dell’illecito ad incidere esclusivamente sul fare areddituale della persona lesa. Al riguardo è opportuno osservare con le parole della Suprema Corte a sezioni Unite che “Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art. 2059 c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art. 2043 c.c.. L'art. 2059 c.c., non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano dall'art. 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue” (Cass. S.U. 11.11.2008 n. 26972, in motivazione). Se dunque meritevole di risarcimento è il solo pregiudizio non patrimoniale determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, la misura di tale risarcimento può essere equitativamente determinata. Si ritiene, dunque, che, nella determinazione del risarcimento debba tenersi conto di una serie di parametri, individuati da certa condivisibile giurisprudenza di merito: “In sede di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale spettante alla persona offesa dal reato di diffamazione a mezzo stampa (nel caso di specie, realizzata mediante il mezzo televisivo) occorre considerare la qualità del ruolo rivestito dal danneggiato, colpito oltre che nella sua personale dignità, nelle proprie specifiche funzioni professionali, con inevitabili ripercussioni nell'ambiente di lavoro e sociale e sul piano psicologico personale, l'autorevolezza dell'emittente televisiva e l'"audience" della trasmissione attraverso la quale si è consumato l'illecito” (Tribunale Roma, 04 gennaio 2006, n. 103). Nel caso in esame, ai fini della quantificazione dovrà tenersi conto non solo del ruolo rivestito dalla persona danneggiata, oramai defunta, ma anche del rilievo sociale e politico assunto dagli attori in ragione dell’attività pubblica e professionale svolta anche all’epoca dei fatti, della gravità dei fatti e della diffusione della trasmissione televisiva che ha avuto un elevato indice di ascolto. 14 www.civilecontemporaneo.com Nella valutazione, tuttavia, non può essere trascurata la circostanza che nelle versioni dell’opera diffuse dall’Espresso è stato eliminato ogni riferimento all’on.le Mattarella e ciò elide fortemente la valenza offensiva della condotta, giacché attenua notevolmente la propagazione delle notizie infamanti, non più riprodotte dopo la prima versione andata in onda in televisione. Indi, il Tribunale ritiene congruo determinare la misura del risarcimento in euro 7.000,00 per ciascuno degli attori, ai valori monetari correnti, già comprensivi di interessi e rivalutazione monetaria, oltre interessi al saggio legale con decorrenza dalla data della presente sentenza sino al dì dell’effettivo pagamento, e ciò anche in totale carenza di prova. Difatti, deve essere richiamato il condivisibile orientamento della Suprema Corte che, in rigorosa aderenza ad un principio fondamentale informatore del diritto civile, onera la parte che richiede il riconoscimento giudiziale di un proprio diritto della prova della sua esistenza “il danno risarcibile ex art. 2059 c.c. è sempre un danno conseguenza. Ciò comporta che esso vada provato, non essendo ammissibile la ritenuta esistenza di tale danno, anche se conseguente a reato, come danno in re ipsa. Ovviamente nell'ambito delle prove per l'esistenza di tale danno non patrimoniale il giudice potrà avvalersi anche della prova presuntiva. Nè può farsi ricorso alla liquidazione equitativa, inidonea a surrogare l'assolvimento dell'onere della prova in ordine all'esistenza del concreto pregiudizio".(Cass. sez. III, Ord., 12.4.2011 n. 8421, in motivazione). Pertanto, in mancanza di estensione della domanda di condanna nei confronti della terza chiamata ad opera degli attori, in accoglimento della domanda proposta, la Reti Televisive Italiane R.T.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, deve essere condannata a pagare loro la somma di euro 7000,00 ciascuno, oltre interessi legali dalla data della domanda fino al soddisfo. In accoglimento della domanda di garanzia la TAODUE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, dovrà essere condannata a rivalere la Reti Televisive Italiane R.T.I. s.p.a. per ogni somma che la stessa sarà tenuta a pagare in virtù di questa sentenza. Deve ora statuirsi in ordine alla domanda, formulata da parte attrice, tesa ad ottenere la condanna del convenuto alle spese di pubblicazione per estratto della sentenza su due quotidiani a diffusione nazionale e su due quotidiani a diffusione regionale. Va osservato al riguardo che l'art. 120 c.p.c. consente al giudice, su istanza di parte, di ordinare a cura e spese del soccombente la pubblicazione della decisione di merito nei casi in cui ciò può contribuire a riparare il danno. Trattasi di un potere discrezionale del 15 www.civilecontemporaneo.com giudice di merito che si esplica “in ordine alle modalità ed estensione della pubblicazione della sentenza, nonché alla scelta del giornale, nei casi in cui ne sia riconosciuta l'utilità per la riparazione in forma specifica del danno, (e che) trova un limite solo nella esigenza di razionalità ed adeguatezza della pronuncia e nel divieto di ultrapetizione, in relazione al quale il giudice non può ordinare la pubblicazione, se questa non è stata richiesta, o imporre una pubblicazione integrale della sentenza, se questa è stata richiesta per estratto, o in più giornali e per più volte consecutive, quando questa è stata richiesta solo in un giornale o per una sola volta” (Cass. 2491/1993. V. anche Cass. 1608/2001). La pubblicazione della sentenza di condanna ai sensi dell'art. 120 c.p.c. (come quella prevista dall'art. 186 c.p.) opera quale risarcimento in forma specifica, dovendosene riconoscere la elevata efficacia riparatoria dell'onore e della reputazione dell'offeso (cfr. Cass. 2491/1993 cit.) Nel caso in esame, non si ritiene di accogliere la relativa domanda, stante la limitata diffusione della fiction e la mancata riproduzione delle scene, così come censurate dagli attori nelle versioni successivamente distribuite. In ossequio alle regole della soccombenza, la società convenuta dovrà essere condannata a rimborsare a parte attrice le spese del giudizio che si liquidano come in dispositivo, disponendosi la compensazione tra la Reti Televisive Italiane R.T.I. s.p.a. e la TAODUE s.r.l. in assenza di soccombenza, non avendo resistito alla domanda di garanzia proposta. P.Q.M. Il Tribunale, ogni contraria istanza ed eccezione respinta e definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento delle domande proposte con atto di citazione notificato in data 24 aprile 2008, condanna la Reti Televisive Italiane R.T.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a Sergio Mattarella, Bernardo Mattarella e Maria Mattarella la complessiva somma di euro 7.000,00 ciascuno, oltre gli interessi legali dalla data della sentenza fino al soddisfo; condanna la Reti Televisive Italiane R.T.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare agli attori le spese del giudizio che si liquidano in euro 3600,00, di cui euro 348,00 per spese, oltre IVA e CPA come per legge; 16 www.civilecontemporaneo.com condanna TAODUE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, a rivalere la Reti Televisive Italiane R.T.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, di ogni somma che sarà tenuta a pagare in forza di questa sentenza; compensa tra la Reti Televisive Italiane R.T.I. s.p.a., e la TAODUE s.r.l. le spese del giudizio. Così deciso a Palermo in data 3 ottobre 2013. Il Giudice Dott.ssa Sebastiana Ciardo 17
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