CATHOLICA 14 Agesci. Scout alla Route nazionale dalla Terra dei fuochi, «una storia di coraggio» ANTONIO MARIA MIRA Insieme ai ragazzi campani l’impegno di rover e scolte toscani, umbri e veneti. Tra «lavoro» al mercato e servizi di autolavaggi Mercoledì 6 Agosto 2014 INVIATO A BASTIA UMBRA (PERUGIA) N ella chiesetta del Santissimo Salvatore sull’Isola Maggiore un grande lenzuolo bianco lentamente si colora a rappresentare il golfo di Napoli, col Vesuvio e un bel sole. È l’inizio della "storia di coraggio" che i rover e le scolte del clan Afragola 3 hanno portato alla Route nazionale. Storia della loro terra, storia della "terra dei fuochi". Coraggio di essere cittadini attraverso la denuncia che i ragazzi campani raccontano con un’intensa e commuovente rappresentazione, con parole e danza mentre la canzone di Pino Daniele Terra mia inonda la piccola chiesa che ci ospita. Un grido di dolore e d’amore quello di questi ragazzi che vanno a coprire di vernice nera il disegno di Napoli a rappresentare i fumi velenosi dei rifiuti. «Abbiamo deciso di raccontare con emozione il nostro dramma ma non ci fer- miamo alla denuncia perché pensiamo sia necessaria una corretta informazione su questo problema». Conoscono bene l’impegno di Avvenire per la "terra dei fuochi" anche perché da un anno la domenica distribuiscono il giornale. Una forma di autofinanziamento anche per la Route che ha permesso loro di conoscere meglio il nostro lavoro. Ed ora anche loro, dopo aver contattato il Comune e trovato una buona collaborazione, si danno da fare con un volantino che vuo- le informare i concittadini non solo sui problemi ma anche su come fare meglio raccolta differenziata. In spirito di servizio. Così come le attività di autofinanziamento degli altri clan. Impegno e fantasia. I ragazzi dell’Orentano 1 hanno pesato i cocomeri al mercato, fatto i camerieri in divisa scout ai matrimoni, lavorato per 45 giorni alla sagra della pizza. Lo Zeminiana 1 ha organizzato proiezioni di film per bambini con tè e dolci fatti in casa, ha fat- L’ultimo dono di Paolo VI to la raccolta differenziata dei rifiuti alla festa dello sport e realizzato il torneo di scout ball al quale partecipano squadre di tutta l’Italia e che ha coinvolto l’intero paese. Il Perugia 5 ha proposto il car wash durante le Messe, ha pulito i giardini, imbiancato la casa di riposo, svolto traslochi e altri lavori pesanti. Così alla fine per la Route non hanno pesato quasi niente sulle famiglie. E anche questo è servizio. © RIPRODUZIONE RISERVATA Testimonianza Il 6 agosto 1978 la morte. L’Angelus che non potè pronunciare Giudice: mi scoprii più povero e solo Per la prima volta mi sentii orfano MARCO RONCALLI GIUSEPPE GIUDICE* a raccontato chi gli stava vicino che desiderava morire senza agonia. Voleva che la sua vita si spegnesse senza riflettori, lontano dalle veglie di popolo che si erano viste con papa Giovanni. Aveva pregato Dio di consentirgli un addio in solitudine. Fu esaudito. Paolo VI, che il prossimo 19 ottobre sarà beatificato, salì alla casa del Padre, quasi all’improvviso, ma preparato al distacco. Era il 6 agosto 1978, papa Montini si trovava a Castel Gandolfo, la sveglia segnava le 21.40. La vicinissima via Appia era gremita di auto di vacanzieri ignari, ancora per poche ore, come il mondo intero, di quanto era accaduto. Ed era un giorno particolare, di grande significato simbolico, quello della Trasfigurazione, festa prediletta da Montini che sotto quella data aveva pubblicato la sua prima enciclica, l’Ecclesiam Suam. Insomma, quasi un sigillo, come era accaduto a papa Roncalli spentosi il lunedì di Pentecoste, 3 giugno 1963, o a Giovanni Paolo II, morto alla vigilia della festa della Divina Misericordia, il 2 aprile 2005. «Ecco, fratelli e figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. "Fidem servavi"! (Ho conservato la fede) possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito il "santo vero"..». Così, nell’ultima omelia in San Pietro, il precedente 29 giugno, nel XV anniversario della sua incoronazione consapevole di una vita «volta al tramonto», aveva lui stesso indicato la cifra del suo servizio sulla cattedra di Pietro, elencando e ribadendo tutti documenti del suo magistero. E il giorno seguente, scrivendo al fratello Lodovico lo ringraziava per le parole augurali «giunte gratissime» con «una consonanza spirituale» – confidò – «che l’ora del vespro, del mio, s’intende, rende più assidua ed interiore». Come osserva Ennio Apeciti nella parte riguardante il pontificato del volume appena edito dall’Istituto Paolo VI insieme a Studium "Paolo VI, una biografia" a cura di Xenio Toscani (568 pagine, 26 euro), il Papa avvertiva l’imminenza della fine della sua vita terrena e in un appunto personale aveva annotato: «Vigilia finale - Dilexit me. Tutta la mia vita fu una prodigalità di benefici divini - Parce mihi - Cupio dissolvi. Non per delusione, né per stanchezza, ma per albeggiante amore dell’incontro aperto con Cristo. La progressiva mancanza di forze fisiche e mentali deve essere interpretata come una chiamata al supremo amore: in finem dilexit; H non come un’abdicazione dalla vera vita». In ogni caso, sino all’ultimo, come documentano anche le altre parti della nuova biografia (nella quale Toscani editore di preziosi carteggi illustra il periodo bresciano e il decennio fucino, Fulvio De Giorgi il Montini in Segreteria di Stato, Giselda Adornato l’episcopato milanese), Paolo VI visse animato da quella passione apostolica che sempre l’aveva spinto al servizio alla Chiesa e agli uomini sostenuto dal dialogo. È quanto emerge pure in moltissime testimonianze raccolte nel processo di beatificazione e nella Positio su- Il fatto Nel testo preparato per la festa della Trasfigurazione il richiamo alla «sorte incomparabile che ci attende» Il ricordo di Macchi e Capovilla per virtutibus resa accessibile dopo la dichiarazione dell’eroicità delle virtù alla fine del 2012. Tornando invece al testo preparato per l’Angelus di quel 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo, che non poté pronunciare, ma secondo il suo suggerimento fu letto ai fedeli radunati a mezzogiorno nel cortile del Palazzo Apostolico, ecco tornare a stagliarsi, nitida, la sua profonda riflessione. Tutta concentrata su quel mistero del Signore che «getta una luce abbagliante sulla nostra vita quotidiana e ci fa rivolgere la mente al destino immortale che quel fatto in sé adombra» perché «fa vedere anche il trascendente destino della nostra natura umana» che parteciperà della «pienezza della vita». «Una sorte incomparabile ci attende – si legge ancora nel testo – se avremo fatto onore alla nostra vocazione cristiana: se saremo vissuti nella logica consequenzialità di parole e di comportamento, che gli impegni del nostro battesimo ci impongono». Non è tutto, quelle parole tornano nella loro bruciante attualità non dimenticando, ad esempio «i disoccupati, che non riescono a provvedere alle crescenti necessità dei loro cari con un lavoro adeguato alla loro preparazione e capacità», né «gli affamati, la cui schiera aumenta giornalmente in proporzioni paurose; e tutti coloro, in generale, che stentano a trovare una sistemazione soddisfacente nella vita economica e sociale». Un Angelus da riscoprire come l’ultimo dono di un papa morto «mormorando il nome del Padre, affidando e consacrando in Lui», – così nella biografia "Paolo VI nella sua parola" firmata dal segretario monsignor Pasquale Macchi appena rieditata dalla Morcelliana (416 pagine, 25 euro) - «la conclusione della vita terrena e l’aprirsi di quella eterna». Un Pontefice – si legge nella nuova postfazione a questo volume scritta dal cardinale Loris Capovilla – preoccupato circa le sorti delle Chiese cristiane e dell’intera famiglia umana. E che un giorno gli aveva confidato: C Paolo VI benedice al termine della recita dell’Angelus «Mi sta molto a cuore la pace interiore della Chiesa, alla quale mi preme sia assicurato il generoso fermento del Concilio ecumenico nell’integrità dell’autentica fede e nella coesione della carità e della disciplina. E non meno mi sta a cuore la pace civile e sociale del mondo». «Lo disse con forza e con pena quel "mi sta a cuore"», postilla il porporato già contubernale di san Giovanni XXIII. E aggiunge: «Ora egli prega perché questo impegno stia a cuore a tutti noi». © RIPRODUZIONE RISERVATA Ecclesiam Suam, un atto d’amore ETTORE MALNATI inquant’anni fa, il 6 agosto 1964 veniva promulgata Ecclesiam Suam la prima enciclica di Paolo VI, di cui è prossima la beatificazione. Quel documento, a un anno dalla elezione a vescovo di Roma di Giovanni Battista Montini dopo la ripresa del Concilio Vaticano II, fu una indicazione rispettosa ma di qualità sul mistero della Chiesa e sullo stile per una evangelizzazione coerente ed incisiva. Il contesto in cui è scaturita l’enciclica sta nel- C aro direttore, nel Vespro trasfigurante di una calda sera romana, il 6 agosto 1978, mentre pregava e soffriva, il Risorto prese con sé, sul monte Tabor, papa Paolo VI. Quella sera mi sentii più povero, più solo, più nudo. Fu la sera in cui, per la prima volta, capii cosa vuol dire essere orfani: se ne andava il Padre di tante giornate, il fratello, l’amico, il compagno sulle strade della fede. Se ne andava colui che aveva aperto pagine meravigliose, ormai scritte per sempre nella storia della Chiesa. Scoprii così che la solitudine è uno spazio vuoto, che può essere riempito soltanto dal silenzio di Dio. E la voce del Signore si fece vita attraverso la morte di papa Paolo. Sentii veramente, e in modo nuovo, la Chiesa, comunità sempre e nuovamente convocata dallo Spirito del Risorto. Furono quelli giorni in cui tutti imparammo ad attendere il Signore, che viene nelle sue stagioni. Imparammo ad amare di più la Chiesa. Immensamente. Con cuore verginale. Uscimmo dal privato, dai poveri e anche meschini progetti di provincia. Respirammo la Chiesa: una, santa, cattolica, apostolica. Furono veri giorni della Chiesa, da papa Paolo teneramente amata e rinnovata nei solchi, bagnati anche di sudore e di lacrime, del Concilio. Ascoltammo le parole di fuoco Il vescovo di Nocera del suo Testamento. GuarInferiore-Sarno: dammo la baricordarlo, vuol dire ra adagiata per me, ripartire ogni sulla povera terra. Il cero giorno per non tradire pasquale ci il suo insegnamento svelò la realtà della morte, e e costruire la Chiesa le pagine del Vangelo, sfogliate dal vento, ci parlarono di eternità. Sentimmo lo Spirito alitare su di noi, come il vento, senza sapere da dove venisse. Anche noi, quella sera, fummo trasfigurati: ci sentimmo più buoni, più amici, più uomini, più cristiani. Ci sentimmo nuovi. E io scoprii il Signore, donato in uomini grandi, semplici, mai mediocri. Uomini, fatti da Lui, accanto ai quali bisogna vibrare, dinanzi ai quali non si può rimanere indifferenti. Uomini santi, della santità feriale e quotidiana. Seppi con certezza che papa Paolo era, è, e sarà sempre uno di loro. Per questo non mi vergognai di piangerlo. Fu un modo per dirgli grazie, per amarlo ancora e per sentirlo ancora con noi. Ricordarlo, mentre procediamo verso la beatificazione, vuol dire per me, oggi vescovo, guardare avanti, camminare sapendolo compagno nella comunione dei santi; ripartire ogni giorno per non tradire il suo insegnamento e costruire la Chiesa. Vuol dire amare di più la Chiesa, la Pellegrina del Signore nella storia; questa Chiesa, da lui intensamente e teneramente amata. Sento che papa Paolo, a cui devo tanto della mia vocazione, ci accompagna ancora nella Chiesa, che fu sua, che è nostra; e ci spinge a camminare su quei sentieri che egli ha percorso e che, grazie a lui, oggi sono meno aspri e insicuri. *vescovo di Nocera Inferiore-Sarno mosi tre cerchi, con chi dialogare: a) con tutto le attese di Montini che chiese nel periodo preciò che è umano , anche con chi nega Dio e coparatorio del Concilio che questo si concenloro che hanno responsabilità delle nazioni per trasse sulla Chiesa e sulla missione nel moncostruire sentieri di pace; b) con tutti i credenti do moderno. Divenuto Papa e aperta la sein Dio, principalmente con quelli che seguoconda Sessione nel 1963 i dibattiti e gli interno la religione ebraica e i mussulmani cioè le venti dei Padri sottolineavano un’esigenza di grandi religioni monoteiste e poi con ogni reaggiornamento sul modo di recepire la Chieligione. Qui ci sono le sa e il suo apostolato. basi per quella attenQuest’enciclica nel zione interreligiosa che prologo e nei suoi tre capitoli fa sentire tutta Cinquant’anni fa veniva pubblicata sarà poi una delle scelte del Concilio e di Giola preoccupazione di la prima enciclica di Montini Paolo II; c) con Paolo VI che la Chiesa Al centro il mistero della Chiesa vanni tutti i cristiani dagli or«approfondisca la cotodossi ai protestanti. scienza di se stessa… e lo stile dell’evangelizzazione Questi sentimenti e sopra la propria origiconvinzioni di cui è fone, la propria natura, riera l’enciclica Ecclela propria missione, la propria sorte finale». Da questo approfondisiam Suam furono già espressi da Montini quamento – dice Paolo VI – deve emergere «un bili suggerimenti fatti giungere alla Segreteria di sogno generoso di rinnovamento e di emenStato nella fase preparatoria del Concilio. damento dei difetti… che quella coscienza deA queste attenzioni Paolo VI fu fedele per tutnuncia e rigetta» e individuare modo e struto il suo ministero petrino e oggi la Chiesa bementi perché la Chiesa sappia stabilire «relaneficia con papa Francesco del coraggioso imzioni col mondo che la circonda e in cui essa pulso dato da questo "povero cristiano" - per vive e lavora». dirla con Ignazio Silone - quale stile per la nuoL’enciclica esorta a sviluppare la teologia del va evangelizzazione. Corpo mistico riconoscendo nella Chiesa lo © RIPRODUZIONE RISERVATA stesso Cristo. In tal senso riporta il pensiero di sant’Agostino: «Noi [con il Battesimo] siamo divenuti Cristo. Poiché se Egli è il capo, noi siaL’ANNIVERSARIO mo le membra: l’uomo totale, Lui e noi». Poi il Concilio lo recepirà nella Lumen Gentium che sarà votata e promulgata nell’autunno del 1964. Ma il punto di spessore di questa enciclica oltre al Rinnovamento al cap. II, dove chiede la costante perfettibilità dei cristiani, è nel capitolo sul Dialogo come stile della Chiesa Un anniversario «speciale» quello che si celequale scelta per «la missione che la Chiesa debra oggi a trentasei anni dalla morte di papa ve compiere con la diffusione dell’annuncio». Paolo VI nella residenza estiva di Castel GanPaolo VI afferma con chiarezza «la Chiesa dedolfo. Infatti tra pochi mesi, precisamente il 19 ve venire a dialogo con il mondo in cui si troottobre prossimo, papa Montini verrà elevato va a vivere» pur non essendo del mondo. Qui agli onori degli altari con la beatificazione al vengono poste le basi della comunione intetermine del Sinodo dei vescovi. Duplice l’aprecclesiale nella chiarezza e nella mitezza. Di puntamento previsto per oggi in ricordo del questo saranno poi testimoni Benedetto XVI e Pontefice che portò a conclusione il Concilio papa Francesco, ciascuno focalizzando uno di Vaticano II, aperto dal suo predecessore Gioquesti aspetti. Chiede Paolo VI di non abbasvanni XXIII (canonizzato lo scorso 27 aprile assare la guardia «nell’avvicinare i fratelli nelsieme a Giovanni Paolo II, che fu il secondo sucl’interesse della verità». Delinea poi, con i fa- © RIPRODUZIONE RISERVATA Il ricordo nella Basilica di San Pietro e nella sua Brescia Messe del cardinale Re e del vicepostulatore Lanzoni cessore di Paolo VI nel 1978 dopo il brevissimo pontificato di Albino Luciani) e resse il timone della Chiesa per quindici anni. Alle 16 al Santuario di Santa Maria della Grazie a Brescia sarà celebrata una Messa presieduta da don Antonio Lanzoni, che è il vicepostulatore della causa di beatificazione del venerabile Paolo VI. Un’ora più tardi, alle 17, ma nella Basilica di San Pietro a Roma sarà celebrata un’altra Messa presso l’Altare della Cattedra presieduta dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i vescovi.
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