Listeria e listeriosi nella filiera latte: breve rassegna

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Listeria e listeriosi nella filiera latte:
breve rassegna critica
V. GIACCONE1, G. BERTOJA2
1
Docente di “Ispezione e Controllo dei Prodotti alimentari di Origine animale”
Dipartimento di Medicina animale, Produzioni e Salute - Università degli Studi di Padova
Viale dell’Università, 16 - 35020 Legnaro (PD)
2
Servizio Veterinario “Igiene degli allevamenti e delle Produzioni zootecniche” ULSS 21 di Legnago (VR)
RIASSUNTO
La listeriosi è una malattia infettiva che può colpire sia l’uomo sia gli animali (da reddito e da compagnia). I ruminanti, in
particolare, sembrano essere i principali reservoir di questi microrganismi verso l’ambiente e i vegetali, e possono a loro volta essere fonte diretta di Listeria spp. per prodotti di origine animale quali le carni e il latte crudo. Da queste materie prime,
poi, il batterio può diffondere lungo le varie filiere alimentari ad altri prodotti, di origine sia animale sia vegetale. La diffusione di questi batteri agli alimenti per l’uomo è favorita anche dalla capacità di Listeria spp. di formare biofilm che ne favoriscono la sopravvivenza sulle superfici di lavoro all’interno delle industrie alimentari e possono condizionare la virulenza del
ceppo in causa.
I dati a nostra disposizione evidenziano, però, una forte divergenza tra il numero altissimo di isolamenti di Listeria da alimenti
e il ridotto numero di casi di listeriosi umana che ogni anno si registrano in Europa (circa 1.600 nel 2011). È probabile, quindi, che i ceppi di Listeria che circolano tra animali, ambiente, alimenti e uomo non siano dotati tutti della stessa virulenza.
Oggi sappiamo che la listeriosi animale e quella umana sono causate non solo da Listeria monocytogenes, ma a volte anche da
Listeria ivanovii e da L. innocua che si candidano a diventare futuri patogeni emergenti sullo scenario delle malattie alimentari umane. La listeriosi può manifestarsi nell’uomo con quadri clinici differenti secondo che colpisca soggetti normoergici o con
deficit di difese immunitarie. Di riflesso, la listeriosi può avere tassi di letalità che vanno da <2% nei normoergici a oltre il 3040% negli immunocompromessi.
Vista la diffusione di Listeria spp. negli animali da reddito, e in particolare nei ruminanti, il latte crudo e i prodotti lattiero-caseari possono essere un’importante fonte di infezione per le persone.
Questa rassegna fa il punto delle attuali conoscenze su Listeria e listeriosi, prendendo in considerazione i vari anelli della filiera produttiva del latte e dei prodotti derivati, valutando i vari aspetti che condizionano il rischio per l’uomo di contrarre listeriosi mangiando latte e prodotti caseari.
PAROLE CHIAVE
Listeria, listeriosi, latte crudo, malattie alimentari.
1. INTRODUZIONE
La listeriosi è una malattia infettiva che colpisce sia l’uomo
sia gli animali.
Gli animali da reddito e quelli da compagnia possono albergare listerie patogene e non patogene nel loro intestino, ma
mancano dati certi sulla prevalenza dei capi portatori sani all’interno delle singole specie animali.
Anche per l’uomo mancano dati precisi su quanti siano, fra
la popolazione, i portatori sani del batterio.
Di conseguenza, non è facile stabilire quanto gli animali possano contribuire alla diffusione di Listeria nell’ambiente e da
lì ai mangimi e agli alimenti per l’uomo.
Le listerie sono batteri piuttosto resistenti alle condizioni avverse e possono sopravvivere a lungo in varie nicchie ecolo-
Autore per la corrispondenza:
Valerio Giaccone ([email protected]).
giche, comprese le superfici di lavoro nelle stalle e nelle industrie della filiera lattiero-casearia.
La listeriosi è nel 95-99% dei casi una tossinfezione alimentare che l’uomo contrae mangiando alimenti che per
loro caratteristiche chimiche consentono la moltiplicazione
del patogeno, che può così arrivare a quella carica che chiamiamo “infettante”.
Solo nell’1-5% dei casi l’uomo contrae listeriosi stando a
contatto con animali vivi, a loro volta affetti da listeriosi, o
con le loro carogne. In questi casi, la listeriosi si configura
come un rischio biologico professionale per veterinari, allevatori, mungitori e macellatori1,2,3.
La listeriosi è una forma infettiva grave, con una letalità stimata che nei soggetti immunocompromessi può arrivare al
30-40% dei colpiti4. Tra gli animali da reddito, i ruminanti
sono probabilmente il maggiore serbatoio di diffusione del
patogeno verso l’ambiente e le filiere produttive di latte e
carne. Facciamo il punto delle attuali conoscenze su Listeria e listeriosi nella filiera produttiva del latte, dalla stalla alla tavola.
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2. LISTERIOSI ANIMALE
Negli animali la listeriosi è provocata, nella stragrande maggioranza dei casi, da Listeria monocytogenes; di anno in anno
diventa, però, sempre più consistente la quota di casi di metrite e aborto causati anche da Listeria ivanovii 5.
Nel 2013 alcuni Autori6 hanno segnalato in Italia un caso di
listeriosi con lesioni cerebrali in un bovino adulto, sostenuto
con certezza da Listeria innocua. Si tratta al momento del primo e unico caso segnalato nel bovino. Un caso di listeriosi
mortale nell’uomo da L. innocua era stato segnalato nel 2003
da Perrin e coll.7 e fra gli animali un caso di meningoencefalite era stato individuato nel 1994 da Walker e coll.8.
In effetti nel 2012, in Brasile, Zanolli Moreno e coll.9 hanno
isolato ceppi di Listeria innocua “anomali” da tamponi ambientali fatti in macelli di suini e annessi laboratori di sezionamento delle carni. Questi ceppi, pur essendo stati
identificati come L. innocua presentavano alcuni caratteri
fenotipici propri di L. monocytogenes (in particolare, avevano capacità emolitica su agar sangue); nel genoma di questi ceppi i ricercatori brasiliani hanno individuato alcuni
geni (hly, inlA e inlB) che in L. monocytogenes determinano
la capacità del patogeno di colonizzare le cellule umane e
animali, inducendo l’infezione. Si può, quindi, concludere
che al momento le listeriosi animali sono causate nella
maggior parte dei casi da L. monocytogenes, più raramente
da L. ivanovii e L. innocua; i ceppi atipici di L. innocua sono una sorta di stadio evolutivo intermedio da batterio saprofita a potenziale patogeno per gli animali e probabilmente anche per l’uomo (un futuro patogeno emergente in
campo alimentare, probabilmente).
3. ANIMALI PORTATORI SANI
DI LISTERIA
In letteratura non sono disponibili molti dati certi, sulla
prevalenza dei capi animali portatori sani di Listeria spp. e
L. monocytogenes. Per il bovino, Giaccone e coll.10 esaminando il contenuto intestinale di 284 vacche da latte, 462 vitelloni da carne e 206 vitelli (in totale, 952 capi controllati)
hanno isolato 84 ceppi di Listeria (8,8% di positivi) di cui 21
ceppi di L. monocytogenes (2,2% di positivi sul totale). Le
vacche a fine carriera sono risultate i maggiori portatori di
Listeria spp. (12,66%) rispetto ai vitelloni e ai vitelli. Questi
ultimi, invece, sono risultati i soggetti più positivi, in percentuale, per L. monocytogenes (5,34% sul totale dei capi
esaminati). Il dato relativo alle vacche è giustificabile se si
pensa al ruolo che gli insilati possono avere nell’alimentazione di questi soggetti, mentre per il dato dei vitelli si potrebbe ipotizzare che il loro essere funzionalmente dei monogastrici possa giocare un ruolo nella maggiore presenza di
L. monocytogenes nel loro contenuto intestinale. Il batterio,
in questo caso, non si troverebbe a fare i conti con l’ecosistema microbico ruminale.
Nel 2004 negli USA, Nightingale e coll.11 avevano rilevato
una prevalenza del 29,4% di portatori sani su 323 bovini esaminati; in Irlanda del Nord Madden e coll.12 hanno segnalato 10 capi positivi nelle feci su 220 bovini testati (una prevalenza di positivi del 4,8%). In Svezia Unnertad e coll.13 avevano stimato nel 6% la prevalenza dei portatori sani su 102
bovini esaminati e clinicamente sani. Per quanto riguarda
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ovicaprini e bufali, praticamente non abbiamo dati aggiornati in merito alla prevalenza dei portatori sani di Listeria e,
uscendo dal comparto produttivo lattiero-caseario, mancano
dati consolidati anche fra i suini e il pollame.
I segni clinici e le lesioni più tipici della listeriosi animale rispecchiano la capacità di Listeria spp. di attraversare con facilità le mucose e gli endoteli per diffondere nel sangue, e di
infiltrarsi nel citoplasma di vari tipi di cellule a partire da
monociti e linfociti, di cui si servono per diffondere meglio
nei vari distretti dell’organismo.
Da dove arriva, Listeria spp., agli animali? Il terreno agricolo e il contenuto intestinale degli stessi animali sono il maggiore serbatoio di diffusione di L. monocytogenes verso l’ambiente e da qui il patogeno può contaminare i vegetali. Il foraggio porta il microrganismo di nuovo nell’intestino degli
animali e ciò crea un circolo che sostiene la presenza del germe nell’ambiente agricolo e ne favorisce la diffusione. Le listerie sono tendenzialmente anaerobie e dotate di buona resistenza, per cui sopravvivono bene all’esterno degli animali (compreso il loro mantello) e trovano una nicchia di sviluppo preferenziale nei substrati dove c’è una certa anaerobiosi, come sono gli insilati. Va precisato, però, che le listerie
prediligono substrati a pH neutro o poco acido, per cui non
tutti gli insilati sono a rischio, ma solo quelli mal fermentati, che proprio per la non perfetta fermentazione lattica hanno un pH superiore a 5,0 che è il limite inferiore di duplicazione del batterio14.
È stato notato che nei ruminanti allevati la listeriosi tende a
manifestarsi soprattutto nei mesi più freddi, probabilmente
per il fatto che le listerie sono germi nettamente psicrotrofi
e possono duplicare anche a temperature prossime a 0°C
che bloccano, invece, la proliferazione di altre forme microbiche banali che potrebbero contrastare la crescita delle listerie. In genere la forma clinica della listeriosi si manifesta
a distanza di più di 10 giorni dalla prima infezione. Gli animali si possono infettare per via alimentare (nella maggior
parte dei casi è questa la via di penetrazione del batterio),
ma anche per via inalatoria, se nell’insilato le listerie hanno
moltiplicato tanto da raggiungere cariche molto elevate
(>107 ufc/g di insilato)15.
Nella listeriosi clinicamente evidente dei ruminanti prevalgono le lesioni del sistema nervoso centrale (meningite e/o
meningoencefalite); nelle femmine gestanti, si associano facilmente infezioni dell’apparato genitale gravido con metrite e placentite, le quali a loro volta giustificano la listeriosi del feto con morte in utero e aborto o natimortalità
dopo il parto.
Negli ovicaprini, specialmente, le forme neurologiche portano sovente alla comparsa di segni di maneggio, da cui il
nome generico che gli anglosassoni danno alla listeriosi
(circling disease). Le forme neurologiche che la listeriosi
provoca sono da tenere presenti, sul piano clinico, in fase di
visita ispettiva ante mortem dei ruminanti, come possibile
diagnosi differenziale con forme di encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE)16,17.
Anche nei suini prevalgono le forme neurologiche con segni
di depressione del sensorio, paresi dei muscoli facciali e movimenti di maneggio. Nei monogastrici in genere (compresi
i vitelli prima dello svezzamento) la listeriosi, oltre ai segni
clinici già elencati, può degenerare in forme di sepsi generalizzata. Nelle forme croniche, invece, prevalgono flogosi di
singoli organi come epatite e poliartrite54,55.
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Listeria e listeriosi nella filiera latte: breve rassegna critica
Nei ruminanti l’aborto da listeriosi di regola si manifesta nell’ultimo trimestre di gestazione e si concretizza senza che
l’allevatore possa apprezzare particolari segni premonitori. È
raro che le forme cliniche abortive siano associate nello stesso soggetto alle forme encefaliche16,17.
L’utero delle femmine adulte sembra essere uno degli organi bersaglio più tipici per Listeria; la metrite (che sovente
nelle femmine gestanti sfocia in placentite e aborto del feto)
può anche svilupparsi lontano dalla gestazione e durare per
mesi, in forma clinicamente silente o poco apparente. In
quest’arco di tempo le femmine possono diffondere le listerie all’esterno con gli scoli vaginali o anche col latte. Occasionalmente, Listeria spp. può anche causare una mastite
specifica, cui dedicheremo spazio in un prossimo punto di
questa stessa rassegna.
Negli animali normoergici l’infezione da Listeria decorre
per lo più in forma asintomatica o può occasionalmente
sfociare in qualche episodio di sepsi con diffusione ematogena e infezione intrauterina nelle femmine gravide (pericolo di aborto o natimortalità). Le listerie sono batteri entero-invasivi e una volta penetrate in circolo hanno un tropismo specifico per la mucosa intestinale, il midollo spinale e
la placenta. Sono stati descritti casi di listeriosi nei quali il
patogeno ha raggiunto il sistema nervoso centrale attraverso piccole ferite della mucosa orale o da focolai di carie dentaria (con risalita del patogeno all’encefalo attraverso le radici del nervo trigemino)54,55.
Come avviene per altri batteri patogeni per gli animali, gli
ovicaprini sembrano più sensibili dei bovini alla listeriosi. Le
forme encefaliche decorrono per lo più in forma acuta o acutissima negli ovini e nei caprini, mentre nei bovini la malattia può assumere anche un andamento più cronico e clinicamente poco evidente. Negli ovicaprini l’encefalite da L. monocytogenes o L. ivanovii può portare a morte i capi nel giro
di 24-48 ore dopo l’insorgere dei segni clinici, ma con una terapia efficace si può avere fino al 30% di guarigioni. Nei bovini, le guarigioni possono arrivare anche al 50% dei capi
colpiti15,16,17.
I segni clinici neurologici, in particolare, possono assumere
aspetti differenti secondo la parte di sistema nervoso più
colpito. Dopo una fase iniziale caratterizzata da anoressia e
depressione del sensorio, si potranno apprezzare segni di disorientamento, inclinazione della testa verso la parte encefalica colpita o movimenti di maneggio. I segni di paresi e paralisi facciale si manifestano con orecchio e labbro penduli,
deviazione del musello, palpebra calante dal lato che è stato
colpito. Si possono apprezzare anche mancanza di reazione
al segno di minaccia, scialorrea e accumulo di materiale alimentare a livello delle guance, per blocco della masticazione. Nelle forme più serie, gli animali possono manifestare
incapacità di stazione eretta, decubito a terra o movimenti
incoordinati.
4. LA MASTITE DA LISTERIA SPP.
L. monocytogenes e le altre listerie possono essere molto diffuse nell’ambiente ed è abbastanza probabile che il latte crudo possa risultare contaminato da questi patogeni per inquinamento intra- o post-mungitura, ma il riscontro di Listeria
nel latte crudo potrebbe anche essere la spia di una forma infettiva specifica della mammella della lattifera. I pochi dati
che troviamo in letteratura su casi specifici di mastite da L.
monocytogenes confermano che questa flogosi è piuttosto rara, rispetto alle forme da streptococchi o stafilococchi, ma
dalla bibliografia emergono alcuni aspetti interessanti:
(1) il frequente isolamento di L. monocytogenes o di altre listerie dal latte crudo contrasta con la rarità delle forme
cliniche di mastite specifica che sono diagnosticate,
(2) ciò porta a chiedersi se queste discrepanze siano da attribuire al fatto che la mastite da L. monocytogenes è effettivamente molto rara o se, piuttosto, si tratti di difficoltà diagnostiche, per cui una parte delle mastiti sfugge
al rilevamento di allevatori e veterinari,
(3) a parziale giustificazione di chi opera sul campo, va anche ricordato che la mastite da L. monocytogenes per lo
più decorre in forma clinicamente silente o cronica, con
segni non particolarmente evidenti, per cui il suo riscontro è per lo più occasionale,
(4) non sempre l’analisi del latte dei singoli quarti mammari sospetti di mastite porta all’isolamento del batterio
anche perché quest’ultimo sfrutta la sua capacità di restare chiuso all’interno delle cellule somatiche, per cui
non sempre l’analisi batteriologica del latte crudo di
massa o di quello dei singoli soggetti è in grado di svelarne la presenza, se non si adottano opportuni accorgimenti in fase analitica,
(5) sovente le mammelle infette da Listeria eliminano il batterio in basse cariche col latte (anche meno di 10 ufc/ml)
e ciò può ostacolare il rilevamento del patogeno nel latte di massa e persino in quello delle singole lattifere, se
non si adotta una procedura di arricchimento in fase di
coltura.
A quanto emerge dalla bibliografia, la mastite da L. monocytogenes (se e quando viene riconosciuta) è piuttosto ostica
da curare perché sembra che le normali terapie antibiotiche
non sortiscano grandi effetti. Se a ciò aggiungiamo che col
passare degli anni si stanno diffondendo ceppi di L. monocytogenes resistenti agli antibiotici, è facile intuire come la
terapia di simili casi clinici sia complicata e che una delle
poche terapie efficaci, anche se radicale, sia quella di escludere la lattifera dalla produzione e avviarla a macellazione18,19,20,21,22,23,24.
5. LISTERIOSI UMANA
Nel 95-99% dei casi l’uomo contrae listeriosi mangiando cibi (soprattutto alimenti pronti al consumo) nei quali il batterio patogeno è riuscito a moltiplicare e a raggiungere una
carica microbica sufficiente per innescare l’infezione che può
poi degenerare in malattia evidente. Dal 2008 al 2011 in Europa i casi di listeriosi umana si sono mantenuti su valori
pressoché uguali da un anno all’altro, oscillando intorno ai
1.400 casi l’anno, contro gli oltre 200.000 casi di campylobatteriosi e i 109.000 casi di salmonellosi25,26.
Va sfatata la diffusa convinzione secondo cui le Listeria patogene sono dei batteri opportunisti e che causano infezione e
malattia solo nei soggetti con deficit delle difese immunitarie. La listeriosi in realtà colpisce anche i soggetti normoergici, solo che la malattia si manifesta con sintomi nettamente
differenti secondo le resistenze immunitarie del paziente.
Nelle persone con normali livelli di immunità la listeriosi decorre sovente come infezione silente, senza sintomi apprez-
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zabili. In alcuni casi si possono rilevare forme simil-influenzali con mialgia, dolori articolari, depressione e facile affaticabilità, febbre moderata. Solo in pochissimi soggetti normoergici la malattia si manifesta con sintomi di forte gastroenterite, febbre alta, diarrea profusa, ma non emorragica24. Nei soggetti ipoergici, invece, l’infezione da Listeria degenera sovente in forme di enterite, meningite o meningoencefalite associate a febbre alta27.
La letalità della listeriosi è un riflesso di questi aspetti: in genere è inferiore al 2% dei soggetti colpiti nei normoergici
mentre può superare anche il 40% nelle persone con deficit
delle difese immunitarie. In questi pazienti la letalità attesa è
in media del 17%, ma può arrivare anche al 40% dei colpiti.
Questo dato fa della listeriosi una delle malattie alimentari
più letali, più del botulismo che oggi ha una letalità stimata
del 10-15%28,29.
Nell’uomo con normali difese immunitarie la carica infettante minima stimata, negli alimenti, è di almeno 104 ufc/g,
mentre per i soggetti con basse difese immunitarie la carica
infettante minima può anche essere inferiore a 103 ufc/g di
alimento30.
6. CARATTERI DI VIRULENZA
DI LISTERIA
Gli agenti della listeriosi umana e animale sono annoverati
nel genere Listeria che a sua volta fa parte della famiglia Listeriaceae. Il genere conta, ora, dieci specie. Cinque sono
“classiche”: monocytogenes, ivanovii, innocua, welshimeri e
seeligeri; una (L. grayi) è una specie di sede incerta perché
non tutti i microbiologi sono concordi nel considerarla una
vera Listeria. Negli ultimi tre anni, poi, sono state riconosciute altre quattro “specie nuove” di cui al momento sappiamo pochissimo: L. marthii, L. rocourtiae, L. fleishmannii e L.
weihenstephanensis.
C’è una forte discrepanza tra il frequente isolamento di L.
monocytogenes e di altre sue consimili dagli alimenti e il numero relativamente basso di casi di listeriosi umana che si
verificano ogni anno (in Europa se ne sono registrati 1.601
nel 2010 e 1.476 nel 2011). Ciò porta ad ammettere che per
nostra fortuna non tutti i ceppi di L. monocytogenes sono dotati della stessa virulenza nei confronti dell’organismo umano. La virulenza che i vari ceppi di Listeria possono esprimere dipende in parte dalle caratteristiche di resistenza del patogeno e in parte dal possesso nel DNA di alcuni specifici geni che sono hlyA, actA, inlA e prfA. Questi geni codificano nel
batterio la sintesi di enzimi e fattori proteici che facilitano la
penetrazione e la persistenza del germe nel citoplasma delle
cellule eucariote, una capacità che permette a L. monocytogenes e ad altre Listeria patogene di diffondere all’interno dell’organismo viaggiando dentro monociti e linfociti e sfuggire alle aggressioni del nostro sistema immunitario.
In base alla composizione antigenica, L. monocytogenes conta
una quindicina di sierotipi. I dati epidemiologici ci confermano che il 90% degli episodi di listeriosi umana che si registrano nei Paesi occidentali industrializzati è provocato essenzialmente dai sierotipi 1/2a, 1/2b e 4b, ma anche 5 e 6.
Questi dati di fatto hanno portato vari ricercatori a concludere che la capacità del batterio di provocare infezione nell’uomo fosse connessa al sierotipo. Questa linea di pensiero, tuttavia, sta perdendo di valore. Grazie alle analisi condotte sul
283
genoma dei ceppi isolati da differenti casi di listeriosi umana
emerge che la virulenza del batterio dipende da una serie di
fattori non automaticamente correlati al sierotipo. Nel mondo gli episodi di listeriosi umana sono causati per la maggior
parte dai sierotipi 1 e 4 perché questi sono in assoluto quelli
più diffusi in tutti i continenti, a parte il Giappone29. Al momento si ammette che i sierotipi di L. monocytogenes abbiano
una virulenza che varia da un sierotipo all’altro, ma che potenzialmente siano tutti ugualmente pericolosi per l’uomo.
Inoltre è un errore pensare che in base al sierotipo possa variare anche la gravità del quadro clinico della listeriosi, che invece è condizionato prevalentemente dalle resistenze immunitarie del paziente. Alcuni studi sperimentali ipotizzano,
piuttosto, che uno stesso ceppo di L. monocytogenes possa attenuare o accentuare la propria virulenza passando da un organismo animale all’ambiente esterno e viceversa52,53.
In sintesi possiamo, quindi, confermare che:
(1) non esistono ceppi di L. monocytogenes “tipici” degli animali e altri “propri” dell’uomo,
(2) i ceppi responsabili di listeriosi animale non manifestano un tropismo particolare per una specie rispetto alle
altre,
(3) esistono identità genomiche tra ceppi responsabili di listeriosi animale e altri responsabili di malattia nell’uomo, gli alimenti di origine animale sono un importante
veicolo di trasmissione di questi ceppi dal mondo animale a quello umano,
(4) la resistenza del batterio nell’ambiente esterno favorisce
la grande diffusione, ed è possibile che ceppi di origine
animale inquinino anche ortaggi e frutta, facendo sì che
anche questi alimenti diventino un importante veicolo
di infezione alimentare umana.
Le listerie sono anche capaci di resistere agli effetti antimicrobici dei sali biliari riversati dal fegato nell’intestino: questa capacità è legata a due differenti sistemi chiamati BSH e
BilE. Nel primo alcuni geni specifici codificano nel batterio
la sintesi di un enzima che scinde i sali biliari (Bile Salt Hydrolase). Nel sistema BilE, invece, geni specifici codificano
l’espulsione al di fuori del batterio dei sali biliari già assorbiti (Bile Exclusion System)31,32.
Il fatto che L. monocytogenes sia in grado di resistere meglio
di altri batteri alle condizioni avverse presenti nei vari substrati è condizionato dalla capacità del microrganismo di
produrre essa stessa dei biofilm o di sfruttare i biofilm che altri microrganismi (come ad es. Pseudomonas e Flavobacterium) formano sulle mucose o sulle superfici inerti più disparate. L’insieme chimicamente attivo di questi ammassi di
batteri circondati da una sostanza mucopolisaccaridica specifica (chiamata EPS) permette ai microrganismi di resistere
molto bene a condizioni stressanti quali la mancanza di acqua e il contatto con sostanze disinfettanti33,34,35,36,37.
Come hanno accertato vari ricercatori, quando L. monocytogenes forma da sé dei biofilm o quando riesce a insinuarsi nei
biofilm di Pseudomonas (cosa che verosimilmente accade
spesso, visto la diffusa presenza di Pseudomonas sulle superfici di lavoro nelle industrie alimentari) il germe aumenta la
sua resistenza anche nei confronti di alcuni dei principali disinfettanti che si usano per sanificare gli ambienti di lavorazione degli alimenti, e in particolare nei confronti del benzalconio cloruro38.
Per quanto riguarda l’antibiotico-resistenza, anche per L.
monocytogenes sono stati segnalati ceppi che sono resistenti a
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uno o anche più gruppi di antibiotici, ma rispetto ad altri patogeni quali Salmonella e Staphylococcus aureus, possiamo
concludere che L. monocytogenes è ancora relativamente sensibile a un gran numero di principi attivi, ad eccezione di cefalosporine, fosfomicina e quinoloni di prima generazione,
verso i quali le listerie hanno sviluppato una spiccata resistenza intrinseca39,40. In medicina umana, per il trattamento
delle forme neurologiche (quelle più pericolose) si impiegano come prima scelta un’associazione tra un aminoglicoside
e un’aminopenicillina e come seconda scelta principi attivi
come il cotrimossazolo41.
È indubbio, comunque, che negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi che hanno evidenziato, nell’uomo, fra gli animali e negli alimenti il diffondersi di ceppi di L. monocytogenes resistenti a uno o più antibiotici42,43,44.
7. LISTERIA IN LATTE
E PRODOTTI CASEARI
Nei confronti del calore, Listeria è uno dei batteri non sporigeni più termodurici: per inattivarla bisogna portare l’alimento a oltre 70°C per almeno 30-60 secondi in tutti i suoi
punti. La normale “pastorizzazione alta” del latte, condotta a
72°C per almeno 15 secondi, è in grado di inattivare non meno di 5 gradi logaritmici di una carica iniziale di L. monocytogenes. Nel settore lattiero-caseario ciò significa che L. monocytogenes può essere presente nel latte crudo, ma che nel
latte pastorizzato e in quello UHT è ben poco probabile che
permanga, partendo dal concetto che i due trattamenti termici di produzione sono sufficienti per inattivare una carica
notevole del patogeno.
Per quanto riguarda i derivati del latte, la probabilità che
cellule di L. monocytogenes siano ancora vive nel prodotto al
momento in cui essi sono posti in commercio dipende dal
tipo di prodotto e di processo produttivo cui ognuno di essi viene sottoposto. In linea di massima, i prodotti caseari
fatti con latte crudo sono più a rischio di quelli fatti con latte pastorizzato e i prodotti freschi, da conservare in frigorifero, sono più a rischio di quelli molto stagionati. Bisogna,
infatti, tenere presente che la stagionatura e la maturazione
dei formaggi hanno un effetto antimicrobico nei confronti
dei batteri patogeni (L. monocytogenes compresa) per cui
non è automatico che un prodotto caseario fatto con latte
crudo sia sempre più a rischio di un prodotto fresco fatto
con latte pastorizzato.
Se passiamo in rassegna la bibliografia esistente, possiamo ricavare una serie di dati utili per trarre poi delle conclusioni.
Nel corso degli ultimi trent’anni sono stati registrati vari focolai di tossinfezione alimentare sostenuti da formaggi (freschi o semistagionati quali il Brie e il Vacherin Mont d’Or)
contaminati da L. monocytogenes. Si è stimato che quasi il
50% di tutti i focolai di listeriosi registrati negli ultimi decenni in Europa sia stato causato da L. monocytogenes. I dati
bibliografici confermano che le listerie possono sopravvivere
in substrati che contengono fino al 16% di sale. Ciò significa
che il patogeno può mantenersi vivo in vari tipi di formaggio
e persino duplicare, in quelli più freschi, meno stagionati e
che contengono minori quantità di sale. Tra i vari focolai di
listeriosi provocati dal consumo di latte crudo o prodotti lattiero-caseari segnalati negli ultimi anni, meritano menzione
almeno due grandi focolai che hanno coinvolto più Stati in-
sieme, uno provocato da latte crudo45 e uno da un formaggio
fresco, il Quargel 46.
L. monocytogenes può arrivare al formaggio per contaminazione da superfici di lavoro al momento della lavorazione,
ma sovente il batterio è già presente nel latte crudo di massa
per effetto di inquinamenti che provengono dal mantello
dell’animale in fase di mungitura.
In Malaysia Jamali e coll.47, su un totale di 446 campioni di
latte di massa crudo controllati, hanno individuato la presenza di Listeria spp. nel 21,7% dei campioni. La specie più
isolata è stata, logicamente, L. innocua che da sola formava il
58% di tutti i ceppi isolati. L. monocytogenes, invece, era presente in un altro 18,6% dei campioni positivi per Listeria.
In Estonia, Kramarenko e coll.48 hanno documentato in un
lavoro scientifico i risultati di controlli svolti su un totale di
21.574 campioni di vari alimenti, alla ricerca di Listeria spp.
Gli Autori estoni hanno evidenziato che 554 di quei campioni (il 2,6% del totale) erano positivi per L. monocytogenes. Il
batterio era significativamente più presente negli alimenti
crudi, quali carni, vegetali, latte e pesce.
Nel 2013 Ning e coll.49 hanno pubblicato i risultati di un’estesa indagine sulla presenza di L. monocytogenes nel latte
crudo prodotto in 15 Province della Cina tra il 2009 e il 2010.
Su un totale di 5.211 campioni di latte esaminati, le analisi
condotte con tecniche di PCR hanno evidenziato la presenza
di L. monocytogenes in 19 campioni provenienti da 9 province: una prevalenza dello 0,36% sul totale delle province controllate che ha portato gli autori cinesi a definire come “basso” il rischio di rinvenire L. monocytogenes nel latte crudo
prodotto in Cina.
Da vari riferimenti bibliografici emerge un dato che va tenuto in debita considerazione: nel 95% dei casi, L. monocytogenes è presente negli alimenti in cariche molto basse, inferiori
a 10 ufc/g o addirittura inferiori a 1 ufc/g. Ciò significa che
la presenza di questo patogeno in un alimento (in cariche
bassissime) non è automaticamente un pericolo concreto per
la salute di chi consuma un cibo, se quel cibo blocca la moltiplicazione del germe. Il rischio di contrarre una listeriosi,
infatti, diventa concreto solo quando L. monocytogenes riesce
a moltiplicare e a raggiungere quelle cariche sufficienti per
dare infezione e malattia.
L. innocua e L. monocytogenes sono spesso isolate da varie
superfici di lavoro all’interno delle industrie casearie. Per
citare alcuni dati, in Puglia Parisi e coll.50 hanno condotto
uno studio specifico visitando in totale 34 caseifici e prelevando in complesso 547 campioni da alimenti e superfici di
lavoro. Listeria spp. è stata isolata in 19 caseifici, ossia il
55,8% degli impianti controllati. Inoltre, il 20% delle superfici di lavoro risultate contaminate era positivo proprio
per L. monocytogenes. Le analisi condotte sul genoma dei
singoli ceppi di Listeria isolati, inoltre, hanno evidenziato
una notevole variabilità tra un ceppo e l’altro, segno che le
contaminazioni delle superfici di lavoro possono essere
provocate, nei caseifici, dalle fonti di contaminazione più
disparate.
In Algeria Bouayad e Hamdi51, studiando la prevalenza di Listeria spp. in vari tipi di alimenti pronti al consumo venduti
ad Algeri, su un totale di 227 campioni esaminati hanno isolato Listeria spp. nel 9,3% e L. monocytogenes nel 2,6%. È interessante notare che su 6 campioni di alimenti pronti al
consumo risultati positivi per L. monocytogenes, 3 erano di
formaggi molli o semi-stagionati.
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V. Giaccone et al. Large Animal Review 2013; 19: 280-286
8. CONCLUSIONI
Il genere Listeria va tenuto in seria considerazione da tutti coloro che si interessano di salute animale e umana. Esso annovera, infatti, batteri quali L. monocytogenes e L. ivanovii che
possono diventare agenti di pericolose infezioni sia degli animali da reddito che dell’uomo. Inoltre, cominciano a emergere prove sempre più consistenti sul fatto che anche altre specie di Listeria, come L. innocua, stanno acquisendo caratteri di
virulenza che prima non avevano, evolvendo come potenziali futuri patogeni sia in campo veterinario che come agenti di
malattia alimentare. Abbiamo anche visto che la listeriosi
umana è di solito una malattia di origine alimentare e che gli
animali da reddito possono giocare un ruolo decisivo nella
trasmissione del microrganismo alle derrate per l’uomo, come portatori sani. Abbiamo anche sottolineato che al momento non ci sono molti dati sulla prevalenza dei capi portatori sani di L. monocytogenes nell’intestino degli animali da
reddito, in particolare per ciò che riguarda gli ovicaprini e i
suini. Gli insilati non correttamente fermentati possono giocare un ruolo importante nella trasmissione di Listeria spp.
agli animali in allevamento, perché con le loro condizioni di
anaerobiosi e di pH non molto acido possono diventare una
nicchia ecologica di proliferazione di questi patogeni.
Nell’uomo la listeriosi è una malattia infettiva da non sottovalutare, visto che può raggiungere tassi di letalità anche
molto alti, soprattutto se gli alimenti contaminati arrivano a
persone affette da qualche deficit di difese immunitarie. Gli
alimenti freschi poco manipolati, tra cui il latte crudo, possono essere una fonte di trasmissione di L. monocytogenes all’uomo, ma anche gli alimenti trasformati possono diventarlo, se si tiene conto che il batterio può facilmente sopravvivere sulle superfici di lavoro nelle industrie alimentari. Ciò
che importa, primariamente, è che chi produce latte crudo e
chi poi lo deve trasformare abbiano sempre sotto controllo il
loro processo produttivo.
Secondo il concetto di “igiene delle produzioni alimentari”
oggi vigente, infatti, la sicurezza degli alimenti è condizionata anche dalle produzioni primarie (nel nostro caso, l’allevamento delle lattifere e il latte crudo che se ne ottiene) e la si
mantiene avendo sotto controllo giorno per giorno il processo di produzione, applicando regolarmente le Buone
Prassi di Allevamento e il Manuale di Autocontrollo secondo
la metodologia HACCP. Nel settore caseario, la corretta applicazione dei trattamenti di pastorizzazione e il mantenimento di congrui tempi di stagionatura e maturazione dei
prodotti fatti con latte crudo sono degli efficaci sistemi di
prevenzione del pericolo Listeria, così come lo sono, ovviamente, la corretta attuazione delle procedure di detersione/disinfezione e la stringente applicazione delle Good Hygienic Practices o Buone Prassi Igieniche di Lavorazione
(GHP o BPL) nelle fasi di mungitura, trasporto e ulteriori
manipolazioni del latte, fino alla corretta conservazione dei
prodotti finiti in fase di vendita al consumatore.
❚ Listeria and listeriosis in the milk
production’s chain: an up-to-date
SUMMARY
Listeriosis is a severe infectious disease which affects humans
as well as animals; in most cases the disease is caused by Liste-
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ria monocytogenes, but in some cases the same clinical features can also be induced by other Listeriae such as L. ivanovii
and L. innocua. L. monocytogenes and the other Listeriae are
widely distributed in nature because their intrinsic resistance
to the environmental stresses. They can be found on vegetables, water and soil, as well as in feces of domestic and wild
animals and in the close environment of animals. The main
reservoirs of Listeria spp. are the ruminants, but in literature
there are very few references about the percentage of healthy
carriers of Listeria among cattle, sheep and goat. Listeria spp.
may be recovered from a variety of animals and environments, and silages may be a good source of these pathogens to
ruminants. So the ruminants may be a vehicle of transmission
of virulent Listeria strains to humans, by means of raw milk
and dairy products which can contain Listeria. In lactating
cows, sheep and goats Listeria spp. may also cause a specific
mastitis, but the role of this form of mastitis remains unclear
in the diffusion of Listeriae to raw bulk milk. In animals the listeriosis often becomes invasive, resulting in severe clinical
outcomes such as encephalitis, meningitis, septicaemia and
spontaneous abortion during the last trimester of pregnancy.
In humans the listeriosis is for the 99% a foodborne disease
and the infection is a serious threat to vulnerable individuals,
such as pregnant women, the elderly, newborns and immunocompromised patients. Dairy products are an important
source of this pathogen. In fact L. monocytogenes has been isolated from a large variety of raw and processed dairy products
foods, including raw and pasteurized milk.
This brief review aims to give an up-to-date of the distribution of Listeriae and listeriosis among livestock (specially ruminants) as well along the milk production chain, emphasizing the role of raw milk and dairy products in the epidemiology of human listeriosis.
KEY WORDS
Listeria, listeriosis, milk, foodborne disease.
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