4 MARTEDÌ 18 MARZO 2014 reportage Se il confine non è più “amico” L ugano (dal nostro inviato) – I ratti arrivano molto presto di mattina. Neanche troppo silenziosamente. Non entrano di soppiatto, non si nascondono nei camion, non viaggiano sui barconi e neanche parlano tutte le lingue del mondo. I ratti viaggiano sui treni e, soprattutto, su automobili che, ripetutamente, ogni giorno, percorrono gli stessi chilometri che bordeggiano l’Italia con la Svizzera. Attraversano la frontiera alle prime luci dell’alba perché i controlli dei doganieri, non si sa mai, li trattengano più del dovuto ritardandone l’arrivo a destinazione. E si sa che, da queste parti, la precisione e la puntualità sono punte di diamante. I ratti hanno piccoli zaini, borse colorate e tante 24ore. Sono vestiti con tute, divise, completini d’ordinanza, tailleur, giacche e tante cravatte: non sono più soltanto operai, carpentieri, camerieri e manovali ma anche commesse, hostess d’albergo, avvocati, ingegneri, informatici e impiegati di banca. “Sono ovunque, proliferano e inquinano”, accusano i movimenti e partiti dell’estrema destra elvetica che, poco più di un mese fa, hanno portato a casa l’adozione di nuovi limiti alla libertà di circolazione (delle persone e non delle merci) che il Governo federale dovrà ora adottare. “Stop all’immigrazione di massa”, tuonava uno degli slogan più gettonati sui cartelloni stradali anti-immigrazione durante la campagna referendaria. Stop ai ratti che, questa volta, siamo noi: gli italiani frontalieri. C’è chi, da Varese, Como e Verbania (solo per fare un esempio) lo fa da mesi con contratti a tempo determinato e chi, invece, lo fa da anni. Sono emigranti di lusso, certo, senza valigie di cartone, parlano la lingua d’oltrefrontiera e conoscono alla perfezione il territorio che, da Lugano, arriva fino a Bellinzona e Locarno. Ma gli svizzeri, quelli che soffiano sul malcontento, li hanno ribattezzati in termini dispregiativi con tanto di una campagna avviata, diversi anni fa, quando i partiti anti immigrazione riuscirono a far passare l’assioma che gli italiani rubano il lavoro, erano la causa dell’aumento del traffico e portavano via risorse. “Oggi lo sono ancora di più”. E a sostenerlo c'è il partito di ultra-destra Udc ma c’è anche la Lega del Ticino e tanti piccoli gruppuscoli che rappresentano gli italiani come roditori sul formaggio svizzero. conquiste del lavoro Se l’isolamento non paga - Oggi, gli elvetici vivono un lieve aumento della disoccupazione, la crescita del Pil è data comunque oltre il 2 per cento ma il gettito fiscale del settore finanziario si è ridotto. Il risultato del referendum potrebbe rivelarsi un boomerang perché gli oltre 60 mila frontalieri italiani rappresentano una leva economica anche per il Pil nazionale e rispondono agli interessi delle imprese e alla natura di un mercato del lavoro molto flessibile. Eliminare il fenomeno, oltre che impossibile, è deleterio. La situazione del lavoro migratorio in Ticino (dove i frontalieri occupano un terzo dei posti) non è la stessa a Basilea o a Ginevra che, in particolare, è una città sede di tante organizzazioni, banche e aziende internazionali a cui deve parte della sua ricchezza. Ma a finire nell’occhio del ciclone è stato proprio il Canton Ticino dove in effetti i lavoratori stranieri sono aumentati più che in altre zone. Rinegoziare i trattati di libera circolazione con la Ue sarà però una patata bollente per il Governo federale perché, se da un lato, si dovrà dare attuazione alla volontà popolare, dall’altro, si potrebbe spingere imprese e banche ad assumere meno e, poi, Bruxelles potrebbe chiudere i cordoni dei fondi a cui la Svizzera accede corposamente. Quale sarà la decisione finale non è dato sapere ma certamente la soluzione non è vicina e non potrà essere radicale. chi chilometri, circa una quarantina ma, farli tutti i giorni, è snervante. “Qui il problema non sono gli italiani ma le regole che gli svizzeri metteranno per riorganizzare il mercato del lavoro e affrontare il dumping salariale”. Non c’entrano niente gli italiani “ruba-lavoro” che, al contrario, sono più preparati e specializzati degli svizzeri, in molti casi. E neanche è vero che quello svizzero è un mercato senza regole. “Sono notizie sbagliate. - spiega il sindacalista - In tanti settori (come l’edilizia, il terziario e la siderurgia) si applicano contratti collettivi mentre quello dell’informatica, della vendita hi-tech e cellulari, e dei call center sono i più esposti a negoziazione diretta”. Certo se parliamo di salari e facciamo una differenza tra Italia e Svizzera è chiaro che, a qualche svizzero, salti la mosca al naso. “Soprattutto se sei un lavoratore di fascia e vivi nei venti chilometri dal confine con convenienze fiscali notevoli perché paghi le tasse solo in Svizzera”. Luca, il sindacalista frontaliero - Italiano, 48 anni, originario di Omegna, Luca Camona è un nomade per definizione. Ha lavorato, per anni, come frontaliero e, oggi, è il corrispettivo sindacale di una Rsu in Italia. Lavora per l’Ocst, l’Organizzazione cristiano sociale ticinese, conosce benissimo il territorio e collabora con la Cisl. Luca ha iniziato a lavorare, alle fine degli anni Settanta, nel comparto chimico per un’azienda italiana, poi ha perso il lavoro e ha trovato collocazione in un’azienda svizzera di pannelli fotovoltaici, la Prama, e poi è arrivato al sindacato. Anche lui è un pendolare. “Due ore di viaggio ogni giorno e poi, da Lugano fino a Locarno, per battere il territorio”, racconta. Po- V erbania (nostro servizio) - A poco più di un mese dal referendum svizzero, nel quale i cittadini elvetici si sono espressi favorevolmente all’introduzione delle quote d’ingresso per i lavoratori frontalieri, la Cisl regionale e quella del Piemonte Orientale hanno organizzato un dibattito sul tema. Alla tavola rotonda, moderata dalla segretaria Cisl regionale, Giovanna Ventura, ha partecipato tra gli altri, il leader Cisl, Raffaele Bonanni, il segretario dell’Ocst, il sindacato dei cristiani sociali ticinese, Meinrado Robbiano e alcuni parlamentari della zona, tra cui il neo sottosegretario al Lavoro, Franca Biondelli, che prima di dedicarsi all’attività politica è stata per molti anni sindacalista Cisl a Novara. “La Svizzera, con i circa seimila lavoratori frontalieri del Verbano Cusio Ossola - ha evidenziato il segretario della Cisl Piemonte Orientale, Luca Caretti rappresenta la maggiore azienda del territorio. Con l’iniziativa odierna vogliamo dare il nostro contributo per risolvere i problemi di questi lavoratori e per dare vita allo Statuto dei Lavoratori Frontalieri". Subito dopo il referendum - che nel Canton Ticino è passato con il 68 per cento dei sì - la Cisl territoriale, in collaborazione con l’Ocst, l’Organizzazione Cristiano Sociale Ticinese, ha deciso di aprire a Verbania lo "Sportello Frontalieri" con l’intento di offrire aiuto e consulenza a questi lavoratori. “Roma - ha detto dal palco dell'Auditorium della Famiglia Studenti di Verbania-Intra, dove si è svolto il convegno Cisl, Luciano Locatelli, che da oltre 35 anni lavora in Canton Ticino - è lonta- “Nonlasciatecisoli”.ElaCisl propone nuovi servizi e tutele na, troppo lontana. Non ci difende più nessuno. Dal 9 febbraio scorso qualcosa è cambiato davvero. I ticinesi non parlano apertamente, ma le battute nei nostri confronti si sprecano. Sull’onda dell’esito referendario, Lega Ticinese e Cdu premono per l’applicazione di provvedimenti restrittivi sulle nuove assunzioni: domicilio in Svizzera e conoscenza del tedesco. Il governo centrale per ora nicchia e il sindacato svizzero si è eclissato. Chiedo alla Cisl, all’Ocst e ai parlamentari di darci una mano e di non lasciarci soli”. Il punto di vista degli elvetici e le ragioni di tanto astio nei confronti dei lavoratori italiani sono state illustrate invece dal rappresentante del sindacato svizzero Ocst, Meinardo Robbiano. “Al di là dell’uso strumentale, che alcune forze politiche hanno fatto del referendum - ha sottolineato il sindacalista elvetico - il flusso di manodopera va regolato perché la situazione è diventata esplosiva”. Per illustrare il fenomeno in atto, il segretario dell’Octs si è aiutato con le cifre. Dal 2002 al 2012 gli ingressi in territorio svizzero sono passati da 30 mila a 60 mila. Dal 2007 si è verificato un altro fenomeno che ha assunto dimensioni sempre più consistenti: la manodopera locale è stata sostituita progressivamente da quella frontaliera, disposta a lavorare con salari molto più bassi rispetto alla popolazione locale. Le norme attuali sulla libera circolazione consentono anche alle agenzie interinali svizzere di reclutare manodopera per un massimo di 90 giorni con una semplice certificazione online. Questo sta sconvolgendo il mercato del lavoro e alimenta rabbia e astio nei confronti dei frontalieri italiani. “Il problema c’è - ha aggiunto Robbiano - e non serve ignorarlo. Bisogna quindi trovare il modo di regolare questi flussi di manodopera senza inficiare gli accordi bilaterali Svizzera-Italia. Il Ticino ha perso la testa, c’è troppa esasperazione. Per questo c’è bisogno di più collaborazione con i territori confinanti: il Piemonte e la Lombardia”. Per il leader Cisl, Raffaele Bonanni, che ha concluso l’iniziativa di Verbania -, “dobbiamo salvaguardare innanzitutto l’amicizia tra italiani e svizzeri e non far dilagare la cultura dell’isolamento che è pericolosa e sta attaccando tutta l’Europa. Per aiutare migliaia di persone che comunque hanno diritto di circolare, c’è bisogno di un luogo di rappresentanza. Tutto il sindacato deve fare quindi la sua parte allo scopo di evitare derive populiste. Per capire che cosa si può fare insieme e come si possono risolvere questi problemi, occorre riprendere i contatti con il sindacato svizzero e aprire un confronto con le associazioni frontaliere, i governi e le istituzioni locali”. Sul tappeto ci sono questioni come i ristorni delle tasse che i frontalieri pagano in Svizzera, i fondi per gli ammortizzatori sociali cancellati dall’ex Ministro del Lavoro, Elsa Fornero ai tempi del Governo Monti e le problematiche derivanti dall’applicazione dei contratti che vanno affrontate e risolte. Rocco Zagaria Il nodo dumping e salario minimo - La differenza di salari tra Italia e Svizzera è lampante e, su questa, le aziende svizzere fanno leva. Qualche esempio: nel settore della vendita, dell’orologero e della pulitura dei metalli si guadagnano fino a 3 mila franchi lordi che equivalgono a circa 2200 euro netti; nel terziario, invece, il contratto fissa il salario a pieno orario a 3.400 franchi lordi. A un lavoratore italiano di prima fascia, che spende circa 400 euro al mese di benzina, conviene un contratto di questo tipo rispetto al costo della vita in Italia e, soprattutto, facendo il confronto con un lavoratore svizzero. “La questione potrebbe essere risolta con l’introduzione di un salario minimo che comunque ha i suoi rischi”, prosegue Luca Camora. Proprio a maggio, in Svizzera, si voterà nuovamente per portare il salario minimo a 4 mila franchi. Ma non è detto che sia la risposta giusta sull’onda dei sentimenti di protezionismo. “Possono anche fissare un tetto al salario ma tutto dipende dall’applicazione dell’orario che, con un salario minimo più alto, porterà le aziende a ridurlo in modo da pagare meno”. Con buona pace degli xenofobi. L’arma del ristorno - Una delle leve dei nazionalisti per colpire i frontalieri fuori fascia è anche quella fiscale con la proposta di aumentare l’imposizione alla fonte. Che tradotto in euro significa un aumento delle trattenute di 27 euro al mese. Un tema su cui il Governo federale prende tempo, almeno fino a ottobre, quando scadranno gli accordi con l’Italia sui ristorni, le quote delle tasse trattenute alla fonte in Svizzera e girate direttamente all’erario italiano di cui beneficiano i comuni frontalieri: circa 50 milioni di euro suddivisi tra i comuni che si trovano nella fascia di venti chilometri dal confine. Soldi importanti con cui i sindaci finanziano servizi e mantengono il bilancio in equilibrio. Un meccanismo che favorisce i lavoratori di fascia (per quelli fuori fascia le cose sono un po’ più onerose) che si vedono applicare la più bassa tassazione svizzera alla fonte, oltre agli assegni familiari. In questo caso, la Svizzera a un lavoratore orologero con figli a carico risconosce 160 euro per ognuno dei figli e altri 40 euro se al compi- mento del sedicesimo anno il ragazzo o la ragazza continuano a studiare. Il confronto con l’Italia è vergognoso. Ma il problema fiscale è una spina nel fianco dei lavoratori. Innanzitutto perché Italia e Svizzera non si parlano, nonostante vecchi accordi sottoscritti. Se provate ad andare in un ufficio dell’Agenzia delle Entrate nessuno sa dirvi niente sulla normativa che riguarda i frontalieri e poi, a tutto questo, si aggiunge il fatto che l’Italia non dispone di una specifica disciplina legislativa sui frontalieri ed è quello che sindacati e patronati chiedono da tempo. Sos Sportello Cisl - Tra Locarno e Verbania c’è un filo diretto con le organizzazioni sindacali a sostegno delle richieste dei lavoratori frontalieri che, dopo il giro di vite, stanno uscendo dall’anonimato dei contratti perché hanno paura del futuro. E’ per questo che la Cisl di Verbania, nella sua sede, e in collaborazione con il sindacato Ocst, ha avviato, proprio da marzo, un nuovo Sportello frontalieri che fornisce informazioni e supporto al rapporto di lavoro transfrontaliero. Qualche esempio? I nodi della normativa fiscale e previdenziale, i quesiti sul ritiro del capitale del pilastro previdenziale, la reciprocità del riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali, le possibilità di offerta-domanda di lavoro. Ma non solo. “Vogliamo rimettere il lavoro dei frontalieri al centro dell’attenzione. - spiega Romina Baccaglio, coordinatrice della Cisl Verbano Cusio Ossola e responsabile dello sportello - Sarà un punto d’incontro fondamentale per seguire il mercato del lavoro a cavallo del confine e in una provincia dove sono 6 mila i lavoratori interessati”. Ma una cosa è certa: chi è già in Svizzera con un contratto lungo o a tempo deve stare tranquillo. L’effetto xenofobo non lo toccherà. “Certo, da qui ai prossimi tre anni nessuna sa che cosa può succedere ma la preparazione professionale degli italiani frontalieri continuerà a fare le differenza”, commenta Camona. Ritorno a casa - E’ sera. Fronte ovest: quello che da Locarno arriva fino al confine. Il traffico si intensifica. Qualche svizzero “smadonna” e se la prende con gli italiani che rallentano la circolazione. D’inverno sulle strade di raccordo, tanto tanto si circola ma il problema è l’estate quando il flusso turistico aumenta sensibilmente e allora, più che gli improperi degli svizzeri, il frontaliero italiano pensa al fatto che gli si raddoppia il tempo di percorrenza quotidiana. Siamo a pochi chilometri dal confine: il flusso del rientro è, comunque, ordinato e tranquillo. Non ci sono “topi divoratori di formaggio” qui in strada ma solo lavoratori e professionisti che, ordinatamente, tornano a casa per poche ore. Domani, la scena si ripete. Le strade sono obbligate. Nessuno ancora pensa che l’alternativa di sfruttare la navigabilità del Lago Maggiore renderebbe tutto più facile. “Noi del sindacato lo diciamo da tempo chiosa Luca - Si potrebbe fare una linea di Aliscafi e navette in convenzione tra i comuni frontalieri di Italia e Svizzera per risolvere pure questi malumori degli svizzeri”. Sarebbe tutto più facile ma anche qui, le aziende, è proprio il caso di dire, che fanno “orecchie da mercante”. Andrea Benvenuti
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