Ufficio per gli investimenti di rete e i servizi di pubblica utilità Servizio per le Infrastrutture e la regolazione dei servizi di pubblica utilità Presidenza del Consiglio dei Minis INIZIATIVA DI STUDIO SULLA PORTUALITA’ ITALIANA Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica Iniziativa di studio sulla portualità italiana Hanno coordinato il lavoro: Ing. Stefano Corsini, Dott. Luca Einaudi, Avv. Rosaria La Grotta. Hanno collaborato alla stesura del Documento: - per il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica: Arch. Roberto Ardigò, Dott.ssa Micaela Celio, Dott. Maurizio De Simone, Dott. Francesco De Stefanis, Dott.ssa Marina Di Meglio, Dott.ssa Valeria Fabbrini, Dott. Giordano Onorati, Dott.ssa Rosaria Spina, Dott. Marco Tranquilli; - il Dott. Giovanni Cesaroni del Dipartimento per sviluppo delle economie territoriali e delle aree urbane; - l’Avv. Francesco Maria di Majo dello Studio Legale Watson, Farley & Williams; - l'Avv. Fabio Amabili. Ha curato l’editing del testo: Marianna Turriciano, componente della Segreteria delle Strutture tecniche del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica. Il presente documento, di proprietà del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha scopo informativo e divulgativo. I contenuti sono liberamente utilizzabili citando obbligatoriamente la fonte. Non sono consentite la pubblicazione e la vendita anche parziale del contenuto. I contenuti del presente documento non impegnano l’Amministrazione. Iniziativa di studio sulla portualità italiana RINGRAZIAMENTI Si ringraziano per la particolare partecipazione con cui hanno voluto collaborare a questa iniziativa: il Dott. Francesco Nerli, già Presidente di Assoporti, e il Dott. Paolo Ferrandino, Segretario generale di Assoporti, che hanno sempre sostenuto lo sforzo degli autori; il Dott. Alessandro Ricci, Presidente dell’Unione Interporti Riuniti (UIR), che ha voluto dedicare agli autori molto del suo tempo, renderli partecipi di importanti relazioni e accompagnarli nella loro analisi del contesto della logistica; i Presidenti e i Dirigenti di tutte le Autorità Portuali, per le informazioni che hanno voluto rendere disponibili per lo Studio. In particolare delle Autorità: di Venezia che hanno seguito con partecipazione il lavoro; di Piombino, che hanno messo a disposizione la preziosa esperienza nel campo della gestione dei sedimenti di dragaggio, di Taranto e Savona, che hanno sostenuto il tentativo degli autori di illustrare in modo grafico e sintetico lo stato della programmazione portuale e hanno partecipato allo sviluppo dei casi studio riportati nel testo; il Presidente dell’ANAS, Dott. Pietro Ciucci, e l’Amministratore delegato di Ferrovie dello Stato e i loro Dirigenti, che hanno mostrato un sincero interesse per l’iniziativa e hanno fornito dati di base organizzati indispensabili; i Dirigenti e i Funzionari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: l’Ing. Amedeo Fumero, l’Ing. Ercole Incalza, il Dott. Cosimo Caliendo, l’Ing. Massimo Sessa e l’Ing. Donato Caiulo, che hanno accompagnato con interesse lo Studio. Un ringraziamento particolare al Dott. Paolo Emilio Signorini, Capo del Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che fino al 2013, in qualità di Capo del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha promosso con passione lo Studio. Iniziativa di studio sulla portualità italiana INDICE INTRODUZIONE …………………………………………………………………………………………………………………………………. 1 1 SINTESI ……………………………………………………………………………………………………………………………………….. 2 1.1 PROPOSTE …………………………………………………………………………………………………………………………………………… 6 2 L’EVOLUZIONE DELLA DOMANDA DI TRAFFICI NAZIONALI E INTERNAZIONALI ……………………………. 10 2.1 l’ANDAMENTO DELL’ECONOMIA MONDIALE ………………………………………………………………………………………… 10 2.2 L’EVOLUZIONE DEL TRAFFICO NEI PORTI ITALIANI, MEDITERRANEI E DEL NORTHERN RANGE ……………… 15 2.2.1 Il traffico movimentato da container ……………………………………………………………………………………… 20 2.2.2 Il traffico rinfuse e merci varie ……………………………………………………………………………………………….. 24 2.2.3 L’impatto di costi ed efficienza relativa a livello internazionale sull’evoluzione dei traffici ……… 26 3 GLI INDIRIZZI DELL’UNIONE EUROPEA IN MATERIA PORTUALE …………………………………………………….. 30 3.1 LA REVISIONE DELLA RETE EUROPEA DEI TRASPORTI …………………………………………………………………………… 30 3.2 LE DIRETTIVE EUROPEE IN MATERIA DI ACCESSO AL MERCATO DEI SERVIZI PORTUALI E DI AIUTI DI STATO NEL SETTORE PORTUALE …………………………………………………………………………………………………………… 35 3.3 IL TEMA AMBIENTALE ………………………………………………………………………………………………………………………….. 36 4 IL FABBISOGNO INFRASTRUTTURALE DEL SISTEMA PORTUALE ITALIANO ……………………………………. 39 4.1 4.2 4.3 4.4 5 I FONDALI ……………………………………………………………………………………………………………………………………………. 41 GLI SPAZI A TERRA E I PIAZZALI FERROVIARI ………………………………………………………………………………………… 43 LE RELAZIONI CON GLI INTERPORTI E I DISTRIPARK ……………………………………………………………………………… 47 I COLLEGAMENTI DI MEDIA E LUNGA PERCORRENZA …………………………………………………………………………… 50 LA PROGRAMMAZIONE IN MATERIA PORTUALE ………………………………………………………………………….. 58 5.1 IL PROGRAMMA DELLE INFRASTRUTTURE STRATEGICHE ……………………………………………………………………… 61 5.2 I PROGRAMMI DELLE AUTORITA’ PORTUALI …………………………………………………………………………………………. 65 5.3 I PIANI PORTUALI REGIONALI O DI MACROREGIONE ……………………………………………………………………………. 68 6 L’ASSETTO DEL SISTEMA PORTUALE ITALIANO ……………………………………………………………………………… 70 6.1 I PORTI ITALIANI SEDE DI AUTORITA’ PORTUALE …………………………………………………………..………………………71 6.2 I BACINI DI UTENZA COMMERCIALE …………………………………………………………………………………………………….. 73 7 LA GESTIONE DELLE OPERAZIONI PORTUALI ………………………………………………………………………………… 76 8 L’EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO ……………………………………………………………………………………77 8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6 8.7 9 LA CLASSIFICAZIONE ……………………………………………………………………………………………………………………………. 77 LE COMPETENZE ………………………………………………………………………………………………………………………………….. 78 LA GOVERNANCE …………………………………………………………………………………………………………………………………. 78 I SERVIZI TECNICO NAUTICI ………………………………………………………………………………………………………………….. 79 IL DRAGAGGIO …………………………………………………………………………………………………………………………………….. 80 I SISTEMI LOGISTICO PORTUALI ……………………………………………………………………………………………………………. 83 LE CONCESSIONI ………………………………………………………………………………………………………………………………….. 84 IL FINANZIAMENTO DEI PORTI …………………………………………………………………………………………………….. 87 9.1 I MUTUI IN CONTO CAPITALE ………………………………………………………………………………………………………………. 90 9.2 L’AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE AUTORITA’ PORTUALI ……………………………………………………………………. 91 9.3 IL PROJECT FINANCING …………………………………………………………………………………………………………………........ 94 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 10 DUE CASI STUDIO ………..………………………………………………………………………………………………………………. 98 10.1 NODO INFRASTRUTTURALE DEL PORTO DI TARANTO – PIASTRA LOGISTICA INTEGRATA AL SISTEMA “TRANS-EUROPEO INTERMODALE DEL CORRIDOIO ADRIATICO” …………………………………………………………. 98 10.2 IL PROGETTO DEL NUOVO TERMINAL DI VADO LIGURE ……………………………………………………………………… 105 11 PRINCIPALI INDICATORI PER LA PIANIFICAZIONE E IL RIPARTO DELLE RISORSE PER GLI INVESTIMENTI RTUALI ………………………………………………………………………………………………………………………………………. 111 ALLEGATI 1.1 1.2 1.3 1.4 Esperienze europee di PPP per infrastrutture portuali ………………………………………………………………………… 115 Sintesi dei Programmi delle singole Autorità Portuali …………………………………………………………………………. 116 Utilizzo dei mutui a carico del bilancio statale per le opere infrastrutturali dei porti al 2009 ………………. 127 Gli incontri con le Istituzioni e gli Operatori di settore ………………………………………………………………………... 134 PRINCIPALI ACRONIMI ………………………………………………………………….………………………………………………….. 136 BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………………………………………………………………………….. 137 Iniziativa di studio sulla portualità italiana INTRODUZIONE Da anni il settore portuale italiano non dispone di una programmazione nazionale. Il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha condotto dal 2011 uno studio sulla portualità italiana. Lo Studio ricostruisce lo stato delle infrastrutture portuali e della relativa programmazione e finanziamento, l’andamento e le previsioni di traffico riguardanti le merci, le modifiche del quadro normativo a partire dalla legge n. 84/1994, con particolare riferimento alle procedure di affidamento delle concessioni e dei lavori in ambito portuale, e le principali proposte di riforma. Sulla base dei predetti elementi e delle indicazioni della Commissione Europea nell’ambito della revisione delle Reti Transeuropee di Trasporto (TEN-T), lo Studio individua una serie di indicatori per l’allocazione di future disponibilità finanziarie pubbliche e per la pianificazione del settore, nonché alcune raccomandazioni per azioni/misure di policy finalizzate allo sviluppo del sistema portuale italiano. Oltre alla analisi della documentazione disponibile a livello nazionale e internazionale, è stato chiesto alle Autorità Portuali (AP) di fornire dati riguardo alla realtà dei singoli porti, ai progetti infrastrutturali in atto - ivi comprese le opere di bonifica -, ai collegamenti del porto con la rete viaria/ferroviaria, alla capacità residua di movimentazione, ai piani regolatori e alle relazioni con altri porti. Alle maggiori compagnie di shipping internazionali è stato chiesto di esprimere una valutazione comparativa, in termini di efficienza e competitività, dei porti dell’Alto Tirreno e di quelli del Nord Adriatico a confronto con i porti del Northern range e del West Med, oltre che valutazioni su tempi di percorrenza e costi di spedizione delle merci verso località significative. Sono stati organizzati 44 incontri: con le 23 Autorità Portuali, con le citate Compagnie di shipping internazionali, con i Rappresentanti del Parlamento e delle Amministrazioni centrali interessati al settore, con le Associazioni di categoria, con le Istituzioni finanziarie e con i grandi Enti nazionali, gestori di reti di trasporto. Gli esiti dello Studio potranno fornire un utile supporto all’operato del Parlamento, del Governo e del CIPE, nell’ambito della materia. Direttore dell’Ufficio per gli investimenti di rete e i servizi di pubblica utilità Dott.ssa Isabella Imperato Il Capo Dipartimento Cons. Ferruccio Sepe LUGLIO 2014 1 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 1. SINTESI L'insieme dei porti italiani tratta un volume di traffico merci che lo colloca al terzo posto in Europa dopo la portualità olandese e britannica, ma il ritmo con il quale questo volume di traffico è cresciuto prima dell’inizio della crisi è inferiore a quello medio europeo e a quello dei nostri principali concorrenti nel Mediterraneo. Inoltre, tra il 2007 e il 2011, l’interscambio di container si è ridotto in Italia del 9,7%, con 1,1 milioni di TEU persi, mentre negli ultimi due anni è stata recuperata circa la metà di quanto perso nel quadriennio precedente, tornando a 10,1 milioni di TEU nel 2013. I porti del Nord Europa invece hanno ripreso a crescere e sono riusciti a superare nel 2011 i livelli massimi raggiunti prima della crisi del 20082009, anche se negli ultimi due anni hanno conosciuto un ristagno nei traffici. Complessivamente l’Italia ha perso terreno dal 2007 ad oggi, sia rispetto al nord Europa che rispetto al resto del Mediterraneo. Peraltro anche quest’ultimo ha perso centralità nel commercio internazionale visto che tra i 50 maggiori porti container internazionali nel 2012 il primo porto mediterraneo figurava solo al 34° posto mondiale (Algerciras in Spagna, con 4,1 milioni di TEU) e il primo porto italiano era Gioia Tauro al 47° posto con 2,7 milioni di TEU, rispetto ai 32,5 milioni di TEU movimentati da Shanghai (al primo posto mondiale) o ai 11,5 milioni di Rotterdam (11° posto mondiale e primo europeo). Queste cifre non devono sorprendere vista la polarizzazione del commercio verso la Cina (nel 2013 la Cina produceva il 30,3% delle merci e il 49,2% dell’acciaio a livello mondiale). La quota di mercato dei porti italiani sul transhipment mediterraneo è calata dal 2005 al 2011, dal 28% al 16%, a causa di: concorrenza esercitata da Tanger Med (Marocco), Porto Said (Egitto), Marsaxlokk (Malta) e dai porti spagnoli (Algeciras, Valencia e Barcellona in particolare), dove è possibile e conveniente consolidare volumi più ampi, da un lato apportati da navi oceaniche di sempre maggior capacità e, dall’altro, da destinare a navi feeder più piccole, ma anch'esse di dimensione crescente e orientabili con maggior flessibilità su più destinazioni finali mediterranee; minori costi operativi garantiti al transhipment nei porti africani concorrenti, caratterizzati da costo del lavoro più basso rispetto all’Italia, da maggiore velocità e da infrastrutture ampliate e modernizzate recentemente (Nord Africa e Spagna) che garantiscono servizi più veloci nella gestione a terra, anche grazie a tempi minori nelle pratiche doganali e burocratiche. Complessivamente per il transito di un container servono 19 giorni nei porti italiani secondo la Banca Mondiale (Doing Business), contro 7-9 giorni nel nord Europa e 11-12 giorni in Marocco e Egitto, cancellando di fatto il vantaggio potenziale attribuibile alla posizione geografica dell’Italia che consentirebbe di abbattere di alcuni giorni i tempi di navigazione; politiche aziendali del grande shipping che, ove non si concentri a Tanger Med o Porto Said, tende a crearsi basi di transhipment proprie e dedicate. Esemplare il caso della cinese Cosco Pacific che gestisce in concessione trentennale il Piraeus Container Terminal, diventato il centro della distribuzione dei container cinesi diretti all’Europa meridionale e orientale. Viceversa l’abbandono di Gioia Tauro da parte della Maersk o di Taranto da parte della Evergreen ha contribuito a ridurre fortemente l’attività in quei due scali; posizione geografica di Porto Said per il traffico da Suez, che consente di raggiungere tutti i mercati di destinazione successiva con le navi feeder (ovest Mediterraneo e est Mediterraneo e Mar Nero) senza dover ripercorrere parte della rotta. Lo stesso può dirsi per Tangeri e Algeciras con il traffico atlantico. 2 Iniziativa di studio sulla portualità italiana La concorrenza non arriva solo dai porti del Mediterraneo, i porti dell'alto Tirreno e dell'alto Adriatico si vedono sempre più sottrarre dai porti del Mar del Nord non solo mercati centro europei (Baviera, Austria, Svizzera e Europa centro-orientale), ma addirittura i ricchi mercati della pianura padana, a causa dell’incapacità a canalizzare verso i porti italiani dell’alto Adriatico e Tirreno gli scambi relativi a produzione e consumi che gravitano nel nord Italia. La dispersione dei porti italiani si associa peraltro a basse dimensioni medie, con traffici merci che raggiungono nel 2012 i 26,3 milioni di tonnellate in media per i tre porti liguri, i 32 milioni per i tre porti del Nord Est, i 17,7 milioni per i 12 porti del Mezzogiorno e gli 11,2 milioni per i 5 porti del Centro Italia. I primi tre porti per merci (Genova, Trieste e Cagliari) rappresentano solo il 29,4% del mercato italiano, a fronte della maggiore concentrazione nei tre principali porti nel caso dei traffici container pari al 63,4% (Gioa Tauro, Genova e La Spezia). La sola Rotterdam movimentava, nel 2013, 11,6 milioni di container, più dei 10,1 milioni movimentati dai 23 maggiori porti italiani. Le principali ragioni sono che, rispetto all’Italia, il Northern range: gode di economie di scala dovute ad una delle maggiori concentrazioni di produzione manifatturiera al mondo, con una forte vocazione alle esportazioni, e dalla concentrazione degli investimenti su pochi porti, che gli permette di intercettare anche traffici che dovrebbero passare per l’Italia; riesce a lavorare ad una scala di attività che movimenti almeno 10-12 milioni di TEU anno, e consente di accogliere e lavorare in modo competitivo navi da 12.000 TEU e oltre, anche grazie agli alti fondali e ai grandi spazi portuali, necessari per ospitare le grandi ocean vessel che viaggiano sulle rotte con l’Estremo Oriente e che non tutti i porti italiani posseggono; supera le difficoltà del nostro sistema trasportistico (ferroviario, ma anche stradale, stante la subordinazione dell’autotrasporto italiano alle grandi imprese straniere di settore) e logistico nell’organizzare in modo efficiente e competitivo l'inoltro dei container fino alle destinazioni finali dell'Europa centro orientale e centro occidentale. Il fenomeno è solo in parte spiegato dalla difficoltà di superare la barriera delle Alpi per il ritardo nell’adeguamento dei valichi ferroviari (Frejus e Brennero su tutti). Svolge un ruolo importante anche l’integrazione con le reti fluviali (in Germania si svolge il 43% del trasporto fluviale di merci dell’Ue, in Olanda il 28% e in Italia meno dell’ 0,1%); assicura maggiore efficienza e affidabilità degli scali che si concretizza in costi per operazione più bassi rispetto all’Italia, Francia e Spagna e tempi di movimentazione più brevi. Le previsioni di traffico merci nel lungo periodo devono tener conto che il trend di crescita di lungo periodo del PIL italiano è stimata in circa 1-1,3% all’anno dal FMI e all’1,3-1,9% dal DEF di aprile 2014 e quello delle esportazioni del 3,5-3,8% all’anno dal FMI e del 4-4,4% dal DEF di aprile 2014. Proiettando i tassi di crescita del traffico container italiano realizzati nel 2000-2013, si otterrebbe una crescita pari al 3,3% annuo, (2,5 milioni di TEU entro il 2020 e 7,5 milioni entro il 2030), mentre la persistenza del trend 2005-2013 garantirebbe una crescita molto modesta, inferiore all’1% annuo. La crescita del traffico merci e container dai porti italiani potrà essere maggiore di quello delle esportazioni, se si riuscirà a recuperare quote di traffico originati o diretti in Italia e gestiti in altri porti mediterranei o del Northern Range e ad intercettare una quota maggiore di traffici da e per l’Europa centro-meridionale. Peraltro va segnalato il persistente dinamismo nei porti italiani dei passeggeri per crociere, che sono cresciuti a dispetto della 3 Iniziativa di studio sulla portualità italiana crisi economica e rappresentano uno dei settori più fortemente in crescita. Da qui al 2030 l’Europa centro-orientale crescerà di più del resto dell’UE creando maggiori opportunità di movimentazioni di container verso quell’area. Le previsioni della MDS Transmodal per il mercato europeo stimano che nel 2030 i porti del mare del Nord, pur aumentando il loro interscambio di 10 milioni di TEU, riducano la loro quota del mercato europeo rispetto al 2010, mentre i porti del Nord Italia dovrebbero crescere di circa 7 milioni di container. I porti italiani dell’Alto Tirreno, crescerebbero del 68% in numero di container movimentati (ma perderebbero uno 0.3% di quota di mercato) e soprattutto i porti dell’Alto Adriatico aumenterebbero i loro movimenti di container del 348% rispetto al 2010 raggiungendo i 6 milioni di TEU annui, ottenendo così una quota di mercato europeo dell’11.3%, pari a quella dei porti Tirrenici. Questa previsione riguardo al Nord-Est include i porti sloveni e croati nel totale dell’Alto Adriatico. Nel 2013 Venezia, Trieste e Ravenna movimentavano solo 1,1 milioni di container, cresciuti del 86% rispetto al 2000, per portare questi tre porti alla dimensione ipotizzata da MDS Transmodal bisognerebbe che fosse replicata la crescita conseguita dai tre maggiori porti nordafricani Port Said, Tangeri e Damietta, nel decennio scorso, difficilmente replicabile in un contesto già sviluppato e con costi della mano d’opera più elevati. Le differenze che emergono dai dati riportati individuano un campo di variazione così ampio da rendere incerto il risultato di ogni previsione di sviluppo infrastrutturale a lungo termine. Ragioni evidenti di sostenibilità ambientale (riduzione dei costi energetici e delle emissioni di gas serra) giustificano tuttavia l'obiettivo europeo di una maggior alimentazione da Sud dei mercati continentali, correggendo la situazione attuale che non consente di far coincidere convenienza privata e convenienza collettiva e che rischia di consolidarsi sulla base dei processi cumulativi in atto. L'alternativa a livello europeo è tra lo sfruttare le economie di scala di una ulteriore concentrazione dei traffici sui porti del Mare del Nord, adeguando ad essa le reti infrastrutturali ferroviarie, stradali e di navigazione interna che ne estendano le aree servite pressoché all'intera Europa o, al contrario, portare la portualità mediterranea a livelli di capacità e di efficienza comparabili con quelli del Mar del Nord, contribuendovi da Bruxelles con l’adeguare a tali livelli, la rete stradale, ferroviaria e di navigazione interna. Il tutto per raggiungere in modo più efficiente e sostenibile le regioni centro meridionali sia dell'Europa occidentale sia dell'Europa orientale. La politica europea in materia, così come si è configurata nel regolamento del Consiglio e del Parlamento Europeo del dicembre 2013, con l’individuazione di ben 4 dei corridoi prioritari della rete TEN-T core che interessano il nostro Paese, va nella direzione “mediterranea”, più favorevole, ma anche più carica di responsabilità, per l'Italia. Il contributo italiano a questa politica europea è sintetizzato nell’XI Allegato infrastrutture al Documento di Economia e Finanza 2013 e nelle “Linee guida per l'Allegato infrastrutture al Documento di Economia e Finanza 2014”. Elemento caratterizzante è l’introduzione del principio delle società di corridoio, con funzioni di gestione e coordinamento dell’arco di rete, mentre il numero di porti compreso nel core network sembra troppo elevato per rendere evidente la valenza strategica alla nuova impostazione UE. L’Italia ha una considerevole dotazione di infrastrutture portuali funzionali sia alla protezione e all’accesso dal mare sia alle operazioni di sbarco, imbarco e spedizione dei beni trasportati dalle navi. 4 Iniziativa di studio sulla portualità italiana La realizzazione di nuove opere a mare appare invece sempre più difficoltosa a causa della contrazione protratta della disponibilità di investimenti pubblici, alla luce del processo di risanamento delle finanze pubbliche e della debole dinamica della crescita economica negli ultimi 10 anni. Conseguentemente è opportuno concentrare l’attenzione su quei siti che hanno caratteristiche morfologiche favorevoli o non presentano interazione diretta con le città. In merito ai fondali portuali tutti i più importanti porti del Nord Europa hanno profondità almeno pari a 16 metri, mentre diversi porti italiani importanti sono al di sotto di tale soglia (Napoli, Livorno, Ravenna, Venezia, Genova e La Spezia). L’approfondimento dei fondali, più che la realizzazione di nuovi terminali, si delinea come la vera e propria sfida con cui deve misurarsi il sistema portuale non solo per accrescere, ma per non vedere ridursi, in prospettiva, la propria competitività nei confronti dei traffici di lungo raggio. Gli alti costi per lo Stato connaturati con questo tipo di interventi, senza trascurare gli altrettanto rilevanti costi ambientali, inducono, tuttavia, a riflettere su quanto dragaggio sia veramente necessario e sostenibile per i porti italiani, tenuto conto degli ostacoli dal punto di vista tecnico, morfologico e ambientale che si incontrano nello sviluppo delle iniziative. La soluzione non può che venire, ancora una volta, da una normativa omogenea di settore che non faccia distinzione da sito a sito, né sia dipendente dalla potestà legislativa e di controllo dei diversi livelli istituzionali centrali e locali. Si riscontra invece una generica richiesta di dragaggi da parte delle AP, mentre fondali superiori ai 16 metri sono in prospettiva necessari solo per i porti che hanno le potenzialità per essere competitivi nel mercato internazionale dei container. Una volta individuati tali porti vanno comunque privilegiati quelli con i fondali naturali più profondi e, solo se effettivamente necessari, autorizzati eventuali operazioni di capital dredging. Con riferimento agli spazi a terra, sebbene la superficie complessiva dei nostri dieci porti più grandi sia dell’ordine di grandezza della superficie del solo porto di Anversa, Le Havre o Rotterdam, gli scali italiani mostrano un rapporto tra superfici destinate alla movimentazione di container e numero di container movimentati simile a quello dei porti del Nord Europa. L’esiguità degli spazi rispetto ai grandi porti del Nord, allo stato attuale, sembra penalizzare più l’accesso e le manovre ferroviarie che l’efficienza della movimentazione dei container in ambito portuale. Il dato che emerge sembrerebbe indirizzare le esigenze di programmazione volte ad incrementare la capacità degli scali verso la implementazione di nuove superfici a servizio dei traffici piuttosto che verso nuove opere di accosto. L’indagine ha evidenziato che le attività ferroviarie interne alle aree portuali sono una delle maggiori fonti di inefficienza. Gli interventi infrastrutturali e l’acquisto di materiale rotabile necessari per accelerare le operazioni ferroviarie non sono investimenti remunerativi e, tradizionalmente, sono finanziati dallo Stato e da società pubbliche oggi alle prese con difficoltà di bilancio; l’alternativa è realizzarli nel quadro di un Partenariato Pubblico Privato che assicuri un adeguato ritorno economico a tutti i principali attori della filiera - gestori di rete, di movimentazione e navettamento e di trasporto sulle lunghe percorrenze - come dimostra l'intesa tra Serfer (Trenitalia), FerNet (partecipata da Interporto Vado Ligure, gruppo Gavio e Rivalta Terminal Europa) e l’Autorità Portuale di Savona per la movimentazione delle merci verso i retroporti di Rivalta Scrivia e Mortara. 5 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 1.1 PROPOSTE La difesa del transhipment italiano può impostarsi soltanto su politiche di maggior efficienza negli scali e/o sulla fidelizzazione del grande shipping con operazioni analoghe a quella condotta in Grecia per fidelizzare la Cosco Pacific al porto del Pireo. Al riguardo, la concentrazione del transhipment italiano su uno o due grandi scali sui quali fidelizzare uno o più grandi armatori, potrebbe rivelarsi come la sola scelta capace di risultare vincente per resistere alla concorrenza nordafricana e spagnola. Questa scelta sarebbe compatibile con uno sviluppo più orientato ai mercati interni degli altri porti e con una focalizzazione dei porti del Nord-est verso l’Europa centrale e dell’est e sulle rotte da e per l’Asia in forte crescita. I porti dell’alto Tirreno manterrebbero la propria vocazione verso il Mediterraneo Ovest e l’Atlantico Per rendere più competitivi i porti italiani non basta approfondire i fondali e incrementare gli spazi a terra se non si riesce contemporaneamente a ridurre i tempi di transito porti delle merci, in termini di documentazione, dogana, movimentazione e organizzazione di convogli in partenza e in arrivo. A tal fine servono sforzi organizzativi ma soprattutto una maggiore semplificazione amministrativa che tenda all’omogeneità con gli standard europei e la riduzione del numero di passaggi e intermediari, anche tramite il potenziamento dello sportello unico doganale e la gestione informatica a distanza, delle pratiche prima dell’arrivo delle navi nel porto. A tal fine non è d’aiuto l'attuale frazionamento dei soggetti operanti nella gran parte dei porti (terminalisti, spedizionieri etc.), spesso costituiti da imprese medio-piccole, la cui capacità di competere nel mercato globale è limitata. E’ anche urgente affrontare l’evidente carenza di coordinamento tra le previsioni di piano di porti appartenenti alla stessa area integrata dal punto di vista economico e amministrativo, ove vengono previste opere spesso di grande impegno senza tener conto delle contemporanee iniziative limitrofe, alimentando una competizione per le scarse risorse disponibili. Ciò giustifica ampiamente un coordinamento forte dell’attività programmatoria di settore a livello nazionale, attraverso un processo di concertazione delle soluzioni tecnico economiche che produca gli orientamenti da porre a base delle azioni dell’amministrazione, coordinamento che in virtù di ciò richiederebbe un connotato istituzionale più che di tipo associativo o meramente tecnico, attraverso un organismo, costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e a cui partecipino oltre ai Ministeri competenti anche il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, le Autorità Portuali, le Associazioni di categoria e gli altri attori più importanti del settore, con opportuni poteri e funzioni propositive ai fini dell'attuazione della politica del Governo per l'intero sistema portuale statale, di coordinamento del sistema costituito dalle Autorità Portuali e di rappresentanza nelle sedi internazionali. Il ricorso a forme di Partenariato Pubblico Privato potrebbe contribuire ad operare una conveniente selezione degli interventi tenuto conto della realtà dei vincoli di bilancio, a condizione che le iniziative prevedano il coinvolgimento di capitali privati in misura tale da associare effettivamente il concessionario ai rischi di gestione dell’infrastruttura e che si adottino previsioni di traffico realistiche. L’utilizzo del nuovo strumento della defiscalizzazione in favore delle società di progetto titolari di concessioni per la realizzazione in Project Financing di opere infrastrutturali può rappresentare un elemento chiave per l'attrazione dei capitali privati. 6 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Infatti il sistema richiede da una parte un forte committment da parte dell’operatore privato (che scommette sulla crescita di un porto e partecipa finanziariamente nella realizzazione dell'opera), e dall’altra il meccanismo riduce i margini di incertezza dell’operatore circa il recupero del proprio investimento finanziario. Sarebbe poi utile unificare i momenti valutativi e approvativi condotti presso il Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le Regioni competenti per territorio, che attualmente non sono vincolati a tempi contingentati e non trovano un momento unitario e formale di sintesi, come avviene invece nel CIPE per le opere di Legge obbiettivo. La scarsità di risorse e l’intensa competizione internazionale richiedono di selezionare dei porti “chiave” sui quali intervenire, in particolare porti che appartengono alla rete e ai nodi TEN-T essenziali (TEN-T core-network) o a progetti prioritari della Commissione europea o a progetti in grado di ottenere la partecipazione finanziaria della BEI. Una opzione che risponde all'approccio europeo dei “core multi port gateways”, consiste nella individuazione di quattro sistemi multi portuali, al cui interno dare corso a logiche di coordinamento, o anche di governance integrata, finalizzate alla specializzazione e a interventi infrastrutturali mirati e coerenti: due nell’Italia Settentrionale: - il “Sistema Nord Tirreno”, che include Savona, Genova, La Spezia e Livorno; - il “Sistema Nord Adriatico”, che include Ravenna, Venezia e Trieste (con proiezione sul porto sloveno di Koper e quello croato di Rijeka). due nell’Italia Meridionale: - il “Sistema Campano”, con i porti di Napoli e Salerno; - il “Sistema Pugliese” con i porti di Brindisi, Bari e Taranto I porti delle Autostrade del Mare (Civitavecchia e Ancona) e di transhipment dell’Italia Meridionale dovrebbero concentrare il loro sviluppo in tali ambiti. Gli interventi dovrebbero essere coerenti e organicamente funzionali ad altri progetti infrastrutturali previsti nell'ambito dello stesso sistema portuale, ovvero con l'offerta infrastrutturale già esistente. Qualsiasi investimento portuale dovrebbe prevedere la preventiva o contestuale risoluzione di eventuali colli di bottiglia, sia con riguardo ai collegamenti dell'ultimo miglio con il porto, sia con riferimento agli ostacoli esistenti lungo le principali direttrici di traffico coinvolte dal progetto. L'intervento dovrebbe inoltre tendere ad assicurare il raggiungimento di soglie in termini di utilizzazione del traffico ferroviario cargo in entrata e in uscita dal porto, anche nell'ottica della sostenibilità ambientale, con priorità agli interventi con utilizzo prevalente o significativo della ferrovia, rimuovendo gli ostacoli tecnici/infrastrutturali alla movimentazione ferroviaria nei porti. Si dovrebbero anche valorizzare le iniziative (materiali o immateriali) finalizzate all'integrazione di diversi sistemi logistici portuali o interportuali. Le valutazioni delle scelte di investimento dovrebbero essere basate su un sistema di indicatori utili a caratterizzare un porto, con il confronto tra diversi scali e cluster portuali, a supporto della programmazione infrastrutturale, associato a un sistema di pesi omogeneo che consenta di pervenire a 7 Iniziativa di studio sulla portualità italiana indici complessivi rappresentativi del singolo porto e di tutto il sistema nazionale e dotato di un sistema di monitoraggio dedicato. Al fine poi di individuare criteri qualitativi di riparto dei fondi statali destinati al settore, i termini di valutazione più importanti sono senz’altro l’efficienza e la propensione allo sviluppo del porto. La caratteristica essenziale per il successo di un tale sistema di indicatori è che questo sia sviluppato in maniera condivisa da tutti gli “attori” della programmazione. Sintesi delle proposte Concentrare gli investimenti per il transhipment italiano su uno o due grandi scali sui quali fidelizzare grandi armatori e sviluppare gli altri porti maggiormente verso i mercati interni; il transito merci via terra indirizzato alla destinazione finale nei Paesi circostanti e il traffico passeggeri (croceristico o meno), con una focalizzazione dei porti del Nord-est verso l’Europa centrale e dell’Est e sulle rotte da e per l’Asia. I porti dell’alto Tirreno manterrebbero la propria vocazione principale verso il Mediterraneo Ovest e l’Atlantico. Selezionare i porti “chiave” sui quali intervenire, in particolare quelli appartenenti alla rete e ai nodi TEN-T essenziali (core network) a progetti prioritari della Commissione Europea o a progetti in grado di ottenere la partecipazione finanziaria della BEI. Per rispondere all'approccio europeo dei core multi port gateways, individuazione di quattro sistemi multi portuali, al cui interno dare corso a logiche di coordinamento o di governance integrata finalizzate alla specializzazione e a interventi infrastrutturali mirati e coerenti. Migliorare il coordinamento tra le previsioni di piano di porti appartenenti alla stessa area integrata, attraverso il coordinamento forte dell’attività programmatoria di settore a livello nazionale, con un processo di concertazione delle soluzioni tecnico economiche tramite un organismo, costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e a cui partecipino oltre ai Ministeri competenti anche il Consiglio Superiore dei LL PP, le AP, le Associazioni di categoria e gli altri attori più importanti del settore. Sviluppare politiche di maggior efficienza negli scali e/o di fidelizzazione del grande shipping con operazioni analoghe a quella condotta in Grecia per fidelizzare la Cosco Pacific al porto del Pireo. Approfondire i fondali e incrementare gli spazi a terra, tenendo anche conto della disponibilità di aree anche in ambito retroportuale o interporti collegati da destinare ad infrastrutture logistiche. Ridurre i tempi di transito porti delle merci, in termini di documentazione, dogana, movimentazione e organizzazione di convogli, con sforzi organizzativi e maggiore semplificazione amministrativa, riduzione del numero di passaggi e intermediari, anche tramite il potenziamento dello sportello unico doganale e la gestione informatica a distanza delle pratiche prima dell’arrivo delle navi nel porto. 8 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fare ricorso a forme di Partenariato Pubblico Privato per la selezione degli interventi, coinvolgendo capitali privati in misura sufficiente per associare effettivamente il concessionario ai rischi di gestione dell’infrastruttura, sulla base di previsioni di traffico realistiche. Utilizzare il nuovo strumento della defiscalizzazione in favore delle società di progetto titolari di concessioni per la realizzazione in Project Financing di opere infrastrutturali per l'attrazione dei capitali privati. Questo richiede da una parte un forte committment da parte dell’operatore privato (che scommette sulla crescita di un porto e partecipa finanziariamente nella realizzazione dell'opera), e dall’altra il meccanismo riduce i margini di incertezza dell’operatore circa il recupero del proprio investimento finanziario. Unificare i momenti valutativi e approvativi condotti presso il Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le Regioni competenti per territorio, attualmente non vincolati a tempi contingentati e che non trovano un momento unitario e formale di sintesi. Prevedere per qualsiasi investimento portuale la preventiva o contestuale risoluzione di eventuali colli di bottiglia, sia con riguardo ai collegamenti dell'ultimo miglio con il porto, sia con riferimento agli ostacoli esistenti lungo le principali direttrici di traffico coinvolte dal progetto. Assicurare il raggiungimento di soglie in termini di utilizzazione del traffico ferroviario cargo in entrata e in uscita dal porto, anche nell'ottica della sostenibilità ambientale, con priorità agli interventi con utilizzo prevalente o significativo della ferrovia, rimuovendo gli ostacoli tecnici/infrastrutturali alla movimentazione ferroviaria nei porti. Valorizzare gli interventi (materiali o immateriali) finalizzati all'integrazione di diversi sistemi logistici portuali o interportuali. Basare le valutazioni ai fini delle scelte di investimento su di un sistema di indicatori condivisi di efficienza e prospettive di sviluppo, utili a caratterizzare un porto attraverso il confronto tra diversi scali e cluster portuali e con funzione di supporto decisionale alla programmazione infrastrutturale. 9 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 2 L’EVOLUZIONE DELLA DOMANDA DI TRAFFICI NAZIONALI E INTERNAZIONALI 2.1 L’ANDAMENTO DELL’ECONOMIA MONDIALE Le previsioni relative all’andamento del PIL nazionale e internazionale sono un indicatore utile per elaborare scenari sul traffico marittimo futuro, assieme a quelle sull’andamento del commercio internazionale e ad altri indicatori più specifici sul mercato dei trasporti marittimi. Lo shock della “Grande recessione” nel 2008-2009 e le persistenti tensioni finanziarie negli anni successivi, che hanno portato in Italia ad una seconda recessione nel 2011-2013, hanno destabilizzato le aspettative dei mercati nei quali si sono alternate fasi di euforia e di panico sulle aspettative di crescita e sulla crisi del debito europeo. Si è ridotta la crescita nei Paesi avanzati e continua ad aumentare la quota dell’Asia nel commercio internazionale, aumentando rapidamente i flussi di beni in arrivo da quella zona verso l’Europa, molto più velocemente della crescita del PIL europeo. Le fluttuazioni dei cambi rimangono molto importanti nel riorientare i flussi commerciali, ma la loro evoluzione rimane imprevedibile come in passato. Il FMI attende una ripresa del PIL per l’Italia sia nel 2014 che nel 2015, anche se leggermente inferiore alle previsioni del Governo italiano. In generale, sempre secondo i dati del FMI, la crescita europea a regime dovrebbe essere, pari a meno della metà della crescita media mondiale (circa 4%) e ad un terzo di quella Paesi dell’Asia emergente (superiore al 6%). (Fig. 2.1). Tuttavia negli ultimi due anni si sono ridimensionate le aspettative di tasso di crescita del PIL e delle esportazioni a livello mondiale e non si prevede più di tornare ai livelli molto elevati del 2004-2007. Questo vale per l’Europa ma in misura ancora maggiore per i Paesi emergenti. Questo fenomeno riguarda anche la Cina, a causa di un ribilanciamento della sua economia verso i consumi interni, con meno enfasi su investimenti ed esportazioni, anche a causa della presenza di una bolla immobiliare. Fig. 2.1 – Crescita economica in % del Pil, previsioni al 2019 Fonte: elaborazione su dati del Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook, aprile 2014. 10 Iniziativa di studio sulla portualità italiana I Paesi emergenti e in via di sviluppo dovrebbero tuttavia mantenere una crescita economica elevata, talvolta superiore a quella raggiunta dall’Italia negli anni del boom economico degli anni cinquanta e sessanta. Si prevede che la Cina manterrà una crescita elevata anche nel prossimo decennio, sia pure a livelli più bassi. Nonostante un rallentamento negli ultimi anni in alcuni Paesi emergenti, le previsioni indicano una prospettiva positiva anche per le due regioni che hanno subito le maggiori difficoltà economiche nel corso degli anni ‘80 e ’90, Africa e America latina, e che stanno ora beneficiando dell’aumento degli scambi commerciali e del prezzo delle materie prime realizzati nell’ultimo decennio, grazie alla liberalizzazione commerciale e alla globalizzazione. Ai fini della comprensione dell’andamento dei flussi di merci containerizzate, è opportuno osservare più da vicino gli andamenti delle esportazioni dei vari Paesi. Questi flussi si sono rivelati la componente più volatile del PIL negli ultimi anni. Dopo un decennio di aumento molto sostenuto degli scambi internazionali, favoriti da stabilità economica, assenza di crisi e liberalizzazione commerciale, il 2008 ha portato a un brusco arresto del commercio internazionale, ben più intenso delle altre componenti del PIL. Nell’inverno del 2009, durante la fase più acuta della recessione internazionale, le esportazioni dei maggiori produttori asiatici stavano crollando del 25-40%, a seconda dei Paesi. Anche le esportazioni europee hanno conosciuto un temporaneo tracollo: tra il punto più alto e il punto più basso, le esportazioni della zona euro sono calate del 36,5% tra luglio 2008 e febbraio 2009, secondo i dati OCSE, (Fig. 2.2). La ripresa successiva è stata lenta e diseguale, favorendo maggiormente le esportazioni asiatiche per stabilizzarsi poi verso tassi di crescita inferiori a quelli dei primi anni duemila. Fig. 2.2 – Esportazioni di merci, variazione % annua, previsioni al 2019 Fonte: elaborazione su dati del Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook, aprile 2014] 11 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Il sorpasso cinese sulle esportazioni mensili di merci USA è avvenuto ad aprile 2007 e su quelle tedesche a luglio 2008. Nell’agosto 2011 le esportazioni della zona euro avevano quasi recuperato il valore nominale di aprile 2008, ma poi con la nuova crisi di fiducia in Europa hanno ristagnato dal 2011 al 2014. La Cina ha largamente superato il livello massimo delle esportazioni pre-crisi, ma anche le sue esportazioni hanno rallentato. All’inizio del 2000 le esportazioni mensili di merci italiane erano pari a quelle della Cina, mentre a luglio del 2008 si erano già ridotte al 39,3% di quelle cinesi e nel 2013 erano scese al 23,4%. Nell’ultimo decennio le esportazioni italiane sono andate declinando, in percentuale del commercio internazionale dal 3,7% nel 2000 al 2, 8% nel 2013, con una decisa accelerazione del declino dal 2007 ad oggi; secondo i dati dell’OMC (Tab. 2.1), pur reggendo meglio di quelle francesi, sono state superate da quelle cinesi, olandesi, coreane, e russe e avvicinate da quelle belghe e in prospettiva da quelle indiane. Nel 2013 l’Italia era scesa al decimo posto mondiale come esportatore di merci (era sesta nel 2000 e ottava nel 2010). Tab. 2.1 - Esportazioni di merci (2000-2013) In miliardi di dollari correnti 2000 In % delle esportazioni mondiali 2005 2010 2011 2012 2013 2000 2005 2010 2011 2012 2013 Germania + Paesi Bassi + Belgio 973 1.712 2.252 2.617 2.505 2.585 15,1 16,3 14,8 14,3 13,6 13,8 Cina 249 762 1.578 1.898 2.049 2.210 USA 782 901 1.278 1.480 1.546 1.579 12,1 8,6 8,4 8,1 8,4 8,4 Germania 552 971 1.269 1.474 1.405 1.453 8,5 9,3 8,3 8,0 7,6 7,7 Giappone 479 595 770 823 799 715 7,4 5,7 5,1 4,5 4,3 3,8 Paesi Bassi 233 406 572 667 654 664 3,6 3,9 3,8 3,6 3,6 3,5 Francia 328 463 521 596 569 580 5,1 4,4 3,4 3,3 3,1 3,1 Repubblica di Corea 172 284 466 555 548 560 2,7 2,7 3,1 3,0 3,0 3,0 Gran Bretagna 285 384 405 507 473 541 4,4 3,7 2,7 2,8 2,6 2,9 Federazione russa 106 244 400 522 529 523 1,6 2,3 2,6 2,8 2,9 2,8 Italia 241 373 448 523 501 518 3,7 3,6 2,9 2,9 2,7 2,8 Belgio 188 334 411 476 446 469 2,9 3,2 2,7 2,6 2,4 2,5 Spagna 115 193 245 307 295 316 1,8 1,8 1,6 1,7 1,6 1,7 India 42 100 216 303 297 312 0,7 0,9 1,4 1,7 1,6 1,7 Brasile 55 119 202 256 243 242 0,9 1,1 1,3 1,4 1,3 1,3 6.456 10.489 15.238 18.327 18.404 18.784 100 100 100 100 100 100 Mondo 3,9 7,3 10,4 10,4 11,1 11,8 Fonte. Elaborazione su dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio L’Italia si trova comunque al crocevia dell’interscambio tra Asia e Unione europea che nel 2010 rappresentava ancora il 34,2% del commercio mondiale (esportazioni + importazioni, in calo rispetto al 38,2% del 2000), pur essendo l’interscambio italiano limitato al 3% mondiale (3,6% nel 2000). 1 Secondo le previsioni di un rapporto del 2005 delle Nazioni Unite, il numero totale di contenitori pieni spediti a livello internazionale era destinato a crescere a 178 milioni di TEU entro il 2015, contro circa 78 milioni di TEU nel 2002; la crescita media durante il periodo 2002-2010 sarebbe stata del 7,5% annuo, 1 United Nations, Regional shipping and port development strategies, Under a changing maritime environment, New York, 2005, 12 Iniziativa di studio sulla portualità italiana scendendo al 5,0% annuo nel 2010-2015. In realtà la crescita che è stata realizzata effettivamente fino al 2007 è stata maggiore del previsto, raggiungendo già in quell’anno i 140 milioni di TEU, con tre anni di anticipo sulle previsioni, salvo poi ritornare a tale livello nel 2010 dopo la “Grande recessione”. In altre parole la previsione al 2010 è stata sostanzialmente rispettata ma con fluttuazioni molto ampie nel frattempo. Si possono ipotizzare per il futuro tassi di crescita del commercio internazionale sostenuti ma inferiori a quelli previsti prima della crisi, a condizione che l’instabilità nella crescita internazionale non torni nuovamente a prendere il sopravvento, riflettendosi in maniera amplificata su commercio internazionale e interscambio nei porti. D’altra parte, non si possono trasporre meccanicamente le previsioni di crescita del PIL e delle esportazioni sulle aspettative di crescita del movimento di container. Nel periodo 2000-2013 la movimentazione di container cresce del 42,9%, più del PIL italiano (-0,2%), ma anche delle esportazioni italiane valutate a prezzi costanti (+18,8%) (Fig. 2.3). Tra il 2007 e il 2011 le esportazioni vengono colpite dalla crisi meno rispetto alla movimentazione container, anche perché sono emersi nel Mediterraneo nuovi porti concorrenti, sia in Spagna (soprattutto Valencia e Algeciras), che in Egitto (Porto Said), Marocco (Tangeri) e Malta (Marsaxlokk che ha raggiunto i 2,55 milioni di container nel 2013). Questa situazione tende ad ampliare la differenza tra crescita ipotizzabile per la movimentazione di container nei porti e quella più rapida delle esportazioni. Il 53,7% delle esportazioni italiane si dirige verso l’UE (dati ISTAT sul primo trimestre 2014) e in larga parte non transita per alcun porto. Tuttavia nell’ultimo biennio 2012-2013, la movimentazione container ha ripreso a crescere a dispetto di un calo delle esportazioni in valore reale in dollari, anche perché la crisi dei porti del Nord Africa a seguito della primavera araba ha contribuito a rilanciare i traffici verso Gioia Tauro. Fig. 2.3 – La crescita del traffico container nei porti è maggiore di quella del Pil ma minore di quella delle esportazioni (1990-2013) Fonti: elaborazioni DIPE su dati ISTAT, Assoporti e EUROSTAT, ponendo gli indici a base 100 nel 2000. 13 Iniziativa di studio sulla portualità italiana La sola proiezione meccanica dei tassi di crescita di container del recente passato sul futuro porta a individuare scenari molto diversi: utilizzando i dati del 2000 - 2013 - che includono sia una delle fasi di crescita più elevata delle esportazioni italiane degli ultimi trent’anni, sia la più forte crisi economica dalla seconda guerra mondiale – si avrebbe un aumento della movimentazione container dai 10 milioni del 2013 fino a oltre 12,6 milioni di TEU nel 2020 e a 17,5 milioni di TEU nel 2030; con riferimento al solo periodo 2005-2013, ci sarebbe una crescita molto modesta, corrispondente ad una stagnazione (Fig. 2.4). Le tendenze nella crescita dell’interscambio complessivo di merci, pur con volumi più alti, non mostrano una dinamica molto diversa rispetto a quella dei container, e anzi sono cresciute anche più lentamente nel passato. Uno studio della MDS Transmodal2 ipotizza una crescita dei porti dell’Italia settentrionale da 5 milioni di Teu nel 2011 a 12 milioni nel 2030, puntando in particolare sul possibile recupero da parte del Nord-Est (che passerebbe da poco più di 1 milione di TEU a 6 milioni) di un ruolo di intermediario tra Asia e Europa centrale, zone ad elevata crescita economica. Questo scenario è teoricamente compatibile con l’evoluzione media 2000-2011 dell’insieme del settore container italiano, ma richiederebbe di replicare sul lungo periodo i tassi di crescita realizzati in Italia prima dell’intensificarsi della competizione da parte degli altri porti mediterranei o del Northern Range su costi, velocità, collegamenti ferroviari e stradali, interporti, spazi portuali e fondali. Richiederebbe dunque per poter essere realizzato di vincere la sfida con tutti questi nodi. Dei 10,1 milioni di Teu del 2013, 4 milioni sono trattati dai tre porti per il transhipment (Gioia Tauro, Taranto e Cagliari) e ripartono quasi interamente verso nuove destinazioni tramite feeder, mentre la maggior parte dei restanti sei milioni di TEU hanno origine o destinazione finale sul territorio italiano. Fig. 2.4 – Proiezione del tasso di crescita nell’interscambio di container, con due scenari al 2030 Fonte: DIPE, proiezione meccanica della crescita degli anni precedenti su dati Assoporti 2 MDS Transmodal, NAPA: Market Study on the potential Cargo capacity of the North Adriatic Ports System in the Container Sector, Londra, gennaio 2012. 14 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 2.2 L’EVOLUZIONE DEL TRAFFICO NEI PORTI ITALIANI, MEDITERRANEI E DEL NORTHERN RANGE Alla fine dell’ottocento si insediano attorno alle aree portuali europee non solo le attività industriali tradizionali, come la cantieristica, ma anche attività siderurgiche, elettromeccaniche, della chimica e della petrolchimica, della lavorazione dei prodotti alimentari. Genova e Trieste, seguono il movimento che interessa i grandi porti europei. Nel 1869 l’apertura del Canale di Suez stimola la concorrenza e torna a far passar nel Mediterraneo parte dei traffici marittimi verso l’Asia che prima circumnavigavano l’Africa o passavano via terra. Questa trasformazione è seguita da un imponente sviluppo del porto di Trieste, allora terminale marittimo dell’Impero austro-ungarico, e si resero necessari ulteriori interventi di ampliamento del porto, con la costruzione di cinque moli, seguiti da altri due all’inizio del novecento (V e VI), dal porto petroli nel 1893, e da altre interventi (nuovo porto S. Andrea e riva e molo tra l'Arsenale e i cantieri S. Marco). Negli anni successivi al 1876, ingenti finanziamenti pubblici vengono concentrati sul porto di Genova, compreso l’apparato industriale che ad esso fa capo, come conseguenza di una precisa scelta politica del Governo italiano. Le nuove attività industriali aggiuntesi alla cantieristica classica necessitano di aree operative di dimensioni crescenti, hanno un rilevante impatto ambientale e nella conformazione più recente devono necessariamente essere dislocate lontano dalle città. Si afferma quindi il modello del porto industriale, che progressivamente rimpiazza il consolidato schema del porto commerciale il cui modello operativo è incentrato sull’imbarco/sbarco delle merci e sul loro stoccaggio temporaneo. I traffici dei porti si concentrano sull’attività industriale che afferisce al bacino geografico limitrofo, mentre il mercato dell’interland commerciale, per sua natura contendibile, assume connotati di interesse secondario. Il porto diventa un luogo di transito, piuttosto che la sede del “commercio”, dove le merci sostano il minor tempo possibile, delineando già i problemi e i conflitti della portualità di fine ‘900, in primo luogo tra gli interessi del cluster portuale locale, che tende ad assorbire la maggior quota possibile del valore delle merci in transito, e gli interessi del mercato che tendono a conseguire risparmi sul valore delle materie prime. Già nell’ottocento l’importanza del sistema ferroviario nel determinare gli scenari evolutivi di un porto è ben presente agli operatori, che non solo chiedono di portare i binari sottobordo, ma guardano anche alla politica infrastrutturale di settore a larga scala, già a quel tempo fortemente negativa per la competitività degli scali Adriatici rispetto ad esempio ad Amburgo e Brema. Successivamente, alcuni porti nordeuropei avviano una forte integrazione con la via fluviale, ma non è il caso di tutti. Oggi Amburgo e Brema hanno un modal split che prevede traffico fluviale per meno del 5% e traffico ferroviario dal 40 al 50%. Rotterdam, Amsterdam e Anversa (i porti olandesi e belgi) invece hanno un modal split elevato nel campo del trasporto fluviale. La diversa competitività dello scalo triestino rispetto ai porti tedeschi si rifletteva alla fine dell’ottocento anche nel mancato successo a causa di problemi di gestione della ferrovia sudbahn, Vienna-Trieste, entrata in servizio nel 1857, tanto che si dovette realizzare la linea Transalpina (1906), anch’essa di capacità limitata. Quindi i collegamenti ferroviari triestini verso i mercati di riferimento dell’impero austro-ungarico sono stati meno efficienti di quelli dei porti tedeschi per diversi anni (e probabilmente lo sono ancora). 15 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Prima della Grande Guerra, Trieste è comunque tra i primi porti europei grazie agli investimenti dell’Impero austro–ungarico. Dopo la prima guerra mondiale, Trieste punta sulla creazione di un grande polo industriale, una incoerenza che sembra prescindere da valutazioni funzionali, di mercato, di convenienza economica, di vantaggio competitivo e assetto logistico. Questa scelta fa si che alla fine degli anni ’30, il porto “appare arretrato di decenni rispetto ad Amburgo“.3 Negli anni successivi al 1876, ingenti finanziamenti pubblici vengono concentrati sul porto di Genova, compreso l’apparato industriale che ad esso fa capo, come conseguenza di una precisa scelta politica del Governo italiano. Se negli anni ’20 la movimentazione diretta dei carichi in banchina e l’impiego di gru meccaniche elettriche è ancora molto limitato, lo sviluppo industriale del territorio segue altri e più potenti ritmi. Negli anni ’30, lo Stato destina investimenti consistenti allo sviluppo infrastrutturale del porto, che alla vigilia della seconda guerra mondiale si presenta già con la struttura attuale, a eccezione di Voltri. Nella storia di Genova e Trieste sono rintracciabili diversi elementi che hanno caratterizzato lo sviluppo sia dei porti italiani sia, ad esempio, di quelli tedeschi: la dipendenza decisiva dall’intervento statale; la stretta connessione con il processo di industrializzazione del territorio limitrofo; la fragilità del modello di business del processo movimentazione-trasporto. In Italia si osserva anche una interazione essenziale con la ferrovia, elemento su cui si tornerà nel corso dello studio. Scrive lo storico economico genovese Giorgio Doria: “Genova era un porto in cui giungevano dal mare navi cariche e ne ripartivano vuote e da terra carri ferroviari vuoti che ne ripartivano pieni: era un porto costoso sia per i vettori marittimi che per quelli terrestri”4. Il comparto portuale si sviluppa tra sussidi e protezioni, che hanno conseguenze decisive sulle motivazioni che accompagnano il decollo di imprese di grandi dimensioni; assume le connotazioni di un committente privilegiato del comparto delle costruzioni, ove le energie degli enti gestori sono indirizzate prioritariamente a costruire dighe, moli, banchine, a prescindere dai volumi di traffico. Nel Nord Europa, prima della Grande guerra, la Germania promuove l’espansione di porti come Amburgo e Brema, anche in funzione anticiclica finalizzata a contrastare gli effetti della stagnazione del commercio marittimo alla fine dell’800; successivamente negli anni ’30, il Governo tedesco investe sull’efficientamento della rete di navigazione interna, con lo scopo di trasferire su questa modalità di trasporto una parte del traffico merci da e per i porti tedeschi, in analogia con quanto avveniva nei porti dei Paesi Bassi e del Belgio. Durante la ricostruzione dei porti tedeschi distrutti dai bombardamenti, si realizza un deciso spostamento di traffici dai porti tedeschi a quelli belgi, olandesi e francesi, contribuendo a dare inizio alle fortune di Rotterdam, Anversa, Le Havre e Dunquerque, che sfrutteranno questo vantaggio competitivo nel secondo dopoguerra, oltre a quello derivante dalla efficiente rete di trasporto fluviale del Benelux, instaurando una gerarchia economica nell’ambito del northern range che in parte permane a tutt’oggi. Negli anni ’70 si assiste a un’altra rivoluzione: l’affermarsi della modalità di trasporto marittimo per mezzo dei container. Prima le aree portuali, subordinate al settore industriale, erano destinate prevalentemente alla movimentazione delle rinfuse e ai depositi costieri di combustibile; gli spazi 3 Citato in Bologna S., Le multinazionali del mare, letture sul sistema marittimo-portuale, Egea, Milano, 2010, p. 20. ‘Un porto al servizio dell’industrializzazione italiana’, in Consorzio Autonomo del Porto di Genova, Archivio Storico, Volume Primo 1870-1902, a cura di D. Cabona, Genova, 1988. 4 16 Iniziativa di studio sulla portualità italiana dedicati al traffico passeggeri a lunga percorrenza, con le loro imponenti stazioni marittime, erano ormai in stato di abbandono e le uniche attività che richiedevano significativi apporti di forza lavoro erano quelle che si svolgevano lungo le banchine a pettine, dove attraccavano le navi da carico tradizionali. Ora una portacontainer dotata di gru, cui si sommino i necessari camion e treni, riduce quasi a zero la necessità di lavoro portuale. La volatilità della domanda di merci negli anni ’70 a livello internazionale richiede di minimizzare gli accantonamenti improduttivi e può prevedere la stipula di accordi commerciali di lunga durata aventi l’obiettivo di stabilizzare le rese delle varie tratte e modalità di trasporto. Gli operatori marittimi devono affrontare gli effetti delle fluttuazioni della domanda mondiale, dei tassi di cambio, dei prezzi delle materie prime o dei noli, ma anche delle catastrofi naturali (tempeste, allagamenti, terremoti, maremoti, mutamenti climatici), o di atti terroristici, di pirateria, di conflitti bellici, o di errori umani, ma anche degli effetti dell’instabilità normativa, dell’evoluzione dell’offerta di navi o dell’innovazione tecnologica. La capacità di risposta rapida ai cambiamenti e alle sfide più diverse è condizione della sopravvivenza delle imprese. Da questo nasce la “logistica”, disciplina che teorizza l’intermodalità quale motore dell’economia del trasporto delle merci. La crisi economica del 2008-2009 è iniziata dopo una fase di globalizzazione che aveva portato ad una crescita molto forte degli scambi internazionali dal 2000 al 2008. Tuttavia, l’analisi del mercato va differenziata tra l’andamento del settore specifico dei container (10 milioni di TEU movimentati nel 2013, che equivarrebbero a circa 150 milioni di tonnellate, ipotizzando che in media i container viaggino pieni al 75% circa5) e quello più ampio delle merci rinfuse e varie (459 milioni di tonnellate di merci movimentate nel 2012, i cui dati includono anche il tonnellaggio trasportato in container) (Fig. 2.5). Alcuni grandi porti della nostra penisola sono prettamente dedicati all’attività di transhipment: i principali sono i porti di Cagliari, Gioia Tauro e Taranto, ma anche La Spezia e Livorno trattano importanti quantità di container. Se si guarda invece al complesso delle merci movimentate (che include sia i container che le rinfuse liquide o solide), i maggiori porti italiani sono nell’ordine Genova, Trieste e Cagliari (Tab. 2.2). L’ordine di importanza dei singoli porti è totalmente diverso se si considera invece il traffico per passeggeri delle navi da crociera, con la preminenza di Civitavecchia con 2,4 milioni di passeggeri, Venezia con 1,8 milioni, Napoli con 1,1 milioni e Genova con 1,05 milioni (dati Assoporti). Si tratta di un mercato che ha continuato a crescere malgrado la crisi, contrariamente a container e merci vari, visto che è passato da 2,3 milioni di passeggeri (sbarchi + imbarchi + transiti) nei principali porti italiani nel 2000 a 5,2 milioni nel 2005 e a 11,2 nel 2011, con un calo solo nel 2012 (l’anno del naufragio della Costa Concordia) e una ripresa nel 2013 con 10,9 milioni di passeggeri. Un confronto tra il 2005 e il 2013 evidenzia una crescita del numero di croceristi nei porti italiani del 110%, dei container del 3,9% mentre il PIL è calato del 5% (Fig. 2.6). 5 I dati sui container sono espressi in milioni di TEU (che corrispondono a contenitori di circa 6 metri di lunghezza e con un peso netto massimo di circa 21,6 tonnellate), mentre i dati sulle merci complessive sono espressi in tonnellate. Il rapporto tra le due unità di misura non è fisso perché la percentuale di riempimento varia da container a container e un TEU non equivale ad un peso fisso 17 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tab. 2.2 – Traffico di container (2013) e complesso merci (2012) nei porti italiani CONTENITORI MOVIMENTATI Var % Var% sul 2013/20 2013/20 07 11 -10,0% 34,5% Genova COMPLESSO MERCI MOVIMENTATE Migliaia Quota Var% Var % di % nel 2012/20 2012/20 tonnel. 2012 07 10 2012 50.206,0 10,9% -12,2% -1,0% Autorità Portuali Migliaia di TEU 2013 Migliaia di T.E.U. 2007 Quota % nel 2013 Gioia Tauro 3.100,0 3.445,3 30,8% Genova 1.988,0 1.855,0 19,7% 7,2% 7,6% Trieste 49.206,0 10,7% 6,7% 3,3% La Spezia 1.300,4 1.187,0 12,9% 9,5% -0,5% Cagliari 35.414,0 7,7% -0,4% -8,9% Cagliari 685,0 547,3 6,8% 25,2% 13,6% Taranto 34.942,0 7,6% -26,0% 0,3% Livorno 560,0 745,6 5,6% -24,9% -12,2% Augusta 29.937,0 6,5% -8,1% 1,8% Napoli 490,0 460,8 4,9% 6,3% -7,0% Livorno 27.418,0 6,0% -16,8% 25,1% Trieste 458,0 265,9 4,5% 72,3% 16,5% Venezia 25.375,0 5,5% -16,0% -3,8% Venezia 443,0 329,5 4,4% 34,4% -3,4% Gioia Tauro 24.200,0 5,3% -19,8% -20,4% Salerno 270,0 385,3 2,7% -29,9% 14,8% Messina 22.394,0 4,9% -4,7% -2,9% Ravenna 226,9 206,8 2,3% 9,7% 5,4% Ravenna 21.460,0 4,7% -18,4% -2,1% Taranto 197,3 755,9 2,0% -73,9% -67,4% Napoli 20.038,0 4,4% -1,1% -8,6% Ancona 152,4 87,2 1,5% 74,8% 26,3% La Spezia 15.438,0 3,4% -20,5% -14,0% Savona-Vado 75,0 242,7 0,7% -69,1% -56,0% Savona-Vado 13.311,0 2,9% -17,1% -5,6% Civitavecchia 49,6 31,1 0,5% 59,3% 30,0% Civitavecchia 11.480,0 2,5% 49,4% 11,2% Bari 31,4 0,1 0,3% 214% 182,3% Salerno 10.173,0 2,2% -6,6% 3,4% Catania 27,8 22,5 0,3% 23,5% 58,0% 10.108,0 2,2% -4,1% 1,6% Palermo 20,6 31,8 0,2% -35,2% -27,9% 8.707,0 1,9% 18,6% -16,6% Augusta Marina di Carrara Brindisi Piombino Messina Olbia-Golfo Aranci TOTALE 0,2 - 0,0% Brindisi Olbia-Golfo Aranci Ancona 7.952,0 1,7% -13,2% -6,7% - 2,3 Palermo 7.691,0 1,7% 16,0% -2,3% - 5,4 - 6.007,0 4.840,0 4.501,0 1,3% 1,1% 1,0% -33,3% 12,4% -19,0% -8,4% -0,8% -15,1% - - Piombino Catania Bari Marina di Carrara TOTALE 3.273,0 0,7% 12,9% -2,1% 459.228 100,0% -9,9% -3,6% 10.076,7 10.609,1 100,0% -5,0% 5,8 Fonte: elaborazione DIPE su dati Assoporti e Autorità portuali 18 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 2.5 – Evoluzione del traffico nazionale di merci e di container nei porti italiani Fonti: elaborazione DIPE su dati Assoporti e Autorità Portuali Fig. 2.6 – Il boom del settore crocieristico rispetto a merci e container nei principali porti italiani 210 Traffico merci 190 Passeggeri crociere 170 Traffico container 150 PIL (Istat) 130 110 90 70 50 30 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Fonti: elaborazione DIPE su dati ISTAT, Assoporti e ISPRA (numeri indice per 2005=100) 19 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 2.2.1 Il traffico movimentato da container Per comprendere meglio l’operatività del settore transhipment (anche noto come hub and spoke), è utile distinguere le diverse categorie di porti nazionali6. Vi sono anzitutto gli hub di transhipment, porti nei quali i container arrivano con grandi navi da altri continenti, vengono scaricati e caricati su navi di più piccole dimensioni (feeder) con destinazione i mercati finali nella regione (ad esempio il Mediterraneo nel caso dell’Italia, il Baltico nel caso dei porti tedeschi); vi sono poi i porti gateway, in cui i carichi delle grandi navi arrivano e ripartono verso le destinazioni nell’entroterra, specie tramite ferrovia; infine, i regional ports sono quelli che fungono da porto di destinazione per le merci da distribuire nel territorio limitrofo. Mentre i porti gateway operano in un mercato competitivo su scala europea, i porti di transhipment sono esposti alla concorrenza internazionale. In tale contesto, Gioia Tauro continua ad avere un ruolo di primo piano come porto di transhipment nel contesto europeo e internazionale, benché negli ultimi tempi soffra, come Cagliari e Taranto, di un declino dovuto alla forte concorrenza dei porti della sponda sud del Mediterraneo, Porto Said e Tangeri. Infatti, nonostante alcuni benefici fiscali come la mancata applicazione al transhipment della tassa sulle merci e di quella di ancoraggio7, i porti del Nord Africa sono favoriti dal basso costo del lavoro e dalla disponibilità di ampie aree portuali. Per fronteggiare tale concorrenza, alcuni porti nazionali hanno avviato una riconversione delle attività verso configurazioni di tipo misto, ad esempio Gioia Tauro (transhipment/gateway/regional) e La Spezia (transhipment e gateway). L’evoluzione del traffico di container nel Mediterraneo ha visto la progressiva affermazione dei porti spagnoli, con una forte crescita di Algeciras e Barcellona fino al 2007, superate poi da Valencia. Quest’ultimo porto ha resistito molto bene alle crisi finanziarie ed economiche che si sono succedute dal 2007 ed è diventato il primo porto del Mediterraneo per movimentazione container (era quinto nel 2000). Lo scalo di Algeciras è in continua crescita sia per quello che riguarda le superfici disponibili che per quello che concerne la capacità operativa e i servizi logistici offerti. La sua posizione geografica, molto vicina all’Africa, gli conferisce la particolare funzione di ponte intermodale tra questo continente e l’Europa. Le infrastrutture presenti e quelle in via di completamento favoriscono la vocazione intermodale del porto e lo sviluppo sostenibile delle infrastrutture stradali e ferroviarie. Il porto si presenta, quindi, come uno scalo polivalente in grado di movimentare molte tipologie di merci (rinfuse solide e liquide, contenitori), traffico di passeggeri (servizi di linea e crociere) e attività di pesca. I porti nordafricani hanno accelerato la propria crescita quando il resto del Mediterraneo ha cominciato a subire una contrazione del traffico, grazie anche alla modernizzazione degli impianti. In Marocco, Tangeri Med, 22 km a est di Tangeri, inaugurato a luglio 2007 e diventato già nel 2009 il secondo porto per movimentazione di container del Mediterraneo. Il porto si trova a 14 km dalla Spagna in una posizione strategica sulla via di passaggio tra Asia, Europa, Nord America e Sud America. È circondato da una zona franca di attività industriali e logistiche e la sua attività principale è il trasbordo di container. Il porto ha due terminal per i container, di una capacità totale di 3,5 milioni di TEU, un terminal porta rinfuse, un porto passeggeri e un terminal per idrocarburi. Il terminal 1 è stato concesso a Maersk per la 6 Cfr. intervento di P. Fadda nel Seminario: AREL, “La competitività del Transhipment nazionale”, Seminario 26, luglio 2011 che contiene anche altri interventi che verranno di seguito citati. 7 Cfr. ibidem intervento F. Nerli, p. 24. 20 Iniziativa di studio sulla portualità italiana durata di 30 anni, così come il 2 che appartiene al consorzio Eurogate - Contship / MSC / CMA-CGM. I primi tre porti italiani registrano un traffico container inferiore sia ai primi tre porti spagnoli, sia ai primi tre porti nordafricani (non sono ancora disponibili i dati sul 2013 per alcuni porti nordafricani) (Fig. 2.7), evidenziando una significativa perdita di competitività anche rispetto a porti come il Pireo in Grecia, che ha quasi moltiplicato per quattro il numero di TEU movimentati (da 864.000 nel 2010 a 3.164.000 nel 2013) grazie all’arrivo nell’estate del 2010 di nuovi gestori cinesi (COSCO). Anche il porto maltese di Marsaxlokk ha raddoppiato la movimentazione di container tra il 2003 e il 2013, superando i 2,5 milioni di TEU. Fig. 2.7 – Movimento contenitori nei porti delle principali aree del Mediterraneo, in migliaia di TEU 10000,000 Primi tre porti spagnoli 8000,000 Primi tre porti italiani Gioia Tauro, Genova e La Spezia 6000,000 4000,000 Algeciras, Barcellona e Valencia Port Said, Tangeri e Damietta Primi tre porti nordafricani Il Pireo e Marsaxlokk 2000,000 0,000 Fonte: elaborazione DIPE su dati Assoporti, Container International e Autorità portuali nazionali e internazionali Gioia Tauro era nel 2005 il primo porto per container del Mediterraneo, mentre nel 2011 è sceso al quarto posto; Genova è scesa dal terzo all’ottavo posto tra il 2005 e il 2010. Nel 2013 il traffico container in Italia è cresciuto del 4,8%, il miglior risultato in termini di tasso di crescita dall’inizio della crisi nel 2007 ad oggi, pur rimanendo inferiore al volume complessivo in livello assoluto raggiunto nel 2007-2007. Il 2013 ha viso una crescita dei porti italiani maggiore rispetto a quelli spagnoli e dell’Europa del Nord ma inferiore rispetto al Pireo o a Tangeri. Nel Mezzogiorno, si è interrotto dal 2011 il calo nella movimentazione container dei tre maggiori porti dopo quattro anni di diminuzione: Gioia Tauro ha beneficiato di un aumento del 34,5% dei traffici in due anni, recuperando gran parte di quanto perso dal 2007 al 2011 a causa dell’abbandono della Maersk, che ha ora annunciato il ritorno. Cagliari ha raggiunto nel 2011-13 una crescita del 13,6%. Taranto invece ha 21 Iniziativa di studio sulla portualità italiana subito un tracollo, perdendo oltre il 67% del traffico in due anni e tornando ai livelli del 2001, principalmente per gli effetti della crisi dell’Ilva. Genova ha subito un calo del 3,7% nel 2013, ma si tratta di un assestamento dopo una crescita di oltre il 30% nei tre anni precedenti. La Spezia è cresciuta del 4,3% nel 2013 recuperando il livello del 2011 mentre Savona-Vado è calata a livelli di attività molto bassa. I porti dell’Alto Adriatico hanno continuato la loro progressione (nel 2013 Trieste +16,5%, Ravenna +5,4%, Venezia +3%) raggiungendo congiuntamente 1,13 milioni di TEU, rispetto ai 0,8 milioni del 2007, con risultati molto migliori della media nazionale sul lungo periodo. Rimangono tuttavia bassi per movimentazione container in termini assoluti rispetto ai 3,1 milioni di Gioia tauro o ai 3,4 milioni dei porti liguri, per non parlare degli 11,6 milioni di Rotterdam. In conclusione, al forte sviluppo registrato dal 2000 al 2007 dai cinque maggiori porti meridionali grazie al transhipment (da 3,4 milioni a 5,6 milioni di TEU annui), ha fatto seguito un ridimensionamento nel traffico container nel 2007-2011 (fino ai 4,3 milioni nel 2011) e una ripresa a 4,7 milioni nel 2011-2013. La causa di questo fenomeno travalica la crisi congiunturale e dipende maggiormente dalla competizione con i porti della sponda Sud del Mediterraneo, che offrono costi nettamente più bassi, e con quelli spagnoli, che offrono tempi più rapidi nelle operazioni portuali. I porti del Nord Italia tuttavia, dopo lo shock del 2008-2009, hanno quasi ritrovato i livelli massimi di interscambio in Liguria e li hanno ampiamente superati nell’alto Adriatico (Fig. 2.8). Le realtà maggiormente colpite dalla crisi della siderurgia (Taranto e Livorno) ne risentono ovviamente anche in termini di declino delle attività portuali. Fig. 2.8 – Movimento contenitori in alcuni dei maggiori porti italiani per aree geografiche, in migliaia di TEU movimentati Fonte: elaborazione DIPE su dati Assoporti e autorità portuali 22 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Nonostante i progressi e gli investimenti nei porti spagnoli e nordafricani nella movimentazione di container nell’ultimo decennio, i porti del Northern Range restano più competitivi dell’insieme degli scali mediterranei. Anversa, Rotterdam, Brema e Amburgo sono in grado di movimentare elevati volumi di merce con costi unitari più bassi, grazie a: una delle maggiori concentrazioni di produzione manifatturiera al mondo, con una forte vocazione alle esportazioni, che permette importanti economie di scala e concentrazione degli investimenti su pochi porti (nel 2013 Rotterdam da sola movimentava più container dell’insieme dei 23 porti italiani sedi di autorità portuali); gli alti fondali, necessari per ospitare le grandi ocean vessel che viaggiano sulle rotte con l’Estremo Oriente; maggiore efficienza e affidabilità degli scali che si concretizza in costi per operazione più bassi rispetto all’Italia, Francia e Spagna e tempi di movimentazione più brevi e maggiore vicinanza ai mercati di sbocco o ai luoghi di produzione rispetto ai porti del Nord Africa (vedere i dati della Banca Mondiale Doing Business 2014, paragrafo 3.2.3); una capillare rete intermodale di collegamento con l’entroterra (fiumi, canali, treni): in particolare nel 2009 secondo Eurostat il 42,9% del trasporto fluviale di merci nell’UE in volume si è svolto in Germania, il 27,5% in Olanda, il 6,7% in Francia, il 5,5% in Belgio e solo lo 0,04% in Italia; una diffusa presenza di infrastrutture logistiche. Fino al 2008 i porti del Nord Europa sono cresciuti ancora più velocemente rispetto ai porti mediterranei più dinamici, conseguenza del boom nelle esportazioni di merci in partenza da Germania e Olanda, entrambi Paesi in forte surplus commerciale. Dopo aver subito pesantemente la crisi economica del 2008-2009 hanno ripreso a crescere superando nel 2011 i livelli massimi pre-crisi, in particolare Rotterdam, Anversa e Brema. I tre Paesi che gravitano sui porti del Northern Range (Germania, Paesi Bassi, e Belgio) rappresentavano insieme il 13,8% dell’interscambio mondiale e il 14,8% delle esportazioni mondiali nel 2010, quasi cinque volte la quota italiana e hanno beneficiato della crescita delle esportazioni tedesche e olandesi anche nel 2010-2011 (Fig. 2.9). Nel 2012 e 2013 tuttavia la stagnazione delle esportazioni tedesche, causata anche dal declino della domanda nei Paesi europei che applicano politiche di austerità, ha comportato un arresto della crescita dei porti del Northern Range. 23 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 2.9 – I porti del Nord hanno colto maggiormente i benefici della globalizzazione rispetto al Mediterraneo: movimento container nei principali porti europei in migliaia di TEU Fonte: elaborazione su dati Assoporti, Container International e singole Autorità portuali Da Rotterdam le merci sono movimentate mediante navi, chiatte fluviali, ferrovie e su strada. Dal 2007, è in funzione la Betuweroute, una ferrovia veloce per merci, da Rotterdam alla Germania. I fiumi Mosa e Reno forniscono anche un eccellente accesso all'hinterland. Il porto di Anversa - che nel 2009 ha movimentato oltre 157 milioni di tonnellate di merce e ha offerto servizi di linea a 800 destinazioni marittime differenti - è efficientemente connesso all'entroterra tramite collegamenti ferroviari, fluviali e stradali. Amburgo è il porto in maggiore crescita a livello europeo e serve la parte orientale del proprio hinterland anch’esso tramite una rete di fiumi e canali e uno dei maggiori scali di smistamento ferroviario d’Europa. Il potenziale vantaggio geografico dei porti della sponda nord del Mediterraneo nei traffici con l’Asia viene dunque in larga parte vanificato dalla mancanza di adeguati collegamenti ferroviari con le grandi aree produttive e i mercati di consumo del Nord Europa e dalla maggiore efficienza degli scali del Northern Range. 2.2.2 Il traffico rinfuse e merci varie Le merci non movimentate tramite container, rappresentano una quota maggiore del traffico portuale rispetto ai container stessi, ma non sono misurate in maniera facilmente comparabile. Infatti, come già menzionato, le merci alla rinfusa e varie vengono misurate in tonnellate e non in Teu (la misura standard di volume nel trasporto dei container ISO senza tara è equivalente a circa 21,6 tonnellate, ma il grado di riempimento dei container è variabile). Inoltre i dati complessivi portuali sul traffico merci includono anche quelle movimentate tramite container e non distinguono queste ultime dalle altre tipologie. 24 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Nell’insieme dei porti sede di Autorità portuali, il volume totale dei traffici è cresciuto continuamente tra il 2002 e il 2007, passando da 431 milioni di tonnellate nel 2002 a 492 milioni nel 2007. La fortissima contrazione degli scambi a livello internazionale, avviata nell’ultimo trimestre del 2008 si è trasformata nel 2009 in una drastica riduzione dei traffici par al 16%, con 421 milioni di tonnellate di merci movimentate. Nel 2010-11 si è avviata la ripresa, con il recupero di gran parte di quanto perso e un ritorno a 481 milioni di tonnellate nel 2011. Il nuovo acuirsi della crisi economica e finanziaria in Europa meridionale nella seconda metà del 2011 ha provocato un nuovo calo del traffico a 459 milioni nel 2012. Nel 2002-2012 il traffico totale delle merci nei porti italiani è cresciuto del 7%, a fronte del 22,5% di quello container nello stesso periodo. Il traffico delle merci solide, pari a 275,1 milioni di tonnellate tra merci varie e rinfuse solide nel 2012, è diminuito dell’8,4% rispetto al 2008, a fronte di un calo delle merci liquide (183,5 milioni di tonnellate nel 2012) del 3% anno nello stesso periodo. (Fig. 2.10). Fig. 2.10 – Distribuzione per tipologia del traffico di rinfuse e merci varie nei porti italiani dal 2002 al 2010, in migliaia di tonnellate Fonte: elaborazione su dati Assoporti Per complesso di merci movimentate, Genova rimane il principale porto italiano con un volume totale di traffico di 50,2 milioni di tonnellate di merci, registrando, però, un calo, rispetto al 2008, del 6,5%; segue Trieste, con 49,2 milioni di tonnellate, in aumento del 6,7% rispetto al 2007. Civitavecchia, in controtendenza rispetto al resto del Paese (calo medio a livello nazionale del 9,9%) ha registrato un aumento del 49,4% nel 2007-2012, il più elevato in Italia). Oltre a Trieste e Civitavecchia solo quattro porti medi con meno di 10.milioni di tonnellate di traffico hanno avuto un aumento di movimentazione merci dall’inizio della crisi ad oggi (Olbia, Palermo, Catania e Marina di Carrara), mentre 17 porti non hanno ancora recuperato il livello pre-crisi. Nei principali porti del Mezzogiorno rispetto al 2007 si registrano le consistenti flessioni di Gioia Tauro (-19,8%) e Taranto (-26%), a fronte di una sostanziale stabilità di Cagliari (0,4%) e Napoli (-1,1%). La dispersione dei porti italiani si associa a basse dimensioni medie, che raggiungono nel 2012 i 32 milioni di tonnellate per i tre porti del Nord Est, 26,3 milioni in media per i tre porti liguri che servono il 25 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Nord-Ovest, i 17,7 milioni per i 12 porti del Mezzogiorno e gli 11,2 milioni per i 5 porti del Centro. Malgrado la dimensione limitata dei porti meridionali e la crisi nella movimentazione container al Sud, il Mezzogiorno ha risentito meno della crisi nel periodo 2005-2010, con un calo del traffico complessivo di merci dell’1,4%, rispetto al calo del 6,8% del Nord (Fig. 2.11). Nel 2010-12 invece si è rovesciata la tendenza e il Sud ha perso più traffico del Centro-Nord (-6,1% rispetto a -1,2%), come d’altronde è stato maggiore il calo del PIL e della produzione industriale al Mezzogiorno. Complessivamente il traffico container rimane molto più concentrato di quello delle merci in generale, poiché i primi tre porti per container (Gioia Tauro, Genova e La Spezia) rappresentano il 63,4% della movimentazione a livello nazionale (grado di concentrazione peraltro in crescita rispetto al 57,3% dal 2011) mentre il traffico merci risulta molto più frazionato con appena il 29,4% concentrato nei primi tre porti (Genova, Trieste e Cagliari). Fig. 2.11 - Evoluzione del traffico merci nei porti italiani per area geografica, in migliaia di tonnellate Fonte: Elaborazioni su dati Assoporti (2005-2010) e Ministero delle infrastrutture e trasporti (per il 2002) 2.2.3 L’impatto di costi ed efficienza relativa a livello internazionale sull’evoluzione dei traffici Come già accennato, l’andamento del traffico di merci e container nei porti italiani è più correlato con l’andamento dell’interscambio commerciale complessivo dell’Italia, che non ai flussi commerciali da e per l’Asia. Secondo i dati Eurostat, il traffico merci nei porti italiani nel 2010 era dovuto per il 64% a scambi internazionali extra UE, per il 13,5% a scambi internazionali intra UE e per il 21,6% a movimenti all’interno delle frontiere nazionali (quest’ultima componente è in aumento dal 2001 quando rappresentava solo il 15% dei traffici merci). L’interscambio dell’Italia con l’Asia è composto prevalentemente da importazioni, perché il saldo merci dell’Italia è pesantemente deficitario (Asia, OPEC 26 Iniziativa di studio sulla portualità italiana e Medio oriente rappresentano il 20,7% delle esportazioni italiane e il 26,5% delle importazioni nel primo trimestre 2014 secondo l’ISTAT). Queste sono compensate solo parzialmente dal surplus di esportazioni verso il continente americano (verso cui è diretto l’11,4% delle esportazioni italiane e da cui proviene il 6,2% delle importazioni). L’organizzazione, l’efficienza e l’integrazione con il maggiore sistema industriale al mondo (GermaniaBenelux), grazie a reti ferroviarie e fluviali molto sviluppate, fanno si che gli scali nordeuropei siano i porti di arrivo e partenza della maggior parte dei flussi commerciali con l’Asia; le compagnie di shipping, passando per i porti italiani, risparmierebbero 4/5 giorni di navigazione ma ne perderebbero molti di più per le operazioni di sdoganamento, movimentazione, imballaggio e consegna della merce con costi e incertezze superiori. Queste criticità emergono anche nei dati delle indagini Doing Business della Banca Mondiale che nel 2014 colloca l’Italia al 56° posto nel mondo (in miglioramento di due posizioni rispetto all’anno precedente) per il commercio internazionale Secondo lo stesso studio, nei porti italiani le operazioni di preparazione dei documenti, trasporto interno e movimentazione, sdoganamento, ispezioni e movimentazioni al porto e al terminale richiedono in media complessivamente per le operazioni di esportazione 19 giorni (un giorno in meno rispetto al 2012 ma comunque ultimo posto tra i dieci Paesi presi in considerazione in questo studio) e un costo di 1.195 dollari (in calo del 4% rispetto al 2012, calo che ha permesso ai porti italiani di diventare significativamente meno costosi rispetto a quelli francesi e spagnoli, dove i costi sono invece aumentati), mentre in Germania e nei Paesi Bassi richiedono rispettivamente 9 e 7 giorni e poco più di 900 dollari (Tab. 2.4 e Fig. 2.12 - 2.13). La Banca Mondiale rileva che un’operazione standard di esportazione in Italia costa più del doppio rispetto al Nord Africa (1.195 dollari contro i 595 del Marocco e i 625 dell’Egitto), risultando comunque più lenta (19 giorni rispetto a 11-12 in Marocco e Egitto). I Paesi più industrializzati risultano i più veloci nella gestione dell’interscambio e i Paesi a medio reddito del Mediterraneo risultano i più a buon mercato. L’Italia in generale risulta la quarta più cara dopo Francia, Spagna e Belgio tra i dieci Paesi considerati in diretta competizione per la gestione di flussi in transito nel Mediterraneo e la più lenta in assoluto. La Grecia che nel rapporto 2012 risultava lenta quanto l’Italia, ha ridotto i tempi di quattro giorni rispetto ad uno solo in Italia. I dati analoghi sulle importazioni non cambiano significativamente i rapporti nei costi e nei tempi. In linea generale sono leggermente aumentati costi e tempi di gran parte dei nostri competitori diretti, mentre è leggermente migliorata l’efficienza italiana. Tuttavia le distanze rimangono consistenti. Si tratta comunque di dati che riflettono la situazione all’inizio 2011 e all’inizio del 2013, visto che il Rapporto porta la data dell’anno successivo rispetto a quello in cui sono stati raccolti i dati sul campo. In particolare, l’Italia evidenzia notevoli inefficienze nella fase di predisposizione della documentazione che assorbe più della metà del tempo complessivo (per polizza di carico, dichiarazione doganale, fattura commerciale e certificati di standard tecnici/sanitari servono complessivamente in media 11 giorni rispetto ai 4 di Germania, Francia, Olanda e ai 3 del Belgio). Per la movimentazione delle merci all’interno della zona portuale, sia sui moli che nei passaggi successivi servono in Italia 6 giorni invece di 2-5 per i Paesi più efficienti, mentre per la fase doganale in senso stretto, vengono impiegati 2 giorni per l’Italia invece di 1 per tutti gli altri Paesi considerati, ma in valore assoluto si tratta di un divario molto contenuto. 27 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Dal punto di vista dei costi invece il divario è meno netto rispetto al resto dell’Europa ma maggiore rispetto al Nord Africa. La quota maggiore dei costi è rappresentata dalla movimentazione delle merci, nelle quali c’è una forte componente di costo del lavoro. I costi italiani sono simili a quelli di altri Paesi europei, inferiori a quelli di Spagna, Francia e Belgio. Nei costi amministrativi e doganali l’Italia ottiene risultati leggermente migliori rispetto a Grecia, Spagna e Belgio. Nell’insieme però i costi dei porti olandesi e tedeschi sono inferiori del 20-22% a quelli italiani, mentre quelli di Marocco ed Egitto sono inferiori del 48-50%. La Spagna sembra invece avere costi superiori all’Italia, ma è più competitiva grazie a tempi di lavorazione quasi dimezzati. Tab. 2.4 - Tempi e costi medi dei processi di esportazione nei porti italiani, tedeschi e olandesi Tempi in giorni Costo in dollari Docum Dogana Movimen Totale Totale entazio e tazione e 2014 2012 ne controlli trasporto Paesi Bassi Cipro Germania Belgio Spagna Francia Marocco Egitto Grecia ITALIA 4 3 4 3 5 4 6 7 11 11 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 3 4 5 4 5 4 4 4 6 7 7 9 9 10 10 11 12 16 19 Docume ntazione 6 7 7 8 9 9 11 12 20 20 Marocco Egitto Cipro Germania Paesi Bassi Grecia ITALIA Belgio Spagna Francia 125 125 195 175 160 160 180 190 200 310 Dogana Movimen Totale Totale e tazione e 2014 2012 controlli trasporto 100 100 90 30 90 230 145 100 60 80 370 400 580 700 675 650 870 950 1050 945 595 625 865 905 925 1040 1195 1240 1310 1335 577 613 790 872 895 1153 1245 1429 1221 1078 Fonte: elaborazioni su dati Banca Mondiale, Doing Business 2014 e 2012 - Commercio Internazionale. Nota: tempi e costi sono riferiti ad un’unità di merce convenzionale definita dalla Banca Mondiale del peso di 10 tonnellate, con un valore pari a $ 20.000 e trasportato mediante un container asciutto lungo 6 metri (20 piedi), che occupa per intero. I costi includono soltanto quelli prescritti per legge nonché il pagamento delle imposte. I tempi sono definiti in giorni solari e non in giorni lavorativi. La movimentazione e il trasporto includono sia quelli sulle banchine che all’interno del porto (carico e scarico da treni o automezzi). 28 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 2.12 – Numero di giorni necessari per le operazioni di esportazione nei porti di alcuni stati europei e mediterranei Fonte: elaborazioni su dati Banca Mondiale, Indagine Doing Business 2014. Fig. 2.13 – Costi in dollari per le operazioni di esportazione nei porti di alcuni stati europei e mediterranei Fonte: elaborazioni su dati Banca Mondiale, Indagine Doing Business 2014. 29 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 3 GLI INDIRIZZI DELL’UNIONE EUROPEA IN MATERIA PORTUALE 3.1 LA REVISIONE DELLA RETE EUROPEA DEI TRASPORTI La Commissione Europea ha avviato nel 2009 un riesame della politica comune dei trasporti con l’obiettivo di definire una “rete globale” (comprehensive network) di collegamenti ferroviari, stradali, portuali e aeroportuali, costituita in gran parte dalle reti nazionali, a cui si sovrappone una “rete centrale” (core network) che include assi e nodi di vitale importanza strategica per i flussi di trasporto nel mercato interno, così come tra l'Unione Europea e altri Paesi vicini e altre parti del mondo. Il disegno di riassetto delle priorità a livello europeo intende favorire la coesione economica, sociale e territoriale dell'UE, rendere più efficiente l'uso delle risorse nel sistema dei trasporti e portare a una significativa riduzione delle emissioni di gas serra provocate da tale settore. La Commissione stima in 500 miliardi di euro il costo degli investimenti per la comprehensive network per il periodo 2014-2020, di cui circa la metà destinati al core network: cifre molto impegnative, soprattutto per i crescenti vincoli di finanza pubblica, ma meritevoli di attenzione per un settore che pesa per il 5% del PIL e ha circa 10 milioni di occupati a livello europeo. Sebbene insufficienti a coprire fabbisogni così ingenti, le risorse finanziarie disponibili a livello europeo – i fondi per i progetti TEN-T, il Fondo di coesione per infrastrutture di trasporto nei porti marittimi, il Fondo europeo di sviluppo regionale e i finanziamenti della BEI – rappresentano un volano indispensabile per la costruzione della rete europea dei trasporti. Sulla base della constatazione che nel precedente periodo di programmazione delle reti TEN-T sono stati registrati (in base ad una c.d. mid-term review) forti ritardi nel completamento dei progetti e di altri dati acquisiti, il 28 marzo 2011 è stato pubblicato il Libro Bianco “Tabelle di marcia verso uno spazio unico dei trasporto – Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile”8, comprensivo di un allegato con un elenco di 40 iniziative da attuare nei prossimi anni. Tra i 10 obiettivi del Libro bianco figura lo spostamento entro il 2030 di almeno il 30% delle merci che viaggiano per oltre 300 km verso la ferrovia e il trasporto via mare (il 50% entro il 2050). Successivamente nel dicembre 2013 l’Unione Europea si è dotata, per il periodo finanziario pluriennale 2014-2010, di un nuovo strumento integrato per gli investimenti destinati alle infrastrutture prioritarie dell'Unione nei settori dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni: il “Meccanismo per collegare l'Europa”, Connecting Europe Facility - (CEF), istituito con il Regolamento n.1316/2013 dell’11 dicembre 2013). Tale meccanismo definisce, all’interno di un unico quadro giuridico, le condizioni, metodi e procedure per la concessione di un contributo finanziario dell'Unione Europea alle reti transeuropee al fine di sostenere progetti infrastrutturali nei predetti tre settori. Nel settore dei trasporti il CEF fornirà in particolare sostegno ai progetti di interesse comune, che perseguono gli obiettivi di eliminare le strozzature e realizzare i collegamenti mancanti; che garantiscono nel lungo periodo trasporti sostenibili ed efficienti e ottimizzeranno l'integrazione e l'interconnessione dei modi di trasporto.. Parallelamente all’adozione di questo nuovo quadro giuridico finanziario, l’UE ha adottato il regolamento n.1315/2013 “sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti” TEN-T, che abroga la decisione n. 661/2010/UE. 8 COM(2011) 144 final. 30 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Nello specifico, l'infrastruttura della rete transeuropea dei trasporti è costituita dall'infrastruttura per il trasporto ferroviario, il trasporto sulle vie navigabili interne, il trasporto stradale, il trasporto marittimo, il trasporto aereo e il trasporto multimodale. La rete infrastrutturale europea è stata configurata con due livelli: la rete centrale (core network) e la rete globale (comprehensive network) La rete globale alimenterà la rete centrale di trasporto che consiste in quelle parti della rete globale che rivestono la più alta importanza strategica ai fini del conseguimento degli obiettivi della politica relativa alla rete transeuropea dei trasporti e rispecchia l’evoluzione della domanda di traffico e la necessità del trasporto multimodale. La rete centrale (core network) avrà il compito di eliminare le strozzature della rete, di ammodernarla e di snellire le operazioni transfrontaliere di trasporto per passeggeri e merci. La rete centrale si sovrappone alla rete globale e rappresenta la spina dorsale della rete di mobilità multimodale e si concentra su: collegamenti transfrontalieri, nodi multimodali e collegamenti con le reti di trasporto dei Paesi vicini. Lo strumento per l'attuazione coordinata della rete centrale è rappresentato dai corridoi, che facilitano la realizzazione coordinata della rete centrale e includono i porti marittimi, gli aeroporti e i loro accessi. La nuova rete centrale interesserà quasi un centinaio di porti, 37 aeroporti, 15.000 chilometri di linee ferroviarie convertite all'alta velocità e 35 grandi progetti transfrontalieri. Il citato Meccanismo per collegare l'Europa stabilisce inoltre la ripartizione delle risorse, pari a circa a 33 miliardi di euro, da mettere a disposizione nel quadro finanziario pluriennale relativo agli anni 20142020, di cui 11,3 Mld provenienti dal Fondo di coesione (a quest’ultimo possono accedervi solo gli Stati con PIL pro capite inferiore al 90% della media UE-27; l’Italia non potrà pertanto beneficiarne). La quota destinata al settore dei trasporti, pari a 26,25 miliardi di euro è di gran lunga maggiore rispetto a quella assegnata al settore delle telecomunicazioni (poco più di 1 miliardo di euro) e al settore dell’energia (quasi 6 miliardi di euro). I 26,25 miliardi per i trasporti agiranno come “capitale di avviamento” per stimolare ulteriori investimenti da parte degli Stati membri e dei privati. I finanziamenti TEN-T eserciteranno quindi una forte effetto leva. Inoltre grazie al CEF sarà più facile reperire finanziamenti privati e strumenti finanziari innovativi, come le garanzie e i project bond. Potranno usufruire dei finanziamenti europei solo quei progetti o attività che contribuiscono a progetti di interesse comune conformemente a quanto stabilito dal regolamento n. 1315/2013 sugli orientamenti per la reti transeuropee. L’assistenza finanziaria da parte dell’UE verrà concessa sotto forma di sovvenzioni (grants), appalti (procurement) e strumenti finanziari (financial instruments). La Commissione europea pubblicherà regolarmente inviti a presentare proposte per garantire che beneficino del finanziamento solo i progetti migliori che hanno il più alto valore aggiunto per l'UE. Il cofinanziamento europeo per i progetti TEN-T della rete core sarà pari a un massimo del 50% per gli studi e a un massimo del 20% per i lavori. Per i progetti transfrontalieri ferroviari e di navigazione interna esiste la possibilità di aumentare il cofinanziamento dei lavori al 40% e per taluni progetti come l'Europen Rail Traffiic Management System (ERTMS), può essere concesso un cofinanziamento più elevato, comunque non superiore al 50%. La rete globale (comprehensive) è parte integrante della strategia TEN-T ma sarà gestita in gran parte dagli Stati membri, con la possibilità di ottenere una quota inferiore (rispetto a quelli previsti per la rete centrale (core) dei finanziamenti disponibili nell'ambito del Meccanismo per collegare l'Europa. 31 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Un'innovazione di rilievo dei nuovi orientamenti TEN-T è l'introduzione di nove corridoi da realizzare nella rete centrale, che contribuiscono alla sua costituzione e collegheranno: 2 corridoi nord-sud, 3 corridoi est-ovest e 4 corridoi diagonali. Ogni corridoio deve includere tre modi di trasporto, tre Stati membri e due sezioni transfrontaliere. Occorre sottolineare che la Commissione europea ha sviluppato il concetto di corridoi della rete centrale, tenendo nel debito conto i corridoi ferroviari per il trasporto delle merci, individuati in base al Regolamento CE 913/2010 che pone le basi per un trasporto merci ferroviario competitivo9. Di tali corridoi di fondamentale importanza per il mercato unico del trasporto ferroviario i seguenti interessavano l’Italia: Zeebrugge-Anversa/Rotterdam-Duisburg-[Basilea]-Milano- Genova; Stoccolma-Malmö-Copenaghen-Amburgo-Innsbruck-Verona-Palermo; Gdynia-Katowice-Ostrava/Žilina-Bratislava/Vienna/Klagenfurt-Udine- Venezia / Trieste / Bologna / Ravenna / (estensione del PP23) Graz-Maribor-Lubiana-Capodistria/Trieste. Nello sviluppo dei corridoi della rete centrale, l’UE ha tenuto nel debito conto anche il piano europeo di installazione dell’ERTMS, previsto dalla decisione della Commissione 2009/561/CE, del 22 luglio 2009, recante modifica della decisione 2006/679/CE relativa alla specifica tecnica di interoperabilità per il sottosistema controllo-comando e segnalamento del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale. Per coinvolgere tutte le parti interessate e gli Stati membri saranno create “piattaforme di corridoio”, strutture di governance che elaboreranno e attueranno “piani di sviluppo di corridoio” volti a coordinare efficacemente i lavori svolti lungo il corridoio in Stati membri diversi e in diverse fasi del progetto. Le piattaforme di corridoio principali della rete centrale saranno presiedute da coordinatori europei. I nove corridoi segnano un enorme progresso nella pianificazione delle infrastrutture dei trasporti. L’esperienza già acquisita dimostra la notevole difficoltà di realizzare progetti transfrontalieri e altri progetti di trasporto in modo coordinato in Stati membri diversi. I progetti devono essere sincronizzati al di là e al di qua dei confini per trarre i massimi benefici dagli investimenti complessivi. I piani e le strutture di governance dei nuovi corridoi permetteranno di agevolare notevolmente la realizzazione della nuova rete centrale. Le azioni riguardanti una tratta transfrontaliera, o una parte transfrontaliera della stessa, possono tra l’altro beneficiare di assistenza finanziaria dell’Unione soltanto se esiste un accordo internazionale, fra gli Stati membri interessati o fra gli Stati membri e i Paesi terzi interessati, relativo al completamento della tratta transfrontaliera medesima. Dei nove nuovi corridoi europei quattro attraversano e sono di diretto interesse per l’Italia: il corridoio 1 Baltico-Adriatico che collegherà Helsinki a Ravenna, nell’ambito del quale sono previsti i collegamenti ferroviari Vienna-Udine-Venezia-Ravenna e Trieste-Venezia-Ravenna; in tale corridoio rientrano i porti italiani di Trieste, Ravenna e Venezia; il corridoio 3 Mediterraneo da Algeciras (Spagna) fino alla frontiera ungherese che comprenderà, tra l’altro, i collegamenti ferroviari Lione-Torino, Milano-Brescia, Brescia-VeneziaTrieste, Milano-Mantova-Venezia-Trieste e Trieste-Divaca; in tale corridoio rientrano i porti italiani di Venezia e Trieste; 9 Regolamento (UE) n. 913/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2010, relativo alla rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo (GU n. 276 del 20 ottobre 2010). 32 Iniziativa di studio sulla portualità italiana il corridoio 5 Helsinki-La Valletta che comprenderà il tunnel di base del Brennero nonché i collegamenti ferroviari Fortezza-Verona, Napoli-Bari, Napoli-Reggio Calabria, Messina-Palermo e Palermo-La Valletta; in tale corridoio rientrano i porti italiani di Napoli, Bari, Taranto, Gioia Tauro, Augusta e Palermo, con diramazioni verso Livorno e La Spezia, sul versante ovest, e Ravenna e Ancona sul versante est; il corridoio 6 Genova-Rotterdam che comprenderà i collegamenti ferroviari Genova-MilanoNovara (cosiddetto “terzo valico appenninico”) e riguarda il porto di Genova connesso ai nodi portuali del sistema ligure-toscano. Il fatto che 4 corridoi dei 9 giungano o partano dai porti italiani trova la sua ragione anche nella consapevolezza raggiunta a livello europeo sul fatto che ragioni di efficienza e competitività ambientale (riduzione dei costi energetici e delle emissioni di gas serra) giustificano una maggiore alimentazione da sud dei mercati continentali. Ciò richiede naturalmente una relazione tra TEN-T core, corridoi e porti italiani che costituiscono i terminali di sistemi multiportuali e logistici (c.d. European core corridor multiport & logistic gateway). Questa relazione funziona solo se i porti italiani riescono a garantire una scala di attività e un profilo strutturale e organizzativo comparabile con quella dei maggiori porti del Mare del Nord. 33 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 3.1 – Le Reti TEN-T Comprehensive e Core porti e ferrovie merci Fonte: Commissione europea 34 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 3.2 – Le direttrici di reti TEN–T, i porti italiani e le piattaforme logistiche territoriali Fonte: elaborazione DIPE su dati Commissione europea e Censis 3.2 LE DIRETTIVE EUROPEE IN MATERIA DI ACCESSO AL MERCATO DEI SERVIZI PORTUALI E DI AIUTI DI STATO NEL SETTORE PORTUALE La Commissione Europea ha presentato il 23 maggio 2013 una proposta di regolamento10 che istituisce un quadro normativo per l’accesso al mercato dei servizi portuali e la trasparenza finanziaria dei porti. Tale proposta, che ha per obiettivo quello di contribuire a un funzionamento più efficiente, interconnesso e sostenibile delle reti TEN-T, nasce dalla constatazione che non tutti i porti TEN-T offrono gli stessi servizi di livello elevato. In secondo luogo, secondo la Commissione, l’attuale quadro di governance dei porti non è in tutti i casi abbastanza attraente per gli investitori. Inoltre, secondo la Commissione, non sussiste in molti casi trasparenza nelle relazioni finanziarie tra le autorità portuali, che ricevono finanziamenti pubblici, e le autorità pubbliche. La proposta della Commissione parte comunque dal presupposto che il principio della libera prestazione di servizi si applica anche ai servizi portuali. 10 COM (2013) 296 final. E’ opportuno ricordare che vi sono state già in passato due proposte di Direttiva al fine di garantire la parità di accesso al mercato dei servizi portuali nell’ottica di avere più imprese in competizione tra, ma che non sono state mai approvate. La prima proposta di direttiva è stata presentata nel 2001 (COM(2001)35) e la seconda nel 2005. In tal senso, S. M.Carbone – F. Munari “La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno” in Contratti & Commercio Internazionale, ed. Giuffrè 2006, pag.35. 35 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Ciò non comporta, tuttavia, che le autorità portuali non possano imporre requisiti minimi ai prestatori di specifici servizi portuali, che devono essere obiettivi e proporzionati garantendo parità di trattamento a tutti gli operatori, possono riferirsi esclusivamente alle qualifiche professionali, alle attrezzature necessarie o alla sicurezza marittima, alla sicurezza generale all’interno del porto e ai pertinenti requisiti ambientali. Il regolamento prevede che gli Stati membri assicurino che un organismo indipendente di vigilanza (Authority) verifichi e supervisioni l’applicazione del regolamento. A tale riguardo si fa presente che l’Italia è uno dei pochi Stati membri dell’UE ad aver istituito, seppure recentemente, un’Autorità dei trasporti, competente anche per il settore portuale11. E’ opportuno tuttavia rilevare che la legge istitutiva dell’Autorità non fornisce elementi atti a definire con precisione competenze e attribuzioni specifiche in tale ambito, né introduce modifiche all’attuale disciplina del settore portuale, contenuta nella legge n.84 del 199412. Sul piano delle forme di amministrazione portuale, la Commissione Europea prende atto delle diverse normative esistenti in ambito europeo segnalando che la forma di regolamentazione preferibile dovrebbe attribuire poteri decisionali indipendenti alle autorità portuali, con il riconoscimento della loro autonomia finanziaria. 3.3 IL TEMA AMBIENTALE L’attenzione verso la tematica degli “ecoporti” è cominciata, concretamente, a seguito di specifiche indicazioni della Commissione Europea13 sulla base della normativa comunitaria14 e della European Sea Port Organization15 (ESPO) muovendo dall’assunto che ogni infrastruttura portuale e il complesso delle attività, indotte e collegate che in essa si svolgono, producono un impatto sull’ambiente circostante16. Le Autorità Portuali hanno dunque fatto proprio l’obiettivo di ottenere la certificazione ambientale a livello internazionale secondo la norma UNI EN ISO 14001:2004 International Organization for 11 Istituita con la Legge di conversione 24 marzo 2012, n.27. Cfr. il Paper “L’Autorità dei trasporti nel sistema delle Autorità indipendenti”, a cura di Luisa Torchia, Astrid giugno 2013, e in particolare il capitolo “settore portuale “ di Francesco M. di Majo e Fabio Amabili 12 13 Cfr. Comunicazione della Commissione COM (2007) 616 sulla European Ports Policy, che al punto 2 ha espresso l’obiettivo di “aumentare la capacità dei porti nel rispetto dell’ambiente” come parte della politica europea di settore, da realizzarsi attraverso miglioramenti o estensioni dei porti, o ancora mediante nuove costruzioni, per permettere un aumento dei trasporti marittimi e fluviali, invitando inoltre le autorità pubbliche ad esaminare quali siano le opzioni che servono meglio l’interesse generale nel rispetto delle normative ambientali dell’Unione. 14 Cfr. Direttiva 2005/33/CE sul tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo 6.7.2005; Direttiva quadro 2008/56 sulla strategia per l’ambiente marino del 17.6.2008; Direttiva 2000/59 relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico, del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 Novembre 2000, in GU L 332 del 28/12/2000; Libro Bianco della Commissione Europea del marzo 2011 (COM 2011 144). 15 Cfr. L’“Environmental Code of Practice” della ESPO del 1994, elaborato in collaborazione con la Direzione generale Energia e trasporti della Commissione europea, rivisitato nel 2003, e contenente la descrizione della normativa ambientale, i suoi effetti sui porti e le raccomandazioni e gli orientamenti pratici al fine di sviluppare e controllare l’implementazione delle politiche dell’Unione Europea in materia. 16 Cfr. VI Rapporto ISPRA – Edizione 2009, sulla “Qualità dell’ambiente urbano” 36 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Standardization 17, adeguandosi così anche, a livello europeo, al rispetto del Regolamento Eco Management and Audit Scheme (EMAS)18 e da quanto disposto in sede europea in tema di politica Europea dei trasporti. Il Libro Bianco pubblicato dalla Commissione Europea nel marzo 2011 (COM 2011 144) ha previsto, infatti, tra le varie azioni strategiche indicate, anche l'obiettivo della riduzione del 40% (ed ove praticabile del 50%) delle emissioni prodotte dal trasporto marittimo, entro il 2050. Lo strumento utilizzato dalle Autorità portuali per realizzare tali obiettivi in termini di tutela ambientale è l’SGA (Sistema di Gestione Ambientale). Un esempio di SGA sviluppato appositamente per i porti è il Port Environmental Review System (PERS). Il sistema è stato sviluppato nell’ambito del progetto europeo Ecoports (2002-2005), ai cui lavori hanno partecipato diversi porti europei e alcuni istituti universitari e di ricerca, e attinge dall’esperienza del Self Diagnosis Method (SDM), un metodo di autovalutazione ambientale elaborato nell’ambito dello stesso progetto. Il SDM è una sintetica checklist con la quale i responsabili dei porti possono autovalutare il programma di gestione ambientale del loro porto. Il PERS è specificatamente designato per assistere le Autorità portuali nel creare un’organizzazione funzionale necessaria a produrre i risultati di sviluppo sostenibile. Il PERS può costituire, tra l’altro, un buon punto di partenza per conseguire le certificazioni ambientali ISO 14001 e/o EMAS. Ad oggi l’implementazione di SGA riguarda principalmente realtà italiane di grandi dimensioni, cioè i maggiori porti legati alle città e gestiti dalle Autorità Portuali. A titolo di esempio, si può citare il progetto Common Mediterranean strategy and local practical Actions for the mitigation of Port, Industries and Cities Emissions (APICE), selezionato dal Comitato di Selezione del Programma di Cooperazione Territoriale MED. Esso ha come obiettivo di stabilire misure concrete per affrontare il problema della qualità dell'aria nelle aree vicine ai porti e nei siti industriali ad essi connessi, concentrandosi in particolare sulle aree portuali di cinque città del Mediterraneo: Barcellona, Genova, Marsiglia, Salonicco e Venezia. Il progetto si pone inoltre l'obiettivo di proporre delle linee guida per una pianificazione territoriale che tenga conto della tematica dell'inquinamento atmosferico e per piani di azione specifici per le aree costiere. Il progetto Ecoport ha portato quindi alla creazione di una serie di strumenti, a carattere non obbligatorio, di gestione ambientale dei porti tali da consentire a ciascuna amministrazione portuale, attraverso fasi successive, di pervenire ad un sistema accreditato di gestione e certificazione ambientale. Possono ottenere lo status di Ecoport i porti che hanno completato la checklist del SDM. I porti italiani che hanno ottenuto tale status sono il porto di Civitavecchia, di La Spezia, di Salerno, di Piombino (insieme anche Portoferraio e Rio Marina) e Genova In tale contesto, l’innovazione più importante (già sviluppata da diversi porti italiani, come ad esempio da Civitavecchia) è stata individuata nelle cosiddette ”banchine elettrificate” che, grazie al sistema di cold 17 successivamente aggiornata dalla norma ISO 9001:2008 (Certificato 9175 rilasciato da IMQ-CSQ). 18 Eco-Management and Audit Scheme (EMAS) è uno strumento volontario creato dall’Unione Europea al quale possono aderire volontariamente le organizzazioni (aziende, enti pubblici, ecc.) per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali e fornire al pubblico e ad altri soggetti interessati informazioni sulla propria gestione ambientale. Esso rientra tra gli strumenti volontari attivati nell’ambito del V Programma d’azione a favore dell’ambiente. Scopo prioritario dell’EMAS è contribuire alla realizzazione di uno sviluppo economico sostenibile, ponendo in rilievo il ruolo e le responsabilità delle imprese. La seconda versione di EMAS (EMAS II) è stata pubblicata con il Regolamento 761/2001, modificato successivamente dal Regolamento 196/2006. La terza versione (EMAS III) è stata pubblicata il 22/12/2009 con il Regolamento 1221/2009 che abroga e sostituisce il precedente regolamento. 37 Iniziativa di studio sulla portualità italiana ironing, consentiranno alle navi in sosta di spegnere i generatori elettrici di bordo e di utilizzare l’energia prodotta a terra da dispositivi fotovoltaici ed eseguire tutte le operazioni necessarie (carico e scarico di merci o passeggeri, illuminazione, riscaldamento, condizionamento, etc.). In questo modo saranno evitati consumi considerevoli di carburante e tagliate grandi quantità di emissioni gassose (Co2, ossidi di azoto e particolato). Oltre alle banchine elettrificate, diversi porti italiani stanno sviluppando sistemi di mobilità elettrica all’interno dei porti, lo sviluppo di fonti rinnovabili, come l’eolico e il solare, l’adozione di sistemi d’illuminazione a led a basso consumo e il miglioramento dell’efficienza energetica nelle aree portuali. I temi prioritari per affrontare le priorità ambientali in ambito portuale possono essere così sintetizzati19: gestione della qualità dell’aria (ad esempio collocando in ambito portuale punti di rifornimento di LNG alternativi ai carburanti fossili); risparmio energetico e cambiamenti climatici (ad esempio sviluppando le citate banchine elettrificate e consentendo l’erogazione e produzione di energia rinnovabile in area portuale come pure impianti LNG/CNG/ricarica elettrica); gestione dell’inquinamento acustico (utilizzando ad esempio le barriere acustiche per impedire la propagazione dei rumori derivanti dalle operazioni industriali e del traffico portuale); gestione dei rifiuti (ad esempio realizzando impianti di raccolta in porto per diversi tipi di rifiuti); gestione delle acque (ad esempio realizzando infrastrutture di superficie per gestire il deflusso delle acque in eccesso). Tali tematiche e iniziative, come detto, si inseriscono in un contesto di crescente attenzione a livello europeo della tematica della sostenibilità dal punto di vista ambientale dei porti. In recenti incontri con rappresentanti istituzionali del settore è emerso, ad esempio, che la ragione per la quale si stanno sempre di più studiando le modalità applicative del mezzo ferroviario ai porti è che l’uso della ferrovia è visto come uno degli interventi necessari per consentire di migliorare il livello di qualità ambientale. L'Environmental management dei porti è un aspetto dell’operatività degli stessi che dovrebbe diventare un elemento comune a tutti i porti e sul quale potrebbe esser utile intervenire al fine di eliminare l'ambiente come fattore competitivo tra le singole portualità, facendo diventare la tutela ambientale un assunto comune all’intero settore, recependo così anche le indicazioni che in tal senso vengono emanate a livello comunitario20. Preme sottolineare la maggiore sostenibilità dal punto di vista ambientale che l’utilizzo dei porti italiani garantirebbe qualora essi venissero utilizzati come terminali per le navi che giungono dal canale di Suez con obiettivo il mercato europeo. Le emissioni di CO2 potrebbero essere notevolmente ridotte qualora i convogli invece di dirigersi verso gli scali del Nord Europa utilizzassero come base gli scali italiani. Ciò è stato rilevato da numerosi operatori interpellati ai fini del presente studio, e analizzato in numerosi rapporti redatti sia a livello comunitario21 19 Cfr, ESPO Green Guide “Verso l’eccellenza nella gestione e nella sostenibilità ambientale dei porti” ottobre 2012. 20 In tal senso si è espresso il Segretario generale di ESPO, Patrick Verhoeven, nel corso dell’incontro tenutosi nell’ambito del presente studio presso il DIPE, in data 11 Luglio 2011. 21 Cfr. analisi del Progetto UE Sonora – South - North Axis (Nov 2008 - Feb 2012). 38 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 22 sia da alcune autorità portuali . Ciò che è emerso, in tale contesto, è stato un tendenziale beneficio in termini di riduzione di emissioni inquinanti derivante dall’uso della portualità italiana come porta d’accesso al continente europeo (nelle rotte da e per Suez) quantificabile in un risparmio di circa 70 kg/Teu di emissioni di CO2, in ragione dei 4/5 giorni di navigazione in meno stimati come necessari, laddove lo stesso carico venisse scaricato in uno dei porti italiani invece che destinato ad uno di quelli del Northern range23. Tale dato corrisponderebbe, ad una riduzione percentuale del 41% di emissioni di CO2, del 58% di emissioni di NOx e SO2 e del 57% di PM10 (polveri sottili), dunque decisamente significativa24. Un’analisi sul grado di “competitività ambientale” può essere anche svolta tra i porti italiani tenuto conto della loro collocazione geografica, sebbene occorra prendere anche in considerazione il vettore utilizzato per la movimentazione delle merci a terra, premesso che in tale contesto ovviamente il mezzo meno inquinante è il treno. Infine, occorre menzionare, in relazione al tema del minor impatto ambientale delle tratte marittime e delle attività all’interno dei porti, la proposta della Commissione Europea di direttiva sulla realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi (COM/2013/0018 del 25 gennaio 2013). Tale direttiva dovrebbe stabilire un quadro comune di misure per la realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi nell'Unione con lo scopo di mettere fine alla dipendenza dal petrolio nel settore dei trasporti e conseguire l'obiettivo della riduzione del 60% delle emissioni di gas serra entro il 2050, contribuendo in tal modo alla politica di decarbonizzazione a lungo termine dell'Unione Europea. La proposta di direttiva definisce requisiti minimi per la realizzazione di tale infrastruttura e specifiche tecniche comuni, anche in materia di punti di ricarica per veicoli elettrici e punti di rifornimento di gas naturale (GNL e GNC) e idrogeno. 4. IL FABBISOGNO INFRASTRUTTURALE DEL SISTEMA PORTUALE ITALIANO Nel presente capitolo viene valutata l’adeguatezza della dotazione infrastrutturale in termini sia dei collegamenti tra i porti e i mercati di destinazione sia di opere, a mare e a terra, in ambito portuale. L’Italia ha una considerevole dotazione di infrastrutture portuali funzionali sia alla protezione e all’accesso dal mare (moli, dighe frangiflutti, fondali) sia alle operazioni di sbarco, imbarco e spedizione dei beni trasportati dalle navi (banchine, piazzali, magazzini), sebbene con riferimento a questo secondo aspetto emergano significative differenze con i principali porti europei come dimostra il fatto che la superficie complessiva dei nostri dieci porti più grandi è dell’ordine di grandezza della superficie del solo porto di Anversa, Le Havre o Rotterdam (Fig. 4.1); lo stesso andamento si osserva per le superfici destinate alla movimentazione di container. In merito ai fondali portuali, (Fig. 4.2) tutti i più importanti porti del Nord Europa hanno profondità almeno pari a 16 m, mentre diversi porti italiani sono al di sotto di tale soglia (Napoli, Livorno, Ravenna, Venezia, Genova e La Spezia). 22 Cfr. Analisi effettuata dall’Autorità Portuale di Savona, a cura dell’Ing. Cristoforo Canavese, intitolata “I porti a servizio di un mercato che cambia”. 23 Cfr. pag 4 dell’analisi del porto di Savona cit. supra. 24 Cfr. ibidem, pag 5, dati: fonte Transitects. Si fa presente che la AP di Venezia nel proprio Masterplan del Settembre 2010 ha invece qualificato il risparmio in termini di CO2 della movimentazione di un container con destinazione finale Monaco di Baviera via Venezia anziché via Rotterdam, in maniera decisamente maggiore, cioè corrispondente a 135 kg/TEU (se movimentato via mare/ferrovia). 39 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 4.1 - Superficie totale dei porti italiani e esteri (in milioni di metri quadrati) 120,0 108,6 100,0 100,0 80,0 64,6 70,6 60,0 42,4 34,8 40,0 20,5 20,0 20,0 16,0 15,0 8,5 8,3 6,6 5,4 3,7 0,9 6,1 6,0 5,6 3,4 2,5 2,3 1,4 0,8 0,5 0,5 Ve n Ra ezia G ve io n ia na Ta u Ca r o gl G iari en Ta ova ra n Li to vo r Tr no ie st Na e p Sa oli La vo Sp na e Pr im S a z ia i 1 le 0 rn it a o li An ani ve Le rs a Ro H a v tte r e r Am d am Po bur g Br rto o em Sa e id Ze h av eb e n r Da ug g e m B a ie rc tta el Va lona le nc ia Ha Al i ge fa cir as Pi re o 0,0 Fonte: elaborazione su dati Banca d’Italia, Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione, Roma, aprile 2011 Fig. 4.2 - Profondità massima dei fondali nei principali porti europei e mediterranei (in metri) 25 20 24 19 18,5 18 18 17 17 17 16,5 16 16 16 16 15 15,1 15 15 14,514,5 14 13,8 13 13 11,5 9,8 10 5 R ot te rd Sa An am vo ve na rs G -V a io ia ado Ta u Tr ro i Al est ge e c V ir Br ale as em nc eh ia" C ag P ave lia or n ri t S -S a a id Ze rro eb ch Ba rug rc ge el lo na Pi Am re bu o r G go en ov N a ap Ta oli r D ant am o La iett Sp a ez ia H ai Li fa vo Sa rno le R rno av en Ve na ne zi a 0 * * Taranto dispone anche di fondali fino a 25 metri ma non utilizzati per merci. Fonte: Banca d’Italia, Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione,Roma, aprile 2011. 40 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 4.1 I FONDALI Le rotte transoceaniche sono percorse sempre di più da navi portacontainer di grandi dimensioni25.Le prime 100 compagnie di navigazione al mondo, che già operano 4.856 navi, hanno un portafoglio ordini per la costruzione di 419 navi, con una capacità complessiva di circa 3,3 milioni di TEU e una capacità media di circa 8.000 TEU (Fig. 4.3). Almeno 100 di queste navi hanno capacità superiore ai 10.000 TEU. Fig. 4.3 - Portafoglio ordini e navi utilizzate dalle maggiori compagnie di navigazione 1.000 45 667 29 26 28 24 486 400 173 18 105 156 107 138 144 15 151 13 88 13 83 Ev er gr ee M AP n L in ed M e it e -M rr a ae rs Ha nea k n m Sh bu CO rg S g C o üd SC G O ro C up on t a Ha in er nj in L. Sh ip pi PI ng L (P ac AP ific L In t. Li ne ) Ya CS ng CL M in g M ar Zi in m e Tr a Hy ns un p. da iM .M . 200 30 O O Ha C L pa g -L W lo an yd H ai Li ne s 600 36 SI TC 800 50 45 40 Numero di navi ordinate 35 30 25 20 12 12 12 15 10 10 10 90 62 55 73 149 5 Numero di navi in uso Fonte: elaborazione DIPE su fonte Alphaliner Una profondità dei fondali, pari ad almeno 16-16,5 m, è ritenuta necessaria per accogliere navi con capacità superiori a 10.000 TEU. A tal fine, occorre verificare non tanto la profondità massima dei singoli porti (Fig. 4.2), ma la profondità dei fondali relativi ai terminal dedicati all’imbarco e sbarco dei container (Tab. 4.1). 25 Maersk, ad esempio, ha acquistato 10 portacontainer da 18.000 TEU e ne ha ordinate altre 20 (sito web compagnia). 41 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tab. 4.1 - Profondità dei fondali e fabbisogni di dragaggio nei porti italiani Autorità Portuali TEU (2013) Fabbisogno di dragaggio (m²) Gioia Tauro 3.100.000 * Genova 1.988.013 2.956.000 La Spezia 1.300.432 918.000 Livorno 560.000* 1.860.000 Cagliari 685.000* Taranto 197.317 19.500.000 Napoli 490.000* 4.713.000 Venezia 443.000* 6.650.000 Trieste 458.497 3.650.000 Salerno 270.000* 5.000.000 Ravenna 226.879 6.788.584 Savona-Vado 75.000* 430000 Ancona 152.394 2.890.000 Civitavecchia (Fiumic., Gaeta) 49.600* 413.000 Palermo (Termini Imerese) 20.647* 434.568 Catania 27.800* 1.500.000 Bari 31.412* 200.000 Marina di Carrara -* 140.000 Brindisi -* 1.350.000 Augusta 203* 86.914 Piombino 4.150.000 Messina Olbia-Golfo Aranci 104.350 TOTALE 10.076.744 63.734.256 Fonte: Elaborazioni DIPE su dati Autorità Portuali - *: dati stimati Profondità attuale (m) -18,0 -15,0 -14,0 -13,0 -16,0 -14,0 -15,0 -9,8 -18,0 -13,0 -11.5 -18,5 -12,5 -15,0 -5,0 -8,0 -12,5 -10,5 -14,0 -16,0 -12,0 -11,0 -10,0 Profondità post dragaggio (m) -18,0 -17.5 -15.0 -16.0 -18,0 -16,0 -16,5 -12.0 -18,0 -15,0 -14.5 -20.0 -14,0 -15,0 -10,0 -12,0 -13,0 -10.5 -14,0 -16,0 -15,0 -11,0 -10,0 Quasi tutti i progetti di dragaggio prevedono la messa a dimora del materiale di escavo all’interno di casse di colmata, con l’eccezione di Catania che li versa a mare. Tuttavia, la realizzazione dei dragaggi e delle predette vasche è ostacolata dalla lunghezza e dall’incertezza delle procedure di autorizzazione. L’articolo 1, comma 996, della Legge finanziaria 2007, di modifica della citata legge n. 84/1994, ha definito una nuova disciplina in materia di dragaggio e bonifica, senza peraltro affrontare il tema del trattamento fisico del materiale derivante dai dragaggi per la rimozione o stabilizzazione degli inquinanti e il loro trasporto da un porto all'altro, via terra o mare, né dare indicazioni precise sulla gestione dei materiali. Come stabilito da recenti direttive della UE in materia di rifiuti, peraltro, l’assoggettamento della gestione dei sedimenti di dragaggio alla normativa sui rifiuti dovrebbe essere prevista solo a seguito della caratterizzazione dei materiali scavati. Tuttavia, né l’articolo 48 del decreto legge n. 1/2012, né l’art. 22, c. 1, del decreto legge, n. 69/ 2013, che modificano ulteriormente le previsioni del citato comma 996, hanno dettato una disciplina chiara della materia. Un secondo fattore di criticità riguarda l’onerosità dei dragaggi, il cui costo può arrivare fino a 120 euro per metro cubo (se sono necessari trattamenti o smaltimento in discarica), in gran parte a carico dello Stato. Gli alti costi sono motivati dal punto di vista tecnico (profondità di imbasamento e struttura delle banchine esistenti), morfologico (profondità ridotta dei fondali naturali, fondali rocciosi) e ambientale (la maggior parte dei grandi porti insiste su aree SIN o su siti inquinati da fonti naturali o antropiche). 42 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Di tali criticità non sembrano tenere conto i programmi delle Autorità Portuali, che nei piani triennali e nei nuovi piani regolatori in corso di approvazione prevedono volumi di dragaggio complessivi pari a diverse decine di milioni di metri cubi di sedimenti (Tab. 4.1). 4.2 GLI SPAZI A TERRA E I PIAZZALI FERROVIARI Le differenze tra gli spazi portuali disponibili dipendono in gran parte dalla morfologia dei territori costieri (Tab. 4.2 e 4.3; Fig.4.1 e 4.4). Tab. 4.2 - Dotazioni infrastrutturali nei principali porti italiani Gru adibite Capacità Capacità di Capacità a N. magazzini e silos moviment. magazzini e TIPO moviment. terminal (metri cubi)/10 m container silos (metri container container di lunghezza (TEUs/ anno) cubi) (n.) accosti Gioia Tauro 5.152 25 4.200.000 1 211.000 70 Taranto 9.995 10 2.000.000 1 580.700 479 Cagliari –Sarr. 7.081 8 1.500.000 2 601.500 1.253 Genova 21.863 22 2.600.000 3 14.000 6 La Spezia 5.100 10 1.300.000 2 131.300 257 Savona -Vado 4.800 6 400.000 1 4.936.900 3.526 Venezia 30.000 7 700.000 2 449.400 408 Trieste 12.128 7 500.000 1 642.439 576 Ravenna 14.000 4 350.000 2 70.200 222 Livorno 11.901 12 1.000.000 2 13.400 13 Napoli 11.145 6 500.000 3 Salerno 3.155 8 450.000 2 22.995 32 Algeciras 13.944 21 4.450.000 2 Valencia" 13.286 31 4.200.000 3 Barcellona 20.300 25 n.d, 4 Marsiglia n.d. 15 n.d, n.d. Port Said 6.952 60 2.900.000 4 Pireo 2.774 14 1.800.000 2 Damietta 4.750 13 1.200.000 1 Haifa 6.300 23 n.d, 1 Rotterdam 89.000 103 12.000.000 9 Amburgo 52.000 72 12.500.000 4 Anversa 156.300 96 15.100.000 7 Bremehaven 35.000 82 9.000.000 3 Zeebrugge 16150 20 2.000.000 3 Le Havre 6.200 35 3.000.000 7 Fonte: Banca D’Italia, “Il sistema portuale italiano: un’indagine sui fattori di competitività e di sviluppo”, Roma, 2009. Banca d’Italia, Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione, Roma, aprile 2011. ISTAT, Atlante statistico territoriale delle infrastrutture, ISTAT Ed. Roma, 2012 (dati 2009). Lunghezza totale delle banchine (metri) 43 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 4.4 - Indice di utilizzo degli spazi nei terminali container (numero di TEU movimentati per metro quadro di superficie destinata alla movimentazione di container) 5,0 4,5 4,0 3,5 4,3 4,0 3,2 3,0 2,5 2,0 1,5 2,3 2,3 2,3 1,9 1,8 1,6 1,6 1,5 1,4 1,4 1,2 1,1 1,0 1,0 1,0 0,8 0,8 1,0 0,6 0,6 0,5 P or to La Sa S id p A ezi lg a ec ir a N s a V pol al i e D nci am a A ie tt m a B bur ar g o B cel re lo m na eh av S en G ale io rn ia o M Ta ed ur ia o Ita C lia ag lia Li ri vo A rno nv er S sa av on Tr a ie Le ste H av G re en V ova en e R z ia av en Ta na ra nt o 0,0 Fonte: elaborazione DIPE Tab. 4.3 - Superfici, movimentazione container e capacità dei principali porti italiani e internazionali Superficie Superficie dei Capacità di Superficie Rapporto di totale del piazzali per le magazzini e movimentazione utilizzo porto, km² merci (m²) silos (m²) container (m²) (TEU/m² anno) Venezia 20,450 2.400.000 211.000 600.000 0,8 Ravenna 15,000 1.464.800 4.936.900 350.000 0,6 Gioia Tauro 4,400 1.820.000 1.427.000 1.524.766 1,5 Cagliari 5,962 481.580 22.995 435.000 1,4 Genova 4,738 31.225 14.000 1.609.355 0,8 Taranto 3,409 127.235 13.400 1.000.000 0,6 Livorno 2,500 820.500 449.400 543.000 1,2 Trieste 2,304 925.000 580.700 400.000 1,0 Napoli 1,426 292.700 642.439 230.000 2,3 Savona 0,810 810.000 601.500 173.000 1,0 La Spezia 0,543 500.000 131.300 330.000 4,0 Salerno 0,500 250.060 70.200 150.000 1,6 Tot Italia 62,041 6.671.000 Anversa 108,570 7.770.000 1,1 Le Havre 100,000 2.500.000 1,0 Rotterdam 70,600 n.d. Amburgo 42,414 4.180.000 1,9 Porto Said 34,767 800.000 4,3 Bremehaven 20,000 3.000.000 1,6 Zeebrugge 16,000 1.100.000 0,0 Damietta 8,500 600.000 2,3 Barcellona 8,289 1.055.800 1,8 Valencia 6,550 1.837.103 2,3 Haifa 5,400 400.000 Algeciras 3,720 866.132 3,2 Pireo 0,900 626.000 Fonte: D’Appollonia, Piano della Logistica, Analisi dei processi di filiera, Morfologia dei flussi logistici internazionali, Feelings and insight del sistema logistico italiano, 2011; dati Assoporti e Autorità Portuali; ISTAT; elaborazioni DIPE. 44 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Quasi tutti i bacini originari dei porti italiani sono nati secoli or sono all’interno delle città e non possono pertanto espandersi a scapito di aree urbane fortemente antropizzate; inoltre, alcune grandi città portuali hanno un retroterra montuoso a ridosso del mare (Liguria, Trieste, Salerno) e devono cercare nuove superfici operative anche molti chilometri lontano dai porti. D’altra parte, la realizzazione di nuovi spazi a mare è molto costosa e, come per il dragaggio dei fondali, difficilmente finanziabile a carico dell’erario. Tuttavia, nonostante la minore disponibilità di aree destinate al traffico container, gli scali italiani mostrano un rapporto tra superfici destinate alla movimentazione di container e numero di container movimentati simile a quello dei porti del Nord Europa (Tab. 4.3). Nella definizione dei criteri di rilevanza strategica dei porti italiani, va data quindi adeguata considerazione all’effettivo utilizzo degli spazi portuali e al costo delle iniziative di espansione, anche in relazione alle caratteristiche morfologiche del territorio costiero. L’esiguità degli spazi penalizza anche l’accesso e le manovre ferroviarie in ambito portuale senza contare che nei porti di grande traffico, per formare convogli merci superiori a 500 m diretti a un’unica destinazione, sono necessari binari di analoga lunghezza. Inoltre, la successiva tabella 4.4, che riporta i dati relativi ai raccordi ferroviari all’interno dei porti italiani; mette in luce che, sebbene buona parte degli scali sia collegata direttamente con la rete ferroviaria principale, solo 14 porti hanno un terminal ferroviario e possono quindi formare i treni merci direttamente nell’area portuale. Tab. 4.4 - Indicatori sull’uso delle ferrovie nei porti INDICATORE VALORE ATTRIBUTO Savona-Vado Genova La Spezia M. di Carrara Livorno Piombino Civitavecchia Napoli Salerno Gioia Tauro Taranto Brindisi Bari Ancona Ravenna Venezia Trieste Messina-Milazzo Catania Augusta Palermo Cagliari-Sarroch Olbia-Golfo Aranci Collegamento Ferroviario diretto con rete principale Presenza Terminal Ferroviario in port Distanza minima interporti via ferrovia Qual. SI/ NO Qualit. SI/NO Minuti si si si no si si no no si si no no no no si si no no si si si si no no no no si si si si si si si si si si si no si si no no si si si si Fonte: elaborazioni DIPE su dati Autorità Portuali 45 3 53 74 66 36 72 7 7 18 193 85 97 18 30 60 2 53 17 21 - Presenza Piattaforma Logistica Presenza Distripark Qualit. SI/NO Qualit. SI/NO si si si no si no si no no no si no no no no si no no no no no no no si si si no si no no no no no no no no no no si si no no no no no no Iniziativa di studio sulla portualità italiana I collegamenti con la rete principale e gli interporti sono inoltre penalizzati dalla mancanza di elettrificazione di molte linee ferroviarie. FERCARGO ha messo in luce durante gli incontri che oltre il 50% dei costi sostenuti dalle aziende di trasporto ferroviario sono da attribuire a operazioni che si svolgono sui binari all’interno del porto; in molti casi i terminal sono lontani dalla linea di scorrimento del treno che deve essere deviato dal binario elettrificato utilizzando una locomotiva diesel, condotto vicino ad un’area di carico, scaricato e caricato, e riportato ad un binario elettrificato per mezzo di trazione diesel. Sovente si rendono altresì necessarie operazioni di sgancio e riaggancio dei vagoni, compiute manualmente. In generale, non si riscontrano invece criticità in merito alla saturazione delle linee all’interno dei porti, che potrebbero sostenere un traffico maggiore dell’attuale. Le attività ferroviarie interne alle aree portuali sono una delle maggiori fonti di inefficienza, a causa di interventi infrastrutturali non realizzati e degli interessi corporativi delle società di manovra autorizzate. Al fine di comprendere il funzionamento del settore vanno distinte le manovre cosiddette primarie da quelle secondarie. La manovra primaria si svolge nelle stazioni ferroviarie e, nella gran parte dei casi, è gestita da RFI; la manovra secondaria avviene all’interno dei porti, all'entrata dei terminal, e di solito è gestita da privati sulla base di una gara bandita dall’Autorità Portuale. Il fatto che queste operazioni, sostanzialmente analoghe, siano gestite da soggetti diversi, contribuisce a un aumento ingiustificato dei costi, dato che le società ferroviarie di trasporto si trovano a dover pagare due volte per un servizio inutilmente parcellizzato, che potrebbe invece esser svolto da un soggetto solo o dagli stessi operatori di trasporto ferroviario26. Uno degli ostacoli all’ingresso di nuovi operatori privati nel settore delle manovre portuali è l’acquisto dei locomotori per le manovre il cui costo, non ammortizzabile nel periodo di durata della concessione (di solito tre anni), rende l’operazione non conveniente dal punto di vista economico27. Gli investimenti dovrebbero quindi privilegiare l’allungamento dei binari in porto estendendoli almeno a 600-700 metri, l’elettrificazione delle linee in area portuale e di collegamento con la più vicina connessione con la linea principale, l’ottimizzazione del controllo di linea e della gestione dei binari. I predetti investimenti, al pari dei fondali e delle altre opere a mare, non generano ricavi sufficienti a garantire un ritorno economico per gli investitori privati; né, d’altra parte, Rete Ferroviaria Italiana (RFI) e le Autorità Portuali hanno le risorse necessarie per coprire i fabbisogni finanziari di tali opere. In assenza di adeguati collegamenti agli interporti e alla rete ferroviaria nazionale, le principali società di movimentazione e navettamento (Ferport, InRail, MetroCargo, Fuorimuro, ADRIAFER FERMET) e di trasporto ferroviario sulle medie e lunghe percorrenze (Trenitalia, UPAC, con treni SBB) non sono in 26 Secondo quanto emerso nel corso degli incontri con Fercargo un esempio tipo di tale disfunzione sarebbe il seguente: il treno arriva dalla rete RFI nello scalo RFI. Qualche operatore per conto di RFI lo sposta con un locomotore diesel verso il binario di presa/consegna (corrispondente al cancello di ingresso dello scalo dentro il terminal) e da qui viene movimentato da un’altra azienda, sempre con un locomotore diesel e portato all’interno del porto (p.e. a Livorno).Tale sistema è ancor meno giustificato in un porto come Genova, che per la sua conformazione si presterebbe alla creazione di una linea di transito interna al porto per i treni, i quali potrebbero così entrare e uscire senza esser manovrati ma solo caricati e scaricati, con un guadagno enorme in efficienza. 27 Un esempio dove i privati hanno potuto conseguire reddittività è quello del Porto di Savona in cui l'AP ha proceduto all’acquisto in proprio dei locomotori per le manovre in porto, dandoli poi in gestione all’azienda privata che si è dimostrata in grado di fornire il miglior servizio. 46 Iniziativa di studio sulla portualità italiana grado di rispondere adeguatamente alle esigenze del sistema. Questo spiega, ad esempio, la liquidazione della società Ferport, controllata da Trenitalia/Serfer, che effettuava le manovre nel porto di Genova, e la situazione critica di Ferport Napoli (fonte: incontro con InRail). Una soluzione sembra essere il ricorso a formule di partenariato che assicurino un adeguato ritorno economico a tutti i principali attori della filiera – gestori di rete, di movimentazione e navettamento e di trasporto sulle lunghe percorrenze -, come dimostra l'intesa tra Serfer (Trenitalia), FerNet (partecipata da Interporto Vado Ligure, gruppo Gavio e Rivalta Terminal Europa) e l’Autorità Portuale di Savona per la movimentazione delle merci verso i retroporti di Rivalta Scrivia e Mortara. 4.3 LE RELAZIONI CON GLI INTERPORTI E I DISTRIPARK Le moderne esigenze di lavorazione e imballaggio delle merci (logistica) e di smistamento attraverso diverse modalità di trasporto (intermodalità) richiedono spazi che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, non sono disponibili in prossimità di molti bacini portuali italiani. Tali attività possono più opportunamente svilupparsi nelle strutture interportuali dell'hinterland mettendo in pratica servizi di navettamento, anche ferroviario, tra porti e interporti28. Ciò presuppone la realizzazione di reti di interconnessione tra porti e strutture logistiche dell'hinterland adeguate per tracciati e capacità. Un legame più stretto tra i porti e gli interporti determina vantaggi competitivi per entrambe le strutture e consente di sommare ai servizi di trasporto ulteriori servizi ad elevato valore aggiunto, quali magazzinaggio, gestione ordini, controlli qualità, assemblaggi. E' questo il modello che si sta affermando in altri mercati come quello spagnolo e olandese, con una forte crescita nelle aree retroportuali di distripark dove, attraverso servizi di prima trasformazione e lavorazioni intermedie delle merci (es. nel settore degli autoveicoli o dei prodotti elettrodomestici), è possibile accrescere notevolmente il valore aggiunto di un container in transito29. Affinché questo modello si affermi anche nel mercato italiano, in presenza di spazi sovente scarsi nei dintorni dei porti, occorre implementare servizi di navettamento ferroviario. Il veloce smistamento delle merci verso i nodi interportuali grazie ai servizi shuttle via ferrovia, potrebbe consentire a questi ultimi di agire da catalizzatori di traffico ossia da veri e propri inland terminal (o “dry ports”), dai quali gli operatori ferroviari potrebbero rilanciare i propri servizi lungo le maggiori direttrici di traffico. La realizzazione dei cluster presuppone anche l'attuazione di nuove forme di governance, dal momento che le Autorità Portuali difficilmente hanno poteri e capacità di organizzare l'insieme di infrastrutture e servizi richiesti dai sistemi integrati. Questo tema viene affrontato all'art.11 bis del disegno di legge di riforma della legislazione in materia portuale ed è stato anticipato dall’articolo 46 del decreto legge n. 28 Cfr. T. Nooteboom, J.P. Rodrigue, Port regionalization: towards a new phase in port development, in “Maritime policy and management” n.3, 2005 – stessi autori, The terminaliation of supply chains: reassessing port-hinterland logitical reletionships, in Maritime policy and management, n.2, 2009) 29, Dai dati Confetra emerge che un contenitore che arriva in un porto che viene scaricato dalla nave e viene caricato su un camion o su un vagone ferroviario genera un valore aggiunto di 300 euro; lo stesso contenitore se viene caricato su un camion o su un vagone ferroviario per poi fermarsi in un retroporto, in un interporto, dove viene movimentato e la sua merce lavorata, e poi riparte genera un valore aggiunto di 2.300 euro. C'è quindi, una differenza di 2.000 euro in più a contenitore. Se ipotizziamo allora 2 milioni di container in più nei porti liguri e riusciamo a legarli al territorio creando una effettiva ricaduta logistica, per 2.000 euro in più di valore aggiunto a contenitore, si avranno 4 miliardi di euro pari a 0,3 punti di PIL. “Il Messaggero Marittimo” Genova 4 luglio 2011 47 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 201/2011 “Salva-Italia”, convertito dalla legge n. 214/2011, modificato poi dall’articolo 9, comma 3novies del decreto legge n. 16/2012 “Semplifica-fisco”, convertito dalla legge n. 44/2012, che introduce la facoltà, per le autorità portuali di costituire, d'intesa con le Regioni, le Province e i Comuni interessati, "sistemi logistici" per coordinare le attività di più porti e retroporti appartenenti ad un medesimo bacino geografico o al servizio di uno stesso corridoio trans europeo. Il servizio doganale è svolto dall’amministrazione regionale che esercita il servizio nei porti di riferimento. Tab. 4.5 - Interporti di riferimento più vicini ai principali scali portuali italiani Porto Interporto più vicino Ubicazione Savona-Vado Interporto di Vado I.O. Genova Interporto di Vado I.O. La Spezia Interporto Toscano A. Vespucci Marina di Carrara Interporto Toscano A. Vespucci Livorno Interporto Toscano A. Vespucci Piombino Interporto Toscano A. Vespucci Civitavecchia Interporto di Civitavecchia Napoli Interporto Sud Europa Salerno Interporto Campano Gioia Tauro Interporto Campano Taranto Interporto Regionale della Puglia Brindisi Interporto Regionale della Puglia Bari Interporto Regionale della Puglia Ancona Interporto Marche Ravenna Interporto Bologna Venezia Interporto di Venezia Trieste Interporto Cervignano del Friuli Messina Società Interporti Siciliani Catania Società Interporti Siciliani Augusta Società Interporti Siciliani Palermo Società Interporti Siciliani Cagliari Olbia Fonte: elaborazione DIPE Vado Ligure Vado Ligure Collesalvetti (LI) Collesalvetti (LI) Collesalvetti (LI) Collesalvetti (LI) Civitavecchia Ponteselice (Caserta) Nola (NA) Nola (NA) Bari Bari Bari Jesi (AN) Bologna Porto Marghera (VE) Cervignano (Udine) Catania Catania Catania Catania - Superficie (mq) 145.000 145.000 2.800.000 2.800.000 2.800.000 2.800.000 467.000 1.900.000 2.300.000 2.300.000 450.000 450.000 450.000 1.000.000 2.000.000 240.000 1.000.000 212.000 212.000 212.000 212.000 - Distanza (Km) 8,416 54,060 93,806 73,977 12,686 94,802 5,725 30,398 57,218 439,332 96,767 122,377 8,274 22,962 95,372 1,478 57,211 111,421 9,498 41,215 206,108 - Ulteriori relazioni di rilievo sono quelle tra il porto di Savona Vado e le aree interportuali di Rivalta Scrivia, Mortara e Mondovì, e degli altri porti liguri con gli interporti di Parma, del Piemonte e del Veneto. A Venezia grande attenzione viene prestata alla possibilità di sfruttare il trasporto fluviale lungo il Tartaro-Fissero-Canal Bianco facendo capo all’interporto di Rovigo e alla piattaforma trimodale di Porto Valdaro (Mantova), e a consolidare la relazione con l’interporto di Padova. Il porto di Ravenna, oltre che a Bologna, fa riferimento all’interporto di Parma e a due scali intermodali in costruzione a Marmaglia (Modena) e Villaselva (Forlì). Alla risoluzione delle criticità in materia di interscambio, non contribuisce il fatto che le Ferrovie dello Stato abbiano recentemente portato a termine un processo di razionalizzazione dei nodi di smistamento, riducendone il numero da 400 a circa 100, con un centro merci circa ogni 40 km e risparmi di gestione per circa 1,6 miliardi di euro/anno, che daranno luogo a investimenti a medio termine per circa 10 miliardi in treni e impianti. 48 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tale operazione tuttavia ha ridotto il numero di stazioni e dimezzato i treni chilometro, così diminuendo la capacità di coprire spazi di mercato, ad esempio nel segmento dal centro Italia verso sud, e frapposto ostacoli ad altri soggetti per operare sulla rete, contribuendo a rallentare la crescita delle imprese ferroviarie private italiane che, da un lato sono esposte all’acquisizione di grossi gruppi ferroviari stranieri, come la DB e le OeBB austriache, e dall’altro non riescono ad imporsi negli altri mercati europei. Alcune misure peraltro sono già state individuate: L'AP di Savona Vado, come già accennato, ha attivato un servizio di navettamento ferroviario (con convogli fino a 450 m) nella tratta Savona – S. Giuseppe di Cairo e successive diramazioni verso Torino e verso Alessandria. L'obiettivo è quello di trasferire rapidamente grandi volumi di merce verso le aree interportuali di Rivalta Scrivia, Mortara e Mondovì, dotate di efficienti collegamenti ferroviari, da dove possono successivamente proseguire lungo le principali direttrici ferroviarie verso Nord Ovest e Nord Est, aumentando la produttività del porto, liberando spazi portuali e alleggerendo la pressione sulle reti stradali e autostradali che in Liguria raggiungono livelli di saturazione. La gestione del servizio ferroviario è affidata ad un soggetto trazionista selezionato con bando di gara (SERFER), al quale l'AP ha affidato il proprio parco di locomotori. Vi è poi una società costituita su impulso dell'AP e in cui la medesima AP detiene una quota di partecipazione (FERNET), la quale svolge funzioni di Multi Modal Operator (MTO), ossia commercializza i servizi ferroviari assicurando parità di condizioni agli utenti in termini di accesso, efficienza e costi. E' stato in ultimo siglato un accordo con Trenitalia per il rilancio dei trasporti di lungo raggio dai sopra citati centri logistici lungo le principali direttrici di traffico nazionale (Torino, Milano, nordest) e internazionale. Il sistema di navettamento consente di raggiungere la massa critica necessaria ad assicurare l'economicità del trasporto ferroviario di breve raggio e ridurre l'incidenza del costo dell' “ultimo miglio” (vi è infatti il superamento del frazionamento delle attività di manovra per l'adduzione al porto, dal momento che SERFER effettua sia le manovre in porto, sia il trasporto di breve raggio). Anche gli altri porti liguri mirano a potenziare i collegamenti con tutta la retroportualità costituita dagli interporti di Parma, del Piemonte e del Veneto, operazione già in corso di realizzazione. A Venezia grande attenzione viene prestata alla possibilità di sfruttare il trasporto fluviale lungo il Tartaro-Fissero-Canal Bianco, con un potenziale di 60.000 container all'anno e una connessione bisettimanale Venezia-Mantova con 5 chiatte. Il percorso della cooperazione tra operatori portuali, società di navettamento e trasporto ferroviario e interporti non è però privo di ostacoli. Infatti, solamente gli armatori hanno il controllo sulle merci; porti e interporti devono quindi elaborare progetti che inducano gli armatori a scegliere una destinazione rispetto a un’altra, coinvolgendoli sin dalla fase di programmazione degli interventi, come avviene nel settore aeroportuale con i vettori. Lo sviluppo dei collegamenti ferroviari tra porti e interporti richiede inoltre adeguati incentivi al trasporto ferroviario delle merci specialmente su quelle tracce che oggi sono poco utilizzate. La Regione Emilia-Romagna, ad esempio, prevede incentivi a favore di operatori di trasporto 49 Iniziativa di studio sulla portualità italiana ferroviario che aumentino i volumi di traffico esistenti, ovvero immettano nuovi treni per il trasporto merci sulle tracce più penalizzate; la durata degli incentivi è legata agli impegni di tali operatori a servirsi sempre di un determinato collegamento ferroviario e ad applicare tariffe aderenti a costi più competitivi. Durante gli incontri FERCARGO ha osservato che le imprese ferroviarie private estere sono maggiormente competitive rispetto a Trenitalia Cargo: ad esempio gli operatori tedeschi e svizzeri possono operare un treno con tre membri di equipaggio, laddove Trenitalia ne impiega sette. Questa è una delle ragioni per cui il gruppo Ferrovie dello Stato ha ridotto del 70% la propria attività nel settore cargo, al fine di limitare le perdite generate da un contratto collettivo di lavoro estremamente gravoso per l'impresa (il cargo ferroviario è una tipologia di traffico che si sviluppa essenzialmente nelle ore notturne e il contratto collettivo di lavoro di Trenitalia non è adeguato ad assicurare la flessibilità dei lavoratori per il loro impiego in tale fascia oraria. Ad esempio ogni lavoratore può operare per non più di 80 notti/anno, mentre le imprese aderenti a Fercargo hanno contratti che prevedono il doppio delle notti). Gli operatori privati hanno solo in parte potuto recuperare lo spazio di mercato dismesso da Trenitalia, in parte per via del conflitto di interessi con l’operatore nazionale nell'assegnazione di tracce, ma soprattutto a causa della concorrenza dell'autotrasporto che in Italia ha costi di gran lunga inferiori a quelli del cargo ferroviario. Bisogna poi rivedere il sistema delle operazioni doganali, riducendone i costi e i tempi per i trasportatori. Spesso l’interporto si trova fuori dalla circoscrizione del porto e ciò comporta per la merce in transito una seconda operazione doganale, con un extra-costo pari mediamente a 70/80 euro per container (fonte UIR). Tale maggiore onere neutralizza da solo i risparmi conseguibili grazie sia al minor tempo di navigazione per lo scarico nei porti italiani rispetto ai porti del Nord Europa, sia alle misure di efficientamento, ad esempio delle attività di handling. La semplificazione delle procedure doganali deve inoltre portare a una riduzione della permanenza del container in porto, con tempi analoghi ai porti del Nord Europa, questione di cui si tratterà in seguito, anche al fine di accrescere la potenzialità delle scarse superfici esistenti nei porti italiani. 4.4 I COLLEGAMENTI DI MEDIA E LUNGA PERCORRENZA Lo sviluppo dei traffici nei porti italiani presuppone, oltre che l’interconnesione rapida con il territorio limitrofo, una efficiente rete di collegamenti con i mercati di destinazione o provenienza della merce. L’estensione delle reti stradale e ferroviaria del nostro Paese è in linea con la media europea circa il 90 per cento delle merci in generale viaggia lungo le strade, mentre il trasporto merci ferroviario è pari al 6,5 % sul totale dei traffici (in Germania è pari al 18%, in Francia al 14/16 %; in Svizzera al 37% e in Austria al 32%). Il traffico generato dai porti non smentisce tali percentuali, con l’eccezione dei porti di Trieste e La Spezia, nei quali circa il 30% delle merci viaggia su ferrovia (vedere figura 4.5). I porti del Nord Europa spostano invece circa il 15-20 per cento delle merci per ferrovia 50 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 4.5 - Distribuzione tra le modalità di trasporto merci in alcuni dei principali porti del Northern Range e del Mediterraneo 90 87 Strada 82 80 80 Ferrovia 70 70 70 67 Chiatta 59 60 60 55 53 45 50 42 40 30 30 32 30 30 30 20 12 67 6 4 10 6 0 0 8 3 0 11 Ze eb ru gg e R ot te rd am bu rg o nv er sa A La A m S pe zi a pt on ou th am S G en ov a gl ia ar si M Le H av re 0 D un ke rq ue 5 1 a 20 re m 90 B 100 Fonte: elaborazione DIPE su dati dei siti delle autorità portuali Nel corso degli incontri, gli spedizionieri hanno motivato il preponderante utilizzo del trasporto su strada con l’assenza di valide alternative modali sulle tratte di breve e media percorrenza. L’attuale soglia di break even tra gomma e rotaia in Italia si attesta attorno ai 400 km, e quindi, la ferrovia riesce difficilmente ad esser competitiva con l’autotrasporto in una situazione come quella italiana dove le destinazioni finali della merce si trovano a distanze relativamente brevi dagli scali portuali. La modesta quota dei traffici su rotaia dipende spesso dalle condizioni della rete, con lunghe tratte a binario unico, pendenze eccessive, raggi delle curve troppo ridotti. A tali difficoltà si somma la mancata soluzione di nodi infrastrutturali di grande rilevanza strategica (ad esempio il Terzo Valico dei Giovi per il porto di Genova e la Pontremolese per il porto di La Spezia), progettati da anni ma ancora in attesa di essere avviati. Nel corso delle audizioni, gli operatori (Fercargo, UIR, InRail) hanno suggerito la creazione di una rete di punti di interscambio lungo direttrici nazionali “fisse”, che potrebbero coincidere con i corridoi europei, sulle quali far viaggiare dei convogli “navetta” sempre uguali, caricandovi e scaricando i contenitori solo nei nodi di interscambio organizzati, permettendo di eliminare la costosa e lunga operazione di spezzettare e ricomporre più volte i treni. Del resto, l’entrata a regime dell’Alta Velocità passeggeri ha liberato molte tratte della rete convenzionale a favore del trasporto merci, limitando quindi la necessità di investimenti infrastrutturali per implementazione di un tale sistema. Il peso preponderante del trasporto su gomma, oltre che dalle lacune del trasporto ferroviario, dipende dalla mancanza di una rete fluviale. Ciò rappresenta una notevole differenza rispetto ai porti tedeschi (es. Amburgo – Elba) e olandesi (Rotterdam – Reno e Mosa) dove la modalità di trasporto per via navigabile è più sviluppata, sfruttando i relativi vantaggi: prezzi bassi se c’è concorrenza: nei Paesi Bassi il prezzo del trasporto può essere limitato a 20 euro/TEU mentre in Italia il trasporto via acqua costa circa 100 euro/km per un container di 25 51 Iniziativa di studio sulla portualità italiana tonnellate e 160 euro/km per un container da 50 tonnellate (2009 SEALS Consortium SEALS – Final Report ); buon livello di sicurezza per le merci: viaggiando sull'acqua ed essendo le idrovie meno trafficate di strade e autostrade, le merci arrivano a destinazione senza subire danni; meno inquinamento: una motonave da 75 metri di lunghezza e 10 di larghezza ha una portata di 1000 tonnellate, pari a 35 TIR. Una motonave lunga la metà e larga 7 metri ha una portata di 270 tonnellate, pari a nove camion; meno incidenti stradali: trasportando le merci sull'acqua, resterebbero sulla strada solo mezzi per prodotti deteriorabili; nessuna limitazione per i carichi pericolosi: le chiatte per la navigazione interna non hanno limiti di circolazione (di notte, la domenica e i giorni festivi i veicoli commerciali pesanti e per il trasporto di carichi pericolosi non possono circolare), come già avviene nei Paesi Bassi; nessun ritardo: le merci arrivano a destinazione puntuali. Le chiatte non incontrano code ai caselli autostradali o dovuti a incidenti. Di contro: il Tir conviene di più: un container pesante 25 tonnellate viene trasportato per 170 euro e il prezzo però non cambia per due container o se il container è grande il doppio; la chiatta è lenta: una chiatta ha una velocità di 6 chilometri all’ora, che la rende adatta a merci come minerali, sabbia, ghiaia e prodotti petroliferi. Imbarcazioni più piccole che trasportano 32 TEU su distanze brevi viaggiano anche a 20 chilometri all’ora. I tempi di trasporto quasi raddoppiano se si viaggia controcorrente; c'è bisogno di servizi: gli agenti commerciali fluvio-marittimi devono assicurare ai clienti i servizi di carico – scarico, depositi adeguati e collegamenti con il trasporto su gomma e su rotaia, attività che incrementano i costi; le infrastrutture: costruire infrastrutture che incrementino anche di poco l’efficienza è molto costoso; distanze e costi: 500 chilometri è la distanza minima per costi competitivi di trasporto. Ai problemi di accessibilità stradale ai principali porti italiani si sta parzialmente rimediando con la realizzazione del collegamento autostradale con il porto di Ancona, la viabilità di accesso al porto di Savona e La Spezia. I principali collegamenti ferroviari in progettazione e realizzazione fanno parte dei corridoi europei elencati nella Tabella 4.6 e rappresentati sinteticamente nella Figura 4.6. 52 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tab. 4.6 - Corridoi della rete centrale e relative tratte italiane Sezioni individuate in via preliminare Corridoio Baltico-Adriatico Allineamento: Gdynia – Danziaca – Katowice/Slawkow Danziaca – Varsavia – Katowice Katowice - Ostrava - Brno - Vienna Stettino/Swinoujscie – Poznan – Breslavia – Ostrava Katowice – Zilina – Bratislava – Vienna Vienna - Graz - Villach – Udine – Trieste Udine - Venezia –Padova - Bologna – Ravenna Graz – Maribor – Lubiana – Capodistria/Trieste Modalità Vienna - Graz - Klagenfurt - Udine Ferrovie Venezia - Ravenna Trieste, Venezia, Ravenna, Capodistria Mediterraneo Allineamento: Algeciras – Bobadilla - Madrid – Saragozza –Tarragona Siviglia – Bobadilla – Murcia Cartagena – Murcia - Valencia – Tarragona Tarragona - Barcellona - Perpignan – Marsiglia/Lyon - Torino – Novara - Milano – Verona – Padova - Venezia – Ravenna/Trieste/Capodistria/ - Lubiana - Budapest Scandinavia – Mediterraneo Allineamento: Frontiera RU – HaminaKokta - Helsinki – Turku/Naantali Stoccolma – Malmö Oslo – Goteborg – Malmo –Trellborg Malmo - Copenaghen –Kolding/Lubecca - Amburgo - Hannover Brema - Hannover – Norimberga Rostock - Monaco - Innsbruck - Verona - Bologna – Ancona/Firenze Livorno/La Spezia – Firenze - Roma - Napoli – Bari – Taranto – Valletta Napoli – Gioia Tauro- Palermo/Augusta - Valletta Reno – Alpi Allineamento: Genova – Milano – Lugano – Basilea Genova – Novara – Briga – Berna – Basilea – Karlsruhe Mannheim - Mainz - Coblenza – Colonia Colonia - Düsseldorf – Duisburg – Nimega/Arnhem – Utrecht – Amsterdam Nimega – Rotterdam – Vissingen Colonia - Liegi – Bruxelles – Gand Liegi – Anversa – Gand - Zeebrugge Altre sezioni della rete centrale 53 Lyon – Torino Milano – Brescia Brescia - Venezia – Trieste Milano – Cremona - Mantova – Porto Levante/Venezia – Ravenna/Trieste Cremona, Mantova, Venezia, Ravenna, Trieste Trieste – Divaca Galleria di base del Brennero Fortezza – Verona Napoli – Bari Napoli - Reggio Calabria Verona - Bologna Ancona, Napoli, Bari, la Spezia, Livorno Messina – Catania – Augusta/Palermo Porti Ferrovie Ferrovie Ferrovie Vie navigabili interne Porti di navigazione interna Ferrovie Ferrovie Ferrovie Ferrovie Ferrovie Ferrovie Porti Ferrovie Bologna - Ancona Porti, Autostrade del mare Ferrovie Genova Porto Genova - Milano/Novara – frontiera CH Ferrovie Barcellona – Valencia - Livorno Autostrade del mare Palermo/Taranto – Valletta/Marsa Scirocco Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 4.6 - Corridoi europei che passano per l’Italia Fonte: elaborazione DIPE Il corridoio Baltico-Adriatico coinvolge i porti di Trieste, Venezia e Ravenna; il corridoio Mediterraneo, anche in conseguenza della realizzazione del nuovo collegamento ferroviario Torino – Lione, del completamento della linea AV/AC fino a Trieste e del tratto ferroviario tra Trieste e Divaca, interessa principalmente i porti di Genova e Savona, Trieste e Venezia; il corridoio Scandinavia – Mediterraneo riguarda i porti di La Spezia, Livorno, Napoli, Taranto, Bari, Gioia Tauro e Palermo; il corridoio Reno-Alpi, da Genova a Rotterdam, coinvolge i porti di Genova e Savona. L’interconnessione tra i porti e i corridoi europei si realizza essenzialmente attraverso lo sviluppo di piattaforme logistiche intermodali. Come già evidenziato nel citato studio dell'Unione interporti riuniti, al Centro Nord le piattaforme logistiche del Nord-Ovest, del Nord-Est e la piattaforma logistica Tirreno-Adriatica del Nord, individuano una macro regione i cui confini meridionali coincidono con il porto di Livorno sul versante tirrenico e con il porto di Ravenna su quello Adriatico. Nel Centro Sud, pur penalizzato dai minori volumi di traffico, i poli intermodali più promettenti sono il “sistema campano”, che gravita intorno al porto di Napoli e ai due interporti di Nola e Marcianise, e quello “pugliese” legato al porto di Taranto e all’interporto di Bari. 54 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Dal punto di vista dell’intermodalità il Veneto è sicuramente una delle regioni più interessanti, anche grazie alla presenza di due delle principali strutture interportuali del Paese, l’interporto di Verona e quello di Padova, direttamente connessi ai corridoi europei. Padova ha sviluppato il proprio core business attorno al traffico container, diventando il più importante inland terminal nazionale delle compagnie di navigazione, con un movimento di 250.000-300.000 TEU/anno. Il traffico è destinato per circa i due terzi ai tre principali porti marittimi dell’alto tirreno: Genova, La Spezia e Livorno e per la restante parte ai collegamenti con i porti del nord Europa e con Trieste. L’interporto di Rovigo prevede il suo prossimo sviluppo legato essenzialmente allo sviluppo della modalità fluvio marittima in collegamento con Venezia mentre Portogruaro si propone come terminale dei transiti stradali e ferroviari sulla direttrice Trieste-Lubiana. L’interconnesione del sistema portuale ligure ai corridoi si sviluppa lungo due direttrici principali: il corridoio Reno-Alpi da Genova a Rotterdam, con i porti di Genova e Savona; l'asse del Brennero, con il porto di La Spezia che gravita sugli interporti di Verona, Bologna e Padova, oltre che sull'inland terminal di Melzo. La Regione Liguria, nel 2012, per fare sistema e migliorare l'offerta di servizi intermodali dei propri porti di collegamento ai corridoi, ha valutato di formare una società di trazione d'iniziativa regionale. Savona e Genova si stavano spontaneamente organizzando in maniera funzionale alle rispettive esigenze, promuovendo società di trazione che operino dalle rispettive banchine fino ai retroporti dell'alessandrino, mentre la Spezia ha avviato una collaborazione con le Ferrovie dell'Emilia Romagna per sostenere il traffico intermodale di container del Gruppo Conship. Anche dal punto di vista degli interventi infrastrutturali, le priorità percepite dai porti liguri sono duplici ed entrambe necessitano di essere sostenute parallelamente e in egual misura: per quanto riguarda i porti di Genova e Savona, le più immediate possibilità di sviluppo per il trasporto ferroviario delle merci sono legate all'intervento di RFI sul nodo di Genova, che prevede la realizzazione di una linea ferroviaria parallela a quella storica levante-ponente, per separare il traffico merci e quello a lunga percorrenza dal traffico metropolitano. A tale progetto si aggiunge poi quello, ben più impegnativo, volto alla realizzazione del Terzo Valico dei Giovi. A fare la differenza per le prospettive di sviluppo del nodo di La Spezia sarebbe invece il completamento delle opere sulla Pontremolese, con la realizzazione della galleria di valico e il raddoppio completo della linea. Attualmente la percorribilità della tratta è particolarmente onerosa, soprattutto per limiti fisici legati alla pendenza, che da La Spezia a Parma raggiunge il 2,5%. Gli interventi infrastrutturali relativi a tale linea sono stati ultimati per la parte ligure, mentre restano in sospeso per la tratta emiliana. Nel Friuli Venezia Giulia, il sistema dell'intermodalità ruota essenzialmente intorno alla struttura portuale di Trieste. Il suo Molo VII, specializzato nella movimentazione di container, si caratterizza per una spiccata quantità di traffici che entrano o escono dal terminal su rotaia. L'Amministrazione regionale ha sovvenzionato per circa 5 milioni di euro all'anno il trasporto su rotaia mediante un fondo per la promozione dei traffici intermodali sul porto di Trieste. Strumento operativo della Regione è Alpe Adria, una società di logistica e servizi intermodali partecipata da Friulia S.p.A. (una finanziaria regionale), da Trenitalia e dall'Autorità Portuale di Trieste, con il compito di curare i collegamenti da e per il porto, e che gestisce, dal porto di Trieste, circa una decina di coppie di treni al giorno dirette verso l'Europa 55 Iniziativa di studio sulla portualità italiana centro-orientale, soprattutto in direzione dell'Austria, attraverso il Tarvisio. Una quota di traffico residuale (circa il 20%) è poi diretta verso il Nord Italia e il corridoio 1, attestandosi in particolare presso l'Interporto di Padova. Il porto di Ravenna fa invece riferimento al sistema degli interporti Emiliano Romagnolo, costituito dagli hub intermodali di Bologna e Parma dal polo logistico di Piacenza e da due scali intermodali in costruzione a Marmaglia (Modena) e Villaselva (Forlì). Oltre a tali nodi, si contano poi i terminal ferroviari presenti presso il porto di Ravenna, quello FER di Dinazzano e quello privato di Lugo. Il terminal container dei porto di Ravenna può contare su tre collegamenti ferroviari con Melzo (operati da Sogemar, del gruppo Conship), Bologna (tramite Italcontainer) e Dinazzano (per i cosiddetti treni dell'argilla, che riforniscono di materia prima la locale industria ceramica).Il centro intermodale di Lugo invece, nato su un'iniziativa privata per il commercio di legnami provenienti dalla Svezia, sta diventando una realtà importante e in crescita dal punto di vista logistico. La Campania è la regione dell'Italia centro-meridionale caratterizzata dalla più significativa presenza di strutture e servizi per il trasporto intermodale. I tre nodi fondamentali della rete sono rappresentati dal porto di Napoli e dai due interporti di Nola e di Marcianise, tra loro complementari e che si configurano come il principale gate d'accesso del Mezzogiorno al sistema delle reti europee di trasporto. L'interporto Sud Europa di Marcianise gode di un posizionamento eccellente: si sviluppa su un'area di 4 milioni di mq, adiacente ad uno dei più importanti scali di smistamento del Gruppo FS, e al suo interno sono insediate grandi filiali di alcuni dei principali operatori logistici del Paese. Inoltre costituisce l'hub di riferimento dell'impresa ferroviaria Rail Italia, che opera lungo la tratta Parma-Marcianise-Gioia Tauro e a livello internazionale con l'Austria, Svizzera e Germania meridionale. L'elemento di maggiore interesse che contraddistingue le prospettive di sviluppo dei due interporti è correlato alla prospettiva di diventare, entrambi inland terminal o retroporti non soltanto del porto di Napoli, ma dell'intero sistema portuale dell'Italia meridionale, con collegamenti anche dai porti di Taranto e Gioia Tauro, diventando il luogo d'aggregazione dei traffici — altrimenti troppo diffusi per generare flussi efficienti — generati nel Mezzogiorno. La Puglia è una delle regioni meridionali caratterizzate dal tessuto produttivo più dinamico e interessante, con un sistema industriale capace di generare rilevanti flussi di traffico. Alle merci che si realizzano a livello locale bisogna aggiungere il transito di rotabili e rinfuse legato al sistema dei due porti adriatici di Brindisi e Bari e quello di container instradati dal porto di Taranto. È essenzialmente attorno alla riconversione del nodo portuale di Taranto che si gioca la partita del sistema logistico pugliese, poiché l'attuale specializzazione prevalente del porto è destinata progressivamente a perdere rilevanza: il transhipment di Taranto sembra irreversibilmente in declino, a fronte della crescente competitività degli hub situati nel Nord Africa. Taranto può conservare una certa valenza soltanto a una condizione: sfruttare le proprie potenzialità per divenire una porta d'accesso ai mercati, instradando i container direttamente su rotaia fino a destinazione e risparmiando così una rottura di carico. Ma perché il sistema ferroviario divenga il volano d'un incremento di competitività della portualità pugliese, con un intenso flusso di treni a partire da Taranto e diretti ai mercati del Nord Italia e dell’Europa, l'efficientamento delle condizioni di collegamento ferroviario del terminal non sono di per sé sufficienti. Troppi paiono, infatti, i limiti di natura infrastrutturale che fanno sì che la Puglia resti (non solo geograficamente) distante dai principali 56 Iniziativa di studio sulla portualità italiana corridoi transeuropei di trasporto. Le opere prioritarie per sfruttare appieno le potenzialità ferroviarie della Dorsale adriatica richiederebbero il completamento infrastrutturale e il potenziamento tecnologico della linea con il raddoppio della tratta Lesina-Termoli, oltre al bypass dei nodi di Bari e di Foggia. Lo sviluppo risolutivo sarà invece costituito dalla realizzazione della tratta AV/AC Napoli Bari. Gli interventi di natura infrastrutturale trasportistica non sono neppure gli unici, né forse i più rilevanti, tra quelli necessari per razionalizzare il settore sia da un punto di vista marittimo che da quello dell'intermodalità ferroviaria volta all’ottimizzazione dell’utilizzo dei corridoi. E’ innanzitutto necessaria una specializzazione dei porti pugliesi per tipologie di traffico, che consenta a Taranto di essere il molo container dell'intera regione (Bari ha ormai abbandonato ogni ruolo nel settore container mentre il porto di Brindisi ambirebbe a ritagliarsi opportunità riconvertendosi verso tale format). Dal punto di vista logistico invece, alle spalle del porto si stanno realizzando sia un distripark da raccordare con la ferrovia, che una piastra logistica da 400.000 mq con finalità retroportuali. A tal proposito è necessario risolvere le relazioni con l’interporto di Bari, nodo di grandi dimensioni e con importanti prospettive di crescita, soprattutto in una fase intermedia, fino a quando la riconversione del porto non sarà completa e di conseguenza i volumi di traffico instradati da Taranto sulla rete ferroviaria resteranno modesti, facendo convergere i flussi, facilitando la formazione di treni completi e consentendo così la realizzazione di economie di scala proprio nel nodo TEN-T di Bari, direttamente collegato alla rete ad alta capacità. 57 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 5 LA PROGRAMMAZIONE IN MATERIA PORTUALE La legge 28 gennaio 1994, n. 84, recante “Riordino della legislazione in materia portuale” ha innovato il precedente modello organizzativo, basato su porti interamente pubblici introducendo al suo posto il modello denominato landlord port authority, caratterizzato dalla separazione tra le funzioni di programmazione e controllo del territorio e delle infrastrutture portuali affidate alle Autorità portuali e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali, che sono affidate a privati, fermo restando la proprietà pubblica dei suoli e delle infrastrutture. Successivamente, la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione ha mutato il quadro delle competenze istituzionali in materia portuale. In particolare, il nuovo dettato dell'articolo 117 della Costituzione ha incluso i “porti e le grandi reti di trasporto e di navigazione” tra le materie di legislazione concorrente dello Stato e delle regioni, riservando alla legislazione esclusiva dello Stato la disciplina di materie connesse a queste ultime, quali la sicurezza, le dogane e la tutela dell'ambiente; sono altresì riservati alla competenza statale gli ambiti materiali dell'ordinamento e organizzazione delle Autorità portuali. Il nuovo articolo 118, a sua volta, ha sancito il principio di sussidiarietà, conferendo nuovo rilievo alle autonomie territoriali e ai privati. L’8 novembre 2001 entrava in vigore la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, “Modificazioni del titolo V della parte seconda della Costituzione”. Tra gli aspetti più innovativi: l’attribuzione allo Stato, alle Regioni e agli enti locali di “pari dignità” quali enti costitutivi della Repubblica (art. 114); l'inversione del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, con la elencazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato e di quelle in cui la potestà legislativa è esercitata in modo concorrente (art. 117, co. 2 - 4); la riduzione della potestà regolamentare dello Stato alle sole materie di sua legislazione esclusiva (art. 117, co. 6); l’attribuzione delle competenze amministrative in via generale ai comuni, (art. 118 ); l’attribuzione a Regioni ed Enti locali di autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119). Un ruolo determinante, nella prima stagione dell’attività legislativa di Stato e Regioni susseguente all’entrata in vigore del nuovo Titolo V, ha esercitato la giurisprudenza della Corte Costituzionale, seguita a un considerevole contenzioso tra Stato e Regioni su questioni interpretative aperte dalla nuova disciplina. Le pronunce della Corte, oltre a sciogliere alcuni nodi cruciali – definendo i termini e i limiti della legittimità costituzionale di provvedimenti importanti per l’attuazione dell’indirizzo politicolegislativo del Governo, quali ad es. la “legge-obiettivo” – hanno introdotto principi e criteri interpretativi utili a consentire una lettura coerente e sistematica della riforma costituzionale, ad esempio: l’esistenza, di profili di “trasversalità” di alcune materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, che la Corte ha a chiamato “materie-funzioni” o “non materie” (come la tutela dell’ambiente); l’applicazione del principio di sussidiarietà al riparto delle competenze legislative, oltre che amministrative, tra Stato e Regioni; l’opportunità di introdurre strumenti e procedure di cooperazione e concertazione, atti a valorizzare la leale collaborazione tra Stato e Regioni e il concorso di queste ultime alle decisioni centrali. 58 Iniziativa di studio sulla portualità italiana L’attenzione sul settore portuale si è da quel momento in poi concentrata essenzialmente, sull’attuazione della legge n. 84/1994 alla luce dei nuovi principi, sui finanziamenti al sistema portuale e sul ruolo delle Autorità Portuali e specialmente: sulla natura “nodale” del porto, inteso come un nodo fondamentale della rete dei trasporti; sulla natura integrata del sistema di trasporto nell’ ambito del quale si inseriscono le “autostrade del mare”; sul potenziamento degli impianti e della piattaforme logistiche portuali inserito nella legge 21 dicembre 2001, n. 443 (legge obiettivo) e dal relativo provvedimento di attuazione costituito dal cd. “codice dei contratti pubblici” (decreto legislativo n. 163 del 2006) prevedendo anche una disciplina speciale per le cd. opere strategiche (Parte II, Titolo III, Capo IV, articoli 161-194). Tutto poggia su una programmazione annuale, affidata al Governo (nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni) delle cd. infrastrutture strategiche da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, inserita, previo parere del CIPE e previa intesa della Conferenza unificata, nel Documento di Economia e Finanza (DEF). Lo stesso Parlamento si pronuncia sul programma in sede di esame del DEF; sul ruolo delle Autorità Portuali e procedura di nomina dei presidenti delle Autorità; sull’autonomia finanziaria delle Autorità Portuali; sulla centralità dell’integrazione tra porti e città e di una logica di pianificazione integrata territoriale e di programmazione negoziata con le realtà produttive, del trasporto e della logistica, anche alla luce delle competenze concorrenti delle Regioni. La programmazione e pianificazione nel settore portuale ricade dunque pienamente nell’ambito delle materie concorrenti tra Stato e Regioni, che partecipano allo sviluppo, e in ultimo approvano, il Piano regolatore portuale, strumento integrato nella programmazione territoriale regionale del relativo bacino di utenza e dei collegamenti trasportistici strategici. Nel corso di tutte le audizioni è stata manifestata l'esigenza di addivenire in tempi rapidi ad una strategia di programmazione delle infrastrutture portuali coordinata a livello nazionale; in particolare, è stata lamentata l’assenza di una regia negli stanziamenti ed erogazioni dei finanziamenti pubblici. La necessità di un coordinamento a livello nazionale è giustificata dalle stesse irrealistiche previsioni di traffico di containers formulate dalle Autorità Portuali – con un aumento superiore al 100% dei volumi attuali – e dai conseguente effetti rispettivamente sulla programmazione di rilevanti investimenti infrastrutturali30 e sulla variazione degli strumenti urbanistici (piani regolatori portuali)31. Nel XI Allegato Infrastrutture, si auspica esplicitamente una migliore valutazione dell'efficacia degli investimenti, basata sulla rilettura delle reali esigenze del tessuto economico territoriale, ossia delle 30 A tale riguardo è significativo l'esempio offerto da Assologistica in base al quale se si considera l'offerta incrementale (in termini di TEU) dichiarata dai singoli porti italiani essa complessivamente potrebbe essere superiore a 24 Milioni di TEU e, con orizzonte 2020, potrebbe determinare una capacità complessiva teorica di movimentazione dei porti italiani intorno ai 37 milioni di TEU, contro una capacità stimata di 12-13 milioni di TEU. 31 Si riporta la posizione espressa dal Presidente dell'AP di Genova, Luigi Merlo, nell'edizione de “Il Messaggero Marittimo” del 4 luglio 2011: “Io ho la sensazione che le autorità portuali oggi, più che promotori di traffici, stiano diventando promotori di progetti. E poi quale è la razionalizzazione, il disegno globale, la strategia di questo Paese? Stiamo rischiando di costruire un'infinità di cattedrali nel deserto, di sperperare risorse pubbliche, di generare aspettative che poi non si concretizzeranno”. 59 Iniziativa di studio sulla portualità italiana dinamiche economiche che generano o che attraggono spostamenti di persone e di merci. Assologistica ha sottolineato l’importanza di acquisire e rendere noti gli studi sull'evoluzione della domanda a sostegno delle opere pianificate dalle singole AP, tenuto conto della capacità esistente; a tal fine, Assoporti ha suggerito di rilanciare la “Cabina di regia”, istituita lo scorso luglio 2010, per l'interazione fra porti, enti locali, e altri soggetti coinvolti (es. ANAS, RFI) e richiamata già nell'VIII Allegato Infrastrutture del 2011. La programmazione in materia portuale deve tenere conto del ruolo che l’Italia naturalmente svolge nel Mediterraneo, della nuova geografia dei trasporti disegnata dall’Unione Europea e dei vantaggi competitivi accumulati dai porti del Northern Range. In tale scenario, è necessario ottenere il riconoscimento europeo di quattro sistemi portuali (Fig. 5.1): due nell’Italia Settentrionale: - Sistema portuale di Genova-Voltri, Savona-Vado Ligure, La Spezia, Livorno con la retroportualità di Alessandria, Tortona, Rivalta Scrivia, Novara, Orbassano, del cuneese, Prato e Parma, unitamente al sistema logistico diffuso dell'area milanese in uno con il nodo ferroviario di Brescia, la piastra logistica di Piacenza, e il parco intermodale di Mortara e LeccoMaggianico. - Sistema portuale di Trieste e Venezia, Ravenna e interporti di Padova, Verona, Trento, e Cervignano, con la retroportualità di Gorizia- Fernetti e l'area logistica di Parma con il nodo interportuale e ferroviario di Bologna e Cesena. due nell’Italia Meridionale: - Sistema portuale di Napoli e Salerno, il retroporto di Napoli Est egli interporti di Nola e Marcianise e la retroportualità di Battipaglia, nel quale è stata inclusa anche la portualità di Gioia Tauro. - Sistema portuale di Bari, Taranto e Brindisi e l’interporto di Bari, la piattaforma logistica di Taranto e il porto di Brindisi. Ai Porti delle Autostrade del Mare (Civitavecchia e Ancona) e di transhipment dell’Italia meridionale (Cagliari e Gioia Tauro) dovrebbe essere riconosciuta la peculiarità della loro attività (intermediazione tra flussi di traffico marittimo) che non genera traffico terrestre. 60 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 5.1 - I cluster portuali Fonte: elaborazione DIPE 5.1 IL PROGRAMMA DELLE INFRASTRUTTURE STRATEGICHE Sulla base di quanto previsto dall’articolo 1 della legge n. 443/2001 (cosiddetta Legge Obiettivo), il CIPE ha approvato con la delibera n. 121/2001 il primo Programma delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Il Programma è stato frutto di un ampio confronto istituzionale, teso all’integrazione: a monte, con la programmazione comunitaria, mirando in primo luogo a realizzare le tratte nazionali dei grandi corridoi europei Brennero, Torino – Lione e Terzo valico dei Giovi; a valle, con la volontà delle Regioni e degli Enti locali, sia nella scelta delle opere sia nelle procedure di approvazione della localizzazione e di valutazione dell’impatto ambientale dei progetti. Col passare degli anni sono stati approvati e finanziati di versi progetti relativi ai grandi valichi alpini e all’alta velocità ferroviaria lungo i predetti corridoi europei e le scelte strategiche del Programma hanno avuto impatti significativi anche sugli altri principali strumenti di programmazione nazionale, tra cui il Contratto di programma delle Ferrovie (parte investimenti e parte servizi), il Contratto di programma dell’ANAS e i Piani pluriennali delle Autorità Portuali. Attualmente, oltre l’80% del valore del Programma 61 Iniziativa di studio sulla portualità italiana è incluso nei citati Contratti di programma, cosicché l’asseverazione della congruità economica e l’analisi costi benefici svolte da ANAS e RFI per ogni singola opera inclusa nei contratti ne consolida la credibilità strategica. La variazione della dimensione finanziaria del Programma è stata nel tempo fotografata dai Documenti di programmazione economico-finanziaria che si sono succeduti tra il 2003 e il 2013. L’XI Allegato al Documento di economia e finanza 2013 – 2015, che ha recentemente ottenuto l’intesa della Conferenza Unificata Stato Regioni e Provincie autonome, definisce il costo totale del Programma pari a 232 miliardi di euro, con finanziamenti disponibili per 118 miliardi di euro e un fabbisogno residuo di 114 miliardi di euro. Il costo totale delle sole opere già esaminate dal CIPE è di 136 miliardi di euro, di cui solo 2,4 miliardi, l’1,8%, concerne interventi per porti e interporti, a testimonianza di un’attenzione inspiegabilmente modesta per il comparto (tabella 5.1). Proprio il ridotto spazio del sistema portuale nell’ambito del Programma, è stato uno dei motivi che ha condotto alla decisione di redigere il presente studio, allo scopo di contribuire a dare rilevanza strategica alla portualità nelle politiche dei trasporti nazionali, ove altri settori, ad esempio strade e ferrovie, sono destinatari di un quadro regolatorio più stabile (la legge di riferimento del sistema portuale dal 1994 ad oggi è stata modificata 23 volte), e fanno capo a un player nazionale di riferimento che dialoga con il Governo ai fini di una programmazione unitaria a scala nazionale, cosa che non accade né nel settore portuale, la cui governance è dispersa tra le Autorità portuali, né, ad esempio, nei settori aeroportuale e idrico. Tab. 5.1 - Opere relativi ai porti contenute nel Programma delle infrastrutture strategiche 2013-2015 (XI Allegato infrastrutture) infrastruttura strategica Porto di Golfo Aranci Porto di Porto Torres Porto di Porto Torres stato CIPE attuazione Piastra Logistica Euro Mediterranea della Sardegna in Prolungamento pontile est del Porto Golfo porti realizzazion PIS Aranci e Realizzazione darsena servizi porto porti preliminare PIS commerciale 1 lotto Adeguamento tecnico funz.le porto di porto porti ultimato PIS Torres 1 lotto intervento settore Porto di Olbia Escavo della secca prospiciente il molo n. 1 porti collaudo adeguamento impianti Allacciamento Porto di strade e Allacciamento Porto di Olbia collaudo Olbia autostrade banchinamento avanporto per navi Ro-Ro Porto di Cagliari porti definitivo del Porto Canale - 1° lotto banchinamento avanporto per navi Ro-Ro Porto di Cagliari porti preliminare del Porto Canale - 2° lotto avanporto est del Porto Canale di Cagliari Porto di Cagliari realizzazione del distretto della cantieristica - porti definitivo opere a mare HUB Portuali e interportuali - Civitavecchia attesa Hub Portuali Hub portuale Civitavecchia lotto 1 porti progetto Civitavecchia esecutivo Hub Portuali Hub portuale Civitavecchia lotto 2 porti definitivo Civitavecchia Hub Portuali Porto di Gaeta porti definitivo Civitavecchia Hub Interportuali Piastra logistica di Civitavecchia interporti esercizio Area romana adeguamento sedime 62 costo M€ disponibilità M€ fabbisogno M€ 2,58 2,58 0,00 14,39 14,39 0,00 17,24 17,24 0,00 PIS 10,45 10,45 0,00 PIS 9,38 12,00 -2,62 PIS 44,73 19,33 25,40 PIS 15,27 0,00 15,27 PIS 29,56 11,00 18,56 perimetr o Cipe 194,65 194,65 0,00 perimetr o Cipe 287,42 6,00 281,42 PIS 33,09 33,09 0,00 perimetr o Cipe 4,17 4,79 -0,62 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Hub Interportuali Area romana Hub Interportuali Area romana Hub Interportuali Area romana Hub Interportuali Area romana Hub Interportuali Area romana Hub Portuali - Ancona Hub Portuali - Ancona Hub Portuali - Ancona Hub portuale Pescara: dev. Porto canale Hub Portuali - Taranto Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Piastra logistica di Civitavecchia coll.tore fognario Piastra logistica di Civitavecchia Civtavecchia Orte Piastra logistica di Civitavecchia rampe d'ingresso interporti esercizio interporti esercizio interporti ultimato Piastra logistica di Civitavecchia recinzione interporti ultimato Piastra logistica di Civitavecchia spost.to acquedotto interporti esercizio Hub portuali - Ancona Ancona - collegamento ferroviario Nuova ferrovie ultimato Darsena Ancona - Raccordo "Asse attrezzato"1° L/1° e strade e ultimato 2 autostrade Coll.to viario tra porto Ancona e grande strade e definitivo viabilità autostrade Hub portuali - Pescara: Hub portuale Pescara: dev. Porto canale piastra portuale di Taranto porti preliminare Hub Portuali - Taranto attesa porti progetto esecutivo HUB Portuali – Genova e Savona perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe 1,16 1,49 -0,33 0,10 0,23 -0,13 1,13 0,85 0,28 2,48 3,56 -1,08 0,16 0,25 -0,09 PIS 9,59 9,59 0,00 PIS 2,70 2,70 0,00 perimetr o Cipe 479,77 479,77 0,00 PIS 20,00 0,00 20,00 perimetr o Cipe 219,58 219,58 0,00 Savona: nuovo varco doganale fase 2 terrapieno porti ultimato PIS 18,24 18,24 0,00 Savona: nuovo varco doganale fase 3 sopraelevata porti ultimato PIS 12,00 12,00 0,00 La Spezia: variante SS 1 Aurelia - 3° lotto strade e autostrade in perimetr realizzazion o Cipe e 193,37 240,82 -47,45 La Spezia: variante SS 1 Aurelia - 4° lotto tra S.Benedetto e nuovo casello La Spezia Nord (Beverino) strade e autostrade preliminare PIS 189,66 0,00 189,66 Genova: collegamento Porto Autoporto strade e autostrade preliminare PIS 10,70 0,00 10,70 Genova riassetto dell'accesso portuale Voltri strade e autostrade attesa progetto esecutivo perimetr o Cipe 35,08 35,08 0,00 Nuova Aurelia: var. tratta Riva Trigoso-Calvari strade e autostrade preliminare PIS 250,00 0,00 250,00 Nuova Aurelia: variante tra Cogoledo e Arenzano strade e autostrade preliminare PIS 120,00 0,00 120,00 Nuova Aurelia: variante tratta CalvariFerriere strade e autostrade studio di fattibilità PIS 0,00 0,00 0,00 Savona: viabilità bacino portuale di Vado Ligure strade e autostrade ultimato PIS 1,67 1,67 0,00 Savona: variante SS1 Aurelia bis casello aut.le strade e autostrade preliminare PIS 137,54 0,00 137,54 Savona: variante SS1 Aurelia bis Albisola strade e autostrade in perimetr realizzazion o Cipe e 188,83 239,41 -50,58 completamento Aurelia bis di Savona Letimbro casello strade e autostrade preliminare PIS 28,93 0,00 28,93 Nuova Aurelia: completamento variante di Varazze strade e autostrade preliminare PIS 80,00 0,00 80,00 Nuova Aurelia: variante di S.Lorenzo al mare strade e autostrade preliminare PIS 250,00 0,00 250,00 63 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Allacciamenti plurimodali Genova Savona Hub Portuali - Trieste Hub Portuali - Trieste Hub Portuali - Trieste Hub Portuali - Trieste Hub Portuali - Trieste Hub portuale di Ravenna Hub portuale di Ravenna Hub portuale di Ravenna Hub portuale di Venezia Hub interportuali sistema idroviario Padano Hub Interportuali Porto di Cremona Traffici nella Laguna di Venezia Hub portuali - porto di Napoli e di Salerno Hub portuali - porto di Napoli e di Salerno Hub portuali - porto Nuova Aurelia: variante tra Bergeggi e Spotorno strade e autostrade preliminare PIS 300,00 0,00 300,00 Albenga - Borghetto SS (raccordo con sv. A10) - Loano - Pietra Ligure - Finale - Vado strade e autostrade preliminare PIS 600,00 0,00 600,00 Aurelia bis completamento Andora-AlassioAlbenga strade e autostrade preliminare PIS 100,00 0,00 100,00 La Spezia: realizzazione colleg viario sotterraneo strade e autostrade preliminare PIS 31,45 0,00 31,45 La Spezia: rampe stradali località Pianazze strade e autostrade preliminare PIS 2,50 0,00 2,50 Nuova Aurelia: var. e 330 Sarzana/ conf. Toscana strade e autostrade preliminare PIS 200,00 0,00 200,00 Nuova Aurelia: var. ex ss 330 Felettino Ceprana strade e autostrade preliminare PIS 224,00 0,00 224,00 Nuova Aurelia: var. ex ss 330 tra Ceprana Sarzana strade e autostrade preliminare PIS 300,00 0,00 300,00 Nuova Aurelia: variante Albisola - Celle Ligure strade e autostrade preliminare PIS 150,00 0,00 150,00 Nuova Aurelia: variante tra Spotorno e Capo Noli strade e autostrade preliminare PIS 150,00 0,00 150,00 perimetr o Cipe 132,43 132,43 0,00 perimetr o Cipe 184,50 0,00 184,50 PIS 250,00 0,00 250,00 PIS 90,00 0,00 90,00 PIS 77,60 0,00 77,60 perimetr o Cipe 137,00 137,00 0,00 Hub Portuali - Trieste attesa Hub Trieste piattaforma logistica 1 stralcio porti progetto esecutivo Hub Trieste piattaforma logistica 2 stralcio Collegamenti ferroviari piattaforma logistica di Trieste: Raddoppio Cervignano(strasoldo) Udine PM Vat e nodo di Udine Ampliamento banchina Molo 7 Porto di Trieste porti definitivo porti preliminare studio di fattibilità studio di Sistemazione del nodo ferroviario di Trieste ferrovie fattibilità Hub portuali - Ravenna attesa Hub portuale di Ravenna I° e II° stralcio porti progetto esecutivo porti Hub portuale di Ravenna III° e IV° stralcio porti preliminare PIS 246,00 0,00 246,00 Hub portuale di Ravenna infrastrutture ferroviarie retroportuali porti definitivo PIS 70,00 0,00 70,00 PIS 2.467,00 1.732,00 735,00 PIS 0,00 0,00 0,00 perimetr o Cipe 24,00 0,00 24,00 PIS 140,00 0,00 140,00 PIS 240,00 240,00 0,00 PIS 450,00 410,00 40,00 PIS 73,00 73,00 0,00 Hub portuali - Venezia Hub portuale di Venezia: porto di altura ed porti preliminare allacci Hub interportuale sistema idroviario Padano - Veneto interporti studio di fattibilità Hub Interportuale Porto di Cremona interporti preliminare Interventi infrastrutturali per la sicurezza dei porti traffici nella Laguna di Venezia Hub portuali - porto di Napoli e di Salerno Hub portuali - porto di Napoli Nuova darsena porto di levante/adeguamento collegamento ferroviario Hub portuali - porto di Salerno porti preliminare ferrovie porti 64 preliminare Iniziativa di studio sulla portualità italiana di Napoli e di Salerno Hub portuali - porto di Napoli e di Salerno Hub portuali - porto di Napoli e di Salerno Porto Marina di Carrara Hub Interportuali Gioia Tauro Hub Interportuali Gioia Tauro Porto di Pozzuoli porti Collegamento tangenziale di Napoli rete porti viaria e porto di Pozzuoli Hub portuali - porto di Marina di Carrara Interfaccia porto - città sistemazioni di studio di multimodale accesso fattibilità Hub Interportuali Gioia Tauro Gioia Tauro allacciamenti ferroviari interporti definitivo Gioia Tauro capannoni prefabbricati interporti definitivo Hub Interportuali Gioia Tauro Hub Int. G. Tauro Prog. Reti materiali e viabilità interporti attesa progetto esecutivo Hub Interportuali Gioia Tauro Hub Interportuali Gioia Tauro Hub Interportuali Gioia Tauro Hub Interportuali Gioia Tauro Hub Interportuali Gioia Tauro Hub Interportuali Gioia Tauro Hub Interportuali Gioia Tauro Gioia Tauro ingresso pedonale aereo zona MTC interporti definitivo Gioia Tauro laboratori Fitopatologici interporti definitivo "Gioia Tauro magazzini""Piastra del freddo" interporti definitivo Gioia Tauro parcheggio multipiano zona MCT interporti definitivo Hub Interportuali area brindisina Hub Interportuali Catania Hub Interportuali Catania Hub Interportuali Termini Imerese Hub Interportuali Augusta Hub Interportuali Palermo, Messina, Trapani Gioia Tauro coll.to rigassificatore piastra interporti definitivo freddo Gioia Tauro sistemazione piazzale nord del interporti definitivo porto Gioia Tauro strada S. Ferdinando - piazz.le interporti definitivo porto Hub Interportuali - area brindisina Hub interportuali area brindisina interporti preliminare PIS 45,00 17,50 27,50 PIS 153,78 0 153,78 PIS 38,43 13,43 25,00 3,00 0,48 2,52 5,53 0,24 5,29 13,50 12,19 1,31 1,58 0,33 1,25 0,25 0,04 0,21 30,00 1,20 28,80 8,00 1,90 6,10 11,70 1,87 9,83 0,50 0,01 0,49 2,10 0,10 2,00 88,98 0,00 88,98 81,15 -3,23 13,51 14,64 78,87 0,00 perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe perimetr o Cipe PIS Hub Interportuali – Catania, Termini Imerese, Augusta, Palermo, Messina e Trapani perimetr Hub Interportuali Catania 1° stralcio fase 1 interporti esercizio 77,92 o Cipe Attesa perimetr Hub Interportuali - Catania 2° stralcio fase 1 interporti consegna 28,15 o Cipe lavori perimetr Hub interportuali Termini Imerese interporti definitivo 78,87 o Cipe Hub Interportuali - Augusta interporti Hub Interportuale Palermo, Messina, Trapani interporti preliminare PIS 85,00 85,00 0,00 studio di fattibilità PIS 0,00 0,00 0,00 Hub Interportuali - Livorno Guasticce Hub Interportuali Livorno Guasticce Hub Interportuali Livorno Guasticce Hub Interportuale Livorno Guasticce interporti collaudo perimetr o Cipe 26,07 26,07 0,00 Hub Interportuale Livorno Guasticce scavalco ferroviario interporti definitivo PIS 14,00 5,00 9,00 10.267,46 4.654,08 5.613,38 Totale Fonte: elaborazione DIPE su dati dell’XI Allegato infrastrutture 5.2 I PROGRAMMI DELLE AUTORITÀ PORTUALI A partire dagli anni ’70, con l’affermarsi del trasporto marittimo per container, si assiste al progressivo declino del modello del porto industriale, in cui le aree portuali erano destinate prevalentemente alla movimentazione delle rinfuse e ai depositi costieri di combustibile. La successiva intensificazione dei flussi commerciali ha poi ulteriormente caratterizzato i porti verso l’attuale configurazione di centri di smistamento intermodale, di distribuzione delle merci verso i rispettivi bacini di utenza, di trattamento dei prodotti in transito nell’ambito di aree dedicate ai servizi 65 Iniziativa di studio sulla portualità italiana logistici. Tutto questo ha però richiesto l’adozione di un nuovo approccio nell’uso dell’area portuale in senso stretto, con piazzali e banchine sempre più ampi, fondali più profondi, ma anche e soprattutto con interconnessioni trasportistiche più moderne, servizi amministrativi, doganali, finanziari avanzati ed efficienti. Da qui la scelta fatta con la legge n. 84/1994 di individuare nel piano regolatore portuale lo strumento urbanistico per l’adeguamento alle nuove esigenze. La riconversione delle aree originariamente destinate ad attività industriali ma ormai obsolete o abbandonate, (come depositi di combustibili liquidi e per la raffinazione, o di minerali o di carbone), potrebbe far recuperare spazi enormi all’utilizzo portuale, sebbene tale processo richieda accordi con i proprietari o concessionari delle aree, adeguamenti di strumenti di programmazione territoriale e il superamento di procedure volte alla tutela ambientale, tali da richiedere non solo molti anni ma una forte motivazione del promotore dell’iniziativa. Emblematico è il caso di Piombino, ove di spostamento in altre aree dei carbonili a servizio dell’acciaieria, in relazione alle esigenze di sviluppo del porto prospettate già dalla Variante 2 al PRP, si discute dal 2002 senza alcun effetto concreto. Alla tradizionale pianificazione portuale che considera il porto come una “infrastruttura” settoriale e specialistica autonoma e che interpreta il territorio e la città come spazi da attraversare per le connessioni trasportistiche, si è affermata una visione più moderna che mira a superare la tradizionale cesura tra le politiche infrastrutturali e quelle urbane e territoriali. La pianificazione portuale presuppone oggi in primo luogo la individuazione della funzione strategica dello scalo (hub di transhipment, gateway, regionale) nell’ambito della rete infrastrutturale regionale, nazionale e internazionale. E’ dunque necessario un uso delle aree portuali, di quelle limitrofe e delle vie di accesso, che integri il piano urbanistico (in particolare il piano regolatore comunale) con il piano portuale. Nei porti sede di Autorità Portuale, gli strumenti di pianificazione delle aree portuali indicati dalla normativa sono il Piano Regolatore Portuale (PRP) e il Piano Operativo Triennale (POT). In base alla legge n. 84/1994, le Autorità Portuali redigono il PRP che delimita l’ambito del porto e ne individua l’assetto complessivo, le caratteristiche e le aree destinate alla produzione industriale, alla cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie (art. 5, comma 1). Lo stesso art. 5 prevede che il PRP sia adottato dal Comitato Portuale32, previa intesa con il Comune o i Comuni interessati; inviato per il parere al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici; e, prima della definitiva approvazione da parte della Regione, sottoposto alla procedura per la Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.). L’intesa con il Comune, finalizzata come detto a rendere coerenti le previsioni del PRP con la pianificazione urbanistica comunale, riguarda soprattutto la perimetrazione dell’ambito, l’uso delle aree di interesse comune, come i corridoi e le fasce costiere, le reti infrastrutturali, le maggiori opere di urbanizzazione. Il raccordo tra il piano regolatore portuale e quello comunale si è tuttavia nella prassi dimostrato molto difficile e, invece di essere un fattore di competitività, è diventato un ostacolo allo sviluppo della portualità. 32 Nel Comitato Portuale sono poi presenti le Amministrazioni statali e locali (Regione, Provincia, e Comune) e gli operatori economici (Camera di Commercio, rappresentanti di lavoratori e di imprenditori), al fine di promuovere le concertazione fra le Amministrazioni e gli operatori interessati e il raccordo fra la pianificazione urbanistica e quella di settore; la composizione dell’organismo con soggetti portatori di interessi contrastanti, è stata spesso causa di difficoltà. 66 Iniziativa di studio sulla portualità italiana La legge n. 84/1994 non pone poi un limite temporale perentorio entro il quale procedere all’aggiornamento dei piani regolatori portuali (art. 27, comma 3) e si è creata una situazione fortemente disomogenea con solo 8 porti su 23 che dispongono di un piano regolatore portuale approvato dopo il 2000, mentre diversi porti con piani regolatori approvati prima della nuova normativa non hanno ancora provveduto ad aggiornarli. La situazione dei PRP delle Autorità Portuali, il cui quadro appare piuttosto variegato, è illustrata nella Tabella 5.2. Tab. 5.2 - Stato dei piani regolatori portuali PRP anteriore al 1970 N. Autorità portuali 9 PRP anteriore al 2000 PRP approvato dopo il 2000 6 9 PRP adottato e in corso di procedura 12 PRP in elaborazione Nessuna iniziativa 5 5 Autorità portuali Venezia, Trieste, Livorno, Gioia Tauro, Palermo, Messina, Catania, Bari Carrara, Salerno, Augusta, Taranto, Ancona, Olbia Savona, Genova, La Spezia, Cagliari, Piombino, Civitavecchia, Brindisi, Ravenna, Napoli Ancona, Trieste, Olbia, Livorno, Carrara, Messina, Palermo, Taranto, Salerno, Gioia Tauro, Catania, Manfredonia Bari, Venezia, Genova, Civitavecchia, Augusta Savona, La Spezia, Brindisi, Ravenna, Cagliari Fonti: elaborazione DIPE su dati delle Autorità Portuali Risultano molto lunghi i tempi per l’approvazione di un nuovo Piano regolatore portuale o eventuali varianti al Piano, per le quali sono previste le stesse procedure. Tra le cause di questa lentezza vi è la mancanza di una procedura di conclusione dell’iter di approvazione del PRP in presenza di divergenze tra le strategie del porto e quelle della città. Un PRP adottato, su cui pure è stata espressa l’intesa del Comune, ma che non è stato ancora approvato, può restare per lungo tempo in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti. Per ovviare a tali incoerenze, le determinazioni in ordine al PRP potrebbero essere assunte in un’apposita Conferenza di servizi, convocata dalla Regione, con decisioni eventualmente assunte a maggioranza; la stessa acquisizione dei pareri tecnici del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e della Commissione V.I.A. – V.A.S avverrebbe in Conferenza di servizi. In tale sede, la Regione approverebbe così l’adottando Piano regolatore portuale contestualmente all’approvazione della variante al Piano regolatore del Comune, mettendo fine all’impasse (ad es.. Napoli il cui PRP è stato in corso di esame dal 2002 al 2013). Infine, l’analisi dei PRP delle Autorità portuali, anche appartenenti alla stessa regione o macro regione, mostra una carenza di coordinamento tra le medesime Autorità, con la contemporanea previsione di opere di grande dimensione aventi finalità analoghe. Conseguentemente si amplificano le richieste di contributo dello Stato, a dispetto delle difficoltà della finanza pubblica, e i potenziali impatti negativi sull’ambiente generati soprattutto dalle massicce opere di dragaggio necessarie per rendere più profondi i fondali. Quasi tutte le AP italiane puntano a realizzare opere infrastrutturali molto ambiziose, soprattutto al fine di intercettare la crescita dei flussi di importazioni di merci containerizzate provenienti dall’Asia, sulla base di aspettative molto ottimistiche. 67 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tali grandi opere infrastrutturali sono spesso finalizzate a diversificare o potenziare l’offerta di servizi di un determinato porto (vedi il caso di Gioia Tauro, di Augusta o di Civitavecchia), talvolta in competizione con porti italiani limitrofi e senza verificare concretamente le reali potenzialità di crescita delle movimentazioni merci e lo sviluppo dei collegamenti ferroviari o stradali che sottendono tali progetti. Risulta, altresì, da accertare in quale misura tali progetti siano coerenti con i corridoi europei e se siano diretti a potenziare i relativi clusters portuali di riferimento. E' illuminante osservare che, tra le tante previste o ipotizzate, sono pochissime le opere infrastrutturali effettivamente in corso e/o in fase di ultimazione, tra cui: Genova (nuovo terminal contenitori di Calata Bettolo), che porterà ad un aumento della capacità di ulteriori 300.000 TEU (totale 2 milioni di TEU); La Spezia (ampliamento), che porterà ad un aumento della capacità di ulteriori 300.000 TEU (totale 2 milioni di TEU); Genova (ampliamento delle aree contenitori del compendio Ronco-Canepa con capacità totale 400.000 TEU), di cui si prevede il completamento entro il 2015. Gran parte delle altre iniziative relative alle grandi opere infrastrutturali portuali non hanno ancora visto l'avvio dei lavori. Gli ordini di grandezza degli investimenti programmati giustificano l’esigenza di un coordinamento forte dell’attività programmatoria di settore a livello nazionale, che abbia anche il compito di rappresentare il sistema Paese nelle sedi internazionali. Tale coordinamento richiederebbe un connotato istituzionale più che di tipo associativo o meramente tecnico, un soggetto pubblico, vigilato dal Ministero competente, responsabile per l'intero sistema portuale di proprietà statale, che dovrebbe occuparsi dell'attuazione della politica portuale del Governo e del coordinamento ed efficienza del sistema medesimo costituito dalle 23 Autorità Portuali, con poteri esercitati per conto dello Stato ai sensi di legge. Tale ente potrebbe coordinare anche la formazione, la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico nelle questioni relative alla economia, management, logistica, ingegneria e altre attività portuali. 5.3 I PIANI PORTUALI REGIONALI O DI MACROREGIONE Come accennato, la programmazione e pianificazione nel settore portuale ricade dunque pienamente nell’ambito delle materie concorrenti tra Stato e Regioni. Alcune di queste (ad es. Puglia, Toscana e Liguria) hanno approvato piani territoriali e atti di programmazione di settore previsti da norme regionali. Ad esempio il “Programma per lo sviluppo delle infrastrutture strategiche e della piattaforma logistica”, presentato dalla Regione Puglia a febbraio del 2011, effettua una ricognizione dei principali progetti infrastrutturali, alcuni dei quali già inseriti nel Contratto di programma di RFI, e oltre a progetti 33 immateriali concernenti la Regione e finalizzati a migliorare la circolazione di merci e persone . 33 Il Programma, denominato “Puglia Corsara”, prevede tra gli altri i seguenti interventi: il collegamento ferroviario di alta capacità Bari-Napoli; il nodo ferroviario di Bari; il raddoppio della dorsale adriatica Lesina - Termoli e la sua 68 Iniziativa di studio sulla portualità italiana La presenza di numerose realtà portuali limitrofe e la necessità di competere con gli altri sistemi portuali del Mediterraneo e del Nord Europa per intercettare i traffici dall’oriente verso l’Europa, ha favorito modalità di pianificazione logistica congiunta tra le Autorità Portuali di diverse Regioni. Nel marzo 2010 è stata costituita la North Adriatic Ports Association (NAPA), tra gli scali di Capodistria, Trieste, Venezia poi estesa anche Fiume, in modo da presentarsi congiuntamente e quindi con maggiore forza sui mercati internazionali e di fare del Nord Adriatico la piattaforma logistica europea per i traffici, provenienti dal Far East e diretti verso l’Europa centrale e Centro Orientale. In tale modo viene dato anche sostegno allo sviluppo del corridoio europeo Adriatico-Baltico. I membri del NAPA cooperano in diversi settori, dal miglioramento delle connessioni terrestri (particolarmente quelle ferroviarie) alla costruzione di un Single Window System integrato. I Porti appartenenti al NAPA hanno progettato importanti investimenti, con fondi pubblici e privati (banche e operatori di settore), per potenziare la dotazione infrastrutturale e assicurare competitività agli scali, con l’obiettivo di migliorare il potenziale commerciale, la qualità e l’efficienza del sistema portuale dell’Alto Adriatico e implementare soluzioni logistico-portuali integrate per l’inoltro delle merci, condizione necessaria per intercettare i grandi flussi provenienti dai mercati emergenti asiatici. Tra le iniziative realizzate da NAPA, figurano il collegamento tra l’Alto Adriatico e i porti indiani di Nhava Sheva e Mundra e il finanziamento europeo di 1,4 milioni di euro del progetto “ITS Adriatic multi-port gateway” che prevede una piattaforma informatica comune (e-platform) capace di mettere i porti nelle condizioni di potenziare la cooperazione e offrire agli operatori dello shipping un servizio integrato di recepimento e inoltro delle merci. Nell’Alto Adriatico è stata invece creata nel 2008 un’associazione dei porti liguri, la "Ligurian Ports Sistema dei Porti Liguri" e segnatamente tra i porti di Genova, La Spezia e Savona. Attraverso tale associazione i tre porti intendono coordinare la programmazione delle infrastrutture, i piani regolatori portuali e la posizione delle tre Autorità portuali in materia di autonomia finanziaria e concessioni demaniali. Compito dell’associazione, che non ha scopo di lucro, è poi quello di promuovere l’immagine dei tre scali attuando iniziative a livello nazionale e internazionale per far conoscere i servizi offerti e per incrementare le attività. velocizzazione; l’hub del porto di Taranto; la piattaforma logistica e il Distripark di Taranto e il collegamento con l’aeroporto di Grottaglie; il terminal crocieristico di Brindisi e il suo collegamento intermodale; il sistema di infomobilità (trasmissione di informazioni in tempo reale a supporto della mobilità di persone e merci). 69 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 6 L’ASSETTO DEL SISTEMA PORTUALE ITALIANO La maggior parte delle autorità portuali in Europa sono di proprietà pubblica, dei Governi nazionali, Regioni e Comuni. Altre forme di governo come la proprietà privata, sia da parte di imprese industriali (ad esempio raffinerie di petrolio), di logistica (compagnie di navigazione, operatori dei terminali o spedizionieri) o di investitori finanziari, restano marginali. La proprietà è spesso una miscela di diverse forme. Considerando la distribuzione dello scenario a livello di regioni europee consolidatosi già nel 2011 (Tab. 6.1), sono chiaramente confermate le tradizioni anseatiche e latine dell’influenza statale, regionale e comunale nella governance (la categoria 'altro' per le autorità portuali latine comprende le Autorità Portuali italiane che sono controllate dallo Stato). Le Autorità Portuali nei Paesi anglosassoni sono invece di proprietà dallo Stato (porti irlandesi), i comuni, investitori finanziari assumono la forma trust ports, organismi indipendenti con propri organi statutari, disciplinati dalla legislazione locale, gestiti da consigli di amministrazione. A differenza dei porti società privata, questi non hanno azionisti e tutti i ricavi delle operazioni portuali sono reimmessi di nuovo nella gestione del porto (porti del Regno Unito). Tab. 6.1 - Proprietà delle Autorità Portuali in Europa Media dei porti UE Anseatica Nuova Anseatica Anglo sassone Latina Nuova Latina Stato 39.6% 6.4% 71.3% 35.3% 64.4% 87.3% Regione 3.5% 2.4% 7.9% Provincia 2.5% 4.3% 2.6% Comune 34.8% 82.7% 12.8% 11.8% 3.3% Operatori privati (Industria) 0.6% 1.6% Operatori privati (logistica) 0.9% 2.4% Operatori privati (finanziari) 1.6% 8.8% 0.7% Altri 16.4% 15.9% 44.1% 24.3% 9.4% Totale 100% 100% 100% 100% 100% 100% Nota: Regione Anseatica: Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Germania, Olanda e Belgio; Regione Nuova Anseatica: Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia; Regione Anglosassone: UK e Irlanda; Regione Latina: Francia, Portogallo, Spagna, Malta, Italia, Grecia, Cipro e Israele; Regione Nuova Latina: Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria. Fonte: ESPO (European sea port organisation), Report of an enquiry into the current governance of European seaports, 2011. Le Autorità Portuali europee hanno quasi sempre una personalità giuridica, ovvero sono molto raramente semplici dipartimenti amministrativi del Governo locale, regionale o nazionale. La personalità giuridica delle Autorità Portuali assume diverse forme, a seconda a che abbiano o meno capitale sociale detenuto in tutto o in parte dal Governo (commercialised e corporatised Port authority). Circa il 5% delle Autorità Portuali sono società di proprietà privata. La forma corporatized è più forte nelle nuove regioni, la forma commercialised si manifesta soprattutto nei Paesi latini, mentre la forma di società di proprietà privata si osserva più spesso nei Paesi anglosassoni (Tabella 6.2). La differenziazione in base alle dimensioni mostra che le autorità portuali di proprietà privata sono per lo più piccole o grandi (ad es. società industriali del comparto petrolifero) o le grandi ”Port Holdings” che esistono solo 70 Iniziativa di studio sulla portualità italiana nel Regno Unito. Tab. 6.2 - Personalità giuridica delle autorità portuali in Europa Media dei Anseatica Nuova Anglo Latina Nuova porti UE Anseatica sassone Latina Dipartimento amministr. 13.2% 18.2% 11.8% 7.9% 28.6% Commercialised 39.5% 27.3% 50.0% 35.3% 60.5% 0.0% Corporatised 35.1% 34.1% 50.0% 23.5% 31.6% 71.4% Impresa privata 5.3% 4.5% 23.5% Altri 7.0% 15.9% 5.9% Totale 100% 100% 100% 100% 100% 100% Fonte: ESPO (European sea port organisation), Report of an enquiry into the current governance of European seaports, 2011. In numerosi Paesi si stanno introducendo o sono state già introdotte misure per la privatizzazione e la liberalizzazione dei servizi operativi (porti Latini, Nuovi Latini e Nuove Regioni Anseatiche) e nei Paesi anglosassoni era già in via di conclusione nel 2011 la privatizzazione completa di alcuni porti. Nella maggior parte dei Paesi è poi all’ordine del giorno la cooperazione tra porti limitrofi, questione cui viene dato impulso sia da parte delle autorità portuali stesse, sia dal Governo nazionale o regionale. Per quanto riguarda le funzioni attribuite agli scali portuali nei vari Paesi, si possono distinguere i “Landlord”, “Tool” e “Service” ports34. Nel primo modello, maggiormente diffuso, i compiti si concretano principalmente nell'attività di regolamentazione, di valorizzazione del territorio e nella costruzione di infrastrutture, ma non nella loro gestione; nei Tool ports, l’ente di gestione si occupa sia della costruzione sia dell’utilizzo delle infrastrutture; nei Service ports, l’ente di gestione provvede anche a fornire i servizi portuali (carico e scarico delle merci). Quasi tutte le AP hanno comunque la responsabilità della costruzione e manutenzione delle opere a mare (moli, dighe, dragaggi, piazzali, banchine, colmate), dell’amministrazione, dell’accessibilità e della mobilità interna agli ambiti portuali. 6.1 I PORTI ITALIANI SEDE DI AUTORITA’ PORTUALE L’Autorità Portuale è un ente istituito in base alla legge n. 84 del 28 gennaio 1994 nei porti riportati in Tabella 6.3. 34 Cfr. S. M. Carbone – F. Munari “La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno”, cit. Cap. III.Il principio di separazione tra gestione delle infrastrutture ed erogazione dei servizi, valido nel settore portuale al pari di quanto avviene nel settore ferroviario e aeroportuale, è fonte di controversie soprattutto per quanto riguarda i Tool ports, tanto che in alcuni casi la Commissione Europea è stata costretta ad intervenire per rilevarne la violazione (caso del porto inglese di Holyhead e del porto danese di Rodby. 71 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tab. 6.3 - Porti sede di Autorità Portuale Altri porti nella circoscrizione portuale Savona-Vado Genova La Spezia M. di Carrara Livorno Piombino Portoferraio Civitavecchia Fiumicino, Gaeta Napoli Castellamare di Stabbia Salerno Gioia Tauro Corigliano, Crotone, Palmi Taranto Brindisi Bari Barletta, Monopoli Ancona Ravenna Venezia Trieste Messina Milazzo Catania Augusta Palermo Termini Imerese Cagliari Manfredonia Fonte: elaborazione DIPE su dati Autorità Portuali. Sede autorità portuale x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x Parte di corridoi europei Porto TEN-T Porto TEN-T core comprehensive x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x Le Autorità Portuali regolano l’esercizio delle attività economiche finalizzate alla produzione dei servizi portuali e l’utilizzo delle strutture che compongono il porto e perseguono l’interesse pubblico allo sviluppo dei traffici e dell’occupazione, anche attraverso attività di promozione dello scalo. A tal fine, l’Autorità adotta il “Piano operativo triennale”, principale strumento di pianificazione strategica delle attività portuali, rilascia le autorizzazioni necessarie per l’esercizio delle operazioni portuali35 (art. 16 della legge n. 84/1994) e affida mediante concessione le aree demaniali e le banchine site all’interno dello scalo (art. 18). All’Autorità Portuale sono infine assegnate specifiche competenze in materia di sicurezza rispetto ai rischi connessi alle operazioni e alle altre attività portuali. La citata legge n. 84/1994 mantiene invece in capo allo Stato l’attività di realizzazione delle opere infrastrutturali (art. 5). Ciò si riflette nell’attuale struttura delle entrate e delle risorse di cui dispone l’Autorità Portuale, che introita direttamente solo i proventi derivanti dal rilascio di autorizzazioni e concessioni demaniali e quelli generati da eventuali cessioni di beni o attività commerciali residuali, mentre è lo Stato a fornire i mezzi finanziari necessari per la realizzazione delle opere infrastrutturali, mediante l’erogazione di contributi a fondo perduto. 35 L’art 5.2 del D.M. n. 585/1995, prevede che nel rilasciare le autorizzazioni si debba dare priorità alle imprese che possono garantire un incremento dei traffici, e condizioni più convenienti per gli utenti 72 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Lo Stato, d’altra parte, incassa direttamente la quasi totalità delle tasse e dei diritti marittimi, devolvendo alle Autorità Portuali solo una quota degli stessi (il 50% del gettito derivante dalle tasse portuali di imbarco e sbarco). 6.2 I BACINI DI UTENZA COMMERCIALE Un indice della razionalità della distribuzione delle installazioni portuali nazionali e della loro capacità di servire i territori che ricadono nella propria area di influenza, nonché di intrerconnettersi alle reti trans europee, può essere ricavato attraverso il confronto e la sovrapposizione dei relativi bacini di utenza commerciale, rappresentato dalla superficie su cui insiste l’insieme dei servizi e delle attività economiche che, a seconda dello sviluppo dell’offerta logistica e dei livelli di accessibilità, gravitano sul porto. Attraverso l’analisi di mappe generali e relative a ogni singolo porto è stato possibile stabilire: se i porti nazionali sono in grado di servire l’intero territorio; se sono ben distribuiti rispetto ai territori da servire; la relazione tra il bacino di utenza commerciale e le interconnessioni alle reti europee. Tab. 6.4 - Bacini di utenza commerciale in termini di popolazione, superficie e numero di imprese entro 200 chilometri da ogni porto Porto Popolazione Totale Area entro 200 km via gomma (km²) Numero imprese Genova 13.001.613 28.665 1.267.189 5.603.440 Ravenna 9.640.684 34.698 1.003.544 4.364.431 Savona-Vado 9.608.844 22.313 941.468 4.150.985 Venezia 8.351.864 30.363 836.302 3.746.287 Napoli 7.420.480 26.309 478.260 1.829.397 Salerno 7.241.921 29.710 462.446 1.731.500 La Spezia 7.203.244 25.309 745.889 3.078.187 Marina di Carrara 7.004.012 23.970 732.124 3.031.682 Civitavecchia 5.651.056 22.247 490.276 2.092.696 Livorno 5.340.744 17.857 565.682 2.321.700 Bari 4.307.672 27.883 291.365 1.053.754 Taranto 4.133.361 23.630 279.289 1.009.076 Ancona 3.445.610 15.455 340.023 1.396.497 Brindisi 3.367.354 15.500 227.888 816.925 Piombino 3.254.986 14.551 342.892 1.317.867 Trieste 2.781.208 5.389 270.370 1.232.957 Catania 2.606.208 14.035 168.050 601.755 Augusta 2.391.871 12.800 156.015 566.046 Palermo 2.347.118 14.613 134.825 483.159 Messina 1.930.363 8.621 125.747 464.792 Gioia Tauro 1.023.601 3.974 67.769 253.229 Cagliari 911.439 5.800 67.410 253.738 Olbia 634.135 9.173 49.956 171.607 Fonte: elaborazione DIPE su dati ISTAT e Teleatlas. 73 di Numero di occupati Iniziativa di studio sulla portualità italiana Le caratteristiche dei citati bacini di utenza commerciale dei porti oggetto dello studio, sono state ricavate dal “censimento generale della popolazione ISTAT (2001)” - popolazione (censimento della popolazione – serie P), abitazioni (censimento della popolazione – serie A), edifici (censimento della popolazione – serie E), famiglie (censimento della popolazione – serie PF), stranieri (censimento della popolazione – serie ST) -; dal “Censimento dell'industria e dei servizi ISTAT (2001) - numero imprese ), numero addetti imprese, numero unità locali del lavoro, numero addetti per unità locale. Per quanto riguarda la logistica e l’accessibilità, sono state reperite le informazioni riguardanti la localizzazione sul territorio degli interporti (Fonte UIR), il traffico su gomma (banca dati TeleAtlas, ANAS S.p.A.) e quello su ferro (RFI S.p.A.). Tali dati, distinti per Province e Regioni, sono stati infine aggregati in un’unica base dati, costituendo un patrimonio di conoscenza organizzata utile per tutte le Amministrazioni di settore. L’osservazione dei grafici mette in evidenza un elevato grado di sovrapposizione delle superfici dei bacini di utenza commerciale dei porti sede di Autorità Portuale limitrofi, soprattutto nel Nord Italia, che avvalora la sostenibilità della proposta di aggregazione degli scali in cluster portuali, i cui componenti servono effettivamente aree comuni. Il complesso delle superfici dei bacini di utenza commerciale dei porti oggetto di studio copre la quasi totalità del territorio italiano (Fig. 6.1), ad esclusione di alcune aree appenniniche del retroterra Genovese, Spezzino e Emiliano – Marchigiano, dell’entroterra meridionale del Lazio, del litorale Ionico e della Sardegna, cosa che fa sorgere dubbi sull’opportunità di investire risorse statali in nuovi scali portuali o nel potenziamento infrastrutturale di porti diversi di quelli attualmente sede di Autorità Portuale, piuttosto che nel potenziamento delle infrastrutture stradali e ferroviarie a servizio degli scali esistenti in modo da consentire di raggiungere dai medesimi territori più vasti. I bacini di utenza dei cluster portuali sia del nord Italia che del Meridione sono ottimamente integrati con i corridoi TEN-T (Fig. 6.2), testimoniando della correttezza delle scelte adottate dal Governo nella selezione dei porti della rete core. 74 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 6.1 - Bacini di utenza commerciale dei porti (in rosso le zone entro 200 km su strade principali) Fonte: elaborazione DIPE Fig. 6.2 - Relazione tra bacini di utenza commerciale dei porti e corridoi europei Fonte: elaborazione DIPE 75 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 7 LA GESTIONE DELLE OPERAZIONI PORTUALI Alle criticità relative ai tempi di attesa e i costi per il carico e scarico delle merci, più elevati rispetto a tutti i competitors, i Governi hanno cercato di ovviare adottando normative che potessero mettere in atto alcune delle azioni individuate dal Piano della Logistica 2010. Tra questi il DPCM 4 novembre 2010, n. 242 (pubblicato in G.U. n. 10 del 4 gennaio 2011) con il quale è stata data attuazione all'articolo 4, comma 57 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, prevedendo l’attivazione dello sportello unico doganale, al quale gli operatori presentano, mediante modalità prevalentemente telematiche, le richieste relative alla documentazione delle operazioni di import/export per le quali sono competenti una o più amministrazioni (es. certificazioni, autorizzazioni, licenze import ed export, nulla-osta, ecc.)36. Lo Sportello Unico Doganale è stato attivato a luglio 2011. La realizzazione concreta dello sportello unico doganale consente in particolare di ridurre i costi delle operazioni doganali nonché il numero delle stesse laddove i porti, retroporti e interporti appartenenti a un distretto logistico integrato non rientrano nella medesima circoscrizione doganale. Lo sportello doganale unico dovrebbe rendere ancora più competitivi i porti e interporti di navettamento ferroviario i quali appartengono alla medesima circoscrizione. Un esempio a tale riguardo è quello dei porti liguri che stanno sfruttando con successo l'interporto di Rivalta-Scrivia (in provincia di Alessandria) dove è appunto possibile effettuare operazioni doganali, sia di import che di export, comprese le verifiche alle merci. Sul fronte dell'autotrasporto, il Governo è intervenuto per cercare di ridurre i tempi di attesa nei porti modificando con Decreto Dirigenziale del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture (Decreto n.69 del 24 marzo 2011), la normativa in materia di carico e scarico, chiarendo le modalità applicative con particolare riguardo alla definizione della decorrenza dei tempi di franchigia in relazione alle diverse tipologie dei luoghi di carico e scarico, nonché alle modalità di cadenzamento dell'accesso dei veicoli in tali luoghi. E' stato così ribadito quanto previsto dalla Legge 286/2005, ossia che la franchigia massima, per non pagare il tempo di sosta dei veicoli, è di due ore per il carico ed altrettanto per lo scarico, con la precisazione che tale periodo parte dal momento in cui il veicolo si presenta al luogo di carico/scarico, oppure dall'orario segnato nelle indicazioni scritte fornite dal committente prima della partenza. Una maggiore efficienza delle operazioni portuali può derivare anche dalla creazione di una rete infotelematica che consenta di ottimizzare la gestione dei flussi di traffico, oggi penalizzati dalla paradossale concomitanza di congestioni e viaggi di ritorno a vuoto di molti container. Un esempio è la Piattaforma UirNet che, progettata anche per essere interfacciata a livello applicativo con gli apparati di sicurezza, controllo della legalità e protezione civile (Polizia, VVFF, Carabinieri, Guardia di Finanza, Protezione Civile, Dogane ecc.), fornisce in tempo reale agli operatori della logistica (ad esempio gli spedizionieri) servizi di infomobilità, tracking, prevenzione di situazioni critiche, servizi di interoperabilità37. Il sistema può assegnare all'autotrasportatore diretto a un nodo di destinazione (es. 36 L’art. 26 stabilisce in particolare che: “Qualora, relativamente alle stesse merci, debbano essere effettuati controlli diversi dai controlli doganali da autorità competenti che non siano le autorità doganali, le autorità doganali si impegnano, in stretta collaborazione con le altre autorità, di far effettuare tali controlli, ogniqualvolta sia possibile, contemporaneamente e nello stesso luogo in cui si effettuano i controlli doganali (sportello unico); a tal fine, le autorità doganali svolgono il ruolo di coordinamento”. 37 UIRNet S.p.A., società degli Interporti costituita nel 2005, è il soggetto attuatore unico per la realizzazione del sistema di gestione della logistica nazionale, così come dettato dal DM del 20 giugno 2005 n. 18T del Ministero dei 76 Iniziativa di studio sulla portualità italiana porto o interporto) uno slot temporale in cui sarà possibile eseguire l’operazione di carico/scarico e, in caso di congestione, potrà indicare percorsi alternativi o anche aree di buffer dove l'autotrasportatore può depositare il carico, che sarà poi prelevato e portato a destinazione anche da altri soggetti, mentre all'autotrasportatore sarà offerto un servizio alternativo da effettuare. Al fine di ottimizzare il rapporto fra autotrasporto e porto, UirNet e l'Autorità Portuale di Genova hanno siglato un accordo per la sperimentazione dell'interfaccia della piattaforma con il sistema E-port di Genova (il sistema di gestione e controllo informatico delle operazioni portuali). L’accordo prevede il tracciamento dei mezzi in avvicinamento ai varchi portuali, attraverso i centri di controllo delle flotte aziendali, e la comunicazione in tempo reale delle eventuali criticità sulle arterie di connessione con il porto, nonché la preventiva segnalazione di carenze documentali che potrebbero rallentare le operazioni dei mezzi in porto. 8 L’EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO La legge n. 84 del 1994 di riordino della legislazione in materia portuale ha istituito le Autorità Portuali e disciplinato l’attività dei soggetti che operano in ambito portuale, ossia: terminalisti, imprese che prestano i servizi di carico/scarico, deposito e movimentazione delle merci; operatori specializzati nei servizi tecnico/nautici resi alla nave (pilotaggio, rimorchio e ormeggio), dotati dei mezzi idonei ad assicurare che l'entrata e l'uscita di navi dai porti avvengano in condizioni di sicurezza; agenti marittimi, spedizionieri doganali, periti assicuratori, chimici e veterinari di porto; imprese che forniscono la manodopera portuale. Negli anni più recenti si è aperta una fase di riscrittura e correzione della legge 84/1994, volta a superarne le criticità e a garantirne l’attuazione per le parti non applicate. Nel corso della XVI legislatura un disegno di legge di riforma organica della materia portuale (T.U. S.143, S.754, S.2403), dopo l'approvazione intervenuta al Senato il 12 settembre 2012 (atto S. n. 263) è giunto all'esame della IX Commissione trasporti della Camera (A.C. 5453) non riuscendo tuttavia a completare l’iter parlamentare. Nella legislatura attuale è stato presentato un disegno di legge che ripropone integralmente i contenuti di quello già approvato in Senato (atto S. 370) ed è attualmente all'esame dell'8^ Commissione permanente (Lavori pubblici e comunicazioni) del Senato. 8.1 LA CLASSIFICAZIONE L'art. 2 del ddl, prende atto della necessità di razionalizzazione del settore e alla luce del passaggio della materia portuale dalla competenza legislativa esclusiva dello Stato alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni e riscrive l'art.4 della legge n.84 (Classificazione dei porti) provvedendo a determinare i principi fondamentali in materia di porti ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione. Il ddl suddivide i porti in tre categorie (attualmente sono 4): porti di I categoria (o specifiche aree portuali), finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato; porti di II categoria, di rilevanza economica nazionale e internazionale (la cui gestione è di competenza statale), e porti di III categoria, di trasporti e successiva Legge 24 marzo 2012, n. 27, Art. 61-bis. 77 Iniziativa di studio sulla portualità italiana rilevanza economica regionale e interregionale. La classificazione di porti di II categoria, a cui sono preposte le Autorità Portuali, dipende da parametri e obiettivi particolarmente rigidi (vedi articolo 7), ad esempio in termini di movimentazione di merci, di dimensioni e tipologia di traffico, di collegamenti con le grandi reti di trasporto. L’istituzione di nuove AP potrà avvenire sulla base della sussistenza di almeno uno dei seguenti requisiti: almeno 3 milioni di tonnellate di merci solide o 20 milioni di tonnellate di rinfuse liquide o 300.000 TEU, quale volume di traffico medio annuo nell'ultimo quinquennio, oppure un milione di passeggeri, con esclusione del traffico marittimo locale. In assenza di tali requisiti l'istituzione di una AP può essere prevista laddove il porto in questione sia collegato alle reti e ai corridoi transeuropei di trasporto, nonché a connessioni logistiche destinate all'intermodalità (art.7) Per i porti di terza categoria, invece, è previsto che le Regioni esercitino la funzione legislativa e quella regolamentare nel rispetto di principi fondamentali quali: (i) l’esclusiva in favore dei soggetti privati per l’esercizio delle attività d’impresa e commerciali; (ii) il rispetto della concorrenza e della titolarità statale in materia di regime dominicale del demanio marittimo (con riferimento agli articoli 31, 32, 33, 34 e 35 del codice della navigazione), e di determinazione dei canoni, compatibilmente con quanto previsto dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n.85. 8.2 LE COMPETENZE L'art. 1 del ddl è volto a precisare la ripartizione dei compiti tra autorità portuale, autorità marittima e l’eventuale ente portuale istituito dalle singole Regioni con propria legge nel rispetto del quadro costituzionale vigente che prevede in materia di porti civili la competenza legislativa concorrente StatoRegioni. In particolare le competenze in materia di sicurezza in mare, vengono riservate all'autorità marittima, restando invece le funzioni di indirizzo, programmazione, coordinamento, regolazione, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle attività commerciali e industriali in capo alle Autorità Portuali alle quali compete inoltre in via esclusiva l'amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo ricompresi nella propria circoscrizione. 8.3 LA GOVERNANCE Il ddl introduce alcune modifiche sulla distribuzione dei poteri tra Presidente dell'AP e Comitato portuale, con un lieve rafforzamento del ruolo e delle prerogative presidenziali, in particolare con riguardo alle autorizzazioni all'esercizio delle attività portuali, al rilascio di concessioni di durata inferiore ai 4 anni, e all'adozione di atti urgenti. Ulteriori modifiche riguardano il procedimento di nomina del Presidente dell'AP 38 che vede rafforzato il ruolo delle regioni e viene reso lievemente più snello. 38 La procedura di nomina stabilita dalla legge n. 84/1994 ha dato corso a problematiche in sede di applicazione, dando adito ad un nutrito contenzioso amministrativo proprio con riferimento al difficile coordinamento tra i diversi poteri coinvolti. Il ddl prevede che il nominativo del candidato sia proposto dal Presidente della giunta regionale al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previa attivazione delle opportune forme di concertazione con Comuni, Province e Camere di Commercio interessati. In caso di diniego motivato, il Ministero indica anche un diverso nominativo che è sottoposto alla valutazione del Presidente della giunta regionale. In caso di doppia mancata intesa, il potere di nomina è devoluto al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale dovrà comunque procedere, acquisito il parere della Conferenza permanente tra Stato e Regioni. Tale intesa ricade nel novero di 78 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Restano sostanzialmente inalterate le attribuzioni del Comitato portuale relative all’approvazione del bilancio preventivo, delle note di variazione e del conto consuntivo, del piano operativo triennale, delle autorizzazioni e concessioni di durata superiore a 4 anni, della costituzione o partecipazione alle società di cui all'art.6, comma 6, nonché con riferimento all'adozione dei piani regolatori portuali. Il Comitato portuale è un organo collegiale rappresentativo dei diversi soggetti presenti e degli interessi coinvolti nella portualità locale, tra cui i rappresentanti delle principali categorie di operatori portuali (armatori, industriali, operatori portuali autorizzati ex art.16 e concessionari ex art.18, spedizionieri, agenti e raccomandatari marittimi, autotrasportatori), dei lavoratori in ambito portuale e delle imprese ferroviarie operanti nello scalo. La rappresentanza di tali soggetti nel Comitato, unita alla attribuzione allo stesso Comitato di funzioni direttamente legate alla apertura al mercato delle attività svolte in ambito portuale, costituisce un'evidente elemento di criticità nello sviluppo dei porti italiani. 8.4 I SERVIZI TECNICO NAUTICI In risposta a esigenze di pubblico interesse e sulla base delle modalità stabilite dall’autorità marittima, i servizi tecnico-nautici garantiscono la sicurezza della navigazione e dell'approdo senza soluzione di continuità tutti i giorni dell'anno con caratteristiche di universalità e comprendono il servizio di rimorchio (traino dell'imbarcazione al fine di assicurarne la stabilità durante la navigazione all'interno del porto); il servizio di pilotaggio (assistenza a bordo o da terra alla guida della nave all'interno del porto onde evitare collisioni); il servizio di ormeggio (fissaggio in sicurezza dell'imbarcazione al molo); il servizio di battellaggio (traghettamento di persone tra la nave ancorata e il molo)39. Dal momento che le richiamate esigenze di sicurezza verrebbero messe a repentaglio dalla presenza di una pluralità di operatori, i servizi tecnico-nautici sono forniti in regime di monopolio e le relative tariffe sono stabilite dall'Autorità marittima di intesa con l'Autorità Portuale40. Il ddl non contiene novità rilevanti per quanto attiene alla disciplina dei servizi tecnico-nautici, limitandosi a prevedere che all'adozione delle tariffe si perviene attraverso un'istruttoria condotta in sede ministeriale alla quale partecipano l'Autorità Portuale e l'Autorità marittima, nonché in veste consultiva le rappresentanze degli erogatori dei servizi e degli utenti. L'istruttoria termina con la proposta di variazione tariffaria avanzata dall'Autorità marittima, sentita l'AP, e sottoposta all'approvazione del Ministero (art.14). quelle di cui all'art. 8, comma 6 della L 131/2003 (recante “Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18.10.2001 n.3”) e che, pertanto, in caso di mancata intesa con la Conferenza unificata, il procedimento si riavvia con termini ridotti di 30 giorni. 39 I servizi tecnico-nautici risultano tuttora regolati dal codice della navigazione agli artt. 62 ss., 86 ss. e 101 ss. e dal suo regolamento attuativo agli artt. 98 ss., 138 ss., 208 ss. 40 Sul tema è intervenuta la proposta di Direttiva sull'accesso al mercato dei servizi portuali COM (2001) 35 def., prevedendo la possibilità di limitare il numero degli operatori autorizzati allo svolgimento dei servizi tecnico-nautici solo in presenza di ragioni di sicurezza e, anche in tale caso, rendendo comunque doveroso per l'autorità competente aprire il mercato all'accesso del più ampio numero di operatori possibile.Peraltro, i predetti assetti monopolistici nel nostro Paese non sono frutto di previsioni normative, bensì di valutazioni di opportunità dell'Autorità Marittima d'intesa con l'Autorità Portuale. 79 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Proprio sul tema delle tariffe, è stata invocata da alcune AP la necessità di dare corso alla liberazione dei mercati protetti dei servizi tecnico-nautici, mettendo in luce la perdita di competitività dei porti italiani rispetto agli scali competitori determinata dall'incidenza eccessiva delle tariffe applicate per tali servizi41 8.5 IL DRAGAGGIO L’immersione in mare di materiale di escavo dei fondali è normata dall’articolo 109 della legge 152/2006 (Codice ambientale). L’evoluzione del trasporto marittimo a livello mondiale sta determinando l’utilizzo di navi sempre più grandi che richiedono fondali portuali profondi. L’escavazione dei fondali e l’eventuale scarico in mare dei materiali di risulta costituisce un’attività di notevole rischio per la diffusa presenza dei contaminanti contenuti nei sedimenti, soprattutto a causa delle attività di tipo industriale e commerciale che vengono svolte intorno alle aree portuali. Fino a tempi abbastanza recenti lo smaltimento dei materiali dragati avveniva attraverso l’immersione in mare. Tuttora, sebbene sia diffusa la considerazione che il materiale di risulta rappresenti una “risorsa” da recuperare piuttosto che un materiale di rifiuto, non esistono disposizioni a livello internazionale (ad esempio una Direttiva europea) che regolino il dragaggio. Attraverso numerose convenzioni internazionali si sono tuttavia affermati alcuni principi essenziali42: il principio precauzionale: possono essere scaricate in mare solo determinate sostanze, sulla base di un procedimento che preveda la caratterizzazione dei sedimenti, la valutazione di impatto e il successivo monitoraggio; il principio “chi inquina paga”: si attribuisce al soggetto che introduce sostanze inquinanti nell’ambiente, la responsabilità di sostenere i costi per le misure di riduzione dell’inquinamento prodotto; il principio di “gestione integrata delle zone costiere”: ogni intervento relativo a una determinata fascia costiera deve essere contestualizzato nell’ambito di una gestione “integrata”, che contempli tutti gli aspetti socio-economici, oltre che prettamente ambientali. Di particolare rilevanza è il primo principio, che per essere tutelato necessita di criteri di campionamento per aree unitarie – che tengano conto della eterogeneità batimetrica dei fondali, della variabilità qualitativa dei sedimenti nonché dell’articolazione strutturale interna dei porti italiani - e di metodologie di analisi dei sedimenti che attribuiscano rilevanza alle analisi ecotossicologiche, riconosciute a livello 41 Cfr., in particolare, lettera dell' AP di Venezia del 4.10.2011 in cui si legge: “gli effetti negativi delle tariffe dei servizi tecnico nautici oggi in vigore, sono altrettanto documentabili, come risulta evidente per esempio per i porti italiani del Nord Adriatico quotidianamente sottoposti alla concorrenza dei porti sloveni e croati: per ogni nave portacontainer di 42.000 grt, il costo complessivo ad approdo, dei servizi portuali (dati 2010) è a Venezia pari a 30.000 euro, a Trieste 16.500 euro, a Capodistria 12.500 euro, a Fiume 9.000 euro, cifre che alla fine dell'anno possono comportare una differenza di costi fra un porto italiano e uno croato che arriva fino a 1 milione di euro per un servizio di linea intercontinentale con il Far East”. 42 La Convenzione di Londra (Protocollo 96) del 1972, la Convenzione di Barcellona (protocollo Dumping del 1995) per quanto riguarda l’area Mediterranea e la Convenzione OSPAR entrata in vigore nel febbraio 1999 per l’area del Nord-Est Atlantico 80 Iniziativa di studio sulla portualità italiana internazionale43. I valori chimico-fisici ed ecotossicologici risultanti dal campionamento e dall’analisi del sedimento vengono confrontati con valori di riferimento al fine di classificare il materiale di risulta cui associare modalità di trattamento, gestione e smaltimento compatibili ambientalmente e sostenibili economicamente44. Spetta alle Regioni assicurare il perseguimento dell’obiettivo di una gestione ecosostenibile dei materiali dragati in ambito litoraneo e marino, sulla base di un programma generale, la cui utilità, pur non essendo previsto esplicitamente da alcuna norma, è argomento ricorrente nel dibattito di settore. Numerose sono le norme che negli ultimi anni hanno sfiorato la materia45, l’ultima delle quali introdotta dal comma 1 dell’art. 22, DL 21 giugno 2013, n. 69 e prima dal comma 1 dell’art. 48, DL 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27, che a sua volta richiama il decreto attuativo dell'art. 109, comma 2 del D.lgs. 152/06 riguardante l’immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo, in cui si riportano i criteri per la caratterizzazione, per la valutazione della qualità e per la gestione dei sedimenti dragati, molto atteso dagli operatori e di cui il Ministero dell’ambiente, dopo molti anni, non ha ancora concluso il processo di formalizzazione. I citati articoli 48 e 22 mirano a snellire e accelerare l’iter procedurale delle operazioni di dragaggio anche per i porti che non si trovano all’interno dei Siti di Interesse Nazionale (SIN)46. Non sembra comunque che le precisazioni limitino poteri e funzioni del Ministero dell’Ambiente, indicati dalle Autorità Portuali come una delle cause di criticità e lentezza nell’espletamento delle attività di dragaggio. Sono state invece più dettagliate le modalità di gestione materiali derivanti dalle attività di dragaggio e di bonifica nei SIN, prevedendo diverse modalità a seconda delle caratteristiche fisiche, chimiche e 43 Cfr. Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini, APAT-ICRAM, 2007. 44 Uno strumento di riferimento per agevolare la gestione dell’ambito portuale è la “Scheda di bacino portuale”, contenente informazioni tecniche, cartografiche e gestionali. 45 Il decreto 14 aprile 2009, n. 56 - Regolamento recante "Criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici e l'identificazione delle condizioni di riferimento per la modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, recante Norme in materia ambientale, predisposto ai sensi dell'articolo 75, comma 3, del decreto legislativo medesimo", che permette di classificare i corpi idrici mediante la matrice sedimento e fornisce le modalità di caratterizzazione e i criteri di valutazione della qualità dei sedimenti stessi. Il decreto ministeriale del 24 gennaio 1996 “Direttive inerenti le attività istruttorie per il rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 11 della legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modifiche e integrazioni, relative allo scarico nelle acque del mare o in ambienti ad esso contigui, di materiali provenienti da escavo di fondali di ambienti marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, nonché da ogni altra movimentazione di sedimenti in ambiente marino”, che riporta i criteri di caratterizzazione dei sedimenti da dragare al fine dello sversamento in mare, ma non fornisce i criteri di valutazione per definire l’idoneità allo sversamento stesso. Il decreto del Ministero dell’ambiente del 7 novembre 2008 “Disciplina delle operazioni di dragaggio nei siti di bonifica di interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 1,comma 996, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha introdotto modifiche alla legge 84/94 e riporta i criteri di caratterizzazione dei sedimenti da dragare nei porti interni ai siti di bonifica di interesse nazionale e i criteri di conferimento dei materiali nelle casse di colmata. 46 I siti d’interesse nazionale (SIN) sono aree del territorio nazionale definite in base alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti, all’impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico e di pregiudizio per i beni culturali e ambientali. I SIN sono individuati e perimetrati con Decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con le Regioni interessate. La loro procedura di bonifica è attribuita al Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, che può avvalersi anche dell’ISPRA, delle ARPA e dell'ISS e altri soggetti. 81 Iniziativa di studio sulla portualità italiana microbiologiche dei medesimi, ma lasciando ampi margini interpretativi la cui soluzione viene affidata a un decreto interministeriale da emanarsi entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore della citata legge 24 marzo 2012, n. 27, contenente le modalità e le norme tecniche per i dragaggi dei materiali di aree portuali e marino-costiere, anche al fine dell'eventuale loro reimpiego. Dato che fino alla data di entrata in vigore del decreto, si applica la normativa previgente, la sua pubblicazione, insieme al citato decreto attuativo dell’articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, risulta urgente e cruciale. In proposito potrebbe essere utile, anche al fine di non rendere evidente una discriminazione di alcuni tipi di trattamento, non specificare quali siano ammessi e quali no. Ciò anche perché si fa riferimento ai soli livelli di contaminazione (senza tenere conto della biodisponibilità) e questi non sono modificati da trattamenti di immobilizzazione. Sfortunatamente poi la norma non risolve completamente la questione di fondo se il sedimento marino, una volta che si decida di sottoporlo a operazioni di movimentazione, debba essere considerato rifiuto a priori o solo l’aliquota di materiali non altrimenti riutilizzabili in base ai risultati della caratterizzazione, e di cui il detentore abbia definitivamente deciso di disfarsi debba essere considerata rifiuto da gestire sulla base della relativa normativa, principio che ha trovato il favore delle regioni nel corso del tavolo tecnico ministeriale per l’elaborazione del decreto attuativo ai sensi dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152. E’ evidente la necessità di definire finalmente un normativa nazionale, ad oggi disorganicamente rintracciabile e differentemente rivolta ai porti ricadenti e non ricadenti nei siti di interesse nazionale, che comprenda in maniera organica tutti i regolamenti emanati e in particolare in cui siano definite in maniera completa i criteri e le modalità relative a: la caratterizzazione dei sedimenti; la valutazione della loro qualità; criteri di gestione con tutti i relativi passaggi autorizzativi e gestionali. e che contenga la previsione di una modalità di adeguamento evolutivo secondo i principi giuridici guida del quadro normativo interno e comunitario di riferimento, indirizzando la gestione dei materiali verso reimpieghi, recuperi o riutilizzi, in ossequio a quel circuito virtuoso al quale il Legislatore ha dato il via, a partire dalla della Legge finanziaria del 2007 che ha modificato profondamente Ia disciplina. Sulla base dei PRP vigenti o in corso di approvazione dei porti sede di Autorità Portuale, il quantitativo di materiali da dragare nei prossimi anni è dell’ordine di grandezza di 65 milioni di metri cubi, e la gran parte dei porti interessati si trova in siti SIN. E’ quindi necessario che iI Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale (D.M. 18 settembre 2001, n. 468 e D.M. 28 novembre 2006, n. 308) si rapporti agli strumenti di pianificazione urbanistica e di programmazione infrastrutturale (PIS e Piani triennali delle AP), al fine di individuare i volumi e le modalità di dragaggio più appropriate, tenendo conto delle esigenze di approdo della grandi navi, del grado di utilizzo degli spazi a terra, dell’impatto ambientale dei sedimenti e dei costi a carico dell’erario delle operazioni di escavo, trattamento e trasporto. Infatti, il contemperamento di tali diverse esigenze non può che avvenire nell’ambito di una programmazione nazionale che assicuri al contempo standard ambientali e di tutela della salute uniformi sul territorio nazionale e la concorrenza tra Regioni e scali nell’offerta di condizioni di accesso e 82 Iniziativa di studio sulla portualità italiana movimentazione delle merci. Parallelamente, a livello normativo, le norme in materia ambientale vanno coordinate con la normativa urbanistica, il Codice dei contratti pubblici e la Legge obiettivo, anche al fine di evitare incertezze e ritardi nelle procedure di approvazione degli interventi47. Non sembra che il ddl segni significativi passi avanti in questa direzione o porti al superamento immediato di altre criticità esistenti, quali quelle emerse nel corso degli incontri in relazione alle procedure richieste per utilizzo dei sedimenti di dragaggio o di bonifica per riempire vasche di colmata aventi quale destinazione finale la realizzazione di nuove superficie portuali o nuove banchine. La programmazione di tali strutture estesa al sistema portuale potrebbe costituire il presupposto per la creazione di volumetrie che superano le necessità di sversamento del porto di origine dando luogo alla disponibilità di spazi per l'accoglimento di materiali provenienti anche da siti diversi, fornendo un contributo alla soluzione del problema della gestione dei materiali di dragaggio contaminati e, ottimizzando il riutilizzo dei materiali per la realizzazione di altre superfici portuali. Inoltre il rendere disponibili spazi non utilizzati, prevedendo una forma di contribuzione a favore del titolare delle strutture di contenimento da parte dell'Amministrazione che chiede di refluire i propri materiali, può assumere i connotati di forma di finanziamento aggiuntivo ai fini dell’infrastrutturazione anche primaria. L'eventuale trasferimento dei materiali dal sito di dragaggio a quello di conferimento non può comunque avvenire al di fuori di una programmazione nazionale che affronti in materia unitaria la gestione della considerevole quantità di sedimenti più o meno contaminati che sarà necessario dragare nel prossimo futuro nei porti italiani. 8.6 I SISTEMI LOGISTICO PORTUALI Il ddl prevede la possibilità per le AP, d'intesa con le regioni, province e comuni interessati, di costituire sistemi logistico portuali per il coordinamento delle attività di più porti e retroporti appartenenti ad un medesimo bacino geografico o al servizio di uno stesso corridoio transeuropeo (art.10). Tali sistemi intervengono sugli aspetti di carattere generale, in particolare: d'intesa con i gestori delle infrastrutture ferroviarie, sull'utilizzo delle reti ferroviarie di alimentazione e integrazione del sistema logistico portuale; sulla promozione del traffico ferroviario «navetta» di collegamento tra porti e retroporti, che si può estendere anche alla manovra interna ai porti del sistema; sul coordinamento dei nuovi piani regolatori portuali e comunali; sulla promozione delle infrastrutture di collegamento, avendo riguardo sia ai grandi corridoi individuati in sede comunitaria sia alle connessioni con i terminali portuali e retroportuali. Questa nuova disposizione prevede, infine, che nei terminali retro-portuali cui fa riferimento il sistema logistico portuale, il servizio doganale sia svolto dalla medesima articolazione territoriale dell'amministrazione competente che esercita il servizio nei porti di riferimento. 47 Cfr, il caso di Taranto, in cui il procedimento approvativo del progetto della “Piastra logistica”, opera di legge obbiettivo che prevedeva la realizzazione di un dragaggio e del contestuale refluimento in cassa di colmata, si sovrappone alla procedura approvativa di cui all'articolo 1,comma 996, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 83 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Si tratta di una novità di rilievo che recepisce le esigenze di coordinamento più volte rappresentate nel corso delle audizioni48; mancano tuttavia previsioni specifiche volte a rendere operativa l'opzione prevista dalla norma, che rischia pertanto di rimanere una mera enunciazione di intenti, la cui concretizzazione rimane subordinata alla volontà e all'intesa delle diverse istituzioni coinvolte, che, come l'esperienza ha dimostrato, sono particolarmente restie a cedere le proprie prerogative. 8.7 LE CONCESSIONI Il ddl rivisita il regime delle concessioni, al fine precipuo di favorire sia gli investimenti dei privati in ambito portuale sia l’esercizio delle funzioni di regolazione e controllo da parte delle AP. L'attuale disciplina, contenuta all'articolo 18 della legge n. 84/94, prevede che le aree demaniali e le banchine comprese nell'ambito portuale siano affidate in concessione, previa determinazione dei canoni anche commisurati all’entità dei traffici portuali ivi svolti, alle imprese autorizzate allo svolgimento delle operazioni portuali sulla base di idonee forme di pubblicità, stabilite dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto. Il decreto ministeriale cui si fa riferimento non è mai stato emanato, con la conseguenza che si è riscontrata una elevata disomogeneità nelle procedure seguite e nei criteri utilizzati per l'affidamento delle concessioni da parte delle diverse AP, pur se nel rispetto delle norme contenute all'art.36 e ss. del Codice della navigazione. L’analisi delle concessioni affidate rivela la pressoché completa saturazione delle aree disponibili e l'elevata durata degli affidamenti. Le prassi seguite dalle AP sono generalmente orientate alla determinazione dei canoni concessori in misura fissa, generalmente legata al valore patrimoniale delle aree degli investimenti in opere non rimovibili posti a carico del concessionario, mentre sono in alcuni casi è presente anche una componente variabile in funzione dei volumi di attività del concessionario. Allo stato, i soli indicatori sui criteri per l'affidamento delle concessioni sono rinvenibili nella Circolare del Ministero dei trasporti e della navigazione n. 41 del 6 maggio 1996: assegnazione per il tramite delle gare della concessione demaniale; adozione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per la selezione del concessionario; fissazione di un canone annuo pari almeno a un ventesimo del valore dell’area, delle strutture e degli impianti non rilevati, dedotta l’entità degli investimenti strutturali; 48 Tale previsione è stata fortemente sostenuta dall'Unione Interporti Riuniti, che ha, infatti sottolineato in una nota di commento sulla riforma della legislazione portuale quanto segue: “porti, interporti, piattaforme logistiche inland sono infrastrutture che non sono state concepite, storicamente nel nostro Paese, in un quadro unitario d'assieme. Continuare in una logica di disegno settoriale in assenza di una visione integrata rischia solo di determinare un ulteriore ritardo e un definitivo spiazzamento competitivo della rete logistica nazionale, in un sistema mondiale che ragiona in logica di sistemi integrati e non di spezzoni di infrastrutture puntuali, prive di connessioni qualitativamente adeguate con il retroterra”. Tale obiettivo è anche sostenuto dall'Associazione Porti Italiani (Assoporti) che nel Documento del Consiglio Direttivo (del febbraio 2010) ha auspicato l'attivazione di una cabina di regia per l'avvio di progetti logistico integrati, assumendo come riferimento le esperienze già avviate in alcuni territori, quali in particolare quella della SLALA (Sistema Logistico del Nord-Ovest d'Italia) e del NAPA (North Adriatic Ports Association che vede coinvolti i porti di Trieste, Venezia, Capodistria e recentemente anche di Fiume). Cfr. in materia quanto sostenuto in precedenza in tema di strumenti di pianificazione regionali. 84 Iniziativa di studio sulla portualità italiana incremento del canone effettivo, dopo il quarto anno, pari al 5% annuo o alla maggiore misura relativa all’aumento della media degli indici ISTAT per i prezzi al consumo delle famiglie di operai e impiegati e per i corrispondenti valori per il mercato all’ingrosso. Il ddl (art. 17) prevede che gli affidamenti in esclusiva delle concessioni siano adottati all'esito di selezione effettuata tramite procedura di evidenza pubblica49 nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza, imparzialità, proporzionalità, efficienza, parità di trattamento, previe idonee forme di pubblicità. Il richiamo ai principi del diritto UE dovrebbe assicurare il raggiungimento di un maggior livello di efficienza nell'assegnazione delle concessioni e ridurre il potere di mercato che molti terminalisti possono avere rispetto alle AP. Il ddl precisa che l'affidamento in concessione esclusiva delle aree demaniali e banchine deve comunque risultare compatibile con la necessità di riservare spazi operativi per lo svolgimento delle operazioni portuali da parte di imprese non concessionarie. Le AP sono tenute ad emanare, entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge, un regolamento che individui i criteri e le condizioni per il rilascio delle concessioni, nonché per la determinazione dei canoni. Il ddl non prevede un legame tra canoni concessori, aumenti di efficienza degli operatori e volumi di traffico, limitandosi a disporre che l’atto di concessione debba indicare le modalità di calcolo, di rivalutazione e di versamento del relativo canone, il cui importo deve essere commisurato alla prevedibile redditività, per il concessionario, dell'area o della banchina interessata e comunque, mai inferiore a quello derivante dall'applicazione della normativa nazionale in materia di concessioni di beni del demanio marittimo. Nel caso in cui sia posta a carico del concessionario la realizzazione di opere infrastrutturali, l'importo del canone potrà essere ridotto secondo i criteri contenuti nel regolamento adottato dalla AP. Tenuto conto che tra i fini principali delle AP vi è quello di stimolare maggiori traffici, e che la redditività dei concessionari non è sempre legata all'incremento di efficienza, desterebbe sicuro interesse la possibilità di strutturare i canoni sulla base di formule intese a premiare l'efficienza degli operatori in termini di incremento dei volumi di traffico 50. Una sostanziale innovazione viene introdotta in tema di determinazione della durata delle concessioni, che dovrà risultare commisurata al programma di investimenti che il concessionario intende realizzare con risorse a proprio carico. Inoltre, sulla scorta delle esperienze accumulate in altri settori trasportistici, il ddl detta disposizioni relative alla nascita, vita e fine del rapporto concessorio, come l'indicazione di un termine, almeno biennale, per la verifica della sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi che hanno determinato il rilascio del titolo; la rispondenza della qualità del servizio reso all'utenza e degli investimenti realizzati alle previsioni dell'atto di concessione; le sanzioni e le altre specifiche cause di decadenza o revoca della concessione, diverse da quelle generali previste dalle pertinenti norme del codice della navigazione. Il ddl affronta anche le problematiche relative alla scadenza delle concessioni, prevedendo dei meccanismi di salvaguardia degli investimenti effettuati dai concessionari, accogliendo così le istanze 49 Si può derogare a tale procedura solo per la concessione a spazi interclusi entro aree concesse ad un unico soggetto o ad esse attigue (in tal caso la concessione può essere aggiudicata a tale unico soggetto) . 50 Il valore del canone, a partire da un livello iniziale, potrebbe variare in base al volume di attività registrato. Una volta che l’operatore raggiunge un determinato livello massimo di traffico ha la possibilità di trattenere tutti i vantaggi derivanti dalle movimentazioni in eccesso. In proposito si vedano le interessanti considerazioni svolte nello studio condotto da C. Ferrari e M. Basta del Dipartimento di Economia Applicata e Metodi Quantitativi dell'Università di Genova, “Price-cap e concessioni portuali: il caso dei terminal contenitori di Genova”, Società Italiana degli Economisti dei Trasporti - IX Riunione Scientifica – Napoli 2007. 85 Iniziativa di studio sulla portualità italiana delle associazioni imprenditoriali rappresentative dei terminalisti portuali (Assiterminal e Assologistica). L'esperienza, infatti, ha insegnato che i concessionari, con l'approssimarsi della scadenza della concessione, tendono a non affrontare nuovi investimenti, considerato che i tempi di ammortamento sono assai lunghi e che, a causa della lacuna nel quadro normativo attuale, non sussistono garanzie di recupero. Il ddl affronta tali criticità prevedendo la possibilità di proroghe delle concessioni. Segnatamente, quando siano trascorsi i due terzi della durata della concessione, il concessionario che dia corso a investimenti in opere infrastrutturali o impianti di non facile rimozione ulteriori rispetto al programma iniziale oggetto di valutazione nella procedura di evidenza pubblica, può richiedere che la durata dell'affidamento sia prorogato, da parte dell’autorità portuale, previa delibera del comitato portuale, acquisito il parere favorevole del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per un periodo proporzionale al rapporto fra gli ulteriori investimenti e quelli indicati nel programma iniziale, purché non superiore a un terzo della durata inizialmente stabilita per la concessione. Inoltre, a fronte di un programma di investimenti ulteriori il concessionario può richiedere, quando siano decorsi i due terzi della durata della concessione, che la procedura di evidenza pubblica per la riassegnazione dell’area sia anticipata rispetto alla scadenza naturale. Se la richiesta è accolta, la procedura deve essere avviata entro sei mesi dalla richiesta. In tema di concessioni va anche adeguatamente valutato l'impatto della recente direttiva 2014/23/UE che introduce una disciplina organica volta ad assicurare la trasparenza e la correttezza delle procedure di assegnazione delle concessioni pubbliche. In particolare la direttiva affronta alcune tematiche di estrema importanza, quali gli avvisi pubblici, i capitolati tecnici, i criteri di selezione e di aggiudicazione, la durata contrattuale, la fase del negoziato, le scadenze imposte ai concorrenti. Non è ancora del tutto chiaro quale sarà l'impatto della direttiva sulle modalità di assegnazione delle aree portuali, anche poiché dovrebbero restare esclusi dall'ambito di applicazione, le concessioni aventi ad oggetto la mera gestione e sfruttamento economico di beni demaniali, senza previsione di lavori o servizi specifici (cfr. 15° Considerando). 86 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 9 IL FINANZIAMENTO DEI PORTI Nella tabella 9.1 è stato stimato il costo complessivo per ogni anno delle opere inserite dalle 23 autorità portuali italiane nei loro Piani triennali delle opere pubbliche 2014-2016. Complessivamente risultano previsti circa 5,7 miliardi di investimenti nel triennio, di cui 1,8 miliardi nel 2014, 2 nel 2015 e 1,9 miliardi nel 2016. Confrontati con i medesimi piani di due anni prima (programmi triennali 2012-14), emerge una riduzione dell’ambizione complessiva sul triennio (-9% di investimenti previsti nel 2014-2016) con un calo particolarmente consistente sul primo anno (-31%, pari a circa 800 milioni di euro in meno di investimenti previsti). I quattro maggiori porti per quantità di investimenti previsti nel triennio sono Civitavecchia (811 milioni circa), Napoli (514 milioni), Taranto (417 milioni) e Augusta (391 milioni). Alcuni porti hanno aumentato fortemente le proprie previsioni di investimento rispetto a due anni fa (Messina +259%, Olbia-Golfo Aranci +171%, Bari +121%), mentre altri li hanno fortemente ridotti (Trieste -87%, Salerno -73%, Piombino -42,6%). Tra i maggiori porti container, Gioia Tauro e Genova prevedono un 16-17% di investimenti in meno rispetto a due anni fa e La Spezia un +12%. In alcuni casi si tratta di investimenti 2014-16 che paiono decisamente ambiziosi rispetto alla rispettiva quota del traffico merci in percentuale del totale dei 23 porti sedi di Autorità Portuali (Fig. 9.1). Civitavecchia in particolare, pur rappresentando solo il 4% del traffico merci e il 10% di quello di passeggeri, programma il 14% degli investimenti delle 23 autorità. Per Napoli gli elevati investimenti previsti possono essere spiegati considerando anche l’elevato traffico passeggeri, che peraltro non è oggetto di questo studio. Viceversa appaiono relativamente prudenti gli ammontari di investimenti previsti dai due maggiori porti merci italiani, Genova e Trieste (per Genova circa il 5% degli investimenti e l’11% del traffico merci, per Trieste circa lo 0,8% degli investimenti e l’11% del traffico merci). Anche Cagliari, Livorno, Messina o Venezia paiono avere progetti relativamente sottodimensionati rispetto al loro peso rispettivo nella movimentazione di merci. Peraltro Genova programma la maggior parte degli investimenti nel 2014, dandogli più concretezza rispetto alle fonti di finanziamento, mentre Civitavecchia rinvia al 2015-2016 il 90% degli investimenti del triennio. Le coperture finanziarie ipotizzate per questi massicci investimenti sono state indicate in maniera molto diversa a seconda dell’AP e non è possibile ricostruire un quadro omogeneo confrontabile. Vengono indicati principalmente fondi propri dell’AP, fondi del Ministero infrastrutture e trasporti, fondi PON o POR-FESR, fondo perequativo (ex legge 296/2006), trasferimenti regionali, mutui (l. 388/2000 o l. 166/2002), gettito da alienazioni e contributi privati. La maggior parte degli investimenti sono volti alle nuove costruzioni (70%), con una distribuzione piuttosto equilibrata nei tre anni. La quota destinata a ristrutturazioni e manutenzioni è pari al 26%. Residuali sono le quote per recupero, restauro e demolizione (Tabella 9.2 e Fig. 9.2). Per lo svolgimento delle proprie attività le AP si finanziano con tre diverse tasse (ancoraggio, erariale e imbarco e sbarco delle merci) e con i canoni di concessione delle aree demaniali e delle banchine comprese in ambito portuale; le AP possono anche applicare sopratasse per le merci sbarcate e imbarcate, ovvero degli aumenti dell’entità dei canoni di concessione, a copertura dei costi per le opere dalle stesse realizzate. 87 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Sono mantenuti in capo allo Stato gli oneri per la realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione nei porti di rilevanza nazionale e internazionale. Tab. 9.1 - Stima del valore complessivo degli interventi inclusi nei Programmi triennali delle opere pubbliche delle autorità portuali (2014-2016) Autorità Portuali 2014 2015 2016 Var % del 2014Totale 2014-16 16 rispetto al 2012-14 Savona-Vado 28.015.000 68.800.000 60.900.000 157.715.000 -20,9 Genova 219.750.179 88.740.000 0 308.490.179 -16,4 La Spezia 135.464.280 123.611.380 71.088.870 330.164.530 11,7 Marina di Carrara 4.113.823 40.300.000 26.960.000 71.373.823 17,4 Livorno 43.224.532 44.680.000 33.000.000 120.904.532 -18,3 Piombino 5.000.000 45.550.000 54.200.000 104.750.000 -42,6 Civitavecchia 82.771.000 375.541.000 352.950.000 811.262.000 -24,6 Napoli 195.350.000 163.500.000 155.000.000 513.850.000 -0,8 Salerno 93.739.000 28.650.000 0 122.389.000 -73,0 Gioia Tauro 26.100.000 98.200.000 134.740.000 259.040.000 -17,4 Taranto 211.050.000 105.000.000 101.000.000 417.050.000 -19,8 Brindisi 22.030.000 49.282.000 36.000.000 107.312.000 -52,1 Bari 8.092.750 28.700.000 206.134.897 242.927.647 120,7 Ancona 47.905.000 39.100.000 111.630.000 198.635.000 16,3 Ravenna 194.700.000 15.000.000 35.000.000 244.700.000 58,9 Venezia 11.500.000 110.000.000 14.000.000 135.500.000 -38,5 Trieste 17.137.000 14.928.242 14.643.000 46.708.242 -86,7 Messina 47.220.300 42.990.000 77.015.000 167.225.300 259,1 Catania 57.400.000 136.640.000 160.194.250 354.234.250 11,5 Augusta 129.400.000 146.150.000 116.000.000 391.550.000 52,3 Palermo 69.700.000 155.500.000 150.500.000 375.700.000 86,5 Cagliari 39.650.000 51.268.416 30.000.000 120.918.416 36,4 Olbia-Golfo Aranci 31.400.000 12.256.099 0 43.656.099 171,2 Manfredonia 42.050.000 41.200.000 10.000.000 TOTALE 1.762.762.864 2.025.587.137 1.950.956.017 93.250.000 5.739.306.018 -8,8 Fonte: elaborazione DIPE su dati delle autorità portuali e del MIT 88 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 9.1 Peso % degli investimenti previsti nel 2014-16 dalle autorità portuali rispetto alla quota % dell'interscambio di merci e del traffico passeggeri Fonte: elaborazioni DIPE su dati delle Autorità portuali e del MIT Tab. 9.2 - Stima del valore complessivo degli interventi inclusi nei Programmi triennali delle opere pubbliche delle autorità portuali (2014-2016) per tipologia Tipologia 2014 2015 2016 Totale Nuova costruzione 1.162.892.252 1.455.295.796 1.388.201.767 4.006.389.815 Ristrutturazione 266.586.370 304.628.242 226.877.000 798.091.612 Manutenzione 254.696.000 199.876.099 210.234.250 664.806.349 Recupero 71.038.242 59.497.000 100.643.000 231.178.242 Restauro 6.150.000 2.000.000 20.000.000 28.150.000 Demolizione 1.400.000 4.290.000 5.000.000 10.690.000 TOTALE 1.762.762.864 2.025.587.137 1.950.956.017 5.739.306.018 Fonte: elaborazioni DIPE su dati delle Autorità portuali e del MIT 89 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Fig. 9.2 - Peso % degli investimenti previsti nel 2014-16 dalle autorità portuali per tipologia Fonte: elaborazioni DIPE su dati delle Autorità portuali e del MIT 9.1 I MUTUI IN CONTO CAPITALE Per quanto riguarda il finanziamento diretto per la realizzazione e la manutenzione di opere infrastrutturali in ambito portuale, esso consiste quasi esclusivamente di trasferimenti a valere sul bilancio dello Stato sotto forma di mutui o altri trasferimenti, mentre i contributi regionali, così come quelli di fonte privata o derivanti dai bilanci delle stesse AP, rappresentano una quota nettamente inferiore. Una questione annosa con riferimento all’utilizzo dei mutui riguarda i tempi eccessivamente lunghi di utilizzo delle somme mutuate ed erogate e le conseguenti elevate giacenze sui conti correnti di tesoreria delle AP. Un primo intervento legislativo volto a garantire una maggiore efficienza nell’utilizzo di predette somme si ritrova già all’art. 1, comma 1006, della legge 296/2006 con cui il legislatore ha previsto il versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme non utilizzate dai soggetti attuatori e residuali (in questo caso vengono considerate tali anche quelle provenienti dai ribassi d'asta) rispetto alla realizzazione di opere infrastrutturali in hub portuali di interesse nazionale. Successivamente, ulteriori interventi normativi51 hanno espressamente previsto la revoca dei fondi statali trasferiti o assegnati alle Autorità portuali per la realizzazione di opere infrastrutturali, a fronte dei quali non sia stato pubblicato il bando di gara per l'assegnazione dei lavori entro il quinto anno dal trasferimento o dall'assegnazione” dei fondi in questione, ovvero, nel caso in cui la revoca riguardi finanziamenti ottenuti tramite mutui con oneri di ammortamento a carico dello Stato. La quota dei fondi non utilizzati dalle Autorità viene così riversata come entrata del bilancio dello Stato e messa a disposizione delle altre Autorità portuali attraverso un apposito Fondo per le infrastrutture portuali istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. 51 l’art. 4, comma 6, del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito dalla legge 73/2010 e, più in particolare, l’art. 2, commi 2 novies-undecies del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla legge 10/2011. 90 Iniziativa di studio sulla portualità italiana I risultati di un’indagine svolta nel 2009 sull’utilizzo dei mutui da parte delle 22 Autorità Portuali rilevavano come, a fronte di uno stock di circa 2 miliardi di euro di mutui accesi, circa 1,5 miliardi (pari al 75 per cento di dette risorse) risultavano inutilizzati (cioè non spesi) dopo oltre quattro anni e mezzo dalla stipula del contratto di mutuo e che di questi circa 405 milioni di euro (pari cioè al 27 per cento di predetta quota) fosse già stato erogato e, quindi, giacente in forma liquida presso i conti di Tesoreria delle Autorità Portuali (vedi allegato 1.3). Un’analisi comparata dell’efficienza delle singole Autorità Portuali nell’utilizzo delle risorse, mostrava l’esistenza di casi di inefficienza. In conclusione, considerata l’ingente mole di risorse rimaste lungamente inutilizzate, appare utile per il comparto delle AP rivedere la strategia e gli strumenti di finanziamento e di intervento in caso di inefficienze. 9.2 L’AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE AUTORITA’ PORTUALI I primi interventi normativi (Legge Finanziarie 2007 e 2008) che hanno introdotto meccanismi di autonomia finanziaria delle AP fondati sull'extra-gettito Iva e accise sono rimasti sostanzialmente inattuati52. 52 La legge 296/2006 (Legge Finanziaria 2007) ha dettato una serie di norme rilevanti in materia di finanziamento delle AP, compiendo un primo passo verso il riconoscimento dell'autonomia finanziaria delle stesse AP. Segnatamente, l'art. 1 comma 982 ha devoluto alle AP, a decorrere dal 2007, l'intero gettito delle tasse erariali sulle merci imbarcate e sbarcate e della tassa di ancoraggio per il finanziamento delle attività di manutenzione ordinaria e straordinaria, riconoscendo alle AP la facoltà di applicare una addizionale su tasse, canoni e diritti per l'espletamento dei compiti di vigilanza e per la fornitura di servizi di sicurezza previsti nei piani di sicurezza portuali. Con specifico riferimento al finanziamento delle infrastrutture portuali la legge ha istituito, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un fondo perequativo dell'ammontare di 50 milioni di euro per le manutenzioni dei porti, la cui dotazione è ripartita annualmente tra le AP secondo criteri fissati con decreto del Ministro. A decorrere dall'anno 2007 sono conseguentemente state soppresse le contribuzioni statali per le attività di manutenzione portuale. La Legge Finanziaria 2007, inoltre, ha introdotto la possibilità di utilizzo dell’IVA e delle accise per il finanziamento di infrastrutture portuali. L'art. 1 comma 990 ha previsto, infatti, la devoluzione alle AP di una quota dell'Iva e delle accise – determinata con decreto interministeriale – al fine della realizzazione di opere e servizi previsti nei rispettivi piani regolatori e nei piani operativi triennali. Il decreto n. 151/T del 12 ottobre 2007 del Ministro dei Trasporti, di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e il Ministro dell’economia e delle finanze, ha previsto la ripartizione tra le AP che realizzano interventi capaci di generare volumi di traffico, e quindi maggiori entrate fiscali, le risorse di un fondo alimentato annualmente, in fase di prima applicazione, in misura pari al 30% dell'incremento dell'ammontare delle riscossioni dell'Iva e delle accise in relazione alle operazioni di importazione nei porti rientranti nelle circoscrizioni territoriali delle autorità portuali, rispetto all'esercizio finanziario precedente all'attivazione di nuovi servizi e infrastrutture portuali. Le autorità portuali a tal fine individuano le opere e il Ministero dei trasporti e delle infrastrutture ne valuta l'ammissibilità. Le opere candidate devono essere accompagnate da piani finanziari, garantiti con idonee forme fideiussorie dai soggetti gestori, che devono farsi carico di una congrua parte dell'investimento e assumere anche impegni sulle previsioni di incremento dei traffici poste a fondamento dell'intervento (tale aspetto è essenziale considerato che soltanto grazie all'attrazione di flussi di traffico si potrà generare un incremento del gettito Iva e accise). A valere sul fondo, si è previsto che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti trasferisca all'autorità portuale competente una quota delle riscossioni Iva e accise relative alle importazioni, nella misura del 25% del loro incremento rispetto all'esercizio finanziario precedente all'attivazione dei nuovi servizi e infrastrutture, per un periodo non superiore a quindici anni nei limiti del costo complessivo dell'intervento previsto nel piano finanziario approvato. La quota del fondo (pari al 5%) non destinata al finanziamento delle opere specifiche, è ripartita tra le autorità portuali, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, in coerenza con la pianificazione dello sviluppo della portualità, nonché con finalità di carattere perequativo. Il meccanismo dell'extra-gettito delineato dall'art.1 comma 990 della Legge finanziaria 2007 e dal relativo decreto 91 Iniziativa di studio sulla portualità italiana L’art. 59 del decreto Legge n.1/2012 c.d. “Decreto cresci Italia” (convertito con modificazione in L. 27 del 24 marzo 2012) ha previsto l'estensione anche alle grandi infrastrutture portuali, del sistema di finanziamento mediante defiscalizzazione delineato dall'articolo 18 della legge di stabilità 2012 (decretolegge contenente “disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”), che originariamente era limitato alle opere autostradali. Tale meccanismo di defiscalizzazione, tuttavia, è limitato alle nuove infrastrutture le cui procedure sono state avviate e non ancora definite. E' così prevista la possibilità di attribuire alle società di progetto titolari di concessione per la realizzazione in Project Financing di grandi infrastrutture portuali, per un periodo non superiore ai 15 anni, il 25% dell'incremento del gettito IVA relativo alle operazioni di importazione riconducibili all'infrastruttura oggetto di intervento, determinato per ciascun anno di esercizio dell'infrastruttura : in relazione ai progetti di nuove infrastrutture, in misura pari all'ammontare delle riscossioni Iva registrato nel medesimo anno; in relazione ai progetti di ampliamento o di potenziamento di infrastrutture già esistenti, in misura pari alla differenza tra l'ammontare delle riscossioni IVA registrato nel medesimo anno e la media delle riscossioni conseguite nel triennio immediatamente precedente l'entrata in esercizio dell'infrastruttura oggetto dell'intervento. Gli incrementi di gettito IVA realizzati nel singolo porto saranno accertati, tenendo conto anche dell'andamento del gettito dell'intero sistema portuale, secondo le modalità delineate con uno o più decreti attuativi che dovranno essere emanati dal Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Con l'art. 14, comma 1 del decreto legge n.83/2012, si è attuato un ulteriore rafforzamento dell'autonomia finanziaria delle autorità portuali. Tale norma introduce un nuovo articolo 18-bis nella legge n.84/1994, il quale istituisce nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo finalizzato ad agevolare la realizzazione delle opere previste nei rispettivi piani attuativo aveva il pregio di operare una selezione degli interventi finanziabili introducendo i requisiti della compartecipazione dei privati e degli impegni circa l'incremento dei traffici. L'unico intervento impostato su tale meccanismo è stato quello del terminal container di Vado Ligure, su cui si dirà ampiamente nel paragrafo dedicato ai casi studio. E', altresì, rimasto inattuato il diverso meccanismo dell'extra gettito Iva delineato dalla successiva Legge Finanziaria 2008, elaborato nell'ottica di assegnare un nuovo ruolo alle regioni, portando a compimento il disegno costituzionale di decentramento fiscale introdotto con il nuovo Titolo V della Costituzione. In tale quadro, l’art. 1 della legge 24 Dicembre 2007, n. 244 (Legge Finanziaria 2008) attribuiva alle Regioni l'incremento delle riscossioni dell’Iva e delle accise relative alle operazioni di importazione nei porti e negli interporti, per il finanziamento di opere finalizzate al potenziamento della rete infrastrutturale e dei servizi nei porti e nei collegamenti stradali e ferroviari che interessano gli scali portuali (comma 247). La quota spettante alle Regioni doveva essere computata a decorrere dal 2008, a condizione che il gettito complessivo di Iva e accise fosse almeno pari a quanto previsto nella Relazione previsionale e programmatica con riferimento ai porti e agli interporti di ciascuna regione rispetto all'ammontare dei medesimi tributi risultante dal consuntivo dell'anno precedente (comma 248). A ciascuna regione spettava l'80% dell'incremento delle riscossioni nei porti del territorio regionale. La restante parte del gettito alimenta un fondo con finalità perequative istituito presso il Ministero dei Trasporti (comma 249). Tale fondo doveva essere ripartito con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente Stato-Regioni. La mancata adozione del decreto attuativo, dovuta alla conclusione anticipata della legislatura, ha fatto sì che anche il meccanismo dell'extra gettito delineato dalla Finanziaria 2008 restasse inattuato. 92 Iniziativa di studio sulla portualità italiana regolatori portuali e nei piani operativi triennali delle AP, nonché al potenziamento della rete infrastrutturale e dei servizi nei porti e nei collegamenti stradali e ferroviari nei porti. Il fondo è alimentato su base annua con la destinazione dell’uno per cento del gettito dell’IVA relativa all’importazione di merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto, nel limite di 70 milioni di euro annui, poi elevato a 90 milioni annui per effetto del comma 3 dell’art.22 del decreto Legge n.69/2013. In tema di ripartizione del fondo, si prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze quantifichi entro il 30 aprile di ciascun esercizio finanziario l'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto, nonché la quota da iscrivere nel fondo. Il Fondo è ripartito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, seguendo questi criteri: a ciascun porto dovrà essere attribuito un importo pari all’80% della quota dell’IVA dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per suo tramite; il restante 20% del fondo complessivo dovrà essere ripartito tra i porti con finalità perequative, tenendo anche conto delle previsioni dei rispettivi piani operativi triennali e piani regolatori portuali. Alle AP è espressamente consentito di fare ricorso a forme di compartecipazione del capitale privato, per la realizzazione delle opere di infrastrutturazione, utilizzando la tecnica della finanza di progetto di cui all’articolo 153 del codice dei contratti pubblici stipulando contratti di finanziamento a medio e lungo termine con istituti di credito nazionali e internazionali abilitati, inclusa la Cassa depositi e prestiti S.p.A. Il nuovo art. 18bis della Legge 84/1994 dispone inoltre l’abrogazione delle disposizioni che sulla medesima materia erano contenute nei commi da 247 a 250 dell’art.1 della L. 244/2007 (legge finanziaria 2008). Il meccanismo previsto dal nuovo art.18 bis L. 84/1994 non è del tutto conforme alle istanze del settore (AP e Assoporti) che chiede il riconoscimento di una maggiore partecipazione alle entrate tributarie generate dai porti. A prescindere dalla percentuale del gettito che viene riservata ai singoli scali, occorre rilevare che l'attribuzione a ciascun porto di una quota delle riscossioni dell'imposta sul valore aggiunto e delle accise ad esso relative, rischia di assecondare la tendenza dei porti, manifestatasi negli anni di vigenza della disciplina della legge n. 84/1994, a moltiplicare le iniziative infrastrutturali, a prescindere da una coerente strategia complessiva della portualità italiana. Si può conclusivamente ritenere che il potenziale di un sistema di finanziamento basato sul meccanismo dell'extra-gettito (incentrato sulla destinazione di una quota dell'incremento del gettito generato dall'attivazione della nuova infrastruttura a diretto benefico della medesima) e senza generazione di debito pubblico resta ad oggi, sostanzialmente inesplorato, anche a causa delle incertezze determinate dai continui mutamenti nel quadro normativo e alle conseguenti difficoltà applicative. 93 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 9.3 IL PROJECT FINANCING In Europa, nel finanziamento delle infrastrutture portuali, il sostegno pubblico riveste grande importanza, in considerazione del fatto che la costruzione o l’ampliamento di infrastrutture di trasporto costituisce spesso una misura di politica generale diretta al soddisfacimento di interessi pubblici. Tuttavia, nell’ambito della politica comunitaria, la partecipazione di investitori privati al finanziamento dei porti è incoraggiata e utilizzata di frequente nella prassi da molti Paesi europei. La Banca Mondiale ha registrato nell’ultimo ventennio, nell’area europea53, la chiusura del contratto di finanziamento di 27 progetti di infrastrutture portuali realizzati con la partecipazione di privati54. La tipologia di investimento prevalente in Europa è quella relativa ai terminal portuali affidati, in genere, attraverso contratti di concessione di costruzione e gestione. Tra le principali esperienze europee, in tal senso, figurano quelle sorte in Francia e nei Paese Bassi e in particolare (vedi allegato 1.1): un Terminal Container e l’espansione di uno esistente nel porto di Marsiglia; il Terminal Container Port 2000 nel porto di Le Havre; l’Euromax Terminal nel porto di Rotterdam nell'area Maasvlakte; tale porto ha inaugurato ulteriori importanti investimenti nel 2013 per un’estensione nell’area Maasvlakte 2 – (i.e. Rotterdam World Gateway). Il ruolo dei privati nel finanziamento dei progetti portuali dipende dalla natura delle opere, le quali hanno una vita economica che varia dai 20 ai 100 anni: le public (general) infrastructures: infrastrutture accessibili da parte della generalità dell’utenza, ad esempio banchine, canali, costruzioni e strutture funzionali all’inserimento del porto all’interno di una rete transeuropea, generalmente finanziate con risorse pubbliche; le user specific infrastructures, dirette a specifici operatori e, in linea di principio, non finanziabili con risorse pubbliche in quanto il sussidio rappresenterebbe illegittimo aiuto di Stato55. In quasi tutti i Paesi europei sono state introdotte procedure pubbliche o, almeno, forme di pubblicità e trasparenza per il rilascio delle autorizzazioni o concessioni per l’esercizio di attività portuali e per la costruzione e l’ampliamento di infrastrutture portuali56.. La durata delle concessioni varia generalmente tra 21 e 40 anni, con punte fino a 65 anni in relazione agli investimenti sostenuti dall’operatore privato; i 53 Il dato è riferito alla macro-regione “Europe and Central Asia”. Fonte: The World Bank, Private Participation in Infrastructure (PPI) Database (http://ppi.worldbank.org/): i dati si riferiscono al periodo 1990 – 2012. 55 FMI, “Public-private partnerships”, Fiscal Department Affairs (2004); “Public investment and fiscal policy”, Fiscal Department Affairs (2004); “IMF Country report n. 06/59- Italy: selected issues”, Fiscal Department Affairs (2006). 56 Cfr. T. Nottebom e P. Verhoeven, “The awarding of seaport terminals to private operators: European practices and policy implications”, in European Transport n. 45 (2010); Pallis A., Notteboom T., De Langen P., Concession Agreements and Market Entry in the Container Terminal Industry, in Maritime Economic and Logistics, 2008. Nella maggior parte dei porti europei l’affidamento delle concessioni avviene su base concorrenziale, relegando la trattativa privata alla sola concessione dei piccoli terminal. I porti dell’area Mediterranea, in particolare, presentano una certa convergenza nell’uso delle procedure competitive, mentre tra i porti del Baltico c’è una maggiore differenziazione rispetto alle procedure di affidamento adottate. Ad esempio, l’AP di Antwerp ha utilizzato una procedura competitiva per la concessione dei due terminal container, mentre l’AP di Rotterdam ha preferito il ricorso alla negoziazione diretta. Per contro, sia l’AP di Barcellona che il Governo greco (competente per il porto del Pireo) hanno fatto ricorso alla procedura aperta su base competitiva. 54 94 Iniziativa di studio sulla portualità italiana contratti di lunga durata sono più attrattivi per i privati in quanto forniscono un tempo sufficiente per conseguire il ritorno atteso dall’investimento. In alcuni Paesi, esistono limiti massimi di durata delle concessioni stabiliti per legge, a tutela della concorrenza. Quanto al contenuto dei contratti di concessione, sono frequenti le clausole che prevedono obblighi per il concessionario di rispettare determinati obiettivi di performance in termini di qualità e quantità degli investimenti e dei servizi forniti (performance-based contracts), fissano indicatori di tutela ambientale, regolano i casi di recesso o risoluzione del contratto. Molti porti europei hanno fatto ricorso ai finanziamenti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), che come noto fornisce consulenza ed eroga finanziamenti per progetti di investimento sostenibili che contribuiscano a promuovere gli obiettivi strategici dell'Unione Europea57: nella quasi totalità delle operazioni il soggetto beneficiario è stata l’Autorità Portuale e il finanziamento è stato assistito da garanzia pubblica. Per citare alcuni esempi, in Spagna l’AP di Barcellona58 ha beneficiato di un prestito di 150 milioni di euro erogato a fine 2009; altri finanziamenti sono stati erogati alle AP di Valencia, Algeciras, Las Palmas, Bilbao e Tarragona; in Francia, la BEI è intervenuta a Marsiglia e Le Havre; in Grecia, con riferimento al porto del Pireo; in Belgio, ad Anversa, Portogallo e Slovenia (porto di Koper); a Tangeri. Nel nostro Paese il finanziamento delle infrastrutture portuali dipende prevalentemente dalle risorse pubbliche attribuite alle AP; tali risorse sono, tuttavia, spesso inadeguate rispetto alla necessità di investimento nei porti e, inoltre, sono erogate in misura indipendente dai traffici registrati nei singoli porti e, quindi, delle effettive potenzialità di sviluppo ed esigenze infrastrutturali. Da ciò ne consegue una prima osservazione circa l’opportunità di non investire le risorse pubbliche senza un’adeguata preventiva valutazione, dato che spesso restano non utilizzate, ma in base ad oggettive necessità e potenzialità dei traffici: tale elemento può, tra l’altro, rappresentare una leva strategica per attrarre anche l'intervento di risorse private. Inoltre, si evidenzia che una effettiva autonomia finanziaria (cioè, la possibilità di disporre di risorse indipendentemente dai contributi pubblici) potrebbe consentire alle AP un ruolo attivo nello sviluppo del porto e agevolare il ricorso al mercato per aumentare lo stock dei finanziamenti disponibili per le infrastrutture. Proprio la considerazione della inadeguatezza della dotazione finanziaria delle Autorità Portuali, legata anche alla mancata attuazione dell’autonomia finanziaria delle stesse, delle criticità emerse nelle procedure di erogazione delle risorse e dei ritardi evidenziati nelle fasi attuative delle opere ha determinato, anche in Italia, una crescente attenzione per formule di Partenariato Pubblico Privato (PPP) che consentano di valorizzare le capacità gestionali e l’apporto di capitale dei privati59. Nel nostro Paese, tuttavia, le AP non hanno bandito molte gare di concessione di costruzione e gestione, ossia lo strumento contrattuale di PPP tradizionalmente più utilizzato nel settore delle opere pubbliche. 57 Fonte: BEI. Dal 2001, sulla base di precedenti accordi con la BEI, il Porto di Barcellona ha ottenuto da quest'ultima banca 390 Milioni di Euro attraverso otto differenti prestiti. In una dichiarazione stampa rilasciata dal Presidente del Porto di Barcellona, in occasione dell'ultimo accordo con la BEI nel dicembre 2009, quest'ultimo ha così sintetizzato l'intervento della BEI: “this operation with the EIB will enable us to create new areas mainly devoted to container and short sea shipping (SSS) traffic, as well as developing the necessary road and rail links to the internal market. The EIB loan will give a financial boost to our plans to expand into the port's hinterland and will strengthen our position as Europe's southern gateway and a leading Mediterranean logistics hub”. 59 Cfr. Grigoli M., ‘Pubblico e privato nella nuova realtà portuale’, in Dir. Mar., 1998. 58 95 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tra le poche iniziative, figurano la nuova piattaforma container del porto di Savona - Vado Ligure, la piattaforma logistica nel porto di Taranto e i nuovi terminal dei porti di Venezia e Ravenna60. In Italia, nella prima decade degli anni 2000, la Banca Europea per gli Investimenti ha concesso diversi prestiti (intermediati da partner bancari nazionali) alle AP per la realizzazione di investimenti infrastrutturali. Più di recente, è stato il porto di Savona (luglio 2013) a beneficiare dei finanziamenti BEI (per 50 milioni di euro sui 187 richiesti), mentre da ultimo, la medesima Banca ha dato il via libera a un primo finanziamento per l’Hub di Ravenna, con una prima tranche di prestito sottoscritto il 20 dicembre 2013, di circa 30 milioni di euro, rispetto a un totale che potrebbe oscillare tra i 125 e i 150 milioni di euro61. Le principali ragioni per cui la BEI ha tradizionalmente privilegiato il finanziamento di altre realtà portuali europee, rispetto a quella italiana, risiedono nella frammentazione delle competenze (che implica dispersione delle risorse) e del traffico e nell’incertezza sulla quantità e disponibilità delle risorse finanziarie nazionali destinate allo sviluppo del settore che caratterizzano il nostro sistema portuale62. Gli ultimi recenti segnali di interesse della BEI nei confronti delle realtà progettuali italiane nel settore portuale potrebbero, ad ogni modo, indicare un parziale cambiamento di tendenza in tal senso. Tra le criticità principali del sistema portuale italiano, che incidono sulla scarsa partecipazione dei privati al finanziamento delle infrastrutture portuali, emerse dall’analisi dei dati e nel corso delle audizioni condotte per il presente Studio, figurano inoltre: la complessità della programmazione portuale; la mancanza di adeguate analisi della domanda di trasporto delle merci in sede di pianificazione degli interventi; l’eccessivo numero di soggetti istituzionali coinvolto nelle procedure di approvazione, aggiudicazione e realizzazione delle infrastrutture portuali (amministrazioni centrali, regionali, locali, AP, ecc.); la scarsa autonomia operativa e finanziaria delle AP. L’autonomia finanziaria delle AP, in particolare, darebbe maggiore certezza alle risorse pubbliche disponibili per gli investimenti, con effetti positivi anche sulle possibilità di ricorso al capitale di debito da parte dei soggetti promotori. L’attuale configurazione dell’autonomia finanziaria delle AP, che non è sufficiente a garantire le banche, appare dunque come uno dei fattori che implica la richiesta da parte dei grandi finanziatori e investitori istituzionali (come la BEI) di garanzie pubbliche sovrane, quale condizione indispensabile per la concessione di finanziamenti a privati concessionari di aree portuali in Italia. 60 Per il nuovo terminal destinato allo short sea shipping (Autostrade del Mare) con annessa piattaforma logistica, l'AP di Venezia ha aggiudicato la gara al promotore Venice Ro-Port Mos S.c.p.a. con contratto di concessione siglato il 29 ottobre 2010; l’investimento complessivo è pari a 225 milioni di euro (25 di finanziamento pubblico, 200 di finanziamento privato) e la durata della concessione è pari a 40 anni. Nel porto di Ravenna sono stati realizzati tra il 2005 e il 2009 investimenti cofinanziati dai privati per circa 350 milioni di euro (compreso il nuovo terminal container) e si prevede la realizzazione di ulteriori investimenti per 500 milioni di euro nel quinquennio 2010 – 2014, sempre coperti da capitali privati. 61 Fonte: BEI. 62 Cfr. Report BEI: “La BEI e il settore portuale italiano", maggio 2011, predisposto ai fini del presente Studio. 96 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Dal punto di vista della normativa, lo sviluppo del PPP nel settore portuale potrà trarre beneficio dall’art. 59 del decreto legge n. 1 del 24 gennaio 2012 che ha previsto la possibilità di utilizzare, per le grandi infrastrutture portuali, per un periodo non superiore a 15 anni e limitatamente al 25% dell’incremento del gettito con riferimento alle operazioni di importazione riconducibili all'infrastruttura oggetto dell'intervento, il versamento dell’IVA a compensazione del contributo pubblico a fondo perduto oggetto di regolazione con la legge n. 183/2011. Con la medesima funzione di incentivazione del finanziamento privato delle infrastrutture pubbliche, l’art. 41 del citato decreto legge n. 1/2012 ha previsto la possibilità per le società concessionarie di infrastrutture e di servizi pubblici, comprese le opere portuali, di emettere obbligazioni (c.d. project bond) per finanziare in parte gli investimenti. Tuttavia lo strumento del finanziamento obbligazionario per le infrastrutture non appare ancora un grado di maturità tale da rappresentare un’alternativa concreta al finanziamento bancario. 97 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 10. DUE CASI STUDIO 10.1 NODO INFRASTRUTTURALE DEL PORTO DI TARANTO-PIASTRA LOGISTICA INTEGRATA AL SISTEMA “TRANSEUROPEO INTERMODALE DEL CORRIDOIO ADRIATICO” Il porto di Taranto, a causa della forte concorrenza dei porti del Nord Africa, dei ritardi nel realizzare le opere infrastrutturali, delle vicende dell’ILVA e al periodo di grave crisi internazionale, sta vivendo una situazione di enorme difficoltà che potrebbe sfociare in ulteriori e gravissime conseguenze se non si interviene con rapidità nel realizzare i progetti infrastrutturali programmati Nel 2010-2011, nonostante siano arrivate meno navi in porto, Taranto ha recuperato volumi di traffico rispetto al picco negativo del 2009 (Fig. 10.1) ma la situazione sta di nuovo precipitando ai livelli degli anni 2000. Tra il 2006 e il 2013 Taranto è sceso dal 4° posto in Italia per numero di container movimentati all’11° posto, con una riduzione del 78% del numero di TEU. Il Presidente dell’Autorità Portuale ritiene peraltro che l’interscambio potrà crescere in virtù di nuove commesse, correlate in particolare ad attività in Etiopia della Cementir, all’utilizzo dello stesso porto come scalo di transhipment per l’handling dei materiali ferrosi provenienti dal Brasile (con imbarcazioni aventi un pescaggio tale da non poter attraccare né a Rotterdam né ad Anversa, mentre il IV sporgente del porto di Taranto, in concessione all'ILVA, ha un fondale di circa 25 metri), e all’esportazione del greggio proveniente dallo stabilimento petrolifero della Total in Basilicata (ENI prevede di raddoppiare il pontile per esportare tale petrolio). Fig. 10.1 - Interscambio di merci e container nel porto di Taranto (2000-2013) Fonte: elaborazione su dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 98 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Taranto è attualmente dotato di un terminal container, in concessione alla Taranto Container Terminal S.p.a. (TCT)63 servito da un fascio di 5 binari di 1.200 m, collegato direttamente con la rete ferroviaria nazionale. Il terminal ha una superficie di circa 100 ha, con banchine lunghe circa 2 km e una profondità del fondale di circa 15 metri e svolge il 90% della sua attività nel settore del transhipment. Pur essendo l'unico grande scalo italiano “non urbano”, il porto necessita di nuove aree, dal momento che tutti gli spazi sono utilizzati, ad eccezione delle aree di S. Cataldo e di Calata 1. A ridosso dell'attuale Terminal Container, in area retro portuale, l'AP di Taranto ha previsto la realizzazione di un Distripark di circa 75 ha, con l'obiettivo di trattenere sul territorio le merci in entrata/uscita dal porto, al fine di conseguire un vantaggio per l'economia locale attraverso operazioni di logistica e di manipolazione che aggiungano valore alle stesse merci. La società consortile creata per questo progetto ha già provveduto all'esproprio delle aree e, a seguito della caratterizzazione ambientale, l'ARPA regionale ha fornito il proprio parere positivo. Dal 2001 sul porto di Taranto opera, con le sue portacontainer, la Compagnia Evergreen. Nel 2011 la Compagnia ha trasferito tuttavia al porto del Pireo due delle quattro linee con il FAR EAST, determinando di fatto una riduzione di più del 50% del traffico containers complessivo. Gli interventi più importanti per far si che il terminal di Taranto possa essere valutato ancora competitivo per le future scelte aziendali da parte della Compagnia sono: l’ampliamento della banchina del molo polisettoriale; i dragaggi per portare i relativi fondali a una profondità di 16,50 metri; la realizzazione di una diga foranea; il potenziamento dei collegamenti infrastrutturali stradali e ferroviari; l’utilizzazione di parti di banchina e piazzali, già in concessione per la gestione di un terminal rinfuse. Dalla esecuzione in tempi brevi degli interventi su indicati dipende la permanenza a Taranto di Evergreen, che ha minacciato di trasferire le restanti linee al Pireo. Questo comporterebbe la chiusura del terminal a Taranto con conseguenze negative significative sia per il territorio regionale, sia per la portualità nazionale. Senza contare che tale evenienza comprometterebbe anche la funzionalità ed efficacia della Piastra logistica, di cui alla delibera CIPE del 18 novembre 2010, privando conseguentemente di efficacia gli interventi pubblici e privati che sostengono l’iniziativa La realizzazione del progetto, “Nodo infrastrutturale del Porto di Taranto - Piastra logistica integrata al sistema trans europeo Intermodale del Corridoio Adriatico”, fa parte del Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001 ed è incluso nel 9° Allegato infrastrutture alla Decisione di Finanza Pubblica, alla voce “hub portuali”. Il progetto comprende la realizzazione delle seguenti opere: Ampliamento del IV sporgente; Darsena ad Ovest del IV sporgente; Adeguamento e potenziamento della “strada dei moli”; 63 L'attuale terminal container è gestito dalla Taranto Container Terminal S.p.A., già società del Gruppo Evergreen Marine Corporation di Taiwan (nel 2008 la Hutchison ha acquisito il 50% della TC, il 40% delle azioni resta al Gruppo Evergreen e il 10% è stato acquistato da una società del gruppo Maneschi). 99 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Nuova Piattaforma Logistica. L’intervento punta a migliorare la dotazione infrastrutturale complessiva del porto e a garantire servizi nel campo della logistica integrata che un moderno e importante porto commerciale come Taranto deve assicurare. Nel giugno 2002 un raggruppamento temporaneo di imprese formato da Grassetto lavori S.p.A. (capogruppo e mandataria), Grandi lavori Fincosit S.p.A., Logsystem International s.r.l., S.I.N.A. S.p.A. , Magazzini Generali Lombardi s.r.l. (mandanti) ha presentato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e all’Autorità Portuale di Taranto una proposta di realizzazione in Progect Financing, per la procedura ai sensi degli artt. 8 e 10 del D.Lgs. 190/2002 e dell’art. 37 bis della legge n 109/1994 e s.m.i., del nodo infrastrutturale del Porto di Taranto-Piastra logistica integrata al sistema “Transeuropeo Intermodale del Corridoio Adriatico”. Il 29 settembre 2003, con la delibera n. 74/2003, il CIPE ha approvato il progetto preliminare presentato dal promotore che prevedeva la progettazione definitiva/esecutiva, la realizzazione e la gestione economica trentennale degli interventi infrastrutturali per un totale di 156,1 milioni di euro. Nel dicembre 2005, l’Autorità Portuale di Taranto (soggetto aggiudicatore) ha aggiudicato la gara al citato promotore, con il quale in data 9 marzo 2006 è stata stipulata la convenzione relativa all’affidamento in concessione per 30 anni della progettazione definitiva ed esecutiva, della realizzazione nonché della gestione e lo sfruttamento della piattaforma logistica, per la cui copertura risultano disponibili le risorse finanziarie del concessionario, dell’AP e le risorse assegnate dal CIPE (Tab. 10.1) Nel luglio 2006, la società di progetto Taranto Logistica S.p.A. è subentrata, ai sensi dell’articolo 37quinquies della legge n. 109/1994, alla suindicata concessionaria nel rapporto di concessione. La predetta convenzione stabilisce l’obbligo, per il concedente, di mettere a disposizione del concessionario aree, inclusa la vasca di colmata, per il deposito, anche temporaneo, dei sedimenti dragati. Il Concessionario, il 29 maggio 2007, ha inviato, ai sensi dell’art. 166 c. 3 del D.Lgs 163/2006 al Ministero delle Infrastrutture e a ciascuna delle amministrazioni interessate dal progetto e a tutte le ulteriori amministrazioni competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni e altresì ai gestori di opere interferenti, il progetto definitivo dell’intervento. Durante l’iter istruttorio sono stati acquisiti i pareri da parte di tutti i Soggetti interessati. Fra questi, il Ministero dell’Ambiente, che nel luglio 2007 ha comunicato la necessità di ricorrere alla procedura VIA per la realizzazione della nuova piattaforma logistica insieme a quella per le altre opere previste dalla delibera 74/2003. Ne è derivato che per l’approvazione del progetto definitivo, si è reso necessario redigere un apposito studio di impatto ambientale sottoposto a ordinaria procedura VIA (parere favorevole rilasciato in data 14 novembre 2008). Le diverse prescrizioni derivanti dai vari pareri acquisiti hanno comportato, modifiche al progetto definitivo, determinando, oltre che una notevole dilatazione dei tempi per la realizzazione delle opere, anche il verificarsi di un notevole incremento dei costi con conseguente richiesta da parte del concessionario di integrazione del finanziamento originario. A seguito di ciò, nel giugno del 2009 il CIPE ha deliberato, a valere sulle risorse del FAS (in considerazione della peculiare funzione riconosciuta al progetto in questione, cioè quella di essere fattore di sviluppo in un’area industriale in riconversione), un finanziamento programmatico integrativo pari a 33,6 milioni di 100 Iniziativa di studio sulla portualità italiana euro per le opere aggiuntive/integrative definite nel corso dell’iter approvativo del progetto definitivo, per un totale complessivo di 189,7 milioni di euro. Con delibera n. 104/2010 il CIPE ha approvato il progetto definitivo dell’intero intervento, adeguandolo alle prescrizioni dei vari enti competenti ( Tab.10.1): L’opera è destinata a modificare in modo significativo l’attuale assetto dei traffici commerciali nazionali, costituirà un modello di piattaforma logistica integrata nei diversi segmenti del trasporto non più suddivisi per modalità (marittima, terrestre, aerea) ma come fasi di un unico processo, costituendo, quindi, un centro d’interscambio fra due o più modalità di trasporto (strada - ferro-mare) in un’area dotata di adeguati collegamenti diretti con la rete ferroviaria e stradale nazionale. La piattaforma logistica integrata potrà offrire i servizi necessari alla gestione e allo stoccaggio delle merci in arrivo e partenza nel porto. Gli operatori potranno contare su un centro di efficienza, destinato alle attività di handling, confezionamento e riconfezionamento, etichettatura, groupage e spedizione di merci in import ed export. I servizi strategici si realizzeranno attraverso un terminal ferroviario, magazzini merci, magazzini refrigeranti per prodotti e merci deperibili, e la costruzione di silos capannoni per lo stoccaggio sui piazzali. L’auspicio è che questo possa determinare l’inizio della realizzazione del porto di “terza generazione”, che costituisce il macro obiettivo dell’iniziativa. Il progetto sopra descritto comprende anche la realizzazione di una vasca di colmata, destinata alla raccolta dei sedimenti di risulta derivanti dall’escavo dei fondali del IV sporgente e della darsena servizi, opera che assume quindi carattere funzionale al progetto e che comprende la realizzazione di una infrastruttura di perimetrazione e di contenimento, la formazione di dune, il trasporto a discarica del materiale in esubero e la sistemazione a verde dell'area interna ed esterna alla vasca. Il costo di questa opera aggiuntiva è di 29,4 milioni di euro, finanziati con fondi dell’AP e della Cassa Depositi e Prestiti. Il costo complessivo dell’iniziativa ammonta quindi a 219,1 milioni di euro. I lavori sono iniziati solo nel 2013 e il periodo previsto per la realizzazione dell’intervento e per la messa in esercizio delle opere è di 58 mesi. L’occupazione prevista a regime è di circa 300 addetti, con altri 650 addetti calcolando l’indotto. Lo studio delle opere principali (banchine e strada dei moli) risale agli anni ’90, quando furono impostate le procedure di pubblico interesse da parte dell’Autorità Portuale con due obiettivi sostanziali: realizzare l’opera in tempi contenuti e attrarre capitali privati, al momento pari a circa il 17 per cento del costo complessivo dell’iniziativa. L’inizio dei lavori marittimi, su prescrizione del CIPE, è tuttavia subordinato al perfezionamento delle procedure di autorizzazione al dragaggio, di cui all’articolo 5, commi 11-bis e 11-quater, della legge n. 84/1994 e s.m.i.. Proprio la mancanza di procedure di coordinamento tra le norme del Codice dei contratti relative alle infrastrutture strategiche, e le norme ambientali, ha rappresentato il principale ostacolo alla realizzazione dell’opera nei tempi e con le modalità originariamente previsti, unitamente all’allocazione del rischio di costruzione nel settore dei dragaggi in capo all’Autorità Portuale, che ha comportato l’allungamento di anni della fase progettuale, con i conseguenti extra costi dovuti all’aggiornamento 101 Iniziativa di studio sulla portualità italiana monetario 64. Per superare le problematiche evidenziate, con DPCM 17 febbraio 2012, pubblicato in G.U. n. 84 del 10 aprile 2012, è stato nominato il Commissario Straordinario del Porto di Taranto per l’attuazione delle iniziative relative alla realizzazione delle seguenti opere: Piastra portuale di Taranto: - Strada dei moli - Ampliamento del IV sporgente - Darsena ad Ovest del IV sporgente - Piattaforma logistica; - Vasca di contenimento sedimenti ad Ovest di Punta Rondinella Dragaggio per l’approfondimento dei fondali al Molo polisettoriale e connessa vasca di contenimento dei sedimenti di dragaggio; Riqualificazione del molo Polisettoriale – Ammodernamento della banchina di ormeggio; Nuova diga foranea a protezione dall’agitazione del moto ondoso in Darsena Molo polisettoriale; potenziamento collegamenti ferroviari del porto di Taranto; Rettifica, allargamento e adeguamento strutturale della banchina di levante del Molo San Cataldo e della Calata 1. Al Commissario Straordinario sono affidati i poteri di cui ai commi 5 e 7 del D. Lgs. 163/ 2006 e 13 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 1997, n. 135. Il Commissario straordinario riferisce, ex art. 163, comma 8, del D. Lgs. 163/2006, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al CIPE in ordine alle problematiche riscontrate e alle iniziative assunte, e opera secondo le direttive dai medesimi impartite e con il supporto del Ministero e della Struttura tecnica di missione, e ove necessario delle competenti strutture regionali, acquisendo, per il tramite degli stessi, ogni occorrente studio e parere. Successivamente al DPCM 17 febbraio 2012, in data 20 giugno 2012 è stato sottoscritto l’”Accordo per lo sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato d’emergenza socio economico ambientale” (da ora in avanti “Accordo”). Le parti che hanno sottoscritto l’Accordo sono: il Ministero delle infrastrutture e trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero per la coesione territoriale, il Ministero dell’ambiente della tutela del territorio e del mare, la Regione Puglia, L’Autorità Portuale di Taranto, il Commissario Straordinario, il Comune di Taranto, la Provincia di Taranto, la T.C.T. S.p.a. (Società di gestione del terminal) ed Evergreen Line. Tenuto conto delle esigenze rappresentate e degli obiettivi identificati, tutte le Parti, consapevoli che il mancato rispetto dei tempi comporterebbe gravi conseguenze per il sistema portuale, si sono impegnate ad operare congiuntamente per eseguire e portare a termine, di concerto con il Commissario 64 La responsabilità sembra in particolare da attribuire alle difficoltà interpretative della normativa sulla movimentazione dei sedimenti marini. 102 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Straordinario, gli interventi prioritari connessi alla riqualificazione del Terminal contenitori entro 24 mesi dalla relativa sottoscrizione: Il Commissario Straordinario del Porto di Taranto, cosi come previsto nel DPCM di nomina del 17 febbraio 2012, invia alla Presidenza del Consiglio, al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e al CIPE un report relativo allo stato di avanzamento delle opere aggiornato alla data di comunicazione. Le Relazioni danno conto degli avanzamenti progettuali, procedurali e realizzativi degli interventi compresi nel DPCM di nomina del Commissario, l’ultima Relazione risale al 27 gennaio 2014. A settembre del 2013, a fronte delle difficoltà riscontrate nella realizzazione delle opere, é stato fissato il termine del 31 dicembre 2015 per l’ultimazione del lavori, decorso il quale ci potrebbe essere il rischio che gli operatori privati possano optare per l’abbandono del Porto. Il fatto che l'opera rientri nel Programma delle infrastrutture strategiche e che benefici quindi delle connesse procedure di accelerazione del Codice dei contratti pubblici non ha finora aiutato a superare le predette difficoltà; ciò induce a riflettere su come modificare le predette norme dei Codice al fine di assicurare certezza sui tempi di realizzazione delle opere nel settore portuale, pur nel rispetto della istanze di tutela dell’ambiente. Un giudizio conclusivo sull’esperienza di Taranto non può prescindere dalla considerazione che a quasi undici anni dalla prima delibera del CIPE, di approvazione del progetto preliminare, i lavori sono iniziati solo da appena un anno, e limitatamente alla parte a terra. Peraltro, pur essendo una iniziativa in PPP, risulta che il contributo del concessionario è solo del 17%, inferiore alle sole assegnazioni del CIPE, per complessivi 55,1 milioni di euro, contro 37,5 milioni del privato. 103 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tab. 10.1 - Progetto del nodo infrastrutturale del Porto di Taranto-Piastra logistica, in milioni di euro Costi Progetto Progetto preliminare definitivo (del. (del. 74/2003) 104/2010) Piattaforma logistica Strada dei moli ed impianti Ampliamento del 4° sporgente Darsena da ovest del 4° sporgente Ottemperanza ai pareri espressi da Amm. e Enti Totale 27,6 26,1 74,7 27,7 - 156,1 Descrizione dell’intervento 27,6 Prevede la realizzazione di uffici, magazzini merci, magazzini refrigerati per prodotti e merci deperibili, aree di deposito e lavorazione all’aperto, realizzazione di un terminal ferroviario per la movimentazione delle merci in arrivo e partenza dal porto di Taranto con collegamento diretto alla stazione di Taranto. 26,1 Prevede il collegamento organico dei moli siti in rada fino al molo Polisettoriale, strada con sezione corrente totale di 20 metri. Lo sviluppo della strada è di circa 5,5 km oltre il raccordo al molo polisettoriale per circa 1,4 km. Previsti svincoli per l’accesso da e per le complanari al servizio dei vari insediamenti. La strada sarà completata dalle opere d’arte e impianti necessari 74,7 Prevede la realizzazione di una nuova banchina di ormeggio mediante cassoni cellulari in c.a.. E' previsto il riempimento delle aree retrostanti al fine di realizzare piazzali idonei per le operazioni portuali. La larghezza dell'ampliamento, lato ponente, del IV sporgente è pari a 120 m.. E' previsto il dragaggio della darsena antistante lo sporgente e del bacino di evoluzione in modo da realizzare fondali a quota -12 m. Il totale dei sedimenti da dragare ammonta a circa 1.600.000 mc. 27,7 Comprende sia la banchina di riva che le banchine di raccordo sino all'esistente darsena servizi. La realizzazione avverrà mediante cassoni cellulari in c.a. E' previsto il riempimento delle aree retrostanti al fine di realizzare piazzali idonei per le operazioni portuali. La quota dei fondali antistanti le citate banchine è prevista a -7 m. 33,6 Lievitazione dell'importo globale delle opere conseguente alle prescrizioni ricevute in sede di istruttorio e aggiornamento dei prezzi 189,7 In più è prevista la realizzazione di una vasca di colmata destinata alla raccolta di sedimenti di risulta, da 29,4 milioni di euro, finanziata da Cassa Depositi e Prestiti e A.P., che porta il costo totale a 219,1 milioni di euro 104 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Coperture Copertura opere deliberate dal CIPE Copertura vasca di colmata aggiuntiva Totale Del. 74/2003 Del. 104/2010 37,5 37,5 Concessionario 21,5 21,5 AP (risorse assegnate dal CIPE il 29-9-2003) 97,1 97,1 AP (risorse provenienti in parte dalla legge 413/98 e in parte da fondi propri dell’Ente) 33,6 Risorse assegnate dal CIPE il 18-11-2010 - 14,0 Cassa Depositi e Prestiti - 15,4 AP (Fondi propri) 156,1 219,1 Fonte 10.2 IL PROGETTO DEL NUOVO TERMINAL DI VADO LIGURE I bacini portuali di Savona e Vado sono sotto l’egida dell’Autorità Portuale di Savona e dispongono oggi di una superficie operativa pari a 1 milione di mq, con 5 km di banchine65. Savona-Vado è il primo porto del mediterraneo per l'ortofrutta e si posiziona tra i primi 6 porti italiani per traffico crocieristico e tra i primi 10 per traffico container. Il Porto di Savona- Vado Ligure è efficacemente connesso alla rete viaria nazionale, essendo collegato al nodo autostradale di Savona, da cui si dipartono la A10 (Genova-Ventimiglia) e la A6 (Savona-Torino), e alla rete ferroviaria attraverso la linea costiera Genova Ventimiglia e due linee di valico appenninico verso il Piemonte, che si dipanano dalla stazione di S. Giuseppe di Cairo. Merita di essere menzionata l'attività dell'AP sul fronte del navettamento ferroviario dalle banchine alle aree retroportuali di Mondovì, Mortara e Rivalta Scrivia. Tale servizio è svolto da un soggetto trazionista, selezionato con bando di gara, al quale l'AP ha affidato il proprio parco di locomotori, in precedenza acquistati. L'AP detiene, inoltre, una quota di partecipazione in una società che funge da MTO, ossia commercializza i servizi ferroviari assicurando parità di condizione agli utenti in termini di accesso e di costi. L'AP di Savona ha promosso un progetto di realizzazione di una grande infrastruttura con una superficie pari a 210.000 mq, banchine per 700 ml e 3 accosti, di cui due ad elevato pescaggio, rispettivamente -15 65 Nel bacino di Savona sono presenti: terminal crociere (tre accosti), gestito dalla società COSTA, con stazione marittima e servizi dedicati ai crocieristi; darsena/molo con fondali in alcuni punti di - 19 metri; terminal carbone con collegamento via funivia verso parchi di stoccaggio nell'hinterland); terminal per rinfuse liquide alimentari e oli vegetali, con 29 serbatoi per 22.000 mc di capacità. Nel bacino di Vado, gestito dalla società Forship, e base delle compagnie Corsica-Sardinia Ferries e Strade Blu, sono presenti: terminal container e ortofrutta (Reefer Terminal), con 4 accosti per complessivi 900 ml; magazzini per ortofrutta refrigerati per complessivi 27.000 mq e piazzale container di 173.000 mq (capacità istantanea di 10.000 TEU); terminal Ro-Ro, 4 accosti, piazzale e magazzino; terminal rinfuse solide; terminal petroliferi. 105 Iniziativa di studio sulla portualità italiana e -22 metri, destinati all'ormeggio di grandi navi portacontainer di ultima generazione con capacità superiore ai 12.000 TEU. La piattaforma a regime avrà una capacità annua di movimentazione pari a 800.000 TEUs. La realizzazione della piattaforma multipurpose nella rada di Vado Ligure è prevista dal Piano Regolatore del porto di Savona Vado (approvato dal Consiglio Regionale il 10 agosto 2005), di cui costituisce l’intervento cardine. La realizzazione della piattaforma è stata inserita nella programmazione 2009/2011 e i relativi lavori sono stati avviati durante il 2012; l’entrata in servizio è prevista per il 2017. Ai margini della piattaforma saranno collocati anche gli impianti rinfusieri e petroliferi già esistenti nella rada di Savona, con miglioramenti ambientali e operativi. A completamento del quadro infrastrutturale, sarà infine realizzata una traslazione della diga foranea, a carico dell'AP, con la quale sarà possibile ricavare un’espansione di banchina da dedicare al Reefer Terminal66. Per l’attuazione dell’intervento si è fatto ricorso alla procedura di Progect Financing previste dall’art. 153 del Codice dei contratti pubblici, in particolare al procedimento della doppia gara per l’affidamento della concessione di costruzione e gestione delle predette opere. Il soggetto aggiudicatario della concessione di costruzione e gestione è una Associazione Temporanea di Imprese (ATI) formata da A.P. Moeller Terminals (terminalista controllata del colosso danese Maersk) in qualità di mandatario capofila, Grandi Lavori Fincosit e Technital per la progettazione definitiva ed esecutiva, l’esecuzione dei lavori di costruzione della piattaforma e la gestione della parte relativa al terminal contenitori. Le società membre dell'A.T.I. Hanno poi costituito la società di progetto APM Terminals vado Ligure S.p.a. La APM Terminals ha sottoscritto il 21 febbraio 2008 con l'AP la convenzione per la costruzione dell'opera e la gestione in concessione per una durata di 50 anni. La copertura finanziaria dell’intervento (per complessivi 450 milioni di euro) è garantita per due terzi dal Governo italiano (attraverso vari provvedimenti legislativi e amministrativi) e per circa un terzo dal soggetto promotore 67. I lavori di costruzione, avviati nell’autunno 2012, procedono secondo programma e sono giunti allo stato di avanzamento di circa il 10%. Il finanziamento pubblico dell’opera viene coperto dalle seguenti fonti (come precisato dalla Delibera del CIPE del 21 dicembre 2012 “Ripartizione del fondo per le infrastrutture portuali”, in GU n.108 S.G del 10 maggio 2013): 81 milioni di euro sono a carico delle revoche previste dall’art. 15 del decreto-legge n. 83/2012 (che prevede la revoca dei finanziamenti imputati ad opere portuali i cui bandi di gara non siano stati pubblicati alla data di entrata in vigore del decreto stesso); 125 milioni di euro (di cui 50 da erogarsi direttamente e 75 Milioni da reperire facendo ricorso a mutui bancari) a carico delle risorse di cui all’art. 1, comma 991, della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007)68 su cui a luglio 2013 è stato attivato un mutuo della Banca Europea degli 66 Cfr. in merito alle opere ora citate i atti normativi di riferimento sono: il Piano Regolatore, citato supra, l’Accordo di Programma sottoscritto dalla Regione Liguria, provincia di Savona, Comune di Vado Ligure ed AP del 2008 e il Piano operativo triennale 2010-2012 della AP, approvato dal Comitato portuale nell’ottobre 2009. 67 Secondo le informazioni fornite dall'AP di Savona, al contributo privato di 50 milioni di euro per la costruzione dell’opera infrastrutturale, va ad aggiungersi l'investimento in attrezzature (gru di banchina, gru da piazzale, trattori, ecc. ) per circa 100 milioni di euro posto a carico del concessionario; 68 In data 30 aprile 2008 è stato stipulato l’accordo procedimentale con il Ministero delle Infrastrutture, l’accordo è stato approvato con D.M n.811 del 22 luglio 2008 (registrato alla Corte dei Conti il 18 agosto 2008); 106 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Investimenti (BEI) in favore dell’AP di Savona 69 per 50 milioni di euro; 69 milioni di euro a carico delle risorse revocate di cui all’art. 2, comma 2 -novies , del decretolegge n. 225/2010 del 29 dicembre 2010 (convertito in legge 26 febbraio 2011, n. 10 c.d. milleproroghe) e del successivo decreto applicativo n. 357 del 13.10.2011; 25 milioni di euro a carico del citato “Fondo per le infrastrutture portuali” come ripartito con la citata delibera del CIPE del 21 dicembre 2013. E’ stato invece abbandonato il ricorso al finanziamento mediante l'utilizzazione dell'extra gettito IVA derivante dall’attivazione della nuova infrastruttura, previsto dal comma 990 della legge 296/2006 e dal D.M. 151 T (e tra l’altro ribadito dal decreto legge n. 1 del 24 gennaio 2012). Tale meccanismo non risulta ancora mai stato applicato nel panorama nazionale e sono state rilevate, a quanto è dato constatare, ancora incertezze circa la sua concreta applicazione. La realizzazione del terminal multipurpose si colloca nell’ambito di un ampio progetto infrastrutturale e logistico in grado di spostare il 40% della movimentazione merci su ferrovia, con i relativi vantaggi in termini di efficienza nella movimentazione della merce e quindi di minore permanenza della nave in porto e di riduzione dell’impatto ambientale. In particolare si prevede la messa in opera di significative innovazioni tecnologiche sul piano delle operazioni di carico/scarico dei container mediante traslazione orizzontale (sistema MetroCargo), che consente di abbattere costi e tempi di tali operazioni70. I flussi serviti via ferrovia saranno infatti trasferiti utilizzando l’impianto intermodale collocato nel retroporto a circa 500m dal gate d’accesso su una serie di terminal intermodali terrestri rappresentati dai tre retroporti di Rivalta Scrivia, Mortara e Mondovì, integrando così appieno questa nuova struttura nel sistema portuale e retroportuale del porto di Savona. L'ottimizzazione del materiale rotabile impiegato e le citate innovazioni tecnologiche dovrebbero consentire di creare significativi volumi di traffico, rendendo così competitiva anche la movimentazione ferroviaria su brevi distanze (navettamento) in relazione al trasporto su gomma, garantendo una buona redditività. Il progetto si caratterizza, inoltre, come l'unica infrastruttura nell'ambito della portualità dell'arco nordcentro Tirrenico, essendo il solo terminal in grado di accogliere le navi portacontainer di ultima generazione, quali la “triple E” della Maersk, con capacità fino a 18.000 TEUs e pescaggio di 16 metri. Il segmento di traffico operato da tali imbarcazioni è destinato ad acquisire crescente importanza (considerato lo stato degli ordinativi delle maggiori compagnie di shipping) e, in assenza di strutture adeguate, finirà per essere integralmente assorbito dai porti concorrenti del Mediterraneo (in particolare Valencia e Marsiglia). 69 Con oneri di ammortamento a totale carico del Bilancio dello Stato. Si tratta di un servizio innovativo ideato dalla società I.LOG e promosso dall'AP di Savona attraverso la Interporto di Vado – Intermodal Operator S.C.p.a. (VIO), la società che gestisce la piattaforma logistica integrata dell’interporto di Vado Ligure. La tecnica di trasbordo si avvale di guide lineari su ruote, meccanismi mobili dotati di bracci di carico orizzontali e gru di sollevamento a portale per la traslazione e il sollevamento dei container e delle casse mobili. Tale sistema consente di ridurre a circa 30 minuti il tempo necessario per le operazioni di carico/scarico di un treno di 46 containers. Con Metrocargo i tempi di carico/scarico sono di circa 3 minuti per ogni unità di carico, mentre il carico/scarico di un intero treno merci richiede meno di 40 minuti. 70 107 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Inoltre, con riferimento ai profili che più direttamente caratterizzano l’operazione di PPP, vanno segnalate alcune interessanti clausole della convenzione stipulata dall'AP di Savona con APM Terminals relative all'allocazione dei rischi, ad alcuni impegni del concessionario e alla bancabilità degli investimenti71: i maggiori costi di costruzione, per cause imputabili al concessionario, sono a totale carico di quest'ultimo; eventuali ritardi nella realizzazione dell'opera, dovuti alla necessità di acquisire autorizzazioni ambientali relative a varianti al progetto approvato, sono imputabili al concessionario; il concessionario ha assunto l'impegno ad assicurare il rispetto dei volumi di traffico stimati e posti a fondamento del Piano economico-finanziario; tali stime di traffico vanno fino al 2020 e prevedono volumi crescenti ogni anno in termini di TEUs, con uno scarto di +/- 10%72; è prevista la facoltà per il concessionario di procedere alla cessione dei diritti concessori acquisiti ad eventuali soggetti finanziatori, che potranno dunque gestire “in proprio” o indicare una società di gestione di propria fiducia purché in possesso di tutti i requisiti validi per il concessionario73; il concessionario si è impegnato a garantire un livello occupazionale minimo (è previsto un quantitativo iniziale di 303 unità lavorative, che dovranno crescere fino a 401 unità). La convenzione prevede la revoca della concessione, nel caso i suddetti impegni non siano rispettati, senza giustificato motivo. Il progetto o i diversi progetti per il rilancio di Savona appaiono indubbiamente ben coordinati e sinergici tra loro. Ciò è stato reso possibile, almeno da quanto è dato appurare, dal forte commitment dell'Autorità Portuale di Savona, che ha posto fiducia nelle capacità di sviluppo del porto, facendo anche scelte coraggiose in termini di investimenti finanziari. La grande scommessa è certamente la realizzazione del terminal multipurpose la quale, prima facie, potrebbe apparire non perfettamente aderente ad una realtà portuale come quella di Savona di medie dimensioni (a parte alcuni comparti come quello della frutta e delle crociere) con un bacino di influenza contenuto in termini di popolazione e di imprese. La scelta di Savona da parte di una delle più grandi compagnie di shipping (la Maersk, attraverso APM Terminals), dimostrerebbe, invece, la sussistenza di tutti i presupposti affinché il porto di Savona diventi un gateway regionale e anche internazionale. La presenza della Maersk avrà, tra l'altro, non poche conseguenze sulla gestione della portualità, essendo essa in grado di fornire contemporaneamente il servizio di shipping, di gestore del terminal e anche di spedizioniere. La scelta di Savona da parte della Maersk, secondo quanto riferito dai rappresentanti di questa compagnia, è stata frutto di una scelta ponderata, effettuata anche all'esito di una comparazione con altri porti italiani, in cui decisiva pare sia stata la presenza di un progetto organico infrastrutturale 71 Cfr. Convenzione di costruzione e gestione ex art. 153 d.lgs 163/2006, n. 272, sottoscritta il 21 febbraio 2008 fra l’AP di Savona e APM Terminals Vado, agli art. 30,31,32,33. 72 2013: 445.000 TEU; 2014: 481.000; 2015: 520.000, 2016:561.000; 2017:606.000; 2018:655.000; 2019:707.000; 2010:717.000; 73 Così stabilisce l’Atto aggiuntivo alla Convenzione di concessione cit. supra n. 321 del 4 febbraio 2009, art. 8, ai sensi di quanto previsto dalla L. 84/1994 art. 18 comma 9. 108 Iniziativa di studio sulla portualità italiana fortemente sostenuto dall'AP, la cui realizzazione va di pari passo con lo sviluppo dei collegamenti ferroviari in grado di far diventare il porto di Savona un vero e proprio porto regionale, inteso in termini di area di riferimento. A tale riguardo la possibilità di spostare circa il 40% della movimentazione merci su ferrovia ha rappresentato per la Maersk un ulteriore elemento a favore della scelta di Savona per gli indubbi vantaggi in termini di efficienza di spostamento della merce (e quindi di minor permanenza della nave in porto) verso il mercato del Nord Italia, della Svizzera e del Sud della Germania. Inoltre il maggior utilizzo della ferrovia determinerà anche un minor impatto ambientale; aspetto che riveste sempre più un ruolo fondamentale per le compagnie di shipping. Decisiva è stata infine la capacità futura del porto di Savona (unica nel Tirreno) di ospitare, come sopra evidenziato, navi superiori alle 12.000 TEU (super post panamax), con gru di altezza elevata in grado di lavorare navi con 22 file. Non possono, tuttavia, essere qui sottovalutati alcuni eventuali rischi insiti nell'operazione sopra descritta che potrebbero sorgere nella realizzazione e gestione della futura piattaforma multipurpose e che possono così essere sintetizzati: la presenza di un solo grande terminalista (come avviene a La Spezia) potrebbe in qualche modo far sì che l'AP di Savona diventi fortemente legata alle logiche del terminalista stesso; la presenza di un solo grande terminalista potrebbe ostacolare la libera concorrenza nel porto e orientare altre compagnie di shipping concorrenti alla Maersk verso altri porti in cui invece operano diversi terminalisti (come Genova o Trieste). In proposito va tuttavia rilevato che l’integrazione tra operatori terminalisti e carriers costituisce un trend in atto anche in altre realtà a livello internazionale e risponde alle strategie di incrementare il controllo dell’intera filiera del trasporto dall’origine alla destinazione finale; non sussiste peraltro la certezza, benché ciò venga sostenuto dall'AP di Savona, che la nuova piattaforma “catturerà” solo merce/containers destinati ai porti del Northern Range europei e non invece merce/containers destinati agli altri porti liguri74; occorre a tale riguardo nuovamente sottolineare che il nuovo terminal di Vado costituirebbe certamente un’infrastruttura unica nell’attuale panorama della portualità dell’arco nord-centro tirrenico, venendo ad essere il solo terminal in grado di accogliere le navi portacontainer di ultima generazione (quali le triple “E” della Maersk con capacità di 18.000 TEU e pescaggio di -16m) e tale segmento di traffico è destinato, in assenza di strutture adeguate in Italia, di essere integralmente assorbito dai porti concorrenti di Valencia e Marsiglia; la piattaforma, prevedrà solo due accosti per le grandi navi portacontainers e quindi lo sviluppo della movimentazione delle merci potrebbe essere ostacolato dalle ridotte capacità di “accoglienza” di tali navi; ciò potrà forse essere compensato dall'efficienza dei servizi portuali (di scarico e imbarco) e dei collegamenti, in particolare ferroviari, che potranno far ridurre la permanenza delle navi in porto. Le criticità sopra descritte appaiono, comunque, superabili. Ciò che invece emerge dall’esame delle opere infrastrutturali in corso o progettate nei tre porti liguri, è il fatto che tale progetto della piattaforma multipurpose non sembra essere stato preceduto da una adeguata concertazione a livello regionale, benché i tre porti liguri siano legati tra loro dall’Associazione Ligurian Ports (Sistema dei porti 74 A tale riguardo il presidente dell'AP di Savona ha fatto presente che invece secondo uno studio effettuato dal RINA tale rischio per i porti italiani è da escludere. 109 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Liguri). Si rileva, infatti che sono in fase di realizzazione analoghi progetti infrastrutturali portuali in Liguria (es. l'ampliamento a Genova delle aree contenitori del compendio Ronco-Canepa e del nuovo terminal contenitori di Calata Bettolo; l'incremento della capacità del terminal containers del porto di La Spezia, che riguarda la realizzazione del terzo bacino sul lato orientale del porto) o in fase di progettazione (il completamento del polo contenitori di Genova Voltri, che dovrebbe avere una capacità totale di 2 Mil di TEUs). I due citati progetti di Ronco-Canepa e Calata Bettolo, di cui si prevede il completamento nel 2015, potranno aumentare la potenzialità del porto di Genova di ulteriori 1,2 Milioni di TEU, mentre quello citato di La Spezia consentirà a questo porto di movimentare circa 2 Milioni di TEU. Il recente sblocco dei lavori del terzo valico hanno, tra l'altro, dato nuovamente fiducia nelle capacità di Genova di diventare l'hub del Mediterraneo a servizio dell'intera area del Nord Italia nonché, con il prossimo potenziamento dei valichi ferroviari svizzeri, della Svizzera e del Sud della Germania. Ciò nonostante va tenuto conto dei limiti oggettivi/operativi che permangono nel Porto di Genova75 e in parte a La Spezia con riferimento alla accoglienza delle navi superiori a 10.000 TEU e che rendono dunque valido il progetto del Porto di Savona, che sarà, come sopra indicato, l'unico porto (almeno del Nord Tirreno) in grado di accogliere le navi “super post Panamax” sempre più numerose nei nostri mari nel prossimo futuro76. 75 Le criticità del Porto di Genova nella ricezione di tali navi è dovuta in particolare dalla distanza dei terminal dalla diga foranea e dalla presente dell'aeroporto che soprattutto in riferimento a Voltri consente l'installazione soltanto di gru c.d. low profile, non idonee per servire tali navi. Di tali limiti oggettivi ne è ovviamente consapevole l'AP di Genova che sta esaminando alcuni progetti infrastrutturali volti a superare tali criticità. L'AP di Genova ha poi previsto nuovi collegamenti autostradali e passanti che dovrebbero alleggerire l'impatto del traffico merci su gomma sulla città. Dei circa 1,8 Milioni di containers solo il 9% utilizza, infatti, la ferrovia. 76 La sola Maersk ha già ordinato 20 navi di queste dimensioni. 110 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 11 PRINCIPALI INDICATORI PER LA PIANIFICAZIONE E IL RIPARTO DELLE RISORSE PER GLI INVESTIMENTI PORTUALI Negli ultimi decenni, per rispondere alla sempre maggiore esigenza di disporre di informazioni sistematiche su realtà complesse, c’è stato un incremento degli sforzi per creare indicatori di sintesi, in grado di integrare una grande quantità di informazioni in formati facilmente comprensibili. Un sistema di indicatori deve necessariamente fondarsi su di un sistema di monitoraggio efficiente che abbia caratteristiche tali da consentire l’aggiornamento continuo di dati opportunamente validati a garanzia della attendibilità e qualità dell’informazione. Sulla base di considerazioni teorico pratiche è stato sviluppato un sistema di indicatori utili a caratterizzare un sito portuale ai fini del supporto decisionale alla programmazione infrastrutturale e del relativo confronto tra diversi porti e cluster portuali. A tali indicatori dovrà necessariamente essere associato un sistema di pesi omogeneo e condiviso che consenta di pervenire a indici complessivi rappresentativi del singolo porto e di tutto il sistema nazionale (Tab. 11.1). Al fine poi di individuare criteri qualitativi utili per il riparto dei fondi statali destinati al settore, il termine di valutazione più importante è senz’altro la propensione allo sviluppo del porto, che può essere delineata attraverso i citati indicatori. Ai pesi riportati nell’ultima colonna a destra, definiti in via preliminare sulla base delle risultanze dello studio e in relazione all’importanza dei vari fattori di sviluppo, si può attribuire allo stato attuale un valore solo indicativo da verificare alla luce dell’esperienza. Peraltro, come accennato in precedenza, una delle caratteristiche essenziali per il successo di un sistema di indicatori e di conseguenza dei criteri che ne possono scaturire, è che il sistema sia sviluppato in maniera condivisa da tutti gli “attori”. Lo schema illustrato nella Tabella 11.1 ha quindi il solo scopo di stimolare l’interesse degli attori del comparto portuale verso la effettiva costruzione di un sistema di indicatori e criteri volti alla condivisione del processo decisionale in tema di pianificazione infrastrutturale e alla relativa allocazione ripartita dei fondi statali disponibili. 111 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Tab. 11.1 - Sistema di indicatori per caratterizzare un sito portuale ai fini del supporto decisionale alla programmazione infrastrutturale e del confronto tra diversi porti e cluster portuali, definirne la propensione allo sviluppo e individuare i criteri qualitativi di riparto dei fondi. SETTORE INDICATORE APPARTENENZA ALLE RETI TEN-T Appartenenza alla rete core o a quella comprehensive, collegamento ai corridoi europei DOTAZIONE INFRASTRUTTURALE PORTUALE Dotazione banchine per profondità e superficie piazzali COLLEGAMENTI RANGE DI PESI POSSIBILI % 10-15 Efficienza infrastrutture di collegamento viarie e presenza collegamento diretto con rete autostradale Efficienza infrastrutture di collegamento ferroviarie, collegamento ferroviario diretto con rete principale e distanza interporti via ferrovia Interazione con la città e dimensioni del bacino economico di influenza COLLOCAZIONE TERRITORIALE Fondale, disponibilità di retroterra portuale, morfologia entroterra TRAFFICI Volume di traffico general cargo e container, capacità residua di volumi di gestione delle merci 20 – 40 Modal split, presenza piattaforma logistica e distripark PROGRAMMI AMBIENTE EFFICIENZA PROJECT FINANCING PROGRAMMAZIONE NAZIONALE O DI AREA Decorrenza PRP vigente e stato di approvazione nuovo PRP, livello di progettazione iniziative del piano triennale, informazione del pubblico e condivisione delle iniziative Infrastrutture in programma (banchine piazzali, dragaggi) Costo, copertura finanziaria e investimenti privati per infrastrutture in programma triennale Criticità per vicinanza industrie, dragaggio, laguna, SIN, vicinanza SIC/ZPS/Posidonia Tempi gestione merci tempi medi di “gestione” delle merci all'interno dei porti, durata media operazioni doganali, manovre ferroviarie numero e importo operazioni in PPP fatte e previste, misura delle partecipazione privata Presenza in: allegato infrastrutture, piano nazionale porti**, piano di cluster portuale, piani di sviluppo RFI, Piani di sviluppo ANAS, piano per il Sud COFINANZIAMENTO PIANO TRIENNALE CAPACITA’ DI SPESA CRESCITA Regionale, privato Rapporto spesa /finanziamenti Incremento dei traffici vs trend nazionale ** La necessità del Piano è stata più volte richiamata nello studio. 112 <5; <2,5; <2,5; <2,5; <2,5; <2,5 <2,5 <5 0-10 (lineare) 0-5 (lineare) Iniziativa di studio sulla portualità italiana Lo sviluppo del sistema portuale italiano, inteso come realizzazione delle opportunità di crescita che il settore evidenzia, dipenderà da fattori generati dall’interazione fra Autorità Portuale, governo delle reti degli altri modi di trasporto, istituzioni, territorio e soggetti terzi: questi fattori saranno gli elementi “trainanti” dello sviluppo futuro. Potranno rispondere efficacemente allo sviluppo del traffico quei porti che dimostrano di possedere le potenzialità di sviluppo necessarie a garantire capacità delle infrastrutture, adeguato grado di accessibilità e accettabili livelli di servizio, in un quadro di compatibilità ambientale. Le potenzialità di sviluppo di ciascun porto sono desumibili dalla lettura incrociata tra stato attuale delle infrastrutture e domanda di traffico, da cui emergono le esigenze con cui si dovrà misurare la capacità del sistema portuale. Il set di indicatori sopra riportato, sottende i requisiti che devono essere soddisfatti dalle singole infrastrutture portuali, affinché possano essere considerati scali strategici del sistema italiano, su cui concentrare gli investimenti. Ogni Autorità Portuale può intervenire attivamente al fine di soddisfare i requisiti sottesi ai fattori di sviluppo da lei controllabili mentre può soltanto adoperarsi affinché le Istituzioni locali e/o nazionali provvedano al miglioramento dei requisiti sottesi dai fattori per lo sviluppo corrispondenti all’accessibilità e alla multi-modalità. Conseguentemente, una delle linee d’indirizzo strategico desumibili dal presente studio riguarda proprio l’opportunità che la spesa pubblica sia indirizzata, in termini di investimenti prioritariamente sull’accessibilità e sulla multimodalità, essenzialmente nei confronti di quelle infrastrutture portuali che risultano rappresentare già oggi gli “scali strategici” del sistema italiano. 113 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Una possibile classificazione può essere la seguente: PORTI STRATEGICI Sono i porti che, a prescindere dal volume di traffico attuale, rispondono efficacemente alla domanda di trasporto di ampi bacini di traffico commerciale e che sono in grado di garantire nel tempo tale funzione, per capacità delle infrastrutture e possibilità del loro potenziamento con impatti ambientali sostenibili, per livelli di efficienza e grado di accessibilità, attuale e potenziale. Gli scali strategici comprendono i porti che per volume e bacini di traffico, per livello dei collegamenti internazionali e intercontinentali, grado di accessibilità e di integrazione con le altre reti della mobilità, svolgono il ruolo di “Gate Intercontinentale” di ingresso al Paese. PORTI PRIMARI Sono i porti che, a prescindere dal volume di traffico attuale, non risultano possedere i requisiti di scali strategici a causa di limitazioni fra le quali: vincoli ambientali, accessibilità inadeguata, ostacoli allo sviluppo delle infrastrutture, etc.. Tali scali contribuiscono tuttavia a soddisfare la domanda di traffico dei loro bacini, in rapporto di sussidiarietà con gli scali strategici. PORTI COMPLEMENTARI Sono gli scali che per la ridotta estensione dei bacini di traffico risultano rispondere ad una domanda di scala locale, in zone remote o non adeguatamente servite da altri scali, e che pertanto svolgono un servizio complementare nella rete. L’insieme comprende anche gli scali che svolgono un servizio essenziale in quanto assicurano i collegamenti con aree periferiche o con le isole. I porti complementari possono svolgere nel medio-lungo periodo il ruolo di riserve di capacità di quote aggiuntive di traffico di uno o più scali strategici dell’area di riferimento. 114 Iniziativa di studio sulla portualità italiana ALLEGATO 1.1 Esperienze europee di PPP per infrastrutture portuali Un esempio di PPP per la realizzazione e la gestione di terminal portuali è rappresentato dal progetto “Terminal FOS 2XL” del porto di Marsiglia, diretto alla realizzazione di un nuovo terminal container e all’espansione di uno esistente, il Fos Graveleau, per un’estensione totale di 90 ettari e un aumento globale della capacità di movimentazione di 800.000 TEU/anno. L’investimento ammonta a 365 milioni di euro, suddivisi tra pubblico e privato, rispettivamente, nella percentuale del 48% e del 52%, in particolare, 175 milioni di euro sono rappresentati da finanziamenti pubblici, mentre 190 milioni di euro corrispondono all’investimento sostenuto dalle compagnie marittime che concessionarie della gestione dei due terminal. Si tratta, segnatamente, della cordata denominata “Port Sinergie Group”, composta da CMA-CGM (terza compagnia nel ranking mondiale per capacità della flotta container, con una quota di mercato pari al 5%) e P&O Ports, e della MSC (Mediterranean Shipping Company). La cordata citata è stata selezionata dall’Autorità Portuale di Marsiglia che ha affidato in concessione il Terminal A a “Port Sinergie Group” ed il Terminal B a MSC sostituendo l’attuale modello di gestione diretta dell’Autorità Portuale di Marsiglia del Terminal Fos Graveleau77. Sempre in Francia, un altro esempio di PPP di successo è il progetto “Terminal Container Port 2000” nel porto di Le Havre. L’investimento aveva ad oggetto la realizzazione di 6 nuove banchine per una spesa complessiva di 1,1 miliardi di euro; il finanziamento pubblico del progetto è stato pari a 825 milioni di euro (75% del totale), utilizzati per la costruzione dei moli, per i raccordi terrestri e per le misure ambientali. L’investimento dei privati, invece, di 275 milioni di euro (25% del totale), impiegati specificamente per lo sviluppo e l’implementazione delle sovrastrutture del terminal. Nei Paesi Bassi, si segnala il progetto relativo all’area Maasvlakte del porto di Rotterdam nell’ambito della quale è stato realizzato l’“Euromax Terminal”. L’investimento complessivo per il nuovo terminal da 1,7 milioni di TEU/anno, operativo dalla fine del 2007, è stato di 525 milioni di euro, di cui 300 milioni (57% del totale) investiti dall’Autorità Portuale di Rotterdam, che nel 2004 ha ottenuto a tale scopo un finanziamento dalla BEI di 200 milioni, e 225 milioni investiti dalla joint venture costituita da European Container Terminal e Nedlloyd B.V.. L’investimento pubblico ha finanziato l’infrastruttura e le opere di dragaggio, mentre l’investimento privato ha finanziato lo sviluppo del nuovo terminal, comprese le sovrastrutture e le attrezzature. Più di recente, nel maggio 2013, è stata inaugurata l’estensione del porto di Rotterdam nell’area Maasvlakte 2. La superficie del porto è stata incrementata di circa il 20 per cento e sono in fase realizzativa i terminal. I container saranno gestiti da Rotterdam World Gateway e APM Terminals e potrebbero essere operativi a fine 2014. Il progetto per l’espansione del porto “Rotterdam World Gateway” ha raggiunto il financial closing per circa 720 milioni di euro e si è attestato al terzo posto78 per importo tra i contratti di finanziamento chiusi nel 2012 in Europa, a fronte di un costo del progetto che si aggira intorno a 1,5 miliardi di euro. 77 Mutti M., Evoluzione dei servizi di trasporto marittimo containerizzato: il caso del Mediterraneo, Studi di settore, IntesaBci, 2002 78 Fonte: EPEC Market Update 2013 115 Iniziativa di studio sulla portualità italiana ALLEGATO 1.2 Sintesi dei Programmi delle singole Autorità Portuali Autorità Portuale di Ancona E' attualmente in corso la realizzazione dei moli foranei (sopraflutto e sottoflutto). E' prevista la realizzazione di una nuova banchina che verrà destinata a terminal containers, in vista della quale è stata realizzata una cassa di colmata (9 ettari) con protocollo d'intesa tra AP, Regione e Min. Ambiente: sono previsti escavi per portare i fondali in prossimità del futuro terminal container ad una profondità di -14 m. Il completamento della banchina e del retrostante piazzale da destinare a piattaforma container prevede un costo di 62,5 milioni di euro e potrà essere realizzato mediante project-financing. Il nuovo terminal container avrà una capacità di movimentazione pari a 500.000 Teu all'anno. Autorità Portuale di Cagliari ll nuovo piano regolatore prevede numerosi interventi infrastrutturali, tra cui: realizzazione di un nuovo porto turistico nell'ambito del porto vecchio dragaggi dei fondali prospicienti le banchine destinate alle navi-crociera (porto vecchio) nuova stazione marittima (porto vecchio) parcheggi sotterranei nel porto vecchio riqualificazione di aree da destinare ad attività cantieristica ampliamento del teminal container (porto canale) completamento banchine (porto canale) un distretto della logistica di oltre 600.000 mq E' anche previsto il dragaggio a -18 m di una parte del porto canale, per consentire di accogliere le navi portacontainer di nuova generazione. L'AP ha in programma forme di project-financing solo limitatamente alla nuova stazione marittima e ai parcheggi sotterranei. Autorità Portuale di Marina di Carrara Il Porto di Marina di Carrara non ha più investito dal 2005 dato che sono intervenuti diversi sequestri giudiziari (solo 25 milioni di euro sono stati stanziati per le opere infrastrutturali). Non vi sono progetti di public-private partnership. L'Autorità Portuale ha redatto un nuovo piano regolatore che prevede un nuovo bacino portuale con 4 ulteriori banchine e fondali fino a 10,5 metri, con un fronte d'accosto complessivo di 1800 metri e un porto turistico da oltre 1000 ormeggi. Il nuovo piano regolatore prevede inoltre un'area extra doganale destinata ai traffici ro-ro e passeggeri con relativa stazione marittima, ampi magazzini portuali per complessivi 18.000 mq, viabilità dedicata al traffico su gomma, potenziamento della rete ferroviaria portuale. Autorità Portuale di Catania Sono già stati appaltati i lavori per la realizzazione di una nuova darsena dedicata al traffico Ro-Ro. L'opera dovrebbe essere completata in quattro anni e ha un costo pari a circa 100 milioni di euro, finanziato con fondi statali e comunitari. Una volta realizzata la nuova darsena, l'AP intende bandire una 116 Iniziativa di studio sulla portualità italiana gara per l'affidamento in concessione. Le operazioni di dragaggio (1,5 milioni di metri cubi) porteranno i fondali in corrispondenza della nuova darsena ad una profondità di -13 m. Autorità Portuale di Civitavecchia I progetti infrastrutturali previsti sono: Realizzazione di una nuova darsena traghetti e servizi - 1° Lotto delle Opere strategiche (finanziate dal CIPE con delibere n.140/2007 e n.2/2008) Completamento delle Opere strategiche 2° Lotto: nuovo accesso sud al porto storico, ponte mobile, viabilità, banchine per area crocieristica e commerciale (finanziata dal CIPE la progettazione definitiva). Il fabbisogno per il completamento delle Opere Strategiche del 2°Lotto è pari a 267,5 milioni. Il Porto di Civitavecchia punta allo sviluppo del traffico container, con realizzazione di una piattaforma dedicata presso la darsena grandi masse, da utilizzare in sinergia con le aree retroportuali a disposizione per 6 milioni di mq. Sono stati inoltre recentemente stanziati dal CIPE 33 milioni di euro per il completamento del porto commerciale di Gaeta ed è in corso di progettazione definitiva il nuovo porto commerciale di Fiumicino, che rappresenta il nodo di completamento di un sistema logistico strategico, non solo per la posizione geografica alle porte di Roma, ma soprattutto per la rilevanza degli insediamenti e delle infrastrutture ad esso complementari, quali l’aeroporto Internazionale Leonardo da Vinci, Cargo City, Commercity, l’interporto, la nuova Fiera di Roma, il nodo autostradale tra corridoio Tirrenico e GRA. Il nuovo scalo rivestirà notevole importanza per i traffici commerciali e per i passeggeri, sia delle autostrade del mare, che delle crociere, potendo sfruttare la vicinanza con l’aeroporto, che potrà essere collegato direttamente con un sistema people mover, e la possibilità di raggiungere Roma in brevissimo tempo anche sviluppando nuovi itinerari turistici per mezzo della navigazione del Tevere. Autorità Portuale di La Spezia Il nuovo piano regolatore prevede: l'incremento della capacità dei due terminal container con realizzazione di nuove aree per 200.000 mq (in modo da portare la capacità di movimentazione complessiva a 2,3 milioni di TEU); realizzazione di nuovi moli e banchine per yacht; razionalizzazione degli spazi dedicati all'attività cantieristica; riqualificazione del waterfront urbano, con riconversione ad uso turistico e urbano di aree attualmente dedicate ad attività portuali; realizzazione di un nuovo Terminal crociere. Le iniziative prevedono investimenti complessivi per circa 250 milioni di euro. Al di fuori dell'ambito portuale in senso stretto, si prevede la realizzazione del nuovo centro intermodale di S. Stefano Magra, a soli pochi chilometri dai terminal portuali (attualmente in queste aree insiste un terminal ferroviario realizzato da FS e non utilizzato). Tale nuovo centro intermodale dovrà essere collegato con il porto e con l'interporto di Parma con servizio di shuttle ferroviario. 117 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Nell'area di S. Stefano di Magra sarà possibile lo sviluppo delle attività logistiche su una superficie di 600.000 mq per un costo stimato di 19 milioni di euro. Autorità Portuale di Livorno E' stato redatto uno studio di fattibilità per la realizzazione di una nuova piastra container e terminal autostrade del mare (costo stimato 1 miliardo di euro), facendo ricorso al Progect Financing (hanno sinora manifestato interesse gruppi privati, compagnie di navigazione e anche il porto di Singapore). Autorità Portuale di Messina E' prevista la realizzazione a Pace del Mela di un pontile (profondità -25 m) per servire il centro siderurgico (Duferco). Il pontile dovrebbe costare circa 25 milioni di euro, di cui la metà verrebbe coperta dall'AP e il resto da fondi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. E' stato poi aggiudicato nel 2012 un appalto di 80 milioni di euro (di cui 10 milioni assegnati dal CIPE) per destinare tutto il traffico di auto verso Tremestieri. Si tratta di un intervento straordinario il cui committente è il Commissario delegato, ovvero il sindaco di Messina. Autorità Portuale di Napoli Il progetto più rilevante è Il nuovo terminal container della Darsena di Levante. L'infrastruttura, sarà realizzata in Project Financing e avrà la capacità di circa un milione di TEU. Il costo di circa 400 milioni di euro verrà finanziato in parte dall’Autorità Portuale di Napoli e in parte (per 216 milioni di euro) dalla società concessionaria Co.Na.Te.Co (joint venture tra Cosco e MSC). La durata della concessione è stabilita in 50 anni e il nuovo terminal avrà capacità di movimentare fino a 1 milione di TEU all'anno. Autorità Portuale di Olbia E' previsto un progetto per la riqualificazione di Porto Torres che dovrebbe consentire anche l'attracco di car carries oceaniche (fondali a -18 m). Autorità Portuale di Palermo E’ previsto un progetto di sottopasso autostradale da Palermo verso nord, direzione aeroporto, che, essendo fuori dell'area portuale, richiederebbe un accordo di programma con il Comune. E' previsto un nuovo bacino di carenaggio, il cui progetto è attualmente al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, nonché un porto turistico a S. Erasmo, che dovrebbe essere realizzato in Progect Financing (50% finanziato dai privati e la restante parte con finanziamenti POR del periodo 2000-2006 reinseriti nel periodo 2007-2013). Autorità Portuale di Piombino Il Porto di Piombino soffre di criticità notevoli legate alle opere di bonifica e alle attività di dragaggio. Vi è il progetto della realizzazione di una nuova vasca di colmata di 200.000 mq che potrà essere utilizzata anche per sedimenti provenienti da altri porti. Nell’ottica di fornire un contributo alla soluzione del problema della gestione dei materiali di dragaggio/bonifica attraverso la realizzazione, in conformità dei principi ambientali, di nuove opere infrastrutturali è stato sottoscritto nel 2009 un accordo quadro per lo spostamento a Piombino del materiale di bonifica dell'area a mare del SIN di Bagnoli. Nel 2009 è stato 118 Iniziativa di studio sulla portualità italiana poi siglato dal Ministero dell'Ambiente, ARPA Toscana, ARPA Campania, Provincia di Livorno, ISPRA, ISS, APAT e l'AP, un disciplinare tecnico che stabilisce le procedure e modalità dei controlli e delle analisi da effettuare sui sedimenti provenienti da Bagnoli (circa 32 milioni di mc), destinati ad essere refluiti nelle vasche del Porto di Piombino. E’ stato recentemente approvato il nuovo Piano regolatore portuale, elaborato nel 2008, che prevede nuovi e importanti interventi infrastrutturali, con un sostanziale ridisegno della fisionomia del porto. Il decreto legge 26 aprile 2013, n. 43, individua tra gli interventi urgenti di implementazione infrastrutturale per l’area industriale di Piombino, gli interventi di natura ambientale e di potenziamento delle attività operative previste nel Piano Regolatore Portuale (PRP), con priorità per il piano di caratterizzazione e la bonifica dei sedimenti, nonché quelli riferiti alla struttura viaria e di bonifica. Per assicurare l’attuazione degli interventi è stato stipulato un apposito Accordo di Programma Quadro (APQ) tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l’Autorità Portuale di Piombino, la Regione Toscana e il Comune di Piombino al fine di individuare le risorse per un quadro di interventi per un valore complessivo di 133 milioni di euro. In ultimo il 24 aprile 2014 è stato stipulato un accordo di programma quadro tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i suddetti Ministeri ed Enti territoriali e l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, volto alla disciplina degli interventi per la riqualificazione e la riconversione del polo industriale di Piombino, anche a seguito della cessione dei complessi industriali di Lucchini S.p.A., che mette in campo ulteriori risorse per circa 140 milioni di euro. Autorità Portuale di Salerno Il progetto più rilevante è la nuova stazione marittima progettata dall'arch. Zaha Hadid, del costo di 16 milioni di euro. Autorità Portuale di Savona L'intervento infrastrutturale principale riguarda la realizzazione della nuova piattaforma container con capacità fino a 800.000 TEU (210.000 mq, con banchine di lunghezza 700 m e 3 accosti di cui due ad elevato pescaggio, rispettivamente -15 e -22 m, per ormeggio delle navi portacontainer di ultima generazione). Per la realizzazione della piattaforma container si è fatto ricorso allo strumento del Project Financing con il meccanismo della doppia gara. Il soggetto aggiudicatario della concessione di costruzione e gestione è una A.T.I. il cui mandatario capofila è Maersk. La A.T.I. ha poi costituito la società di progetto APM Terminals, che ha sottoscritto con l'AP la convenzione per la costruzione dell'opera e la gestione in concessione per una durata di 50 anni. Il costo complessivo ammonta a 450 milioni di euro, di cui 150 milioni a carico del concessionario. I lavori di costruzione, avviati nell’autunno 2012, dovrebbero concludersi per l’inizio del 2017. Ad oggi è stato realizzato circa il 9 per cento delle opere, per una spesa di circa 30 milioni di euro. 119 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Autorità Portuale di Venezia I progetti infrastrutturali previsti sono: Il nuovo terminal Ro-Ro di Fusina L'AP di Venezia ha pubblicato nel 2009 il bando di gara in regime di Progect Financing per la realizzazione e gestione in concessione di un terminal destinato allo short sea shipping (Autostrade del Mare) e della connessa piattaforma logistica. La gara è stata aggiudicata al promotore Venice Ro-Port Mos S.c.p.a. con contratto di concessione siglato nel 2010. L’investimento complessivo è pari a 225 milioni di euro (25 milioni di finanziamento pubblico, 200 milioni di finanziamento privato) e la durata della concessione è pari a 40 anni. L’operazione ha visto dal 2006 l’acquisizione dell’area interessata al demanio marittimo, l’adeguamento urbanistico del piano comunale di Venezia, il piano di caratterizzazione ambientale già approvato in conferenza dei servizi. La fase dei lavori durerà 4 anni, ma sono state previste diverse fasi di realizzazione. Dal 4 giugno 2014 è operativa la prima banchina inaugurata in occasione dell'arrivo del traghetto Audacia della compagnia Anek Lines. Il progetto è anche co-finanziato dall'Unione Europea per 10milioni di euro, con il progetto Adriamos (programma Ten-T) con l'obiettivo di potenziare le autostrade del mare tra Italia e Grecia. Il canone di concessione per l’intero periodo si compone di una parte fissa (a partire dal terzo anno dalla stipula della concessione, dato che sul concessionario grava l'onere di bonifica delle aree) e da una parte variabile da commisurarsi in funzione del traffico generato dall'infrastruttura. Sul piano dell'allocazione dei rischi, va sottolineato che, oltre alle cauzioni, fideiussioni e polizze assicurative poste a carico del concessionario ai sensi di legge, la convenzione per la realizzazione e gestione dell'opera prevede: condivisione del rischio di mercato fra Concedente e concessionario con un sistema di canoni concessori incentivante rispetto al traffico assorbito; il piano economico finanziario è aggiornato ogni cinque anni. Acquisizione di aree da riconvertire a strutture logistico-portuali L’operazione, indicata come “Montesyndial”, riguarda la riconversione a fini portuali e logistici di due aree adiacenti a Porto Marghera, per una superficie complessiva di ca. 90 ettari. L’infrastrutturazione dell’area, con realizzazione di un terminal e di un distripark, sarà a carico del concessionario. Ultimate le bonifiche la progettazione, realizzazione e gestione del terminal verrà affidata con le procedure della finanza di progetto. Da segnalare che l’acquisizione dell’area è stata pianificata con una società di scopo controllata dall'AP (Venice NewPort and Logistics SpA). Porto d'altura da realizzarsi a 8 miglia al largo della bocca di porto di Malamocco L’Autorità Portuale è impegnata nella progettazione di un terminal d’altura - con funzioni anche di “porto rifugio” - che in attuazione di quanto previsto all’art. 3 della Legge Speciale 798/1984 consenta l’estromissione del traffico petrolifero dalla laguna di Venezia. Il terminale d’altura sarà collegato agli 120 Iniziativa di studio sulla portualità italiana impianti di stoccaggio e raffinazione di presenti in ambito lagunare mediante apposite tubazioni – pipeline di raccordo degli stessi con il terminale d’altura. Il terminal avrà inoltre la funzione di terminal container di altura e di terminal per la movimentazione di rinfuse secche, da usare anche per allontanare da Marghera i traffici carboniferi e i relativi depositi secondo il protocollo d’intesa APV-ENEL del 2010. Infine, il porto d'altura consentirà di avere a disposizione un porto rifugio utilizzabile in occasione delle chiusure delle bocche di porto, ciò anche alla luce delle nuove normative internazionali sulla sicurezza della navigazione e alla necessità di evitare la penalizzazione introdotta dalle opere del MOSE alle previsioni del Piano Regolatore Portuale esistente. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha accolto la proposta del Magistrato alle acque di Venezia e dell’Autorità Portuale di Venezia definendo la piattaforma portuale d’altura opera di “interesse strategico nazionale”, evidenziando il rinnovato ruolo del Nord Adriatico e dei suoi porti come porta di accesso ai mercati locali del Nord-Est, della Lombardia, dell’Emilia Romagna e ai mercati internazionali di Svizzera, Germania, Austria e Adriatico-Baltico. Nella seduta del 5 maggio 2011 il CIPE ha preso atto dell’avvio dell’iniziativa e degli accordi intercorsi tra il Magistrato alle acque di Venezia e l’Autorità Portuale di Venezia per la progettazione, che vedrà impegnate risorse stanziate a valere sulla L. 798/1984, in attesa dell’ulteriore esame del progetto a seguito del suo inserimento nell’”Allegato infrastrutture” alla Decisione di Finanza Pubblica e nella prossima “Intesa generale quadro Stato-Regione del Veneto”. Il terminal sarà progettato per movimentare da 1,5 a 3 milioni di TEU/anno e avere un potenziale di sviluppo modulare, potendo accogliere navi transoceaniche con una capacità compresa tra 6.000 e 14.000 TEU. Il terminal è concepito per il trasbordo diretto da nave oceanica a chiatte capaci di trasportare ciascuna 200 TEU in 4 ore fino a Marghera. L’importo complessivo dell'opera è stimato in 1,5 miliardi di euro. L'intervento finanziario dello Stato non può riguardare altro che la diga foranea a protezione della piattaforma d'altura, in alternativa all'adeguamento della conca di navigazione di Malamocco intesa come struttura di accesso permanente al porto. Autorità Portuale di Augusta Entro due anni dovrebbero essere completate le opere relative all'adeguamento delle banchine per l'attracco delle navi containers di ultima generazione e l'ampliamento dei piazzali del porto commerciale. Il costo del progetto è finanziato al 30 per cento dall'AP e per la restante parte su fondi PON Mobilità 2007-2013. Esiste anche un progetto per il collegamento ferroviario tra il porto e la rete ferroviaria limitrofa. Si prevede in ultimo di suddividere funzionalmente il porto in 3 settori specializzati: traffico RORO, merci alla rinfusa e containers e attività petrolifere. Autorità Portuale di Gioia Tauro E' stato elaborato da parte dell'AP un progetto di fattibilità per la realizzazione di un canale portuale, di un nuovo terminal, di un collegamento ferroviario e di un interporto collegato con l'interporto di Nola. La realizzazione di tale iniziativa ha il costo di 46 milioni di euro, di cui circa il 50 per cento verrebbe coperto con fondi statali e il restante da privati. 121 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Autorità Portuale di Bari (Autorità Portuale del Levante) Sono previsti nuovi piazzali e nuove banchine nella darsena di Ponente. Autorità Portuale di Brindisi Nel 2007 è stato presentato un piano di riqualificazione e sviluppo che prevede un ampliamento del porto al fine di farlo diventare un porto polifunzionale. Sono previsti 4 progetti: realizzazione di una darsena energetica con circa 1600 metri di nuova banchina in località Cerano, vicino alla centrale dell'ENEL. Tale opera consentirebbe alle navi di giungere direttamente vicino alla centrale evitando di dover trasportare il carbone con gli autotreni o con il nastro trasportatore; costruzione in Progect Financing (almeno per il 50%) di un nuovo Grande Terminal Containers (con profondità di -18 m) a Torre Cavallo, per la movimentazione di circa 3 milioni di TEU all'anno (costo stimato dell'opera circa 650 milioni di euro); tale opera consentirebbe, una volta realizzato anche il corridoio cerniera, di creare un'unica piattaforma logistica insieme a Taranto. La gestione di tale Terminal dovrebbe essere data in concessione (durata prevista 30 anni) a diversi operatori; costruzione di un nuovo Terminal Crocieristico (costo circa 80 milioni di euro) a Punta Riso, con una banchina larga 100 metri e lunga 1.000 m con due pontili, prevedendo la trasformazione dell'attuale diga foranea, la più grande d'Europa. Il progetto è stato presentato al Consiglio Superiore Lavori Pubblici e l'AP ha già stanziato un finanziamento di 12 milioni di euro. La MSC e la Carribean hanno già manifestato interesse. realizzazione di un terminal traghetti, Questi 4 progetti fanno parte del Protocollo d'Intesa del 2009 tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Sindaco e il Presidente dell'AP, relativo al potenziamento del sistema portuale di Brindisi. A tale Protocollo è poi seguita la firma dell'Atto Aggiuntivo all'Intesa Generale Quadro con la Regione Puglia per l'integrazione dei progetti nel Programma delle Infrastrutture Strategiche. Autorità Portuale di Genova Nel PRP sono previsti diversi interventi infrastrutturali: nuovo terminal per le Autostrade del mare; quattro accosti per traghetti di ultima generazione; completamento del terminal contenitori di Genova Voltri (capacità totale di 2 milioni di TEU) ampliamento delle aree contenitori del compendio Ronco-Canepa: capacità totale 400.000 TEU: intervento in corso di cui si prevede il completamento entro il 2015 nuovo terminal contenitori di Calata Bettolo (capacità totale 800.000 TEU), intervento in corso di cui si prevede il completamento entro il 2015 nuovo bacino di carenaggio con lunghezza340 m e larghezza 65m per navi di ultima generazione. L’AP di Genova ha richiesto all'Ente Bacini (che gestisce il 4° bacino di carenaggio nell'area delle riparazioni navali del Porto) di stilare uno studio sulle prospettive dell'attività delle riparazioni 122 Iniziativa di studio sulla portualità italiana navali a Genova. L'analisi ha evidenziato la opportunità di realizzare un sesto bacino. Attualmente, infatti, il Distretto delle Riparazioni Navali Genovesi è in grado di offrire un servizio di riconosciuta qualità a costi ancora competitivi, limitato però a navi di lunghezza inferiore ai 270 metri e larghezza inferiore ai 40. Questa limitazione comporta un rischio di contrazione delle quote di mercato, a causa di spostamenti di intere flotte su aree capaci di servizi estesi a tutte le navi gestite da un operatore); ampliamento della darsena nautica; nuovo terminal crociere di Ponte Parodi; nuovo porto turistico; nuovo sistema di accesso alle aree portuali. Le strategie di sviluppo del porto comprendono anche progetti infrastrutturali che riguardano i retroporti/interporti collegati con il porto di Genova, in particolare quelli di Alessandria e Rivalta Scrivia. Autorità Portuale di Ravenna E’ previsto il progetto per la realizzazione, per stralci successivi, di un moderno Terminal per la movimentazione dei container, su un'area che si trova nella cosiddetta penisola Trattaroli destra, prospiciente il Canale Candiano. Questa posizione garantisce una ottimale fruibilità degli accosti che permetteranno l'approdo a Ravenna di navi grazie alle quali sarà possibile ampliare il mercato di riferimento dello scalo. Il nuovo Terminal sarà dotato di un fascio di binari per servire treni blocco da e per il Centro e il Sud Europa e verrà dotato di gru da banchina postpanamax in grado di garantire la maggiore efficienza sia nella movimentazione di piazzale che in quella sul fascio ferroviario. Il costo dei lavori per la realizzazione della prima fase (da concludersi entro il 2016), ammonta complessivamente a 130 milioni di euro. Di questi, 60 milioni di euro sono risorse dell'Autorità Portuale, già previste nel Piano Triennale degli investimenti, e gli ulteriori 70 milioni di euro sono previsti a valere sui fondi di Legge Obiettivo. La realizzazione della seconda fase, da completare entro il 2020, richiede una ulteriore tranche di 70 milioni di euro. Per rendere Ravenna uno dei protagonisti del traffico contenitori che si potrà sviluppare nell'Alto Adriatico, SAPIR, Contship e CMC hanno raggiunto un accordo in base al quale, se i fondali del porto saranno approfonditi a -14,5 metri, investiranno subito 78 milioni di euro per realizzare la prima parte del nuovo Terminal container, con l'obiettivo di movimentare 650.000 TEUS/anno e conseguire una occupazione, a regime, di 450 persone. L'investimento sarà fatto da TCR (Terminal Container Ravenna) su un'area di 192.000 mq concessa da SAPIR in diritto di superficie. Altri 218.000 mq. saranno tenuti a disposizione per un eventuale ampliamento. I 26 ettari dell'attuale Terminal saranno disponibili per nuove iniziative. Decisivi per la competitività del Terminal saranno i collegamenti ferroviari e la nuova E55. Autorità Portuale di Taranto Nel 2003 fu presentata l'istanza di un “soggetto promotore”, per la realizzazione in Progect Financing di una Piastra Logistica di 200.000 mq con tutti i collegamenti intermodali. L'apporto finanziario dei privati è di circa 37 milioni su circa 220 milioni dell'intero costo dell'opera. Le opere da realizzare, contenute nel Piano Operativo Triennale 2008-2010 aggiornato nel 2009, sono, 123 Iniziativa di studio sulla portualità italiana oltre alla piattaforma logistica propriamente detta, l'ampliamento del 4° sporgente e della darsena da ovest del medesimo. Il finanziamento pubblico delle opere è assicurato dall'AP in parte mediante risorse proprie e in parte provenienti dalla legge 413/98. Circa 21 milioni provengono da risorse di Legge Obiettivo e una quota di 33,6 milioni di euro da risorse del Fondo infrastrutture, assegnate dal CIPE nel 2011. I lavori sono stati aggiudicati alla società di scopo Taranto Logistica. La piastra logistica dell'hub portuale di Taranto consentirà la realizzazione di un modello di piattaforma logistica integrata nei diversi segmenti del trasporto ovvero come centro d'interscambio fra due o più modalità di trasporto (strada-ferro-mare). Funzionale alla Piastra Logistica è la realizzazione della vasca conterminata di contenimento dei materiali di risulta dei dragaggi del porto di Taranto e in particolare quelli connessi all'ampliamento del IV Sporgente. A ridosso del Terminal Container, l'AP di Taranto ha previsto la realizzazione di un distripark in area retro portuale (di circa 750.000 mq), con l'obiettivo di trattenere sul territorio le merci in entrata/uscita dal porto a vantaggio dell'economia locale attraverso operazioni di logistica e di lavorazione che aggiungano valore alle merci stesse. E' prevista, inoltre, la realizzazione di un ulteriore nuovo Terminal Contenitori in grado di offrire i propri servizi ad altri vettori, presso il V sporgente opportunamente ampliato. Tale terminal dovrebbe consistere in piazzali della superficie di 868.000 mq, con banchine di lunghezza pari a circa 2.160 m e fondali a -16,50 m. La stima del costo di realizzazione del nuovo Terminal Contenitori è pari a circa 150 milioni di Euro. Esiste un osservatorio per la cooperazione con gli altri porti della Puglia. Autorità Portuale di Trieste La Piattaforma logistica di Trieste, che costituirà il molo VIII con un’area di circa 25 ha, è compresa nel Programma delle infrastrutture strategiche e nell'Intesa generale quadro Governo-Regione Friuli Venezia Giulia. Il quadro dei principali interventi contenuti nel Piano operativo triennale sono: Piattaforma Logistica – 1° lotto – realizzazione di un nuovo terminal collegato alla Grande Viabilità Triestina (GVT) e alla rete ferroviaria extra portuale, con una banchina di circa 600 m e fondali di 14 m. L'importo del progetto definitivo è di 132,4 milioni di euro, da rivalutare a causa di un aumento dei costi dovuti alla bonifica e ai dragaggi. Con delibera n.75/2006 del 29 marzo 2006, il CIPE ha assegnato all’iniziativa un finanziamento in linea programmatica di 32 milioni di Euro. Piattaforma Logistica – 2° lotto, prosecuzione dell’intervento precedente, con creazione di piazzali attrezzati e di nuove banchine, strutture dalle quali si svilupperà il futuro Molo VIII. Importo: 184,5 milioni € Terminal Ferroviario di Campo Marzio, un nuovo scalo a ridosso del confine demaniale, costituito da una rampa ferroviaria esterna di 4 binari serviti da gru RMGC, con razionalizzazione delle attuali esigenze del trasporto ferroviario dello scalo. Importo: 10 milioni di euro. 124 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Monfalcone Il progetto “Monfalcone”, proposto nel 2011 congiuntamente da Unicredit Logistics e dalla AP Moller del Gruppo Maersk, per la realizzazione in Progect Financing di un nuovo gateway, prevedeva la realizzazione di un scalo con capacità di movimentare in una prima fase fino a 1,6 Milioni di TEU all’anno, e in una seconda fase fino a 3,2 Milioni di TEU. L’estensione del nuovo terminal era ipotizzata in 112,2 ettari in prima fase e in 166,3 nella seconda fase. Il Terminal prevedeva la completa automatizzazione delle operazioni con treni caricati direttamente al suo interno. Il costo del progetto era stimato pari a 1,0 miliardi di euro, di cui 300 milioni finanziati con capitale pubblico (destinato ai dragaggi, all’area di colmata e alle infrastrutture ferroviarie e stradali) e i restanti 700 milioni con capitale privato. Erano previsti dragaggi per 9,3 milioni di mc per una profondità nel canale di accesso di 16,5 metri che avrebbe consentito l’approdo delle navi con pescaggio di 15,5 metri. Per quanto attiene alle infrastrutture ferroviarie era prevista la realizzazione all’interno del terminal di fasci binari elettrificati che consentiranno la formazione di treni blocco di 700 metri. Un aspetto chiave del progetto era la disponibilità di vaste aree portuali e retroportuali, attualmente libere da insediamenti, da utilizzare a fini logistici e per l’installazione di attività correlate. Il progetto sarebbe stato realizzato sulla base di una particolare struttura contrattuale che prevede la costituzione di una NewCo, concessionaria delle infrastrutture portuali, controllata da Unicredit e dagli altri partners finanziari, e con la partecipazione in minoranza di APM Terminals (del gruppo Maersk). Tale società avrebbe concesso in affitto o in subconcessione il terminal ad una costituenda NewCo controllata da APM Terminals che avrebbe gestito l’intero scalo portuale. Una terza NewCo, in cui figuravano Unicredit, Trenitalia ed ERS Railways (controllata dal Gruppo Maersk) avrebbe fornito i servizi ferroviari fino alle destinazioni finali. L’intera operazione si imperniava sulla garanzia, fornita dal Gruppo Maersk, dei volumi di traffico atti ad assicurarne la sostenibilità economico-finanziaria. Il progetto di Monfalcone si inserisce nel trend in atto che vede una integrazione crescente tra le compagnie di shipping e terminalisti e nel caso di specie anche del vettore ferroviario. L’intero scalo portuale e tutte le operazioni ad esso afferenti sarebbero state gestite da un unico soggetto in grado di assicurare servizi integrati e quindi la fluidità della movimentazione di merci. Si consideri, in via esemplificativa, che l’apertura di una rotta diretta dal Far East a Monfalcone con destinazione finale Monaco di Baviera, consentirebbe un risparmio di circa 9 giorni di viaggio considerando sia la tratta marittima che quella ferroviaria, rispetto al percorso Far East - Rotterdam o Amburgo. Il progetto era particolarmente interessante, sia dal punto di vista infrastrutturale sia da quello della struttura finanziaria e gestionale, ma è subito incappato in una situazione di stallo non essendo stata firmata per tempo l’intesa Stato-Regione, propedeutica all’avvio dell’iniziativa. Allo stato attuale del progetto si sono perse le tracce. E’ invece in corso la procedura di valutazione d’impatto ambientale del progetto per l’approfondimento a -12,50 m del canale di accesso e del bacino di evoluzione del porto, con il dragaggio di 885.000 mc di sedimenti da refluire in cassa di colmata. 125 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Molti dei sopracitati interventi sono compresi nei Piani operativi Triennali delle Autorità portuali, che individuano il complesso delle opere che hanno una concreta probabilità tecnica e finanziaria di trovare attuazione nel triennio e la cui analisi fornisce una effettiva stima dell’impegno pubblico nel periodo. 126 Iniziativa di studio sulla portualità italiana ALLEGATO 1.3 Utilizzo dei mutui a carico del bilancio statale per le opere infrastrutturali dei porti al 2009 Il presente capitolo costituisce un aggiornamento dello studio sulle Autorità Portuali già contenuto nel Rapporto sulla Spesa delle Amministrazioni Centrali dello Stato - 2009 79. Rispetto a quella versione, le principali modifiche riguardano l’inclusione nell’analisi dell’utilizzo dei mutui dei dati relativi ad altre quattro Autorità portuali, nonché la considerazione dei principali sviluppi normativi - riguardanti il finanziamento pubblico delle opere portuali - e intervenuti successivamente alla data di elaborazione del predetto Rapporto sulla Spesa. Le Autorità Portuali sono sottoposte alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, esercitata - relativamente all’approvazione dei bilanci - di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Ai sensi dell’art. 2 della legge 21 marzo 1958, n. 259, il rendiconto della gestione finanziaria è soggetto al controllo della Corte dei Conti, che lo esercita secondo le modalità previste dagli articoli 5 e 6 della medesima legge. Quadro di riferimento normativo prima del 2009 Legge 28 gennaio 1994 n. 84 (e successive modificazioni, vedasi in particolare la legge 296/2006) “Riordino della legislazione in materia portuale”. In particolare, l’articolo 13 della legge individua quali entrate delle Autorità Portuali: a) i canoni di concessione delle aree demaniali e delle banchine, b) gli eventuali proventi derivanti dalla cessione di impianti, c) il gettito delle tasse erariali di imbarco e sbarco e delle tasse di ancoraggio, d) i contributi delle Regioni, degli Enti locali e altri Enti e organismi pubblici, e) entrate diverse. Legge 30 novembre 1998 n. 413, “Rifinanziamento degli interventi per l’industria cantieristica e armatoriale e attuazione della normativa comunitaria di settore”. In particolare, all’art. 9 si individua il procedimento da seguire per la realizzazione di opere infrastrutturali di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione dei porti, e si stabilisce che il Ministro dei trasporti adotta uno specifico programma - sentite le autorità e le regioni interessate. Per dare concretezza effettiva agli interventi, le stesse autorità sono autorizzate a contrarre mutui quindicennali - o ad effettuare altre operazioni finanziarie - in relazione a rate di ammortamento determinate dai limiti di impegno quindicennali a carico dello Stato. Il Ministro dei trasporti provvede annualmente ad erogare direttamente a ciascuno degli istituti di credito interessati le quote di rate di ammortamento spettanti. Legge 1 agosto 2002 n. 166, “Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti (Collegato alla Finanziaria 2002) contenente, tra l’altro, norme di accelerazione dei lavori pubblici - e in particolare l’art. 36 contenente disposizioni per l’ammodernamento delle infrastrutture portuali. 79 Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sezione 10.2.2, p. 388. 127 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Legge 4 ottobre 1996 n. 515, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 2 agosto 1996 n. 408, recante interventi urgenti per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna, nonché per l’aeroporto internazionale Galileo Galilei di Pisa”. Anche in questo caso si fa riferimento a programmi finalizzati per le cui spese sono autorizzati limiti di impegno quindicennali. Legge 3 agosto 1998 n. 295, “Disposizioni per il finanziamento di interventi e opere di interesse pubblico”. Sono previste autorizzazioni di spesa per i porti di Trapani, Marsala e Venezia. Legge 23 dicembre 1999 n. 488, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2000)”. All’art. 46 si autorizza la rinegoziazione di mutui con oneri a totale o parziale carico dello Stato. Legge 23 dicembre 2000 n. 388, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2001)”. Art. 145 co. 40: si istituisce un fondo straordinario per la promozione di trasporti marittimi sicuri; co. 61: per l’anno 2001 sono stanziati 50 miliardi di lire per investimenti nelle sedi di Autorità Portuali, i fondi sono ripartiti con decreto interministeriale di concerto (Trasporti e Tesoro). Legge 27 dicembre 2006 n. 296, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2007)”. Art. 1 co. 983: si istituisce un fondo perequativo di 50 milioni di euro la cui dotazione è ripartita annualmente tra le Autorità portuali con decreto del Ministro dei trasporti; co. 991: si autorizza un contributo annuo di 10 ml per quindici anni per la realizzazione di grandi infrastrutture portuali immediatamente cantierabili; co. 994: altri 15 ml annui sono stanziati come contributo per la realizzazione dello stesso tipo di infrastrutture - relativamente alla copertura dei mutui da contrarre nell’anno 2007. Per quanto concerne la composizione delle entrate richiamate al primo punto del box precedente, pur non disponendo di dati quantitativi completi, possiamo osservare come - in corrispondenza della concessione dell’autonomia finanziaria - l’attribuzione alle Autorità Portuali del gettito delle tasse di imbarco/sbarco delle merci, e della tassa di ancoraggio, abbia sostituito i trasferimenti correnti dello Stato, che già nel 2008 risultavano essere praticamente nulli. Trasferimenti correnti dalle Regioni e altri Enti pubblici possono però essere presenti, in misura variabile a seconda delle singole autorità. In ogni caso, essi generalmente rappresentano una quota di entrate correnti di gran lunga inferiore quando presente - alle c.d. entrate proprie. Queste sono costituite principalmente da due componenti: a) gettito delle tasse di imbarco/sbarco delle merci, e della tassa di ancoraggio; b) canoni di concessione di aree e banchine portuali. Normalmente l’ordine di grandezza del gettito della prima componente è superiore a quello della seconda. D’altra parte, per quanto riguarda le entrate in conto capitale, esse consistono quasi esclusivamente di trasferimenti dello Stato (mutui o altri trasferimenti) per l’esecuzione e la manutenzione di opere infrastrutturali. In diversi casi si assiste anche al concorso di contributi regionali, 128 Iniziativa di studio sulla portualità italiana che in ogni caso rappresentano una quota minimale del totale delle entrate in conto capitale. La Tabella A.1 riporta il quadro complessivo - esistente al 22 giugno 2009 - dei capitoli e delle risorse a carico del bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e stanziate a favore delle Autorità Portuali. Tab. A.1 - Capitoli di spesa riguardanti le Autorità portuali. Milioni di euro Capitolo 1380 7060 7260 7261 7265 7267 7269 7274 7364 7620 7631 7658 Denominazione MANUTENZIONE, RIPARAZIONE ED ILLUMINAZIONE DEI PORTI DI I E II CATEGORIA - I CLASSE - E DELLE OPERE MARITTIME, , ETC. FONDO DA RIPARTIRE PER LA PROGETTAZIONE E LA REALIZZAZIONE DELLE OPERE STRATEGICHE DI PREMINENTE INTERESSE , ECC. SOMME DA ASSEGNARE ALLE AUTORITA' PORTUALI PER COSTRUZIONI DI OPERE RELATIVE AI PORTI DI PRIMA E DI SECONDA CATEGORIA - PRIMA CLASSE - NONCHE' DI QUELLE EDILIZIE IN SERVIZIO DELL'ATTIVITA' TECNICA, AMMINISTRATIVA E DI POLIZIA DEI PORTI - DIFESA DI SPIAGGE - SPESE PER LA COSTRUZIONE, SISTEMAZIONE E COMPLETAMENTO DI INFRASTRUTTURE INTERMODALI ED ESCAVAZIONI MARITTIME. COSTRUZIONI A CURA DELLO STATO DI OPERE RELATIVE AI PORTI DI PRIMA E DI SECONDA CATEGORIA - PRIMA CLASSE - , ETC. SOMMA DA ASSEGNARE ALL'AUTORITA' PORTUALE DI VENEZIA PER GLI INTERVENTI RELATIVI ALL'ESCAVAZIONE ED ALLA , ETC. SOMMA DA ASSEGNARE ALL'AUTORITA' PORTUALE DI GENOVA PER LA REALIZZAZIONE DI PROGRAMMI DI RAZIONALIZZAZIONE E , ETC. SOMME DA ASSEGNARE PER LA REALIZZAZIONE DI OPERE INFRASTRUTTURALI NELL'AMBITO DEL PON TRASPORTI 2000-2006 SPESE PER LA REALIZZAZIONE DI OPERE INFRASTRUTTURALI DI AMPLIAMENTO, AMMODERNAMENTO E RIQUALIFICAZIONE DEI PORTI SOMMA, ECC. PER LA ESECUZIONE DI OPERE PUBBLICHE, ECC. NEL TERRITORIO DI TRIESTE CONTRIBUTO PER LO SVILUPPO DELLE FILIERE LOGISTICHE DEI SERVIZI ED INTERVENTI CONCERNENTI I PORTI CON , ECC. FONDO PEREQUATIVO PER LE AUTORITA' PORTUALI FONDO PER L'ATTUAZIONE DEL PIANO DEGLI INTERVENTI CONCERNENTI LA CITTA' DI ROMA E LE ALTRE LOCALITA' DELLA PROVINCIA DI FONDO PER L'ATTUAZIONE DEL PIANO DEGLI INTERVENTI DI INTERESSE NAZIONALE RELATIVI A PERCORSI GIUBILARI, ECC. * al 22.06.2009 7680 Stanziamento 2009 Residui Correnti* 0,93 1,78 N.D. 98,32 0,00 118,96 65,90 187,62 4,75 0,00 9,65 0,00 0,00 40,16 215,54 231,31 0,00 5,16 0,00 50,00 10,00 0,00 0,00 2,66 0,00 0,08 Le risorse di competenza (stanziamento 2009) assommano a circa 307 milioni, laddove i residui correnti raggiungono i 736 milioni. Al 22 giugno 2009, dunque, il valore complessivo delle risorse di bilancio dello Stato - la c.d. massa spendibile - a disposizione delle Autorità Portuali era di circa 1043 milioni di euro. I mutui delle Autorità Portuali I mutui rappresentano uno degli strumenti finanziari di indebitamento più usati dalle pubbliche amministrazioni. Essi vengono erogati da un istituto di credito e sono normalmente assistiti da adeguate forme di garanzia. Di solito si ricorre a tali mezzi per il finanziamento di interventi infrastrutturali da realizzare nel medio lungo-termine. Gli importi del mutuo possono essere erogati in una o più soluzioni, sulla base di richieste che possono far riferimento, in casi specifici, anche agli stati di avanzamento dei lavori. Nel caso delle Autorità Portuali, trattandosi di spese a pagamento differito per la realizzazione di grandi opere, per il loro finanziamento si ricorre spesso ai cosiddetti “contributi pluriennali” (ex “limiti di 129 Iniziativa di studio sulla portualità italiana impegno”), che normalmente corrispondono a rate di ammortamento di mutui (stipulati dagli enti in questione) e il cui onere è assunto a carico del bilancio dello Stato. Da un iniziale esame dei bilanci delle Autorità Portuali, e dei dati relativi ad alcuni mutui, è emerso che: gli interventi per la realizzazione di grandi opere ed infrastrutture sono rubricati nella parte in conto capitale come finanziamenti che provengono dallo Stato, mentre pochissime sono le poste riconducibili ad accensione di prestiti autonomi; le “registrazioni contabili” si traducono in “opere concrete” in tempi molto lunghi. Considerato che tra la definizione degli stati di avanzamento e i pagamenti intercorrono di solito 45 giorni, il pagato può dare comunque la fotografia di quanto si sia riusciti a realizzare nei periodi di vigenza dei mutui. Poste tali risultanze, si è ritenuto opportuno approfondire successivamente l’indagine raccogliendo informazioni di dettaglio sui mutui delle Autorità Portuali risultanti a carico dello Stato, nonché sul relativo stato di avanzamento/pagamento dei lavori con essi finanziati. L’intento principale era proprio quello di ricavare indicazioni quantitative più precise sulla dimensione complessiva delle risorse finanziarie messe a disposizione grazie ai contributi statali, sulla quota di queste risorse giacente inutilizzata (eventualmente in forma “liquida”), ed infine sui tempi medi di giacenza. L’indagine - relativa ai mutui in essere al 30 aprile 2009 - ha riguardato l’intero insieme delle 23 Autorità Portuali allora esistenti, ma dati utili sono stati riscontrati solo per 22 di esse, in quanto Civitavecchia non ha fornito indicazioni. Il quadro riassuntivo delle elaborazioni è illustrato in Tabella A.2. Tab. A.2 - Autorità Portuali: riepilogo utilizzo mutui (milioni di euro) Giacenza inutilizzata di cui in forma liquida %** Durata media della giacenza inutilizzata 68,3 14,5% 4,41 73,0% 80,1 22,6% 4,55 710,80 83,3% 270,4 38,0% 4,52 1.534,39 75,0% 418,8 27,3% 4,52 Aree territoriali Ricavo netto mutui Valori assoluti %** Nord 707,06 469,51 66,4% Centro 485,03 354,09 Sud 853,29 Totale 2.045,39 Valori assoluti * da ti ri l eva ti a l 30 a pri l e 2009 ** l e percentua l i del l a gi a cenza i nutil i zza ta s ono ri feri te a l Ri ca vo netto mutui ; l e percentua l i del l a gi a cenza i n forma l i qui da s ono ri feri te a l l a gi a cenza non util i zza ta Delle Autorità esaminate, sei appartengono all’area settentrionale, sei all’area centrale, e le restanti dieci al meridione. La durata media è stata calcolata come media delle durate ponderata con gli importi delle relative giacenze. Nel complesso, la situazione che emerge desta perplessità. Sullo stock di mutui in essere - per finanziamenti di valore complessivo pari a circa 2,05 miliardi di euro, il 75% risulta essere non speso, ad una distanza in media superiore ai quattro anni e mezzo dalla stipula del contratto di mutuo. Del 75% di cui sopra, oltre il 27% è già stato erogato, e giace dunque in forma liquida presso i conti di Tesoreria delle 130 Iniziativa di studio sulla portualità italiana Autorità Portuali. Per avere un idea della dimensione relativa del fenomeno, si tenga conto che l’ammontare delle giacenze di mutui inutilizzati era pari a circa il 60 per cento del rendiconto finanziario aggregato del 2008. Da un immediato esame delle percentuali di giacenza, e della durata, emerge abbastanza chiaramente l’esistenza di una apprezzabile differenziazione territoriale, con un ordinamento che pone in testa il Nord, a seguire il Centro ed infine il Sud. E’ bene sottolineare come l’accumulo di giacenze liquide nella misura illustrata abbia poco a che fare con lo stato di avanzamento dei lavori, vista la rapidità dei relativi pagamenti. Tale circostanza riflette piuttosto la diffusione di modalità di erogazione ’anticipate’ del mutuo (cioè diverse da quelle a stato di avanzamento dei lavori) in presenza di tempi di spesa molto lunghi. La costituzione di ampie disponibilità liquide con buon anticipo rispetto a programmi di spesa infrastrutturale non ancora ben definiti rappresenta una circostanza critica, in quanto potenzialmente, mette a disposizione - previa autorizzazione - tali somme liquide per altri impieghi. Ciò tanto più quando essa si accompagni alla mancata segnalazione del vincolo di destinazione nell’avanzo di amministrazione, ovvero non incida sull’avanzo a causa di un generico impegno delle somme riscosse, o da riscuotere. In quest’ultima eventualità, a fine esercizio emergono: nel primo caso, risconti passivi che possono rimanere in bilancio - se non si fanno le opere - anche a tempo indeterminato; nel secondo caso, “residui di stanziamento” per i quali non esistono obbligazioni giuridicamente perfezionate, e che confluiscono nella massa dei residui passivi. Sulla base di tali considerazioni si è pensato di procedere ad un esame della differenziazione della situazione delle singole autorità, rappresentando quest’ultima sinteticamente per mezzo di tre indicatori: la percentuale di finanziamento spesa; la percentuale di finanziamento detenuta in forma liquida; la durata media del finanziamento non utilizzato. Il primo può essere assimilato ad una “variabile di output” mentre i restanti due a “variabili di input”: una determinata percentuale di spesa sarà valutata in termini maggiormente positivi quanto più contenute sono le ‘variabili di input’. Il problema della misurazione delle distanze esistenti fra le singole autorità è stato risolto mediante l’impiego del Data Envelopment Analysis (DEA), provvedendo così in maniera endogena al problema della determinazione dei pesi da attribuire alle ‘variabili di input’. I punteggi ottenuti indicano la distanza (in termini di efficienza) fra l’unità esaminata e il proprio benchmark - valutata relativamente alla quantità di inputs impiegati: essa è data come rapporto uniforme fra gli inputs del benchmark e quelli dell’unità considerata. Il benchmark è rappresentato da quell’unità teorica, scelta fra quelle che producono un output maggiore o uguale a quello dell’unità sotto esame, che produce con inputs minori. In altre parole, il punteggio di efficienza in questione rappresenta la percentuale di riduzione equiproporzionale degli inputs che l’unità inefficiente può conseguire senza ridurre il proprio output80, qualora seguisse l’esempio del proprio benchmark. Si noti - dunque - che tali punteggi di efficienza sono “relativi”, poiché ottenuti dal confronto con i migliori esempi disponibili nell’ambito dell’insieme delle Autorità Portuali considerato - e non dal 80 Più precisamente si tratta del complemento ad uno del punteggio di efficienza ‘tecnica’. 131 Iniziativa di studio sulla portualità italiana confronto “assoluto” con un benchmark esogenamente definito. I punteggi di efficienza sono inferiori a 0,7 per cinque Autorità Portuali, compresi tra 0,7 e 0,8 per sette Autorità Portuali, compresi tra 0,8 e 0,9 per sei Autorità Portuali e pari a 1 per quattro Autorità Portuali. Al livello medio dei punteggi, pari a 0,80, si associa una certa dispersione. Vale a dire, nell’ambito della situazione generale non soddisfacente, si segnala la presenza di casi particolarmente critici. Delle cinque unità che hanno un punteggio inferiore a 0,70, quattro sono situate nel mezzogiorno, mentre la rimanente è al centro. Quattro Autorità risultano essere efficienti, vale a dire hanno punteggio pari ad uno, ma solo due di esse sono efficienti in senso proprio. Le restanti due lo risultano essere solo impropriamente, poiché ad una spesa nulla corrispondono mutui stipulati più di recente rispetto al resto delle autorità: la minima durata media del loro finanziamento non utilizzato implica che esse non siano dominate negli inputs, ma la percentuale di spesa nulla impedisce di poterle considerare come efficienti al pari delle altre autorità che lo sono in virtù di un output positivo. Delle due unità efficienti in senso proprio, una appartiene all’area settentrionale e l’altra all’area meridionale. Si osservi, infine, che cinque sono le Autorità Portuali aventi una percentuale di spesa nulla, e sono tutte appartenenti all’area meridionale. Sviluppi successivi e considerazioni finali I dati e l’analisi svolta nei precedenti paragrafi mostrano come, al giugno 2009, il complesso delle Autorità Portuali italiane disponesse di un ingente ammontare di mutui e di risorse finanziarie non utilizzate, cui corrispondeva un discreto livello di inefficienza nell’utilizzo dei mutui - come chiaramente dimostrato dall’esistenza di due sole Autorità portuali efficienti - prevalentemente concentrato nell’area meridionale (cinque autorità meridionali su dieci esibivano una percentuale di spesa dei mutui nulla). Per quanto riguarda l’entità complessiva dei fondi messi a disposizione dal bilancio dello Stato, si noti come agli 1,5 miliardi di mutui inutilizzati bisogna aggiungere le risorse finanziarie aggiuntive mutuabili sulla base degli stanziamenti di bilancio sopra elencati - e assommanti ad oltre un miliardo di euro di ‘massa spendibile’. Ora, anche sottraendo la quota parte di tale “massa spendibile” impegnata dall’ammortamento dello stock di mutui già stipulati, risulta pur sempre un volume di risorse finanziarie aggiuntive della consistenza di alcuni miliardi. In questo senso il Rapporto sulla spesa delle Amministrazioni centrali dello Stato proponeva81, concludendo: “Alla luce dell’analisi condotta, l’amministrazione potrebbe valutare la possibilità di revoca dei finanziamenti una volta decorsi - senza aver ottenuto riscontro oggettivo di attività - un certo numero di anni. Analogamente, nei contratti di mutuo bisognerebbe inserire una clausola per avere la possibilità di ricorrere ad un’anticipata risoluzione dei contratti senza oneri (anche in armonia con quanto previsto dalla normativa in materia di contabilità pubblica). Inoltre, vista l’ingente mole di risorse - confermata da altri finanziamenti concorrenti e dalla sussistenza di somme di mutuo residue ad opere ultimate, si pone il problema di come generalizzare, ovvero rendere cogente, il dettato del comma 1006 della legge 296/2006, il quale prevede il versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme non utilizzate per la realizzazione di particolari interventi infrastrutturali in hub portuali di interesse nazionale.” 81 Cfr., ivi, p. 394. 132 Iniziativa di studio sulla portualità italiana I successivi sviluppi normativi in materia di Autorità Portuali, recati dalla legge 73/2010 - all’art. 4, commi 6, 6 bis, 8 quinquies, e dalla legge 10/2011 - all’art. 2, commi 2 novies-undecies, hanno solo in parte recepito lo spirito delle predette raccomandazioni. In particolare, è opportuno sottolineare l’introduzione della revoca dei fondi statali trasferiti o assegnati alle Autorità Portuali per la realizzazione di opere infrastrutturali. Essa opera qualora “non sia stato pubblicato il bando di gara per l'assegnazione dei lavori entro il quinto anno dal trasferimento o dall'assegnazione” dei fondi in questione. Nel caso la revoca riguardi finanziamenti ottenuti tramite mutui con oneri di ammortamento a carico dello Stato, è disposta la cessione della parte di finanziamento ancora disponibile ad altra Autorità Portuale. Anche la quota dei fondi non utilizzati dalle autorità e riversata in entrata ad apposito capitolo del bilancio dello Stato viene messa a disposizione delle altre Autorità Portuali (cfr. legge 10/2011). Una valutazione positiva deve essere sicuramente espressa in corrispondenza dell’introduzione del meccanismo di revoca che abbiamo appena esposto, la cui necessità era emblematicamente dimostrata dalla rilevazione nella nostra analisi dell’esistenza di ben tre casi limite di Autorità Portuali caratterizzate da una percentuale di spesa nulla in corrispondenza di un portafoglio mutui di età media pari a cinque anni. 133 Iniziativa di studio sulla portualità italiana ALLEGATO 1.4 Gli incontri con le Istituzioni e gli Operatori di settore Di seguito si elencano tutti gli incontri che hanno avuto luogo nel 2011 presso il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica e i relativi partecipanti, nonché le visite effettuate presso scali portuali oggetto di casi studio: 13 aprile 2011: Sottosegretario Giachino, coordinatore della redazione del Piano nazionale per la Logistica 14 aprile 2011: Rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Ing. Incalza, Capo della Struttura tecnica di missione, Ing. Amedeo Fumero, Capo Dipartimento trasporti terrestri e marittimi e il dr. Cosimo Caliendo, Direttore generale dei porti) 14 aprile 2011: Rappresentanti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) 18 aprile 2011: Presidente e Segretario Generale di Assoporti 20 aprile 2011: AP di Gioia Tauro, Cagliari e Augusta 21 aprile 2011: AP di: Ravenna, Catania, Civitavecchia e Livorno 3 maggio 2011: AP di: Bari, Brindisi e Taranto 4 maggio 2011: AP di: Savona, Genova, La Spezia 5 maggio 2011: Presidente della Unione Interporti Italiani (UIR) 11 maggio 2011: AP di Napoli e Salerno; 11 maggio 2011: AP di Venezia e Trieste; 17 maggio 2011: AP di Olbia, Messina e Marina di Carrara 19 maggio 2011: Presidente di Confitarma 24 maggio 2011: AP di Ancona e Piombino 25 maggio 2011: Sen. Grillo (relatore della riforma dell'ordinamento portuale) 25 maggio 2011: Amministratore delegato di Ferrovie dello Stato S.p.A., Ing. Mauro Moretti 25 maggio 2011: Rappresentanti della società UIRNet S.p.a. e della UIR 26 maggio 2011: Presidente dell’ANAS S.p.A., Dr. Pietro Ciucci 20 giugno 2011: Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (Ing. Massimo Sessa, Presidente III Sezione, e Ing. Andrea Ferrante) 21 giugno 2011: Presidente di Assologistica 21 giugno 2011: Segretario Generale della Federazione nazionale Agenti, Raccomandatari marittimi e Mediatori marittimi (FederAgenti) 21 giugno 2011: Presidente di Assiterminal 22 giugno 2011: Vice Presidente di Unicredit Logistics 23 giugno 2011: AP di Palermo 28 giugno 2011: Segretario Generale di Fercargo (l’Associazione delle imprese private operanti nel trasporto cargo ferroviario) 134 Iniziativa di studio sulla portualità italiana 11 luglio 2011: Patrick Verhoeven, Segretario generale dell'European Sea Ports Organisation (ESPO) 21 settembre 2011: Presidente dell’Associazione degli Interporti, Dott. Ricci, che ha presentato il Rapporto sull’interportualità italiana 1 ottobre 2011: Visita presso il Porto di Taranto 13 ottobre 2011: Rappresentanti di FERCARGO, Dott. Di Patrizi, Presidente, e Dott. Giuseppe Rizzi, Segretario Generale, e dell’Interporto Servizi Cargo e Interporto Campano, Dott. Rodrick Loader 18 ottobre 2011: Presidente di INRAIL S.p.A (aderente a Fercargo), Ing. Guido Porta 13-14 dicembre 2011: Visita presso i porti liguri di Genova, savona, e La Spezia. Incontri con i Presidenti delle AP e le compagnie di shipping 19 dicembre 2011: Presidente della AP di Genova dott. Merlo 135 Iniziativa di studio sulla portualità italiana PRINCIPALI ACRONIMI AP Autorità Portuali AV/AC Alta Velocità/Alta Capacità BEI Banca Europea degli Investimenti CEF Connecting Europe Facility CIPE Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica DEF Documento di Economia e Finanza DIPE Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri ERTMS European Rail Traffic Management System (Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario per i grandi corridoi di trasporto) ESPO European Sea Ports Organisation FESR Fondo Europeo di Sviluppo Regionale FMI Fondo Monetario Internazionale GPM Grand Port Maritime (Francia) MTO Multimodal Transport Operator (Operatore di trasporto multimodale) NAPA North Adriatic Ports Articulation OMC Organizzazione Mondiale del Commercio PIT Piano di Indirizzo Territoriale PON Programma Operativo Nazionale POR-FESR Programma Operativo Regionale – Fondo Europeo di Sviluppo Regionale POT Piano Operativo Triennale PPP Partenariato Pubblico Privato PRP Piano Regolatore Portuale RFI Rete Ferroviaria Italiana SIN Siti di Interesse Nazionale TEN-T Trans European Networks – Transport (Reti di trasporto trans europee) TEU Twenty-foot Equivalent Unit (misura standard di volume nel trasporto dei container equivalente a venti piedi) TRAN Comitato dei Trasporti e del Turismo (Parlamento Europeo) VAS Valutazione Ambientale Strategica VIA Valutazione Impatto Ambientale 136 Iniziativa di studio sulla portualità italiana BIBLIOGRAFIA - ‘Un porto al servizio dell’industrializzazione italiana’, in Consorzio Autonomo del Porto di Genova, Archivio Storico, Volume Primo 1870-1902, a cura di D. 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