Continua - Istituto Danone

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TEMI
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E M S
DELLA
NUTRIZIONE
Diagnostica
nutrizionale
Accertamento e valutazione
dello stato nutrizionale
A cura di
Ermanno Lanzola
Direttore del Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica
Università degli Studi di Pavia
Con la collaborazione di
Roberto Bellù, Antonio Carroccio, Alberto Daghetta,
Ermanno Lanzola, Giuseppe Montalto, Alberto Notarbartolo,
Marisa Porrini, Silvia Scaglioni, Anna Tagliabue,
Giulio Testolin, Giovanna Turconi
ISTITUTO DANONE
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ISTITUTO DANONE
P ER
LA
R ICERCA
E LA
C ULTURA
M O T I VA Z I O N I
DELLA
E
N UTRIZIONE
OBIETTIVI
anone è una società multinazionale operante nel settore alimentare. La sua “mission”
istituzionale è quella di migliorare l’alimentazione umana, sia con prodotti di alta qualità, sia con iniziative di ricerca e di divulgazione scientifica. In quest’ottica ha deciso di destinare risorse alla ricerca e alla cultura della nutrizione, dando vita all’Istituto Danone.
D
L’Istituto Danone si prefigge di:
Incoraggiare la ricerca scientifica sul rapporto tra alimentazione e salute;
Promuovere una corretta educazione alimentare;
Diffondere i risultati della ricerca nutrizionale presso gli operatori della salute e dell’educazione alimentare;
Costituire un anello di giunzione tra il mondo scientifico e gli operatori della salute e
dell’educazione alimentare.
Gli obiettivi dell’Istituto Danone sono quindi due:
Conoscere – è incoraggiato mediante l’istituzione di premi per giovani ricercatori e
il finanziamento di progetti di ricerca;
Far conoscere – si esprime con la promozione di attività editoriali e congressuali
mirate a diffondere la cultura della nutrizione.
Per adempiere a questa missione, l’Istituto Danone si avvale di un Comitato Scientifico
che rappresenta l’elemento propositivo, la fonte delle conoscenze ed il garante della scientificità di tutte le attività dell’Istituto stesso. A far parte di questo Comitato sono stati chiamati,
tra i massimi esperti nazionali dei vari settori della nutrizione umana, i professori Marcello
Giovannini (Presidente), Ermanno Lanzola e Carlo Vergani (Vicepresidenti), Vittorio Bottazzi,
Alberto Daghetta, Alberto Notarbartolo, Enrica Riva e Angelo Stacchini.
Sede Istituto Danone: 20124 Milano – Via F. Filzi, 25
Segreteria Scientifica e Organizzativa: Sudler & Hennessey – 20145 Milano – Via F. Guerrazzi, 1
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TEMI
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E M S
DELLA
NUTRIZIONE
Diagnostica nutrizionale
Accertamento e valutazione dello stato nutrizionale
A cura di
Ermanno Lanzola
Direttore del Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica
Università degli Studi di Pavia
Con la collaborazione di
Roberto Bellù
Aiuto Universitario Clinica Pediatrica Ospedale S. Paolo,
Università degli Studi di Milano
Antonio Carroccio
Assistente Universitario di Medicina Interna, Università degli Studi di Palermo
Alberto Daghetta
Professore Ordinario Cattedra di Analisi Chimica dei Prodotti Alimentari,
Università degli Studi di Milano
Giuseppe Montalto
Professore Associato di Medicina Interna, Università degli Studi di Palermo
Alberto Notarbartolo
Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi di Palermo
Marisa Porrini
Professore Associato di Alimentazione e Nutrizione Umana,
Università degli Studi di Milano
Silvia Scaglioni
Ricercatore presso la Clinica Pediatrica Ospedale S. Paolo,
Università degli Studi di Milano
Anna Tagliabue
Ricercatore presso il Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica,
Università degli Studi di Pavia
Giulio Testolin
Professore Ordinario di Fisiologia della Nutrizione e Razionamento,
Dipartimento Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche
Sezione Nutrizione, Università degli Studi di Milano
Giovanna Turconi
Ricercatore presso l’Istituto di Scienze Sanitarie Applicate,
Università degli Studi di Pavia
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ndice
Introduzione
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E. Lanzola
Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
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E. Lanzola
Metodi di valutazione dei consumi alimentari
29
S. Scaglioni, G. Turconi
Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
49
R. Bellù, A. Tagliabue
Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione
di proteine, vitamine e minerali
75
A. Daghetta, M. Porrini, G. Testolin
Test immunologici e funzionali nella valutazione
dello stato nutrizionale
A. Carroccio, G. Montalto, A. Notarbartolo
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ntroduzione
E. Lanzola
Le acquisizioni delle ultime decadi
hanno posto chiaramente in evidenza la
dipendenza della salute dal processo
nutritivo ed hanno anche precisato
quanto potenziale di efficienza fisica e
psichica possa derivare all’individuo da
un’adeguata nutrizione. La nutrizione,
infatti, secondo la vecchia ma chiara
definizione di Mc Carrison “è la somma
di atti o processi per mezzo dei quali la
struttura e le funzioni di tutti gli organi e
parti dell’organismo vengono determinate e mantenute; in breve è la funzione dell’organismo da cui dipende la salute”.
Lo stato di nutrizione esprime perciò
il grado con cui sono soddisfatte le necessità fisiologiche di un soggetto in relazione ai vari nutrienti introdotti con il
regime alimentare e, mentre costituisce
un aspetto particolare dello stato di salute, condiziona, a sua volta, altri aspetti
della salute stessa quali: resistenza alle
infezioni, insorgenza di malattie degenerative, ecc. L’intreccio di dipendenze tra
nutrizione e salute, la capillarità di condizionamenti tra equilibrio dinamico nutritivo e manifestazioni vitali dell’organismo
assumono un valore ancora più grande
quando si consideri la frequenza reale
della malnutrizione sia per difetto che
per eccesso o per squilibri alimentari.
Da queste premesse parte l’interesse che, dagli anni Cinquanta in poi,
è andato via via crescendo per il capitolo dell’“accertamento dello Stato di nutrizione”, come veniva chiamato una
volta e che oggi più appropriatamente è
considerato una branca della diagnostica medica corredata di una propria semeiotica. Grazie anche al progresso
della tecnologia applicata al settore medico questa branca si è sviluppata in
modo sempre più complesso in analogia, del resto, ad altri aspetti della professione medica.
L’espressione semplicistica “ben
nutrito” con cui fino a qualche decina
d’anni or sono veniva qualificato nella
cartella clinica lo stato di nutrizione di
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Introduzione
un paziente appare oggi superficiale se
non addirittura anacronistica e deve lasciare il posto ad una valutazione più
tecnica ed obiettiva dello stato di nutrizione. Hanno concorso a questo mutamento di pensiero anche i progressi
compiuti nel settore della nutrizione clinica e dell’alimentazione artificiale (nutrizione parenterale totale e nutrizione
enterale) che richiedono un monitoraggio continuo e adeguato dello stato nutrizionale del paziente.
Ad un tema dunque tanto importante ed attuale l’Istituto Danone ha inteso
dedicare il secondo quaderno degli
ITEMS. Il lavoro è frutto di esperienza
personale degli Autori ed è ispirato a
criteri squisitamente pratici, non trascurando tuttavia di fornire ogni volta il “razionale” delle varie determinazioni e misure che fanno parte della Semeiotica
nutrizionale.
Scopo primario del quaderno, infatti, è di offrire a tutti i medici e non solo
agli specialisti in Scienza dell’Alimentazione una breve guida di diagnostica
nutrizionale aggiornata, sicura e di facile
consultazione.
Prof. Ermanno Lanzola
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e basi conoscitive
della diagnostica
nutrizionale
E. Lanzola
Direttore del Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica –
Università degli Studi di Pavia
L’eziologia delle malattie non trasmissibili che possono colpire l’uomo è,
come è noto, multifattoriale; tuttavia, tra
i vari fattori, è universalmente riconosciuto il ruolo svolto dall’alimentazione
che è in grado di influenzare, anche
profondamente, lo stato di salute sia
degli individui che delle comunità.
Sebbene le correlazioni più conosciute tra alimentazione e malattie non
trasmissibili siano di tipo più associativo
che causale esiste un largo consenso
circa il nesso di causalità per alcune
forme morbose quali coronaropatie
ischemiche, malattie cerebro-vascolari,
alcuni tumori, cirrosi epatica, diabete
non insulino-dipendente, obesità e in
gran parte anche per l’osteoporosi.
A queste malattie degenerative
vanno aggiunte alcune forme carenziali
che permangono nella nostra società
come i disordini da carenza di iodio (con
manifestazione ultima il gozzo) e le anemie nutrizionali (1).
Le relazioni tra alimentazione e sta-
to di salute sono schematicamente rappresentate nella Figura 1 dalla quale
appare evidente la posizione chiave che
occupa il riconoscimento dello stato nutrizionale nella dinamica che, partendo
dal rischio dietetico, porta al condizionamento dello stato di salute.
Classificazione
della malnutrizione
Le malnutrizioni possono essere
classificate in funzione di vari parametri;
una prima e ovvia classificazione è basata sul fattore nutritivo la cui deficienza
o eccedenza è responsabile della malattia. Seguendo una classifica che tiene conto di gruppi analoghi di fattori
nutritivi si ha:
a. malnutrizione proteico-energetica;
b. malnutrizione lipidica;
c. malnutrizione vitaminica e da fattori affini;
d. malnutrizione idro-minerale.
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Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
Figura 1
Ipotesi di lavoro,
modello concettuale.
(da Ferro Luzzi A, 1994)
DETERMINANTI
Fattori socio-economici
RISCHIO DIETETICO
• livello di reddito
• scolarità
Dieta: scelta
alimenti e modelli
• professione
• qualità nutrizionale
Fattori socio-demografici
• area geografica
• quantità
• varietà
• zona rurale o urbana
• origine etnica
• nutrienti essenziali
• sostanze protettive
Fattori biologici
• sostanze dannose
• stato fisiologico
• condizione di salute
• età e sesso
La malnutrizione da insufficiente
apporto energetico si accompagna in
pratica alla malnutrizione proteica sia
perché in questo tipo di malnutrizione
l’apporto proteico è quasi sempre carente sia perché anche quando è sufficiente le proteine vengono in gran parte
utilizzate per produrre energia.
D’altra parte, sebbene sperimentalmente sia possibile riprodurre allo stato
puro tutte le suddette malnutrizioni, esse si presentano in natura più o meno
sovrapposte cosicché in pratica si tro-
vano quadri molto complessi dove un tipo di malnutrizione prevalente è complicato da una o più malnutrizioni accessorie.
Queste a loro volta si distinguono in
malnutrizioni per difetto e per eccesso.
Una seconda classificazione tiene
conto del decorso e dell’aspetto clinico
della malnutrizione.
Essa distingue pertanto le forme
acute, appariscenti o classiche (obesità,
rachitismo, scorbuto, ecc.), da quelle
croniche, latenti o subcliniche.
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E. Lanzola
STATO PRE-CLINICO
Stato nutrizionale
• modifiche
biochimiche
metaboliche
a. malnutrizioni primarie (cioè di origine alimentare);
b. malnutrizioni secondarie o condizionate (cioè prodotte da meccanismi
che, indipendentemente dall’apporto
alimentare, alterano il fabbisogno, l’assorbimento, l’escrezione e il metabolismo dei singoli fattori nutritivi).
L’eziologia delle forme primarie è
rappresentata da tutte le cause che direttamente influenzano, in senso negativo o positivo, la disponibilità ed il consumo dei principi nutritivi contenuti nella
razione alimentare quotidiana. Essa in
genere riguarda più le comunità (carestie regionali, campi di prigionia, ecc.)
che non i singoli individui.
La malnutrizione secondaria o condizionata si realizza quando l’inadeguatezza nutritiva è determinata da fattori
diversi dalla insufficienza alimentare.
Essa è il corollario di particolari situazioni fisiologiche e patologiche, di trattamenti terapeutici, che interferiscono
sull’ingestione, l’assorbimento, l’utilizzazione dei principi nutritivi o che ne aumentano le quote di fabbisogno, escrezione, distruzione.
I principali fattori sono i seguenti:
a. variazioni del fabbisogno nutritivo
(gravidanza, accrescimento, convalescenza, attività fisica elevata, alta temperatura e forte umidità dell’ambiente
ESITO
Stato di salute
• morbosità
• mortalità
Da questo punto di vista va tenuto
presente che nella nostra società la
maggior parte delle malnutrizioni umane
decorre con aspetti clinici poco appariscenti; queste forme subcliniche, pur
non essendo letali a breve termine, rappresentano una delle cause più comuni
di sofferenza e di limitata efficienza per
vaste comunità umane.
Una terza classificazione, peraltro
largamente adottata, tiene conto del
modo di origine della malnutrizione e
pertanto distingue:
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Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
esterno, febbre, terapie speciali, ecc.);
b. anormale assorbimento di principi nutritivi (malattie gastrointestinali,
malattie epatobiliari, stato fisico o chimico di certi principi nutritivi, terapie
speciali, ecc.);
c. ostacolata utilizzazione dei principi nutritivi (epatopatie, tumori maligni,
malattie metaboliche, ipotiroidismo,
ecc.);
d. aumentata distruzione di principi
nutritivi (acloridria, tossicosi esogene,
terapie speciali, ecc.).
Al contrario delle malnutrizioni primarie le secondarie sono per lo più individuali ed il loro quadro clinico è spesso complicato da fenomeni morbosi caratteristici della malattia condizionante.
dall’esaurimento delle riserve nutritive
eventualmente presenti nelle cellule e
nei liquidi organici.
Segue quindi il vero e proprio danno tissutale che comprende a sua volta
tre fasi teoricamente successive, ma
che in pratica sono parzialmente sovrapposte.
Prima Fase: danno biochimico
Consiste essenzialmente in un’alterazione dei sistemi enzimatici cellulari con
accumulo di metaboliti intermedi o
anormali (come, per esempio, acido piruvico nella malnutrizione aneurinica); si
tratta di una fase reversibile.
Seconda Fase: danno funzionale
Questa è la conseguenza diretta della
prima fase e compare indipendentemente da qualunque apprezzabile alterazione morfologica cellulare. Questo
danno cellulare può essere tanto grave
da diventare incompatibile con la vita
(per esempio, morte improvvisa dei piccioni beriberici); esso, in genere, è
completamente e rapidamente reversibile, come lo è il danno biochimico. Le
manifestazioni di questa seconda fase
sono molteplici: generali (astenia, anoressia, dolori diffusi, ecc.) o specifiche
(emeralopia, fragilità capillare, disturbi
nervosi, ecc.).
Terza Fase: danno anatomico
Questo è rappresentato da lesioni cellu-
Patogenesi
della malnutrizione
per difetto
Il meccanismo patogenetico della
malnutrizione per difetto è legato allo
stato di carenza cellulare di uno o più
fattori nutritivi. Come tale esso segue
alcune tappe evolutive, obbligate, la cui
successione cronologica è più o meno
rapida a seconda del tipo di carenza e
dello stato di nutrizione del soggetto (2).
La prima tappa è rappresentata
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lari di tipo degenerativo, regressivo o
anche produttivo, e costituisce un tipo
di danno che spesso è irreversibile (per
esempio, polineurite beriberica, fibrosi
epatica, deformità rachitiche, ecc.).
Il decorso e la prognosi della malnutrizione sono influenzati dalla capacità
individuale di adattamento al danno funzionale (come, per esempio, la riduzione del fabbisogno specifico), dagli
stress fisiologici e patologici che colpiscono le unità biologiche, ecc.
Da un punto di vista generale la
malnutrizione infantile è più allarmante
di quella dell’adulto non solo perché è
più facilmente letale, ma anche perché
lascia spesso tracce indelebili in organi
vitali come: ipoevolutismo fisico e psichico, fibrosi del fegato e del miocardio,
maggiore recettività verso certe malattie, ecc.
Per quanto riguarda i pazienti ospedalizzati, deve essere sempre sospettato per alcuni di essi uno stato di malnutrizione al momento dell’ammissione in
ospedale ovvero durante la degenza.
Si tratta di:
– pazienti anziani;
– pazienti con ictus pregresso;
– pazienti con malattie croniche, quali artrite, e anoressia associata;
– pazienti con traumi massivi acuti;
– pazienti con ustioni;
– pazienti con tumori maligni;
– pazienti sottoposti a chemioterapia e
terapia radiante;
– pazienti ricoverati per interventi gastrointestinali che restano in nutrizione
parenterale dopo l’intervento;
– pazienti con infezioni massive;
– pazienti affetti da malattie mentali;
– pazienti affetti da patologia gastroenterica o affetti da sindrome di malassorbimento.
Metodiche di impiego
in diagnostica
nutrizionale
La diagnostica nutrizionale utilizza
svariate metodiche appropriate ai diversi stadi di sviluppo della carenza nutrizionale (Tab. 1). I metodi sono basati su
una serie di determinazioni che vanno
da indagini dietetiche a misure antropometriche, fisiche, di laboratorio nonché
a rilevamenti clinici.
Queste metodiche possono essere
impiegate di volta in volta singolarmente o, più spesso, in combinazione tra
loro.
Le indagini dietetiche, che possono essere condotte con modalità varie
(come viene descritto nell’apposito capitolo) costituiscono un valido ausilio
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Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
Tabella 1
da Gibson RS, 1989
(modificata)
Fase
Metodiche impiegate
1. Inadeguatezza alimentare
Indagine alimentare
2. Diminuzione livello
delle riserve tissutali
Antropometriche, Fisiche, Biochimiche
3. Diminuzione livello
nei liquidi corporei
Biochimiche
4. Diminuzione livello funzionale
dei tessuti
Antropometriche, Fisiche, Biochimiche
5. Diminuzione attività
di enzimi nutrienti-dipendenti
Biochimiche
6. Alterazioni funzionali
Comportamentali-Fisiologiche
7. Sintomi clinici
Cliniche
8. Segni anatomici
Cliniche
nell’identificazione di specifiche carenze alimentari.
Dall’indagine può risultare, infatti,
che l’assunzione di uno o più nutrienti
sia inadeguata per una carenza primaria
(ridotto livello del nutriente nella dieta)
ovvero per una carenza secondaria. In
quest’ultimo caso gli apporti alimentari
risultano adeguati alle necessità nutrizionali tuttavia vari fattori condizionanti
(quali certi farmaci, componenti della
dieta o stati patologici) possono interferire con l’ingestione, la digestione, l’assorbimento, il trasporto, il metabolismo
e l’escrezione del nutriente.
Con le misure antropometriche si
ottengono dati relativi in particolare alla
composizione corporea (vedasi paragrafo successivo) a sua volta correlata
nel lungo termine a squilibri eventuali
nell’apporto di energia e proteine. Rivestono un significato antropometrico
anche le misure che si avvalgono di
strumentazione fisica come è il caso
della bioimpedenzometria (BlA) e della
conducibilità elettrica totale del corpo
(TOBEC).
Le metodiche che si appoggiano al
laboratorio di chimica clinica consentono di identificare vari gradi di malnutrizione lungo il decorso della malnutrizione stessa. Come è stato già accennato
nelle carenze nutrizionali sia di origine
primaria che secondaria le riserve tissutali di nutrienti si esauriscono gradualmente. Come risultato di questo esaurimento si possono verificare riduzioni nel
livello dei nutrienti stessi o dei prodotti
del loro metabolismo, riscontrabili sia in
determinati liquidi corporei che nei tes-
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suti ovvero nell’attività degli enzimi dipendenti dai nutrienti deficitari.
Tale deplezione può essere evidenziata mediante test biochimici e/o prove
che misurano le funzioni fisiologiche o
comportamentali dipendenti da uno
specifico nutriente (3) come avviene, ad
esempio, per l’adattamento all’oscurità
(vitamina A), per la sensibilità gustativa
(zinco), per la fragilità capillare (vitamina
C), per la funzione cognitiva (ferro).
I test funzionali forniscono una misura dell’importanza biologica di un determinato nutriente dal momento che
essi evidenziano le conseguenze funzionali della carenza nutrizionale (4). Una
anamnesi precisa ed un esame fisico
accurato costituiscono i pilastri fondamentali della metodologia clinica per
evidenziare i segni ed i sintomi associati
con la malnutrizione.
Tuttavia sia i segni che i sintomi sono spesso non specifici e si presentano
generalmente quando la malnutrizione è
ormai in uno stadio avanzato. Per questo motivo la diagnosi di carenze nutrizionali non può essere basata esclusivamente su metodi clinici (5) che devono
necessariamente essere corredati dei
risultati di accertamenti di laboratorio.
È appena il caso di aggiungere che
quando l’accertamento dello stato di
nutrizione riguarda collettività o popola-
zioni va presa in considerazione la raccolta di informazioni su un certo numero
di variabili che notoriamente influenzano
lo stato nutrizionale di una popolazione
quali i dati economici e sociodemografici, il livello culturale, le abitudini e i pregiudizi alimentari nonché il costo della
spesa alimentare. Hanno quindi importanza i dati su commercio, distribuzione,
conservazione degli alimenti, i dati sulle
statistiche socio-sanitarie. A proposito
di queste ultime può risultare utile acquisire informazioni sulla percentuale
della popolazione che ha a disposizione
fonti sicure di acqua potabile, sulla percentuale di bambini vaccinati contro il
morbillo, sulla percentuale di neonati di
basso peso, sui tassi di mortalità per
età e per causa.
In sintesi le misure per la valutazione dello stato di nutrizione possono essere suddivise in: misure di base o fondamentali, misure di seconda istanza,
misure di terza istanza secondo lo
schema seguente.
A. Misure di base o fondamentali
1. Storia alimentare (stima dell’intake attuale di kcal, proteine, grassi, vitamine, minerali);
2. esame fisico comprendente le
misure antropometriche;
3. esame clinico con particolare
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Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
attenzione a cute, mucose, occhi, capelli, unghie.
concentrazione corpuscolare media di
emoglobina (ossia il rapporto tra emoglobina e ematocrito). Questi dati vengono impiegati come indicatori dello
stato di nutrizione (6).
B. Misure secondarie
1. Stima diretta delle effettive introduzioni alimentari e cioè di energia, proteine, grassi, vitamine e minerali;
2. test chimico-clinici elementari:
esame emocromocitometrico, elettroliti
sierici, glicemia, lipidemia, albumina sierica, creatinina urinaria delle 24 ore e
azoto ureico, calcemia, protrombinemia.
Composizione
del corpo umano:
compartimenti corporei
Per una migliore comprensione del
significato delle misure antropometriche
(descritte in dettaglio in un capitolo
successivo) si ritiene utile riportare in
questa sede qualche dato relativo ai cosiddetti compartimenti che costituiscono il corpo umano.
Lo studio sistematico della composizione del corpo umano ha avuto inizio
oltre 100 anni or sono quando i pesi dei
vari organi e dei diversi segmenti scheletrici vennero accuratamente misurati
in cadaveri ed i risultati furono riportati
nei trattati di Anatomia.
A cavallo tra l’Ottocento e il
Novecento fecero seguito tentativi di
misurare la composizione corporea in
vivo; da allora, sfruttando di volta in volta apparecchi, tecniche e metodologie
nuove, tali ricerche continuano anche al
giorno d’oggi.
Allo stato attuale lo studio della
C. Misure terziarie
1. Misure dei livelli di nutrienti nel
sangue, nelle urine, nei capelli, nelle feci;
2. studio dei bilanci metabolici (ad
esempio dell’azoto, dei grassi);
3. misura di “indicatori” di alcuni nutrienti quali: transferrina, TIBC, retinolbinding protein, ceruloplasmina;
4. test di carico quali: istidina, triptofano;
5. test cutanei per l’ipersensibilità
ritardata.
Va ricordato, infine, che dati derivanti dai vari metodi impiegati in diagnostica nutrizionale vengono sovente
combinati fra loro per stabilire degli indici. Esempio di tali combinazioni sono il
peso per età, il valore della creatinina
urinaria per l’altezza, il valore dell’emoglobina in relazione all’età e al sesso, la
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composizione corporea si situa all’interfaccia delle ricerche sull’accrescimento,
lo sviluppo, la gravidanza, l’allattamento, la senescenza e vari stati patologici
quali il diabete e la sindrome di immunodeficienza acquisita (AIDS).
Studiare la composizione corporea
significa suddividere la massa corporea
in due o più compartimenti in funzione
dei componenti minerali, chimici, anatomici o fluidi.
Il modello chimico costituisce la
pietra miliare nello studio della composizione del corpo umano: da esso derivano, in tutto o in parte, gli altri modelli.
L’importanza del modello chimico è anche dovuta al suo ruolo centrale nello
studio del metabolismo energetico, del
metabolismo proteico, lipidico e minerale.
Il classico modello chimico, derivato
dalle ricerche sui cadaveri, presenta sei
compartimenti a loro volta distribuiti in
tre gruppi principali e cioè acqua, minerali e sostanza organica. Il gruppo dei
minerali è costituito dai due componenti: minerali ossei (75%) ed extra ossei
(25%).
I minerali extra ossei sono distribuiti
tra i compartimenti intra ed extra cellulari. I tre componenti organici sono costituiti da glicogeno, proteine e grasso.
Il glicogeno, sebbene rappresenti sol-
tanto l’1%, o anche meno, del peso
corporeo, è incluso per completezza nel
modello.
Pertanto il modello a sei compartimenti nei quali è suddivisa la massa
corporea (MC) può essere sintetizzato
dalla equazione seguente:
MC = A + Mo + Mc + Pr + Gl + Gr + R
dove:
A = acqua
Mo = minerali ossei
Mc = minerali cellulari
Pr = proteine
Gl = glicogeno
Gr = grasso
R = componenti residui
non misurati.
Nel soggetto vivente, tuttavia, per
la ovvia impossibilità di misurare in vivo
alcuni dei componenti della massa corporea si ricorre generalmente ad un
modello a 2 compartimenti anche se
negli ultimi venti anni la possibilità di impiegare sistemi di analisi sofisticati quali, ad esempio, l’attivazione neutronica e
l’assorbimetria total body bifotonica ha
consentito di sviluppare nuovi modelli
pluricompartimentali fornendo stime
della composizione corporea tali da minimizzare gli errori dovuti all’età, alla
razza, alla presenza di obesità, che purtroppo sono inevitabili nel modello a
due compartimenti (7-11).
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Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
corpo umano si può considerare costituito da due compartimenti di densità
relativamente costante, ma differenti in
composizione:
1. la massa lipidica totale (FAT
Mass) misurata in kg, ha densità pari a
0,9 g/ml. Questa costituisce circa, in
condizioni fisiologiche, il 15-18% del
peso corporeo totale nei maschi e il 2528% nelle femmine;
2. la massa corporea alipidica o
massa magra (FFM, Fat Free Mass),
che si ottiene sottraendo dal peso corporeo il valore della FAT mass. È anch’essa misurata in kg, con densità pari
a 1,1 g/ml.
Anatomicamente è costituita da
muscoli scheletrici e non scheletrici, da
tessuti magri e dallo scheletro e contiene mediamente:
– proteine 19,5%;
– acqua 72,4%;
– minerali (scheletro) 8,0%;
– glicogeno 0,1%.
È da sottolineare che i muscoli
scheletrici e non scheletrici e i tessuti
magri di alcuni organi costituiscono i
tessuti metabolicamente più attivi.
Modello a due compartimenti
Quando, intorno alla fine degli anni
Quaranta, iniziarono gli studi relativi alla
composizione corporea nell’uomo vivente, dei sei compartimenti sopra segnalati soltanto uno poteva essere misurato
in vivo e cioè l’acqua corporea totale.
Un approccio alternativo era quello di
costruire modelli convenienti di composizione corporea che raggruppassero
insieme diversi compartimenti. Questi
modelli vennero trovati partendo sia da
assunti teorici che da analisi empiriche
impiegando dati provenienti da campioni di autopsie di cadaveri umani o animali. Venne seguito il concetto generale
di scindere la massa corporea nei suoi
compartimenti metabolicamente attivi e
nei depositi di energia costituiti da grassi. In base a questo approccio il grasso
è costituito dai lipidi estraibili con etere
e ciò che rimane è la Massa Priva di
Grasso (Fat Free Mass, FFM).
Pertanto il modello a due compartimenti può essere definito dalla seguente equazione
BW = F + FFM
dove:
Bw (Body Weight) = Massa Corporea
F = grasso
FFM = A + Mo + Mc + Pr + Gl
In base a questo modello, quindi, il
1. Massa lipidica totale (FAT Mass)
Alla nascita il grasso corporeo costituisce circa il 14% del peso totale, a
12 mesi il 23% e a 6 anni il 18% (12).
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Durante questo periodo, nelle femmine
è leggermente superiore che nei maschi e tale differenza aumenta in modo
più pronunciato dopo i 6 anni. Nell’adolescenza la differenza del contenuto di
grasso corporeo è ancora più accentuato tra i due sessi e tale differenza
persiste nell’età adulta.
Nell’adulto, come già accennato, la
percentuale di grasso corporeo è del
15-18% nel maschio e del 25-28%
nella femmina.
marcata diminuzione dell’accrescimento
staturale dopo il menarca. Nella seconda decade di vita, le femmine aumentano la loro FFM solo di una volta e mezzo. Alla maturità, la FFM è pari a circa
42 kg per un peso corporeo totale di
circa 63 kg (66,6%) (13).
Nell’età adulta e in seguito durante
l’invecchiamento, in entrambi i sessi si
verifica un declino della FFM che diventa evidente intorno ai 40 anni. A 85 anni, la FFM raggiunge un valore che è
pari a 3/4 di quello dell’adulto. Con
l’avanzare dell’età viene perso più potassio che azoto, il che sta a indicare
che la massa magra, ricca di potassio,
si riduce in modo marcato. La perdita di
potassio è circa il 10% tra i 60 e gli 80
anni. Soggetti con età superiore a 70
anni hanno circa il 40% di muscolatura
in meno rispetto agli adulti, mentre manifestano una minore riduzione della
massa degli organi viscerali. La perdita
della massa muscolare è contemporaneamente associata ad un incremento
del grasso e a una riduzione dell’acqua
corporea. Questo fatto spiega altresì la
progressiva riduzione del metabolismo
basale (MB) con l’avanzare dell’età.
È da sottolineare che nella tarda
età si verifica, insieme a un decremento
della massa muscolare, anche una riduzione di quella ossea.
2. Massa magra (Fat Free Mass)
Per quanto riguarda la massa magra, i maschi mostrano un aumento rapido e permanente, con modesto acquisto di grasso corporeo nella prima
fase della pubertà, seguito poi da una
riduzione. Il periodo dell’aumento della
massa magra coincide con l’accrescimento più rapido in altezza e continua
sino a 20-25 anni. Nella seconda decade di vita, i maschi raddoppiano la loro massa magra. Alla maturità (intorno
ai 50 anni) la FFM è pari a circa 60 kg
per un peso corporeo totale di circa 70
kg (85,7%) (13).
Le femmine, al contrario, presentano un minor aumento della FFM mentre
acquisiscono più grasso corporeo. L’incremento della massa magra termina
intorno ai 18 anni, in accordo con la
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Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
Durante le diverse età, comunque,
all’interno della FFM esistono differenze
tra le proporzioni dei vari tessuti: dalla
nascita alla maturità, il cervello aumenta
di circa cinque volte; il fegato, cuore e
reni, metabolicamente più attivi, aumentano 10-12 volte, mentre la muscolatura incrementa la sua massa sino
a 40 volte.
che praticano attività sportiva e in seguito a sudorazione. È da sottolineare
che i muscoli contengono circa il 75%
dell’acqua intracellulare.
Il contenuto corporeo di acqua varia
con l’età, il sesso, e la proporzione tra il
tessuto muscolare e quello adiposo. È
più elevato nella prima infanzia, negli
uomini rispetto alle donne e negli atleti
rispetto a chi non pratica attività sportiva. Con l’avanzare dell’età, accanto a
un declino della massa magra e ad un
aumento di quella lipidica, si verifica
una riduzione del contenuto di acqua
corporea.
All’inizio dello sviluppo endouterino,
il feto è costituito da circa il 94% di acqua, il neonato dal 77%. Negli anni
successivi, la quantità di acqua si riduce
ulteriormente, soprattutto quella extracellulare, a seguito dell’aumento della
massa cellulare. Al termine dell’accrescimento corporeo (25 anni) il contenuto tende a stabilizzarsi per ridursi ulteriormente dai 45 anni in poi. È da sottolineare che dai 25 ai 50 anni inizia
una diminuzione progressiva della massa cellulare accompagnata, come già
precedentemente evidenziato, da una
perdita di potassio.
Nella Tabella 2 vengono riportate le
modificazioni dell’acqua e del grasso
corporeo con l’età.
Acqua corporea totale
(compresa nella massa magra
nel modello a due
compartimenti)
L’acqua corporea totale rappresenta circa il 60% del peso corporeo
nell’adulto ed è costituita da acqua intracellulare (34% circa del peso corporeo) e acqua extracellulare (26%).
L’acqua extracellulare a sua volta si
divide in:
– acqua plasmatica: 4,1% del peso
corporeo;
– acqua della linfa interstiziale: 12%;
– acqua del tessuto connettivo e osseo:
8,2%;
– acqua transcellulare: 1,5%.
Il contenuto idrico corporeo può comunque subire rapide fluttuazioni giornaliere dell’entità di circa 1 kg; queste
aumentano sensibilmente nei soggetti
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Tabella 2
Acqua corporea totale
(TBW), acqua
extracellulare (ECW),
acqua intraceIluIare
(ICW), e Iipidi (F).
(% del peso corporeo)
(Friis-Hansen, 1965)
Età
TBW
ECW
ICW
F
Feto 1 mese
94
–
–
–
Feto 5 mesi
87
62
25
1
Feto 8 mesi
81
52
29
4
Neonato
77
44
33
10-15
1 mese
73
39
34
16
2 mesi
70
33
37
20
4 mesi
67
30
37
24
6 mesi
63
28
35
26
9 mesi
61
27
34
28
1 anno
60
26
34
29
2 anni
63
28
35
25
3 anni
63
27
36
24
6 anni
62
26
36
22
9 anni
62
26
36
20
12 anni
61
25
36
18
M
65
26
39
15
F
54
25
29
28
M
59
25
34
20
F
51
24
27
30
M
56
25
31
24
F
49
24
25
33
18 anni
25 anni
45 anni
65 anni
85 anni
M
53
25
28
28
F
47
24
23
36
M
50
26
24
32
F
45
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calcolare l’acqua totale con il metodo
della diluizione, tenendo presente tuttavia alcune precisazioni. Se vengono impiegati D2O e 3H2O l’idrogeno dell’acqua marcata si scambia rapidamente
con l’idrogeno dei gruppi carbossilici,
amidici, idrossilici ed altri gruppi incorporati nelle molecole delle proteine, dei
grassi e dei carboidrati. Il risultato di
questo processo di scambio è che i volumi di diluizione di D2O e 3H2O sono
del 3-5% più ampi dell’acqua corporea
totale reale.
Occorre adottare quindi un fattore
di correzione e cioè si stima che il volume dell’acqua corporea totale corrisponda al 95% dei volumi di diluizione
dell’3H2O o del D2O.
La massa idrica va poi calcolata
moltiplicando il volume trovato di acqua
corporea totale per la densità dell’acqua a 37°C (0,994 g/ml), ma questa
modesta correzione viene spesso trascurata negli studi clinici.
Considerazioni analoghe valgono
per l’isotopo H218O con la differenza
che in questo caso è l’ossigeno marcato che va a scambiarsi con l’ossigeno
dei bicarbonati presenti nel sangue. I
bicarbonati marcati sono in equilibrio
con il CO2 che viene eliminato per le vie
respiratorie.
L’ossigeno 18 dell’acqua marcata
Stima quantitativa
dei due compartimenti
Tre sono le metodiche di misura
generalmente riconosciute valide per
giungere ad una stima quantitativa dei
due compartimenti; esse si basano
sull’osservazione che nel soggetto vivente è possibile misurare l’acqua corporea totale, la densità corporea e il potassio corporeo totale e che partendo
da ciascuno di questi parametri è possibile, mediante opportune equazioni, ottenere il valore sia della massa corporea grassa che di quella magra.
1. Metodo dell’acqua corporea
totale (metodo dilutometrico)
Il metodo presuppone che il contenuto di acqua nella massa corporea
magra sia costante (A/FFM = 0,732).
La massa corporea magra può essere quindi calcolata come: A/0,732 e
la massa grassa come F = BW – FFM.
Molti composti possono distribuirsi
nell’acqua corporea totale, tuttavia la
maggior parte dei laboratori impiega attualmente la diluizione con acqua marcata.
Tre isotopi di H2O sono disponibili:
uno radioattivo (3H 2O) e gli altri due
stabili (D2O, H218O). Tutti e tre questi
isotopi possono essere impiegati per
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si scambia lentamente anche con l’ossigeno di composti inorganici e organici
presenti nell’organismo, in particolare
con il gruppo carbonioso dell’idrossiapatite di calcio.
Anche in questo caso risulta che lo
spazio di diluizione dell’H218O è di circa
1% più grande rispetto a quello dell’acqua corporea totale.
fF =
4,95
– 4,50
Db
dove:
fF = quota della massa corporea
(BW) costituita da grasso
Db = densità corporea
La massa corporea magra può essere calcolata per differenza:
BW x (1 – fF)
2. Metodo della densità corporea (metodo densitometrico)
La densità corporea è la somma
delle singole densità dei compartimenti
corporei. In particolare la densità del
grasso, quale è risultato da ricerche
condotte su campioni di biopsie a seguito di interventi chirurgici, è di 0,9
g/ml; per la densità della massa corporea magra, che corrisponde all’insieme
delle densità dell’acqua, delle proteine
e dei minerali contenuti, viene indicato
un valore medio di 1,1 g/ml.
È da tenere presente che nella stima della densità corporea occorre procedere ad una correzione per l’aria residua che rimane nei polmoni.
Assumendo dunque D F = 0,9 e
Dffm = 1.1 la quota corrispondente al
grasso della massa corporea di un determinato soggetto può essere calcolata partendo dalla densità corporea mediante l’equazione di Siri:
3. Metodo del potassio corporeo totale
Da ricerche sia sul cadavere che in
vivo è noto il rapporto potassio/massa
magra, per cui quest’ultima può essere
calcolata quando si conosca il valore
del contenuto del potassio totale.
Questo a sua volta può essere ottenuto
misurando con la tecnica del total body
counter il 40K che in natura è in rapporto costante con il potassio stabile.
Nel diagramma della Figura 2 è riportato il modello di composizione corporea a due compartimenti con le tre metodiche di misura sommariamente descritte.
Tutte e tre le metodiche partono dal
presupposto che i cinque componenti
chimici che costituiscono la FFM si trovino tra loro sempre nella stessa proporzione in tutti i soggetti ed in effetti
ciò può essere considerato un assunto
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Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
Figura 2
Tre metodiche impiegate
nello studio del modello
di composizione
corporea a due
compartimenti. I metodi
presuppongono che:
a) il contenuto idrico,
la densità e il contenuto
di potassio della FFM sia
costante;
b) F = BW – FFM
e FFM = BW x (1 – fF).
Fat
Metodi
Presupposti
Dilutometria
A/FFM = 0.732
M
Pr
DF = 0.900 g/cc
BW
Densitometria
Gl
FFM
DFFM = 1.100 g/cc
Misura del K
Corporeo Totale
A
BW = Peso Corporeo
M = Minerali
Pr = Proteine
Gl = Glicogeno
A = Acqua
FFM = Massa magra
K/FFM (mmol/kg)
60 (femmine)
66 (maschi)
100%
75%
50%
A = Acqua
MMA = Massa magra anidra
Pr = Proteine
M = Minerali
Mc = Minerali cellulari
Mo = Minerali ossei
R = Residui
Gl = Glicogeno
25%
0%
...........................................
Composizione corporea.
Modelli a 3, 4 e 6
compartimenti.
Peso corporeo
Figura 3
R
Gl
A
A
A
Pr
MMA
Pr
Mc
+
Mo
M
Grasso
Grasso
Grasso
3 Compartimenti
4 Compartimenti
6 Compartimenti
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accettabile nella maggior parte degli
adulti giovani e in buona salute. Tuttavia
in un certo numero di condizioni, che
vanno dalla gravidanza all’età molto
avanzata nonché agli stati di malattia, le
metodiche descritte non sono in grado
di fornire stime accurate della composizione corporea. Un esempio a questo
riguardo può essere illustrativo: in un
soggetto anziano di sesso femminile affetto da grave osteoporosi e da lieve
edema, due condizioni abbastanza comuni nella popolazione geriatrica, il rapporto acqua/massa magra è certamente superiore a 0,732 e la densità della
massa magra è inferiore a 1,1 g/ml;
ciò finirà per dar luogo a una sottostima
o a una sovrastima del grasso corporeo
a seconda che si impieghi rispettivamente la metodica dilutometrica o quella densitometrica.
È per questi motivi che, approfittando di tecnologie avanzate resesi disponibili negli anni più recenti, sono stati
oggetto di studio modelli multicompartimentali (da tre fino a sei compartimenti). Queste nuove tecnologie sono in
grado di fornire ai ricercatori dati più accurati sulla composizione corporea indipendentemente dall’età, dal sesso e
dallo stato etnico.
I nuovi modelli pluricompartimentali
hanno gia dimostrato la loro utilità ad
esempio nel confronto tra la composizione corporea di soggetti di sesso femminile di razza bianca e nera. È emerso,
infatti, che le donne di razza nera hanno
una maggiore massa muscolare rispetto
alle donne bianche e una densità della
FFM > 1,1 dovuta ad un maggior contenuto di minerali, in particolare di potassio. Impiegando le solite costanti
convenzionali già menzionate con il modello a due compartimenti basati sulla
densitometria e sul valore del potassio
totale, si sarebbe ottenuta una sottostima del grasso nelle donne nere.
I modelli pluricompartimentali possono risultare molto utili quali criteri di
riferimento nell’impiego delle nuove
metodiche cliniche per la determinazione della composizione corporea quali il
TOBEC (Total body electrical conductivity) e BIA (Bioimpedance analysis o
impedenzometria) per una loro opportuna calibrazione.
Nella Figura 3 sono rappresentati
schematicamente i modelli a 3, 4 e 6
compartimenti e nella Tabella 3 sono riportate in sintesi le caratteristiche dei
modelli a 2, 3, 4 e 6 compartimenti con
le rispettive metodiche di misura e gli
elementi oggetto delle misure stesse.
Per quanto riguarda infine l’approccio alle misure di composizione corporea le metodiche possono essere clas-
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Le basi conoscitive della diagnostica nutrizionale
Tabella 3
Caratteristiche dei
modelli di composizione
corporea a due
o più compartimenti.
BW = Peso corporeo
F = Grasso
FFM = Massa magra
M = Minerali
A = Acqua
FMFT = Massa magra senza
minerali (= A + Pr + Gl)
Pr = Proteine
Mo = Minerali ossei
Mc = Minerali cellulari
Gl = Glicogeno
R = Composti residui
Tabella 4
N° compartimenti
Metodiche
Oggetto della misura
2 (BW = F + FFM)
Dilutometria oppure
Densitometria oppure
misura del Potassio
Corporeo totale
Massa magra o massa
grassa
3 (BW = M + F + FMFT)
Assorbimetria bifotonica
Minerali e massa grassa
4 (BW = A + M + Pr + F)
Dilutometria con D2O
Attivazione neutronica
(gamma pronta)
Attivazione neutronica
(gamma ritardata)
Acqua
Proteine (azoto corporeo)
Minerali (calcio totale)
6 (BW = A + Mo + Mc +
Pr + Gl + F + R)
Combinazione delle
metodiche di attivazione
neutronica (gamma pronta
e gamma ritardata)
Acqua
Minerali ossei
Minerali cellulari
Proteine
Dirette
Metodiche per
determinare la
composizione corporea
(da Deurenberg,
Fondation Nestlè Rapport Annuel, 1992).
Indirette
Doppiamente indirette
Analisi del cadavere
Densitometria
Antropometria nutrizionale
Attivazione neutronica
Dilutometria
Assorbimetria all’infrarosso
Misura del 40K
Ecografia
Tomografia computerizzata
Impedenzometria
Risonanza magnetica nucleare Escrezione di creatinina
Assorbimetria bifotonica
sificate in: dirette, indirette e doppiamente indirette. Con quest’ultimo termine si intendono metodiche che fanno
riferimento per la loro validazione a metodiche indirette: appartengono a questa categoria tecniche che sono attualmente di largo impiego nella pratica clinica quali l’antropometria nutrizionale, la
impedenzometria, la misura dell’escre-
Escrezione di 3-metilistidina
zione urinaria della creatinina e della 3metilistidina (Tab. 4).
Conclusioni
Lo stato di nutrizione fa parte dello
stato di salute e a sua volta è la risultante di una serie concatenata di appor-
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gnificato, tuttora oggetto di discussione, è, se mai, limitato al cosiddetto paziente critico al fine di ricavare indicazioni sull’opportunità di procedere ad un
supporto nutrizionale preoperativo.
L’accertamento dello stato di nutrizione
è peraltro reso più complesso dal fatto
che i vari indicatori dipendono in molti
casi anche da altri fattori oltre quelli nutrizionali; ciò vale soprattutto per la denutrizione proteico-calorica. Esistono
inoltre interazioni tra gli stessi nutrienti
di cui occorre tenere conto nelle misure
da effettuare specie se si vuole valutare
lo stato funzionale connesso alla nutrizione. Le funzioni legate, ad esempio,
al retinolo dipendono almeno da tre variabili: dallo stesso retinolo, dalla retinolbinding-protein e dallo zinco.
Altri fattori da tenere presenti sono
la difficoltà di definire e quantizzare termini quali “normale” e “ottimale” non
soltanto in senso assoluto ma anche in
senso relativo. Significativo è, a questo
riguardo, il problema che si pone per
l’accertamento dello stato di nutrizione
nel soggetto anziano. Gli anziani, infatti,
vanno incontro in varia misura ad un
deterioramento delle funzioni degli organi ed una percentuale elevata di essi
è affetta da varie malattie in particolare
di tipo cronico e degenerativo. Anche
per quella minoranza in condizioni di sa-
ti energetici e nutrizionali, assorbimento, equilibri metabolici, eliminazione di
scorie e metaboliti. Almeno teoricamente ogni maglia di questa catena può essere oggetto di rilevamenti e misure e
può dare risposte e indicazioni in merito
alla situazione del proprio settore di
competenza, più o meno ampio. Tutti
questi settori possono risultare impegnati nella cosiddetta “grave denutrizione clinica”: più frequentemente si verificano stati di carenza e subcarenza che
possono interessare alcuni nutrienti ed
anche uno soltanto di essi. Non ha
quindi molto senso parlare genericamente di malnutrizione senza specificare la diagnosi tanto più che esiste anche una malnutrizione per eccesso
(obesità): sotto questo aspetto può essere stato fuorviante avere iniziato a
parlare in passato di accertamento dello
stato di nutrizione anziché di semeiotica
nutrizionale.
Nelle ultime decadi la possibilità di
impiego dell’alimentazione artificiale in
pazienti critici ha portato al tentativo di
delineare un sistema di indicatori nutrizionali atti a rilevare lo stato di nutrizione anche allo scopo di acquisire dati
per una accurata prognosi circa l’evoluzione della malattia in questi pazienti.
In questo senso sono stati proposti
alcuni indici prognostici (14,15) il cui si-
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lute apparentemente buone è dubbio se
sia appropriato fare riferimento a valori
standard tipici della popolazione più giovane.
Partendo da questa considerazione
è opportuno che gli standards usati per
la valutazione nutrizionale degli anziani
vengano modificati sulla base di più accurate conoscenze scientifiche rispetto
a quelli impiegati per la popolazione
adulta normale.
In effetti le comuni tecniche impiegate per l’accertamento dello stato di
nutrizione presentano dei limiti quando
vengono applicate agli anziani. Inoltre
nella valutazione dello stato di nutrizione di questi occorre domandarsi sempre se i deficit nutrizionali eventualmente riscontrati sono conseguenza di inadeguati apporti dietetici ovvero di disfunzioni della digestione, dell’assorbimento e dell’utilizzazione e, ancora, se
le modifiche funzionali osservate sono
connaturali alla fisiologia dell’invecchiamento oppure riflettono una compromissione derivante dalla malattia degenerativa.
Sulla base delle considerazioni svolte finora uno schema di approccio per il
rilevamento dello stato di nutrizione può
essere impostato nel modo seguente:
– malnutrizione proteico-calorica: la
misura simultanea di diversi indici tesi a
valutare i differenti settori dell’organismo consente di ridurre i fattori di errore che – come si è già accennato – possono inficiare una corretta valutazione
di questo aspetto nutrizionale. Gli indici
più utili sembrano essere la misura del
peso, le misure antropometriche, il bilancio azotato, la misura delle proteine
a semivita breve, la creatininuria e la 3metilistidinuria misurate su tre giorni
consecutivi e riferite all’altezza o al peso
ideale. Frequenza delle misure: settimanale;
– malnutrizione vitaminico-minerale:
misura delle vitamine A, C e dei folati
nonché dei minerali Ca, P, Mg, Zn, Fe.
Frequenza delle misure: settimanale.
Con frequenza settimanale dovrebbe essere altresì misurata l’emoglobina
ed effettuata una conta dei linfociti totali.
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etodi di valutazione
dei consumi alimentari
S. Scaglioni*, G. Turconi**
* Clinica Pediatrica Ospedale S. Paolo – Università degli Studi di Milano
** Istituto Scienze Sanitarie Applicate – Università degli Studi di Pavia
La raccolta di informazioni sui consumi alimentari e sull’intake di nutrienti
rappresenta un momento molto importante della ricerca e della pratica nutrizionale. Molto è stato fatto nel campo
dell’epidemiologia nutrizionale; al momento attuale alcuni problemi rendono
ancora difficile la comprensione dei fenomeni correlati all’alimentazione.
I problemi principali che si incontrano nelle ricerche di tipo epidemiologico
sono rappresentati da:
– multifattorialità delle cause;
– latenza delle malattie;
– tempo di “esposizione”;
– relativa rarità di queste;
– variabilità nei rilevamenti dei consumi.
Tutti questi punti sottolineano l’importanza di avere metodi sempre più
validi e precisi. L’ultimo punto costituisce, tra gli altri, un aspetto di particolare importanza in quanto lo studio dei
consumi alimentari di un individuo o di
gruppi mirati di individui o di popolazioni
è fondamentale ai fini dell’accertamen-
to globale dello stato di nutrizione mirato alla prevenzione nonché alla terapia
di svariate patologie correlate all’alimentazione.
Numerose sono le metodiche impiegate, giacché non esiste un unico
metodo per lo studio dei consumi alimentari che possa essere raccomandato per tutti gli obiettivi preposti. La scelta del metodo dipende dallo scopo della
ricerca, dal target della popolazione da
indagare e, non da ultimo, da considerazioni pratiche quali la disponibilità non
solo di personale specializzato (dietista,
nutrizionista), ma anche di tempo, nonché dalla gravosità dei costi. Ciò spiega
il fatto che, a seconda delle differenti
situazioni, gli investigatori sono portati a
scegliere un metodo piuttosto che un
altro o ad adattare metodi preesistenti
in funzione degli obiettivi che si vogliono
perseguire. Ogni metodo ha comunque
impliciti in sé errori sia di tipo sistematico (bias: lo strumento di misura tende
sistematicamente a sottostimare o a
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Metodi di valutazione dei consumi alimentari
sovrastimare il valore reale) che casuale
(random) e presenta sempre vantaggi e
svantaggi che devono essere di volta in
volta attentamente ponderati.
Resta comunque di fondamentale
necessità che, qualunque sia il metodo
scelto, questo debba essere accuratamente validato prima del suo impiego
attraverso diverse procedure variabili di
volta in volta, quali:
– confronto con un metodo di riferimento;
– confronto con gli intakes di alcuni nutrienti determinato attraverso dosaggio
di markers biologici (possibile, ad
esempio, per proteine, acidi grassi essenziali, alcune vitamine, ecc.);
– verifica dell’uso “sul campo”: confronto del potere predittivo nei confronti di markers biologici o fisiologici (ad
esempio, colesterolemia, pressione arteriosa, ecc.).
In questo contesto non vengono
presi in esame i Food Balance Sheets,
che riguardano unicamente la produzione-utilizzazione e quindi la disponibilità
delle derrate alimentari nazionali e non i
reali consumi, e neppure il metodo dell’inventario, strettamente legato alla famiglia e non all’individuo, che prevede
la registrazione degli stock alimentari
presenti nella dispensa all’inizio e alla fine dell’indagine (generalmente della
durata di una settimana), inclusi gli acquisti effettuati durante tale periodo.
Metodi di rilevamento
Tra i metodi di rilevamento più frequentemente utilizzati si riportano:
Registrazione simultanea su diari o libretti alimentari di tutti gli alimenti
consumati nell’intera giornata;
Recall (ricordo) delle 24 ore, effettuato da un intervistatore esperto
(dietista o nutrizionista) e riguardante le
24 ore precedenti l’intervista;
Questionari delle frequenze di
consumo;
Storia dietetica comunemente
utilizzata nella diagnostica clinica.
Questi ultimi due metodi permettono di valutare gli abituali consumi alimentari e vengono generalmente impiegati contemporaneamente.
Registrazione simultanea
Viene considerato il metodo migliore e si effettua registrando su appositi
diari alimentari, meglio se tascabili, volta per volta, nell’arco della giornata, tutti gli alimenti e bevande, nonché gli
snacks, nel momento in cui vengono
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S. Scaglioni, G. Turconi
consumati. La possibilità di dimenticare
qualche alimento e quindi la possibilità
di errore viene notevolmente ridotta.
Tra i vantaggi vi è la precisione delle
stime ottenute; occorre ricordare però
che il metodo è piuttosto dispendioso in
termini di tempo. La più importante limitazione risiede inoltre nel fatto che la registrazione di un diario alimentare è senza dubbio in grado di modificare il comportamento alimentare nel periodo di
osservazione, introducendo in tal modo
un errore sistematico di notevole significato. Le caratteristiche di questo metodo di indagine, tuttavia, ne limitano l’uso
a persone con un discreto grado di cultura e soprattutto molto motivate (1).
misure casalinghe di capacità definite).
Il recall delle 24 ore (3, 4) è un tipo
semplice di anamnesi alimentare; con
questa metodica si raccoglie esclusivamente l’apporto alimentare di un giorno
stabilito. In mani esperte richiede un
tempo limitato, circa 20 minuti, per ogni
intervistato; inoltre non è necessario
istruire il soggetto. Con la metodica del
recall delle 24 ore, tuttavia, è emersa frequentemente la presenza della cosiddetta
“flat-slope syndrome” (sindrome del pendio piatto) (5-8): la caratteristica di tale
sindrome consiste nel fatto che piccoli
intakes tendono ad essere sovrastimati,
mentre grandi quantità di alimenti tendono ad essere sottostimate.
Da diversi studi presenti in letteratura (9-11) si evince che in generale il ricordo delle 24 ore dà risultati estremamente variabili e associati ad errori piuttosto grandi tali da non essere considerato un metodo affidabile per singoli individui o gruppi ristretti di popolazione,
indipendentemente che siano studiati
gli alimenti oppure l’energia o i nutrienti.
Al contrario, il metodo si può considerare valido su ampi gruppi di popolazione nelle indagini epidemiologiche, ritenendo accettabile un errore del ± 10%,
qualora si vogliano trovare associazioni
tra nutrizione e patologie ad essa correlate.
Recall delle 24 ore
Il ricordo degli alimenti consumati
nelle 24 ore viene registrato da un
esperto intervistatore (dietista o nutrizionista) il quale, mediante domande
opportunamente mirate, stimola l’individuo a ricordare tutto ciò che ha consumato nelle 24 ore precedenti. È molto
importante che durante l’intervista vengano impiegati dei sussidi visivi (2) per
facilitare l’intervistato a quantificare i
propri consumi (atlante alimentare fotografico, modelli di porzioni di alimenti,
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Metodi di valutazione dei consumi alimentari
te consumati dalla popolazione oggetto
di studio: ciò al fine di non perdere
informazioni relative ad alimenti “significativi” pur escludendo cibi che poco
contribuiscono all’apporto di nutrienti o
alla loro variabilità nella popolazione.
Alla lista di alimenti occorre giungere
attraverso dati già esistenti, raccolti con
metodiche classiche (ad esempio tramite recall delle 24 ore) e trattati con tecniche statistiche che forniscano per
ogni nutriente la lista di alimenti che
contribuiscono all’apporto di quel determinato nutriente fino ad un certo limite
stabilito. Tale procedimento è specifico
per la popolazione oggetto di studio;
ogni questionario potrà essere utilizzato
sulla popolazione dalla quale è stata
tratta la lista degli alimenti.
Questionari
delle frequenze di consumo
Consistono nella registrazione per
ricordo degli alimenti per frequenza di
assunzione e mediante analisi quantitativa. Il questionario è rappresentato da
un elenco specifico di alimenti, differenziato per varie età, con un casellario per
la frequenza (giornaliera, settimanale,
mensile, ecc.) e una misura standard,
indicativa della quantità assunta, che
consente una stima semiquantitativa
dell’apporto di nutrienti.
Rappresentano i metodi sui quali il
dibattito è attualmente più vivace; la loro fama è dovuta ai seguenti aspetti:
– praticità di impiego (a volte sono autosomministrati);
– rapidità di raccolta delle informazioni;
– indagine estesa a periodi prolungati
(variabili da un mese ad un anno).
Il fine dell’impiego di questa metodica è la comprensione della dieta “abituale”.
Tra i principali svantaggi vi è la perdita di precisione teoricamente introdotta.
Fondamentale è il metodo attraverso il quale si giunge alla formulazione di
un questionario di frequenze. Questo
consta in una serie di alimenti (raggruppati secondo rigidi criteri) che devono
rappresentare gli alimenti effettivamen-
Storia dietetica
Le origini della storia dietetica si
fanno risalire a Burke nel 1947 (12), che
pubblicò un articolo dal titolo “La storia
dietetica quale strumento di ricerca”,
anche se precedentemente, nel 1940,
Turner aveva abbozzato le linee per ottenere una stima della storia alimentare.
La storia dietetica, mirata a valutare
gli intakes abituali e utilizzata soprattutto nella clinica o nella ricerca per trova-
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re eventuali correlazioni con una data
patologia, consiste nella descrizione
della abituale dieta quotidiana, con preciso riferimento al consumo dei pasti e
alle dimensioni delle porzioni assunte.
Durante l’intervista, il soggetto viene invitato anche a ricordare gli alimenti consumati nelle 24 ore precedenti, a compilare una lista precisa di alimenti abitualmente consumati e a registrare i
consumi alimentari per un periodo di 3
giorni. Recentemente Petersen e collaboratori (13) hanno messo a punto e validato una storia dietetica semplificata
per lo studio degli intakes di energia e
macronutrienti, tale da permettere minor impiego di tempo e di personale.
È stato dimostrato (7,13,14), tuttavia,
che la storia dietetica, se confrontata
con la registrazione simultanea degli
intakes, tende frequentemente a dare
una sovrastima dei consumi alimentari,
soprattutto a riguardo dei micronutrienti.
l’impiego di misure casalinghe (misure
di capacità) o di modelli o di fotografie
di alimenti.
Pesata diretta
La pesata diretta è senza dubbio il
metodo migliore ma non sempre è praticabile a causa dell’elevato impiego di
tempo e di personale e quindi di elevati
costi. È consigliabile utilizzare bilance
elettroniche precise con uno scarto di 1
grammo; pesare gli alimenti allo stato
crudo al netto edibile e gli eventuali
avanzi. Un limite di tale metodo è dovuto al fatto che, oggigiorno, la maggior
parte degli individui consuma almeno un
pasto fuori casa e pertanto la pesata diretta risulta praticamente impossibile.
Stima delle quantità
In alternativa al metodo della pesata
diretta, i consumi possono essere
quantificati stimando il peso degli alimenti mediante l’impiego di misure casalinghe che devono essere opportunamente calibrate in quanto le capacità di
cucchiai, bicchieri o tazze apparentemente uguali possono variare del 2030% (15).
Metodi utilizzati per
quantificare i consumi
I metodi utilizzati per quantificare i
consumi possono essere:
Pesata diretta mediante bilancia;
Stima delle quantità mediante
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Metodi di valutazione dei consumi alimentari
Si possono altresì utilizzare modelli
o fotografie di alimenti per stimare i pesi delle porzioni; è indispensabile in ogni
caso avere a disposizione, per lo stesso
cibo, un numero svariato di porzioni.
Comunque sia, prima dell’impiego
di misure di capacità o modelli o fotografie, è necessario effettuare una validazione del metodo di quantificazione
che si vuole utilizzare, confrontandolo
con la pesata diretta.
Da lavori presenti in letteratura (16,17)
emerge che le registrazioni dei consumi
alimentari che utilizzano la stima dei pesi piuttosto che la pesata diretta, se
supportate da parametri di riferimento
standard, sono sicuramente valide, in
quanto mostrano errori sufficientemente piccoli (entro il ± 5-10%).
Nel secondo caso è necessario
istruire i soggetti circa la procedura di
compilazione dei questionari, fornendo
loro tutte le istruzioni indispensabili e gli
strumenti necessari per la quantificazione dei consumi (bilance oppure atlante
alimentare fotografico, ecc.). È altresì
indispensabile che i questionari, una
volta compilati, vengano successivamente esaminati dalla dietista in presenza del soggetto al fine di controllare
che gli stessi siano stati compilati in
modo esatto e completo e che non siano stati omessi alimenti quali zucchero,
condimenti, sale e bevande, che vengono facilmente dimenticati.
Tecniche
computerizzate
In U.K. ed in altri paesi nei quali le
registrazioni dei consumi alimentari sono
diventate ormai tecniche routinarie, sono disponibili bilance elettroniche con dispositivo di registrazione su nastro (PETRA) (18). Il sistema è semplice da usare
poiché è necessario soltanto premere
un pulsante e dettare le descrizioni per
microfono. Con una portata di 2000 g e
lo scarto di 1 g, il cibo può essere servito in piatti normali ed il peso cumulativo
è registrato automaticamente.
Compilazione
dei questionari
I questionari possono essere compilati mediante intervista da parte di
personale esperto (dietista o nutrizionista) oppure autocompilati dagli individui
stessi. Nel primo caso è necessario
standardizzare la procedura dell’intervista, istruendo adeguatamente gli intervistatori ed effettuando prove di ripetibilità del metodo sugli individui.
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Un secondo vantaggio rispetto alla
metodica tradizionale è che la registrazione è conservata in una “scatola nera”, per cui per il paziente è difficile effettuare delle correzioni, fatto questo
che si può verificare spesso durante la
registrazione degli alimenti sul questionario, in quanto il soggetto si accorge
che sta mangiando troppo.
Un’altra tecnica computerizzata descritta da Kretsch (19) è la tecnica NESSY, utilizzata per la descrizione qualiquantitativa dei consumi alimentari. Tale
metodo utilizza un software interattivo
per guidare gli utenti durante la registrazione e descrizione degli alimenti.
La validazione di tale tecnica, mediante confronto con la registrazione simultanea per pesata diretta, ha dimostrato che le differenze medie tra le due
metodiche, per l’energia e i vari nutrienti, erano inferiori al 5%; inoltre la tecnica NESSY richiedeva 1,7 ± 0,3 minuti
per pesare e registrare ciascun alimento, mentre la tecnica manuale richiedeva 8,4 minuti.
“vera” variabilità (giornaliera, stagionale,
ecc.) e dall’errore proprio dei metodi,
può essere tale da non permettere la
comprensione della dieta abituale di un
soggetto; ciò si traduce, ad esempio,
nella necessità di indagare periodi prolungati di tempo (calcolabili secondo
formule pubblicate) al fine di cogliere,
con un certo limite di errore, la “vera”
dieta di un individuo.
Nelle indagini nutrizionali su popolazioni è indispensabile inoltre tenere
conto anche della variabilità interindividuale che può essere talvolta sorprendentemente grande.
Per la popolazione in età evolutiva
le stime della variabilità intra e tra individui sono specifiche secondo caratteristiche che rendono la popolazione in
oggetto del tutto peculiare dal punto di
vista epidemiologico. Oltre ai fattori
classici che contribuiscono alla variabilità della dieta di ogni individuo, il bambino presenta infatti caratteristiche antropometriche in continua evoluzione, secondo i pattern di crescita differenti nelle varie età, che sono tra i più importanti
determinanti dell’assunzione di alimenti.
Le considerazioni relative alle fonti
di variabilità si riflettono sulle modalità di
disegno delle ricerche nutrizionali, in
particolare sul numero di giorni da indagare e sulla numerosità del campione.
Variabilità intra
ed inter-individuale
È noto che la variabilità intraindividuale, composta principalmente dalla
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Metodi di valutazione dei consumi alimentari
Durata dell’indagine,
successione dei giorni
e stagionalità
da un individuo all’altro dal 4 al 45%
per quanto riguarda l’apporto energetico e dal 9 al 52% per le proteine; tali
variazioni comunque si riducono all’aumentare del numero di osservazioni. Le
variazioni tra settimana e settimana sono in generale molto minori di quelle tra
giorno e giorno, anche se la vitamina A
sembra essere altamente variabile tra
una settimana e l’altra. Altresì, differenze stagionali nelle assunzioni medie di
vitamina C in U.K. sono ben documentate, come pure quelle di fibra alimentare nello stesso paese e in aree rurali
d’Europa.
In conclusione, l’entità della variabilità entro soggetti riguardante gli intakes di nutrienti è più grande per minerali, vitamine, colesterolo e gli alimenti in genere, e ciò in parte è dovuto
alla scarsa frequenza con cui sono assunti determinati alimenti.
Nella Tabella 1 sono riportati, per
alcuni nutrienti (aggiustati per l’intake
totale di kcalorie), il numero di giorni
necessari per stimare la dieta abituale
di bambini e adulti in determinate fasce
di età, con un errore contenuto entro il
20% (21-24).
Come si può notare, il numero di
giorni necessario per stimare la dieta
del singolo individuo può porre seri problemi in molti studi. Si deve inoltre os-
Definire i tempi di durata dell’indagine e quindi il numero e la successione
dei giorni è molto importante, in quanto
indagini molto brevi possono essere limitative e altresì indagini troppo lunghe
possono ridurre la compliance dei soggetti alla ricerca.
Innanzi tutto è necessario definire
quali nutrienti si vogliono studiare nello
specifico, considerando la variabilità individuale giornaliera, quella settimanale
e quella stagionale.
Secondo Mac Cance e Widdowson
“una settimana sarebbe sufficiente per
studiare le abitudini alimentari di un individuo riguardanti gli intakes di energia
e macronutrienti, ma per particolari scopi sarebbero necessarie più settimane”.
Vitamine, minerali e fibra alimentare richiedono infatti osservazioni ripetute nel
tempo, almeno per 14 giorni. Queste
non devono necessariamente essere
effettuate in un unico periodo di tempo:
4 registrazioni della durata ognuna di 34 giorni potrebbero essere un compromesso accettabile.
Da una rassegna di lavori riportati in
letteratura (20) emerge che l’ampiezza
della variazione giornaliera può differire
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Tabella 1
Numero di giorni
necessari per stimare la
dieta abituale di diversi
gruppi di popolazione
(con un errore entro
il 20%).
1ª infanzia
Età
prescolare
Età
scolare
Adulto
Giovannini
et al, 1995
Nelson
et al, 1989
Miller
et al, 1991
Willet,
1990
Varianza* N.
entro/tra giorni
Varianza* N.
entro/tra giorni
Varianza* N.
entro/tra giorni
Varianza* N.
entro/tra giorni
Kcalorie
0,65
2
1,5
7
3,70
7
1,39
7
Proteine
0,76
3
1,0
5
7,95
14
1,78
6
Lipidi
0,95
5
1,6
7
5,32
10
1,93
7
Glucidi
0,63
2
1,3
6
4,40
8
1,38
3
Colesterolo 1,70
27
6,3
27
65,00
116
2,55
36
Vit. A
0,93
55
4,6
20
7,57
14
3,28
105
Vit. E
1,02
19
2,3
10
7,23
13
–
–
Vit. C
0,86
26
0,5
3
5,14
9
1,46
29
Vit. B6
1,50
16
1,8
8
35,89
64
1,67
4
Calcio
0,62
5
0,8
4
10,35
18
1,66
13
Ferro
0,84
11
1,3
6
8,28
15
1,79
8
* rapporto: varianza entro soggetti/varianza tra soggetti
Tabella 2
Numero di giorni per
Numero di giorni
richiesti per determinare
l’intake medio di un
gruppo di soggetti *
(con un errore standard
del ±10%).
Nutrienti
50% del gruppo
70% del gruppo
90% del gruppo
Energia
5
7
13
Proteine
5
7
14
Lipidi
9
13
23
12
13
28
Fibra alimentare
* individui maschi residenti in Cambridge, di età 20-80 anni (n = 32) (Bingham et al., 1981)
servare come tale numero di giorni sia
differente nelle diverse epoche della vita (più contenuto nella prima infanzia,
massimo nell’età scolare).
La durata dell’indagine dipende altresì dal grado di precisione che si vuole
ottenere e su questa base verrà deciso
il numero delle osservazioni. Calcoli statistici (Tab. 2) suggeriscono che nel caso degli adulti la registrazione di 7 giorni
è in grado di determinare gli intakes al
livello di precisione di ± 10% se si vo-
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nutrienti studiati (proteine, grassi, fibra
alimentare e riboflavina) con una registrazione sia di 3 che di 7 giorni.
Pertanto non ci sarebbe una motivata giustificazione statistica nell’aumentare il numero di registrazioni oltre i
3 giorni, per esempio a 7, se il campione è sufficientemente ampio.
gliono studiare parametri quali l’energia
o i nutrienti energetici.
Se tuttavia il campione è sufficientemente ampio, come verrà successivamente riportato, è sufficiente effettuare
il rilevamento dei consumi per 3 giorni,
scegliendoli non consecutivi, di cui uno
durante il weekend, nel quale notoriamente l’alimentazione è meno abitudinaria che nei giorni lavorativi.
Fattori che possono
influenzare
la variabilità
della risposta
Dimensione
del campione
Numerosi sono i fattori che possono influenzare la variabilità della risposta
individuale e quindi i risultati finali. Tra
questi ricordiamo:
Nelle indagini nutrizionali, se si vogliono evidenziare differenze modeste,
è importante tenere conto della variabilità entro soggetti al fine di effettuare
una scelta adeguata delle dimensioni
del campione. Le dimensioni del campione influenzeranno a loro volta la durata dell’indagine.
Da uno studio condotto da Bingham
e collaboratori (25) emerge, per esempio
(Tab. 3), che con una dimensione campionaria di 500 individui, se viene effettuata la registrazione di un solo giorno,
è possibile evidenziare una differenza
percentuale di tale valore dalla media,
ottenuta da osservazioni ripetute su
ogni individuo, del 6-8%, mentre tale
valore si riduce al 5% per l’energia e i
Il metodo di rilevamento
Come già sopra riportato.
Il modo di condurre
l’intervista
È stato evidenziato, da numerosi
studi effettuati, che soggetti intervistati
da differenti intervistatori riguardo lo
stesso periodo di dieta, hanno dato ri-
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Tabella 3
Differenzaa rilevabile
nelle medie in un
campione di 500
individui.
a
= varianza (Bingham et al.,
1981)
Nutrienti
Differenza % dalle medie ottenute da numerose
osservazioni su ogni individuo
Un giorno
Tre giorni
Sette giorni
Energia
6
5
4
Proteine
6
5
5
Lipidi
7
5
5
Fibra alimentare
7
5
5
Riboflavina
8
5
4
sposte diverse, dal momento che l’intervistatore può “pilotare” diversamente
l’intervistato e quindi influenzarne la risposta. È pertanto indispensabile, prima di effettuare una indagine alimentare, come già sopra riportato, standardizzare la procedura dell’intervista ed
effettuare prove di ripetibilità del metodo sugli individui.
emersi da numerose ricerche hanno
evidenziato risultati contrastanti, in
quanto alcuni (26) hanno messo in risalto
differenze significative secondo il metodo utilizzato (recall delle 24 ore vs storia
dietetica), mentre altri (27) hanno dimostrato che il recall delle 24 ore veniva
dai bambini compilato accuratamente.
Recentemente si stanno ponendo
all’attenzione, quali metodi per l’età pediatrica, quelli basati sulle frequenze di
consumo, che utilizzano questionari diversamente strutturati.
Al proposito sono stati messi a
punto, dalla V Clinica Pediatrica dell’Università di Milano (28, 29), partendo
da dati ottenuti da diverse indagini epidemiologiche, questionari di frequenze
alimentari per le varie fasce di età. Si riportano, come esempio (Questionario
1: prima infanzia; Questionario 2: età
prescolare e scolare) alcuni raggruppamenti di alimenti.
L’età
L’età dei soggetti su cui si effettua
l’indagine costituisce un fattore determinante la scelta del metodo da utilizzarsi al fine di minimizzare la variabilità
della risposta e quindi dei risultati.
Bambini
Si ritiene generalmente che i ricordi
dei bambini siano meno accurati di
quelli degli adulti. Al proposito, i dati
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Metodi di valutazione dei consumi alimentari
QUESTIONARIO 1
Prima infanzia
QUANTITÀ
La porzione
media è
La sua porzione
usuale è
VERDURE
CEREALI
UOVA
LATTE E DERIVATI
–
1. Latte intero
CONSUMO MEDIO
=
+
Mai o
meno di
1 volta
al mese
250 cc
2. Latte di seguito in polvere 250 cc
3. Yogurt, yogurt alla frutta
1 vasetto
4. Ricotta, formaggio magro,
formaggio magro fiocchi, 50 g
formaggino magro
5. Parmigiano
1 cucchiaino
6. Formaggino caprino
50 g
7. Mozzarella
50 g
8. Certosino, Bel Paese,
robiola
50 g
9. Uovo intero
1
10. Tuorlo d’uovo
1
11. Pastine per l’infanzia
4 cucchiai
12. Pasta, pasta all’uovo
50 g
13. Crema multicereali, crema 3 cucchiai
di riso, semolino di grano
14. Riso
1 pugno e 1/2
15. Pane, pane all’olio,
pane al latte
1/2
16. Fette biscottate
3 pezzi
17. Passato di verdura cotto
3 cucchiai
18. Patata piccola
(consumata da sola)
1
19. Verdura di contorno
1 porzione
panino
40
1
volta
al
mese
2-3
volte
al
mese
1
volta
alla
sett.
2
volte
alla
sett.
3-4
volte
alla
sett.
5-6
volte
alla
sett.
1
volta
al
giorno
2
volte
al
giorno
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QUESTIONARIO 2
CONDIMENTI E SALSE VARIE
PASTA, PANE E CEREALI
Età prescolare
e scolare
QUANTITÀ
La porzione
media è
1. Pasta di semola
65 g
2. Pasta integrale
55 g
3. Tortellini, cannelloni,
ravioli, lasagne
120 g
4. Riso, orzo
70 g
5. Pane bianco
1 panino (60 g)
6. Pane integrale
1 panino (60 g)
7. Grissini, crackers
1 pacchetto
8. Focaccia, pizza bianca
1 fetta (90 g)
9. Pizza con pomodoro
e mozzarella
1 pizza
10. Brodo di carne o di pollo
1 tazza
11. Pomodori pelati,
sugo di pomodoro
3 cucchiai
12. Ragù di carne
3 cucchiai
13. Olio di oliva
1 cucchiaio
14. Olio di semi, di mais,
di soia
1 cucchiaio
15. Margarina
1 ricciolo
16. Burro
1 ricciolo
17. Dado
1 dado
18. Maionese
1 cucchiaio
La sua porzione
usuale è
–
=
CONSUMO MEDIO
+
Mai o
meno di
1 volta
al mese
41
1
volta
al
mese
2-3
volte
al
mese
1
volta
alla
sett.
2
volte
alla
sett.
3-4
volte
alla
sett.
5-6
volte
alla
sett.
1
volta
al
giorno
2
volte
al
giorno
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Metodi di valutazione dei consumi alimentari
4) (31). Tali effetti imputabili all’età non sono comunque così consistenti quando è
implicata la memoria a lungo termine.
I dati di validazione del questionario
per i bambini in età prescolare e scolare, ottenuti sia per confronto con metodica standard (diario alimentare di 7
giorni) sia mediante uso sul campo,
comparati al metodo del recall delle 24
ore, indicano come il questionario presenti coefficienti di correlazione con il
metodo standard da 0,4 a 0,6 per la
maggior parte dei nutrienti (28), mentre
nella previsione dei livelli di colesterolemia di una popolazione di circa 400
bambini della prima infanzia, il questionario si è dimostrato più valido rispetto
al recall delle 24 ore (29).
Il sesso
Tradizionalmente le donne sono più
coinvolte, rispetto agli uomini, nell’acquisto dei cibi e nella preparazione dei
pasti. Ciò può rendere più facile non solo il ricordo corretto dei consumi, ma anche l’identificazione delle dimensioni e
dei pesi delle porzioni (32). Non tutti i dati
comunque sostengono l’ipotesi che le
donne registrino più fedelmente e accuratamente l’informazione dietetica (33).
Adolescenti
Anche per quanto riguarda gli adolescenti, alcuni autori (30) hanno evidenziato differenze significative tra stime di
intakes dietetici ottenute con il recall
delle 24 ore e valori reali di consumo riguardanti l’energia e le proteine.
Il peso corporeo
È stato ipotizzato che il sovrappeso
sia frequentemente associato alla sottostima dei consumi alimentari (31). È
possibile, infatti, che individui obesi siano portati, consciamente o inconsciamente, a omettere informazioni nel riportare le loro assunzioni dietetiche come altresì siano portati a sottostimare la
grandezza delle porzioni consumate.
Alcuni autori (34, 35) hanno evidenziato
una scarsa abilità delle persone obese
nello stimare le quantità di alimenti as-
Anziani
Relativamente agli anziani si ritiene
che gli stessi siano meno abili, rispetto
agli adulti, nella capacità di ricordo riguardante intervalli di tempo brevi, in quanto,
con l’avanzare dell’età, si manifestano
flessioni per alcune specifiche facoltà
della memoria. Anche in questo caso
non tutti gli autori sono d’accordo (Tab.
42
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S. Scaglioni, G. Turconi
Tabella 4
Risultati del t-test per
dati appaiati tra ricordo
delle 24 ha e
registrazione simultanea
relativi ad un pasto di
mezzogiorno.
Nutrienti
Energia (kcal)
Intakes medi
ricordati
Intakes medi
registrati
t-value
666,68
625,68
– 0,888
Proteine (g)
36,95
30,63
– 2,228 *
Calcio (mg)
237,01
219,60
– 0,715
Fosforo (mg)
479,84
413,53
– 1,791
Ferro (mg)
4,90
4,29
– 1,656
Riboflavina (mg)
0,53
0,48
– 1,000
Tiamina (mg)
0,35
0,33
– 0,614
34,77
33,06
– 0,347
Vitamina A (U.I.)
2118,67
2538,87
1,028
Colesterolo (mg)
136,67
121,82
– 1,476
Acido ascorbico (mg)
a
= 31 anziani di età > 60
anni (Gersovitz et al., 1978)
* p < 0,05
sunti, anche se l’errore non andava, come si potrebbe supporre, verso la sottostima, ma al contrario le porzioni erano percepite più grandi di quanto in
realtà fossero. Non tutti i dati sono comunque concordi con quanto sopra riportato. Lindroos e collaboratori (36), infatti, hanno dimostrato che è possibile
ottenere da soggetti obesi informazioni
dietetiche valide e riproducibili quanto
quelle ottenute da soggetti normopeso.
re o dell’intervista, può costituire un fattore molto importante: sensazioni di sazietà, di noia, di appetito o di inappetenza possono influenzare diversamente
le risposte. Altresì i ricordi intrisi di emozione, legati ad un momento alimentare
particolare, possono influenzare il ricordo di alimenti.
Attenzione
Una ragione per cui il ricordo degli
alimenti assunti può essere incompleto
è che la maggior parte delle persone
non presta attenzione a ciò che mangia.
Tale osservazione spiega, per esempio,
le frequenti omissioni di alimenti o bevande che non rappresentano le voci
principali del pasto (37), quali i condimenti, il sale, lo zucchero, il parmigiano
Fattori psicologici
ed emozionali
Stato d’animo
Lo stato d’animo, al momento della
compilazione del questionario alimenta-
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Metodi di valutazione dei consumi alimentari
aggiunto per insaporire i primi piatti, il
bicchiere di vino o birra.
anche in questo caso è necessaria una
standardizzazione di tale procedura tra
gli operatori.
La scomposizione delle ricette in ingredienti elementari, l’applicazione dei
fattori di conversione cotto-crudo e viceversa devono essere effettuate con
una metodica standard ben definita.
Il sentirsi osservati
Quando i soggetti sono invitati a tenere una registrazione di qualunque cosa essi mangino, c’è sempre il rischio
che apportino modifiche alle loro normali abitudini alimentari, sia per rendere
più semplice la registrazione, sia perché
improvvisamente si rendono conto di
quanto in realtà sono abituati a mangiare o di quanti errori nutrizionali commettono nella loro alimentazione. Altri soggetti, invece, vogliono cercare di “impressionare” con le loro risposte l’intervistatore, mentre altri ancora, che si
trovano in trattamento dietoterapico, riportano informazioni molto più esatte di
quanto non farebbero in condizioni normali perché costretti a seguire la dieta
molto attentamente (38).
Tabelle di composizione
degli alimenti
e metodiche analitiche
I risultati delle indagini alimentari dipendono altresì dalla qualità delle tabelle di composizione degli alimenti utilizzate, nonché dall’accuratezza delle metodiche analitiche impiegate qualora gli
alimenti consumati vengano analizzati
direttamente in laboratorio.
Sono state pubblicate tabelle di
composizione degli alimenti generalmente appropriate per la maggior parte
dei paesi del mondo, ma esistono
spesso numerose discordanze tra le
stesse dovute a differenti sistemi di
analisi chimica o a diverse procedure di
campionamento o anche al differente
contenuto di un dato nutriente in alimenti di diversa provenienza (es. selenio) o diversamente trattati (es. sodio
aggiunto).
Fattori che possono
influenzare
l’analisi dei dati
Transcodifica dei questionari
e diari alimentari
La transcodifica dei questionari alimentari richiede molta precisione ed
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S. Scaglioni, G. Turconi
Conclusioni
casalinghe standard o di fotografie o
modelli di porzioni;
– la scelta delle tabelle di composizione
degli alimenti e la metodica analitica da
utilizzarsi se si vogliono misurare direttamente negli alimenti nutrienti specifici;
– la modalità di espletamento dell’intervista mediante un training appropriato
degli intervistatori accompagnato da
prove di ripetibilità sugli individui;
– la modalità di istruire i soggetti circa il
modo di compilare i questionari, se autocompilati;
– la durata dell’indagine (numero, scelta
e successione dei giorni) in funzione dei
nutrienti che si vogliono studiare, della
numerosità del campione e del grado di
accuratezza che si vuole ottenere;
– la scelta del programma alimentare computerizzato per l’elaborazione statistica.
Da quanto esposto emerge che
nelle indagini nutrizionali la compilazione
dei questionari e diari alimentari e le risposte all’intervista presentano numerosi limiti, alcuni insiti nelle metodiche
stesse di rilevamento, altri dovuti alla
variabilità alimentare degli individui, altri
ancora a fattori di diverso tipo che sono
stati sopra riportati. Pertanto, se non si
effettua una accurata standardizzazione
preliminare dei metodi da utilizzarsi al fine di minimizzare tali errori, i risultati
non sono né attendibili, né confrontabili.
Ne consegue che è assolutamente necessario utilizzare metodiche che devono essere accuratamente standardizzate e validate mediante una indagine pilota prima dell’inizio di ogni studio, al fine di ottenere il minor grado possibile di
errore. La standardizzazione deve riguardare in particolare:
– la scelta della metodica di espletamento dell’indagine in funzione di diverse variabili, quali il target di popolazione
da indagare, la numerosità del campione, il grado di accuratezza e di precisione che si vuole ottenere, nonché l’entità dei costi;
– la modalità di quantificazione dei consumi: pesata diretta oppure stima mediante l’impiego di misure e dimensioni
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eterminazioni antropometriche
nell’adulto e nel bambino
R. Bellù*, A. Tagliabue**
* Clinica Pediatrica Ospedale S. Paolo – Università degli Studi di Milano
** Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica – Università degli Studi di Pavia
Misure primarie
tipo di stadiometro utilizzato. Nei bambini e nei soggetti con difficoltà alla stazione eretta l’altezza può essere misurata in posizione supina. In questo caso
si utilizza un piano di misurazione orizzontale che presenta una tavoletta fissa
per la testa ed una mobile per i piedi,
ciascuna perpendicolare alla superficie
del piano. Per una accurata misurazione, il capo del soggetto deve poggiare
saldamente contro la tavoletta apposita
ed il corpo deve essere mantenuto su
di una stessa linea con le gambe estese e le piante dei piedi in posizione verticale. Dovendo paragonare determinazioni fatte in posizione sdraiata con altre
fatte in posizione eretta occorre tener
presente che la lunghezza di un soggetto sdraiato è lievemente superiore alla
sua statura. In età pediatrica si misura
la lunghezza (in posizione sdraiata) fino
all’età di tre anni, in seguito l’altezza in
piedi.
L’altezza è un parametro fondamentale nella valutazione della crescita
Altezza
L’altezza è una misura di base a cui
vengono rapportati molti parametri (es.
peso, valore dell’impedenza corporea,
ecc.) utilizzati nella valutazione dello
stato di nutrizione. Essa viene misurata
con lo stadiometro o antropometro, uno
strumento costituito da una barra verticale incorporante un metro ed una orizzontale da porre a contatto con il punto
più alto del capo. Al momento della misurazione il soggetto deve essere in posizione eretta con il dorso ed i talloni
aderenti al piano verticale. Il capo deve
essere posto in modo tale da mantenere orizzontale la linea di visione o meglio
il piano di Francoforte (piano passante
per il trago sinistro e per il punto più
basso del margine inferiore dell’orbita di
sinistra). I piedi dovranno essere scalzi,
con i talloni uniti e le punte leggermente divaricate (1).
L’altezza viene misurata con una approssimazione di 0,1-0,5 cm, secondo il
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
del bambino e dell’adolescente. Ai fini
di una corretta valutazione di tale parametro occorre confrontare il valore misurato con le apposite curve di crescita
specifiche per sesso e per età. Generalmente si utilizzano le curve di crescita
di Tanner, basate su rilevazioni della popolazione pediatrica britannica; le differenze etniche e geografiche rispetto alla
popolazione italiana sono minime, per
cui l’uso nel nostro paese di tali standard è perfettamente adeguato.
la misura è stata effettuata. L’adeguatezza del peso misurato può essere valutata confrontando tale valore con il
peso fisiologico ideale per sesso, età e
statura riportato in alcune tabelle di riferimento. Le più utilizzate a tale scopo
sono le tabelle elaborate dalla Metropolitan Life Insurance Company in base
a studi statistici effettuati sui propri assicurati (2) in cui sono riportati i range di
peso “desiderabili” in quanto legati alla
massima aspettativa di vita per soggetti
di età superiore ai 25 anni.
Al fine di rendere indipendente la
valutazione del peso corporeo dall’altezza dell’individuo e quindi di rendere possibile il confronto del peso tra soggetti e
gruppi di individui sono stati elaborati diversi indici peso/altezza. Il più utilizzato
nella letteratura recente è l’indice di
massa corporea (Body Mass Index,
BMI) o indice di Quetelet calcolato come peso/altezza2 (3). La correlazione del
BMI con il contenuto di grasso corporeo
è buona (variando da 0,6 a 0,8 secondo
l’età) (4) e l’errore nella predizione della
percentuale di grasso (3-5%) è simile a
quella osservata con la misura delle pliche cutanee o dell’impedenza corporea.
Il BMI può essere utilizzato per valutare l’adeguatezza del peso corporeo
in soggetti adulti di ambo i sessi secondo le indicazioni di Garrow (5):
Peso
Qualunque variazione nel contenuto
di acqua, massa magra o grassa del
corpo si riflette in una variazione del peso corporeo. Il peso rappresenta quindi
un indice primario oltre che semplice ed
immediato per la valutazione dello stato
di nutrizione. La misura del peso viene
effettuata con apposita bilancia a pesi
mobili con una approssimazione di 100
g. Il soggetto dovrebbe essere nudo (o
con biancheria intima leggera) con i
piedi posizionati al centro della piattaforma della bilancia (1).
Il peso di un adulto può presentare
variazioni diurne di circa 2 kg e quello di
un bambino di circa 1 kg. Perciò è opportuno registrare l’ora del giorno in cui
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R. Bellù, A. Tagliabue
BMI compreso tra 20,0 e 24,9 normopeso
BMI compreso tra 25,0 e 29,9 sovrappeso o obesità di I grado
BMI compreso tra 30,0 e 40,0
obesità di II grado
BMI superiore a 40
obesità di III grado
Circonferenze
Una valutazione più dettagliata e
differenziata per sesso è stata fornita
dall’OMS (6) sulla base dei dati di Bray e
viene riportata in Tabella 1.
Nel bambino la valutazione del sovrappeso può essere fatta attraverso il
calcolo del peso ideale per sesso ed altezza, e quindi calcolando l’eccesso
ponderale secondo la formula:
E.P. (%) =
Le circonferenze corporee esprimono le dimensioni trasversali dei vari segmenti corporei. Esse sono indici oltre
che dello stato di nutrizione (es., circonferenza del braccio) anche della distribuzione del grasso corporeo (es.,
circonferenze della vita e dei fianchi) e
della crescita (es., circonferenza del
cranio). La circonferenza del braccio
(misurata esattamente a metà distanza
tra acromion e olecrano a gomito flesso
di 90 gradi) è una tecnica antropometrica di notevole valore in quanto permette
di ottenere un stima della circonferenza
muscolare nella stessa sede. Quest’ultima si ottiene dalla circonferenza del
braccio corretta dalla misura della plica
cutanea secondo l’equazione:
(peso reale – peso ideale)
x 100
peso ideale
In tal modo si definisce sovrappeso un bambino il cui eccesso ponderale sia maggiore o uguale al 10% e
obeso quando il sovrappeso è superiore o uguale al 20% rispetto al peso
ideale; quando il peso è inferiore del
10% al peso ideale si parla di sottopeso. Anche in età pediatrica è possibile
utilizzare il BMI.
In tal caso si farà riferimento, per
una corretta interpretazione, ad apposite tabelle di percentile specifiche per
età e sesso. Si definiscono così obesi i
bambini che superano l’85° percentile
di BMI per età e sesso.
Cm = Cb – πP
dove:
Cm = circonferenza del muscolo;
Cb = circonferenza del braccio;
π = 3,14 e P = spessore della plica.
51
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
Tabella 1
Media e range dei pesi
desiderabili per altezza
degli adulti a.
a
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b
Indice di massa corporea
BMI = Wt (kg)/Ht2 (m)
Altezza
senza
scarpe
(m)
Maschi
Peso senza vestiti (kg)
Femmine
Peso senza vestiti (kg)
Media
Range
Obesi
desiderabile desiderabile
Media
Range
Obesi
desiderabile desiderabile
1,45
46,0
42-53
64
1,48
46,5
42-54
65
1,50
47,0
43-55
66
1,52
48,5
44-57
68
1,54
49,5
44-58
70
1,56
50,4
45-58
70
1,58
55,8
51-64
77
51,3
46-59
71
1,60
57,6
52-65
78
52,6
48-61
73
1,62
58,6
53-66
79
54,0
49-62
74
1,64
59,6
54-67
80
55,4
50-64
77
1,66
60,6
55-69
83
56,8
51-65
78
1,68
61,7
56-71
85
58,1
52-66
79
1,70
63,5
58-73
88
60,0
53-67
80
1,72
65,0
59-74
89
61,3
55-69
83
1,74
66,5
60-75
90
62,6
56-70
84
1,76
68,0
62-77
92
64,0
58-72
86
1,78
69,4
64-79
95
65,3
59-74
89
1,80
71,0
65-80
96
1,82
72,6
66-82
98
1,84
74,2
67-84
101
1,86
75,8
69-86
103
1,88
77,6
71-88
106
1,90
79,3
73-90
108
112
20,8
18,7-23,8
1,92
81,0
75-93
BMI b
22,0
20,1-25,0
Tale formula è basata sull’assunzione
che la sezione del braccio sia approssimativamente circolare, che lo strato adiposo sottocutaneo sia uniformemente
distribuito intorno al braccio e che il contributo dell’osso alla composizione del
30,0
28,6
braccio sia costante nei diversi soggetti
(Fig. 1). Il fatto che queste assunzioni
siano raramente soddisfatte costituisce
una delle maggiori fonti di errore della
tecnica che, tuttavia, per la sua semplicità e diffusione viene tuttora inclusa tra
52
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Pagina 53
R. Bellù, A. Tagliabue
Figura 1
Calcolo della
circonferenza muscolare
del braccio:
– misurare la circonferenza del braccio Cb (in cm);
– misurare la plica
tricipitale P (in mm) che è
pari a 2 volte lo spessore
della cute più il grasso
sottocutaneo da cui:
P = db (diametro del braccio) – dm (diametro del
muscolo) e dm = db – P;
– Circonferenza del braccio Cb = πdb;
– Circonferenza del muscolo Cm = π (db – P) =
πdb – πP = Cb – πP.
Cb
db
dm
cm
(modif. da Krause MV e Mahan
LK: Food, Nutrition and Diet
Therapy, Saunders, 1979)
le tecniche antropometriche di base (7).
È possibile ricavare il valore della
circonferenza (e dell’area) muscolare
del braccio utilizzando un apposito nomogramma (8) riportato in Figura 2.
Il rapporto tra la circonferenza della vita e quella dei fianchi (WHR, waist
hip ratio) è l’indice antropometrico più
utilizzato della distribuzione del grasso
corporeo. Esso ha assunto un notevole rilievo negli ultimi anni a seguito delle osservazioni epidemiologiche di una
associazione tra valori elevati di WHR
e rischio di malattie cardiovascolari e
diabete (9, 10). Più precisamente viene
considerata a maggior rischio la distri-
buzione del grasso di tipo addominale
o “androide” identificata da valori di
WHR superiori a 1 nell’uomo e 0,8
nella donna (11).
Si tratta di una misura molto semplice da effettuare e che presenta una
buona riproducibilità (circa 2%) (12).
Esistono, tuttavia, in letteratura varie indicazioni circa i punti di repere da
utilizzare per le misure. Secondo le raccomandazioni dell’OMS (7) i punti di riferimento sono i seguenti: il punto di
mezzo tra l’ultima costa e la cresta iliaca per la vita ed il livello del grande trocantere per i fianchi (Fig. 3).
Lo svantaggio di queste misure de-
53
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10:26
Pagina 54
Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
Figura 2
128,0
120,0
38,0
116,0
120,0
37,0
116,0
36,0
112,0
37,0
35,0
108,0
104,0
36,0
33,0
32,0
31,0
30,0
29,0
28,0
92,0
88,0
86,0
84,0
82,0
80,0
78,0
76,0
74,0
72,0
70,0
68,0
66,0
64,0
62,0
25,0
23,0
84,0
10
72,0
29,0
68,0
28,0
64,0
27,0
60,0
26,0
56,0
25,0
54,0
24,0
12
76,0
30,0
48,0
23,0
44,0
22,0
40,0
21,0
36,0
20,0
32,0
14
16
18
20
22
24
26
19,0
18,0
54,0
17,0
52,0
16,0
50,0
15,0
28
24,0
30
48,0
24,0
88,0
32,0
28,0
58,0
56,0
26,0
92,0
96,0
60,0
27,0
8
80,0
circonferenza muscolare del braccio (cm)
34,0
6
96,0
33,0
31,0
area del braccio (cm 2 )
circonferenza del braccio (cm)
35,0
108,0
104,0
100,0
34,0
100,0
4
112,0
plica tricipitale (mm)
38,0
2
39,0
124,0
39,0
area muscolare del braccio (cm 2 )
40,0
Per ottenere la
circonferenza muscolare:
1) unire con il regolo i
valori della circonferenza
del braccio e della plica
cutanea; 2) leggere la
circonferenza muscolare
sulla scala centrale.
Le aree del braccio e del
muscolo sono indicate a
fianco dei rispettivi valori
delle circonferenze.
14,0
46,0
44,0
13,0
42,0
12,0
Figura 3
Rappresentazione
schematica del livello al
quale dovrebbero essere
misurate le circonferenze
della vita, dei fianchi e
della coscia secondo le
raccomandazioni
dell’OMS.
Vita: a metà tra il
margine inferiore
dell’ultima costa e la
cresta iliaca.
Fianchi: a livello del
grande trocantere.
Coscia: a livello della
piega glutea.
54
20,0
32
16,0
34
12,0
36
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R. Bellù, A. Tagliabue
Figura 4
Sede di misura della
plica tricipitale.
Acromion
Punto medio
Olecrano
totale del grasso corporeo assumendo
che il grasso sottocutaneo ne rappresenti una frazione costante. La misura
delle pliche cutanee può essere effettuata in numerose sedi del corpo ma le
più frequentemente utilizzate sono la tricipitale, bicipitale, sottoscapolare e sovrailiaca. La plica tricipitale viene misurata sul lato posteriore del braccio a metà
distanza tra l’estremità dell’acromion e
dell’olecrano (Fig. 4). La plica bicipitale
viene rilevata alla stessa altezza ma sul
lato anteriore del braccio. La plica sottoscapolare viene misurata al di sotto della
punta inferiore della scapola, a 45° circa
rispetto alla verticale (Figg. 5a e 6) e la
riva dal fatto che esse non permettono
una distinzione tra grasso addominale
viscerale e sottocutaneo. A tal fine occorre utilizzare metodiche quali la tomografia assiale computerizzata o la risonanza magnetica nucleare.
Pliche
Il metodo più comunemente usato
per stimare il grasso corporeo è la plicometria. Attraverso la misura del grasso
sottocutaneo, effettuata mediante il plicometro, è possibile stimare, utilizzando
appropriate equazioni (13-15) il contenuto
55
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Pagina 56
Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
Figura 5
Sedi di misura della plica
sottoscapolare (a) e della
plica sovrailiaca (b).
a
Sede plica
sottoscapolare
Braccio dietro
la schiena
Linea Medio-Ascellare
b
Sede plica
sovrailiaca
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R. Bellù, A. Tagliabue
Figura 6
Misurazione della plica
sottoscapolare.
sovrailiaca al di sopra della cresta iliaca
lungo la linea ascellare media (Fig. 5b).
Le rilevazioni vengono generalmente effettuate sul lato non dominante del corpo. La sommatoria di più pliche permette di tenere conto delle differenze nella
distribuzione corporea del grasso sottocutaneo e riduce l’errore di misura. Tale
errore è pari a circa il 3-5% del valore
del grasso corporeo stimato con la densitometria (16). La percentuale di grasso
corporeo stimata in base alla sommatoria delle quattro pliche cutanee sopra
descritte è riportata in Tabella 2 [tratta
dal lavoro di Durnin & Womersley (13)].
La misura delle pliche cutanee richiede una notevole esperienza da parte
del rilevatore. Tuttavia per la sua sempli-
57
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
cità e diffusione la plicometria viene tuttora inclusa tra le tecniche antropometriche primarie per la stima del grasso corporeo (7). In età pediatrica essa risulta di
applicazione più incerta e difficoltosa.
Tabella 2
Percentuale di grasso
corporeo corrispondente
ai diversi valori della
sommatoria di 4 pliche
(bicipitale, tricipitale,
sottoscapolare e
sovrailiaca) di maschi e
femmine a diverse età.
Somma
pliche
(mm)
15
Una tecnica affine, denominata plicometria dinamica (17), viene utilizzata nel neonato per stimare l’acqua extracellulare
con discreta precisione (r = 0,71).
Maschi (età in anni)
17-29 30-39 40-49
4,8
–
–
Femmine (età in anni)
50+
–
16-29 30-39 40-49
10,5
–
–
50+
–
20
8,1
12,2
12,2
12,6
14,1
17,0
19,8
21,4
25
10,5
14,2
15,0
15,6
16,8
19,4
22,2
24,0
30
12,9
16,2
17,7
18,6
19,5
21,8
24,5
26,6
35
14,7
17,7
19,6
20,8
21,5
23,7
26,4
28,5
40
16,4
19,2
21,4
22,9
23,4
25,5
28,2
30,3
45
17,7
20,4
23,0
24,7
25,0
26,9
29,6
31,9
50
19,0
21,5
24,6
26,5
26,5
28,2
31,0
33,4
55
20,1
22,5
25,9
27,9
27,8
29,4
32,1
34,6
60
21,2
23,5
27,1
29,2
29,1
30,6
33,2
35,7
65
22,2
24,3
28,2
30,4
30,2
31,6
34,1
36,7
70
23,1
25,1
29,3
31,6
31,2
32,5
35,0
37,7
75
24,0
25,9
30,3
32,7
32,2
33,4
35,9
38,6
80
24,8
26,6
31,2
33,8
33,1
34,3
36,7
39,6
85
25,5
27,2
32,1
34,8
34,0
35,1
37,5
40,4
90
26,2
27,8
33,0
35,8
34,8
35,8
38,3
41,2
95
26,9
28,4
33,7
36,6
35,6
36,5
39,0
41,9
100
27,6
29,0
34,4
37,4
36,4
37,2
39,7
42,6
105
28,2
29,6
35,1
38,2
37,1
37,9
40,4
43,3
110
28,8
30,1
35,8
39,0
37,8
38,6
41,0
43,9
115
29,4
30,6
36,4
39,7
38,4
39,1
41,5
44,5
120
30,0
31,1
37,0
40,4
39,0
39,6
42,0
45,1
125
30,5
31,5
37,6
41,1
39,6
40,1
42,5
45,7
130
31,0
31,9
38,2
41,8
40,2
40,6
43,0
46,2
135
31,5
32,3
38,7
42,4
40,8
41,1
43,5
46,7
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R. Bellù, A. Tagliabue
Tabella 2
[segue]
Somma
pliche
(mm)
Maschi (età in anni)
17-29 30-39 40-49
Femmine (età in anni)
50+
16-29 30-39 40-49
50+
140
32,0
32,7
39,2
43,0
41,3
41,6
44,0
47,2
145
32,5
33,1
39,7
43,6
41,8
42,1
44,5
47,7
150
32,9
33,5
40,2
44,1
42,3
42,6
45,0
48,2
155
33,3
33,9
40,7
44,6
42,8
43,1
45,4
48,7
160
33,7
34,3
41,2
45,1
43,3
43,6
45,8
49,2
165
34,1
34,6
41,6
45,6
43,7
44,0
46,2
49,6
170
34,5
34,8
42,0
46,1
44,1
44,4
46,6
50,0
175
34,9
–
–
–
–
44,8
47,0
50,4
180
35,3
–
–
–
–
45,2
47,4
50,8
185
35,6
–
–
–
–
45,6
47,8
51,2
190
35,9
–
–
–
–
45,9
48,2
51,6
195
–
–
–
–
–
46,2
48,5
52,0
200
–
–
–
–
–
46,5
48,8
52,4
205
–
–
–
–
–
–
49,1
52,7
210
–
–
–
–
–
–
49,4
53,0
59
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
Misure bioelettriche
e la trasportabilità dell’attrezzatura che
la rendono utilizzabile anche “sul campo” per ricerche epidemiologiche (Fig.
7). Gli studi di validazione effettuati
sull’adulto hanno mostrato una buona
accuratezza (l’errore di stima è pari a
1,5-2,5 kg per TBW e 2,5-3,5 kg per
FFM) oltre ad un’alta riproducibilità
(0,5%) se vengono seguite attentamente le norme di standardizzazione in
particolare per quanto riguarda il posizionamento degli elettrodi (18).
Le limitazioni del metodo riguardano le situazioni con variazioni dell’idratazione corporea e/o della concentrazione
elettrolitica. Probabilmente per questo
motivo gli studi condotti durante variazioni della composizione corporea hanno ottenuto risultati contrastanti (19-25).
Nel bambino questa tecnica soffre
di alcune limitazioni dovute alla necessità di avere opportune equazioni per
predire la massa magra, equazioni che
per le età più precoci ancora mancano
o hanno poca validità (26); ancora diffi-
Impedenzometria
(Bioelectric Impedance
Analysis, BIA)
L’impedenzometria stima la composizione corporea basandosi sul principio
fisico della diversa conduzione elettrica
dei tessuti, in relazione al loro contenuto di acqua ed elettroliti (16). La conduzione di una corrente elettrica risulta infatti molto più elevata nella massa magra rispetto al tessuto adiposo.
Applicando al corpo una debolissima corrente elettrica alternata (800 µA)
a frequenza fissa (50 kHz) e rilevando
l’impedenza presentata dal corpo stesso al passaggio di tale corrente è possibile calcolare il contenuto di acqua corporea totale (TBW). Assumendo quindi
un fattore di idratazione costante è possibile ricavare dal valore di TBW la
quantità di massa corporea magra
(FFM) e grassa (FM). I vantaggi di tale
tecnica sono la facilità d’uso, l’assoluta
non invasività, la velocità di misurazione
60
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R. Bellù, A. Tagliabue
Figura 7
Analisi dell’impedenza
bioelettrica.
coltà intrinseche al metodo sono la necessità di operare in condizioni piuttosto rigide,
quali l’assenza di sudorazione (che può alterare la conduttività del corpo) e di movimenti
durante la misurazione; tali condizioni raramente possono verificarsi, specie nel bambino molto piccolo. Queste difficoltà e l’assenza di equazioni specifiche rendono il metodo
praticamente ancora non utilizzato nel neonato e nel bambino fino all’età scolare. Alcuni valori di composizione corporea ottenuti
mediante BIA in bambini in età scolare sono
riportati in Tabella 3.
Prospettive interessanti possono essere
aperte dai nuovi strumenti a frequenza variabile che offrono la possibilità di stimare separatamente i compartimenti idrici corporei (27-28) (Tab. 4).
Teoricamente, infatti, a bassa frequenza
(1 o 5 kHz) la corrente alternata non attraversa le membrane cellulari e permette la
stima dell’acqua extracellulare (ECW). A
frequenze elevate (100 kHz e oltre) la corrente passerebbe invece negli spazi intra
ed extracellulari permettendo di stimare
TBW. Gli studi di validazione condotti nell’adulto con i metodi di diluizione hanno
confermato che l’analisi dell’impedenza a
frequenza variabile può predire separatamente i valori di ECW e TBW con un coefficiente di variabilità del 5% (28, 29). Gli errori
predittivi dipendono soprattutto da differenze nella distribuzione idrica dei soggetti misurati rispetto al campione in cui è stata
sviluppata la formula predittiva (29).
L’applicabilità clinica del metodo in particolare a pazienti con disturbi idroelettrolitici è
tuttora in fase di studio.
61
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Pagina 62
Tabella 3
Valori di composizione
corporea di bambini tra
6 e 12 anni, rilevati
mediante
bioimpedenzometria
presso la Clinica
Pediatrica V, Università
di Milano.
Età (anni)
MASCHI
6
7
8
9
10
18,9
20,8
22,8
27,5
29,4
2,7
2,9
3,5
2,6
3,5
Media
3,5
4,4
4,9
5,2
5,8
DS
1,6
2,9
3,5
3,9
2,9
15,4
16,4
16,4
17,3
15,8
7,2
7,0
7,0
7,2
5,8
6
7
8
9
10
18,4
20,3
23,2
26,0
28,6
2,4
3,3
1,2
3,3
5,8
Media
3,3
5,5
4,8
6,2
8,2
DS
1,8
3,3
1,2
3,3
5,8
15,1
19,9
15,9
18,3
19,9
6,6
8,8
7,2
6,7
9,9
Massa magra (kg)
Media
DS
Massa grassa (kg)
Massa grassa (%)
Media
DS
Età (anni)
FEMMINE
Massa magra (kg)
Media
DS
Massa grassa (kg)
Massa grassa (%)
Media
DS
Tabella 4
Valori dei compartimenti
idrici corporei di soggetti
adulti sani, rilevati
mediante analisi
dell’impedenza
bioelettrica
multifrequenziale presso
il Centro Ricerche sulla
Nutrizione Umana e la
Dietetica, Università di
Pavia.
MASCHI
Unità
MEDIA
TBW
kg
40,2
3,7
TBW
% peso
56,0
3,6
ECW
kg
17,4
1,6
ECW
% peso
24,0
1,6
ICW
kg
22,9
2,1
ICW
% peso
32,0
2,1
DS
FEMMINE
DS
Unità
MEDIA
TBW
kg
30,0
2,6
TBW (total body water) =
acqua corporea totale
TBW
% peso
53,4
3,3
ECW
kg
13,2
1,1
ECW (extra-cellular water) =
acqua extracellulare
ECW
% peso
23,4
1,6
ICW
kg
16,8
1,5
ICW (intra-cellular water) =
acqua intracellulare
ICW
% peso
30,0
1,8
62
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R. Bellù, A. Tagliabue
Figura 8
Misura della
composizione corporea
mediante TOBEC.
Solenoide (5 Mhz)
Soggetto
Impedenzometro
corporei, che per la frequenza scelta (5
MHz) è massima per i tessuti magri
(muscoli, organi splancnici), minima per
quelli grassi (tessuto adiposo, cervello,
midollo osseo) (31). Le equazioni vengono derivate diversamente per lo strumento ad uso pediatrico (fino a due anni) rispetto a quello utilizzato per i bambini dall’età scolare in poi e per gli adulti. Per i primi, infatti, la mancanza di un
metodo di validazione rende indispensabile derivare le equazioni dal confronto
con un modello animale comparabile
come composizione corporea al neonato e al piccolo lattante. Per adulti e
bambini grandicelli si procede invece alla validazione mediante confronto con la
pesata idrostatica.
I risultati forniti dalla misurazione
sono espressi in kg di massa magra il
cui contenuto in elettroliti determina la
modificazione del campo elettromagnetico. La differenza rispetto al peso rile-
TOBEC (Total Body
Electric Conductivity)
Un’altra metodica basata sulla diversa conduttività dei tessuti è rappresentata dal TOBEC (30).
Tale strumento è costituito essenzialmente da un cilindro che mantiene al
suo interno un debolissimo campo elettromagnetico a 5 MHz (Fig. 8). Quando
un conduttore, quale il corpo umano,
viene posto all’interno del cilindro, si verifica una perturbazione dell’impedenza
del campo elettromagnetico rilevabile
dallo strumento; la differenza di impedenza tra il cilindro vuoto e il cilindro
contenente il conduttore rappresenta il
cosiddetto numero TOBEC, dal quale si
può poi calcolare, in base ad opportune
equazioni, la massa magra presente nel
cilindro stesso.
Il principio sul quale il metodo si basa è la differente conduttività dei tessuti
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
vato rappresenta pertanto la massa
grassa. La precisione del metodo è
estremamente interessante.
Nel bambino grandicello la stima è
paragonabile a quella ottenuta mediante pesata idrostatica (32). Nel lattante
tale confronto non è possibile non essendo possibile effettuare tale tipo di
rilevamento. Alcuni valori di composizione corporea ottenuti mediante TOBEC in neonati a termine e bambini di
un anno di età sono riportati nelle Tabelle 5 e 6.
Il confronto con tecniche quali la
determinazione dell’acqua deuterata
(che pure non stima la massa magra
bensì l’acqua corporea totale) mostra
una precisione ed una validità almeno
altrettanto buoni (32). La semplicità e la
rapidità di esecuzione, l’assoluta non invasività, la qualità dei risultati fanno della metodica TOBEC, secondo alcuni, il
“gold standard” per la determinazione di
massa magra e massa grassa in età
pediatrica (33), specie nella prima infanzia. Altri punti rilevanti sono rappresentati dall’ottima ripetibilità, dalla possibilità di effettuare le misurazioni senza
spogliare il bambino e dall’insensibilità
della rilevazione rispetto a variabili quali
il grado di sudorazione o di attività svolta. Particolarmente interessante appare, per lo strumento in uso per i bambini
grandicelli e adulti (basato su un metodo di rilevazione a scansione), la possibilità di effettuare rilevazioni per segmenti fornendo in tal modo una misura
della distribuzione regionale del grasso
corporeo. Altra interessante caratteristica, disponibile in un prossimo futuro, è
la possibilità di fornire stime separate
dell’acqua corporea totale e della massa magra, superando in tal modo la limitazione di considerare costante il rapporto tra queste due componenti. Tra
gli svantaggi vi sono l’alto costo iniziale
ed il fatto di non poter disporre attualmente di una attrezzatura trasportabile.
Le possibili applicazioni sono rappresentate da tutte le situazioni patologiche e fisiologiche nelle quali è necessario conoscere con ottima precisione la
composizione corporea in termini di
massa magra, massa grassa e acqua
corporea totale; il monitoraggio nutrizionale, specie in bambini ed adulti ad alto
rischio, rappresenta naturalmente l’area
di utilizzo più importante.
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R. Bellù, A. Tagliabue
Tabella 5
Valori di composizione
corporea per neonati a
termine, rilevati
mediante TOBEC presso
la Clinica Pediatrica V,
Università di Milano.
PERCENTILE
MASCHI
Unità MEDIA
DS
5
50
90
95
Massa magra (FFM)
g
2817
320
2300 2500 2800 3300 3400
Massa grassa
g
454
190
200
220
400
700
Massa grassa
(%)
13,0
5,7
3,8
5,5
12,5
21,6 22,8
DS
5
10
800
PERCENTILE
FEMMINE
Unità MEDIA
50
90
95
Massa magra (FFM)
g
2635
280
2200 2300 2600 3000 3100
Massa grassa
g
467
161
200
300
500
700
Massa grassa
(%)
14,8
3,8
7,7
8,8
14,8
18,9 20,0
DS
5
10
50
90
95
0,73
6,8
6,8
7,7
8,2
9,3
Tabella 6
Valori di composizione
corporea per bambini di
un anno di età, rilevati
mediante TOBEC presso
la Clinica Pediatrica V,
Università di Milano.
10
750
PERCENTILE
MASCHI
Massa magra (FFM)
Unità MEDIA
kg
7,67
Massa grassa
kg
2,32
0,53
1,20
1,25
2,50
2,71 3,01
Massa grassa
(%)
23,0
3,90
15,0
15,5
24,3
25,5 28,1
PERCENTILE
FEMMINE
Unità MEDIA
Massa magra (FFM)
kg
DS
5
10
50
90
95
6,86
0,46
5,9
6,3
6,8
7,5
7,6
3,6
Massa grassa
kg
2,50
0,58
1,5
1,9
2,4
3,2
Massa grassa
(%)
26,4
4,1
15,0
15,5
24,4
25,5 28,1
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
Altre misure fisiche
ficoltà di questa metodica consistono
nella corretta applicazione della sonda
ad ultrasuoni che dovrebbe essere perpendicolare rispetto ai tessuti sottostanti e non esercitare alcuna pressione. Inoltre la rilevazione di un buon segnale riflesso dipende dalla quantità di
tessuto connettivo all’interfaccia tra tessuto adiposo sottocutaneo e muscolo.
Gli ultrasuoni permettono anche
una misura del grasso viscerale a livello
dell’addome come è stato recentemente dimostrato (39).
Ecografia
L’ecografia è stata proposta come
tecnica non invasiva alternativa per la
misura del grasso sottocutaneo in quanto essa potrebbe superare alcune delle
limitazioni connesse all’utilizzazione della plicometria (34, 35). Gli apparecchi ad
ultrasuoni sono in grado di misurare il
grasso sottocutaneo a profondità di
100 o più mm senza comprimere i tessuti e rilevando l’interfaccia tra due tessuti di densità diversa con l’accuratezza
di 1 mm (36).
La correlazione tra le misure del
grasso sottocutaneo ottenute con il calibro e con gli ultrasuoni è generalmente elevata [r > 0,80 (37)].
Alcuni autori non hanno rilevato
nessuna differenza nella predizione del
grasso corporeo totale a partire dai dati
ottenuti con plicometro o ultrasuoni in
soggetti adulti (36, 38) mentre Borkan (37)
suggerisce una maggiore capacità predittiva della plicometria. Le maggiori dif-
Assorbimento
all’infrarosso
Questo metodo è basato sulle differenze di assorbimento e riflessione
dello spettro luminoso vicino all’infrarosso (700-1100 nm) nei diversi tessuti. Quando la radiazione elettromagnetica colpisce un materiale, l’energia luminosa viene riflessa, assorbita o tra-
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smessa subordinatamente alle proprietà
di dispersione e di assorbimento del
campione dipendenti dalla sua composizione chimica. Il metodo è stato sviluppato in agricoltura per determinare la
composizione dei cereali e della carne (40, 41). Nel 1984 è stato applicato
per la prima volta allo studio della composizione del corpo umano da
Conway (42) che ha ottenuto una buona
correlazione (r = 0,94) tra i valori rilevati
mediante interazione con infrarossi e
acqua corporea totale determinata con
diluizione del deuterio in 53 volontari.
L’errore nella predizione del grasso corporeo era del 3,2%. Tuttavia un successivo studio di validazione (43) non ha
confermato l’utilità della metodica rispetto agli altri metodi di studio della
composizione corporea.
hanno densità diverse e costanti, è
possibile risalire alla costituzione dei
due compartimenti (44, 45). Nell’adulto
tale tecnica è ampiamente utilizzata e
ha rappresentato il “gold standard” con
il quale validare le altre tecniche.
In età pediatrica la densitometria
trova numerose limitazioni. Innanzitutto
è completamente inapplicabile al neonato e nel bambino piccolo, in quanto è
assolutamente necessaria la collaborazione del soggetto che deve rimanere
costantemente immerso nell’acqua per
il periodo di misurazione. Inoltre occorre
tener conto che la densità della massa
magra è diversa nel bambino e varia
con l’età. Da ultimo non è applicabile a
bambini ospedalizzati. Per questi motivi
questa tecnica può essere ottima dall’adolescenza in poi, mentre nelle età
precedenti ha finora trovato uno scarso
impiego.
Densitometria
La pesata idrostatica rappresenta il
metodo più tradizionale per misurare il
contenuto corporeo di grasso; il metodo
si basa sul principio di Archimede per
determinare la densità corporea rapportando il peso dell’individuo in condizioni
normali e quello ottenuto quando il soggetto è completamente immerso nell’acqua; poiché massa magra e grassa
Diluizione isotopica
Numerosi metodi sono disponibili
per stimare l’acqua corporea totale
(TBW) basati sul principio di diluire un
quantitativo noto di sostanza nei liquidi
dell’organismo e di risalire dalla concentrazione della sostanza in un certo
compartimento al compartimento ac-
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
quoso totale. Il metodo più diffuso attualmente si basa sulla diluizione di
deuterio, un isotopo stabile la cui concentrazione viene poi misurata nel sangue o nelle urine (46). Questi metodi sono ideali, presentando un’ottima precisione, quando il compartimento di maggior interesse è l’acqua corporea totale;
per stimare altri compartimenti (massa
magra e massa grassa) occorre naturalmente assumere che il grado di idratazione della massa magra sia costante,
il che è chiaramente un’approssimazione. Tra gli svantaggi di tale tecnica, vi
sono i costi delle attrezzature e degli
isotopi, la relativa invasività e la tossicità
non perfettamente nota, specie nel
neonato, degli isotopi stabili.
so, questi possono essere immediatamente derivati con opportuni calcoli.
Questo metodo presenta come vantaggio, oltre alla grande precisione, il
fatto di essere del tutto sicuro e non invasivo. In età pediatrica, tuttavia, è piuttosto difficile da utilizzare in quanto il
bambino deve rimanere isolato per periodi piuttosto lunghi (20-40 minuti) in
una speciale camera. Inoltre una possibile fonte di imprecisione deriva dal fatto
che il contenuto di potassio nella massa
magra può variare in età pediatrica (33).
Tomografia Assiale
Computerizzata (TAC)
Questa metodica permette di visualizzare sezioni trasverse del corpo e di
osservare i tessuti contenuti in tali sezioni in modo bidimensionale. Il paziente
viene posto tra una fonte di raggi X ed
un rilevatore che si muovono all’unisono
esaminando zone diverse del corpo.
L’attenuazione del raggio emittente dipende dalla densità dei segmenti esaminati e viene trasformata dal computer
in una immagine.
La tomografia è particolarmente
utilizzata per valutare la distribuzione del
tessuto adiposo e in particolare la proporzione tra tessuto adiposo viscerale e
Potassio corporeo
Un metodo molto preciso per determinare la massa magra è rappresentato
dalla misura del potassio corporeo (47).
Tale misura è resa possibile dal fatto
che il potassio naturale contiene una
quantità fissa dell’isotopo radioattivo
40K. Misurando con un opportuno contatore questa frazione è possibile risalire
al contenuto corporeo totale di potassio;
poiché questo è presente solo nella
massa magra e non nel tessuto adipo-
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R. Bellù, A. Tagliabue
sottocutaneo a livello addominale (48, 49).
Quando è possibile effettuare misurazioni multiple di varie sezioni corporee
sullo stesso soggetto si può calcolare il
volume dei tessuti misurati, in particolare del tessuto adiposo, e risalire, assumendo valori standard di densità, alla
composizione corporea (50-52). In caso di
misurazione unica il sito migliore per
predire il grasso corporeo totale risulta
essere il livello corrispondente alle vertebre L4-L5 (53). La tomografia risulta
essere un metodo costoso e, a causa
dell’esposizione alle radiazioni, limitato a
pazienti che necessitano di sottoporsi a
questo esame per scopi diagnostici.
Un metodo analogo ma che non
utilizza radiazioni è la risonanza magnetica nucleare.
analoga a quanto ottenibile con la TAC.
A differenza di quest’ultima, tuttavia, il
corpo non viene sottoposto a radiazioni
il che ne permette un maggior utilizzo a
scopo di ricerca anche se i costi dell’esame sono molto elevati. I tempi di
misura generalmente piuttosto lunghi
sono stati ridotti recentemente da 1 ora
a 30 minuti per un’analisi completa del
corpo (54).
Assorbimento fotonico
Le misure non invasive per lo studio
della composizione corporea sono state
ampliate dall’inclusione dei metodi basati sull’assorbimento fotonico che offrono stime sia dello scheletro che dei
tessuti molli (55, 56). Il principio sottostante è la differente attenuazione tessutale
di fotoni a due livelli di energia emessi o
da un radionuclide (assorbimento a
doppio-fotone, DPA) o più recentemente da una fonte di raggi X (assorbimento a raggi X a doppia energia, DXA). In
quest’ultimo caso, il corpo o parte di
esso viene esplorato dai raggi X a due
diversi livelli di energia, 38 e 70 KeV, rispettivamente (57). L’attenuazione tessutale viene rilevata da fotocellule e permette al computer di generare una figura unidimensionale del corpo o del seg-
Risonanza Magnetica
Nucleare (RMN)
La tecnica si basa sul comportamento dei nuclei dell’idrogeno (presenti
prevalentemente nell’acqua) in un campo magnetico. Per effettuare questo tipo di indagine, il corpo umano viene
posto all’interno di un campo magnetico ed i segnali ottenuti vengono utilizzati per costruire un’immagine bidimensionale della parte del corpo esaminata
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
mento corporeo in esame. Il software è
in grado di calcolare diverse componenti corporee: massa magra, grasso e minerale osseo (55, 58). Questi calcoli sono
possibili anche su segmenti del corpo,
es. gambe, braccia o tronco. Il metodo
non è, tuttavia, in grado di distinguere
tra grasso sottocutaneo e viscerale. La
dose di radiazioni utilizzata è bassa, inferiore a quella richiesta per effettuare
una radiografia del torace.
La riproducibilità del metodo è molto
alta e varia dallo 0,5% per la misura della densità ossea al 2% nella valutazione
della composizione corporea totale.
Gli svantaggi del metodo includono
la dimensione limitata del piano di misura che esclude dalle misurazioni persone
troppo alte o troppo grasse. Inoltre l’attenuazione dei raggi X dipende dallo
spessore del tessuto rendendo necessarie correzioni per la costituzione fisica (59). Si tratta infine di uno strumento
dal costo molto elevato.
me con neutroni veloci di energia nota
che interagiscono con gli elementi chimici nel corpo (es. azoto o calcio) e
provocano quindi emissione di radiazioni
gamma che possono essere misurate.
Assumendo un contenuto costante di
calcio nell’osso, di azoto nelle proteine
e di carbonio nel grasso è quindi possibile risalire al contenuto corporeo di
questi compartimenti (60, 61).
L’attivazione neutronica costituisce
l’unico metodo diretto di studio del corpo umano in vivo ma richiede una dose
di radiazioni non trascurabile e pertanto
il suo utilizzo viene riservato, insieme
all’analisi chimica di cadaveri umani, allo sviluppo di modelli di composizione
corporea che costituiscono la base di
tutti i metodi indiretti di più vasta applicazione.
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Dual-energy x-ray absorptiometry for total body and
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73
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Determinazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino
59. Wellens R, Chumlea WC, Guo S, Roche AF,
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Body composition in white adults by dual-energy xray absorptiometry, densitometry and total body
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M
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isure biochimiche per
la valutazione dello stato
di nutrizione di proteine,
vitamine e minerali
A. Daghetta*, M. Porrini**, G. Testolin**
** DISTAM – Sez. Nutrizione – Università degli Studi di Milano
* DIFCA – Cattedra di Analisi Chimica dei Prodotti Alimentari – Università degli Studi di
Proteine
La valutazione dello stato di nutrizione proteico può essere affrontata
con metodologie diverse, dal momento
che la risposta dell’organismo all’assunzione insufficiente di alimenti è complessa e multifattoriale. In modo del tutto generale, la malnutrizione proteica
può essere descritta macroscopicamente con la crescita inadeguata nei
bambini e la riduzione della massa corporea magra negli adulti. Si verifica in
pratica una perdita di tutti i componenti
proteici citoplasmatici, dei lipidi strutturali e dei minerali a livelli differenti nei
vari tessuti. La valutazione della massa
magra e dell’azoto corporeo totale sono
quindi i metodi più comuni per stimare
lo stato di nutrizione proteico dell’organismo.
Per quanto riguarda l’approccio
biochimico gli indici ideali dovrebbero
avere una emivita breve, esistere principalmente in un compartimento organico
facilmente accessibile, avere limitati
controlli omeostatici e una velocità ca-
tabolica costante e non essere influenzati dallo stato vitaminico e minerale o
da stati patofisiologici (1). Numerosi sono gli indici biochimici dello stato di nutrizione proteico-energetico attualmente
disponibili, ma nessuno è in grado di
fornire indicazioni complete e precise
sul reale stato dell’individuo. Per questo
motivo verranno brevemente considerati
i metodi più comunemente utilizzati nella pratica clinica, cercando di evidenziarne i limiti e quindi le reali condizioni
di applicabilità.
Proteine plasmatiche
Diverse proteine plasmatiche di origine epatica sono state considerate un
buon indice dello stato nutrizionale.
Tenendo conto di tutti i possibili fattori
interferenti, si ammette che in periodi in
cui l’assunzione energetica o proteica è
insufficiente, si verifica una diminuzione
dei livelli delle proteine plasmatiche do-
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
vuta alla riduzione della loro sintesi epatica e della loro secrezione. Il ripristino
di una dieta adeguata induce la sintesi
proteica e riporta i livelli proteici plasmatici alla normalità.
La velocità a cui la concentrazione
plasmatica di una proteina varia in risposta ad una dieta inadeguata dipende
dall’emivita della proteina; infatti lo
squilibrio tra la velocità di sintesi o secrezione e quella di catabolismo si manifesterà più velocemente in proteine
con un’emivita più breve.
Delle varie classi di proteine plasmatiche l’albumina e le proteine di trasporto, prealbumina (PA), proteina legante il retinolo (RBP = retinol binding
protein) e transferrina (TA) sono state le
più studiate quali indicatori dello stato di
nutrizione (2). La fibronectina (FB), una
glicoproteina presente nella matrice extracellulare del sistema nervoso centrale, è stata inserita solo più recentemente nella lista.
In generale PA, RBP, TA e FB hanno emivita più breve e pool di dimensioni minori rispetto all’albumina, per cui
mostrano variazioni più rapide delle
concentrazioni e sono quindi considerate indicatori più sensibili della denutrizione subclinica rispetto all’albumina.
Nella scelta della variabile che si
vuole dosare e nell’interpretazione dei
risultati ottenuti è quindi indispensabile
effettuare una distinzione tra indicatori
dello stato di nutrizione a breve e a lungo termine.
La principale obiezione all’utilizzo
delle proteine plasmatiche quali indicatori di deplezione e carenza proteica è il
ruolo svolto dalla loro risposta alla “fase
acuta di situazioni patologiche” (3) .
Infatti la concentrazione plasmatica di
albumina, PA, TA, RBP e FB diminuisce in seguito ad una situazione infiammatoria acuta dovuta a motivi diversi,
quali interventi chirurgici, infarto, infezioni, traumi e tumori. La loro concentrazione risulta pertanto influenzata anche
da fattori non nutrizionali.
Anche se l’importanza della risposta
alla fase acuta di situazioni patologiche
rispetto ai fattori nutrizionali nella regolazione delle proteine plasmatiche non è
ancora stata studiata sistematicamente
in molte situazioni cliniche, gli studi fino
ad ora effettuati ne evidenziano l’importanza e sottolineano la difficoltà a distinguere tra l’influenza della nutrizione
e di altri fattori di stress. Ciò significa
che l’utilità delle proteine plasmatiche
quali indicatori inequivocabili dello stato
nutrizionale è notevolmente limitata.
Maggiore utilità sembrano invece rivestire nel monitoraggio dell’efficacia della
terapia nutrizionale.
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A. Daghetta, M. Porrini, G. Testolin
2. l’ipoalbuminemia non è presente
in tutte le condizioni di denutrizione o
iponutrizione; essa ad esempio è caratteristica del Kwashiorkor, mentre in adulti
volontari sani a semidigiuno protratto per
sei mesi, se ne è verificata solo una modesta riduzione (appena il 2%);
3. il metabolismo dell’albumina è
facilmente perturbato da diverse condizioni morbose, quali malassorbimento,
epatopatie, nefropatie, infezioni, traumi,
neoplasie, squilibri osmotici ed ormonali;
4. è importante la standardizzazione
del prelievo; la posizione ortostatica,
aumentando la pressione idrostatica
negli arti inferiori, tende a lieve emoconcentrazione. Si possono pertanto
osservare variazioni percentuali dell’albuminemia così come delle proteine totali, dell’emoglobina, dell’ematocrito,
del calcio e del potassio, fino al 10-15%
in più o in meno. Si spiega così la diminuzione di questi parametri che si osserva frequentemente nei pazienti pochi
giorni dopo l’ospedalizzazione.
Intervallo di normalità: 3,5-5 g/dL (6).
Albumina
È stata la frazione proteica più studiata e più frequentemente utilizzata in
clinica per la valutazione dello stato di
salute in generale, dal momento che è
anche quella presente nelle più alte
concentrazioni nel plasma. Una carenza
proteica prolungata determina sicuramente un calo della concentrazione di
albumina nel plasma. Molti studi hanno
verificato che l’ipoalbuminemia è un indice prognostico accurato dell’aumentata morbidità, mortalità e tempo di degenza tra i pazienti ospedalizzati (4, 5).
Tuttavia esistono una serie di limitazioni
teorico-pratiche al suo corretto impiego
per la valutazione dello stato di nutrizione a breve termine:
1. l’albumina è distribuita in un pool
corporeo relativamente ampio in gran
parte extravascolare (solo il 30-40% si
ritrova nel siero). Pertanto eventuali modifiche che possono verificarsi al di fuori
dello spazio intravascolare non possono
essere rilevate dalle determinazioni sieriche: il pool corporeo totale si può ridurre
infatti ad 1/3 del livello normale prima
della comparsa di ipoalbuminemia. Per
questo motivo e per la sua emivita lunga
(15-19 giorni) può essere un importante
indice prognostico solo nelle condizioni
di grave depauperamento organico;
Transferrina
È una betaglobulina con peso molecolare 77.000 Dalton ed emivita di 8
giorni. Il suo metabolismo è complesso
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
poiché riveste un ruolo centrale nel metabolismo del ferro, essendone la principale proteina plasmatica di trasporto (6).
La TA diffonde liberamente nel
compartimento extracellulare (linfa, plasma e fluido interstiziale) e circa il 5060% è localizzato nello spazio extravascolare. I livelli di TA si possono modificare in varie condizioni fisiopatologiche:
gravidanza, uso di anticoncezionali, epatiti acute, cirrosi epatica, infezioni croniche, neoplasie, sindrome nefrosica.
Inoltre i suoi livelli aumentano in condizioni di carenza di ferro (7). Se quindi il
paziente in esame presentasse concomitante carenza proteica e di ferro, i suoi
livelli di transferrina risulterebbero nell’intervallo di normalità. La sua concentrazione può anche venire calcolata dalla
“capacità totale di legare il ferro” (total
binding iron capacity – TIBC) secondo
una equazione che viene messa a punto
in ciascun laboratorio di analisi, dal momento che si possono utilizzare molte
procedure diverse per misurare il TIBC.
In generale si ritiene che la sensibilità e la specificità della TA come indice
dello stato di nutrizione proteico, analogamente a quanto osservato per l’albumina, sia molto scarsa, per cui la sua
determinazione ha maggior validità in
epidemiologia che in clinica. Intervallo di
normalità: 220-400 mg/dL (8).
Prealbumina
La PA è un indice dello stato di nutrizione più sensibile della TA perché ha
una emivita di 1-2 giorni ed un pool totale più contenuto. La sua concentrazione plasmatica risponde rapidamente
a cambiamenti nell’apporto dietetico ed
è ben correlata alle variazioni del bilancio di azoto, per cui può risultare utile
come supporto negli interventi terapeutici. I livelli circolanti di PA sono influenzati dalla disponibilità della tiroxina della
quale funge da proteina di trasporto. Di
conseguenza in condizioni di ipertiroidismo l’utilizzo della PA come marker nutrizionale può risultare compromesso.
Intervallo di normalità: 10-40 mg/dL (6).
Proteina legante il retinolo
È una proteina sintetizzata nel fegato (PM 21.000 Dalton) con emivita di
circa 10 ore, che è in grado di legare
specificamente il retinolo e trasportarlo
nel plasma. Nel plasma si ritrova in forma di un complesso con la prealbumina
che ne riduce la filtrazione glomerulare
e, di conseguenza, il catabolismo. In
condizioni normali circa il 90% dell’RBP
è saturata con retinolo, per cui la sua
concentrazione plasmatica è influenzata
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dallo stato di nutrizione vitaminico (9). La
RBP viene metabolizzata dal rene; per
tale ragione le sue concentrazioni sieriche sono aumentate nell’insufficienza
renale. In condizioni di malnutrizione
proteica e calorica invece i suoi livelli risultano abbassati. Intervallo di normalità: 40-50 µg/mL (10).
l’attenzione a concomitanti patologie
che possono alterare la loro concentrazione nel siero. Esiste poi un’ampia variabilità interindividuale nella loro concentrazione, per cui la loro valutazione è
certamente più utile in indagini epidemiologiche o per informazioni di carattere generale, piuttosto che per una valutazione clinica del singolo caso.
Fibronectina
Aminoacidi plasmatici
È una glicoproteina ad alto peso
molecolare presente nel plasma, nella
linfa e negli spazi interstiziali, che si è
dimostrata molto importante per la sua
alta affinità per il collagene, la fibrina e
l’actina. La sua concentrazione sierica
si riduce notevolmente dopo traumi e
sepsi, probabilmente perché rapidamente consumata per il suo “legame
obbligatorio” con gli elementi cellulari
dell’infiammazione. Le variazioni della
sua concentrazione sierica sono pertanto un buon indice prognostico nello
shock. Ha una emivita di 12-24 ore,
per cui risulta essere molto sensibile a
variazioni dello stato di nutrizione (6).
In conclusione il dosaggio delle proteine sieriche può essere utilizzato per
la valutazione dello stato di nutrizione,
ma con alcune precauzioni; in particolare la standardizzazione del prelievo e
Anche i rapporti tra gli aminoacidi
plasmatici sono stati studiati come indici
dello stato di nutrizione (11, 12). Particolare attenzione è stata posta agli aminoacidi a catena ramificata, agli aromatici e ai solforati. Le concentrazioni plasmatiche e i rapporti tra questi aminoacidi risultano alterati nella malnutrizione
severa (riduzione degli aminoacidi a catena ramificata ed aumento di quelli
aromatici e solforati) (13). La maggior
parte degli studi sui livelli aminoacidici
nella malnutrizione sono stati condotti in
età pediatrica. Va comunque ricordato
che i sistemi di regolazione omeostatica
dei livelli aminoacidici plasmatici nell’uomo sono estremamente efficienti e
quindi le alterazioni dell’aminoacidogramma sono quasi sempre tardive e
presenti solo nella grave malnutrizione
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
proteica, quando i segni clinici sono già
molto evidenti. Il profilo aminoacidico
plasmatico risulta invece di grande interesse per la diagnosi di errori congeniti
del metabolismo e come indice prognostico di sindromi da insufficienza multi
organica (6).
La cirrosi e l’encefalopatia, per
esempio, sono associate ad un aumento degli aminoacidi aromatici e solforati
che può venire normalizzato somministrando formule arricchite con aminoacidi ramificati.
Per meglio comprendere le specifiche alterazioni del metabolismo proteico
nella malnutrizione sono state utilizzate
tecniche sofisticate per lo studio della
sintesi e degradazione proteica mediante aminoacidi marcati con radioisotopi. I
risultati di questi studi sono ancora difficilmente utilizzabili nella pratica clinica.
Creatinina urinaria
La creatinina è il prodotto di degradazione della fosfocreatina, molecola di
deposito dell’energia nel muscolo. La
creatinina viene escreta inalterata nelle
urine, senza soglia di eliminazione renale. Quindi la valutazione dell’escrezione
urinaria di creatinina nelle 24 ore in
soggetti con normali funzioni renali, dieta adeguata e di composizione costante
riflette la quantità totale di creatinina
dell’organismo e quindi la massa muscolare. È stato stimato che 1 g di
creatinina urinaria corrisponde a circa
18 kg di muscolo, per cui dai dati
dell’escrezione urinaria di creatinina nelle 24 ore è possibile risalire alla massa
corporea magra (MMC) applicando la
seguente equazione:
MMC (kg) = 7,138 + 0,002908 x
(mg creatinina urinaria nelle 24 ore).
La creatininuria viene generalmente
espressa in rapporto all’altezza del soggetto in esame. Esistono tabelle di riferimento con i valori ideali della creatininuria nelle 24 ore nei due sessi in funzione dell’altezza (14). Il rapporto tra la
creatininuria del soggetto in esame e il
valore ideale moltiplicato per 100 costituisce l’Indice Creatinina/Altezza. Valori
compresi tra 80 e 90% indicano ridu-
Massa muscolare
La riduzione della massa muscolare
è sicuramente una delle componenti
principali della deplezione proteica, per
cui la sua determinazione è di primaria
importanza. I marker biochimici più utilizzati allo scopo sono:
– creatinina urinaria;
– 3-metil-istidina urinaria.
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A. Daghetta, M. Porrini, G. Testolin
zione scarsa della massa muscolare, tra
70 e 80% riduzione moderata e inferiori
a 70% indicano riduzione severa della
massa muscolare (6).
Esistono diversi limiti all’applicabilità
di questo indice (15). Innanzi tutto l’escrezione di creatinina diminuisce con
l’età e aumenta in seguito ad infezioni
acute, traumi, stress emotivi, esercizio
fisico intenso e diete iperproteiche ricche di creatina e creatinina (es. carne).
L’indice creatinina/altezza non dipende
soltanto dall’altezza, ma anche dalla costituzione fisica, e ciò ovviamente ne limita la sensibilità come indice di malnutrizione. Infine, affinché i valori siano attendibili è indispensabile che la raccolta
delle urine delle 24 ore sia effettuata
molto accuratamente e possibilmente
per tre giorni consecutivi.
dell’escrezione di 3-metil-istidina per
predire la massa muscolare nell’applicazione clinica presenta però una serie di
limiti. In condizioni di sepsi, trauma o
inanizione il catabolismo proteico è accelerato e l’escrezione di 3-metil-istidina
cresce smisuratamente (16), per cui i
suoi valori dovrebbero essere espressi
in rapporto all’escrezione di creatinina e
al peso corporeo. Inoltre l’escrezione di
3-metil-istidina è significativamente
maggiore nei soggetti che consumano
carne, per cui si dovrebbe prescrivere
un regime alimentare privo di carne nei
giorni precedenti l’esame. Infine esistono dubbi sul contributo della 3-metil-istidina non muscolare (di origine gastrointestinale ed epidermica), specialmente
in caso di interventi chirurgici o traumi.
Intervallo di normalità: 200-545 µmol/24 ore (17).
3-metil-istidina urinaria
Somatomedina C
(Insulin-like growth
factor o IGF-1)
La 3-metil-istidina è un aminoacido
presente nelle proteine miofibrillari che
si forma per metilazione post-trascrizionale di specifici residui di istidina. In seguito al turnover delle proteine muscolari viene rilasciata ed escreta tal quale
nelle urine in quantità che in teoria risultano essere quindi proporzionali alla
massa muscolare totale. L’utilizzo
C’è un crescente interesse all’utilizzo dell’IGF-1 quale indicatore dello stato di nutrizione proteico (1), soprattutto
nei bambini, poiché è mediatore dell’azione dell’ormone della crescita. Stimolando la sintesi del collageno è un
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
regolatore primario della crescita delle
ossa e, probabilmente, della crescita in
generale. Interviene inoltre nella regolazione dell’omeostasi di Ca, Mg e K (6). I
suoi livelli plasmatici sono sensibili allo
stato nutrizionale proteico, infatti nei
bambini gravemente malnutriti la concentrazione sierica di IGF-1 risulta ridotta e nell’adulto è molto ben correlata
al bilancio azotato.
Inoltre, durante la rialimentazione
dopo un periodo di carenza, le sue concentrazioni aumentano in risposta
all’assunzione energetica e proteica più
prontamente di quanto facciano i livelli
di albumina e transferrina. Un limite alla
sua applicazione per la valutazione dello
stato di nutrizione è che la sua concentrazione si riduce nel corso di malattie
infiammatorie, per cui presenta gli stessi limiti delle proteine plasmatiche viste
in precedenza.
possono anche essere perse nelle feci,
attraverso la pelle e gli essudati (6). Una
valutazione accurata del bilancio d’azoto
dovrebbe tener conto di tutte le vie e tipi di perdite possibili, tuttavia nella pratica clinica le perdite azotate extrarenali
vengono generalmente considerate costanti e stimate attorno ai 2 g, da cui:
BN = assunzione di N nelle 24 h (g) –
[N urinario totale nelle 24 h (g) + 2]
Frequentemente invece dell’azoto
urinario totale si misura l’azoto ureico,
che è circa l’80% di quello totale.
Il bilancio d’azoto è una determinazione fondamentale per studiare lo stato proteico dell’organismo e la sua negativizzazione è indice di catabolismo
proteico endogeno. Tuttavia è possibile
che in condizioni di denutrizione cronica
l’organismo riduca il catabolismo azotato adattandosi al nuovo stato: in queste
condizioni il bilancio d’azoto non riflette
esattamente il grado di malnutrizione.
Diversi fattori devono inoltre essere
considerati nella sua determinazione nei
pazienti ospedalizzati.
Innanzi tutto le perdite di azoto nei
pazienti con insufficienza renale cronica
devono essere corrette per l’accumulo
di urea nel sangue; inoltre l’escrezione
di azoto può essere modificata nelle enteropatie e in caso di immobilizzazione
protratta nel tempo.
Bilancio d’azoto
Il bilancio d’azoto viene calcolato
dalla differenza tra la quantità di azoto
assunta e quella eliminata. L’azoto assunto è considerato pari al 16% delle
proteine della dieta. L’eliminazione
dell’azoto avviene principalmente attraverso le urine, ma quantità apprezzabili
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A. Daghetta, M. Porrini, G. Testolin
Vitamine e minerali
Per la valutazione dello stato nutrizionale vitaminico e minerale sono stati
sviluppati diversi metodi biochimici, tuttavia la scelta di quello più accurato ed
affidabile per l’applicazione clinica è
complicata da numerose considerazioni.
presentano un tempo di risposta lungo
all’assunzione riflettono meglio lo stato
vitaminico medio e sono quindi più utili
delle variabili con un tempo di risposta
breve. Quindi in generale si può dire
che la valutazione della forma attiva della vitamina nelle cellule ematiche riflette
meglio lo stato dell’organismo di quanto
facciano i livelli plasmatici o urinari.
Considerando queste brevi premesse, passiamo ora ad analizzare quali sono i test consigliabili per alcune vitamine.
Un approccio ormai largamente accettato per valutare lo stato nutrizionale
delle vitamine B1, B2 e B6 è la valutazione, negli eritrociti, del coefficiente di
attivazione di alcuni enzimi vitamina-dipendenti (19): transchetolasi (ETK) per
la tiamina, glutatione reduttasi (EGR)
per la riboflavina e glutammico ossalacetico aminotransferasi (EGOT) per la
vitamina B6. In pratica, un ridotto aumento dell’attività enzimatica in seguito
all’aggiunta di un eccesso del coenzima
vitaminico (cioè una risposta bassa alla
Vitamine
Per quanto riguarda le vitamine, come evidenziato da Brubacher (18) e
schematizzato nella Figura 1, il primo
evento che si verifica quando ne diminuisce l’assunzione è un calo delle riserve corporee, seguita nel tempo da
una riduzione della concentrazione di
metaboliti, una riduzione dell’attività di
enzimi vitamina-dipendenti e disturbi ormonali del metabolismo. Durante il periodo di rialimentazione si verifica la
stessa sequenza con direzione opposta
(Fig. 2) (18).
Quando l’assunzione vitaminica non
è costante, le variabili biochimiche che
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
Stadio 1
6
Ridotto contenuto vitaminico corporeo
Ridotta sintesi di metaboliti
Specifica
Irreversibile
Ridotta attività
Carenza clinica
Carenza
manifesta
Stadio
finale
Disturbi biochimici
e funzionali
e cambiamenti
morfologici
5
Aspecifica
Enzimi e ormoni
vitamina-dipendenti
4
Stadio
iniziale
Metaboliti
3
Carenza
subclinica
Pool corporeo
2
Assunzione
marginale
Livelli di carenza
vitaminica durante un
periodo di deplezione.
(da Brubacher GB, 1982)
.................................
Figura 1
Figura 2
Stadio
4
5
6
Ridotta sintesi di metaboliti
Specifica
Irreversibile
Ridotta attività
Carenza clinica
Carenza
manifesta
Stadio
finale
Disturbi biochimici
e funzionali
e cambiamenti
morfologici
3
Aspecifica
Enzimi e ormoni
vitamina-dipendenti
2
Ridotto contenuto vitaminico corporeo
Stadio
iniziale
Metaboliti
1
Assunzione
marginale
Pool corporeo
Carenza
subclinica
..................................
Livelli di carenza
vitaminica durante un
periodo di rialimentazione.
(da Brubacher GB 1982)
ciente di attivazione α (attività dopo la
saturazione/attività senza saturazione).
Intervallo normalità (19):
α ETK 1,16-1,25 deficienza marginale
α ETK > 1,25
deficienza severa
α EGR 1,20-1,29 deficienza marginale
α EGR > 1,29
deficienza severa
α EGOT > 2,0
deficienza
stimolazione coenzimatica) è indice della già avvenuta saturazione dell’enzima
con il coenzima e, di conseguenza, di
un buon stato vitaminico. Al contrario,
una risposta elevata alla stimolazione
coenzimatica indica uno stato nutrizionale inadeguato. Il risultato del test di
stimolazione è espresso come coeffi-
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In alcune situazioni, tuttavia, è necessario un approccio differente. Per
esempio, per quanto riguarda la vitamina B1 l’analisi della tiamina come tale
nel sangue intero o negli eritrociti può
essere di grande utilità per valutare lo
stato vitaminico dei singoli individui (20).
Per esempio, durante una carente assunzione di vitamina B 1 protratta nel
tempo o una malnutrizione complessa
(come nell’alcolismo) il coefficiente di
attivazione può essere apparentemente
normale in seguito alla diminuita sintesi
dell’apotranschetolasi (21). Anche in caso di difetti genetici o malattie specifiche (diabete, polineuriti, anemia perniciosa o disordini del tratto gastrointestinale) la sintesi e/o le funzioni cinetiche
dell’apoenzima possono essere alterate. I livelli di riferimento sono specifici
per ciascuna popolazione, tuttavia si ritiene che per le popolazioni europee livelli ematici di tiamina inferiori a 80
µmol/L indichino una elevata probabilità di carenza di vitamina B1 (1).
Le stesse osservazioni valgono per
la riboflavina: l’analisi del FAD nel sangue intero può essere un indice attendibile dello stato nutrizionale vitaminico
nei singoli individui (22), specialmente
nei pazienti con carenza di glucosio-6fosfato deidrogenasi o severa uremia e
cirrosi. Allo stesso modo, il piridossal
5'-fosfato plasmatico (PLP) può essere
considerato un buon indice della vitamina B6 circolante disponibile per i tessuti. Anche per queste vitamine i valori di
riferimento sono specifici per ciascuna
popolazione; valori di FAD inferiori a
200 nmol/L e valori di PLP inferiori a
20 nmol/L sono comunque generalmente considerati indice di alto rischio
di carenza (1).
La valutazione della concentrazione
dei folati nel sangue è importante nella
valutazione dell’eziologia dell’anemia
megaloblastica, oltre che nella valutazione dello stato di nutrizione. Carenze
dei livelli plasmatici di acido folico si osservano durante la gravidanza, negli etilisti e negli individui con diete povere di
frutta e verdura fresca. Un buon indice
dello stato nutrizionale dell’acido folico
è anche il suo livello nei globuli rossi,
dal momento che i globuli rossi rappresentano il reale deposito di acido folico
per l’organismo e sono quindi meno influenzati da variazioni recenti dell’assunzione di vitamina con la dieta di
quanto non lo siano i livelli sierici (23).
Attualmente il metodo più adatto
per dosare i livelli di folato è la tecnica
radioisotopica. Il limite di questa procedura dipende dal fatto che i folati poliglutammici danno una risposta più alta
dei folati monoglutammici, rendendo la
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
tecnica inadatta alla determinazione
della miscela di derivati normalmente
presente nel materiale biologico, ad eccezione del siero e degli eritrociti.
Metodi più nuovi e rapidi sono comunque in corso di sviluppo.
Una vitamina il cui stato nutrizionale
deve essere valutato attentamente per
le implicazioni che ha nel mantenimento
del buono stato di salute delle cellule e
dei tessuti è l’acido ascorbico. I due
metodi attualmente più utilizzati allo
scopo sono la valutazione dei suoi livelli
nel plasma o nello strato spugnoso. La
vitamina C plasmatica dà un’indicazione
della vitamina disponibile per i tessuti (1). È il più semplice dei due metodi,
poiché richiede quantità più piccole di
sangue e procedure di preparazione del
campione meno complicate e dispendiose. Il principale svantaggio è che i livelli plasmatici fluttuano in funzione delle assunzioni più recenti, e sono quindi
poco rappresentativi dello stato nutrizionale a lungo termine; il dosaggio andrebbe perciò ripetuto più volte nell’arco di un certo periodo di tempo. Inoltre i
livelli plasmatici scendono a valori quasi
non rilevabili durante restrizioni dietetiche severe, molto prima che gli organi
interni ne siano severamente depauperati. Nonostante ciò, se correttamente
interpretato può essere considerato un
indice attendibile dello stato di nutrizione della vitamina C.
La concentrazione della vitamina C
nello strato spugnoso è un buon indice
dei suoi livelli intracellulari (1), che sono
correlati al contenuto di vitamina C di
molti organi interni; può quindi fornire
informazioni accurate sulle riserve di vitamina specialmente durante periodi di
assunzione inadeguata, nei quali le riserve e i livelli di vitamina nello strato
spugnoso cadono più lentamente di
quanto non facciano i livelli plasmatici.
Lo svantaggio di questo test è che richiede maggiori quantità di sangue e
complesse procedure di preparazione
del campione. Inoltre i risultati possono
essere di difficile interpretazione per
esempio durante le infezioni (in cui viene indotta leucocitosi), o comunque tutte le volte che il rapporto leucociti/piastrine si discosta dall’intervallo di normalità. Livelli inferiori a 0,2 mg/dL nel
plasma o 0,10 µmol/108 cellule nello
strato spugnoso sono considerati indice
di alto rischio di carenza (1).
Per quanto riguarda la vitamina A
è importante ricordare che i suoi livelli
plasmatici sono regolati da un meccanismo omeostatico, per cui possono essere considerati indici dello stato vitaminico solo quando le assunzioni con la
dieta sono molto basse. Inoltre rifletto-
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no l’assunzione vitaminica media di un
certo periodo di tempo, piuttosto che le
variazioni quotidiane, dal momento che
si verifica un notevole intervallo di tempo tra l’assunzione e la modificazione
del livello plasmatico, che dipende principalmente dai depositi epatici. Se l’assunzione di proteine è molto bassa, viene ridotta la sintesi di RBP (proteina
secreta nel fegato per il trasporto del
retinolo), il che induce un abbassamento dei livelli plasmatici di vitamina A anche se l’assunzione con la dieta è adeguata. D’altra parte, nel caso di ipervitaminosi A, i livelli plasmatici di retinolo
sono aumentati solo di poco, mentre
aumentano notevolmente i livelli di retinil palmitato (forma in cui la vitamina A
viene trasportata dall’intestino al fegato
legata alle lipoproteine). La valutazione
di quest’ultimo è considerato indice di
ipervitaminosi A assieme al rapporto
molare retinolo/RBP che, in caso di
ipervitaminosi, risulta maggiore di 1.
Secondo Smith e Goodman (24) la
tossicità della vitamina A si manifesta
quando elevate quantità di vitamina A
di ritrovano in associazione alle lipoproteine, piuttosto che legate all’RBP,
che è in grado anche di proteggere i
tessuti dalle proprietà tensioattive della
vitamina.
Il metodo migliore per valutare lo
stato vitaminico A sarebbe la determinazione della concentrazione di retinolo
nel fegato, dove è immagazzinato prevalentemente come retinil palmitato.
Tuttavia, per l’impossibilità ad effettuare
questa analisi, si effettua generalmente
il dosaggio nel plasma.
Livelli di vitamina A plasmatici inferiori a 10-20 µg/dL sono considerati
indice di deplezione epatica e quindi di
elevato rischio di carenza (1).
Nella valutazione dello stato vitaminico E è importante considerare che
nella linfa e nel sangue l’α-tocoferolo è
legato alle lipoproteine, in particolar modo la frazione β. I livelli plasmatici di vitamina E risultano infatti altamente correlati ai lipidi totali, alle β-lipoproteine e al
colesterolo totale. In conseguenza, il
rapporto tra l’α-tocoferolo plasmatico e i
lipidi può essere considerato un indice
più adeguato dello stato nutrizionale della vitamina E rispetto al valore del solo
α-tocoferolo. La vitamina E viene anche
captata dagli eritrociti, per cui anche i livelli vitaminici eritrocitari sono considerati un indice dello stato nutrizionale.
Generalmente, comunque, si preferisce
utilizzare i livelli plasmatici e sierici (25); è
tuttavia importante ricordare che, anche
se per questa vitamina non esistono
meccanismi omeostatici che ne regolano i livelli plasmatici, la correlazione con
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le quantità assunte con la dieta esiste
per i bassi livelli di assunzione, ma non
per i livelli più elevati.
Anche la valutazione dell’α-tocoferolo nelle piastrine è stata suggerita
quale mezzo per valutarne lo stato nutrizionale, tuttavia la sua utilità non è ancora stata del tutto verificata.
Livelli plasmatici di α-tocoferolo inferiori a 5 µg/mL vengono considerati
indice di elevato rischio di carenza.
ci specifici o pool tissutali relativamente
aspecifici con un turnover biologico
molto lento.
La risposta clinica e l’adattamento
metabolico alla carenza o all’eccesso degli elementi minerali è schematizzata nella Tabella 1 (26). Dallo schema è evidente
come le carenze o gli eccessi di un minerale stimolino differentemente i meccanismi omeostatici di controllo, tuttavia i
pool più sensibili nell’iniziare e regolare le
risposte omeostatiche non sono stati ancora identificati per tutti gli elementi minerali, per cui non è sempre possibile
consigliare metodi precisi ed affidabili a
scopo diagnostico (27). Il metodo più affidabile per valutare l’esistenza di uno stato di carenza per molti minerali (es. Fe,
Zn, Cu, Se) è ancora quello di monitorare la risposta biochimica di uno o più parametri funzionali, omeostatici o di composizione dopo la supplementazione
dell’elemento in questione.
Prendiamo ora brevemente in rassegna alcuni degli elementi minerali per
i quali esistono variabili affidabili.
Minerali
Per quanto riguarda gli elementi
minerali l’approccio è un po’ differente,
dal momento che si deve verificare se il
soggetto è a rischio di carenza o di tossicità per l’elemento in questione. Eccetto alcuni casi, poche determinazioni
possono essere utilizzate per rispondere
ad entrambe le domande.
A differenza dei nutrienti organici, i
minerali non possono venire trasformati.
Possono alterare il loro stato di ossidazione, formare complessi con altre molecole biologiche, ma non perdono mai
la loro integrità. L’omeostasi è ottenuta
mediante regolazione dell’assorbimento, della secrezione epatointestinale,
dell’escrezione urinaria, o mediante il
sequestro dell’elemento in pool sistemi-
Calcio
Per la valutazione dello stato nutrizionale del calcio si deve innanzi tutto
considerare quale funzione o pool di
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Tabella 1
Fenomeni fisiopatologici
associati allo stato
nutrizionale del ferro.
(da Aggett PJ, 1991)
Morte
Tossicità
– omeostasi e sequestro inadeguati;
manifestazioni cliniche, biochimiche e patologiche
Omeostasi
compensatoria
– omeostasi e sequestro adeguati;
assenza di manifestazioni cliniche
Eccesso iniziale
– immagazzinamento omeostatico ed escrezione
Adeguatezza
Carenza iniziale
– l’omeostasi protegge i pool funzionali vitali;
assenza di alterazioni della concentrazione nei
tessuti e nei fluidi; mobilizzazione delle scorte;
assenza di manifestazioni cliniche
Fase metabolica
compensatoria
– l’omeostasi diventa inadeguata; compaiono segni
funzionali precoci;
possibili disordini nel metabolismo di altri nutrienti;
probabili effetti sulla salute
Fase metabolica
non compensatoria
– estesi difetti funzionali specifici ed aspecifici
Fase clinica
Morte
calcio è il più appropriato allo scopo
specifico. Per avere un parametro di
valutazione delle funzioni fisiologiche del
calcio si può effettuare la determinazione dei livelli plasmatici del calcio ionizzato, mentre per ottenere indicazioni
della sua funzione nelle ossa (per
esempio nell’osteomalacia e nell’iperparatiroidismo) si può misurare il calcio
plasmatico totale. La valutazione della
massa e della densità ossea può essere utilizzata per valutare l’entità della
principale riserva di calcio, mentre la
valutazione delle cinetiche richiede una
misura accurata dell’assorbimento del
calcio, del turnover osseo e delle perdite di calcio urinarie. La valutazione
dell’omeostasi del calcio include anche
il dosaggio dell’ormone paratiroideo,
della calcitonina e dei vari metaboliti
della vitamina D.
Il calcio ionizzato (28) fornisce una
buona indicazione dello stato del calcio,
poiché è biologicamente attivo e strettamente regolato dagli ormoni legati al
metabolismo calcico. È considerato più
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
accurato dei valori di calcio totale poiché indipendente dai livelli di proteine, e
quindi più facilmente utilizzabile anche
per pazienti che sono sottoposti ad interventi chirurgici (che hanno quindi ricevuto sangue, piastrine o eparina) e in
pazienti sottoposti a cure intensive.
Viene misurato direttamente nel plasma
utilizzando un elettrodo selettivo (29).
L’intervallo di normalità del Ca2+ per
l’adulto in condizioni basali è 1,15-1,35
mmol/L (4,6-5,4 mg/dL) (6).
Il calcio plasmatico totale è misurato generalmente utilizzando tecniche
colorimetriche o con la spettrofotometria ad assorbimento atomico. Poiché il
Ca è legato alle proteine sieriche i suoi
livelli plasmatici totali sono influenzati
dalla concentrazione delle proteine,
specialmente dell’albumina. Anche se
una correzione matematica non può
mai tener conto delle diverse condizioni
fisiologiche o patologiche in cui si trovano i pazienti, i valori ottenuti dal dosaggio del Ca totale vengono generalmente corretti per i livelli di albumina sierica, per esempio (30) sottraendo 0,025
mmol/L di calcio per ogni 0,1g/dL di
albumina eccedente i 4 g/dL e facendo
il procedimento inverso per valori di albumina inferiori a 4 g/dL (1). Il fattore di
correzione viene calcolato dal coefficiente di regressione della retta ottenu-
ta per il Ca totale rispetto ai livelli di albumina in gruppi specifici di pazienti o
soggetti sani. Poiché laboratori diversi
possono utilizzare metodi e livelli di riferimento diversi sia per il dosaggio del
Ca che dell’albumina, ciascuno dovrebbe calcolarsi i propri coefficienti di correzione.
I livelli di normalità riportati in letteratura sono di 2,20-2,60 mmol/L (8,510,5 mg/dL) (1).
Le tecniche di misurazione della
massa e della densità ossea sono oggi
in rapida espansione. Il Ca totale dell’organismo può essere misurato mediante attivazione neutronica, assorbimento fotonico bicromatico o mediante
tomografia computerizzata. Per la descrizione dei metodi e per gli intervalli di
normalità si rimanda a pubblicazioni
specialistiche.
Per quanto riguarda la valutazione
delle cinetiche, l’assorbimento del Ca
può essere studiato mediante metodologie isotopiche, il turnover osseo mediante dosaggio dell’idrossiprolina urinaria (indice del riassorbimento e della
degradazione ossea) (31) e dell’osteocalcina sierica (indice della formazione
ossea) (32).
Il limite del dosaggio dell’idrossiprolina urinaria quale marker del riassorbimento osseo è che può derivare
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to con Na++, Ca++ o Mg++, il restante è
libero. Solo il fosfato inorganico viene
misurato.
I meccanismi di controllo omeostatico del fosfato non sono del tutto conosciuti. I suoi livelli plasmatici sono regolati principalmente dall’escrezione renale
di fosfato, che è influenzata direttamente dal paratormone, che ne riduce il
riassorbimento a livello dei tubuli renali.
La determinazione è effettuata generalmente con metodo colorimetrico (33) dopo aver fatto reagire gli ioni fosfato con molibdato di ammonio.
L’intervallo di normalità nell’adulto è
2,5-4,5 mg/dL di fosfato espresso come fosforo (0,81-1,45 mmol/L) (6). I livelli di fosfato, infatti, vengono normalmente riportati come “fosforo” anche se
ciò è scorretto poiché solo il fosfato, e
non il fosforo elementare, circola nel
sangue e può venire misurato.
anche dalla degradazione del collageno
di natura non ossea, come per esempio
da pelle, tendini e cartilagine. Può essere inoltre influenzata da fattori dietetici (alimenti contenenti collageno). Un
valore elevato quindi può non essere
necessariamente indice di aumentato
riassorbimento osseo.
L’intervallo di normalità nell’adulto è
6-22 mg/24 h/m2 di superficie corporea, nell’anziano (oltre i 66 anni) 5-17
mg/24 h/m2 (1).
L’osteocalcina sierica risulta elevata in presenza di aumentata sintesi ossea, come avviene in seguito ad una
frattura, e ridotta quando la formazione
ossea è depressa, come in pazienti
trattati con corticosteroidi. La determinazione viene generalmente effettuata
con metodi radioimmunologici utilizzando kit del commercio. I valori trovati nei
soggetti sani sono molto variabili anche
in funzione della metodologia di analisi.
Magnesio
Fosfato
Nell’organismo il magnesio è contenuto per circa il 55% nello scheletro e
per il 30% nel muscolo. L’abbassamento dei livelli sierici è un indice abbastanza
precoce di deplezione (34). Tuttavia concentrazioni inferiori a 0,5 mmol/L non si
evidenziano finché non si ha la perdita
Il fosfato nel siero è presente sia
–
come anione monovalente (H 2PO4 )
che bivalente (H2PO4=) in un rapporto
che varia da 1:1 nell’acidosi a 1:4 a pH
7,4 e 1:9 nell’alcalosi. Circa il 10% è
legato a proteine, il 35% è complessa-
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
Tabella 2
Storia naturale della
carenza di ferro e
indicatori dello stato di
nutrizione.
(da Hercberg S et al.,
1991)
PERIODO
PRE-PATOGENETICO
Rischio di carenza
di ferro
Ampiezza riserve di ferro corporee
apporto di ferro
assorbimento di ferro
riserve di ferro
corporee
perdite di ferro
esaurimento
delle riserve
richieste di ferro
• ferro midollo osseo
• indagini nutrizionali
• ferro epatico
• studi sullo stato di salute
• diluizione isotopica
• studi sui fattori ambientali
• ferritina sierica
* TIBC = total iron binding
capacity
del 25% del magnesio intracellulare.
Poiché la conservazione renale gioca un
ruolo importante nell’omeostasi di tale
elemento, l’escrezione urinaria è anche
un indice utile per valutarne la carenza.
La determinazione del magnesio
nel siero e nelle urine viene effettuata
generalmente per spettrofotometria ad
assorbimento atomico o mediante metodi colorimetrici.
Intervalli di normalità del magnesio:
nel siero
nelle urine
0,6-1,1 mmol/L (1)
3,0-5,0 mmol/die (6)
Ferro
Uno degli elementi minerali di cui è
più facile riscontrare carenza anche nelle popolazioni occidentali è il ferro. La
carenza nutrizionale di ferro compare
quando le richieste non sono soddisfat-
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TIBC *
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PERIODO
DI PATOGENESI
Adeguatezza rifornimento
di ferro al midollo
ANEMIA
alterazioni fisiologiche
e metaboliche
anemia
biochimica
• ferro sierico
*
• saturazione transferrina
• protoporfirina eritrocitaria
indici globuli rossi
sintomi
• emoglobina
• segni clinici
• ematocrito
• dati morbidità
te dalla dieta e/o quando c’è un incremento nella perdita di ferro dall’organismo. Il corpo umano reagisce a questo
scompenso richiamando il ferro dalle
proprie riserve e incrementandone l’assorbimento. Se non viene ripristinata
una assunzione adeguata si ha un
esaurimento delle riserve e, di conseguenza, una alterazione delle funzioni
metaboliche che coinvolgono i composti
del ferro.
morte
La carenza di ferro si instaura in
genere gradualmente, secondo una
progressione riportata nella Tabella 2 (35).
Lo stato di nutrizione del ferro può
essere quindi accertato a livelli diversi:
– livello pre-patogenetico: accertamento del rischio di carenza;
– livello patogenetico: a. accertamento
delle riserve di ferro; b. accertamento
dell’adeguatezza dei rifornimenti di ferro
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
al midollo; c. accertamento del grado di
anemia.
Livello pre-patogenetico: a questo
livello si possono ottenere informazioni
sul rischio di carenza tramite le indagini
nutrizionali che permettono di ricavare
informazioni sull’assunzione di ferro, sia
per quanto riguarda la quantità e qualità
(Fe-eme e non-eme) che la presenza di
inibitori dell’assorbimento (tè, caffè,
ecc.); tramite la valutazione dello stato
di salute, per evidenziare condizioni fisiologiche a rischio (es. gravidanza, allattamento) o patologiche (parassitosi,
emorragie croniche, ecc.).
Livello patogenetico: a questo livello si può effettuare:
a. accertamento delle riserve di
ferro. I metodi utilizzati sono la determinazione del contenuto di ferro nel midollo osseo e nel fegato, la diluizione
isotopica, e la valutazione della ferritina
sierica (35).
I primi sono metodi complessi, che
hanno più significato sperimentale che
applicativo, e per la cui trattazione si rimanda a testi specializzati. In breve, le
riserve di Fe reticoloendoteliale possono essere stimate dalla valutazione
istologica dell’emosiderina contenuta
nel midollo osseo. È anche possibile
valutare la concentrazione di Fe nel fegato mediante l’esame di biopsie epati-
che. Poiché il fegato contiene 1/3 dei
depositi totali di Fe corporeo, è l’organo
di elezione per questa valutazione.
La tecnica della diluizione isotopica viene effettuata iniettando piccole
quantità di 55Fe nel plasma per marcare
l’emoglobina dei globuli rossi circolanti.
Durante la fagocitosi dei globuli rossi da
parte del sistema reticoloendoteliale il
55Fe si mescola con il Fe dei tessuti, e
ciò determina un calo dell’attività specifica del Fe nell’emoglobina. Dopo il
completo mescolamento si può calcolare il Fe totale miscibile nei tessuti. Un
metodo più facilmente applicabile anche nella pratica quotidiana è la determinazione della ferritina del siero.
Normalmente solo circa l’1% del Fe
plasmatico è contenuto nella ferritina.
La ferritina plasmatica è però in equilibrio con i depositi dell’organismo, e i
suoi livelli riflettono accuratamente le
variazioni nella quantità di Fe del corpo.
La concentrazione di ferritina nel plasma cala molto precocemente durante
lo sviluppo della carenza di Fe, molto
prima che si verifichino cambiamenti
nella concentrazione dell’emoglobina,
nella dimensione dei globuli rossi o nella concentrazione di Fe sierico. Quindi
la valutazione della concentrazione della
ferritina sierica può essere considerata
un indicatore molto sensibile della ca-
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renza di Fe. I metodi di dosaggio utilizzati sono l’analisi immunoradiometrica
(IRMA) che utilizza anticorpi radiomarcati, l’analisi radio immunologica (RIA)
che utilizza antigeni radiomarcati e i
saggi immunoenzimatici quali l’ELISA
(Enzyme Linked ImmunoSorbent
Assay) che non necessitano di radioisotopi. Ci sono comunque situazioni patologiche in cui la concentrazione di ferritina aumenta, quali infezioni croniche,
disordini infiammatori cronici (artrite
reumatoide, malattie renali) e forme tumorali. In pazienti che hanno una di
queste patologie associata a carenza di
Fe, la concentrazione di ferritina risulta
molto spesso normale.
Aumenti della concentrazione di
ferritina si hanno nell’epatite virale o altre patologie epatiche come risultato
del rilascio della ferritina dalle cellule
danneggiate del fegato.
I valori di ferritina circolante normali
sono 15-120 µg/L nella donna e 20200 µg/L nell’uomo (6); valori al di sotto di 10-20 µg/L indicano un virtuale
esaurimento dei depositi di ferro.
b. accertamento dell’adeguatezza dei rifornimenti di ferro al midollo. Viene effettuato dosando il Fe
sierico. Col termine Fe sierico ci si riferisce al Fe legato alla sua specifica proteina di trasporto: la transferrina. La
transferrina può essere determinata
con metodi immunologici (36).
Poiché normalmente solo un terzo
dei siti di legame della transferrina per il
Fe sono occupati dal Fe(III), è anche
possibile determinare la concentrazione
massima di Fe che può essere legata,
esprimendola come capacità totale di
legare il ferro (TIBC) (36). I metodi per
determinare la TIBC sono quelli in cui
viene aggiunto al campione una quantità di Fe in eccesso rispetto alla capacità legante della transferrina. La stima
del Fe viene poi effettuata con metodi
colorimetrici o mediante spettrofotometria ad assorbimento atomico, dopo aver
rimosso il Fe in eccesso. Le variabili indici del trasporto di Fe generalmente rimangono costanti fino a che i depositi
sono completamente esauriti. Solo la
TIBC può iniziare ad aumentare quando
i depositi iniziano ad esaurirsi, tuttavia è
meno sensibile ai cambiamenti dell’entità dei depositi di Fe della ferritina sierica. La transferrina e la TIBC, quindi,
non sono di grande utilità per la valutazione della carenza di Fe; sono utili invece per effettuare uno screening di
malattie da sovraccarico cronico di Fe e
per confermare e monitorare l’avvelenamento acuto da Fe nei bambini (6).
Un’altra determinazione per valutare l’adeguatezza del rifornimento al mi-
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Altro indicatore è l’ematocrito
(PCV), che è una misura del rapporto
del volume occupato dai globuli rossi rispetto al volume del sangue intero in un
campione di sangue capillare o venoso. Il
rapporto è determinato dopo centrifugazione, viene espresso come frazione decimale ed è una sicura e rapida misura
del grado di anemia. Anche le caratteristiche morfologiche dei globuli rossi forniscono informazioni sulla severità
dell’anemia. Gli indici più utilizzati sono: il
volume corpuscolare medio (MCV) e
l’emoglobina corpuscolare media
(MCH). Bassi valori di MCV (< 85 fl negli adulti) associati a bassi valori di MCH
(< 27 pg/cellula) sono indici di una inibita sintesi dell’emoglobina dovuta ad una
diminuzione dell’approvvigionamento di
Fe al midollo osseo. Esistono valori di riferimento diversi in funzione dell’età (38).
L’MCV viene misurato direttamente con
un contatore elettronico, mentre l’MCH
viene ricavato dividendo la concentrazione di emoglobina per la conta degli eritrociti. Infine, le evidenze più conclusive
dell’anemia da carenza di Fe sono l’aumento dell’emoglobina in seguito a terapia orale o parenterale (39) e i sintomi clinici (dispnea, pallore, letargia e, in casi
più gravi, disturbi respiratori, cardiovascolari, renali, ecc.). La scelta degli indicatori della carenza di Fe dipenderà dagli
dollo è quella della protoporfirina eritrocitaria, che è il complesso che si
combina con il Fe per formare l’emoglobina. Una carenza di rifornimento di
Fe ai globuli rossi in via di sviluppo danneggia la sintesi di emoglobina e determina l’accumulo di protoporfirina IX nelle cellule circolanti. Generalmente la
protoporfirina eritrocitaria aumenta dopo diverse settimane di eritropoiesi Fecarente. Nelle indagini epidemiologiche
valori più alti di 700 µg/L di sangue intero o di 3 µg/g di emoglobina indicano
che il rifornimento di Fe al midollo è inferiore all’ottimale (37). La concentrazione della protoporfirina eritrocitaria può
essere determinata molto rapidamente
con tecniche fluorimetriche.
c. accertamento del grado di
anemia. Uno stadio avanzato di carenza
di ferro è associato ad una significativa
riduzione dell’emoglobina circolante.
Quando il livello di emoglobina è inferiore ai livelli normali indicati per sesso ed
età (1) il soggetto è considerato anemico:
bambini dai 6 mesi
ai 6 anni
11 g/100 ml
bambini dai 6 ai 14 anni
12 g/100 ml
adulti: uomini
13 g/100 ml
adulti: donne
12 g/100 ml
donne in gravidanza
11 g/100 ml
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obiettivi dell’indagine e dalle caratteristiche del soggetto, oltre che dalla sensibilità e possibilità pratica di analisi della variabile scelta. Una diminuzione dell’emoglobina, dell’ematocrito e/o la comparsa
di segni clinici di anemia corrispondono
ad uno stadio avanzato di carenza e hanno quindi bassa sensibilità. Indicatori più
sensibili sono quelli che valutano la disponibilità di Fe al midollo, quali il Fe sierico, la TIBC e la protoporfirina eritrocitaria. Questi a loro volta sono meno sensibili degli indicatori dell’entità delle riserve
di Fe come la ferritina sierica. La deplezione delle riserve di Fe rivela l’inadeguatezza dell’apporto in funzione delle richieste dell’organismo. Quindi la ferritina sierica appare come un buon indicatore per
l’accertamento dello stato di nutrizione
del Fe. Per semplificare l’interpretazione
dei risultati ottenuti con i diversi metodi,
nella Tabella 3 sono riassunti i principali
fattori confondenti che possono interferire con ciascuno di essi (35). Nella Tabella
4 sono invece riportati i limiti di accettabilità delle variabili utilizzate per valutare
lo stato di nutrizione del Fe (35).
come indice dello stato di nutrizione del
minerale. I livelli possono venire ridotti
nel corso di infezioni, in situazioni di
stress, durante l’assunzione di contraccettivi orali come pure durante la gravidanza. Tra i tessuti i leucociti sono considerati i più validi allo scopo (40), dal
momento che hanno un turnover piuttosto rapido e quindi possono rispondere
alla carenza di zinco più velocemente di
altri tessuti. L’analisi dei livelli nei globuli
bianchi è di più facile interpretazione rispetto all’analisi dell’intera frazione leucocitaria, dal momento che cellule diverse hanno contenuto diverso di zinco
e diversa emivita. Ciò comporta però la
separazione delle diverse frazioni leucocitarie e rende quindi il metodo di più
complessa applicabilità.
Negli studi epidemiologici viene anche effettuato il dosaggio dello zinco,
come pure di altri elementi minerali, nei
capelli. Tuttavia questo metodo sembra
di scarsa applicabilità per il singolo individuo, anche in funzione del fatto che il
contenuto in oligoelementi dei capelli
dipende molto dalla loro velocità di crescita. Periodi anche brevi di carenza
proteica posso influenzare la morfologia
del bulbo: nella grave malnutrizione, per
esempio, una grande quantità di capelli
si trova in uno stato di crescita stazionaria, per cui la velocità di crescita dei
Zinco
La concentrazione dello zinco nel
plasma viene comunemente utilizzata
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
Tabella 3
Fattori che
interferiscono
nell’interpretazione delle
variabili indici dello
stato del ferro.
(da Hercberg S. et al.,
1991)
Falsi negativi
Falsi positivi
Sindromi infiammatorie
Infezioni
Ferritina
sierica
Malattie epatiche
Tumori maligni
Leucemia acuta
Artrite reumatoide
Ferro sierico
TIBC
Alcolismo cronico
Sindromi infiammatorie
Uso di contraccettivi orali
Infezioni
Carenza di folati e vit. B12
Carenza di acido ascorbico
Emoglobinopatie
con emolisi cronica
Malattie croniche
della pelle
Epatiti virali acute
Artrite reumatoide
Leucemia acuta
Infarto acuto al miocardio
Carenza di piridossina
Traumi fisici
Malnutrizione proteica
Uso di contraccettivi orali
Infezioni croniche
Gravidanza
Cirrosi alcolica
Epatite virale acuta
Tumori maligni
Sindrome nefrosica
Enteropatia
Sindromi infiammatorie
Protoporfirina
eritrocitaria
Volume cellulare
medio
Infezioni
Avvelenamento da piombo
Carenza di folati e vit. B12
Talassemia
Malattie croniche
Carenza di folati e vit. B12
Emoglobinopatie
Emoglobina
Parassitosi
Infezioni croniche
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A. Daghetta, M. Porrini, G. Testolin
Tabella 4
Limiti di accettabilità
per le variabili utilizzate
nella valutazione
dello stato di nutrizione
del ferro.
(da Hercberg S. et al.,
1991)
Emoglobina
Accettabilità
0,5-10 anni
< 110 g/l
11-15 anni
– uomini
< 120 g/l
– donne
< 115 g/l
> 15 anni
– uomini
< 130 g/l
– donne
< 120 g/l
– gravidanza
< 110 g/l
Ematocrito
0,5-4 anni
< 32%
5-10 anni
11-15 anni
> 15 anni
< 33%
– uomini
< 35%
– donne
< 34%
– uomini
< 40%
– donne
< 36%
Ferro sierico
< 60 µg/dl
TIBC
> 400 µg/dl
Saturazione della transferrina
0,5-4 anni
< 0,12
5-10 anni
< 0,14
> 10 anni
< 0,16
Protoporfirina eritrocitaria
0,5-4 anni
> 80 µg/dl RBC
> 4 anni
> 70 µg/dl RBC
0,5-15 anni
< 10 µg/l
> 15 anni
< 12 µg/l
Ferritina sierica
99
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Misure biochimiche per la valutazione dello stato di nutrizione di proteine, vitamine e minerali
capelli è minore della velocità di deposizione dello zinco, la cui concentrazione
può risultare quindi normale o addirittura aumentata. Infine anche la valutazione dell’attività della fosfatasi alcalina,
che è un metallo-enzima zinco dipendente, può dare utili informazioni sullo
stato nutrizionale dello zinco (41). Poiché
tale attività è soggetta a numerose influenze fisiologiche e i suoi livelli aumentano in seguito ad accrescimento
rapido, le migliori indicazioni si ottengono valutando le variazioni di attività in
seguito alla supplementazione di zinco.
Intervallo di normalità nel plasma:
9-22 µmol/L (1).
Per i leucociti non esistono ancora
intervalli di normalità comunemente accettati, per cui si consiglia che ciascun
laboratorio si determini i propri.
di Menkes). In alternativa è possibile
dosare i livelli di ceruloplasmina, proteina deputata al trasporto della quasi totalità del rame presente nel plasma.
Anche i livelli di ceruplasmina risultano
aumentati in alcune condizioni, come
stress, esercizio intenso, gravidanza,
somministrazione di estrogeni, infezioni,
traumi, ostruzione delle vie biliari; sono
invece ridotti in condizioni di malnutrizione, nefrosi e malattie epatiche (1).
Intervallo di normalità:
– Cu plasmatico: 10-22 µmol/L (1).
– Ceruloplasmina plasmatica: 18-45
mg/dL, i valori dovrebbero però essere
verificati in ciascun laboratorio (6).
Selenio
Il selenio (Se) è un elemento minerale per il quale è stato mostrato
molto interesse recentemente, a causa della sua importante attività antiossidante cellulare. Lo stato nutrizionale
del Se può essere determinato dosando i suoi livelli nel plasma (mediante
spettrofotometria ad assorbimento
atomico) o dosando l’attività della glutatione perossidasi-Se dipendente
(GSHPx) nel sangue (42).
I livelli di Se nel plasma sono comunemente utilizzati come indice dello sta-
Rame
Anche per il rame i livelli plasmatici
vengono normalmente utilizzati per la
valutazione dello stato nutrizionale. I limiti osservati sono dovuti al fatto che i
livelli aumentano in condizioni di stress,
assunzione di contraccettivi orali, malattie epatiche e infezioni. I livelli risultano
poi bassi in alcune malattie metaboliche
congenite (malattia di Wilson, sindrome
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A. Daghetta, M. Porrini, G. Testolin
to di nutrizione, tuttavia sono influenzati
da diversi fattori, specialmente di origine dietetica. In condizioni di bassi livelli
di Se, ad esempio, un incremento nell’assunzione con la dieta nei giorni immediatamente precedenti il dosaggio è
in grado di influenzarne apprezzabilmente i livelli: il dato così ottenuto non
è quindi rappresentativo del reale stato
dell’organismo, dal momento che il Se
non è ancora stato utilizzato nei meccanismi biologici.
L’attività della GSHPx nel sangue
risulta un buon indice dello stato nutrizionale; in particolare l’attività plasmatica è indice dello stato nutrizionale a
breve termine, mentre quella eritrocitaria è indice dello stato a lungo termine e
meno sensibile alle fluttuazioni dell’apporto di Se con la dieta. Ciò dipende
dal fatto che la GSHPx viene sintetizzata nel globulo rosso al momento dell’eritropoiesi, per cui le sue variazioni dipendono dalla vita del globulo rosso (circa
120 giorni). L’intervallo di normalità è
specifico per ciascuna popolazione in
funzione delle caratteristiche della dieta.
In gruppi di popolazione italiana (42)
il livello medio di Se è risultato: 110
µg/L plasma, 99 µg/l eritrociti.
In un gruppo di popolazione bel(43)
l’attività media della GSHPx eriga
trocitaria è risultata: 48 UI/g Hb.
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T
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Pagina 105
est immunologici e funzionali
nella valutazione
dello stato nutrizionale
A. Carroccio, G. Montalto, A. Notarbartolo
Cattedra di Medicina Interna – Università degli Studi di Palermo
immunitarie non dissimile da quella osservabile nei casi di malnutrizione primaria da insufficiente apporto dietetico.
Da queste brevissime note introduttive
si può comprendere che è indispensabile sul piano clinico tener conto del deficit immunologico che si ha nei pazienti
con compromissione dello stato nutrizionale e, specularmente, che una valutazione di quest’ultimo può essere effettuata prendendo in considerazione
alcuni parametri della risposta immune.
Articoleremo dunque questo argomento
su due piani: dapprima riassumendo
quali alterazioni del sistema immunitario
si registrano nei soggetti malnutriti, poi
indicando quali test immunologici possono essere utili nella valutazione dello
stato nutrizionale.
La risposta immunitaria legata ai
linfociti B (risposta umorale) è solitamente poco compromessa in corso di
malnutrizione. Il numero di linfociti B
circolanti viene riportato normale od aumentato dalla maggior parte degli
Immunità
e malnutrizione
La relazione tra alterazione della
funzione immunitaria e deficit nutrizionale è ben documentata da una amplissima messe di dati in letteratura. Accanto a numerosi studi sperimentali, vi sono i dati clinici osservati nei paesi del
Terzo Mondo ove Kwashiorkor e marasma costituiscono a tutt’oggi delle condizioni purtroppo molto frequenti e ove
è nota l’associazione tra questi severi
deficit nutrizionali e la mortalità legata
alle infezioni (1-4).
Il problema clinico del deficit immunitario legato ad una carenza dello stato
nutrizionale non deve peraltro essere
considerato una esclusiva prerogativa
dei paesi poveri. Una malnutrizione calorico-proteica secondaria a diverse patologie (es. fibrosi cistica, tumori, malassorbimento, tireotossicosi, anoressia
nervosa, bulimia, ecc.) può in ogni caso
determinare una alterazione delle difese
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Test immunologici e funzionali nella valutazione dello stato nutrizionale
Autori (5, 6), benché sia segnalata la possibilità di un deficit nei pazienti con gradi
estremi di malnutrizione (7).
Il numero normale od elevato di linfociti B è considerato conseguente all’aumentata esposizione a vari agenti
infettanti verso i quali il soggetto non è
più in grado di “montare” una adeguata
risposta immune per il “crollo” del compartimento dei T-linfociti. Suskind et al,
per primi, hanno ipotizzato che il calo
dei linfociti T suppressor possa essere
alla base della proliferazione dei linfociti
B e di una incontrollata, non specifica
produzione anticorpale (8).
Le immunoglobuline sieriche, analogamente a quanto osservato per i linfociti B, sono generalmente normali o
elevate (9,10) e solo molto raramente ridotte (11). La Tabella 1 mostra i dati rilevati in un recente studio condotto in
soggetti con bulimia nervosa; questa
patologia psichiatrica è caratterizzata da
un iperconsumo di cibo, seguito immediatamente dopo da vomito provocato.
Contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, pertanto, i soggetti affetti da
bulimia sono molto spesso sottopeso,
piuttosto che in eccedenza ponderale.
Lo studio che riportiamo si riferisce, infatti, a pazienti bulimici che presentavano un BMI significativamente inferiore a
quello del gruppo di controllo (12); si può
osservare come i linfociti CD20 (linfociti
B) siano significativamente più numerosi nei soggetti bulimici che nei controlli,
mentre non si osservano differenze nei
livelli di IgG, IgM e IgA.
La classe di immunoglobuline che
più frequentemente presenta livelli sierici elevati è quella delle IgE; ciò è probabilmente legato alla frequenza di infezioni da parassiti nei pazienti malnutriti.
Un recente studio su bambini guatemalesi in età scolare ha infatti evidenziato
una notevole frequenza di infezioni recidivanti da Ascaris lumbricoides,
Trichiuris trichiura e Giardia lamblia;
tali infezioni interessavano dal 15 al
25% della popolazione in esame (13). Va
però sottolineato che in questi pazienti
le reazioni anafilattiche di tipo I, legate
all’attivazione delle IgE, sono assenti
verosimilmente per la consistente riduzione dei mastociti che sono essenziali
per questo fenomeno.
Alla produzione di immunoglobuline
ed alla risposta anticorpale è legata anche la ridotta efficacia della pratica vaccinale nei pazienti malnutriti. È noto infatti che mentre alcuni antigeni sono in
grado di determinare una valida immunizzazione (poliovirus, tossina tetanica e
difterica, ecc.) altre non stimolano la risposta anticorpale (virus influenzale,
tifo, ecc.) (14).
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A. Carroccio, G. Montalto, A. Notarbartolo
1,5
1,0
0,5
0
TT
...........................................
Stimolazione primaria
della produzione di IgG
antitossina tetanica in
ratti con deficit di
vitamina A e in ratti
con normali livelli
di vitamina A.
Anti-TT IgG (mg/L)
Figura 1
* p < 0,05
*
A-def
È molto probabile che la risposta
immune sia valida nei casi che non richiedono la cooperazione tra linfociti B
e linfociti T, mentre quando l’interazione
con i T-linfociti è necessaria si abbia
una ridotta o assente produzione di anticorpi. Un ruolo molto importante nel
determinare la risposta vaccinale pare
sia svolto dalla vitamina A (15).
La Figura 1 mostra i dati sperimentali su ratto ottenuti utilizzando la tossina tetanica (16).
Si può notare che nei ratti con deficit di retinolo la risposta anticorpale è
significativamente inferiore a quella de-
A-suf
gli animali con normali livelli vitaminici.
Solitamente lo stato di malnutrizione si
associa anche ad un deficit delle IgA
secretorie (17); anche in questo caso
pare determinante un deficit di vitamina
A (18).
La ridotta produzione di IgA può essere associata a diarrea e gastroenterite e dunque ad un danno dei villi intestinali con conseguente ulteriore riduzione
della sintesi di IgA secretorie. L’instaurarsi di un circolo vizioso finisce dunque
per aggravare il deficit nutrizionale e di
conseguenza l’incompetenza immunologica.
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Test immunologici e funzionali nella valutazione dello stato nutrizionale
Tabella 1
Controlli
Immunità umorale
e complementemia
in soggetti con bulimia
sottopeso e nei controlli.
Pazienti
Linfociti B (1)
0,12 ± 0,05
0,39 ± 0,25 *
IgG (g/l)
12,28 ± 2,39
11,41 ± 2,74
IgA (g/l)
1,73 ± 0,66
1,54 ± 0,85
IgM (g/l)
1,59 ± 0,52
1,11 ± 0,75
C3 (g/l)
1,17 ± 0,10
0,89 ± 0,12 *
C4 (g/l)
0,44 ± 0,76
0,35 ± 0,10 *
* p < 0,05 (v. bibl. 12)
Smythe et al hanno riportato per primi una ridotta attività emolitica nel siero
di pazienti con malnutrizione proteicocalorica (19). Un deficit dei fattori del
complemento è stato successivamente
confermato da molti Autori (12, 20, 21)
ed è stato generalmente interpretato
come secondario all’iperconsumo da
attivazione della cascata del complemento, oltre che alla carenza proteica
nella dieta (Tab. 1).
L’immunità cellulo-mediata è sicuramente quella più compromessa negli
stati di malnutrizione. Il grave interessamento del compartimento T-linfocitario
è testimoniato dalle alterazioni anatomo-patologiche osservabili a carico del
timo nei bambini affetti da severa malnutrizione. Studi autoptici hanno infatti
dimostrato la sostituzione del normale
tessuto timico con scarso tessuto fibroso o, addirittura, la scomparsa dell’organo. Anche negli stadi precoci di un
deficiente apporto proteico (in III-IV
giornata) si osservano significative riduzioni del peso e/o della funzione del timo. Una conseguenza della depressione del timo è il notevole calo dei leucociti con una marcata linfopenia; oltre
queste variazioni quantitative, si osservano diversi altri fenomeni: la ridotta capacità a blastizzare dei linfociti di fronte
ad una stimolazione mitogena, una
alta percentuale di “null cells”, la ridotta
risposta ai test cutanei (skin test), ecc.
L’alterazione degli skin test è stata
inizialmente documentata nel corso di
prove cutanee con tubercolina in popolazione con elevata prevalenza di infezione tubercolare (22); successivamente
il dato è stato confermato utilizzando diversi antigeni, ed il grado di compromissione immunologica è apparso direttamente correlato all’entità del deficit
ponderale dei pazienti (23).
Si tratta dunque, in questo caso, di
un aspetto del problema “malnutrizionealterata risposta immunitaria” che ha
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A. Carroccio, G. Montalto, A. Notarbartolo
Tabella 2
Controlli
Immunità
cellulo-mediata
in soggetti bulimici
sottopeso e in controlli
sani.
Pazienti
Linfociti CD2 (1)
0,79 ± 0,09
0,48 ± 0,14 *
(1)
0,41 ± 0,11
0,18 ± 0,09 *
Linfociti CD8 (1)
0,26 ± 0,11
0,26 ± 0,14
CD4: CD8
1,56 ± 0,64
0,66 ± 0,29 *
Relativa anergia (skin test) %
0
11
Ipoergia (skin test) %
0
33
Scarsa risposta (skin test) %
0
33
Linfociti CD4
* p < 0,05 (v. bibl. 12)
malnutrizione (24). La stessa tabella mostra che complessivamente il 77% dei
pazienti ha una risposta agli skin test
severamente o moderatamente ridotta.
Parallelamente a questa alterazione in
vivo della funzione T-linfocitaria, si osserva in vitro un ridotto uptake di timidina triziata in linfociti sottoposti a stimolo
mitogeno (23, 25). La Tabella 3 mostra gli
effetti di un intervento terapeutico nutrizionale in un gruppo di bambini malnutriti, valutati mediante gli skin test e la
risposta proliferativa dei linfociti alla fitoemoagglutinina (test di incorporazione
della timidina tritiata) (26).
Dati discordanti vengono infine riportati per quanto riguarda la risposta
chemiotassica e la fagocitosi da parte
dei polimorfonucleati e dei macrofagi. In
linea generale queste funzioni non sembrerebbero gravemente compromesse (27), anche se viene riportata da alcuni Autori una depressione della capacità
una chiara conseguenza pratica. I test
cutanei per la diagnosi di tubercolosi (tine test, intradermoreazione di Mantoux)
sono ancor oggi ampiamente utilizzati
nella pratica clinica, ed inoltre l’incidenza dell’infezione tubercolare appare in
chiaro aumento rispetto alle precedenti
decadi; è dunque necessario considerare che in soggetti malnutriti, quali
spesso sono i pazienti affetti da tubercolosi, i test cutanei possono dare risultati falsi negativi.
La Tabella 2 mostra lo stato dell’immunità cellulo-mediata in un gruppo di
pazienti con ridotto BMI rispetto ai controlli (12). Si può osservare che vi è una
significativa riduzione dei linfociti T CD2
e dei CD4 (T helper), mentre sono immodificati i CD8 (T suppressor); il rapporto fra CD4: CD8 risulta così diminuito. Proprio la riduzione del rapporto fra
helper e suppressor è considerata un
sensibile indice degli stati subclinici di
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Test immunologici e funzionali nella valutazione dello stato nutrizionale
Tabella 3
Immunocompetenza in
bambini malnutriti
all’ingresso in studio e
dopo 105 giorni di
terapia nutrizionale con
una formula lattea ad
alto contenuto di zinco.
Inizio (%)
Dopo terapia (%)
Normale risposta
di ipersensibilità cutanea
11
42 *
Depressa risposta linfoc.
alla fitoemoagglutinina
61
17 *
Ridotta concentrazione
di IgA secretorie
22
22
* p < 0.05 (v. bibl. 26)
migratoria dei leucociti (28). A questo
proposito è interessante notare che una
diminuzione delle cellule natural killer, e
della attività fagocitaria, è riportata in
soggetti con elevato consumo di acidi
grassi polinsaturi (PUFA); si è infatti osservata una correlazione inversa fra numero di cellule NK ed i livelli plasmatici
di PUFA (Fig. 2) (29). Questo dato indica come errori dietetici possano determinare una alterazione del sistema immunitario, senza che necessariamente
vi sia uno stato di malnutrizione.
cellulo-mediata;
c. test che valutano il sistema del
complemento e l’attività antibatterica.
I test che esplorano l’attività umorale, più che basarsi sul dosaggio delle
immunoglobuline totali (non significativamente alterate nei pazienti malnutriti),
sono incentrati sul dosaggio delle IgA
secretorie. Queste immunoglobuline
possono essere ricercate nel muco nasale o nel secreto salivare e vengono
dosate con dosaggio radioimmunologico (con antisiero per le IgA dimeriche) o
con metodo di immunodiffusione radiale
su piastra. I test che riguardano l’immunità cellulo-mediata possono consistere
nella valutazione del numero dei linfociti
circolanti o nella reattività ai test cutanei
di inoculazione antigenica. Il numero dei
linfociti T risulta tanto più ridotto quanto
maggiore è lo stato di denutrizione dei
soggetti; valutazioni con anticorpi monoclonali hanno consentito di accertare
che ad essere maggiormente compromessa è la popolazione linfocitaria di
Test immunologici
nella pratica clinica
Sulla base di quanto abbiamo sin qui
esposto, possiamo raggruppare i test
immunologici che valutano lo stato nutrizionale in tre gruppi:
a. test che esplorano l’immunità
umorale;
b. test che esplorano l’immunità
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Figura 2
Correlazione fra l’attività
delle cellule natural
killer e gli acidi grassi
polinsaturi (PUFAs), gli
acidi grassi n-6 ed i
livelli plasmatici di acido
linoleico.
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Test immunologici e funzionali nella valutazione dello stato nutrizionale
T-helper (T4), la cui conta può dunque
dimostrarsi un test di maggiore sensibilità. Gli skin test possono essere eseguiti sia mediante inoculazioni multiple
di diversi antigeni ubiquitari a livello intradermico (es. tossina tetanica, candidina, streptochinasi, ecc.) alla dose di
0,1 cc nella faccia volare dell’avambraccio, sia mediante l’uso di multitest
con applicatori multipuntura che consentono l’inoculazione di sette antigeni
e di un controllo contemporaneamente.
Gli antigeni presenti nei multitest del
commercio (multitest IMC-Mariaux-lion)
sono: tetano, difterite, streptococco, tubercolina, proteus, tricophyton, candida
e glicerina come controllo. La reazione
si considera positiva, e dunque il soggetto non immunodepresso, se si osserva un diametro medio per ogni preparato maggiore o uguale di due mm. È
da considerare che la specificità di questi test nella valutazione dello stato di
nutrizione è estremamente bassa; infatti
in moltissime condizioni patologiche (infezioni intercorrenti, cirrosi epatica, insufficienza renale cronica, emorragia,
malattia neoplastica, ecc.) si ha una ridotta risposta ai multitest cutanei. Inoltre
alcuni farmaci di larghissimo uso nella
pratica clinica, quali steroidi, H2-antagonisti, aspirina, ecc. possono alterare il risultato delle intradermoreazioni.
Infine la valutazione dell’attività antibatterica può essere fatta con il dosaggio del fattore C3 del complemento e
con la valutazione dell’attività fagocitaria. Il C3 è dosabile secondo la tecnica
di Mancini, con immunodiffusione radiale. È peraltro da sottolineare come una
riduzione dei fattori del complemento si
abbia in tutte le patologie caratterizzate
da iperattivazione del sistema immunitario: patologie autoimmuni, malattie da
ipersensibilità, ecc.; ancora una volta
questo test non è certamente specifico
degli stati di malnutrizione e va interpretato cautamente. La valutazione dell’attività antibatterica può anche essere
eseguita osservando in vitro l’attività
dei polimorfonucleati del paziente, messi a contatto con un campione di batteri
e/o miceti (solitamente Staphylococcus aureus, E. coli e Candida albicans in rapporto di 5:1 con i fagociti).
In condizioni normali i fagociti sono in
grado di uccidere in un tempo di 2 ore
almeno il 95% dei batteri.
In conclusione, riassumiamo nella
Tabella 4 il comportamento più frequentemente osservato di alcuni indici immunologici negli stati di malnutrizione, e
l’utilità della loro valutazione nella pratica
clinica quotidiana. Va osservato che anche per i test la cui utilità è considerata
soddisfacente, l’esecuzione dell’esame
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Tabella 4
Comportamento più
frequentemente
osservato di alcuni
parametri immunologici
negli stati di
malnutrizione ed utilità
della loro valutazione
nella pratica clinica.
Test
Comportamento
Utilità
Conta linf. totali
Normali o ridotti
Scarsa
Conta linf. B
Normali o aumentati
Nessuna
Conta linf. T
Ridotti
Scarsa
Conta T-helper
Ridotti
Buona
Conta T-suppressor
Normali
Nessuna
Rapporto help/suppr.
Ridotto
Buona
Intradermoreazioni
Ridotte
Buona
Dos. immunoglob. sier.
Normali o aumentate
Nessuna
Dos. IgA secretorie
Ridotte
Buona
Complementemia (C3, C4)
Ridotta
Buona
Capacità emolitica del siero
Ridotta
Buona
Risposte linfoprolif. alla fitoemoagglut.
Ridotta
Buona
ha il solo scopo di monitorare lo stadio
di nutrizione di un paziente in corso di
terapia; la già accennata mancanza di
specificità delle alterazioni immunologiche osservate grava infatti su tutti i test
che abbiamo preso in considerazione.
dei livelli di nutrienti nel sangue, nelle
urine, nelle feci o nei capelli. Tutti questi indici vanno considerati parametri
“statici” dello stato nutrizionale, nel senso che essi fotografano la situazione
nutrizionale (globale o di un singolo nutriente) in un dato momento, senza valutare gli effetti che lo stato di nutrizione
ha sulla fisiologia di diversi apparati.
Proprio quest’ultimo aspetto è invece
preso in considerazione dai test funzionali; si tratta infatti di valutare le alterazioni che un determinato deficit di nutrienti determina su alcune funzioni fisiologiche.
È evidente che questa valutazione
del problema nutrizionale, di tipo “dinamico”, offrirebbe vantaggi significativi.
Test funzionali
come indice dello stato
di nutrizione
La valutazione dello stato nutrizionale si può basare su diversi parametri:
dalle semplici misure antropometriche,
alla stima di alcuni indici ematochimici
di routine (albumina sierica, lipidemia,
azotemia, calcemia, ecc.) alla misura
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Test immunologici e funzionali nella valutazione dello stato nutrizionale
Figura 3
Variazioni di frequenza
cardiaca sotto sforzo
(HRW) vs variazioni nei
livelli di emoglobina
dopo trattamento con
ferro (tondini pieni)
e con placebo (tondini
vuoti) in soggetti con
anemia sideropenica.
r = –0,60
p < 0,001
Lo stato di deplezione di un nutriente,
depositato in un dato tessuto, non necessariamente infatti corrisponde ad
una alterazione funzionale dell’organismo. Una valutazione mediante test
funzionali consentirebbe di valutare le
reali conseguenze di un deficit nutrizionale. Alcuni dei test funzionali fanno riferimento ai possibili deficit delle funzioni immunologiche cui abbiamo fatto
ampio cenno precedentemente (chemiotassi leucocitaria, attività fagocitaria
dei leucociti, ipersensibilità cutanea ritardata). Per molti altri va sottolineato
che la loro specificità nella diagnostica
dello stato di malnutrizione è limitatissima: fragilità capillare, fragilità eritrocitaria, tempo di protrombina, cattura tiroidea del radioiodio, aggregazione piastri-
nica, frequenza cardiaca, ecc.; basti
pensare che la captazione del radioiodio
è di per sé alterata in tutti i pazienti con
patologia tiroidea, che il tempo di protrombina è costantemente alterato nelle
epatopatie croniche (patologia di grandissima prevalenza nella popolazione
generale), che moltissimi farmaci possono alterare l’aggregazione piastrinica
(primo fra tutti l’acido acetilsalicilico, di
grande consumo). Questa mancanza di
specificità dei test imunologici e funzionali dei quali ci siamo occupati non va
comunque considerata un limite assoluto alla loro utilizzazione; è infatti comunque utile considerare questi parametri
ripetutamente nell’individuo. Questi test
possono infatti darci indicazioni circa la
risposta individuale di un paziente mal-
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A. Carroccio, G. Montalto, A. Notarbartolo
Malnutrition and infection. East African studies.
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nutrito, all’integrazione terapeutica con
nutrienti. Non dobbiamo dunque considerarli ed interpretarli come test di
screening, ma come utili strumenti di
monitoraggio individuale dello stato nutrizionale. Un esempio della loro utilizzazione può essere fornito da un recente
studio condotto su pazienti affetti da
anemia sideropenica (30). La Figura 3
mostra la correlazione fra le variazioni di
livelli di emoglobina e le variazioni di frequenza cardiaca: si può notare che al
crescere dell’emoglobina, dopo terapia
marziale, corrisponde un calo della frequenza cardiaca (r = – 0,60); in questo
studio, dopo terapia, la frequenza cardiaca dei soggetti scendeva in media di
4,4 battiti al minuto.
In ogni caso per la loro complessità
questi test vengono eseguiti presso
strutture cliniche specialistiche ed è opportuno che l’interpretazione e la valutazione vengano effettuate in stretta
collaborazione con gli specialisti nutrizionalisti.
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ISTITUTO DANONE