Parte I CLASSE PRIMA 0 Capitolo 1 Logica 1.1 Teoria matematica Una teoria esprime per mezzo di un linguaggio preciso concetti e loro proprietà. Ogni termine, ogni proposizione di una teoria ha un significato univoco. Una teoria è composta da alcuni termini primitivi, per esempio nella geometria la retta. Di questi termini non è data una definizione. Con i termini primitivi, mediante le definizioni, si definiscono altri termini che a loro volta possono essere utilizzati per definirne altri: per esempio il segmento. Con i termini si costruiscono alcune proposizioni dette postulati o assiomi che sono verità assunte a priori. Con i termini si costruiscono altre proposizioni dette teoremi che si devono dimostrare. In un teorema si distingue un’ipotesi e una tesi. L’ipotesi è formata da proposizioni vere da cui, attraverso la dimostrazione, deve scaturire la verità della tesi, utilizzando gli assiomi e i teoremi già dimostrati. Consideriamo la teoria delle proposizioni detta anche logica. 1.2 Proposizioni Alla base della logica ci sono le proposizioni. Definizione 1.2.1 (Proposizione). Si dice proposizione un’affermazione vera o falsa. I concetti di vero e falso li assumiamo come primitivi, cioè li useremo senza definirli. Esempio 1.2.1. • “Il sole è una stella” è una proposizione vera • “Il sole è un pianeta” è una proposizione falsa • “2 + 3 = 5” è una proposizione vera • “Domani pioverà” non è una proposizione perché non si può dire se è vera o falsa Per rappresentare le proposizioni uilizzeremo le lettere minuscole p, q, r, . . .. Per indicare che una proposizione è vera utilizzeremo il simbolo V , per indicare che una proposizione è falsa utilizzeremo il simbolo F . Con le proposizioni e con i valori che possono assumere si costruiscono delle tabelle che si chiamano tavole di verità. Esempio 1.2.2. Un esempio di tavola di verità è p V F 1 CAPITOLO 1. LOGICA Per determinare tutti i casi possibili nelle tavole di verità si procede nel seguente modo: • con una sola proposizione i valori possibili sono V e F ; • con due proposizioni nella colonna della prima si scrivono due V e due F , nella colonna della seconda si scrive in modo alternato V , F . • con tre proposizioni, nella colonna della prima si scrivono quattro V e quattro F , nella colonna della seconda si scrivono in modo alternato due V e due F , nella colonna della terza si scrive in modo alternato V , F . 1.3 Connettivi Le proposizioni che abbiamo visto sono dette proposizioni elementari perché non sono scomponibili in altre proposizioni. Le proposizioni elementari, legate insieme con delle particelle chiamate connettivi, formano le proposizioni composte. I connettivi più importanti sono: non, e, o. Nella lingua italiana i connettivi possono avere diversi significati. Nella frase “per andare a Torino prendi la macchina o il pulman” la o è esclusiva: o la macchina o il pulman, non entrambi. Nella frase “rimani in casa se piove o se tira il vento” la o è inclusiva, può anche piovere e tirare vento contemporaneamente. Nella logica i connettivi devono avere un significato non ambiguo; per questo a ogni connettivo è associata una legge che si chiama operazione logica o funzione di verità schematizzata generalmente con le tavole di verità. Analizziamo ora i vari connettivi. 1.3.1 Connettivo non Il connettivo non si può anche trovare nella forma inglese not. Il simbolo è ¬ davanti alla proposizione, l’operazione logica associata è la negazione. Definizione 1.3.1 (Negazione). Si dice negazione di una proposizione p quella proposizione che è vera se p è falsa, falsa se p è vera. La negazione di p si indica con ¬p La tavola di verità della negazione è: p ¬p V F F V Esempio 1.3.1. Data la proposizione p: “oggi è martedì” la sua negazione è ¬p : “oggi non è martedì” 1.3.2 Connettivo e Il connettivo e si può anche trovare nella forma inglese and o nella forma latina et. Il simbolo è ∧. L’operazione logica associata è la congiunzione Definizione 1.3.2 (Congiunzione). Si dice congiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se sono entrambe vere, falsa negli altri casi. La congiunzione di p e q si indica con p ∧ q 2 1.4. ESPRESSIONI LOGICHE La tavola di verità della congiunzione è: p q p∧q V V F F V F V F V F F F Esempio 1.3.2. Date le proposizioni p: “oggi è sabato” q: “oggi c’è il sole” la congiunzione delle due proposizioni è p ∧ q: “oggi è sabato e c’è il sole” 1.3.3 Connettivo o Il connettivo o si può anche trovare nella forma inglese or o nella forma latina vel. Il simbolo è ∨. L’operazione logica associata è la disgiunzione. Definizione 1.3.3 (Disgiunzione). Si dice disgiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se almeno una delle due proposizioni è vera, falsa negli altri casi. La disgiunzione di p e q si indica con p ∨ q La tavola di verità della disgiunzione è: p q p∨q V V F F V F V F V V V F Esempio 1.3.3. Date le proposizioni p: “oggi è sabato” q: “oggi c’è il sole” la disgiunzione dalle due proposizioni è p ∧ q: “oggi è sabato o c’è il sole” Il connettivo ∨ rappresenta il significato inclusivo della o della lingua italiana. 1.4 Espressioni logiche I connettivi visti possono essere applicati, oltre che a proposizioni elementari, anche a proposizioni composte e ottenere le espressioni logiche. Come nelle espressioni algebriche, anche nelle espressioni logiche si possono utilizzare le parentesi per indicare l’ordine con cui si devono effettuare le operazioni. In assenza di parentesi i connettivi hanno il seguente ordine di precedenza: ¬, ∧, ∨ Esempio 1.4.1. Un esempio di espressione logica è (p ∧ q) ∨ (¬p ∨ q) Anche per le espressioni logiche si può scrivere la tavola di verità considerando tutte le proposizioni semplici e composte che formano l’espressione considerata. 3 CAPITOLO 1. LOGICA Esempio 1.4.2. La tavola di verità dell’espressione (p ∧ q) ∨ p è: p q V V F F V F V F 1.4.1 p ∧ q (p ∧ q) ∨ p V F F F V V F F Tautologie e contraddizioni Definizione 1.4.1 (Tautologia). Si dice tautologia un’espressione logica vera per qualsiasi valore delle variabili che la compongono. Esempio 1.4.3. Data l’espressione logica p ∨ ¬p la sua tavola di verità è p ¬p p ∨ ¬p V F F V V V Quindi p ∨ ¬p è una tautologia. L’affermazione “piove o non piove” è sempre vera. Definizione 1.4.2 (Contraddizione). Si dice contraddizione un’espressione logica falsa per qualsiasi valore delle variabili che la compongono. Esempio 1.4.4. Data l’espressione logica p ∧ ¬p la sua tavola di verità è p ¬p p ∧ ¬p V F F V F F Quindi p ∧ ¬p è una contraddizione. L’affermazione “piove e non piove” è sempre falsa. Una tautologia la indicheremo con T e una contraddizione con C. 1.4.2 Espressioni equivalenti Definizione 1.4.3 (Espressioni equivalenti). Due espressioni logiche si dicono equivalenti se e solo se hanno tavole di verità uguali. Per indicare l’equivalenza utilizzeremo il simbolo ⇔. Esempio 1.4.5. Verifichiamo che ¬¬p ⇔ p 4 1.5. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI LOGICHE La tavola di verità di ¬¬p è p ¬p ¬¬p V F F V V F Poiché la colonna p e la colonna ¬¬p sono uguali si ha ¬¬p ⇔ p Cioè se neghiamo due volte una proposizione otteniamo la proposizione stessa 1.5 Proprietà delle operazioni logiche Vediamo ora alcune proprietà delle operazioni logiche. La dimostrazione di queste proprietà si può effettuare costruendo le tavole di verità e vedendo l’equivalenza delle espressioni. Siano p e q e r delle proposizioni. Valgono le seguenti proprietà: 1. proprietà commutativa: p∧q ⇔q∧p p∨q ⇔q∨p 2. proprietà associativa: p ∧ (q ∧ r) ⇔ (p ∧ q) ∧ r p ∨ (q ∨ r) ⇔ (p ∨ q) ∨ r 3. proprietà di idempotenza: p∧p⇔p p∨p⇔p 4. proprietà distributiva: p ∧ (q ∨ r) ⇔ (p ∧ q) ∨ (p ∧ r) p ∨ (q ∧ r) ⇔ (p ∨ q) ∧ (p ∨ r) 5. proprietà di assorbimento: p ∧ (p ∨ q) ⇔ p p ∨ (p ∧ q) ⇔ p 6. leggi di De Morgan: ¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q ¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q 5 CAPITOLO 1. LOGICA 7. proprietà con tautologie e contraddizioni p∧T ⇔p p∧C ⇔C p∨T ⇔T p∨C ⇔p p ∧ ¬p ⇔ C p ∨ ¬p ⇔ T Dimostriamo alcune proprietà Esempio 1.5.1. • Verifichiamo che p ∨ (p ∧ q) ⇔ p La tavola di verità di p ∨ (p ∧ q) è p q V V F F V F V F p ∧ q p ∨ (p ∧ q) V F F F V V F F Poiché la colonna p e la colonna (p ∧ q) ∨ p sono uguali si ha (p ∧ q) ∨ p ⇔ p • Verifichiamo che ¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q La tavola di verità di ¬(p ∧ q) è p q V V F F V F V F p ∧ q ¬(p ∧ q) V F F F F V V V La tavola di verità di ¬p ∨ ¬q è p q ¬p ¬q ¬p ∨ ¬q V V F F V F V F F F V V F V F V F V V V Poiché le due tavole di verità sono uguali si ha ¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q 6 1.6. PROPOSIZIONI APERTE E QUANTIFICATORI • Verifichiamo che ¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q La tavola di verità di ¬(p ∨ q) è p q V V F F V F V F p ∨ q ¬(p ∨ q) V V V F F F F V La tavola di verità di ¬p ∧ ¬q è p q ¬p ¬q ¬p ∧ ¬q V V F F V F V F F F V V F V F V F F F V Poiché le due tavole di verità sono uguali si ha ¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q 1.6 Proposizioni aperte e quantificatori Per introdurre i concetti di proposizione aperta e quantificatore ci serve il concetto di insieme 1.6.1 Insiemi e elementi Il concetto di insieme lo assumiamo come primitivo, cioè lo useremo senza definirlo. Gli oggetti che fanno parte di un insieme si chiamano elementi e si dice che appartengono all’insieme. Dato un insieme, di ogni oggetto si deve poter dire se appartiene o no all’insieme. Gli insiemi in genere si indicano con le lettere maiuscole, gli elementi con le lettere minuscole. La proposizione: “l’elemento a appartiene all’insieme A” verrà scritta in simboli nel seguente modo: a ∈ A dove ∈ è il simbolo di appartenenza. La negazione della proposizione precedente: “a non appartiene all’insieme A” verrà scritta in simboli nel seguente modo: a ∈ A dove ∈ è il simbolo di non appartenenza. Esempio 1.6.1. Indicando con N l’insieme dei numeri naturali si ha: • 2∈N • −3 ∈ N 7 CAPITOLO 1. LOGICA 1.6.2 Proposizioni aperte Definizione 1.6.1 (Proposizione aperta). Si dice proposizione aperta una proposizione con una o più variabili Osservazione Il valore di verità di una proposizione aperta dipende dai valori che assumono le variabili. Esempio 1.6.2. • x > 8 è una proposizione aperta • “x è capitale di y” è una proposizione aperta Le proposizioni aperte in simboli le indicheremo con p(x), q(x, y), . . .. Se alle variabili si sostituiscono dei valori la proposizione aperta diventa una proposizione. I valori che si possono sostituire devono appartenere a un particolare insieme chiamato dominio. Definizione 1.6.2 (Dominio). Si dice dominio di una proposizione aperta e si indica con D l’insieme dal quale si possono prendere i valori da sostituire alle variabili Esempio 1.6.3. • Nella proposizione aperta “x > 8”, la variabile x deve essere un numero, il dominio della proposizione aperta è l’insieme dei numeri reali. • Nella proposizione aperta “x è la capitale di y”, la variabile x deve essere un nome di città e la variabile y un nome di nazione, il dominio della proposizione aperta è l’insieme delle coppie formate da una citta e una nazione. Alcuni valori del dominio rendono vera la proposizione aperta, altri la rendono falsa. Definizione 1.6.3 (Insieme di verità). Si dice insieme di verità della proposizione aperta p(x) l’insieme dei valori del dominio che la rendono vera Esempio 1.6.4. • L’insieme di verità della proposizione aperta “x > 8” è l’insieme di tutti i numeri reali maggiori di 8 • L’insieme di verità della proposizione aperta “x è la capitale di y” è l’insieme delle coppie formate da una città capitale e dalla nazione di cui è capitale la città: (Roma,Italia), (Parigi,Francia), ect. 1.6.3 Quantificatori Abbiamo visto che per ottenere una proposizione da una proposizione aperta si sostituiscono dei valori alle variabili. Un altro modo per ottenere una proposizione da una proposizione aperta è utilizzare i quantificatori. Esistono due quantificatori, il quantificatore esistenziale, indicato con il simbolo ∃ che significa “esiste almeno un” e il quantificatore universale indicato con il simbolo ∀ che significa “tutti” o “per ogni”. La proposizione ∃x ∈ D/p(x) si legge “esiste almeno un elemento x appartenente a D tale che p(x)”. La proposizione ∀x ∈ D, p(x) si legge “per ogni elemento x appartenente a D, p(x)”. Esempio 1.6.5. Consideriamo come dominio D l’insieme dei corpi celesti. Utilizziamo i quantificatori per trasformare la proposizione aperta “x è un pianeta” in una proposizione. • “∃x ∈ D/x è un pianeta” (esiste almeno un x appartenente a D tale che x è un pianeta) è una proposizione vera. 8 1.7. IMPLICAZIONE LOGICA • “∀x ∈ D, x è un pianeta” (per ogni x appartenente a D, x è un pianeta) è una proposizione falsa Teorema 1.6.1 (Leggi di De Morgan). ¬(∀x ∈ D, p(x)) ⇔ ∃x ∈ D/¬p(x) ¬(∃x ∈ D/p(x)) ⇔ ∀x ∈ D, ¬p(x) Le leggi di De Morgan dicono rispettivamente che • “non è vero che tutti gli x godono p(x)” è equivalente a “esiste almeno un x che non gode p(x)” • “non è vero che esiste almeno un x che gode p(x)” è equivalente a “tutti gli x non godono p(x)” Esempio 1.6.6. • La negazione della proposizione “tutti i cavalli sono bianchi” è “esiste almeno un cavallo che non è bianco” • La negazione della proposizione “esiste un cavallo bianco” è “ogni cavallo non è bianco” 1.7 Implicazione logica Definizione 1.7.1 (Implicazione logica). Date due proposizioni aperte I(x) e T (x) con x ∈ D, se ogni valore di x che renda verà I(x) rende vera anche T (x) si dice che I(x) implica logicamente T (x) e si scrive I(x) ⇒ T (x) Osservazioni 1. I( x) si chiama ipotesi, T (x) si chiama tesi. 2. I(x) ⇒ T (x) si può anche leggere “se I(x) allora T (x)”. 3. I(x) si chiama condizione sufficiente per T (x) e T (x) si chiama condizione necessaria per I(x). Esempio 1.7.1. x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2 (se x è divisibile per 4 allora è divisibile per 2) Osservazione La definizione data vale anche per proposizioni con più variabili. Esempio 1.7.2. x > 0 ∧ y > 0 ∧ x > y ⇒ x2 > y 2 Osservazione In seguito l’implicazione logica verrà chiamata semplicemente implicazione. 1.8 Equivalenza logica o biimplicazione logica Date le proposizione aperte A(x) e B(x), se A(x) ⇒ B(x) non è detto che B(x) ⇒ A(x) Esempio 1.8.1. x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2 ma x è divisibile per 2 non implica x è divisibile per 2 Definizione 1.8.1 (Biimplicazione logica). Date due proposizioni aperte A(x) e B(x), se per ogni x ∈ D assumono lo stesso valore di verità si dice che A(x) biimplica logicamente B(x) oppure A(x) equivale logicamente a B(x) e si scrive A(x) ⇔ B(x) Osservazioni 1. A(x) ⇔ B(x) si può anche leggere “A(x) se e solo se B(x)” . 9 CAPITOLO 1. LOGICA 2. A(x) si chiama condizione necessaria e sufficiente per B(x) e B(x) si chiama condizione necessaria e sufficiente per A(x). 3. Dire che A(x) ⇔ B(x) è come dire A(x) ⇒ B(x) e B(x) ⇒ A(x) Esempio 1.8.2. x è un numero pari ⇔ x è divisibile per 2 1.9 Dimostrazione per assurdo All’inizio del capitolo abbiamo introdotto i concetti di teorema specificando che la dimostrazione permette di arrivare dall’ipotesi alla tesi. Esiste un altro tipo di dimostrazione, detta per assurdo che consiste nel negare la tesi e arrivare ad una contraddizione. Infatti (I(x) ⇒ T (x)) ⇔ (¬T (x) ⇒ ¬I(x)) Esempio 1.9.1. x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2 è equivalente a x è non è divisibile per 2 implica x è non è divisibile per 4 10 Capitolo 2 Insiemi 2.1 Rappresentazione degli insiemi Gli insiemi si possono rappresentare in vari modi: 1. elencando gli elementi racchiusi tra parentesi graffe: A = {1, 2, 3, 4, 5} 2. con i diagrammi di Eulero-Venn: gli elementi sono racchiusi da delle linee chiuse. A 2 1 3 4 5 Figura 2.1: diagrammi di Eulero-Venn 3. tramite la proprietà caratteristica, cioè una proprietà che è vera per tutti e soli gli elementi dell’insieme: A = {x ∈ N0 /x < 6} 2.2 Uguaglianza Definizione 2.2.1 (Uguaglianza). Si dice che l’insieme A è uguale all’insieme B se e solo se A e B hanno gli stessi elementi e si scrive A=B Esempio 2.2.1. {1, 2, 3, 4, 5} = {x ∈ N0 /x < 6} Osservazione Negli insiemi non contano l’ordine o le ripetizioni, l’insieme {1, 2, 3, 4, 5} = {2, 1, 4, 3, 5} = {1, 1, 1, 2, 3, 4, 5} 11 CAPITOLO 2. INSIEMI 2.3 Insiemi particolari Vediamo ora alcuni insiemi particolari: 1. insieme unitario: insieme con un solo elemento: {a} 2. insieme vuoto: insieme con nessun elemento, si indica con ∅ o {} 2.4 Inclusione Definizione 2.4.1 (Inclusione). Si dice che l’insieme A è incluso nell’insieme B se e solo se ogni elemento di A appartiene a B e si scrive A ⊆ B Osservazione Se A è incluso in B si dice che A è un sottoinsieme di B. Esempio 2.4.1. {1, 2} ⊆ {1, 2, 3} Osservazioni 1. L ’insieme vuoto è incluso in qualsiasi insieme e ogni insieme è incluso in se stesso. 2. Dato un insieme A, l’insieme vuoto e A si dicono sottoinsiemi impropri di A, gli altri sottoinsiemi di A si dicono propri. 3. A = B ⇔ A ⊆ B ∧ B ⊆ A 4. Se A non è incluso in B, si scrive A B 5. A ⊇ B ⇔ B ⊆ A Definizione 2.4.2 (Inclusione stretta). Si dice che l’insieme A è incluso strettamente nell’insieme B se e solo se A ⊆ B ∧ A = B e si scrive A⊂B Esempio 2.4.2. {1, 2} ⊂ {1, 2, 3} Osservazioni 1. Se A non è incluso strettamente in B, si scrive A ⊂ B 2. A ⊃ B ⇔ B ⊂ A 2.5 Insieme delle parti Definizione 2.5.1 (Insieme delle parti). Si dice insieme delle parti di un insieme A l’insieme costituito da tutti i sottoinsiemi di A e si indica con P (A) Esempio 2.5.1. • Dato A=∅ si ha P (A) = {∅} 12 2.6. OPERAZIONI TRA INSIEMI • Dato A = {a} si ha P (A) = {∅, {a}} • Dato A = {a, b} si ha P (A) = {∅, {a}, {b}, {a, b}} Osservazione Se A ha n elementi allora P (A) ha 2n elementi 2.6 2.6.1 Operazioni tra insiemi Unione Definizione 2.6.1 (Unione). Si dice unione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi che appartengono ad A o a B e si scrive A ∪ B La proprietà caratteristica dell’insieme A ∪ B è la disgiunzione delle proprietà caratteristiche di A e B, in simboli: A ∪ B = {x/x ∈ A ∨ x ∈ B} Esempio 2.6.1. Dati A = {1, 2, 3, 4, 5} B = {4, 5, 6, 7} si ha A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7} Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A ∪ B = B 2. A ∪ A = A 3. A ∪ ∅ = A 2.6.2 Intersezione Definizione 2.6.2 (Intersezione). Si dice Intersezione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi comuni ad A e B e si scrive A ∩ B La proprietà caratteristica dell’insieme A ∩ B è la congiunzione delle proprietà caratteristiche di A e B, in simboli: A ∩ B = {x/x ∈ A ∧ x ∈ B} 13 CAPITOLO 2. INSIEMI Esempio 2.6.2. Dati A = {1, 2, 3, 4, 5} B = {4, 5, 6, 7} si ha A ∩ B = {4, 5} Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A ∩ B = A 2. A ∩ A = A 3. A ∩ ∅ = ∅ Definizione 2.6.3 (Insiemi disgiunti). Due insiemi si dicono disgiunti se la loro intersezione è l’insieme vuoto, cioè se non hanno elementi in comune Esempio 2.6.3. Gli insiemi A = {1, 2, 3, 4, 5} B = {6, 7} sono disgiunti poiché A∩B =∅ 2.6.3 Differenza Definizione 2.6.4 (Differenza). Si dice differenza di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi di A che non appartengo a B e si scrive A − B La proprietà caratteristica dell’insieme A − B è la congiunzione tra la proprietà caratteristica di A e la negazione della proprietà caratteristica di B, in simboli: A − B = {x/x ∈ A ∧ x ∈ B} Esempio 2.6.4. Dati A = {1, 2, 3, 4, 5} B = {4, 5, 6, 7} si ha A − B = {1, 2, 3} Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A − B = ∅ 2. Se A ∩ B = ∅ allora A − B = A 3. A − A = ∅ 4. A − ∅ = A 14 2.6. OPERAZIONI TRA INSIEMI 2.6.4 Insieme complementare Definizione 2.6.5 (Insieme complementare). Si dice insieme complementare di un insieme A ⊆ B rispetto a B, l’insieme B − A e si scrive CB (A) La proprietà caratteristica dell’insieme CB (A) è la congiunzione tra la proprietà caratteristica di B e la negazione della proprietà caratteristica di A, in simboli: CB (A) = {x/x ∈ B ∧ x ∈ A} Esempio 2.6.5. Dati B = {1, 2, 3, 4, 5} A = {4, 5} si ha CB (A) = {1, 2, 3} Osservazioni 1. CA (A) = ∅ 2. CA (∅) = A 2.6.5 Proprietà delle operazioni tra insiemi Vediamo ora alcune proprietà delle operazioni tra insiemi. La dimostrazione di queste proprietà si può effettuare utilizzando le proprietà delle operazioni logiche che compaiono nella proprietà caratteristica. Siano A, B, C degli insiemi inclusi nell’insieme U . Valgono le seguenti proprietà: 1. proprietà commutativa: A∪B =B∪A A∩B =B∩A 2. proprietà associativa: A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C 3. proprietà di idempotenza: A∪A=A A∩A=A 4. proprietà distributiva: A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C) A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) 5. proprietà di assorbimento: A ∪ (A ∩ B) = A A ∩ (A ∪ B) = A 6. leggi di De Morgan: CU (A ∪ B) = CU (A) ∩ CU (B) CU (A ∩ B) = CU (A) ∪ CU (B) 15 CAPITOLO 2. INSIEMI 2.7 Partizione di un insieme Definizione 2.7.1 (Partizione). Si dice partizione di un insieme A non vuoto un insieme di sottoinsiemi di A tale che 1. nessun sottoinsieme è vuoto 2. i sottoinsiemi sono disgiunti a due a due 3. l’unione di tutti i sottoinsiemi è uguale all’insieme A Esempio 2.7.1. Dato l’insieme A = {1, 2, 3, 4, 5} • {{1}, {2, 4}.{3, 5}} è una partizione di A • {{1, 2}, {2, 4}.{3, 5}} non è una partizione di A perché gli insiemi {1, 2} e {2, 4} non sono disgiunti. • {{1}, {2, 4}.{3}} non è una partizione di A perché l’unione di tutti i sottoinsiemi è diversa da A. • P(A) non è una partizione perché contiene l’insieme vuoto. 2.8 Prodotto cartesiano Il prodotto cartesiano tra due insiemi si definisce utilizzando il concetto di coppia ordinata. Una coppia ordinata è formata da due elementi a e b disposti in un certo ordine e si indica con (a, b): a è il primo elemento e b il secondo. {a, b} = {b, a} ma (a, b) = (b, a) Definizione 2.8.1 (Prodotto cartesiano). Si dice prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme costituito dalle coppie ordinate con il primo elemento appartenente ad A e il secondo appartenente a B e si scrive A × B In simboli: A × B = {(a, b)/a ∈ A ∧ b ∈ B} Esempio 2.8.1. Dati gli insiemi A = {a, b, c} B = {1, 2} si ha A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)} Osservazioni 1. Se uno dei due insiemi è vuoto, il prodotto cartesiano è l’insieme vuoto: A×∅=∅×A=∅×∅=∅ 16 2.8. PRODOTTO CARTESIANO 2. Nel prodotto cartesiano i due insiemi possono anche coincidere; in questo caso A×A viene anche indicato con A2 . 3. Se A ha m elementi e B ha n elementi, allora A × B ha m · n elementi. Definizione 2.8.2 (Diagonale principale). Dato un insieme A si dice diagonale principale e si indica con ∆ il sottoinsieme di A × A costituito dalle coppie ordinate con i due elementi uguali In simboli: ∆ = {(a, a)/a ∈ A} Esempio 2.8.2. Dato A = {a, b, c} si ha ∆ = {(a, a), (b, b), (c, c)} 2.8.1 Rappresentazione grafica del prodotto cartesiano Il prodotto cartesiano A × B si può rappresentare graficamente in due modi 1. utilizzando i diagrammi sagittali: dopo aver rappresentato gli insiemi A e B con i diagrammi di Eulero-Venn si disegnano delle frecce che congiungono tutti gli elementi di A con tutti gli elementi di B. 2. utilizzando i diagrammi cartesiani: si disegnano una retta orizzontale rA e una retta verticale rB ; gli elementi di A si rappresentano con dei punti su rA , gli elementi di B si rappresentano con punti dei punti su rB . La coppia (a, b) è rappresentata dal punto P intersezione tra la retta verticale passante per a e la retta orizzontale passante per b Esempio 2.8.3. • Rappresentiamo con i diagrammi sagittali A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)} 1 (a, 1) a (b, 1) (a, 2) (b, 2) b 2 (c, 1) c (c, 2) Figura 2.2: diagramma sagittale 17 CAPITOLO 2. INSIEMI • Rappresentiamo con i diagrammi cartesiani A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)} rB 2 (a,2) (b,2) 1 (a,1) (b,1) a b (c,2) (c,1) c rA Figura 2.3: diagramma cartesiano 2.8.2 Prodotto cartesiano di più insiemi La definizione di prodotto cartesiano si può estendere a più di due insiemi. Nel caso di tre insiemi A, B, C, gli elementi di A × B × C sono delle triple ordinate il cui primo elemento appartiene ad A, il secondo a B e il terzo a C. Il prodotto cartesiano di n insiemi uguali ad A si dice potenza n-esima cartesiana di A, si indica con An ed è formato dalle ennuple ordinate di elementi di A. Per determinare tutte le ennuple di un prodotto cartesiano si può utilizzare un diagramma ad albero. L’albero si costriusce dall’alto verso il basso. Dal primo nodo si disegna un ramo per ogni elemento del primo insieme; dai nodi ottenuti si disegna un ramo per ogni elemento del secondo insieme e così via. Per determinare le ennuple è sufficiente seguire i rami. Esempio 2.8.4. Dati A = {a, b, c} B = {T, C} C = {1, 2} Determinare A×B×C Costruiamo il diagramma ad albero: 18 2.8. PRODOTTO CARTESIANO a T C T 1 2 c b 1 2 1 T C 2 1 2 1 C 2 1 Figura 2.4: diagramma a albero Quindi A × B × C = {(a, T, 1), (a, T, 2), (a, C, 1), (a, C, 2), (b, T, 1), (b, T, 2), (b, C, 1), (b, C, 2), (c, T, 1), (c, T, 2), (c, C, 1), (c, C, 2) 19 2 Capitolo 3 Relazioni tra due insiemi 3.1 Introduzione Definizione 3.1.1 (Relazione). Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B una proposizione aperta in due variabili che ad elementi di A associa elementi di B. Esempio 3.1.1. Dati gli insiemi A = {Roma, Parigi, Vienna}, B = {Francia, Italia} “x è capitale di y” è una proposizione aperta in due variabili che associa a elementi di A elementi di B: a Roma associa Italia e a Parigi associa Francia. In questo modo si ottiene una relazione da A in B. Una relazione la indichiamo con R. L’insieme A si chiama insieme di partenza, l’insieme B si chiama insieme di arrivo. Se in una relazione R, x ∈ A è in relazione con y ∈ B, si dice che y è immagine di x, x è controimmagine di y e si scrive xRy. L’insieme degli elementi di A che hanno almeno un’immagine in B si dice dominio e si indica con D. L’insieme degli elementi di B che hanno almeno una controimmagine in A si dice codominio e si indica con C. Osservazione Il codominio di una relazione è l’insieme delle immagini degli elementi del dominio. 3.2 Grafo Definizione 3.2.1 (Grafo). Data una relazione R da A in B si dice grafo e si indica con G il sottoinsieme del prodotto cartesiano A × B formato da tutte e sole le coppie di elementi in relazione tra di loro, in simboli: G = {(x, y) ∈ A × B/xRy} ⊆ A × B Poiché la relazione è la proprietà caratteristica del grafo, grafo e relazione si possono identificare, quindi la relazione si può anche definire nel seguente modo: Definizione 3.2.2 (Relazione). Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B un sottoinsieme del prodotto cartesiano A × B Esempio 3.2.1. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 3, 4}, B = {2, 4, 8, 10} 20 3.3. RAPPRENTAZIONE GRAFICA DI UNA RELAZIONE e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B si ha: 1R2, 2R4, 4R8 G = {(1, 2), (2, 4), (4, 8)} D = {1, 2, 4} C = {2, 4, 8} • Dati gli insiemi A = {Roma, Parigi, Londra}B = {Tevere, Senna, Danubio} e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è bagnato da y” con x ∈ A e y ∈ B si ha RomaRTevere, ParigiRSenna G = {(Roma,Tevere), (Parigi,Senna)} D = {Roma, Parigi} C = {Tevere, Senna} 3.3 Rapprentazione grafica di una relazione Poichè una relazione è un sottoinsieme del prodotto cartesiano possiamo rappresentarla graficamente con i metodi visti per il prodotto cartesiano: 1. utilizzando i diagrammi sagittali 2. utilizzando i diagrammi cartesiani Esempio 3.3.1. Dati gli insiemi A = {2, 3}, B = {1, 2, 3, 4} e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è un divisore di y” con x ∈ A e y ∈ B si ha: 2R2, 2R4, 3R3 G = {(2, 2), (2, 4), (3, 3)} D = {2, 3} = A C = {2, 3, 4} La rappresentazione con i diagrammi sagittali é 1 2 2 3 4 3 Figura 3.1: diagramma sagittale 21 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é rB 4 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.2: diagramma cartesiano 3.4 Relazione inversa Definizione 3.4.1 (Relazione inversa). Data la relazione R da A in B, si dice relazione inversa di R e si indica con R −1 la relazione da B in A definita nel seguente modo: yR −1 x ⇔ xRy ∀x ∈ A, ∀ y ∈ B Il grafo della relazione inversa si ottiene invertendo gli elementi di ogni coppia del grafo della relazione data. Il diagramma sagittale della relazione inversa si ottiene invertendo la direzione di ogni freccia del diagramma sagittale della relazione data. Il diagramma cartesiano della relazione inversa si ottiene invertendo gli assi del diagramma cartesiano della relazione data. Esempio 3.4.1. Dati gli insiemi A = {1, 2, 3, 4, 5}, B = {2, 4, 6, 8, 10} e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B si ha: G = {(1, 2), (2, 4), (3, 6), (4, 8), (5, 10)} La relazione inversa R −1 va da B in A ed è definita nel seguente modo xR −1 y ⇔ “x è il doppio di y” con x ∈ B e y ∈ A il suo grafo è: G−1 = {(2, 1), (4, 2), (6, 3), (8, 4), (10, 5)} La rappresentazione con i diagrammi sagittali é 22 3.4. RELAZIONE INVERSA B A 2 4 1 2 6 8 3 10 4 5 B A 2 4 1 2 6 8 3 10 4 5 La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é rB 10 8 6 4 2 rA 1 2 3 23 4 5 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI rA 5 4 3 2 1 rB 2 3.5 4 6 8 10 Tipi di relazioni 3.5.1 Relazioni ovunque definite Definizione 3.5.1 (Relazione ovunque definita). Una relazione R da A in B si dice ovunque definita se e solo se ogni elemento di A ha almeno un’immagine Osservazioni 1. In una relazione ovunque definita il dominio coincide con l’insieme di partenza 2. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è ovunque definita se da ogni elemento di A parte almeno una freccia 3. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è ovunque definita se su ogni retta verticale passante per un elemento di A, c’è almeno un punto. Esempio 3.5.1. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è ovunque definita poiché ogni elemento di A ha almeno un’immagine • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 2 3 3 4 Figura 3.3: relazione ovunque definita è ovunque definita poiché da ogni elemento di A esce almeno una freccia. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 24 3.5. TIPI DI RELAZIONI rB 4 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.4: relazione ovunque definita è ovunque definita poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A c’è almeno un punto. 3.5.2 Relazioni funzionali Definizione 3.5.2 (Relazione funzionale). Una relazione R da A in B si dice funzionale se e solo se ogni elemento di A ha al più un’immagine Osservazioni 1. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è funzionale se da ogni elemento di A parte al più una freccia. 2. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è funzionale se su ogni retta verticale passante per un elemento di A, c’è al più un punto. Esempio 3.5.2. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è funzionale poiché ogni elemento di A ha al più un’immagine. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 2 3 3 4 Figura 3.5: relazione funzionale è funzionale poiché da ogni elemento di A esce al più una freccia. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 25 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI 4 rB 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.6: relazione funzionale è funzionale poiché su ogni semiretta verticale uscente da un elemento di A c’è al più un punto 3.5.3 Relazioni suriettive Definizione 3.5.3 (Relazione suriettiva). Una relazione R da A in B si dice suriettiva se e solo se ogni elemento di B ha almeno una controimmagine Osservazioni 1. In una relazione suriettiva il codominio coincide con l’insieme di arrivo 2. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è suriettiva se a ogni elemento di B arriva almeno una freccia 3. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è suriettiva se su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è almeno un punto Esempio 3.5.3. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è suriettiva poiché ogni elemento di B ha almeno una controimmagine. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 2 3 4 3 Figura 3.7: relazione suriettiva è suriettiva poiché a ogni elemento di B arriva almeno una freccia. • Dati gli insiemi A, B la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 26 3.5. TIPI DI RELAZIONI rB 4 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.8: relazione suriettiva è suriettiva poiché su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è almeno un punto. 3.5.4 Relazioni iniettive Definizione 3.5.4 (Relazione iniettiva). Una relazione R da A in B si dice iniettiva se e solo se ogni elemento di B ha al più una controimmagine Osservazioni 1. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è iniettiva se a ogni elemento di B arriva al più una freccia 2. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è iniettiva se su ogni retta orizzontale passante per une lemento di B c’è al più un punto Esempio 3.5.4. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è iniettiva poiché ogni elemento di B ha al più una controimmagine • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 3 2 3 4 Figura 3.9: relazione iniettiva è iniettiva poiché a ogni elemento di B arriva al più una freccia • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 27 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI 4 rB 3 2 1 rA 3 2 Figura 3.10: relazione iniettiva è iniettiva poiché su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è al più un punto. 3.6 Funzioni Definizione 3.6.1 (Funzione). Una relazione R da A in B si dice funzione se e solo se è ovunque definita e funzionale. Osservazioni 1. In una funzione il dominio coincide con l’insieme di partenza. 2. Una relazione R da A in B è una funzione se e solo se ogni elemento di A ha una sola immagine. 3. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è una funzione se da ogni elemento di A parte una sola freccia. 4. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è una funzione se su ogni retta verticale passante per un elemento di A, c’è un solo punto. Esempio 3.6.1. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è una funzione poiché ogni elemento di A ha una sola immagine • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 2 3 3 4 Figura 3.11: funzione è una funzione poiché da ogni elemento di A parte una sola freccia • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 28 3.6. FUNZIONI 4 rB 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.12: funzione è una funzione poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A c’è un solo punto. Osservazioni 1. Le funzioni invece che con R normalmente si indicano con f ,g,h. 2. Per indicare che una funzione f va da A in B si scrive f :A→B 3. Nelle funzioni il dominio si indica con D e il codominio si indica con f (D). 4. Se x ∈ A è in relazione con y ∈ B si scrive y = f (x), x si dice variabile indipendente e y variabile dipendente. 5. Se, data la funzione f : A → B, A ed B sono sottoinsiemi dei numeri reali, allora essa è detta funzione reale di variabile reale. In una funzione reale di variabile reale, il dominio può essere dato a priori oppure si considera il dominio massimale; anche l’insieme di arrivo può essere dato a priori oppure si considera R. 6. In una funzione f reale di variabile reale f (x) è l’espressione analitica, y = f (x) è l’equazione cartesiana della funzione. Esempio 3.6.2. Data la funzione f :R→R f (x) = 3x + 2 (espressione analitica) la sua equazione cartesiana è y = 3x + 2 il suo dominio è D=R il suo codominio è f (D) = R 29 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI 3.6.1 Biiezioni Definizione 3.6.2 (Biiezione). Una funzione f : A → B si dice funzione biiettiva o biiezione se e solo se è iniettiva e suriettiva. Osservazioni 1. Una funzione f : A → B è biettiva se ogni elemento di B ha una sola controimmagine. 2. Una biiezione è anche detta corrispondenza biunivoca. 3. Una funzione rappresentata con i diagrammi sagittali è una biiezione se a ogni elemento di B arriva una sola freccia. 4. Una funzione rappresentata con i diagrammi cartesiani è una biiezione se su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B, c’è un solo punto. Esempio 3.6.3. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è una biiezione poiché ogni elemento di A ha una sola immagine e ogni elemento di B ha una sola controimmagine. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 2 2 4 3 Figura 3.13: biiezione è una biiezione poiché da ogni elemento di A parte una sola freccia e a ogni elemento di B arriva una sola freccia. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano rB 10 8 6 4 2 rA 1 2 3 4 Figura 3.14: biiezione 30 5 3.6. FUNZIONI è una biiezione poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A e su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è un solo punto. Insiemi finiti e infiniti Definizione 3.6.3 (Insieme infinito). Un insieme si dice infinito se esiste una biezione tra esso e un suo sottoinsieme proprio. Esempio 3.6.4. Dato l’insieme N dei numeri naturali consideriamo l’insieme P dei numeri pari e la funzione f :N→P definita nel seguente modo f (x) = 2x Poiché f è una biiezione e P è un sottoinsieme proprio di N, l’insieme dei numeri naturali è infinito Definizione 3.6.4 (Insieme finito). Un insieme si dice finito se non esiste una biezione tra esso e qualsiasi suo sottoinsieme proprio. Esempio 3.6.5. L’insieme A = {1, 2, 3} è finito perché non esiste alcuna biiezione tra esso e un qualunque suo sottoinsieme proprio 3.6.2 Funzione inversa Definizione 3.6.5 (Funzione inversa). Data la funzione f : A → B, se esiste la funzione f −1 : B → A definita nel seguente modo: x = f −1 (y) ⇔ y = f (x) , ∀x ∈ A, ∀y ∈ B f è invertibile e f −1 è la funzione inversa. Osservazione Una funzione è invertibile, se e solo se è biiettiva; la funzione inversa è ancora biiettiva. Esempio 3.6.6. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 3, 4, 5}, B = {2, 4, 6, 8, 10} la funzione f :A→B definita nel seguente modo f (x) = 2x è invertibile perche è una biezione. La funzione inversa è f −1 : B → A definita nel seguente modo f −1 (x) = x 2 La rappresentazione con i diagrammi sagittali é 31 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI B A 2 4 1 2 6 8 3 10 4 5 B A 2 4 1 2 6 8 3 10 4 5 La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é rB rA 10 5 8 4 6 3 4 2 2 1 rB rA 1 2 3 4 5 • Dati gli insiemi A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4} la funzione f :A→B definita nel seguente modo f (x) = x2 32 2 4 6 8 10 3.6. FUNZIONI non è invertibile perche non è una biezione. B A 0 -2 1 -1 2 3 0 1 4 2 Figura 3.15: f (x) = x2 Osservazione Una funzione f non invertibile, si può rendere invertibile restringendo opportunamente il dominio e l’insieme di arrivo. Esempio 3.6.7. Dati gli insiemi A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4} la funzione f :A→B definita nel seguente modo f (x) = x2 non è invertibile perche non è una biezione. Se restringiamo B ottenendo B1 = {0, 1, 4} la funzione f : A → B1 definita nel seguente modo f (x) = x2 è suriettiva. A B 0 -2 1 -1 0 1 4 2 Figura 3.16: f (x) = x2 33 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI Se restringiamo A ottenendo A1 = {0, 1, 2} la funzione f : A1 → B1 definita nel seguente modo f (x) = x2 è una biezione e quindi è invertibile. B A 0 0 1 1 2 4 Figura 3.17: f (x) = x2 La funzione inversa è f −1 : B1 → A1 definita nel seguente modo √ f −1 (x) = x 3.6.3 Composizione di funzioni Definizione 3.6.6 (Funzione composta). Siano f : A → B e g : C → D due funzioni tali che il codominio di f sia incluso nel dominio di g. Si dice funzione composta di f e g la funzione g ◦ f : A → D (g composto f ) definita nel seguente modo: (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) , ∀x ∈ A Esempio 3.6.8. • Dati gli insiemi A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4}, C = {0, 1, 2, 3, 4, 5} e le funzioni f :A→B definita nel seguente modo f (x) = x2 g:B→C 34 3.6. FUNZIONI definita nel seguente modo g(x) = x + 1 Determiniamo g◦f -2 0 1 2 g◦f -1 3 4 0 1 5 2 g f 0 1 2 3 4 Figura 3.18: g ◦ f Il codominio di f è incluso nel dominio di g. g◦f :A→C Ä ä (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) = g x2 = x2 + 1 • Date le funzioni f :R→R f (x) = 2x g:R→R g (x) = x + 2 determiniamo g◦f Il codominio di f è incluso nel dominio di g. g◦f :R→R (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) = g (2x) = 2x + 2 La composizione di funzioni non è commutativa. Infatti, date le due funzioni precedenti, poiché il codominio di g è incluso nel dominio di f , si può determinare f ◦ g: f ◦g :R→R (f ◦ g) (x) = f (g (x)) = f (x + 2) = 2 (x + 2) = 2x + 4 Pertanto g ◦ f = f ◦ g. 35 Capitolo 4 Relazioni in un insieme 4.1 Introduzione Se gli insiemi A e B tra cui è definita una relazione coincidono, si ha una relazione che va da A in A; essa si può anche interpretare come relazione tra gli elementi di A e in questo caso si dice relazione in A. Esempio 4.1.1. Dato l’insieme A = {padre, madre, figlio, figlia} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è genitore di y” con x, y ∈ A consideriamo la sua rappresentiamola con i diagrammi sagittali, prima con due insiemi e poi con un insieme. A A padre madre figlio figlia padre madre figlio figlia Figura 4.1: diagramma sagittale con due insiemi A padre figlio madre figlia Figura 4.2: diagramma sagittale con un insieme 4.2 Proprietà delle relazioni in un insieme Una relazione in un insieme può godere delle seguenti proprietà: • riflessiva 36 4.2. PROPRIETÀ DELLE RELAZIONI IN UN INSIEME • antiriflessiva • simmetrica • antisimmetrica • transitiva 4.2.1 Proprietà riflessiva Definizione 4.2.1 (Riflessiva). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà riflessiva se e solo se ∀x ∈ A xRx cioè ogni elemento è in relazione con se stesso. La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà riflessiva se per ogni elemento x di A il grafo contiene la coppia (x, x). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà riflessiva se ogni elemento ha un cappio, cioè un arco che entra e esce dallo stesso punto. La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi cartesiani, gode della proprietà riflessiva se sono presenti tutti i punti della diagonale principale. Esempio 4.2.1. Dato l’insieme A = {2, 3, 4} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x proprietà riflessiva. Il grafo di R è: y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della G = {(2, 2), (2, 3), (2, 4), (3, 3), (3, 4), (4, 4)} Poiché il grafo contiene le coppie (2, 2), (3, 3), (4, 4), R gode della proprietà riflessiva. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: A 3 2 4 Figura 4.3: diagramma sagittale di x y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali ogni elemento ha un cappio, R gode della proprietà riflessiva. La rappresentazione con i diagrammi cartesiani di R è: 37 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME rA 4 3 2 rA 2 3 4 Figura 4.4: diagramma cartesiano di x y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi cartesiani sono presenti tutti i punti della diagonale principale, R gode della proprietà riflessiva. 4.2.2 Proprietà antiriflessiva Definizione 4.2.2 (Antiriflessiva). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antiriflessiva se e solo se ✚x R ∀x ∈ A x✚ cioè ogni elemento non è in relazione con se stesso. La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà antiriflessiva se per ogni elemento x di A il grafo non contiene la coppia (x, x). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà antiriflessiva se nessun elemento ha un cappio. La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi cartesiani, gode della proprietà antiriflessiva se non sono presenti punti sulla diagonale principale. Esempio 4.2.2. Dato l’insieme A = {2, 3, 4} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della proprietà antiriflessiva. Il grafo di R è: G = {(2, 3), (2, 4), (3, 4)} Poiché il grafo non contiene le coppie (2, 2), (3, 3), (4, 4), R gode della proprietà antiriflessiva. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: A 2 3 4 Figura 4.5: diagramma sagittale di x < y 38 4.2. PROPRIETÀ DELLE RELAZIONI IN UN INSIEME Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali non ci sono cappi, R gode della proprietà antiriflessiva. La rappresentazione con i diagrammi cartesiani di R è: rA 4 3 2 rA 2 3 4 Figura 4.6: diagramma cartesiano di x < y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi cartesiani non ci sono i punti sulla diagonale principale, R gode della proprietà antiriflessiva. 4.2.3 Proprietà simmetrica Definizione 4.2.3 (Simmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà simmetrica se e solo se ∀x, y ∈ A xRy ⇒ yRx cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y allora y deve essere in relazione con x La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà simmetrica se per ogni coppia (x, y) esiste anche la coppia (y, x). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà simmetrica se per ogni freccia da x a y esiste la freccia da y a x. La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi cartesiani, gode della proprietà simmetrica se il diagramma cartesiano è simmetrico rispetto alla diagonale principale. Esempio 4.2.3. Dato l’insieme A = {2, 3, 4, 6} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x · y = 12 con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della proprietà simmetrica. Il grafo di R è: G = {(2, 6), (6, 2), (3, 4), (4, 3)} Poiché il grafo contiene le coppie (2, 6), (6, 2) e le coppie (3, 4), (4, 3), R gode della proprietà simmetrica. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: 39 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME 3 2 A 6 4 Figura 4.7: diagramma sagittale di x · y = 12 Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali per ogni freccia da x a y c’è una freccia da y a x, R gode della proprietà simmetrica. La rappresentazione con i diagrammi cartesiani di R è: rA 6 4 3 2 rA 2 3 4 6 Figura 4.8: diagramma cartesiano di x · y = 12 Poiché il diagramma cartesiano è simmetrico rispetto alla diagonale principale, R gode della proprietà simmetrica. 4.2.4 Proprietà antisimmetrica Definizione 4.2.4 (Antisimmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se ✚x ∀x, y ∈ A x = y ∧ xRy ⇒ y✚ R cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y = x allora y non deve essere in relazione con x La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà antisimmetrica se per ogni coppia (x, y) con x = y non esiste la coppia (y, x). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà antisimmetrica se per ogni freccia da x a y = x non esiste la freccia da y a x. La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi cartesiani, gode della proprietà antisimmetrica se ogni punto non appartenente alla diagonale principale non ha il simmetrico rispetto alla diagonale principale. Esempio 4.2.4. Dato l’insieme A = {2, 3, 4} 40 4.2. PROPRIETÀ DELLE RELAZIONI IN UN INSIEME e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della proprietà antisimmetrica. Il grafo di R è: G = {(2, 3), (2, 4), (3, 4)} Poiché il grafo contiene: la coppia (2, 3) ma non la coppia (3, 2), la coppia (2, 4) ma non la coppia (4, 2), la coppia (3, 4) ma non la coppia (4, 3), R gode della proprietà antisimmetrica. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: 2 A 3 4 Figura 4.9: diagramma sagittale di x < y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali per ogni freccia non c’è la freccia di ritorno, R gode della proprietà antisimmetrica. La rappresentazione con i diagrammi cartesiani di R è: rA 4 3 2 rA 2 3 4 Figura 4.10: diagramma cartesiano di x < y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi cartesiani ogni punto non ha il simmetrico rispetto alla diagonale principale R gode della proprietà antisimmetrica. Esiste una definizione equivalente di proprietà antisimmetrica che può essere utile nelle dimostrazioni: Definizione 4.2.5 (Antisimmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se ∀x, y ∈ A xRy ∧ yRx ⇒ x = y cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con x allora gli elementi sono uguali 41 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME 4.2.5 Proprietà transitiva Definizione 4.2.6 (Transitiva). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà transitiva se e solo se ∀x, y, z ∈ A xRy ∧ yRz ⇒ xRz cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con un elemento z allora x è in relazione con z La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà transitiva se, quando esistono le coppie (x, y), (y, z), esiste la coppia (x, z). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà transitiva se quando esistono le frecce da x a y e da y a z, esiste la freccia da x a z. La rappresentazione con i diagrammi cartesiani non evidenzia la proprietà transitiva. Esempio 4.2.5. Dato l’insieme A = {2, 3, 4} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della proprietà transitiva. Il grafo di R è: G = {(2, 3), (2, 4), (3, 4)} Poiché il grafo contiene: le coppie (2, 3), (3, 4) e la coppia (2, 4), R gode della proprietà transitiva. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: A 2 3 4 Figura 4.11: diagramma sagittale di x < y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali ci sono le frecce che vanno da 2 a 3 e da 3 a 4 e la freccia che va da 2 a 4, R gode della proprietà transitiva. 4.3 Relazione d’ordine Definizione 4.3.1 (Relazione d’ordine). Una relazione in un insieme si dice d’ordine se e solo se gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica, transitiva. Esempio 4.3.1. La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x y con x, y ∈ N gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica e transitiva e quindi è una relazione d’ordine. Definizione 4.3.2 (Relazione d’ordine stretto). Una relazione in un insieme si dice d’ordine stretto se e solo se gode delle proprietà antiriflessiva, antisimmetrica, transitiva. 42 4.3. RELAZIONE D’ORDINE Esempio 4.3.2. La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y con x, y ∈ N gode delle proprietà antiriflessiva, antisimmetrica e transitiva e quindi è una relazione d’ordine stretto. Definizione 4.3.3 (Elementi confrontabili). Data una relazione d’ordine R in un insieme A, due elementi x, y ∈ A con x = y si dicono confrontabili se e solo se xRy ∨ yRx Esempio 4.3.3. • Sia R la relazione d’ordine definita nel seguente modo xRy ⇔ “x 5 e 3 sono confrontabili perché 3 y con x, y ∈ N, gli elementi 5 • Dato l’insieme A = {1, 2} e la relazione d’ordine R definita nel seguente modo XRY ⇔ “X ⊆ Y con X, Y ∈ P(A), gli elementi {1} e {1, 2} sono confrontabili perché {1} ⊆ {1, 2} gli elementi {1} e {2} non sono confrontabili perché {1} ⊆ {2} ∧ {2} ⊆ {1} Definizione 4.3.4 (Relazione d’ordine totale). Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice totale se e solo se tutti gli elementi sono confrontabili, in simboli ∀x, y ∈ A, con x = y xRy ∨ yRx Esempio 4.3.4. La relazione d’ordine R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x d’ordine totale y con x, y ∈ N, è una relazione Definizione 4.3.5 (Relazione d’ordine parziale). Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice parziale se e solo se non è totale Esempio 4.3.5. La relazione d’ordine R definita nel seguente modo XRY ⇔ “X ⊆ Y con X, Y ∈ P(A), è una relazione d’ordine parziale Osservazione Le definizioni date valgono anche per le relazioni di ordine stretto. 4.3.1 Massimo e minimo di un insieme Dati un insieme non vuoto A e una relazione d’ordine R in A, si hanno le seguenti definizioni: Definizione 4.3.6 (Massimo). Si dice che M ∈ A è il massimo di A, se e solo se ∀x ∈ A xRM e si indica con max (A). Se il massimo esiste, è unico. Esempio 4.3.6. • Dati A = {3, 4} xRy ⇔ “x y” con x, y ∈ A si ha max (A) = 4 43 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME • Dati A = R− xRy ⇔ “x y” con x, y ∈ A il massimo non esiste Definizione 4.3.7 (Minimo). Si dice che m ∈ A è il minimo di A, se e solo se ∀x ∈ A mRx e si indica con min (A). Se il minimo esiste, è unico. Esempio 4.3.7. • Dati A = {3, 4} xRy ⇔ “x y” con x, y ∈ A si ha min (A) = 3 • Dati A = R+ xRy ⇔ “x y” con x, y ∈ A il minimo non esiste Osservazioni 1. Per determinare il minimo di un insieme A è sufficiente rispondere alla domanda: qual’è l’elemento di A “relazione” di tutti? 2. Per determinare il massimo di un insieme A è sufficiente rispondere alla domanda: tutti gli elementi di A sono “relazione” di? Esempio 4.3.8. Dati A = {2, 4, 8} xRy ⇔ “x è multiplo di y” con x, y ∈ A Qual’è l’elemento di A multiplo di tutti? 8, quindi min (A) = 8 Tutti gli elementi di A sono multipli di? 2, quindi max (A) = 2 44 4.4. RELAZIONE DI EQUIVALENZA 4.4 Relazione di equivalenza Definizione 4.4.1 (Relazione di equivalenza). Una relazione in un insieme si dice relazione di equivalenza se e solo se gode delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva. Esempio 4.4.1. Dato l’insieme A = allievi del Pascal La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x frequenta la stessa classe di y” con x, y ∈ A gode delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva e quindi è una relazione di equivalenza Definizione 4.4.2 (Classe di equivalenza). Dati una relazione di equivalenza R in un insieme A e x ∈ A, si dice classe di equivalenza di rappresentante x l’insieme di tutti gli elementi di A che sono in relazione con x e si indica con [x], in simboli: [x] = {y ∈ A/yRx} Osservazione Ogni classe di equivalenza è un sottoinsieme dell’insieme A. Esempio 4.4.2. Dato l’insieme A = allievi della classe La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x ha lo stesso sesso di y” con x, y ∈ A è una relazione di equivalenza. Si hanno due classi di equivalenza [Davide] = {Davide,Luca, Alberto, Matteo, . . .} [Manuela] = {Manuela, Francesca, Chiara, Giulia, . . .} Come rappresentante della classe possiamo prendere un qualsiasi elemento della classe [Davide] = [Luca] Si può anche dare un nome alla classe: classe maschi e classe femmine: maschi = {Davide,Luca, Alberto, Matteo, . . .} femmine = {Manuela, Francesca, Chiara, Giulia, . . .} Teorema 4.4.1 (Classi di equivalenza). Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, le classi di equivalenza che si ottengono soddisfano le seguenti proprietà 1. nessuna classe di equivalenza è vuota. 2. l’unione delle classi di equivalenza dà A 3. le classi di equivalenza distinte sono disgiunte a due a due. Dimostrazione 1. ∀a ∈ A consideriamo la classe [a]. Poiché vale la proprietà riflessiva si ha aRa ⇒ a ∈ [a] quindi la classe [a] contiene almeno l’elemento a. 45 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME 2. ∀a ∈ A, a ∈ [a] quindi l’unione delle classi di equivalenza dà A 3. Effettuiamo la dimostrazione per assurdo. Siano [a] e [b] due classi di equivalenza distinte, cioè [a] = [b]. Supponiamo per assurdo che non siano disgiunte, cioè: [a] ∩ [b] = ∅ quindi esiste c ∈ A tale che c ∈ [a] ∧ c ∈ [b] cioè cRa ∧ cRb poiché valgono le proprietà simmetrica e transitiva si ha aRc ∧ cRb aRb quindi [a] = [b] questo è assurdo perché, per ipotesi, [a] = [b] Teorema 4.4.2 (Classi di equivalenza e partizione). Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, le classi di equivalenza che si ottengono formano una partizione di A La dimostrazione è ovvia in base alle proprietà appena viste sulle classi di equivalenza. Definizione 4.4.3 (Insieme quoziente). Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, si dice insieme quoziente di A rispetto a R e si indica con A/R l’insieme che ha come elementi le classi di equivalenza, in simboli: A/R = {[a]/a ∈ A} Esempio 4.4.3. Dato l’insieme A = allievi della classe La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x ha lo stesso sesso di y con x, y ∈ A individua le classi di equivalenza: maschi, femmine. L’insieme quoziente è A/R = {maschi, femmine} 46 4.4. RELAZIONE DI EQUIVALENZA 4.4.1 Classi di resto Definizione 4.4.4 (Numeri congrui modulo n). Si dice che due numeri a, b ∈ Z sono congrui modulo n (con n ∈ N0 ) se e solo se divisi per n danno lo stesso resto. Esempio 4.4.4. I numeri 7 e 4 sono congrui modulo 3, infatti divisi per 3 danno entrambi resto 1. La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è congruo modulo n con y” con x, y ∈ Z gode delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva e quindi è una relazione di equivalenza. Le classi di equivalenza, dette classi di resto sono: [0] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto 0, [1] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto 1, ... [n − 1] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto n − 1. L’insieme quoziente è Z/R = Zn = {[0], [1], [2], . . . , [n − 1]} Esempio 4.4.5. Le classi di resto modulo 3 sono [0] = {0, ±3, ±6, ±9, . . .} [1] = {. . . , −8, −5, −2, 1, 4, 7, . . .} [2] = {. . . , −7, −4, −1, 2, 5, 8, . . .} L’insieme quoziente è Z3 = {[0], [1], [2]} 47 Capitolo 5 Numeri naturali 5.1 Introduzione I numeri naturali hanno origine antica, sono nati per contare per esempio le pecore solo in seguito diventarono astratti. Se pensate al numero 4 non dovete per forza associarlo a qualcosa come le stagioni, o come i punti cardinali, il 4 indica qualcosa comune ai due insiemi, il loro numero di elementi. L’insieme dei numeri naturali è infinito e viene indicato con N. N = {0, 1, 2, 3, 4, 5, . . .} Con N0 indichiamo l’insieme dei numeri naturali privati dello 0: N0 = {1, 2, 3, 4, 5, . . .} 5.2 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri naturali sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N viene associato c = a + b ∈ N; a e b si dicono addendi, c si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N viene associato c = a · b ∈ N; a e b si dicono fattori, c si dice prodotto. 5.2.1 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ N a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ N a + (b + c) = (a + b) + c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ N/∀a ∈ N a + 0 = 0 + a = a Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ N a · b = b · a 48 5.2. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ N a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ N/∀a ∈ N a · 1 = 1 · a = a Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ N a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ N (a + b) · c = (a · c) + (b · c) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ N/∀a ∈ N a · 0 = 0 · a = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ N a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 Osservazione La proprietà associativa ci permette di scrivere la somma o il prodotto di più numeri senza parentesi. Esempio 5.2.1. • 3 + (2 + 5) = 3 + 2 + 5 = 10 • 3 · (2 · 5) = 3 · 2 · 5 = 30 5.2.2 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione Esempio 5.2.2. Semplifichiamo l’espressione 5 + 3 · 2 + 4 · (2 + 2 · 7) = 5 + 6 + 4 · (2 + 14) = 11 + 4 · 16 = 11 + 64 = 75 49 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI 5.3 Relazioni nell’insieme dei numeri naturali 5.3.1 Relazioni minore e maggiore Definizione 5.3.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ N si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ N tale che a + d = b, in simboli: a b ⇔ ∃d ∈ N/a + d = b con a, b ∈ N Esempio 5.3.1. • 3 5 perché ∃2 ∈ N/3 + 2 = 5 • 3 3 perché ∃0 ∈ N/3 + 0 = 3 Teorema 5.3.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in N è d’ordine. Dimostrazione 1. proprietà riflessiva: ∀x ∈ N x Poiché x ∃0 ∈ N/∀x ∈ N x + 0 = x si ha ∀x ∈ N x x 2. proprietà antisimmetrica: ∀x, y ∈ N x x y∧y y si ha ∃d ∈ N/x + d = y Poiché y x si ha ∃e ∈ N/y + e = x sostituendo x con y + e in x + d = y si ottiene (y + e) + d = y y + (e + d) = y e+d=0 e=0∧d=0 e quindi x+0=y x=y 50 x ⇒ x = y Poiché 5.3. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI 3. proprietà transitiva: ∀x, y, z ∈ N x Poiché x y∧y z⇒x z y si ha ∃d ∈ N/x + d = y Poiché y z si ha ∃e ∈ N/y + e = z sostituendo y con x + d in y + e = z si ottiene (x + d) + e = z x + (d + e) = z ponendo d + e = f si ha x+f =z cioè x z Osservazione Il minimo rispetto alla relazione minore o uguale in N è 0, il massimo non esiste Definizione 5.3.2 (Relazione minore ). Dati a, b ∈ N si dice che a è minore di b se e solo se a è minore o uguale di b e a è diverso da b, in simboli: a<b⇔a b ∧ a = b con a, b ∈ N Esempio 5.3.2. 3<5 perché 3 5∧3=5 Definizione 5.3.3 (Relazione maggiore o uguale). Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore o uguale di b se e solo se b è minore o uguale di a, in simboli: a b⇔b a con a, b ∈ N Esempio 5.3.3. 5 3 perché 3 5 51 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI Definizione 5.3.4 (Relazione maggiore). Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore di b se e solo se b è minore di a, in simboli: a > b ⇔ b < a con a, b ∈ N Esempio 5.3.4. 5>3 perché 3<5 La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri naturali su una retta orientata. 0 1 2 3 4 5 6 7 8 Figura 5.1: numeri naturali Ogni numero naturale ammette successivo: il successivo di n è n + 1 Esempio 5.3.5. Il successivo di 5 è 6 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ N a b⇒a+c • ∀a, b ∈ N, c ∈ N0 a b+c b⇒a·c b·c La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore, uguale. 5.3.2 Relazioni divisore e multiplo Definizione 5.3.5 (Relazione divisore). Dati a, b ∈ N si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ N tale che aq = b, in simboli: a|b ⇔ ∃q ∈ N/aq = b con a, b ∈ N Esempio 5.3.6. • 3|6 perché ∃2 ∈ N/3 · 2 = 6 • 3|3 perché ∃1 ∈ N/3 · 1 = 3 52 5.3. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI • 3|0 perché ∃0 ∈ N/3 · 0 = 0 • 0|0 perché ∃3 ∈ N/0 · 3 = 0 Teorema 5.3.2 (Relazione divisore). La relazione divisore in N è d’ordine. Dimostrazione 1. proprietà riflessiva: ∀x ∈ N x|x Poiché ∃1 ∈ N/∀x ∈ N x · 1 = x si ha ∀x ∈ N x|x 2. proprietà antisimmetrica:∀x, y ∈ N x|y ∧ y|x ⇒ x = y Poiché x|y si ha ∃q ∈ N/x · p = y Poiché y|x si ha ∃p ∈ N/y · q = x sostituendo x con y · q in x · p = y si ottiene (y · q) · p = y y · (q · p) = y q·p=1 q =1∧p=1 e quindi x·1=y x=y 53 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI 3. proprietà transitiva: ∀x, y, z ∈ N x|y ∧ y|z ⇒ x|z Poiché x|y si ha ∃p ∈ N/x · p = y Poiché y|z si ha ∃q ∈ N/y · q = z sostituendo y con x · p in y · q = z si ottiene (x · p) · q = z x · (p · q) = z ponendo p · q = r si ha x·r =z cioè x|z Osservazioni 1. La relazione divisore in N è di ordine parziale perché per esempio 2 non è in relazione con 3. 2. Il minimo rispetto alla relazione divisore in N è 1, il massimo è 0 Definizione 5.3.6 (Relazione multiplo). Dati a, b ∈ N si dice che a è multiplo di b se e solo se b è divisore di a, in simboli: a è multiplo di b ⇔ b|a con a, b ∈ N Esempio 5.3.7. • 6 è multiplo di 3 perché 3|6 • 0 è multiplo di 3 perché 3|0 • 0 è multiplo di 0 perché 0|0 54 5.4. SOTTRAZIONE Definizione 5.3.7 (Numero pari). Un numero naturale si dice pari se è un multiplo di 2 L’insieme dei numeri pari naturali si indica con P Definizione 5.3.8 (Numero dispari). Un numero naturale si dice dispari se non è un multiplo di 2 L’insieme dei numeri dispari naturali si indica con D Esempio 5.3.8. • 6 è un numero pari perché è un multiplo di 2 • 0 è un numero pari perché è un multiplo di 2 • 5 è un numero dispari perché è non un multiplo di 2 Osservazione Un generico numero pari si indica con 2n e un generico numero dispari si indica con 2n + 1 dove n ∈ N 5.4 Sottrazione La sottrazione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in N. La sottrazione si indica con − ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N con a b viene associato d = a − b che è il numero naturale che addizionato a b dà a. In simboli a − b = d ⇔ a = b + d con a, b, d ∈ N ∧ a b a si dice minuendo, b si dice sottraendo, d si dice differenza. Esempio 5.4.1. • 3−2=1 perché 1+2=3 • 3−4 non si può effettuare perché 3 < 4 Osservazione La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa 5.4.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 5.4.2. Semplifichiamo l’espressione (5 · 4 − 2 · 7 + 1) · 2 + 3 − 6 · 2 = (20 − 14 + 1) · 2 + 3 − 12 = 7 · 2 + 3 − 12 = 14 + 3 − 12 = 17 − 12 = 5 55 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI 5.5 Divisione La divisione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in N La divisione si indica con : ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N0 con a multiplo di b viene associato q = a : b che è il numero naturale che moltiplicato per b dà a In simboli a : b = q ⇔ a = b · q con a, q ∈ N, b ∈ N0 ∧ a multiplo di b a si dice dividendo, b si dice divisore, q si dice quoziente Esempio 5.5.1. • 6:2=3 perché 3·2=6 • 3:2 non si può effettuare perché 3 non è multiplo di 2 Osservazioni 1. La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 2. La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione: ∀a, b ∈ N, c ∈ N0 con a, b multipli di c (a + b) : c = (a : c) + (b : c) ∀a, b ∈ N, c ∈ N0 con a, b multipli di c ∧ a b (a − b) : c = (a : c) − (b : c) 3. Non si può dividere a = 0 per 0, perchè nessun numero naturale moltiplicato per 0 dà a quindi un numero naturale non nullo diviso 0 è impossibile. 4. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero naturale moltiplicato per 0 dà 0 5. Se a = 0 allora 0 : a = 0 5.5.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione, divisione 2. addizione, sottrazione Esempio 5.5.2. Semplifichiamo l’espressione [5 · (10 − 2) + 12 : (10 + 2)] · 2 − 3 · (8 − 2 · 3) = [5 · 8 + 12 : 12] · 2 − 3 · (8 − 6) = [40 + 1] · 2 − 3 · 2 = 41 · 2 − 6 = 82 − 6 = 76 56 5.6. POTENZA 5.6 Potenza Definizione 5.6.1 (Potenza). Si dice potenza avente per base un numero naturale a ed esponente un numero naturale n > 1 il prodotto di n fattori uguali ad a. In simboli: an = a · . . . · a, con an , n ∈ N ∧ n > 1 n La condizione n > 1 è dovuta al fatto che per effettuare un prodotto occorrono due fattori, perciò, secondo la definizione data, non si può parlare di potenza con esponente 0 o 1. Si pone per convenzione: a1 = a e, per a = 0, a0 = 1 00 non ha significato Esempio 5.6.1. • 23 = 2 · 2 · 2 = 8 • 21 = 2 • 20 = 1 5.6.1 Proprietà delle potenze Per le potenze valgono le seguenti proprietà: 1. ap · aq = ap+q 2. ap : aq = ap−q con p q 3. (ap )q = ap·q 4. ap · bp = (a · b)p 5. ap : bp = (a : b)p con a multiplo di b con a, b ∈ N0 , p, q ∈ N Esempio 5.6.2. • 23 · 25 = 28 • 35 : 32 = 33 • 23 4 = 212 • 23 · 43 = 83 • 63 : 23 = 33 57 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI 5.6.2 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 5.6.3. Semplifichiamo l’espressione î 23 + 22 · 12 − 32 · (15 − 13 + 2) : 62 ó2 : 11 + 26 : 23 − 24 : 6 − 32 = 23 + 22 · [12 − 9 · 4 : 36]2 : 11 + 23 − 24 : 6 − 32 = ¶ ¶ © © 23 + 22 · 112 : 11 + 8 − 16 : 6 − 32 = 23 + 22 · {11 + 8 − 16} : 6 − 32 = 8+4·3:6−9= 8+2−9=1 5.7 Criteri di divisibilità I criteri di divisibilità ci permottono di stabilire se un numero è divisibile per un altro senza effettuare la divisione. 1. Un numero naturale è divisibile per 2 se l’ultima cifra è pari 2. Un numero naturale è divisibile per 3 se la somma delle cifre è un multiplo di 3 3. Un numero naturale è divisibile per 5 se l’ultima cifra è 0 o 5 4. Un numero naturale è divisibile per 11 se la differenza tra la somma delle cifre di posto pari e la somma delle cifre di posto dispari è un multiplo di 11 Esempio 5.7.1. • 328 è divisibile per 2 perché l’ultima cifra è 2 che è pari • 324 è divisibile per 3 perché la somma delle cifre è 9 che è un multiplo di 3 • 325 è divisibile per 5 perché l’ultima cifra è 5 • 1221 è divisibile per 11 perché la differenza tra la somma delle cifre di posto pari e la somma delle cifre di posto dispari è 0 che è un multiplo di 11 5.8 Numeri primi Definizione 5.8.1 (Numero primo). Si dice numero primo un numero naturale maggiore di 1 che ha come divisori solo 1 e se stesso Esempio 5.8.1. I numeri 2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19 sono primi 58 5.9. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO Teorema 5.8.1 (Numeri primi infiniti). L’insieme dei numeri primi è infinito Teorema 5.8.2 (Teorema fondamentale dell’aritmetica). Ogni numero naturale maggiore di 1 si può scrivere come prodotto di fattori primi e tale scomposizione è unica, a meno dell’ordine dei fattori Esempio 5.8.2. Scomponiamo in fattori il numero 328 328 164 82 41 1 2 2 2 41 328 = 23 · 41 5.9 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo Definizione 5.9.1 (Massimo comune divisore). Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ N0 il maggiore dei divisori comuni ad a e a b e si indica con MCD(a, b) Osservazione MCD(a, b) = MCD(b, a) Esempio 5.9.1. Consideriamo i numeri 12 e 18. I divisori di 12 sono 1, 2, 3, 4, 6, 12 I divisori di 18 sono 1, 2, 3, 6, 9, 18 I divisori comuni di 12 e 18 sono 1, 2, 3, 6 il maggiore dei divisori comuni è 6 Quindi MCD(12, 18) = 6 Per calcolare il MCD(a, b), con a = 1 ∧ b = 1: 1. si scompongono a e b in fattori primi 2. il massimo comune divisore è il prodotto dei fattori comuni presi una volta sola con il minimo esponente, 1 se non ci sono fattori comuni Inoltre MCD(a, 1) = 1 59 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI Esempio 5.9.2. Consideriamo i numeri 12 e 18. Scomponiamo 12: 12 = 22 · 3 Scomponiamo 18: 18 = 2 · 32 Quindi MCD(12, 18) = 2 · 3 = 6 Osservazione Il massimo comune divisore si può estendere a più di due numeri naturali Esempio 5.9.3. Calcoliamo il massimo comune divisore di 16, 24, 36. Scomponiamo 16: 16 = 24 Scomponiamo 24: 24 = 23 · 3 Scomponiamo 36: 36 = 22 · 32 Quindi MCD(16, 24, 36) = 22 = 4 Definizione 5.9.2 (Numeri primi tra loro). Due numeri a, b ∈ N0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1 Esempio 5.9.4. Consideriamo i numeri 15 e 16. Scomponiamo 15: 15 = 3 · 5 Scomponiamo 16: 16 = 24 MCD(15, 16) = 1 quindi 15 e 16 sono primi tra loro Osservazione Due numeri primi tra loro non necessariamente sono primi. Definizione 5.9.3 (Minimo comune multiplo). Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ N0 il minore dei multipli non nulli comuni ad a e a b e si indica con mcm(a, b) Osservazione mcm(a, b) = mcm(b, a) 60 5.9. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO Esempio 5.9.5. Consideriamo i numeri 12 e 18. I multipli di 12 escluso lo 0 sono 12, 24, 36, 48, 60, 72, . . . I multipli di 18 escluso lo 0 sono 18, 36, 54, 72, . . . I multipli comuni non nulli di 12 e 18 sono 36, 72, . . . il minore dei multipli comuni è 36 Quindi mcm(12, 18) = 36 Per calcolare il mcm(a, b), con a = 1 ∧ b = 1: 1. si scompongono a e b in fattori primi 2. il minimo comune multiplo è il prodotto dei fattori comuni e non comuni presi una volta sola con il massimo esponente Inoltre mcm(a, 1) = a Esempio 5.9.6. Consideriamo i numeri 12 e 18. Scomponiamo 12: 12 = 22 · 3 Scomponiamo 18: 18 = 2 · 32 Quindi mcm(12, 18) = 22 · 32 = 36 Osservazione Il minimo comune multiplo si può estendere a più di due numeri naturali Esempio 5.9.7. Calcoliamo il minimo comune multiplo di 16, 24, 36. Scomponiamo 16: 16 = 24 Scomponiamo 24: 24 = 23 · 3 Scomponiamo 36: 36 = 22 · 32 Quindi mcm(16, 24, 36) = 24 · 32 = 144 61 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI Teorema 5.9.1 (Massimo comune divisore e minimo comune multiplo). Il prodotto tra il massimo comune divisore e il minimo comune multiplo di due numeri è uguale al prodotto dei due numeri. In simboli: MCD(a, b) · mcm(a, b) = a · b Esempio 5.9.8. Consideriamo i numeri 12 e 18 MCD(12, 18) = 6 mcm(12, 18) = 36 12 · 18 = 216 6 · 36 = 216 5.9.1 Algortimo di Euclide L’algoritmo di Euclide è un metodo alternativo a quello visto per il calcolo del massimo comune divisore di due numeri. Teorema 5.9.2. Dati due numeri naturali non nulli a, b con a > b, se il numero naturale non nullo c è divisore di a e di b, allora c è divisore di a − b Dimostrazione Poiché c è divisore di a ∃h ∈ N0 /a = hc Poiché c è divisore di b ∃k ∈ N0 /b = kc Sottraendo membro a membro si ottiene a − b = hc − kc Applicando la proprietà distributiva si ha a − b = c(h − k) quindi c è divisore di a − b Teorema 5.9.3. Dati due numeri naturali non nulli a, b con a > b, si ha MCD(a, b) = MCD(a − b, b) Dimostrazione Se d è il massimo comune di a e b è, per il teorema precedente, divisore di a − b e b. Poiché a − b < a, d è il massimo comune divisore di a − b e b L’algoritmo di Euclide si basa sul teorema precedente. Dati a, b ∈ N0 con a > b, per calcolare MCD(a, b) con l’algoritmo di Euclide: 1. si calcola la differenza tra il maggiore e il minore 2. se la differenza è uguale al minore allora essa è il MCD(a, b), altrimenti si ripete il procedimento tra la differenza e il minore 62 5.9. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO Esempio 5.9.9. Consideriamo i numeri 12 e 18 Calcoliamo 18 − 12 = 6 Consideriamo i numeri 12 e 6, calcoliamo 12 − 6 = 6 Poiché la differenza è uguale al numero minore si ha MCD(12, 18) = 6 63 Capitolo 6 Numeri interi 6.1 Introduzione Abbiamo visto che i numeri naturali sono nati per contare gli elementi di un insieme. I numeri naturali non sono sufficienti per risolvere alcuni problemi pratici come, per esempio, esprimere una temperatura. Si è quindi ampliato l’insieme dei numeri naturali introducendo l’insieme dei numeri interi. I numeri interi si esprimono scrivendo i numeri naturali preceduti dal segno − (numeri interi negativi) o dal segno + (numeri interi positivi). Lo 0 non è preceduto da alcun segno. L’insieme dei numeri interi è infinito e viene indicato con Z. Z = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3, +4, +5, . . .} Con Z− indichiamo l’insieme dei numeri interi negativi Z− = {. . . , −3, −2, −1} Con Z+ indichiamo l’insieme dei numeri interi positivi Z+ = {+1, +2, +3, . . .} Con Z0 indichiamo l’insieme dei numeri interi privati dello 0: Z0 = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, +1, +2, +3, +4, +5, . . .} 6.2 Numeri interi come classi di equivalenza Precedentemente abbiamo introdotto i numeri interi in modo intuitivo, vediamo ora una definizione più formale. Definizione 6.2.1 (Numeri interi). Si dice numero intero ciascuna delle classi di equivalenza che si ottengono dalla relazione di equivalenza R in N × N definita nel seguente modo: (a, b)R(c, d) ⇔ a + d = b + c con (a, b), (c, d) ∈ N × N Dimostriamo che R è una relazione di equivalenza. 1. proprietà riflessiva ∀(a, b) ∈ N × N (a, b)R(a, b) infatti a+b=b+a 64 6.2. NUMERI INTERI COME CLASSI DI EQUIVALENZA 2. proprietà simmetrica ∀(a, b), (c, d) ∈ N × N (a, b)R(c, d) ⇒ (c, d)R(a, b) infatti se (a, b)R(c, d) allora a+d=b+c da cui c+b=d+a e quindi (c, d)R(a, b) 3. proprietà transitiva ∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ N × N (a, b)R(c, d) ∧ (c, d)R(e, f ) ⇒ (a, b)R(e, f ) infatti se (a, b)R(c, d) ∧ (c, d)R(e, f ) allora a+d=b+c∧c+f =d+e sommando membro a membro si ottiene a+d+c+f =b+c+d+e a + f + (c + d) = b + e + (c + d) cioè a+f =b+e e quindi (a, b)R(e, f ) Esempio 6.2.1. • [(2, 0)] = {(2, 0), (3, 1), (4, 2), (5, 3), . . .} • [(3, 0)] = {(3, 0), (4, 1), (5, 2), (6, 3), . . .} • [(0, 0)] = {(0, 0), (1, 1), (2, 2), (3, 3), . . .} • [(0, 2)] = {(0, 2), (1, 3), (2, 4), (3, 5), . . .} L’insieme dei numeri interi Z è l’insieme quoziente: Z = (N × N)/R Z = {. . . , [(0, 2)], [(0, 1)], [(0, 0)], [(1, 0)], [(2, 0)], . . .} Per semplificare la notazione la classe di equivalenza [(2, 0)] viene indicata con +2, la classe di equivalenza [(0, 2)] viene indicata con −2, e la classe di equivalenza [(0, 0)] viene indicata con 0; con la notazione introdotta si ha Z = {. . . , −2, −1, 0, +1, +2, . . .} 65 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 6.3 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri interi sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Z × Z viene associato c = a + b ∈ Z; a e b si dicono addendi, c si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Z × Z viene associato c = a · b ∈ Z; a e b si dicono fattori, c si dice prodotto. 6.3.1 Addizione con le classi di equivalenza L’addizione è definita nel seguente modo: ∀[(a, b)], [(c, d)] ∈ Z [(a, b)] + [(c, d)] = [(a + c, b + d)] Esempio 6.3.1. • [(2, 0)] + [(3, 0)] = [(5, 0)] cioè (+2) + (+3) = +5 • [(2, 0)] + [(0, 3)] = [(2, 3)] = [(0, 1)] cioè (+2) + (−3) = −1 • [(4, 0)] + [(0, 3)] = [(4, 3)] = [(1, 0)] cioè (+4) + (−3) = +1 • [(0, 5)] + [(0, 3)] = [(0, 8)] cioè (−5) + (−3) = −8 6.3.2 Moltiplicazione con le classi di equivalenza La moltiplicazione è definita nel seguente modo: ∀[(a, b)], [(c, d)] ∈ Z [(a, b)] · [(c, d)] = [(ac + bd, ad + bc)] Esempio 6.3.2. • [(2, 0)] · [(3, 0)] = [(6, 0)] cioè (+2) · (+3) = +6 • [(2, 0)] · [(0, 3)] = [(0, 6)] cioè (+2) · (−3) = −6 66 6.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE • [(0, 3)] · [(4, 0)] = [(0, 12)] cioè (−3) · (+4) = −12 • [(0, 5)] · [(0, 3)] = [(15, 0)] cioè (−5) · (−3) = 15 6.3.3 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Z a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Z a + (b + c) = (a + b) + c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a + 0 = 0 + a = a 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀a ∈ Z ∃ − a ∈ Z/a + (−a) = −a + a = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Z a · b = b · a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Z a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃ + 1 ∈ Z/∀a ∈ Z a · (+1) = +1 · a = a Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ Z a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ Z (a + b) · c = (a · c) + (b · c) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a · 0 = 0 · a = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ Z a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 67 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 6.3.4 Numeri interi concordi e discordi Definizione 6.3.1 (Concordi). Due numeri interi non nulli si dicono concordi se hanno lo stesso segno Esempio 6.3.3. • I numeri interi +3 e +7 sono concordi. • I numeri interi −5 e −27 sono concordi. Definizione 6.3.2 (Discordi). Due numeri interi non nulli si dicono discordi se hanno segno diverso Esempio 6.3.4. • I numeri interi +2 e −7 sono discordi. • I numeri interi −5 e +3 sono discordi. 6.3.5 Valore assoluto Definizione 6.3.3 (Valore assoluto). Si dice valore assoluto la funzione | | : Z → N definita nel seguente modo: |0| = 0 | + n| = n | − n| = n con n ∈ N0 Esempio 6.3.5. • | + 3| = 3 • | − 2| = 2 Osservazione L’opposto di un numero intero a = 0 è il numero che ha lo stesso valore assoluto di a e segno diverso da quello di a; l’opposto di 0 è 0 Esempio 6.3.6. • L’opposto di +3 è −3. • L’opposto di −5 è +5. 6.3.6 Regola per l’addizione Dalla definizione di addizione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola: 1. la somma di due numeri interi concordi è il numero intero concorde con essi che ha come valore assoluto la somma dei valori assoluti; 2. la somma di due numeri interi discordi, non opposti, è il numero intero concorde con l’addendo di valore assoluto maggiore e avente come valore assoluto la differenza tra il valore assoluto maggiore e il valore assoluto minore; 3. la somma di due numeri interi opposti è uguale a zero 4. la somma un numero intero con 0 è il numero intero Esempio 6.3.7. 68 6.4. SOTTRAZIONE • (+3) + (+2) = +5 • (−3) + (−2) = −5 • (+3) + (−2) = +1 • (−3) + (+2) = −1 • (−3) + (+3) = 0 • 0 + (−3) = −3 6.3.7 Regola per la moltiplicazione Dalla definizione di moltiplicazione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola: 1. il prodotto di due numeri interi concordi è il numero positivo che ha per valore assoluto il prodotto dei valori assoluti; 2. il prodotto di due numeri interi discordi è il numero negativo che ha per valore assoluto il prodotto dei valori assoluti; 3. il prodotto di un numero intero per zero è uguale a zero. Esempio 6.3.8. • (+3) · (+2) = +6 • (−3) · (−2) = +6 • (+3) · (−2) = −6 • (−3) · 0 = 0 6.3.8 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione Esempio 6.3.9. Semplifichiamo l’espressione ((+2) + (−5) + (−3)) · (−2) + ((−3) + (+4) + (+1)) · (+2) = (−6) · (−2) + (+2) · (+2) (+12) + (+4) = +16 6.4 Sottrazione Definizione 6.4.1 (Differenza). La differenza fra due numeri interi a e b è la somma di a con l’opposto di b. In simboli a − b = a + (−b) Esempio 6.4.1. (+3) − (−5) = (+3) + (+5) = +8 Osservazione La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 69 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 6.4.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 6.4.2. Semplifichiamo l’espressione ((−2) · ((−3) − (+4) − (−6)) − (−1) · ((+3) + (−6) − (+3)) + (+1) = (−2) · (−1) − (−1) · (−6) + (+1) = (+2) − (+6) + (+1) = −3 6.5 Relazioni nell’insieme dei numeri interi 6.5.1 Relazioni minore e maggiore Definizione 6.5.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ Z si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Z+ ∪ {0} tale che a + d = b, in simboli: a b ⇔ ∃d ∈ Z+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Z Esempio 6.5.1. • +3 +5 perché ∃ + 2 ∈ Z+ ∪ {0}/(+3) + (+2) = +5 • +3 +3 perché ∃0 ∈ Z+ ∪ {0}/(+3) + 0 = +3 • −3 +2 perché ∃ + 5 ∈ Z+ ∪ {0}/(−3) + (+5) = +2 • −5 −2 perché ∃ + 3 ∈ Z+ ∪ {0}/(−5) + (+3) = −2 Riassumendo: 1. se due numeri sono entrambi positivi, il minore o uguale è quello che ha valore assoluto minore o uguale; 2. se due numeri sono entrambi negativi, il minore o uguale è quello che ha valore assoluto maggiore o uguale; 70 6.5. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI INTERI 3. se due numeri sono discordi, il minore o uguale è quello negativo; 4. 0 è minore o uguale di tutti i numeri positivi o nulli 5. tutti i numeri negativi o nulli sono minori o uguali di 0 6. 0 0 Teorema 6.5.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in Z è d’ordine. Dimostrazione Analoga a quella in N La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri interi su una retta orientata. −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 Figura 6.1: numeri interi In Z si possono definire le relazioni minore, maggiore uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. Ogni numero intero ammette successivo: il successivo di a è a + 1 Esempio 6.5.2. Il successivo di (+5) è (+6), il successivo di (−3) è (−2) Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ Z a b⇒a+c • ∀a, b ∈ Z, c ∈ Z+ a b+c b⇒a·c b·c La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore. 6.5.2 Relazioni divisore e multiplo Definizione 6.5.2 (Relazione divisore). Dati a, b ∈ Z si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ Z tale che aq = b, in simboli: a|b ⇔ ∃q ∈ Z/aq = b con a, b ∈ Z Esempio 6.5.3. • (+3)|(+6) perché ∃(+2) ∈ Z/(+3) · (+2) = +6 • (−3)|(+6) perché ∃(−2) ∈ Z/(−3) · (−2) = +6 71 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI • (+3)|(−6) perché ∃(−2) ∈ Z/(+3) · (−2) = −6 • (+3)|(+3) perché ∃(+1) ∈ Z/(+3) · (+1) = +3 • (+3)|0 perché ∃0 ∈ Z/(+3) · 0 = 0 • 0|0 perché ∃(+3) ∈ Z/0 · (+3) = 0 Teorema 6.5.2 (Relazione divisore). La relazione divisore in Z gode delle proprietà riflessiva e transitiva. Dimostrazione Analoga a quella in N Osservazioni 1. La relazione divisore in Z non è una relazione d’ordine perché non gode delle proprietà antisimmetrica. Infatti +3 è divisore di −3 e −3 è divisore di +3 con (−3) = (+3). 2. In Z si può definire la relazione multiplo in modo analogo alla definizione vista in N 3. In Z si definiscono i numeri pari e dispari in modo analogo a quanto visto in N 6.6 Divisione La divisione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in Z La divisione si indica con : ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Z × Z0 con a multiplo di b viene associato q = a : b che è il numero intero che moltiplicato per b dà a. In simboli a : b = q ⇔ a = b · q con a, q ∈ Z, b ∈ Z0 ∧ a multiplo di b a si dice dividendo, b si dice divisore, q si dice quoziente. In pratica 1. il quoziente di due numeri interi concordi è un numero positivo che ha per valore assoluto il quoziente dei valori assoluti; 2. il quoziente di due numeri interi discordi è un numero negativo che ha per valore assoluto il quoziente dei valori assoluti; 3. il quoziente tra 0 e un numero intero diverso da 0 è uguale a zero. Esempio 6.6.1. 72 6.6. DIVISIONE • (+6) : (+2) = +3 perché (+3) · (+2) = +6 • (−6) : (+2) = −3 perché (−3) · (+2) = −6 • (−6) : (−2) = +3 perché (+3) · (−2) = −6 • (+3) : (+2) non si può effettuare perché +3 non è multiplo di +2 Osservazioni 1. La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 2. La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione: ∀a, b ∈ Z, ∀c ∈ Z0 con a, b multipli di c (a + b) : c = (a : c) + (b : c) ∀a, b ∈ Z, ∀c ∈ Z0 con a, b multipli di c (a − b) : c = (a : c) − (b : c) 3. Non si può dividere a = 0 per 0, perchè nessun numero intero moltiplicato per 0 dà a quindi un numero intero non nullo diviso 0 è impossibile. 4. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero intero moltiplicato per 0 dà 0 5. Se a = 0 allora 0 : a = 0 6.6.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione, divisione 2. addizione, sottrazione Esempio 6.6.2. Semplifichiamo l’espressione (+6) : ((−3) + (+2) − (+1)) − ((+7) + (−2) − (−5)) : (−2) · (+3) + (+1) = (+6) : (−2) − (+10) : (−2) · (+3) + (+1) = (−3) − (−5) · (+3) + (+1) = (−3) − (−15) + (+1) = +13 73 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 6.7 Potenza Definizione 6.7.1 (Potenza). Si dice potenza avente per base un numero intero a ed esponente un numero naturale n > 1 il prodotto di n fattori uguali ad a: an = a · . . . · a, n > 1 n Si pone per convenzione: a1 = a e, per a = 0, a0 = +1 00 non ha significato Osservazione La potenza di un numero positivo è positiva, la potenza con esponente pari di un numero negativo è positiva, la potenza con esponente dispari di un numero negativo è negativa. Esempio 6.7.1. • (+2)3 = +8 • (+2)1 = +2 • (+2)0 = +1 • (−2)4 = +16 • (−2)3 = −8 6.7.1 Proprietà delle potenze 1. ap · aq = ap+q 2. ap : aq = ap−q 3. (ap )q = ap·q 4. ap · bp = (a · b)p 5. ap : bp = (a : b)p con a multiplo di b con a, b ∈ Z0 , p, q ∈ N Esempio 6.7.2. • (−2)3 · (−2)5 = (−2)8 • (+3)5 : (+3)2 = (+3)3 • (−2)3 4 = (−2)12 • (+2)3 · (−4)3 = (−8)3 • (+6)3 : (−2)3 = (−3)3 74 6.8. L’INSIEME DEI NUMERI INTERI COME AMPLIAMENTO DELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI 6.7.2 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 6.7.3. Semplifichiamo l’espressione î ó î (+4)3 · (−5)3 : (−10)3 + (−2)4 · (−2)3 î (−20)3 : (−10)3 + (−2)7 ó2 ó2 : (−2)10 = : (−2)10 = (+2)3 + (−2)1 4 : (−2)10 = (+8) + (−2)4 = (+8) + (16) = +24 6.8 L’insieme dei numeri interi come ampliamento dell’insieme dei numeri naturali Poiché N = Z+ ∪ {0}, N non è un sottoinsieme di Z. Sia f : N → Z+ ∪ {0} la biiezione che a ogni a ∈ N0 associa +a ∈ Z+ e a 0 associa 0; essa gode delle seguenti proprietà: 1. alla somma a+b di numeri naturali associa la somma (+a)+(+b) dei numeri interi corrispondenti; 2. al prodotto a·b di numeri naturali associa il prodotto (+a)·(+b) dei numeri interi corrispondenti; Quando esiste una biiezione tra due insiemi con le proprietà sopra indicate, si dice che i due insiemi sono isomorfi. Quindi N e Z+ ∪{0} sono isomorfi e poiché Z+ ∪{0} ⊆ Z si dice che Z è un ampliamento di N. Poiché N e Z+ ∪ {0} sono isomorfi possiamo identificare i numeri interi positivi con i numeri naturali e quindi scriverli senza il segno +. L’espressione (+5) + (+6) la scriveremo 5+6 Inoltre l’espressione (+5) + (−6) la scriveremo 5−6 Osservazioni 1. Nell’ampliamento viene conservato l’ordinamento, in simboli: ∀a, b ∈ N a b ⇒ +a +b 2. Il segno − davanti a una parentesi cambia il segno di tutti gli addendi dentro la parentesi. 75 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI Esempio 6.8.1. • Semplifichiamo l’espressione (−2)2 · (5 − 3)5 = (−2)2 · 25 = 22 · 25 = 27 • Semplifichiamo l’espressione (−2)3 · (5 − 3)5 = (−2)3 · 25 = −23 · 25 = −28 • Semplifichiamo l’espressione ¶î −8 + (5 − 7 + 4)5 : (−8 + 6)3 · (−15 + 17) + (−5)2 ¶î −8 + (2)5 : (−2)3 · 2 + 25 ¶î −8 − (−2)5 : (−2)3 · 2 + 25 ¶î −8 − (−2)2 · 2 + 25 ó ó ó ó ©3 ©3 ©3 · (−4) + 3 = · (−4) + 3 = ©3 · (−4) + 3 = · (−4) + 3 = {[−8 − 4] · 2 + 25}3 · (−4) + 3 = {−12 · 2 + 25}3 · (−4) + 3 = {−24 + 25}3 · (−4) + 3 = {1}3 · (−4) + 3 = −4 + 3 = −1 6.9 Valore assoluto Il valore assoluto di un numero intero si può anche definire nel seguente modo: Definizione 6.9.1 (Valore assoluto). Il valore assoluto di un numero intero è il numero stesso se il numero è maggiore o uguale di 0, il suo opposto se il numero è minore di 0. In simboli: |a| = a se a 0 −a se a < 0 Esempio 6.9.1. • |5| = 5 • | − 5| = 5 • |0| = 0 76 6.10. ESPRESSIONI CON I NUMERI INTERI 6.10 Espressioni con i numeri interi Con i numeri interi e le operazioni viste si ottengono le espressioni numeriche. Nelle espressioni numeriche si possono utilizzare le parentesi per indicare l’ordine con cui si devono effettuare le operazioni. In assenza di parentesi le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: potenza, moltiplicazione e divisione, addizione e sottrazione. A parità di precedenza le operazioni si eseguono da sinistra a destra. Osservazione 6.11 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo Definizione 6.11.1 (Massimo comune divisore). Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ Z0 il maggiore dei divisori positivi comuni ad a e a b e si indica con MCD(a, b) Osservazione Il massimo comune divisore di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al massimo comune divisore dei loro valori assoluti. Esempio 6.11.1. Consideriamo i numeri −12 e 18. Scomponiamo | − 12| = 12: 12 = 22 · 3 Scomponiamo |18| = 18: 18 = 2 · 32 Quindi MCD(−12, 18) = 2 · 3 = 6 Definizione 6.11.2 (Numeri primi tra loro). Due numeri a, b ∈ Z0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1 Esempio 6.11.2. Consideriamo i numeri 15 e −16. Scomponiamo |15| = 15: 15 = 3 · 5 Scomponiamo | − 16| = 16: 16 = 24 MCD(15, −16) = 1 quindi 15 e −16 sono primi tra loro Definizione 6.11.3 (Minimo comune multiplo). Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ Z0 il minore dei multipli positivi comuni ad a e a b e si indica con mcm(a, b) Osservazione Il minimo comune multiplo di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al minimo comune multiplo dei loro valori assoluti. 77 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI Esempio 6.11.3. Consideriamo i numeri −12 e 18. Scomponiamo | − 12| = 12: 12 = 22 · 3 Scomponiamo |18| = 18: 18 = 2 · 32 Quindi mcm(−12, 18) = 22 · 32 = 36 78 Capitolo 7 Numeri razionali 7.1 Introduzione Come i numeri naturali anche i numeri interi non sono sufficienti per risolvere alcuni problemi pratici come, per esempio, dividere una torta. Si è quindi ampliato l’insieme dei numeri interi introducendo l’insieme dei numeri razionali. I numeri razionali si esprimono come rapporto tra due numeri interi con il secondo diverso da 0. Esempio 7.1.1. I numeri 3 −5 2 0 −5 5 6 , , , , , , −2 7 3 2 −3 1 2 sono razionali. L’insieme dei numeri razionali è infinito e viene indicato con Q. ß Q= m /m ∈ Z ∧ n ∈ Z0 n ™ m Il numero razionale si dice anche frazione, m si dice numeratore, n si dice denominatore. n 0 n Il numero si indica con 0, il numero si indica con 1. n n Un numero razionale si dice negativo se il numeratore e il denominatore sono discordi, positivo se sono concordi. L’insieme dei numeri razionali negativi si indica con Q− , l’insieme dei numeri razionali positivi si indica con Q+ . L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 si indica con Q0 . m Dato il numero razionale non nullo : n • se m e n sono discordi, allora m |m| =− n |n| • se m e n sono concordi, allora m |m| = n |n| Esempio 7.1.2. • −3 3 3 = =− 4 −4 4 • −3 3 = −4 4 79 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.2 Numeri razionali come classi di equivalenza Precedentemente abbiamo introdotto i numeri razionali in modo intuitivo, vediamo ora una definizione più formale. Definizione 7.2.1 (Numeri razionali). Si dice numero razionale ciascuna delle classi di equivalenza ottenute dalla relazione di equivalenza R in Z × Z0 definita nel seguente modo: (a, b)R(c, d) ⇔ a · d = b · c con (a, b), (c, d) ∈ Z × Z0 Dimostriamo che R è una relazione di equivalenza. 1. proprietà riflessiva ∀(a, b) ∈ Z × Z0 (a, b)R(a, b) infatti a·b=b·a 2. proprietà simmetrica ∀(a, b), (c, d) ∈ Z × Z0 (a, b)R(c, d) ⇒ (c, d)R(a, b) infatti se (a, b)R(c, d) allora a·d=b·c da cui c·b=d·a e quindi (c, d)R(a, b) 3. proprietà transitiva ∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ Z × Z0 (a, b)R(c, d) ∧ (c, d)R(e, f ) ⇒ (a, b)R(e, f ) infatti se (a, b)R(c, d) ∧ (c, d)R(e, f ) allora a·d=b·c∧c·f =d·e (a) Se c = 0, si ha a·d=0∧0=d·e poiché d = 0 si ha a=0∧e=0 quindi a·f =b·e cioè (a, b)R(0, f ) 80 7.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE (b) Se c = 0, moltiplicando membro a membro si ottiene a·d·c·f =b·c·d·e a · f · (c · d) = b · e · (c · d) cioè a·f =b·e e quindi (a, b)R(e, f ) Esempio 7.2.1. • [(2, 3)] = {(2, 3), (4, 6), (−2, −3), . . .} • [(−3, 5)] = {(−3, 5), (−6, 10), (−9, 15), (3, −5), . . .} • [(0, 1)] = {(0, 1), (0, 5), (0, −2), . . .} • [(5, 1)] = {(5, 1), (10, 2), (−5, −1), . . .} Osservazione La coppia (a, b) è detta frazione e normalmente si indica con a b a si dice numeratore, b si dice denominatore. a . b ï ò Quindi il numero razionale [(a, b)] sarà indicato con Esempio 7.2.2. 2 : 3 ï ò Il numero razionale [(2, 3)] sarà indicato con 2 = 3 ï ò ß 2 4 , ,... 3 6 ™ L’insieme dei numeri razionali Q è l’insieme quoziente: Q = (Z × Z0 )/R a a viene indicata con , cioè confonderemo b b ï ò 0 il numero razionale con la frazione. La classe di equivalenza viene indicata con 0 e la classe di b ï ò a equivalenza viene indicata con 1. a ï ò Per semplificare la notazione, la classe di equivalenza 7.3 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri razionali sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Q × Q viene associato c = a + b ∈ Q; a e b si dicono addendi, c si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Q × Q viene associato c = a · b ∈ Q; a e b si dicono fattori, c si dice prodotto. 81 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.3.1 Addizione con le classi di equivalenza L’addizione è definita nel seguente modo ∀ a c , ∈Q b d a c ad + cb + = b d bd ï ò ï ò ï ò ï ò ï ò Esempio 7.3.1. • 2 5 4 + 15 19 + = = 3 2 6 6 ï ò ï ò ï ò ï ò cioè 2 5 19 + = 3 2 6 2 3 −2 3 −8 + 15 7 • − + = + = = 5 4 5 4 20 20 ï ò ï ò ï ò ï ò ï ò ï ò cioè 2 3 7 − + = 5 4 20 • 4 5 24 + 15 39 13 + = = = 3 6 18 18 6 ï ò ï ò ï ò ï ò ï ò cioè 13 4 5 + = 3 6 6 • 1 3 2+3 5 + = = 1 2 2 2 ï ò ï ò ï ò ï ò cioè 1+ 7.3.2 5 3 = 2 2 Moltiplicazione con le classi di equivalenza La moltiplicazione è definita nel seguente modo c a ∀ , ∈Q b d a c ac · = b d bd ï ò ï ò ï ò ï ò ï ò Esempio 7.3.2. • 2 5 10 2 · = = 5 3 15 3 ï ò ï ò ï ò ï ò cioè 2 5 2 · = 5 3 3 • ï −2 −3 6 3 · = = 5 4 20 10 ò ï ò ï ò ï ò cioè 2 3 3 − · − = 5 4 10 Å ã 82 7.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE 7.3.3 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Q a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Q a + (b + c) = (a + b) + c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a + 0 = 0 + a = a 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀a ∈ Q ∃ − a ∈ Q/a + (−a) = −a + a = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Q a · b = b · a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Q a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 1 = 1 · a = a 4. proprietà di esistenza dell’elemento reciproco: ∀a ∈ Q0 ∃a−1 ∈ Q0 /a · a−1 = a−1 · a = 1 Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ Q a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ Q (a + b) · c = (a · c) + (b · c) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 0 = 0 · a = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ Q a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 Osservazioni 1. L’opposto del numero razionale ï m m è − ; infatti n n m m −m mn − nm m + − = + = =0 n n n n n2 ò ï ò ï ò ï ò ï ò 83 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 2. Il reciproco del numero razionale ï m n = 0 è ; infatti n m m n mn · = =1 n m nm ò ï ò ï ò 3. Il reciproco di a si dice anche inverso di a e si può indicare con Esempio 7.3.3. • L’opposto di 2 5 è − 2 5 • L’opposto di − 3 4 è 3 4 • L’opposto di 0 è 0 • Il reciproco di 2 5 è 5 2 • Il reciproco di − 3 4 è − 4 3 84 1 a 7.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE 7.3.4 Numeri razionali concordi e discordi Definizione 7.3.1 (Concordi). Due numeri razionali non nulli si dicono concordi se sono entrambi positivi o entrambi negativi Esempio 7.3.4. • I numeri razionali 3 7 e sono concordi. 7 2 • I numeri razionali − 5 2 e − sono concordi. 3 7 Definizione 7.3.2 (Discordi). Due numeri razionali non nulli si dicono discordi se uno è positivo e l’altro è negativo Esempio 7.3.5. • I numeri razionali 2 7 e − sono discordi. 3 2 • I numeri razionali − 7.3.5 5 3 e sono discordi. 4 8 Proprietà invariantiva Teorema 7.3.1 (Proprietà invariantiva). Moltiplicando numeratore e denominatore di un numero razionale per uno stesso numero intero non nullo, si ottiene lo stesso numero razionale, in simboli: a ak = con a ∈ Z, b, k ∈ Z0 b bk Dimostrazione a ak , poiché a(bk) = b(ak), si ha Dati i numeri razionali e b bk a ak = b bk ï ò ï ò Esempio 7.3.6. 3 3·2 6 = = 4 4·2 8 Osservazione Da a ak = b bk si ha ak a = bk b Cioè, dividendo numeratore e denominatore di un numero razionale per un divisore non nullo di entrambi, si ottiene lo stesso numero razionale. Esempio 7.3.7. • 9 9:3 3 = = 6 6:3 2 9 −9 −9 : 3 −3 3 • − = = = =− 6 6 6:3 2 2 85 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI Definizione 7.3.3 (Numero razionale ridotto ai minimi termini). Un numero razionale si dice ridotto ai minimi termini se numeratore e denominatore sono primi tra loro Esempio 7.3.8. • 3 4 è ridotto ai minimi termini • 9 6 non è ridotto ai minimi termini Semplificazione di un numero razionale Utilizzando la proprietà invariantiva si può semplificare un numero razionale, cioè ridurlo ai minimi termini, dividendo numeratore e denominatore per il loro massimo comune divisore. Esempio 7.3.9. Dato il numero razionale 9 6 poiché MCD(9, 6) = 3 dividendo numeratore e denominatore per 3, si ottiene 9:3 3 9 = = 6 6:3 2 Osservazione In pratica, per semplificare un numero razionale, si dividono numeratore e denominatore per un loro divisore comune e si ripete il procedimento fino a quando non diventano primi tra loro. Riduzione di più numeri razionali allo stesso denominatore Per ridurre più numeri razionali allo stesso denominatore: 1. si determina il minimo comune multiplo dei denominatori 2. per ciascun numero razionale si applica la proprietà invariantiva dividendo il minimo comune multiplo per il denominatore e moltiplicando il quoziente per il numeratore Esempio 7.3.10. Ridurre allo stesso denominatore i numeri razionali 3 1 , 4 6 Il minimo comune multiplo dei denominatori è mcm(4, 6) = 12 per ciascun numero razionale dividiamo il minimo comune multiplo per il denominatore e moltiplichiamo il quoziente per il numeratore 9 2 , 12 12 86 7.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE 7.3.6 Regola per l’addizione Dalla definizione di addizione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola: Teorema 7.3.2 (Addizione). La somma di due numeri razionali con lo stesso denominatore è il numero razionale avente per numeratore la somma dei numeratori e per denominatore lo stesso denominatore. Esempio 7.3.11. • 3 4 3+4 7 + = = 5 5 5 5 3 9 −3 + 9 6 3 • − + = = = 4 4 4 4 2 Se i numeri razionali non hanno lo stesso denominatore, prima di addizionarli, li si può ridurre allo stesso denominatore applicando la proprietà invariantiva. In pratica per addizionare due numeri razionali : 1. si semplifica ogni numero razionale 2. si scrive il numero razionale che ha come denominatore il minimo comune multiplo dei denominatori 3. per ottenere il numeratore: (a) si divide il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore del primo numero razionale e si moltiplica il quoziente ottenuto per il suo numeratore (b) si ripete il procedimento per il secondo numero razionale e si somma al risultato precedente 4. si effettuano i calcoli al numeratore 5. si semplifica il numero razionale ottenuto Esempio 7.3.12. • 3 5 12 + 35 47 + = = 7 4 28 28 3 5 −3 + 10 7 • − + = = 4 2 4 4 7.3.7 Regola per la moltiplicazione Dalla definizione di moltiplicazione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola: Teorema 7.3.3 (Moltiplicazione). Il prodotto di due numeri razionali è il numero razionale avente per numeratore il prodotto dei numeratori e per denominatore il prodotto dei denominatori. In pratica per moltiplicare due numeri razionali: 1. si semplificano numeratore e denominatore della stessa frazione o di frazioni diverse 2. si scrive il numero razionale che ha come numeratore il prodotto dei numeratori e come denominatore il prodotto dei denominatori Esempio 7.3.13. 2 ✚✁4 4 12 4✁1 ✚ 12 2 • · = 3· 1 = 2 9 8 9✁ 3 8✁✁ 2 3 2 3✁1 2 • − · =− 3 · =− 9 5 9✁ 5 15 87 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.3.8 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione Esempio 7.3.14. Semplifichiamo l’espressione ï 1 1 1 3 1 + − + · − + 1+ − 2 3 6 4 3 Å ã ò Å ã ï Å 5 · + (−1) = 8 ãò ï ò 3 2 3 1 · − + · − = 3 4 3 8 Å ã Å ã 1 1 1 =− − + − 4 4 2 Å 7.4 ã Sottrazione Definizione 7.4.1 (Differenza). La differenza di due numeri razionali a e b è la somma di a con l’opposto di b. In simboli a − b = a + (−b) Esempio 7.4.1. 2 1 2 1 2 1 7 − − = + + = + = 3 2 3 2 3 2 6 Å ã Å ã Osservazione La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 7.4.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 7.4.2. Semplifichiamo l’espressione 1 2 1 1 1 2 1+ − · + − +1 · − = 2 3 2 3 4 3 Å ã Å ã Å ã 5 1 13 2 · + · − = 6 2 12 3 Å ã 5 13 − = 12 18 − 11 36 88 7.5. DIVISIONE 7.5 Divisione Definizione 7.5.1 (Quoziente). Il quoziente di due numeri razionali a e b con b = 0 è il prodotto di a con il reciproco di b. In simboli 1 a:b=a· b Esempio 7.5.1. ã ã Å Å 2 4 1 2 2 = · − =− : − 3 2 3 1 3 Osservazione La divisione tra due numeri razionali a e b con b = 0 si può anche indicare in questo modo: a b a Quindi l’espressione con a ∈ Q, b ∈ Q0 si trasforma in a : b. Quando si effettua questa trasformazione b si deve fare attenzione a non confondere la linea che indica la divisione dalle linee che separano il numeratore e il denominatore dei numeri razionali a e b. Esempio 7.5.2. 3 4 = 3 : 5 = 3 · 7 = 21 5 4 7 4 5 20 7 Osservazione La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa. La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione: ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 (a + b) : c = (a : c) + (b : c) ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 (a − b) : c = (a : c) − (b : c) Esempio 7.5.3. ã Å 1 2 1 3 1 2 5 3 5 10 15 85 2 3 + : = : + : = · + · = + = 3 4 5 3 5 4 5 3 1 4 1 3 4 12 Non si può dividere a = 0 per 0, perchè nessun numero razionale moltiplicato per 0 dà a quindi un numero razionale non nullo diviso 0 è impossibile. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero razionale moltiplicato per 0 dà 0 Se a = 0 allora 0 : a = 0 7.5.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione, divisione 2. addizione, sottrazione Esempio 7.5.4. Semplifichiamo l’espressione ïÅ ã Å ã ò Å ã 1 1 1 3 3 1 1 1 1 − − · + 1− : · − + = 2 3 4 2 8 2 2 6 3 ï ò 1 3 5 1 2 − · + : · = 12 2 8 2 3 ï ò 1 5 2 2 − + · · = 8 8 1 3 ï ò 1 5 2 − + · = 8 4 3 9 2 3 · = 8 3 4 89 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.6 Potenza Definizione 7.6.1 (Potenza). Si dice potenza avente per base un numero razionale a ed esponente un numero naturale n > 1 il prodotto di n fattori uguali ad a: an = a · . . . · a, n > 1 n Si pone per convenzione: a1 = a e, per a = 0, a0 = 1 00 non ha significato Osservazioni 1. La potenza di un numero positivo è positiva, la potenza con esponente pari di un numero negativo è positiva, la potenza con esponente dispari di un numero negativo è negativa. Å 2. m n mp np ãp = Esempio 7.6.1. • • • • • Å ã3 2 3 = 8 27 = 2 3 Å ã1 2 3 Å ã0 2 3 =1 2 − 3 ã4 2 − 3 ã3 Å Å = 16 81 =− 8 27 Nell’insieme dei numeri razionali si può estendere la definizione di potenza al caso in cui l’esponente è intero negativo Definizione 7.6.2 (Potenza con esponente intero negativo). Dati il numero razionale a = 0 e il numero naturale n si pone −n a Å ãn = 1 a Esempio 7.6.2. Å ã−3 2 3 Å ã3 = 3 2 = 27 8 90 7.6. POTENZA 7.6.1 Proprietà delle potenze 1. ap · aq = ap+q 2. ap : aq = ap−q 3. (ap )q = ap·q 4. ap · bp = (a · b)p 5. ap : bp = (a : b)p con a b ∈ Q0 , p, q ∈ Z Esempio 7.6.3. • • • • • • Å 2 5 ã3 Å 2 5 Å 2 5 ã5 Å 2 5 ã2 Å 2 5 ã3 Å 2 5 ã−2 − − − · − : − : − ÇÅ 2 − 5 Å − Å − 7.6.2 ã3 å2 2 5 ã3 Å 2 5 ã3 Å · − ã5 2 5 Å 2 5 = − Å = − 2 = − 5 Å 7 3 : − ã3 7 3 ã3 2 5 ã5 ã6 Å = ã3 ã8 Å = − 14 15 ã3 3 2 = − · − 5 7 Å Å ãã3 Å = 6 35 ã3 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 7.6.4. Semplifichiamo l’espressione Å 7 15 3 · + 12 14 8 ã2 ñ Å 5 3 + 8 8 ã2 ñ Å ñ Å 3 : 1− 1− 2 1 : 1− − 2 1 1 : 1− − 2 2 Å ã3 Å 5 : 2− 2 ã3 Å ã2 ã3 Å 1 : − 2 1 : 2 ã2 ã2 ã ô 10 3 − · = 9 5 ô 2 − = 3 1 2 1: 1− − − = 2 3 ï 1: Å ã ô 4 5 5 − · : = 3 6 3 Å ò 5 6 6 =1· = 6 5 5 91 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.7 Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri razionali Definizione 7.7.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ Q si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Q+ ∪ {0} tale che a + d = b, in simboli: a b ⇔ ∃d ∈ Q+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Q Esempio 7.7.1. 3 5 • 7 5 perché 4 3 4 7 ∃ ∈ Q+ ∪ {0}/ + = 5 5 5 5 2 3 • 2 3 perché 2 2 ∃0 ∈ Q+ ∪ {0}/ + 0 = 3 3 Teorema 7.7.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in Q è d’ordine. Dimostrazione Analoga a quella in N 7.7.1 Ordinamento dei numeri razionali In pratica per ordinare più numeri razionali: 1. si riducono i numeri razionali allo stesso denominatore 2. si confrontano i numeratori Esempio 7.7.2. Disporre i seguenti numeri razionali in ordine crescente. 2 5 3 1 − , , , 3 1 4 6 Il minimo comune multiplo dei denominatori è mcm(3, 1, 4, 6) = 12 Riduciamo i numeri razionali allo stesso denominatore −8 60 9 2 , , , 12 12 12 12 Confrontiamo i numeratori, i numeri razionali disposti in ordine crescente sono 2 1 3 5 − , , , 3 6 4 1 92 7.8. L’INSIEME DEI NUMERI RAZIONALI COME AMPLIAMENTO DELL’INSIEME DEI NUMERI INTERI Osservazione La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri razionali su una retta orientata. − 3 2 1 − 0 2 2 1 2 3 Figura 7.1: numeri razionali In Q si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. 7.7.2 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ Q a b⇒a+c • ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q+ a b+c b⇒a·c b·c La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore. La compatibilità vale anche per la relazione di uguaglianza: 1. ∀a, b, c ∈ Q a = b ⇒ a + c = b + c 2. ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 a = b ⇒ a · c = b · c 7.8 L’insieme dei numeri razionali come ampliamento dell’insieme dei numeri interi Sia A l’insieme dei numeri razionali in cui il denominatore è 1. Poiché Z = A, Z non è un sottoinsieme di Q. a Sia f : Z → A la biiezione che a ogni a ∈ Z associa ∈ A; essa gode delle seguenti proprietà: 1 1. alla somma a + b di numeri interi associa la somma a b + dei numeri razionali corrispondenti; 1 1 2. al prodotto a · b di numeri interi associa il prodotto a b · dei numeri razionali corrispondenti; 1 1 Quando esiste una biezione tra due insiemi con le proprietà sopra indicate, si dice che i due insiemi sono isomorfi. Quindi Z e A sono isomorfi e poiché A ⊆ Q si dice che Q è un ampliamento di Z. Poiché Z e A sono isomorfi possiamo identificare i numeri razionali con denominatore 1 con i numeri interi e quindi scriverli senza il denominatore. Il numero razionale 5 1 lo scriveremo 5 Osservazione Nell’ampliamento viene conservato l’ordinamento, in simboli: ∀a, b ∈ Z a b⇒ a 1 b 1 93 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.9 Densità A differenza dei numeri naturali e interi i numeri razionali non ammettono successivo. Teorema 7.9.1. Dati due numeri razionali a, b con a < b esistono infiniti numeri razionali compresi tra a e b. Dimostrazione a+b Dati a, b ∈ Q con a < b dimostriamo che ∈ Q è compreso tra a e b, cioè 2 a< a+b <b 2 a+b 2 a+b a < b ⇒ a + b < b + b ⇒ a + b < 2b ⇒ <b 2 quindi a < b ⇒ a + a < a + b ⇒ 2a < a + b ⇒ a < a< a+b <b 2 a+b troviamo un altro numero razionale e così via. Ripetendo il procedimento tra a e 2 Osservazione Il teorema precedente ci dice che l’insieme dei numeri razionali è denso 7.10 Numeri decimali Ogni numero razionale si può rappresentare con un numero decimale. m Dato il numero razionale per ottenere la rappresentazione decimale si effettua la divisione |m| : |n| n e se m e n sono discordi si scrive un − davanti al risultato. Esempio 7.10.1. • Dato il numero razionale 3 effettuiamo la divisione 5 3 5 0 0,6 30 30 0 Quindi 3 = 0, 6 5 • Dato il numero razionale − 20 18 20 18 20 18 2 Quindi − 20 −20 = effettuiamo la divisione 3 3 3 6,66 20 = −6, 6 3 94 7.10. NUMERI DECIMALI • Dato il numero razionale 23 18 50 48 20 18 20 18 2 Quindi 23 effettuiamo la divisione 6 6 3,833 23 = 3, 83 3 Il numero decimale che rappresenta un numero razionale può essere: 1. un numero decimale limitato 2. un numero decimale illimitato periodico semplice (le cifre della parte decimale si ripetono periodicamente) 3. un numero decimale illimitato periodico misto (ci sono delle cifre decimali prima di quelle che si ripetono periodicamente) Il numero formato dalle cifre che si ripetono periodicamente si dice periodo, il numero formato dalle cifre decimali che precedono il periodo si dice antiperiodo. Esempio 7.10.2. Nel numero 21, 34567 il periodo è 567 l’antiperiodo è 34 Osservazioni 1. Un numero razionale non può essere rappresentato con un numero decimale illimitato non periodico. Infatti, poiché il resto della divisione è minore del divisore, dopo un numero di passaggi minore o uguale del divisore si ottiene un resto uguale a uno precedente. 2. Per stabilire a quale tipo di numero decimale corrisponde un numero razionale: (a) si riduce il numero razionale ai minimi termini (b) si scompone in fattori primi il denominatore (c) si anilizzano i fattori primi i. se sono presenti solo i fattori 2 o 5, il numero decimale è limitato ii. se non sono presenti i fattori 2 e 5, il numero decimale è illimitato periodico semplice iii. se sono presenti 2 o 5 e altri fattori, il numero decimale è illimitato periodico misto Esempio 7.10.3. 95 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI • Dato il numero razionale 3 , scomponiamo il denominatore 5 5=5 Quindi 3 è un numero decimale limitato 5 • Dato il numero razionale − 20 , scomponiamo il denominatore 3 3=3 Quindi − 20 è un numero decimale illimitato periodico semplice 3 • Dato il numero razionale 23 , scomponiamo il denominatore 6 6=2·3 Quindi 7.10.1 23 è un numero decimale illimitato periodico misto 6 Trasformazione dei numeri decimali in frazione Per scrivere un numero decimale limitato sotto forma di frazione 1. si scrive al numeratore il numero decimale senza la virgola 2. si scrive al denominatore 1 seguito da tanti 0 quante sono le cifre dopo la virgola 3. si semplica la frazione ottenuta Esempio 7.10.4. • 3, 51 = • 3, 5 = 351 100 35 7 = 10 2 Per scrivere un numero decimale illimitato peridico semplice positivo sotto forma di frazione: 1. si scrive al numeratore la differenza tra il numero decimale senza la virgola e il numero formato da tutte le cifre che precedono il periodo 2. si scrive al denominatore un numero formato da tanti 9 quante sono le cifre del periodo 3. si semplica la frazione ottenuta Esempio 7.10.5. 3, 6 = 36 − 3 33 11 = = 9 9 3 Per scrivere un numero decimale illimitato periodico misto positivo sotto forma di frazione 1. si scrive al numeratore la differenza tra il numero decimale senza la virgola e il numero formato da tutte le cifre che precedono il periodo 2. si scrive al denominatore un numero formato da tanti 9 quante sono le cifre del periodo e da tanti 0 quante sono le cifre dell’antiperiodo 3. si semplica la frazione ottenuta Esempio 7.10.6. 3, 26 = 326 − 32 294 49 = = 90 90 15 96 7.11. ESPRESSIONI CON I NUMERI RAZIONALI Osservazione Per trasformare un numero decimale illimitato periodico negativo in frazione, si fa precedere dal segno meno la frazione ottenuta trasformando il valore assoluto del numero. Esempio 7.10.7. −3, 26 = − 326 − 32 294 49 =− =− 90 90 15 Osservazione Un numero decimale illimitato periodico con periodo 9 è un numero decimale limitato. Esempio 7.10.8. • 3, 19 = • 3, 9 = 7.11 319 − 31 288 16 = = = 3, 2 90 90 5 39 − 3 36 = =4 9 9 Espressioni con i numeri razionali Nelle operazioni si deve tenere conto che se il numero razionale è scritto senza denominatore, il denominatore è 1. Esempio 7.11.1. • 3 5 3 + 20 23 3 +5= + = = 4 4 1 4 4 • 3 3 5 15 ·5= · = 4 4 1 4 • 3 3 5 3 1 3 :5= : = · = 4 4 1 4 5 20 Si deve usare particolare attenzione quando la divisione tra due numeri razionali a e b con b = 0 è a indicata con . In questo caso si deve individuare chi è a e chi è b b Esempio 7.11.2. 3 3 5 3 1 3 • 4 = : = · = 5 4 1 4 5 20 3 3 4 3 5 15 = : = · = 4 1 5 1 4 4 5 • Il segno − davanti a una parentesi cambia il segno di tutti gli addendi dentro la parantesi. Esempio 7.11.3. Semplifichiamo l’espressione ñ 3 1, 6 · (−0, 6) · − 5 5 · 3 ñÅ 5 · 3 ñÅ 3 − 5 3 − 5 ñ Å 2 ã2 Å 3 · − 5 ã−1 ã−3 ã−3 5 2 2 − · −0, 3 + · 1, 16 : − 2 5 5 Å ã Å 5 1 2 1 2 − · − + · : − 2 3 5 6 5 Å ã Å 5 1 1 2 − · − + : − 2 3 15 5 Å 5 5 5 4 2 · − − · − : − 3 3 2 15 5 Å ã Å ã Å ã2 ô−2 = ã2 ô−2 = ã2 ô−2 = ã2 ô−2 = 97 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 5 3 5 3 5 3 5 · − + 3 ï 5 · − + 3 ï 5 · − + 3 ï 7.11.1 2 4 −2 = : 3 25 ò 2 25 −2 = · 3 4 ò ï ò 25 −2 5 15 −2 5 4 4 = = · = · 6 3 6 3 25 15 ò Notazione scientifica Definizione 7.11.1 (Notazione scientifica). Un numero decimale è scritto in notazione scientifica se è espresso con una sola cifra compresa tra 1 e 9 prima della virgola e moltiplicato per una potenza di 10 con esponente positivo o negativo Esempio 7.11.4. I numeri 3, 75 · 105 1, 234 · 10−3 sono espressi in notazione scientifica Per scrivere un numero decimale in notazione scientifica: 1. si pone la virgola dopo la prima cifra diversa da zero che si incontra partendo dalla sinistra del numero 2. l’esponente del dieci è il numero di cifre di cui si è spostata la virgola se si è spostata verso sinistra, il suo opposto se si è spostata verso destra. Esempio 7.11.5. • Il numero 324, 72 in notazione scientifica è 3, 2472 · 102 • Il numero 0, 0023 in notazione scientifica è 2, 3 · 10−3 7.11.2 Ordine di grandezza Definizione 7.11.2 (Ordine di grandezza). Di dice ordine di grandezza di un numero decimale la potenza di 10 più vicina a quel numero Per determinare l’ordine di grandezza di un numero decimale 1. si scrive il numero in notazione scientifica: a · 10n 2. se a < 5, l’ordine di grandezza è 10n altrimenti è 10n+1 Esempio 7.11.6. • Determinare l’ordine di grandezza del numero 324, 72. Il numero 324, 72 in notazione scientifica è 3, 2472 · 102 poiché 3 < 5 l’ordine di grandezza del numero è 102 • Determinare l’ordine di grandezza del numero 0, 0073. Il numero 0, 0073 in notazione scientifica è 7, 3 · 10−3 poiché 7 > 5 l’ordine di grandezza del numero è 10−2 98 7.12. RAPPORTI E PROPORZIONI 7.12 Rapporti e proporzioni Definizione 7.12.1 (Rapporto). Si dice rapporto tra due numeri razionali non nulli il quoziente della divisione tra il primo e il secondo Esempio 7.12.1. • Il rapporto tra 6 e 3 è 6:3=2 • Il rapporto tra 5 e 8 è 5:8= 5 8 • Il rapporto tra 4 6 e è 5 7 4 7 14 4 6 : = · = 5 7 5 6 15 Definizione 7.12.2 (Proporzione). Si dice proporzione l’uguaglianza tra due rapporti La proporzione a:b=c:d si legge a sta a b come c sta a d. a e d si dicono estremi, b e c medi; a e c si dicono antecedenti, b e d conseguenti. Esempio 7.12.2. 3 : 8 = 15 : 40 infatti 3:8= 3 8 15 3 = 40 8 Definizione 7.12.3 (Proporzione continua). Si dice proporzione continua una proporzione in cui i medi sono uguali 15 : 40 = La proporzione a:b=b:c è continua Definizione 7.12.4 (Medio proporzionale). Si dice medio proporzionale il medio di una proporzione continua Nella proporzione continua a:b=b:c b è il medio proporzionale Esempio 7.12.3. 16 : 8 = 8 : 4 è una proporzione continua e 8 è il medio proporzionale 99 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.12.1 Proprietà Teorema 7.12.1 (Proprietà fondamentale delle proporzioni). In ogni proporzione il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi. In simboli a : b = c : d ⇒ ad = bc Osservazione Dalla proprietà fondamentale si può ricavare uno dei termini della proporzione. Ricaviamo a ad = bc ⇒ ad 1 1 bc = bc ⇒ a = d d d In modo analogo si ricavano gli altri termini. Teorema 7.12.2 (Proprietà dell’invertire). Se in una proporzione si scambia ogni antecedente con il proprio conseguente si ottiene una nuova proporzione. In simboli a:b=c:d⇒b:a=d:c Teorema 7.12.3 (Proprietà del permutare). Se in una proporzione si scambiano tra loro i due medi o i due estremi si ottiene una nuova proporzione. In simboli a:b=c:d⇒a:c=b:d a:b=c:d⇒d:b=c:a Teorema 7.12.4 (Proprietà del comporre). In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi due termini sta al secondo come la somma del terzo e quarto termine sta al quarto. In simboli a : b = c : d ⇒ (a + b) : b = (c + d) : d In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi due termini sta al primo come la somma del terzo e quarto termine sta al terzo. a : b = c : d ⇒ (a + b) : a = (c + d) : c La proprietà del comporre si estende nel caso di più rapporti uguali: Teorema 7.12.5 (Proprietà del comporre). In una serie di rapporti uguali con la somma degli antecedenti diversa da 0, la somma degli antecedenti sta a un antecedente come la somma dei conseguenti sta al conseguente corrispondente Teorema 7.12.6 (Proprietà dello scomporre). In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i primi due termini sta al secondo come la differenza tra il terzo e e il quarto termine sta al quarto. In simboli a : b = c : d ⇒ (a − b) : b = (c − d) : d In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i primi due termini sta al primo come la differenza tra il terzo e il quarto termine sta al terzo. In simboli a : b = c : d ⇒ (a − b) : a = (c − d) : c Esempio 7.12.4. 100 7.12. RAPPORTI E PROPORZIONI • Determiniamo il termine x della seguente proporzione 5 : 4 = x : 20 applichiamo la proprietà fondamentale x= 20 · 5 = 25 4 • Determiniamo il termine x della seguente proporzione 5 : x = x : 20 applichiamo la proprietà fondamentale x2 = 100 x = 10 ∨ x = −10 • Data la proporzione 10 : 4 = 15 : 6 ricaviamo altre proporzioni applicando le proprietà. Proprietà dell’invertire 4 : 10 = 6 : 15 Proprietà del permutare i medi 10 : 15 = 4 : 6 Proprietà del permutare gli estremi 6 : 4 = 15 : 10 Proprietà del comporre 14 : 4 = 21 : 6 Proprietà dello scomporre 6:4=9:6 • Dividere il numero 650 in tre parti che stiano tra loro come i numeri 3, 4, 6. Indicando con x, y, z le tre parti si ha x:3=y:4=z:6 Applicando la proprietà del comporre otteniamo (x + y + z) : x = (3 + 4 + 6) : 3 650 : x = 13 : 3 650 · 3 = 150 x= 13 Applicando la proprietà del comporre otteniamo (x + y + z) : y = (3 + 4 + 6) : 4 650 : y = 13 : 4 650 · 4 y= = 200 13 La terza parte è z = 650 − 150 − 200 = 300 101 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.12.2 Percentuali Definizione 7.12.5 (Percentuale). a Si dice percentuale un numero razionale con a ∈ Z e si scrive a% 100 Esempio 7.12.5. 25 = 25% = 0, 25 100 Poiché la percentuale è un rapporto si possono utilizzare le proporzioni per risolvere alcuni problemi riguardanti le percentuali. Esempio 7.12.6. • In un paese di 3600 abitanti 900 hanno superato i 50 anni. Determinare la percentuale degli ultra cinquantenni. Dalla proporzione 900 : 3600 = x : 100 si ha x= 900 · 100 = 25 3600 La percentuale degli ultra cinquantenni è 25% • Una maglia costa 250A C. Il negoziante offre uno sconto del 20%. Quanto paghiamo la maglia? Dalla proporzione x : 250 = 20 : 100 si ha x= 250 · 20 = 50 100 Si ha uno sconto di 50A C e quindi il costo è 250 − 50 = 200A C 102 Capitolo 8 Numeri reali 8.1 Introduzione Un ampliamento dell’insieme dei numeri razionali si rende necessario, sia per poter eseguire l’estrazione di radice, sia per poter risolvere problemi di misura della diagonale di un quadrato rispetto al lato assunto come unità di misura, della lunghezza della circonferenza rispetto al raggio, ecc. D C d= A 1 √ 2 1 B Consideriamo un quadrato ABCD di lato unitario. Applicando il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo ABC si ha: d2 = 1 + 1 = 2 √ d= 2 Teorema √ 8.1.1. Il numero 2 non è un numero razionale Dimostrazione per assurdo √ Supponiamo per assurdo che 2 sia un numero razionale: allora √ p 2 = con p, q primi fra loro q Elevando al quadrato entrambi i membri si ottiene p2 =2 q2 p2 = 2q 2 Quindi p2 è un numero pari. Se p2 è pari, allora p è pari, cioè p = 2n; sostituendo nell’uguaglianza precedente si ottiene: (2n)2 = 2q 2 4n2 = 2q 2 2n2 = q 2 Quindi q 2 è un numero pari. Se q 2 è pari, allora q è pari, cioè q = √ 2m, quindi p e q non sono primi tra loro e questo contraddice l’ipotesi. Poiché la tesi negata è falsa 2 non è un numero razionale. 103 CAPITOLO 8. NUMERI REALI 8.2 Numeri irrazionali Definizione 8.2.1 (Numeri irrazionali). Si dice numero irrazionale ogni numero decimale illimitato non periodico Esempio 8.2.1. I numeri √ √ √ √ 5 3 2, 3, 7, 2, π sono irrazionali L’insieme dei numeri irrazionali si indica con I. 8.3 Insieme dei numeri reali Definizione 8.3.1 (Numeri reale). Si dice numero reale ogni numero razionale o irrazionale Esempio 8.3.1. I numeri √ √ 3 2, 5, , −7, 5, π 4 sono reali Definizione 8.3.2 (Insieme dei numeri reali). L’insieme dei numeri reali è l’unione fra l’insieme dei numeri razionali e l’insieme dei numeri irrazionali L’insieme dei numeri reali si indica con R: R=Q∪I L’insieme dei numeri reali negativi si indica con R− , l’insieme dei numeri reali positivi si indica con R+ . L’insieme dei numeri reali privato dello 0 si indica con R0 . 8.4 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri reali sono definite le operazioni di addizione e di moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato γ = α + β ∈ R; α e β si dicono addendi, γ si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato γ = α · β ∈ R; α e β si dicono fattori, γ si dice prodotto. Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀α, β ∈ R α + β = β + α 2. proprietà associativa: ∀α, β, γ ∈ R α + (β + γ) = (α + β) + γ 104 8.5. SOTTRAZIONE 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ R/∀α ∈ R α + 0 = 0 + α = α 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀α ∈ R ∃ − α ∈ R/α + (−α) = −α + α = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀α, β ∈ R α · β = β · α 2. proprietà associativa: ∀α, β, γ ∈ R α · (β · γ) = (α · β) · γ 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ R/∀α ∈ R α · 1 = 1 · α = α 4. proprietà di esistenza dell’elemento reciproco: ∀α ∈ R0 ∃α−1 ∈ R0 /α · α−1 = α−1 · α = 1 Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀α, β, γ ∈ R α · (β + γ) = (α · β) + (α · γ) ∀α, β, γ ∈ R (α + β) · γ = (α · γ) + (β · γ) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ R/∀α ∈ R α · 0 = 0 · α = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀α, β ∈ R α · β = 0 ⇔ α = 0 ∨ β = 0 Osservazioni 1. Il reciproco di α si dice anche inverso di α e si può indicare con 1 α 2. Le proprietà di esistenza dell’elemento opposto e di quello reciproco ci permettono di definire le operazioni di sottrazione e divisione tra numeri reali. 8.5 Sottrazione Definizione 8.5.1 (Differenza). La differenza di due numeri reali α e β è la somma di α con l’opposto di β. In simboli α − β = α + (−β) 105 CAPITOLO 8. NUMERI REALI 8.6 Divisione Definizione 8.6.1 (Quoziente). Il quoziente di due numeri reali α e β con β = 0 è il prodotto di α con il reciproco di β. In simboli α:β =α· 8.7 1 β Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri reali Definizione 8.7.1 (Relazione minore o uguale). Dati α, β ∈ R si dice che α è minore o uguale di β se e solo se esiste γ ∈ R+ ∪ {0} tale che α + γ = β, in simboli: β ⇔ ∃γ ∈ R+ ∪ {0}/α + γ = β con α, β ∈ R α Teorema 8.7.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in R è di ordine. Osservazione La relazione minore o uguale è di ordine totale e permette di rappresentare i numeri reali su una retta orientata. − 3 2 1 0 − 2 2 3 √ 22 1 π Figura 8.1: numeri reali In R si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. 8.7.1 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀α, β, γ ∈ R α β ⇒α+γ • ∀α, β ∈ R, γ ∈ R+ α β+γ β ⇒α·γ β·γ La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore. La compatibilità vale anche per la relazione di uguaglianza: 1. ∀α, β, γ ∈ R α = β ⇒ α + γ = β + γ 2. ∀α, β, γ ∈ R α = β ⇒ α · γ = β · γ 8.8 Continuità dei numeri reali Come i numeri razionali, i numeri reali non ammettono successivo e come per i numeri razionali vale il seguente teorema: Teorema 8.8.1. Dati due numeri reali α, β con α < β esistono infiniti numeri reali compresi tra α e β L’insieme dei numeri reali è caratterizzato dalla proprietà di continuità: 106 8.9. CARDINALITÀ Teorema 8.8.2 (Continuità dei numeri reali). Esiste una biezione tra l’insieme dei numeri reali e quello dei punti di una retta orientata: ad ogni numero reale corrisponde un punto della retta e, viceversa, a ogni punto della retta corrisponde un numero reale Questo teorema non vale per i numeri razionali: a ogni numero razionale corrisponde un punto della retta orientata, ma esistono punti della retta a cui non corrisponde alcun numero razionale. Infatti, se consideriamo un quadrato di lato unitario e √ riportiamo il segmento della diagonale sulla retta orientata, troviamo il punto P rappresentativo di 2 che non è razionale √ 2 0 8.9 1 P √ 2 Cardinalità Definizione 8.9.1 (Cardinalità). Si dice che gli insiemi A e B hanno la stessa cardinalità o potenza se esiste una biezione tra a A e B Esempio 8.9.1. • Gli insiemi N e P hanno la stessa cardinalità perché esiste la biezione f :N→P definita da f (x) = 2x • Ogni insieme finito A ha la stessa cardinalità di un insieme che ha lo stesso numero di elementi di A Definizione 8.9.2 (Numerabilità). Si dice che un insieme A è numerabile se ha la stessa cardinalità di N Esempio 8.9.2. • Gli insiemi P, N sono numerabili • Si può dimostrare che anche gli insiemi Z, Q sono numerabili Si può dimostrare che l’insieme R non è numerabile, si dice che R ha la potenza del continuo 8.10 Approssimazione dei numeri reali Ogni numero reale si può approssimare per difetto o per eccesso con un numero razionale Esempio 8.10.1. • il numero irrazionale √ 2 si può approssimare per difetto con 1; 1, 4; 1, 41; 1, 414 . . . e per eccesso con 2; 1, 5; 1, 42; 1, 415 . . . 107 CAPITOLO 8. NUMERI REALI • il numero irrazionale π si può approssimare per difetto con 3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . . e per eccesso con 4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . . • il numero razionale 3, 728 si può approssimare per difetto con 3; 3, 7; 3, 72 . . . e per eccesso con 4; 3, 8; 3, 73 . . . Le operazioni con i numeri reali si eseguono in modo esatto scrivendo i numeri separati dal simbolo dell’operazione. Esempio 8.10.2. Dati i numeri reali √ 2, π la loro somma è √ 2+π il loro prodotto è √ 2·π Si possono ottenere valori approssimati di somme e prodotti di numeri reali utilizzando le successioni che approssimano per difetto e per eccesso i numeri dati. Esempio 8.10.3. • Eseguiamo la seguente addizione con valori approssimati √ 7+π √ Esprimiamo 7 e π con le successioni di numeri decimali approssimanti per difetto e per eccesso: √ ® 7 ® π 2; 2, 6; 2, 64; 2, 645 . . . 3; 2, 7; 2, 65; 2, 646 . . . 3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . . 4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . . addizioniamo fra loro i valori per difetto e per eccesso corrispondenti ottenendo le successioni: √ ® 7+π 5; 5, 7; 5, 78; 5, 786 . . . 7; 5, 9; 5, 80; 5, 788 . . . Le due successioni individuano un numero reale che è la somma 108 √ 7 + π. 8.10. APPROSSIMAZIONE DEI NUMERI REALI • Eseguiamo la seguente moltiplicazione con valori approssimati √ 2·π √ Esprimiamo 2 e π con le successioni di numeri decimali approssimanti per difetto e per eccesso: √ ® 2 ® π 1; 1, 4; 1, 41; 1, 414 . . . 2; 1, 5; 1, 42; 1, 415 . . . 3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . . 4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . . moltiplichiamo fra loro i valori per difetto e per eccesso corrispondenti ottenendo le successioni: √ ® 2·π 3; 4, 34; 4, 4274; 4, 441374 . . . 8; 4, 8; 4, 473; 4, 44593 . . . Le due successioni individuano un numero reale che è il prodotto 109 √ 2 · π. Capitolo 9 Sistemi di numerazione 9.1 Introduzione I numeri si possono rappresentare in diversi modi. Definizione 9.1.1 (Sistema di numerazione). Un sistema di numerazione è un insieme di simboli, detti cifre, e di regole per combinare le cifre in modo da rappresentare qualunque numero e per permettere di effettuare operazioni aritmetiche. Esempio 9.1.1. Il sistema di numerazione romano è un sistema additivo in quanto il valore del numero si ottiene per somma (e talvolta per differenza) delle cifre. Il sistema di numerazione romano usa i seguenti simboli che ricordiamo, indicando il valore corrispondente nel sistema decimale: romano I V decimale 1 5 X L C D M 10 50 100 500 1000 I numeri sono sequenze di questi simboli iniziando dai valori più alti. XX= 10 + 10 = 20 LXXVII= 50 + 10 + 10 + 5 + 1 + 1 = 77 CIV= 100 + 5 − 1 = 104 MDXLVI=1000 + 500 + 50 − 10 + 5 + 1 = 1546 Nel sistema di numerazione romano le operazioni risultavano molto difficili da eseguire. 9.2 Sistemi di numerazione posizionali In un sistema di numerazione posizionale il numero dipende dalla posizione delle cifre. In un sistema di numerazione posizionale è più semplice rappresentare i numeri ed è più facile eseguire le operazioni aritmetiche. Noi utilizziamo il sistema di numerazione posizionale in base 10, detto decimale. Nel sistema posizionale decimale si utilizzano 10 cifre: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Nel sistema posizionale decimale un numero di n cifre si può esprimere nella forma polinomiale, cioè come somma di n termini formati dal prodotto di una cifra moltiplicata per una potenza di 10 con esponente decrescente da n − 1 a 0. Esempio 9.2.1. 5725 = 5 · 103 + 7 · 102 + 2 · 101 + 5 · 100 Un sistema posizionale può anche avere una base diversa da 10. In generale, per avere un sistema di numerazione posizionale, 1. si fissa la base che è un numero naturale b > 1 110 9.3. PASSAGGIO DA BASE QUALSIASI A BASE 10 2. si scelgono b simboli per rappresentare le cifre: normalmente se b 10 si scelgono come simboli 0, 1, 2, . . ., se b > 10 si scelgono come simboli 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A, B, C, . . . dove A = 10, B = 11, C = 12, . . . 3. un numero di n cifre si ottiene scrivendo le cifre una di seguito all’altra tenendo presente che ogni cifra deve essere moltiplicata per una potenza di b a partire dalla cifra avente posizione più a sinistra, che va moltiplicata per bn−1 , fino alla n-esima cifra che va moltiplicata per b0 Osservazione Nella scrittura dei numeri in basi diverse da 10 si scrive la base come pedice del numero. Esempio 9.2.2. 101102 Un numero scritto in una base diversa da 10 si legge elencando le cifre. Esempio 9.2.3. 101102 non si legge diecimilacentodieci, ma uno-zero-uno-uno-zero in base 2 Abbiamo detto che il sistema di numerazione più utilizzato è quello decimale; i calcolatori, invece, utilizzano le basi 2 (sistema binario), 8 (sistema ottale), 16 (sistema esadecimale). 9.3 Passaggio da base qualsiasi a base 10 Per scrivere in base 10 un numero in un’altra base: 1. si scrive il numero in forma polinomiale 2. si effettuano i calcoli Esempio 9.3.1. • 101102 = 1 · 24 + 0 · 23 + 1 · 22 + 1 · 21 + 0 · 20 = 16 + 4 + 2 = 2210 • 1478 = 1 · 82 + 4 · 81 + 7 · 80 = 64 + 32 + 7 = 10310 • A01B16 = 10 · 163 + 0 · 162 + 1 · 161 + 11 · 160 = 40960 + 16 + 11 = 4098710 9.4 Passaggio da base 10 a base qualsiasi Per scrivere in base b un numero in base 10: 1. si divide il numero per la base b determinando quoziente e resto 2. si ripete il procedimento dividendo il quoziente ottenuto per b fino a quando si trova un quoziente nullo 3. i resti ottenuti, scritti nell’ordine che va dall’ultimo al primo, danno il numero espresso in base b. Esempio 9.4.1. Scriviamo in base 2 il numero 124 124 62 31 15 7 3 1 0 0 0 1 1 1 1 1 12410 = 11111002 111 CAPITOLO 9. SISTEMI DI NUMERAZIONE 9.5 Passaggio da base 2 a base 8 e 16 Per scrivere in base 8 un numero in base 2: 1. si suddividono le cifre in gruppi di 3 partendo da destra 2. a ogni terna corrisponde una cifra nel sistema ottale. Esempio 9.5.1. Scriviamo in base 8 il numero 11011112 1 − 101 − 111 1−5−7 1578 Per scrivere in base 2 un numero in base 8: 1. per ogni cifra si scrive il gruppo di 3 cifre binarie corrispondenti Esempio 9.5.2. Scriviamo in base 2 il numero 3258 011 − 010 − 101 110101012 Per scrivere in base 16 un numero in base 2: 1. si suddividono le cifre in gruppi di 4 partendo da destra 2. a ogni quaterna corrisponde una cifra nel sistema esadecimale. Esempio 9.5.3. Scriviamo in base 16 il numero 11011112 110 − 1111 6−F 6F16 Per scrivere in base 2 un numero in base 16: 1. per ogni cifra si scrive il gruppo di 4 cifre binarie corrispondenti Esempio 9.5.4. Scriviamo in base 2 il numero 3A116 0011 − 1010 − 0001 11101000012 112 9.6. OPERAZIONI CON I NUMERI IN BASE 2 9.6 Operazioni con i numeri in base 2 Le operazioni aritmetiche si possono eseguire in qualsiasi sistema di numerazione posizionale di base b. Consideriamo l’addizione e la moltiplicazione. Si procede come nelle operazioni in base 10. Osservazione Nelle operazioni con i numeri in base 10 il riporto si ha quando si raggiunge o supera 10, quindi nelle operazioni con i numeri in base b il riporto si ha quando si raggiunge o supera b. Esempio 9.6.1. • Calcoliamo 101102 + 11012 . Effettuiamo l’operazione in colonna 11 10110 + 1101 = 100011 101102 + 11012 = 1000112 • Calcoliamo 11112 + 11112 + 11112 + 11112 . Effettuiamo l’operazione in colonna 111 1111 1111 1111 1111 1111 1111 111100 + + + + 11112 + 11112 + 11112 + 11112 = 1111002 • Calcoliamo 101102 · 11012 . Effettuiamo l’operazione in colonna 10110 · 1101 = 10110 1 1 00000 1 10110 10110 100011110 101102 · 11012 = 1000111102 113 Capitolo 10 Monomi e polinomi 10.1 Monomi Definizione 10.1.1 (Monomio). Si dice monomio ogni prodotto di fattori numerici e letterali, dove gli esponenti dei fattori letterali sono numeri naturali. Osservazione Per indicare il prodotto delle lettere a e b si scrive a · b o, più semplicemente, ab; anche per indicare il prodotto di un numero e una lettera si può tralasciare il simbolo di moltiplicazione; naturalmente, per indicare il prodotto di due numeri, non si può tralasciare il simbolo di moltiplicazione: per esempio, il prodotto di 7 e 2 si scrive 7 · 2 e non 72. Esempio 10.1.1. 2 3ab, ab2 , −5a 3 sono monomi. Osservazioni 1. Anche ab è un monomio sebbene non compaia il fattore numerico: infatti quando il fattore numerico è uguale a 1, esso può non essere indicato, quindi: 1ab = ab 2. Anche −a è un monomio sebbene non compaia il fattore numerico: infatti quando il fattore numerico è uguale a −1, si può scrivere: −1b = −b 3. Non si possono mai indicare due simboli di operazione uno accanto all’altro, ad esempio non si può scrivere a · −b ma di deve scrivere a · (−b). 4. In un monomio, non necessariamente i fattori numerici devono precedere i fattori letterali, quindi 5a2 2c è un monomio. 5. In un monomio, può comparire più volte la stessa lettera, quindi 3aba è un monomio. 6. In un monomio i fattori letterali con esponente 0 possono essere tralasciati, quindi ab2 c0 si può scrivere ab2 perché c0 = 1. 7. Dall’esempio precedente si deduce che anche i numeri sono dei monomi; infatti i numeri si possono considerare monomi i cui fattori letterali hanno esponente 0. Il monomio 5a0 si può scrivere 5 perché abbiamo tralasciato la a che ha esponente 0 114 10.1. MONOMI Esempio 10.1.2. • 3a + b non è un monomio perché compare una somma • ab non è un monomio perché compare una lettera al denominatore; c • 3a−2 non è un monomio perché l’esponente della lettera a non è un numero naturale ma un numero intero negativo. Definizione 10.1.2 (Monomio nullo). Si dice monomio nullo ogni monomio con un fattore numerico nullo Esempio 10.1.3. I monomi 0, 0ab, 0a2 5b3 c sono monomi nulli perché hanno un fattore numerico nullo 10.1.1 Monomi in forma normale Definizione 10.1.3 (Monomio in forma normale). Un monomio si dice in forma normale se è formato da un fattore numerico e da fattori letterali con basi diverse. Esempio 10.1.4. • I monomi 1 3a2 b, abc, −5a 2 sono in forma normale perché sono formati da un fattore numerico e da fattori letterali con basi diverse. 2 • il monomio è in forma normale perché è formato da un fattore numerico 3 • Il monomio 3a2 5b3 non è in forma normale perché sono presenti due fattori numerici. • Il monomio 3a2 b2 a4 non è in forma normale perché la lettera a compare due volte. Definizione 10.1.4 (Fattore numerico e parte letterale). In un monomio in forma normale, il fattore numerico è detto coefficiente, il prodotto dei fattori letterali, è detto parte letterale. Esempio 10.1.5. • Nel monomio 21ab il coefficiente è 21 e la parte letterale è ab. • Nel monomio a3 bc il coefficiente è 1 e la parte letterale è a3 bc. • Nel monomio −a2 b il coefficiente è −1 e la parte letterale è a2 b. • Nel monomio 2x il coefficiente è 2 e la parte letterale è x. • Nel monomio −3 il coefficiente è −3 e la parte letterale è il prodotto di lettere diverse con esponente 0 Ogni monomio può essere scritto in forma normale: è sufficiente moltiplicare tra loro i fattori numerici e i fattori letterali con base uguale applicando le proprietà delle potenze. Esempio 10.1.6. • Per scrivere in forma normale il monomio 3a2 7b si moltiplicano i fattori numerici 3 e 7, ottenendo 21a2 b. • Per scrivere in forma normale il monomio 2a2 ba3 c si moltiplicano i fattori letterali con base a sommando gli esponenti, ottenendo 2a5 bc. 1 1 • Per scrivere in forma normale il monomio − x2 2x3 y xy 3 si moltiplicano i fattori numerici e i 3 4 1 6 4 fattori letterali con basi uguali ottenendo − x y 6 115 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.1.2 Grado di un monomio Definizione 10.1.5 (Grado di un monomio). Si dice grado di un monomio non nullo la somma degli esponenti dei fattori letterali della sua forma normale Esempio 10.1.7. • Il monomio 2a3 b4 ha grado 7, infatti sommando gli esponenti delle lettere a e b si ottiene 3+4 = 7 1 • Il monomio abc ha grado 3, infatti quando l’esponente delle lettere non è indicato ha valore 1, 2 quindi: 1 + 1 + 1 = 3. • Il monomio 13 ha grado 0, perché la parte letterale è il prodotto di lettere diverse con esponente 0 Osservazione Per calcolare il grado di un monomio non si considera l’eventuale esponente del coefficiente, quindi: 23 a2 ha grado 2 e non 5. Definizione 10.1.6 (Grado di un monomio rispetto a una lettera). Si dice grado rispetto a una lettera di un monomio non nullo l’esponente di quella lettera nella sua forma normale Esempio 10.1.8. Il monomio 5a2 b3 c ha grado 2 rispetto alla lettera a, grado 3 rispetto alla lettera b, grado 1 rispetto alla lettera c, grado 0 rispetto a tutte le altre lettere 10.1.3 Monomi simili Definizione 10.1.7 (Monomi simili). Due monomi in forma normale si dicono simili se hanno la stessa parte letterale. Osservazione Le parti letterali si considerano uguali anche se sono scritte con ordine diverso: ab = ba. Inoltre non si tiene conto di eventuali lettere con esponente 0 Esempio 10.1.9. 1 • I monomi 3a2 b e − a2 b sono simili perché hanno la stessa parte letterale. 2 • I monomi 4ab e −7ba sono simili perché, pur presentando lettere in ordine inverso, hanno la stessa parte letterale. • I monomi abc e ab non sono simili perché nel primo monomio compare la lettera c e nel secondo non compare. • I monomi 2a2 b e 2ab non sono simili perché nel primo monomio l’esponente della lettera a è 2 e nel secondo è 1. 10.2 Addizione di monomi L’addizione di monomi si può effettuare solo se i monomi sono simili; il risultato dell’addizione si dice somma. Definizione 10.2.1 (Somma). La somma di due monomi simili è il monomio simile a quelli dati che ha come coefficiente la somma dei coefficienti. Osservazione L’addizione di monomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento opposto. 116 10.3. OPPOSTO DI UN MONOMIO Esempio 10.2.1. • 2a + 3a = 5a perché si sono sommati i coefficienti e si è riscritta la parte letterale. • 3ab + 7ab + (−2ab) = 8ab perché si sono sommati i tre coefficienti e si è riscritta la parte letterale. • a + a = 2a perché si sono sommati i coefficienti che hanno valore 1 e si è riscritta la parte letterale. Osservazione a + a = a2 10.3 Opposto di un monomio Definizione 10.3.1 (Opposto). Si dice opposto di un monomio il monomio che, addizionato a quello dato, dà come somma il monomio nullo. Osservazione L’opposto di un monomio si indica ponendo il segno − davanti al monomio racchiuso tra parentesi ed è uguale al monomio simile che ha come coefficiente l’opposto del coefficiente del monomio dato Esempio 10.3.1. • L’opposto del monomio a3 è −(a3 ) = −a3 infatti a3 + (−a3 ) = 0 1 • L’opposto del monomio − x2 y è 2 1 1 − − x2 y = x2 y 2 2 Å ã infatti 1 1 − − x2 y + x2 y = 0 2 2 Å 10.4 ã Sottrazione di monomi La sottrazione di monomi si può effettuare solo se i monomi sono simili; il risultato della sottrazione si dice differenza. Definizione 10.4.1 (Differenza). La differenza di due monomi simili è il monomio che si ottiene addizionando al primo l’opposto del secondo. Esempio 10.4.1. 1 7 1 • 3b3 − − b3 = 3b3 + b3 = b3 2 2 2 Å ã infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio abbiamo addizionato i monomi simili. 117 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • −3x2 − 7x2 = −3x2 + (−7x2 ) = −10x2 infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio abbiamo addizionato i monomi simili. • −5ab2 − (−5ab2 ) = −5ab2 + 5ab2 = 0 infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio abbiamo addizionato i monomi simili che, essendo opposti, hanno come somma 0; pertanto la differenza di due monomi uguali è il monomio nullo. 10.5 Addizione algebrica di monomi L’addizione e la sottrazione di monomi possono essere considerate un’unica operazione che si dice addizione algebrica. Esempio 10.5.1. 3a2 + (+a2 ) − (+5a2 ) − (−7a2 ) = 3a2 + a2 − 5a2 + 7a2 = 6a2 10.6 Moltiplicazione di monomi Nell’insieme dei monomi la moltiplicazione può sempre essere effettuata; il risultato della moltiplicazione si dice prodotto. Definizione 10.6.1 (Prodotto). Il prodotto di due monomi è il monomio che ha come coefficiente il prodotto dei coefficienti e, come parte letterale, il prodotto delle parti letterali dei monomi dati. Osservazione La moltiplicazione di monomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro. Esempio 10.6.1. • 3a2 b · 2a3 c = 6a5 bc perché 6 è il prodotto dei coefficienti 3 e 2 a5 è il prodotto di a2 e a3 poiché le lettere b e c compaiono in uno solo dei due monomi, vengono semplicemente riscritte. 1 3 • − a2 b · 3a4 b = − a6 b2 2 2 3 1 è il prodotto dei coefficienti − e 3 2 2 a6 è il prodotto di a2 e a4 b2 è il prodotto di b e b (se l’esponente non è indicato è 1). perché − • 3a2 · (−5a3 b2 c2 ) · 2abc = −30a6 b3 c3 perché −30 è il prodotto dei coefficienti 3 −5 e 2; a6 è il prodotto di a2 , a3 e a b3 è il prodotto di b2 e b c3 è il prodotto di c2 e c. Osservazioni 1. a · a = 2a 118 10.7. ELEVAMENTO A POTENZA DI MONOMI 2. Nella moltiplicazione il grado del prodotto di più monomi non nulli è la somma dei gradi dei fattori. Esempio 10.6.2. Se moltiplichiamo il monomio 7a3 b2 , di grado 5, e il monomio 2a2 b4 c, di grado 7, otteniamo il monomio 14a5 b6 c che ha grado 12. 10.6.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 10.6.3. Semplifichiamo l’espressione Å 1 2 3 3 2 1 2 4 2 2 9 ab + ab − ab · a − a + a − ab · a2 = 2 3 4 5 2 5 3 4 ã Å ã 5 9 3 ab · a2 − a3 b = 12 10 2 3 3 3 3 9 a b − a b = − a3 b 8 2 8 10.6.2 Legge di annullamento del prodotto Nell’insieme dei monomi vale la legge di annullamento del prodotto. 10.7 Elevamento a potenza di monomi Definizione 10.7.1 (Potenza). La potenza con esponente un numero naturale di un monomio non nullo è il monomio che ha come coefficiente la potenza del coefficiente e, come parte letterale, la potenza di ogni fattore della parte letterale del monomio dato. Esempio 10.7.1. • (3a2 b3 )3 = 27a6 b9 perché elevando 3 alla terza si ottiene 27 elevando a2 alla terza si ottiene a6 elevando b3 alla terza si ottiene b9 . • (−2a3 bc5 )4 = 16a12 b4 c20 perché elevando −2 alla quarta si ottiene 16 elevando a3 alla quarta si ottiene a12 elevando b alla quarta si ottiene b4 elevando c5 alla quarta si ottiene c20 . • (−3ab3 )0 = 1 perché elevando −3 alla 0 si ottiene 1 elevando a alla 0 si ottiene 1 elevando b3 alla 0 si ottiene 1 Osservazione Il monomio nullo elevato a un numero naturale non nullo è il momonio nullo, il monomio nullo elevato a 0 non ha significato. 119 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.7.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione 3. addizione, sottrazione Esempio 10.7.2. Semplifichiamo l’espressione Å 1 3 2 a b 2 ã2 3 · ab2 · 4a − 4 ñÅ 2 3 ab 3 ã2 Å 3 2 · a 4 ã3 Ä 2 ä4 − a b 2 ·b ô = 1 6 4 3 2 4 27 a b · ab · 4a − a2 b6 · a6 − a8 b4 · b2 = 4 4 9 64 ï ò 3 8 6 3 8 6 a b − a b − a8 b6 = 4 16 ï ò 3 8 6 13 a b − − a8 b6 = 4 16 ï ò 3 8 6 13 8 6 25 8 6 a b + a b = a b 4 16 16 10.8 Divisibilità di monomi Definizione 10.8.1 (Divisibilità). Un monomio non nullo in forma normale si dice divisibile per un altro monomio non nullo in forma normale se l’esponente di ogni lettera del primo monomio è maggiore o uguale dell’esponente della corrispondente lettera del secondo monomio Osservazione Il monomio nullo è divisibile per qualunque monomio non nullo Esempio 10.8.1. • Il monomio 3ab è divisibile per −2a perché l’esponente della lettera a è uguale nel primo e nel secondo monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo monomio (è uguale a 1, mentre nel secondo è uguale a 0). 1 2 a b è divisibile per 3a perché l’esponente della lettera a è maggiore nel primo 2 monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo (è uguale a 1, mentre nel secondo è uguale a 0). • Il monomio • Il monomio −3a3 b è divisibile per 5 perché l’esponente della lettera a è maggiore nel primo monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo momomio. • Il monomio 3ab non è divisibile per 2a2 perché l’esponente della lettera a è minore nel primo monomio. 1 ab non è divisibile per 3ac perché l’esponente della lettera c è minore nel primo 2 momomio (è uguale a 0, mentre nel secondo è uguale a 1). • Il monomio 120 10.9. DIVISIONE DI MONOMI 10.9 Divisione di monomi Nell’insieme dei monomi la divisione si può effettuare solo se il primo monomio, detto dividendo, è divisibile per il secondo, detto divisore; il risultato della divisione si dice quoziente. In particolare, è sempre possibile effettuare la divisione di un monomio per un numero diverso da 0 perché le lettere del divisore hanno esponente 0. Definizione 10.9.1 (Quoziente). Il quoziente di due monomi, con il primo divisibile per il secondo, è il monomio che ha come coefficiente il quoziente dei coefficienti e, come parte letterale, il quoziente delle parti letterali dei monomi dati. Esempio 10.9.1. 5 • 5a2 b : (2a) = ab 2 5 è il quoziente dei coefficienti 5 e 2 2 a è il quoziente di a2 e a b è il quoziente di b e b0 . perché 3 4 3 3 9 • a3 bc : − abc = · − a2 = − a2 2 3 2 4 8 Å ã Å ã 9 3 4 è il quoziente dei coefficienti e − 8 2 3 a2 è il quoziente di a3 e a le lettere b e c non compaiono nel risultato perché b : b = 1 e c : c = 1 perché − 3 • −3a4 b : 2 = − a4 b 2 3 è il quoziente dei coefficienti −3 e 2 2 a4 è il quoziente di a4 e a0 b è il quoziente di b e b0 . Quindi nella divisione tra un monomio e un numero, si effettua il quoziente dei coefficienti e si riscrive la parte letterale del dividendo. perché − • −5a2 b3 : (2a2 b3 ) = − 5 2 5 è il quoziente dei coefficienti −5 e 2 2 le lettere a e b non compaiono perché a2 : a2 = 1 e b3 : b3 = 1 perché − • 0 : (5ab) = 0 Osservazioni 1. Il quoziente della divisione di due monomi simili è il quoziente dei coefficienti. 2 2 4 2 3 a b: ab = a2 b · ab 3 3 3 4 Å 2. ã perché si è effettuato il reciproco solo del coefficiente e non della parte letterale; il procedimento corretto è: 2 2 4 2 3 1 a b: ab = · a = a 3 3 3 4 2 Å ã quindi si deve moltiplicare il primo coefficiente per il reciproco del secondo ed effettuare contemporaneamente la divisione della parti letterali. 121 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.9.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 10.9.2. Semplifichiamo l’espressione Ä ä Ä ä (3xy)2 · x2 y 2 : −3xy 2 − −x2 y · 3xy − 2x3 y 2 = Ä ä Ä ä 9x2 y 2 · x2 y 2 : −3xy 2 − −3x3 y 2 − 2x3 y 2 = Ä ä Ä ä 9x4 y 4 : −3xy 2 − −5x3 y 2 = −3x3 y 2 + 5x3 y 2 = 2x3 y 2 10.10 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di monomi Definizione 10.10.1 (Massimo comune divisore). Il massimo comune divisore di due o più monomi non nulli è ogni monomio di grado massimo che sia divisore di tutti i monomi dati. In pratica il massimo comune divisore di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale il prodotto delle lettere comuni ai monomi dati con il minimo esponente e come coefficiente un numero qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il MCD dei coefficienti, se questi sono interi; si sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione. Esempio 10.10.1. • MCD(6a2 bc, 12a3 b2 , 18a2 b3 c4 ) = 6a2 b perché il massimo comune divisore dei coefficienti è uguale a 6 le lettere comuni a tutti i monomi sono a e b il minimo esponente della lettera a è 2 il minimo esponente della lettera b è 1 La lettera c non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi. • MCD Å 1 2 2 a b , 3a4 b2 c, 4a2 b3 = a2 b2 2 ã infatti, poiché nei coefficienti compare una frazione, si sceglie 1 come coefficiente le lettere comuni a tutti i monomi sono a e b il minimo esponente della lettera a è 2 il minimo esponente della lettera b è 2 La lettera c non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi • MCD(−4a2 b2 c, −8a4 c, 6a2 bc) = 2a2 c perché il MCD dei coefficienti è uguale a 2 le lettere comuni a tutti i monomi sono a e c il minimo esponente della lettera a è 2 il minimo esponente della lettera c è 1 La lettera b non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi 122 10.11. POLINOMI • MCD(3a2 b, 5c3 ) = 1 perché il MCD dei coefficienti è uguale a 1 e non ci sono lettere comuni. Definizione 10.10.2 (Minimo comune multiplo). Il minimo comune multiplo di due o più monomi non nulli è ogni monomio non nullo di grado minimo che sia divisibile per tutti i monomi dati. In pratica il minimo comune multiplo di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale il prodotto delle lettere comuni e non comuni con il massimo esponente e come coefficiente un numero qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il mcm dei coefficienti, se questi sono interi; si sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione. Esempio 10.10.2. • mcm(2a2 c, 12a4 b2 , 18ab3 c4 ) = 36a4 b3 c4 perché il mcm dei coefficienti è uguale a 36 il massimo esponente della lettera a è 4 il massimo esponente della lettera b è 3 il massimo esponente della lettera c è 4. • mcm Å 2 2 3 1 ab c , 2ab2 c2 , a2 b3 = a2 b3 c3 3 2 ã infatti, poiché compare una frazione, si sceglie 1 come coefficiente il massimo esponente della lettera a è 2 il massimo esponente della lettera b è 3 il massimo esponente della lettera c è 3. • mcm(−4a3 b3 c, −8a5 c2 , 2a2 bc) = 8a5 b3 c2 perché il mcm dei coefficienti è uguale a 8 il massimo esponente della lettera a è 5 il massimo esponente della lettera b è 3 il massimo esponente della lettera c è 2. 10.11 Polinomi Definizione 10.11.1 (Polinomio). Si dice polinomio la somma algebrica di più monomi. Esempio 10.11.1. 2 1 1 3ab + 2b + 7ab, ab2 − 3a2 b + , 3aba + ab2 − 1 3 2 2 sono polinomi Osservazione Anche i monomi sono dei polinomi; infatti i monomi si possono considerare polinomi formati dalla somma del monomio e di monomi nulli. Il polinomio 5a2 + 0 si può scrivere 5a2 perché abbiamo tralasciato il monomio nullo. Quindi anche i numeri, essendo dei monomi, si possono considerare polinomi. Esempio 10.11.2. • a2 b 3c non è un polinomio perché è formata dal rapporto tra due monomi e non dalla loro somma algebrica; 123 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • a−2 + 2a + 5 non è un polinomio perché l’esponente della lettera a non è un numero naturale, ma un numero intero e quindi a−2 non è un monomio. I monomi che compongono il polinomio si dicono termini del polinomio. Osservazione Gli elementi che compongono i monomi si dicono fattori, gli elementi che compongono i polinomi si dicono termini. In 3ab + 2c sono fattori 3, a, b, 2, c, mentre 3ab, 2c sono termini del polinomio. Questa distinzione sarà utile quando in seguito si tratterà la semplificazione delle frazioni algebriche. 10.11.1 Polinomi in forma normale Definizione 10.11.2 (Polinomio in forma normale). Un polinomio si dice in forma normale quando i suoi termini sono tutti in forma normale e non ci sono monomi simili Esempio 10.11.3. • il polinomio 1 3a2 b + a − 3 2 è in forma normale perché è formato da tre monomi in forma normale non simili. • il polinomio 1 2 a b + 2a + 3a2 b 3 non è in forma normale perché il primo e il terzo monomio sono simili. • il polinomio 3ab2 + 5aba non è in forma normale perché il secondo monomio non è in forma normale Ogni polinomio può sempre essere scritto in forma normale: è sufficiente scrivere in forma normale i monomi che lo compongono e sommare i monomi simili. Esempio 10.11.4. 1 3 • Per scrivere in forma normale il polinomio ab2 + 3ab − 5ab + ab2 , si sommano i monomi 2 2 1 2 3 2 ab , ab ottenendo 2ab, e i monomi 3ab, −5ab, ottenendo −2ab, quindi il polinomio in forma 2 2 normale è: 2ab2 − 2ab • Per scrivere in forma normale il polinomio 2a2 ba3 c + 3a + 2, si scrive in forma normale il primo monomio ottenendo 2a5 bc, quindi il polinomio in forma normale è: 2a5 bc + 3a + 2 1 2 ab + 5a2 b, si scrive in forma normale il 2 primo monomio, ottenendo 3a2 b, poi si sommano il primo e il terzo monomio, ottenendo 8a2 b, quindi il polinomio in forma normale è: • Per scrivere in forma normale il polinomio 3aba − 1 8a2 b − ab2 2 124 10.11. POLINOMI Tra i polinomi in forma normale, quelli aventi come termini tutti monomi nulli sono detti polinomi nulli. Esempio 10.11.5. I polinomi 0, 0ab, 0a2 b3 c + 0 + 0ac sono polinomi nulli perché sono formati da monomi nulli Un polinomio in forma normale costituito da due termini si dice binomio, costituito da tre termini si dice trinomio, costituito da quattro termini di dice quadrinomio. Esempio 10.11.6. • 2a3 − b2 è un binomio perché è costituito da 2 termini. • a2 + 2ab + b2 è un trinomio perché è costituito da 3 termini. • x3 + x2 + x + 1 è un quadrinomio perché è costituito da 4 termini. 10.11.2 Grado di un polinomio Definizione 10.11.3 (Grado di un polinomio). Si dice grado di un polinomio non nullo in forma normale il massimo dei gradi dei suoi termini. Esempio 10.11.7. 1 • Il polinomio a3 b4 + a2 b − 3a5 ha grado 7, infatti il primo termine ha grado 7, il secondo ha 2 grado 3, il terzo ha grado 5, quindi il massimo è 7. • Il polinomio 3a3 + 2a2 b + 5b3 ha grado 3, infatti tutti i termini hanno grado 3, quindi il massimo è 3. • Il polinomio 2a2 b ha grado 3, infatti l’unico suo termine ha grado 3. Definizione 10.11.4 (Termine noto). Si dice termine noto di un polinomio il termine di grado 0 Esempio 10.11.8. 1 • Il termine noto del polinomio a3 b4 + a2 b − 3 è −3. 2 • Il polinomio 3a2 b + 3ab non ha termine noto Definizione 10.11.5 (Grado rispetto a una lettera di un polinomio). Si dice grado rispetto a una lettera di un polinomio non nullo in forma normale il massimo esponente di quella lettera Esempio 10.11.9. 1 Il polinomio a3 b2 c − a4 b + 3ac5 + 2a3 ha grado 4 rispetto alla lettera a, grado 2 rispetto alla lettera 2 b, grado 5 rispetto alla lettera c, grado 0 rispetto a tutte le altre lettere 125 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.11.3 Polinomi omogenei, ordinati, completi Definizione 10.11.6 (Polinomio omogeneo). Un polinomio in forma normale si dice omogeneo se tutti i suoi termini hanno lo stesso grado Esempio 10.11.10. • Il polinomio a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 è omogeneo perché tutti i suoi termini hanno grado 3. • Il polinomio 4ab + 2xy è omogeneo perché tutti i suoi termini hanno grado 2. • Il polinomio a3 + a2 non è omogeneo perché il primo termine ha grado 3 e il secondo ha grado 2. • Il polinomio x3 + x2 y + xy 2 + 1 non è omogeneo perché i primi tre termini hanno grado 3 ma l’ultimo ha grado 0. Definizione 10.11.7 (Polinomio ordinato). Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto a una lettera se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non aumentano. Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze crescenti rispetto a una lettera se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non diminuiscono. Esempio 10.11.11. • Il polinomio a3 c + 3a2 bc3 + ab5 c2 è ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a, è ordinato secondo le potenze crescenti rispetto alla lettera b, non è ordinato rispetto alla lettera c. • Il polinomio a3 + a2 + 1 è ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a • Il polinomio 2x3 + y 4 + xy + x2 y 2 non è ordinato rispetto ad alcuna lettera. Un polinomio non ordinato lo si può rendere ordinato rispetto ad una lettera spostando i termini in modo che gli esponenti di quella lettera diventino crescenti o decrescenti. Esempio 10.11.12. Per ordinare secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a il polinomio a2 + 3a3 b − a + 2ab2 è sufficiente scambiare i primi due termini ottenendo 3a3 b + a2 − a + 2ab2 Definizione 10.11.8 (Polinomio completo). Un polinomio in forma normale si dice completo rispetto ad una lettera se essa vi compare con tutte le potenze da quella di grado maggiore a quella di grado 0. Esempio 10.11.13. • Il polinomio 3x3 + x + 2x2 + 3 è completo rispetto alla lettera x perché essa compare con gli esponenti 3, 2, 1, 0. • Il polinomio x2 + 2xy + y 2 è completo sia rispetto alla lettera x sia rispetto alla lettera y perché esse compaiono con gli esponenti 2, 1, 0. • Il polinomio b3 + b2 + 5 non è completo rispetto alla lettera b perché manca il termine con esponente 1. • Il polinomio a3 +b2 a+ba2 è completo rispetto alla lettera b perché essa compare con gli esponenti 2, 1, 0; non è completo rispetto alla lettera a perché manca il termine con esponente 0. 126 10.12. ADDIZIONE DI POLINOMI 10.11.4 Polinomi uguali Definizione 10.11.9 (Polinomi uguali). Due polinomi in forma normale sono uguali se hanno gli stessi termini indipendentemente dall’ordine. Esempio 10.11.14. 1 1 • I polinomi 3a2 b − a3 b + 5 e 5 + 3a2 b − a3 b sono uguali perché hanno gli stessi termini anche 2 2 se sono scritti in ordine diverso. • I polinomi 3x2 + x e 3x2 + x sono uguali perché hanno gli stessi termini. • I polinomi xy + x e x + yx sono uguali perché hanno gli stessi termini. • I polinomi y 2 + 2x e x2 + 2y non sono uguali perché i termini sono diversi 10.12 Addizione di polinomi Nell’insieme dei polinomi l’addizione si può sempre effettuare; il risultato dell’addizione si dice somma. Definizione 10.12.1 (Somma). La somma di due polinomi è il polinomio formato da tutti i termini dei polinomi dati. Eventuali termini simili vengono addizionati tra loro. Osservazioni 1. L’addizione di polinomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento opposto. 2. Per effettuare la somma può essere utile sottolineare con segni uguali i termini simili. Inoltre può essere utile ordinare il polinomio somma secondo le potenze decrescenti rispetto ad una lettera. Esempio 10.12.1. • (3a + 5ab + b2 ) + (a2 − 7a2 b) = 3a + 5ab + b2 + a2 − 7a2 b non essendoci monomi simili, si sono riscritti tutti i termini. • (3x2 + 2x + 5) + (−5x3 + 2x2 + 6) = 3x2 + 2x + 5 − 5x3 + 2x2 + 6 = −5x3 + 5x2 + 2x + 11 infatti, nel primo passaggio si sono riscritti tutti i termini, nel secondo passaggio si sono sommati i monomi simili e si è ordinato il polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera x. • (2x2 y − 3x + 5) + (−3x2 y + x2 ) + (5x − 2 + x2 ) = 2x2 y − 3x + 5 − 3x2 y + x2 + 5x − 2 + x2 = −x2 y + 2x2 + 2x + 3 infatti, nel primo passaggio si sono riscritti tutti i termini, nel secondo passaggio si sono sommati i monomi simili e si è ordinato il polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera x. 127 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.13 Opposto di un polinomio Definizione 10.13.1 (Opposto). Si dice opposto di un polinomio il polinomio che, addizionato a quello dato, dà come somma il polinomio nullo. Osservazione L’opposto di un polinomio si indica ponendo il segno − davanti al polinomio racchiuso tra parentesi ed è uguale al polinomio che per termini gli opposti dei termini del polinomio dato. Esempio 10.13.1. L’opposto del polinomio a3 + 3a2 − 2 è −(a3 + 3a2 − 2) = −a3 − 3a2 + 2 infatti a3 + 3a2 − 2 − a3 − 3a2 + 2 = 0 Osservazione Il segno − davanti ad una parentesi cambia i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi. 10.14 Sottrazione di polinomi La sottrazione, nell’insieme dei polinomi, si può sempre effettuare. Il risultato della sottrazione si dice differenza. Definizione 10.14.1 (Differenza). La differenza di due polinomi è il polinomio che si ottiene addizionando al primo l’opposto del secondo. Esempio 10.14.1. 1 1 2a − ab + 3b3 − 2a + a2 b − b3 = 2a − ab + 3b3 − 2a − a2 b + b3 = 2 2 Å ã 7 −a2 b − ab + b3 2 infatti nel primo passaggio il segno − davanti alla parentesi fa cambiare i segni dei coefficienti dei termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i monomi simili e il polinomio viene ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a. Osservazione La differenza di due polinomi uguali è il polinomio nullo Esempio 10.14.2. −3x2 − x − 5 − (−3x2 − x − 5) = −3x2 − x − 5 + 3x2 + x + 5 = 0 infatti nel primo passaggio il segno − davanti alla parentesi fa cambiare i segni dei coefficienti dei termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i monomi simili che, essendo opposti, danno come risultato 0 La sottrazione e l’addizione di polinomi possono essere considerate un’unica operazione che si dice addizione algebrica. Esempio 10.14.3. 3a2 + 2a + a2 + a + 5 − (3a + 2) = 3a2 + 2a + a2 + a + 5 − 3a − 2 = 4a2 + 3 infatti nel primo passaggio vengono riscritti i termini tenendo conto che il segno − davanti alla parentesi fa cambiare i segni dei coefficienti dei termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i monomi simili e il polinomio viene ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a. 128 10.15. MOLTIPLICAZIONE DI POLINOMI 10.15 Moltiplicazione di polinomi La moltiplicazione, nell’insieme dei polinomi, si può sempre effettuare. Consideriamo la seguente moltiplicazione di un monomio per un polinomio: a · (b + c) applicando la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione si ottiene: a·b+a·c Il risultato della moltiplicazione si dice prodotto. Definizione 10.15.1 (Prodotto di un monomio per un polinomio). Il prodotto di un monomio per un polinomio è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando il monomio per ogni termine del polinomio dato. Esempio 10.15.1. 2a2 b · (3a2 − 2ab) = 6a4 b − 4a3 b2 infatti si è moltiplicato il monomio per ognuno dei termini del polinomio. Osservazione Poiché vale la proprietà commutativa della moltiplicazione, è indifferente che il monomio moltiplichi il polinomio o viceversa. Esempio 10.15.2. Å 1 2 1 1 x + 3x · ab = abx2 + abx 2 3 6 ã infatti si è moltiplicato il monomio per ognuno dei termini del polinomio. Consideriamo la seguente moltiplicazione di due polinomi: (a + b) · (c + d) applicando la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione e considerando la seconda parentesi come un unico termine, si ottiene: a · (c + d) + b · (c + d) applicando ancora la stessa proprietà si ottiene: ac + ad + bc + bd Nella pratica si salta il passaggio intermedio. Definizione 10.15.2 (Prodotto). Il prodotto di due polinomi è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando ogni termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio. Osservazioni 1. La moltipliazione di polinomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro. 2. Se dopo aver effettuato la moltiplicazione si hanno dei monomi simili, questi si sommano. 3. Il grado del polinomio prodotto di due polinomi non nulli è uguale alla somma dei gradi dei polinomi dati. Esempio 10.15.3. 129 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • (3ax2 + 2x) · (2a + 3x) = 6a2 x2 + 9ax3 + 4ax + 6x2 infatti si è moltiplicato il primo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio, poi si è moltiplicato il secondo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio; essendo i polinomi formati da due termini, il risultato ha 2 · 2 = 4 termini, e, poiché il primo polinomio ha grado 3 e il secondo ha grado 1, il prodotto ha grado 3 + 1 = 4 • (a2 b + 2ab2 + b) · (a + b) = a3 b + a2 b2 + 2a2 b2 + 2ab3 + ab + b2 = a3 b + 3a2 b2 + 2ab3 + ab + b2 infatti si è moltiplicato ogni termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio; dopo aver effettuato la moltiplicazione si sono sommati i monomi simili e si è ordinato il polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a; il grado del polinomio prodotto è 4. Osservazioni 1. Negli esempi si è fatta la scelta di moltiplicare il primo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio, poi il secondo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio e così via. È anche possibile moltiplicare tutti i termini del primo polinomio per il primo termine del secondo polinomio, poi tutti i termini del primo polinomio per il secondo termine del secondo polinomio e così via. Nel primo prodotto di polinomi dell’esempio precedente, procedendo in questo modo, si ottiene: (3ax2 + 2x) · (2a + 3x) = 6a2 x2 + 4ax + 9ax3 + 6x2 che coincide con il risultato trovato precedentemente. 2. Se dobbiamo moltiplicare tre polinomi, se ne moltiplicano due di loro e il risultato lo si moltiplica per il terzo. Poiché valgono le proprietà commutativa e associativa della moltiplicazione, la scelta dell’ordine secondo il quale moltiplicare i polinomi è libera. Dopo aver moltiplicato due polinomi, è utile sommare eventuali termini simili. Nella moltiplicazione di tre polinomi, il prodotto dei primi due deve essere racchiuso tra parentesi altrimenti solo un termine moltiplicherebbe il terzo polinomio. Esempio 10.15.4. (a + b) · (c + d) · (e + f ) = (ac + ad + bc + bd) · (e + f ) = ace + acf + ade + adf + bce + bcf + bde + bdf È errato scrivere (a + b) · (c + d) · (e + f ) = ac + ad + bc + bd · (e + f ) = ac + ad + bc + bde + bdf Esempio 10.15.5. • (3x2 + 2x) · (x − 2) · (x2 − x − 1) Moltiplicando i primi due polinomi si ottiene (3x3 − 6x2 + 2x2 − 4x) · (x2 − x − 1) Sommando i termini simili si ottiene (3x3 − 4x2 − 4x) · (x2 − x − 1) Moltiplicando i due polinomi si ottiene 3x5 − 3x4 − 3x3 − 4x4 + 4x3 + 4x2 − 4x3 + 4x2 + 4x Sommando i termini simili si ottiene 3x5 − 7x4 − 3x3 + 8x2 + 4x 130 10.16. PRODOTTI NOTEVOLI • (a − 2b) · (a + b) · (2a + b) · (2a − b) Moltiplicando rispettivamente, i primi due polinomi e il terzo e il quarto si ottiene (a2 + ab − 2ab − 2b2 ) · (4a2 − 2ab + 2ab − b2 ) Sommando i termini simili si ottiene (a2 − ab − 2b2 ) · (4a2 − b2 ) Moltiplicando i due polinomi si ottiene 4a4 − a2 b2 − 4a3 b + ab3 − 8a2 b2 + 2b4 Sommando i termini simili si ottiene 4a4 − 4a3 b − 9a2 b2 + ab3 + 2b4 Osservazione Se dobbiamo moltiplicare un monomio per due polinomi è consigliabile, per evitare errori, eseguire prima il prodotto dei due polinomi e poi moltiplicare il monomio per il prodotto ottenuto. Esempio 10.15.6. 2x · (x + 2) · (x + 3) Moltiplicando i due polinomi si ottiene 2x · (x2 + 3x + 2x + 6) Sommando i termini simili si ottiene 2x · (x2 + 5x + 6) Moltiplicando il monomio per il polinomio si ottiene 2x3 + 10x2 + 12x 10.15.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 10.15.7. Semplifichiamo l’espressione (2a + b) · (a − b) − 3a · (2a − b) + 4a2 = 2a2 − 2ab + ab − b2 − 6a2 + 3ab + 4a2 = −b2 + 2ab 10.16 Prodotti notevoli Alcune moltiplicazioni e potenze di polinomi rivestono una particolare importanza e si dicono prodotti notevoli. Questi prodotti e le potenze, dopo averle trasformate in prodotti, si potrebbero calcolare con il metodo visto precedentemente, cioè moltiplicando ogni termine di un polinomio per ogni termine dell’altro polinomio e poi sommando i termini simili; tuttavia è possibile scrivere direttamente il risultato finale omettendo i passaggi intermedi. In questo modo si velocizza la risoluzione delle espressioni algebriche; inoltre i prodotti notevoli rivestiranno un ruolo importante nella scomposizione in fattori dei polinomi. 131 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.16.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione 3. addizione, sottrazione 10.16.2 Somma di due monomi per la loro differenza (a + b) · (a − b) = a2 − ab + ab − b2 = a2 − b2 Teorema 10.16.1 (Somma per differenza). Il prodotto della somma di due monomi per la loro differenza è uguale alla differenza fra il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno e il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno: (a + b) · (a − b) = a2 − b2 Esempio 10.16.1. • (a + 5)(a − 5) = a2 − 25 infatti: a2 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno 25 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno • (−2a + b3 )(−2a − b3 ) = 4a2 − b6 infatti: 4a2 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno b6 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno • (−y + 3)(y + 3) = 9 − y 2 infatti: 9 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno y 2 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno • Semplifichiamo l’espressione (2a + 3)(2a − 3)(4a2 + 9) = (4a2 − 9)(4a2 + 9) = 16a4 − 81 • Semplifichiamo l’espressione (2a + 1)(2a − 1) − 4(a + 3)(a − 3) = 4a2 − 1 − 4(a2 − 9) = 4a2 − 1 − 4a2 + 36 = 35 • Semplifichiamo l’espressione 2xy + (x + y)(x − y)](3x − 2y) − x(4xy − 7y 2 + 3x2 ) = (2xy + x2 − y 2 )(3x − 2y) − 4x2 y + 7xy 2 − 3x3 = 6x2 y − 4xy 2 + 3x3 − 2x2 y − 3xy 2 + 2y 3 − 4x2 y + 7xy 2 − 3x3 = 2y 3 132 10.16. PRODOTTI NOTEVOLI 10.16.3 Quadrato di un binomio (a + b)2 = (a + b) · (a + b) = a2 + ab + ab + b2 = a2 + 2ab + b2 Teorema 10.16.2 (Quadrato di un binomio). Il quadrato di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei due termini e del loro doppio prodotto: (a + b)2 = a2 + 2ab + b2 Osservazione I due quadrati hanno sempre coefficiente positivo; il coefficiente del doppio prodotto è positivo se i coefficienti dei due termini hanno lo stesso segno, negativo in caso contrario. Per calcolare il doppio prodotto si effettua il prodotto tra i due termini e lo si moltiplica per 2. Esempio 10.16.2. • (a + 5)2 = a2 + 10a + 25 infatti: a2 e 25 sono i quadrati dei due termini a e 5 10a è il loro doppio prodotto: 2 · a · 5 • (2a − 3)2 = 4a2 − 12a + 9 infatti: 4a2 e 9 sono i quadrati dei due termini 2a e −3 −12a è il loro doppio prodotto: 2 · 2a · (−3) • (−3y − x2 )2 = 9y 2 + 6x2 y + x4 • Semplifichiamo l’espressione (2b − 3)2 − (b + 1)2 − 5(b2 + 2) = 4b2 − 12b + 9 − (b2 + 2b + 1) − 5b2 − 10 = 4b2 − 12b + 9 − b2 − 2b − 1 − 5b2 − 10 = −2b2 − 14b − 2 • Semplifichiamo l’espressione (2x − 3)2 (x + 1) − (x + 2)(x − 3)2 + x2 (4 − 3x) = (4x2 − 12x + 9)(x + 1) − (x + 2)(x2 − 6x + 9) + 4x2 − 3x3 = 4x3 + 4x2 − 12x2 − 12x + 9x + 9 − (x3 − 6x2 + 9x + 2x2 − 12x + 18) + 4x2 − 3x3 = 4x3 − 8x2 − 3x + 9 − x3 + 6x2 − 9x − 2x2 + 12x − 18 + 4x2 − 3x3 = −9 • Semplifichiamo l’espressione (a − b + 5)(a + b − 5) = (a − (b − 5))(a + (b − 5)) = a2 − (b − 5)2 = a2 − (b2 − 10b + 25) = a2 − b2 + 10b − 25 133 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • Semplifichiamo l’espressione (x + 3)2 (x − 3)2 − ((2x + 3)2 + x2 (x − 2)(x + 2) − 12x) = ((x + 3)(x − 3))2 − (4x2 + 12x + 9 + x2 (x2 − 4) − 12x) = (x2 − 9)2 − (4x2 + 12x + 9 + x4 − 4x2 − 12x) = x4 − 18x2 + 81 − 9 − x4 = −18x2 + 72 Osservazione È errato scrivere (a + b)2 = a2 + b2 cioè, per elevare al quadrato una somma, è errato elevare al quadrato solo i termini della somma. Infatti (2 + 3)2 = 52 = 25 mentre 22 + 32 = 4 + 9 = 13 quello che manca è il doppio prodotto 12 che sommato a 13 dà 25. 10.16.4 Quadrato di un trinomio (a + b + c)2 = (a + b + c)(a + b + c) = a2 + ab + ac + ab + b2 + bc + ac + bc + c2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc Teorema 10.16.3 (Quadrato di un trinomio). Il quadrato di un trinomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei tre termini e dei tre loro doppi prodotti: (a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc Osservazione I tre quadrati hanno sempre coefficiente positivo, i coefficienti dei doppi prodotti sono positivi se i coefficienti dei due termini hanno lo stesso segno, negativi in caso contrario. Esempio 10.16.3. • (a2 + b + 1)2 = a4 + b2 + 1 + 2a2 b + 2a2 + 2b infatti: a4 , b2 , 1 sono i quadrati di a2 , b e 1 2a2 b è il doppio prodotto del primo termine per il secondo: 2 · a2 · b 2a2 è il doppio prodotto del primo termine per il terzo: 2 · a2 · 1 2b è il doppio prodotto del secondo termine per il terzo: 2 · b · 1 • (2x − y + xy)2 = 4x2 + y 2 + x2 y 2 − 4xy + 4x2 y − 2xy 2 infatti: 4x2 , y 2 , x2 y 2 sono i quadrati di 2x, −y e xy −4xy è il doppio prodotto del primo termine per il secondo 4x2 y è il doppio prodotto del primo termine per il terzo −2xy 2 è il doppio prodotto del secondo termine per il terzo 134 10.16. PRODOTTI NOTEVOLI • Semplifichiamo l’espressione (x + 2 + y)2 − (x + 2)(2y + 4) = x2 + 4 + y 2 + 4x + 2xy + 4y − (2xy + 4x + 4y + 8) = x2 + 4 + y 2 + 4x + 2xy + 4y − 2xy − 4x − 4y − 8 = x2 + y 2 − 4 • Semplifichiamo l’espressione (a + 3)2 (2a − 1)2 − (2a + 13)(2a3 + a2 ) + 2a(15 + 4a2 ) = ((a + 3)(2a − 1))2 − (4a4 + 2a3 + 26a3 + 13a2 ) + 30a + 8a3 = (2a2 + 5a − 3)2 − 4a4 − 2a3 − 26a3 − 13a2 + 30a + 8a3 = 4a4 + 25a2 + 9 + 20a3 − 12a2 − 30a − 4a4 − 2a3 − 26a3 − 13a2 + 30a + 8a3 = 9 • Semplifichiamo l’espressione (x2 + x + 1)2 − (x2 − 1)2 + (x + 1)(x − 1) − 3(x + 1)(2x − 2) = x4 + x2 + 1 + 2x3 + 2x2 + 2x − (x4 − 2x2 + 1) + x2 − 1 − 3(2x2 − 2) = x4 + x2 + 1 + 2x3 + 2x2 + 2x − x4 + 2x2 − 1 + x2 − 1 − 6x2 + 6 = 2x3 + 2x + 5 • Semplifichiamo l’espressione (1 + x + xn )2 − (xn + 2)(xn + 2x) = 1 + x2 + x2n + 2x + 2xn + 2xn+1 − (x2n + 2xn+1 + 2xn + 4x) = 1 + x2 + x2n + 2x + 2xn + 2xn+1 − x2n − 2xn+1 − 2xn − 4x = x2 − 2x + 1 10.16.5 Cubo di un binomio (a + b)3 = (a + b)2 (a + b) = (a2 + 2ab + b2 )(a + b) = a3 + a2 b + 2a2 b + 2ab2 + ab2 + b3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 Teorema 10.16.4 (Cubo di un binomio). Il cubo di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei cubi dei due termini, del triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo e del triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: (a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 Esempio 10.16.4. • (a + 2)3 = a3 + 6a2 + 12a + 8 infatti: a3 e 8 sono i cubi di a e 2 6a2 è il triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo: 3 · a2 · 2 12a è il triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: 3 · a · 22 135 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • (2x − 3)3 = 8x3 − 36x2 + 54x − 27 infatti: 8x3 e −27 sono i cubi di 2x e −3 −36x2 è il triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo: 3 · (2x)2 · (−3) 54x è il triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: 3 · 2x · (−3)2 • Semplifichiamo l’espressione (2x − 1)3 − (4x2 + 1)(2x − 1) = 8x3 − 12x2 + 6x − 1 − (8x3 − 4x2 + 2x − 1) = 8x3 − 12x2 + 6x − 1 − 8x3 + 4x2 − 2x + 1) = −8x2 + 4x • Semplifichiamo l’espressione Å 1 1 axy − ab2 2 3 ã3 1 1 1 1 1 − a3 x2 y 2 xy − b2 + a3 b4 − xy + b2 = 4 2 3 2 9 Å ã Å ã 1 1 1 1 1 1 3 3 3 1 3 2 2 2 1 3 a x y − a x y b + a xyb4 − a3 b6 − a3 x3 y 3 + a3 x2 y 2 b2 − a3 b4 xy + =0 8 4 6 27 8 4 6 27a3 b6 • Semplifichiamo l’espressione (a + 2)3 + (a + 3)(a − 3) + 2(a − 1)2 − 9a2 = a3 + 6a2 + 12a + 8 + a2 − 9 + 2(a2 − 2a + 1) − 9a2 = a3 + 6a2 + 12a + 8 + a2 − 9 + 2a2 − 4a + 2 − 9a2 = a3 + 8a + 1 Osservazione È errato scrivere (a + b)3 = a3 + b3 10.16.6 Somma di cubi (a + b) · (a2 − ab + b2 ) = a3 − a2 b + ab2 + a2 b − ab2 + b3 = a3 + b3 Teorema 10.16.5 (Somma di cubi). Il prodotto della somma di due monomi per il polinomio formato dalla somma dei loro quadrati diminuito del loro prodotto è uguale alla somma dei loro cubi (a + b) · (a2 − ab + b2 ) = a3 + b3 Esempio 10.16.5. • (a + 2)(a2 − 2a + 4) = a3 + 8 infatti: a3 è il cubo del primo monomio 8 è il cubo del secondo monomio • (3x2 + y 3 )(9x4 − 3x2 y 3 + y 6 ) = 27x6 + y 9 infatti: 27x6 è il cubo del primo monomio y 9 è il cubo del secondo monomio 136 10.16. PRODOTTI NOTEVOLI • Semplifichiamo l’espressione (a + 1)(a2 − a + 1) − a(a2 + 1) = a3 + 1 − a3 − a = 1 − a • Semplifichiamo l’espressione (a2 + b2 − ab)(a2 + b2 + ab + a + b) − (a2 + b2 )2 − (a + b)(a2 + b2 − ab) = a4 +a2 b2 +a3 b+a3 +a2 b+a2 b2 +b4 +ab3 +ab2 +b3 −a3 b−ab3 −a2 b2 −a2 b−ab2 −(a4 +2a2 b2 +b4 )−(a3 +b3 ) = a4 + a2 b2 + a3 + b4 + b3 − a4 − 2a2 b2 − b4 − a3 − b3 = −a2 b2 10.16.7 Differenza di cubi (a − b) · (a2 + ab + b2 ) = a3 + a2 b + ab2 − a2 b − ab2 − b3 = a3 − b3 Teorema 10.16.6 (Differenza di cubi). Il prodotto della differenza di due monomi per il polinomio formato dalla somma dei loro quadrati e del loro prodotto è uguale alla differenza dei loro cubi (a − b) · (a2 + ab + b2 ) = a3 − b3 Esempio 10.16.6. • (a − 3)(a2 + 3a + 9) = a3 − 27 infatti: a3 è il cubo del primo monomio 27 è il cubo del secondo monomio • (2x2 y − y 2 )(4x4 y 2 + 2x2 y 3 + y 4 ) = 8x6 y 3 − y 6 infatti: 8x6 y 3 è il cubo del primo monomio y 6 è il cubo del secondo monomio • Semplifichiamo l’espressione (2a − 3)(4a2 + 6a + 9) − 2a(2a − 1)(2a + 3) = 8a3 − 27 − 2a(4a2 + 6a − 2a − 3) = 8a3 − 27 − 8a3 − 12a2 + 4a2 + 6a = −8a2 + 6a − 27 • Semplifichiamo l’espressione (x + y)(x2 − xy + y 2 ) + (x − y)(x2 + xy + y 2 ) = x3 + y 3 + x3 − y 3 = 2x3 • Semplifichiamo l’espressione (x2 + 1)(x + 1)(x − 1) − x3 (x − 1) − (x − 1)(x2 + x + 1) = (x2 + 1)(x2 − 1) − x4 + x3 − (x3 − 1) = x4 − 1 − x4 + x3 − x3 + 1 = 0 137 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.16.8 Potenza di un binomio Abbiamo già calcolato alcune potenze di un binomio: il quadrato e il cubo. Le formule ricavate si possono generalizzare per calcolare altre potenze di un binomio. Dato il binomio a + b scriviamo le potenze con esponente 0, 1, 2, 3: (a + b)0 = 1 (a + b)1 = a + b (a + b)2 = a2 + 2ab + b2 (a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 Possiamo notare che si ottengono dei polinomi con le seguenti caratteristiche: 1. il numero dei termini è uguale all’esponente aumentato di 1; 2. sono polinomi omogenei di grado uguale all’esponente; 3. sono polinomi completi e ordinati in modo decrescente rispetto alla lettera a; 4. sono polinomi completi e ordinati in modo crescente rispetto alla lettera b. Per determinare i coefficienti dei termini di questi polinomi si utilizza il triangolo di Tartaglia che si costruisce nel seguente modo: 1. la prima riga è formata solo da un 1; 2. la seconda riga è formata da 1 e 1; 3. le altre righe iniziano e terminano con 1 e gli altri numeri si ottengono sommando i due numeri più vicini della riga precedente. Esempio 10.16.7. Costruiamo le prime 6 righe del triangolo di Tartaglia: 1 1 1 1 1 2 3 5 1 3 6 4 1 1 10 1 4 10 1 5 1 Figura 10.1: triangolo di Tartaglia Analizzando, per esempio, la sesta riga si vede che: inizia con 1 e finisce con 1 il primo 5 è dato da 1 + 4 il primo 10 è dato da 4 + 6 il secondo 10 è dato da 6 + 4 il secondo 5 è dato da 4 + 1. 138 10.16. PRODOTTI NOTEVOLI La prima riga del triangolo di Tartaglia fornisce il coefficiente della potenza del binomio con esponente 0, la seconda i coefficienti della potenza del binomio con esponente 1, la terza i coefficienti della potenza del binomio con esponente 2, e così via. Osservazione Se si deve determinare la potenza di un binomio, è opportuno scrivere prima lo sviluppo della potenza del binomio a + b, poi adattarla all’esercizio specifico, sostituendo alla lettera a il primo termine e alla lettera b il secondo termine. Esempio 10.16.8. • (a2 + 2)4 Scriviamo lo sviluppo di (a + b)4 : (a + b)4 = a4 + 4a3 b + 6a2 b2 + 4ab3 + b4 infatti: i coefficienti sono quelli della quinta riga del triangolo di Tartaglia la lettera a ha come primo esponente 4 e poi gli esponenti decrescono fino a 0 la lettera b ha come primo esponente 0 e poi gli esponenti crescono fino a 4. Ora applichiamo questa formula al nostro caso particolare, sostituendo la lettera a con il primo termine, cioè a2 e la lettera b con il secondo termine, cioè 2: (a2 + 2)4 = (a2 )4 + 4(a2 )3 · 2 + 6(a2 )2 · 22 + 4(a2 ) · 23 + 24 Effettuiamo i calcoli e otteniamo: (a2 + 2)4 = a8 + 8a6 + 24a4 + 32a2 + 16 • (x − 3)5 Scriviamo lo sviluppo di (a + b)5 : (a + b)5 = a5 + 5a4 b + 10a3 b2 + 10a2 b3 + 5ab4 + b5 infatti: i coefficienti sono quelli della sesta riga del triangolo di Tartaglia la lettera a ha come primo esponente 5 e poi gli esponenti decrescono fino a 0 la lettera b ha come primo esponente 0 e poi gli esponenti crescono fino a 5. Ora applichiamo questa formula al nostro caso particolare, sostituendo la lettera a con il primo termine, cioè x e la lettera b con il secondo termine, cioè −3: (x − 3)5 = x5 + 5x4 · (−3) + 10x3 · (−3)2 + 10x2 · (−3)3 + 5x · (−3)4 + (−3)5 Effettuiamo i calcoli e otteniamo: (x − 3)5 = x5 − 15x4 + 90x3 − 270x2 + 405x − 243 • (bn − 1)5 = (bn )5 + 5(bn )4 (−1) + 10(bn )3 (−1)2 + 10(bn )2 (−1)3 + 5bn (−1)4 − 1 = b5n − 5b4n + 10b3n − 10b2n + 5bn − 1 139 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.17 Polinomi come funzioni Un polinomio in una lettera, per esempio 3x2 + 2x + 5, si può considerare come funzione della variabile x, in quanto per ogni valore attribuito alla variabile x il polinomio assume uno ed un solo valore. Un polinomio con due lettere, per esempio x2 y − 2xy 2 + 4y 3 , si può considerare come funzione delle due variabili x e y, in quanto per ogni valore attribuito alle variabili x e y, il polinomio assume uno e un solo valore. Quindi in generale ogni polinomio è una funzione delle variabili che lo costituiscono. Per indicare un polinomio generico nella variabile x, scriveremo A(x), B(x), P (x), Q(x), . . ., per indicare un polinomio generico nelle variabili x, y, scriveremo A(x, y), B(x, y), P (x, y), . . .. Osservazione A volte, in un polinomio con due lettere, una si può considerare variabile e l’altra costante; in questo caso il polinomio si considera in una variabile Esempio 10.17.1. • Dato il polinomio A(x) = x3 − 5x2 + 4 calcoliamo il valore assunto per x = 2 e per x = −3 Sostituiamo alla variabile x il valore 2: A(2) = 23 − 5 · 22 + 4 = −8 quindi per x = 2 il polinomio assume il valore −8. Sostituiamo alla variabile x il valore −3: A(−3) = (−3)3 − 5 · (−3)2 + 4 = −68 quindi per x = −3 il polinomio assume il valore −68. • Dato il polinomio A(x, y) = 3x2 y + 2y − 3x + 1 calcoliamo il valore assunto per x = −1 ∧ y = 4 Sostituiamo alla variabile x il valore −1 e alla variabile y il valore 4: A(−1, 4) = 3 · (−1)2 · 4 + 2 · 4 − 3 · (−1) + 1 = 24 quindi per x = −1 ∧ y = 4 il polinomio assume il valore 24. • Dato il polinomio A(x) = 3ax2 + x + a calcoliamo il valore assunto per x = a Sostituiamo alla variabile x il valore a: A(a) = 3a · (a)2 + a + a = 3a3 + 2a quindi per x = a il polinomio assume il valore 3a3 + 2a. 10.17.1 Principio di identità dei polinomi Teorema 10.17.1 (Principio di identità dei polinomi). Due polinomi sono uguali, se e solo se assumono lo stesso valore per qualsiasi valore assegnato alle variabili 140 10.18. DIVISIBILITÀ DI UN POLINOMIO PER UN MONOMIO 10.18 Divisibilità di un polinomio per un monomio Definizione 10.18.1 (Divisibilità). Un polinomio è divisibile per un monomio se ogni termine del polinomio è divisibile per il monomio. Esempio 10.18.1. • Il polinomio 3a2 b + a3 + 5a è divisibile per il monomio 2a perché ogni termine del polinomio è divisibile per 2a • Il polinomio 2x3 + 3x2 + 5x + 2 non è divisibile per il monomio 3x perché 2 non è divisibile per 3x 10.19 Divisione di un polinomio per un monomio Nell’insieme dei polinomi, a differenza delle operazioni precedenti, la divisione di un poliomio per un monomio si può effettuare solo se il polinomio, detto dividendo, è divisibile per il monomio, detto divisore; il risultato della divisione si dice quoziente. Inoltre, per poter effettuare la divisione, il monomio divisore deve essere diverso dal monomio nullo. In particolare, è sempre possibile effettuare la divisione di un polinomio per un numero diverso da 0. Definizione 10.19.1 (Quoziente). Il quoziente di un polinomio per un monomio, con il primo divisibile per il secondo, è il polinomio i cui termini si ottengono dividendo ogni termine del polinomio dato per il monomio. Esempio 10.19.1. 2 (3a3 b − 2ab2 + 3ab) : (3ab) = a2 − b + 1 3 10.19.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 10.19.2. Esempio 10.19.3. 1. Semplifichiamo l’espressione (10x3 + 5x2 ) : (5x) − (2x − 1)(x + 3) = 2x2 + x − (2x2 + 6x − x − 3) = 2x2 + x − 2x2 − 6x + x + 3 = −4x + 3 2. Semplifichiamo l’espressione (y + 2)2 − (y + y 2 + 2)2 + (y + 1)(y 3 + 8) + (y − 2)3 + 10y(−2 + y) = y 2 + 4y + 4 − (y 2 + y 4 + 4 + 2y 3 + 4y + 4y 2 ) + y 4 + 8y + y 3 + 8 + y 3 − 6y 2 + 12y − 8 − 20y + 10y 2 = y 2 + 4y + 4 − y 2 − y 4 − 4 − 2y 3 − 4y − 4y 2 + y 4 + 8y + y 3 + 8 + y 3 − 6y 2 + 12y − 8 − 20y + 10y 2 = 0 141 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 3. Semplifichiamo l’espressione ã2 Å ãå ä Å5 ã 9 2 3a + 5a : a −3 : a (5a + 10) − (3a + 3)2 = ÇÅ Ä 3 2 3 ÇÅ Å ã2 Å 9 a+3−3 5 9 81 2 a : a 25 5 Å ãã 5 ãå 9 : a 5 (5a + 10) − (9a2 + 18a + 9) = (5a + 10) − 9a2 − 18a − 9 = 9 a(5a + 10) − 9a2 − 18a − 9 = 5 9a2 + 18a − 9a2 − 18a − 9 = −9 10.20 Divisione di polinomi Teorema 10.20.1 (Quoziente e resto). Dati i polinomi A(x) di grado n e B(x) di grado m, con n detti rispettivamente quoziente e resto tali che: m, esistono due polinomi Q(x) e R(x) A(x) = B(x)Q(x) + R(x) con grado di R(x) minore di m I polinomi Q(x) e R(x) si determinano utilizzando un metodo simile a quello della divisione tra numeri naturali. Consideriamo la divisione di due numeri naturali Esempio 10.20.1. Determiniamo il quoziente e il resto di 429 : 2 429 2 4 214 02 2 09 8 1 Abbiamo ottenuto 214 come quoziente e 1 come resto. Il procedimento termina perché il resto è minore del divisore. Possiamo scrivere che 429 = 214 · 2 + 1, cioè in generale: Dividendo = Divisore · Quoziente + Resto Consideriamo ora la divisione di due polinomi, analizzando il procedimento con un esempio. Consideriamo polinomi con una sola lettera. Esempio 10.20.2. Determiniamo il quoziente e il resto di (8x2 + 3x3 + 4 + 7x) : (2 + 3x) Ordiniamo i polinomi secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera x: (3x3 + 8x2 + 7x + 4) : (3x + 2) Costruiamo lo schema come per la divisione di numeri naturali: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 142 10.20. DIVISIONE DI POLINOMI dividiamo il primo termine del dividendo per il primo termine del divisore e scriviamo il risultato sotto il divisore 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 x2 moltiplichiamo questo risultato per ogni termine del divisore cambiando il segno, scriviamo i prodotti ottenuti sotto il dividendo incolonnando in base al grado (cambiamo il segno per poter effettuare l’addizione invece della sottrazione): 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 −3x3 − 2x2 x2 effettuiamo l’addizione: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 −3x3 − 2x2 // x2 6x2 + 7x + 4 Ripetiamo il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 −3x3 − 2x2 // x2 + 2x 6x2 + 7x + 4 3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2 −3x3 − 2x2 // x2 + 2x 6x2 + 7x + 4 −6x2 − 4x // 3x + 4 Ripetiamo nuovamente il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 −3x3 − 2x2 // 3x + 2 x2 + 2x + 1 6x2 + 7x + 4 −6x2 − 4x // 3x + 4 −3x − 2 // 2 Poiché il grado dell’ultimo polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina. Il quoziente è Q(x) = x2 + 2x + 1 e il resto è R=2 Poiché il resto non è zero, il polinomio 3x3 + 8x2 + 7x + 4 non è divisibile per il polinomio 3x + 2. Come per i numeri naturali possiamo scrivere: Dividendo = Divisore · Quoziente + Resto 143 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI cioè: 3x3 + 8x2 + 7x + 4 = (3x + 2) · (x2 + 2x + 1) + 2 infatti: (3x + 2) · (x2 + 2x + 1) + 2 = 3x3 + 6x2 + 3x + 2x2 + 4x + 2 + 2 = 3x3 + 8x2 + 7x + 4 Osservazioni 1. Il grado del resto è minore del grado del divisore perché se fosse maggiore o uguale si potrebbe ancora continuare il procedimento. 2. Il grado del quoziente è dato dalla differenza tra il grado del dividendo e il grado del divisore, infatti, poiché A(x) = B(x)Q(x) + R(x) il grado di A(x) è dato dalla somma dei gradi di B(x) e di Q(x), quindi il grado di Q(x) è dato dalla differenza tra i gradi di A(x) e B(x). 3. In generale, dividendo due polinomi, non si ottiene un polinomio, quindi la divisione non è un’operazione nell’insieme dei polinomi. Solo se il resto è zero, si dice che il polinomio dividendo è divisibile per il polinomio divisore. Esempio 10.20.3. • Determiniamo il quoziente e il resto di (2x4 − 3x + 5x3 + 2) : (2x2 + x − 2) Dopo aver ordinato in modo decrescente rispetto alla lettera x e lasciato uno spazio al posto del termine di secondo grado mancante per poter incolonnare meglio, applichiamo il procedimento visto precedentemente: 2x4 + 5x3 − 3x + 2 2x2 + x − 2 Dividiamo il primo termine del dividendo per il primo termine del divisore, moltiplichiamo questo risultato per ogni termine del divisore cambiando il segno, scriviamo i prodotti ottenuti sotto il dividendo incolonnando in base al grado e sommiamo: 2x4 + 5x3 − 3x + 2 2x2 + x − 2 −2x4 − x3 + 2x2 // x2 4x3 + 2x2 − 3x + 2 Ripetiamo il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto dalla somma: 2x4 + 5x3 − 3x + 2 2x2 + x − 2 −2x4 − x3 + 2x2 // x2 + 2x 4x3 + 2x2 − 3x + 2 −4x3 − 2x2 + 4x // // x+2 Poiché il grado del polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina. Il quoziente è Q(x) = x2 + 2x e il resto è R(x) = x + 2 Poiché il resto non è zero, il polinomio 2x4 − 3x + 5x3 + 2 non è divisibile per il polinomio 2x2 + x − 2. 144 10.20. DIVISIONE DI POLINOMI • Determiniamo il quoziente e il resto di 2 1 a4 − 2a3 − a − : (3a2 + 1) 3 9 Å ã I polinomi sono già ordinati rispetto alla lettera a, quindi lasciamo uno spazio al posto del termine di secondo grado mancante per poter incolonnare meglio. Applicando il procedimento visto precedentemente si ha: 2 1 − a− 3 9 a4 − 2a3 3a2 + 1 1 − a2 3 1 2 1 // − 2a3 − a2 − a − 3 3 9 2 3 2a + a 3 1 2 1 // − a // − 3 9 1 2 1 a + 3 9 −a4 // 1 2 2 1 a − a− 3 3 9 // Poiché il grado del polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina. Il quoziente è 1 2 1 Q(a) = a2 − a − 3 3 9 e il resto è R=0 1 2 Pertanto il polinomio a4 − 2a3 − a − è divisibile per il polinomio 3a2 + 1. 3 9 Negli esempi precedenti abbiamo considerato polinomi con una sola lettera. Ora considereremo polinomi con più lettere. In questo caso dobbiamo decidere secondo quale variabile si effettua la divisione e ordinare i polinomi in modo decrescente rispetto alla variabile scelta. Il procedimento è quello visto per i polinomi con una sola lettera. Se il resto è zero si ottiene lo stesso quoziente indipendentemente dalla lettera scelta come variabile; se il resto non è zero, il quoziente e il resto variano a seconda della variabile scelta. Esempio 10.20.4. Determiniamo il quoziente e il resto di (−4a3 x3 + 2a2 x4 + 2ax) : (x2 − 2ax) Effettuiamo la divisione secondo la lettera x; ordiniamo in modo decrescente rispetto alla lettera x e lasciamo uno spazio al posto del termine di secondo grado rispetto a x mancante per poter incolonnare meglio. 2a2 x4 − 4a3 x3 + 2ax x2 − 2ax Applicando il procedimento visto precedentemente si ha: 2a2 x4 − 4a3 x3 + 2ax −2a2 x4 + 4a3 x3 // // x2 − 2ax 2a2 x2 2ax 145 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI Poiché il grado rispetto alla lettera x del polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina. Il quoziente è Q(a, x) = 2a2 x2 e il resto è R(a, x) = 2ax Poiché il resto non è zero, il polinomio −4a3 x3 + 2a2 x4 + 2ax non è divisibile per il polinomio x2 − 2ax. Effettuiamo ora la stessa divisione secondo la lettera a; ordiniamo dividendo e divisore in modo decrescente rispetto alla lettera a: −4a3 x3 + 2a2 x4 + 2ax −2ax + x2 Applicando il procedimento visto precedentemente si ha: −4a3 x3 + 2a2 x4 + 2ax −2ax + x2 4a3 x3 − 2a2 x4 // 2a2 x2 − 1 // 2ax −2ax + x2 // x2 Poiché grado rispetto alla lettera a del polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina. Il quoziente è Q(a, x) = 2a2 x2 − 1 e il resto è R(x) = x2 che è diverso dal risultato ottenuto precedentemente. 10.20.1 Regola di Ruffini Per effettuare la divisione di polinomi nel caso particolare in cui il divisore è del tipo x − k, con k costante non nulla, si può utilizzare la regola di Ruffini. Questa regola permette di operare con i numeri trascurando la variabile. Anche in questo caso vediamo la regola attraverso un esempio. Esempio 10.20.5. Consideriamo la seguente divisione di polinomi: (3x4 + 2x2 − 3x + 1) : (x − 2) Ordiniamo i polinomi in ordine decrescente rispetto alla variabile e posizioniamo i coefficienti del dividendo nel seguente schema, inserendo 0 in corrispondenza dei coefficienti delle potenze mancanti. Il termine noto si scrive a destra della seconda barra verticale. 3 0 2 −3 1 A sinistra della prima barra verticale e sopra la barra orizzontale si scrive l’opposto del termine noto del divisore (si scrive l’opposto per poter effettuare la somma invece della differenza). 3 0 2 −3 1 2 146 10.20. DIVISIONE DI POLINOMI Si riporta sotto la riga orizzontale il primo coefficiente del dividendo: 3 0 2 −3 1 2 3 si moltiplica questo coefficiente per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il risultato sotto il secondo coefficiente del dividendo e si somma: 3 0 2 −3 1 2 6 3 6 Si moltiplica questo risultato per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il nuovo risultato sotto il terzo coefficiente e si somma: 3 0 2 −3 1 6 12 2 3 6 14 Si ripete il procedimento fino ad effettuare la somma con il termine a destra della seconda riga verticale: 2 −3 1 6 12 28 50 3 6 14 25 51 3 0 2 I numeri sotto la riga orizzontale compresi tra le due righe verticali sono i coefficienti del quoziente. Poiché, se il dividendo ha grado n, il quoziente ha grado n − 1, al primo coefficiente si associa la variabile con esponente n − 1 e si prosegue diminuendo l’esponente di 1; quindi nel nostro esempio, essendo il dividendo di quarto grado, il quoziente è: Q(x) = 3x3 + 6x2 + 14x + 25 Il numero a destra in basso è il resto, che nel nostro caso vale 51. Se il resto è diverso da 0, il suo grado deve essere minore del grado del divisore, quindi 0; di conseguenza il resto è un numero. Osservazione Se non si inseriscono gli zeri al posto dei coefficienti delle potenze mancanti, il risultato è errato perché, non essendoci la variabile, si sommano termini con grado diverso. Esempio 10.20.6. Determiniamo il quoziente e il resto di Å 1 5 7 a − a − a4 − 28 : (a − 4) 4 8 ã Ordiniamo il dividendo e riportiamo i coefficienti nella prima riga dello schema inserendo 0 dove mancano i termini di 3 e di 2 grado 1 4 − 7 8 0 0 −1 −28 147 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI Applichiamo il procedimento visto fino a completare lo schema: 1 4 − 4 7 8 0 1 2 1 2 1 1 4 1 8 0 −1 −28 2 8 28 2 7 0 Il quoziente è 1 1 1 Q(a) = a4 + a3 + a2 + 2a + 7 4 8 2 il resto è R=0 quindi il polinomio 1 5 7 a − a − a4 − 28 è divisibile per il binomio a − 4 4 8 Negli esempi precedenti abbiamo applicato la regola di Ruffini a polinomi con una sola lettera. Se il polinomio ha più lettere, dobbiamo decidere quale lettera sia la variabile e ordinare i polinomi in modo decrescente rispetto a quella lettera. I coefficienti non saranno formati solo da numeri, ma anche da lettere. Esempio 10.20.7. Determiniamo il quoziente e il resto di Ä ä 4x3 + 2ax2 + a3 : (x − a) Effettuiamo la divisione secondo la variabile x; il dividendo è ordinato, ma non è completo, quindi riportiamo i coefficienti nella prima riga dello schema inserendo 0 per i coefficienti delle potenze mancanti 4 2a 0 a3 Applichiamo il procedimento visto fino a completare lo schema: 4 2a a 0 a3 4a 6a2 6a3 4 6a 6a2 Il quoziente è Q(a, x) = 4x2 + 6ax + 6a2 il resto è R(a) = 7a3 Osservazione La regola di Ruffini si può applicare solo con divisori con il termine di primo grado con coefficiente 1. Se il coefficiente è diverso da 1, per poter applicare la regola, 1. si dividono tutti i termini del dividendo e del divisore per il coefficiente del termine di primo grado del divisore 2. si applica la regola di Ruffini con i polinomi ottenuti 148 10.20. DIVISIONE DI POLINOMI 3. il quoziente della divisione dei polinomi dati è quello ottenuto con la regola di Ruffini 4. il resto della divisione dei polinomi dati è il prodotto di quello ottenuto con la regola di Ruffini per il coefficiente del termine di primo grado del divisore Osservazione Dalla relazione A(x) = B(x)Q(x) + R(x) dividendo entrambi i membri per a = 0 si ottiene A(x) B(x)Q(x) + R(x) = a a A(x) B(x) R(x) = Q(x) + a a a Quindi se si moltiplicano, o si dividono, dividendo e divisore per un numero non nullo, il quoziente non cambia, ma il resto viene moltiplicato, o diviso, per quel numero. Esempio 10.20.8. Determiniamo il quoziente e il resto di Ä ä x3 − 4x2 + 2x + 1 : (2x − 4) Poiché il coefficiente del termine di primo grado del divisore è 2, dividiamo tutti i termini del dividendo e del divisore per 2 ottenendo Å 1 3 1 x − 2x2 + x + : (x − 2) 2 2 ã Eseguiamo la divisione con la regola di Ruffini fra i polinomi ottenuti: 1 2 −2 1 1 2 1 −2 −2 2 1 2 −1 −1 − 3 2 Il quoziente è 1 Q(x) = x2 − x − 1 2 Il resto è 3 R = − · 2 = −3 2 10.20.2 Teorema del resto Teorema 10.20.2 (Teorema del resto). Il resto della divisione tra un polinomio P (x) e x − k è uguale a P (k) Dimostrazione Indicando con Q(x) e R il quoziente e il resto della divisione tra P (x) e x − k si ha: P (x) = (x − k)Q(x) + R sostituendo x con k si ottiene P (k) = (k − k)Q(k) + R P (k) = R 149 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI Esempio 10.20.9. • Determiniamo il resto della divisione (3y 4 − 2y 2 + 3y + 2) : (y − 1) Posto P (y) = 3y 4 − 2y 2 + 3y + 2 si ha R = P (1) = 3 · 14 − 2 · 12 + 3 · 1 + 2 = 6 • Determiniamo il resto della divisione (−a3 + 2a2 − 5) : (a + 2) Posto P (a) = −a3 + 2a2 − 5 si ha R = P (−2) = −(−2)3 + 2(−2)2 − 5 = 11 • Determiniamo il resto della divisione (3ax3 − 4a2 x2 + 5a4 ) : (x − a) Posto P (x) = 3ax3 − 4a2 x2 + 5a4 si ha R(a) = P (a) = 3a(a)3 − 4a2 (a)2 + 5a4 = 3a4 − 4a4 + 5a4 = 4a4 10.20.3 Teorema di Ruffini Teorema 10.20.3 (Teorema di Ruffini). Un polinomio P (x) è divisibile per il binomio x − k se e solo se P (k) = 0 Dimostrazione Poiché un polinomio è divisibile per un altro se e solo se il resto è 0, per il teorema del resto, un polinomio P (x) è divisibile per il binomio x − k se e solo se P (k) = 0 Esempio 10.20.10. • Il polinomio 1 P (y) = 2y 4 − y + 5 2 non è divisibile per y−2 perché P (2) = 2 · 24 − 1 · 2 + 5 = 32 − 1 + 5 = 36 = 0 2 150 10.20. DIVISIONE DI POLINOMI • Il polinomio P (x) = x4 − 6x2 + 2x − 21 è divisibile per x+3 perché P (−3) = (−3)4 − 6 · (−3)2 + 2 · (−3) − 21 = 81 − 54 − 6 − 21 = 0 • Il polinomio P (a, x) = x2 + ax − 2a2 è divisibile per x−a perché P (a) = a2 + a(a) − 2a2 = 0 Osservazione Ogni valore della variabile per il quale il polinomio P (x) si annulla si dice zero del polinomio 10.20.4 Divisibilità di binomi notevoli Come applicazione del teorema di Ruffini analizziamo la divisibilità dei binomi notevoli, dove con binomi notevoli intendiamo la somma o la differenza di due potenze con lo stesso esponente. Vediamo quattro casi. Teorema 10.20.4. La differenza di due potenze con uguale esponente è divisibile per la differenza delle basi Dimostrazione Consideriamo la divisione (xn − an ) : (x − a) Poiché P (a) = an − an = 0 per il teorema di Ruffini xn − an è divisibile per x − a Esempio 10.20.11. Il polinomio x3 − a3 è divisibile per x − a. Effettuando la divisione si ottiene: 1 0 a 0 −a3 a a2 a3 1 a a2 0 Poiché il quoziente è Q(a, x) = x2 + ax + a2 e il resto è 0 si ha x3 − a3 = (x − a)(x2 + ax + a2 ) Teorema 10.20.5. La differenza di due potenze con uguale esponente è divisibile per la somma delle basi se e solo se l’esponente è pari 151 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI Dimostrazione Consideriamo la divisione (xn − an ) : (x + a) Poiché P (−a) = (−a)n − an = an − an = 0 se n è pari n n n −a − a = −2a = 0 se n è dispari per il teorema di Ruffini xn − an è divisibile per x + a se e solo se n è pari Esempio 10.20.12. x4 − a4 è divisibile per x + a, effettuando la divisione si ottiene: 1 0 0 0 −a4 −a a2 −a3 a4 1 −a a2 −a3 0 −a Poiché il quoziente è Q(a, x) = x3 − ax2 + a2 x − a3 e il resto è 0 si ha x4 − a4 = (x + a)(x3 − ax2 + a2 x − a3 ) Teorema 10.20.6. La somma di due potenze con uguale esponente è divisibile per la somma delle basi se e solo se l’esponente è dispari Dimostrazione Consideriamo la divisione (xn + an ) : (x + a) Poiché P (−a) = (−a)n + an = an + an = 2a2 = 0 se n è pari an − an = 0 se n è dispari per il teorema di Ruffini xn + an è divisibile per x + a se e solo se n è dispari Esempio 10.20.13. x3 + a3 è divisibile per x + a, effettuando la divisione si ottiene: 1 0 0 a3 −a a2 −a3 −a 1 −a a2 0 Poiché il quoziente è Q(a, x) = x2 − ax + a2 e il resto è 0, si ha x3 + a3 = (x + a)(x2 − ax + a2 ) Teorema 10.20.7. La somma di due potenze con uguale esponente non è divisibile per la differenza delle basi Dimostrazione Consideriamo la divisione (xn + an ) : (x − a) Poiché P (a) = an + an = 2an = 0 per il teorema di Ruffini xn + an non è divisibile per x − a Esempio 10.20.14. • il polinomio x3 + a3 non è divisibile per x − a • il polinomio x2 + a2 non è divisibile per x − a 152 Capitolo 11 Scomposizione di polinomi 11.1 Introduzione Scomporre un polinomio significa scriverlo come prodotto di polinomi di grado inferiore. In questo capitolo consideriamo la scomposizione di polinomi in fattori aventi coefficienti razionali. Esempio 11.1.1. • Il polinomio a3 − a2 b, di terzo grado, può essere scomposto nel prodotto: a2 (a − b) costituito da un polinomio di secondo grado e da uno di primo grado. Infatti, se effettuiamo la moltiplicazione, otteniamo il polinomio dato. • Il polinomio 4a2 − 1, di secondo grado, può essere scomposto nel prodotto: (2a + 1)(2a − 1) costituito da due polinomi di primo grado. Infatti, se effettuiamo la moltiplicazione, otteniamo il polinomio dato. Non tutti i polinomi sono scomponibili. Definizione 11.1.1 (Polinomi riducibili e irriducibili). Un polinomio si dice riducibile se si può scomporre nel prodotto di polinomi di grado inferiore, altrimenti si dice irriducibile. Esempio 11.1.2. • 3a2 b2 + 6ab + 9ab3 è riducibile, infatti può essere scomposto nel prodotto 3ab(ab + 2 + 3a2 ) • a2 − 1 è riducibile, infatti può essere scomposto nel prodotto (a + 1)(a − 1) • a2 + 1 è irriducibile, infatti non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore. • a+b è irriducibile, infatti non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore. 153 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • x2 − 2 non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore con coefficienti razionali, mentre nell’insieme dei numeri reali risulta riducibile Osservazione Qualsiasi polinomio può sempre essere scritto come prodotto di un polinomio di grado 0, cioè un numero, per un polinomio dello stesso grado; questa non è una scomposizione perché i polinomi non sono tutti di grado inferiore a quello dato. Il polinomio di partenza è perciò irriducibile. Esempio 11.1.3. • 2a + 2 = 2(a + 2) • 3a2 11.2 Å +5=3 a2 5 + 3 ã Metodi di scomposizione dei polinomi Nell’esempio precedente abbiamo visto alcuni polinomi riducibili e altri irriducibili; in generale non è possibile decidere a priori se un polinomio è riducibile o no. Infatti, per scomporre un polinomio non c’è una regola generale, ma esistono diversi metodi da applicare di volta in volta e che ora analizziamo. È sempre possibile verificare la correttezza della scomposizione: effettuando la moltiplicazione dei fattori nel polinomio scomposto si deve ottenere il polinomio dato. 11.2.1 Raccoglimento a fattor comune totale La scomposizione mediante raccoglimento a fattor comune totale utilizza la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ab + ac = a(b + c) Questo metodo si può applicare se compaiono dei fattori comuni a tutti i termini del polinomio. Per scomporre un polinomio utilizzando il metodo del raccoglimento a fattor comune totale: 1. si determina il MCD di tutti i termini del polinomio 2. il polinomio si scompone nel prodotto tra il MCD e il polinomio i cui termini sono i quozienti della divisione tra i termini del polinomio dato e il MCD Esempio 11.2.1. • Scomponiamo a2 + 3a il polinomio è formato da due termini a2 e 3a il cui MCD è a; il quoziente tra a2 e a è a; il quoziente tra 3a e a è 3; quindi il polinomio si scompone in: a2 + 3a = a(a + 3) • Scomponiamo 5a3 b2 − 10a2 b3 + 20a2 b2 il polinomio è formato da tre termini 5a3 b2 , −10a2 b3 , 20a2 b2 il cui MCD è 5a2 b2 ; il quoziente tra 5a3 b2 e 5a2 b2 è a; il quoziente tra −10a2 b3 e 5a2 b2 è −2b; il quoziente tra 20a2 b2 e 5a2 b2 è 4; quindi il polinomio si scompone in: 5a3 b2 − 10a2 b3 + 20a2 b2 = 5a2 b2 (a − 2b + 4) 154 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI Osservazione Poiché il quoziente tra un termine e se stesso è 1 e non 0, il polinomio a3 + a2 + a si scompone in a(a2 + a + 1) e non in a(a2 + a). Finora abbiamo raccolto monomi. È anche possibile raccogliere polinomi, come si può vedere dai seguenti esempi. Esempio 11.2.2. • Scomponiamo a(x − y) + 3(x − y) il polinomio è formato da a(x − y) 3 3(x − y); il fattore comune è x − y; il quoziente tra a(x − y) e x − y è a; il quoziente tra 3(x − y) e x − y è 3; quindi il polinomio si scompone in: a(x − y) + 3(x − y) = (x − y)(a + 3) • Scomponiamo a(a + b) + (a + b)2 il polinomio è formato da a(a + b) e (a + b)2 ; il fattore comune è a + b; il quoziente tra a(a + b) e a + b è a; il quoziente tra (a + b)2 e a + b è a + b; quindi il polinomio si scompone in: a(a + b) + (a + b)2 = (a + b) (a + (a + b)) = (a + b)(2a + b) Osservazione Quando si raccolgono dei polinomi anche il polinomio raccolto deve essere racchiuso tra parentesi. Per esempio, il polinomio a(x + 2y) + b(x + 2y) si scompone in (x + 2y)(a + b) e non in x + 2y(a + b). 11.2.2 Raccoglimento a fattor comune parziale Se non è possibile effettuare un raccoglimento a fattor comune totale, si può effettuare un raccoglimento a fattor comune parziale fra alcuni termini e, se è possibile, in un secondo passaggio effettuare un raccoglimento a fattor comune totale. Esempio 11.2.3. • Scomponiamo ax + bx + ay + by Non esiste un fattore comune a tutti i termini del polinomio. Tra i primi due termini si può raccogliere il fattore x e tra il terzo e quarto il fattore y, ottenendo: x(a + b) + y(a + b) Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di a + b (a + b)(x + y) quindi ax + bx + ay + by = (a + b)(x + y) Il raccoglimento parziale si poteva anche effettuare raccogliendo il fattore a tra il primo e il terzo termine e il fattore b tra il secondo e quarto termine, ottenendo: a(x + y) + b(x + y) 155 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di x + y (x + y)(a + b) quindi ax + bx + ay + by = (x + y)(a + b) • Scomponiamo 2a3 − 4a2 b − 3ab + 6b2 Non esiste un fattore comune a tutti i termini del polinomio. Tra i primi due termini si può raccogliere il fattore 2a2 e tra il terzo e il quarto il fattore −3b, ottenendo: 2a2 (a − 2b) − 3b (a − 2b) Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (a − 2b) Ä ä (a − 2b) 2a2 − 3b quindi Ä ä 2a3 − 4a2 b − 3ab + 6b2 = (a − 2b) 2a2 − 3b • Scomponiamo ax + ay − x − y Non esiste un fattore comune a tutti i termini. Tra i primi due termini si può raccogliere il fattore a e tra il terzo e il quarto il fattore −1, ottenendo: a (x + y) − 1 (x + y) Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (x + y) (x + y) (a − 1) quindi ax + ay − x − y = (x + y) (a − 1) • Scomponiamo 3ab − c2 + ac − 3bc Non esiste un fattore comune a tutti i termini. Tra il primo e il terzo termine si può raccogliere il fattore a e tra il secondo e il quarto il fattore −c, ottenendo: a(3b + c) − c(c + 3b) Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (3b + c) (3b + c)(a − c) quindi 3ab − c2 + ac − 3bc = (3b + c)(a − c) Osservazione Nel raccoglimento a fattor comune parziale i fattori raccolti, escluso il primo se ha coefficiente positivo, devono essere preceduti dal segno + o −. Quindi a2 + ab + ac + bc diventa a (a + b) + c (a + b) e non a (a + b) c (a + b) 156 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI 11.2.3 Scomposizione mediante prodotti notevoli Un altro metodo per scomporre un polinomio in fattori, consiste nell’utilizzare le formule dei prodotti notevoli. Questo metodo si può applicare nel caso in cui il polinomio dato è lo sviluppo di un prodotto notevole. Analizziamo ora i singoli prodotti notevoli Differenza di due quadrati Consideriamo il prodotto notevole somma per differenza: (a + b) (a − b) = a2 − b2 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: a2 − b2 = (a + b) (a − b) Il polinomio a2 − b2 si dice differenza di due quadrati. Un polinomio è una differenza di due quadrati se: 1. è la differenza tra due monomi; 2. i due monomi sono dei quadrati. Per scomporre la differenza di due quadrati: 1. si determinano le basi (entrambe con coefficiente positivo) dei due quadrati; 2. il polinomio si scompone nel prodotto tra la somma delle due basi e la loro differenza. Esempio 11.2.4. • Scomponiamo 9 − x2 Il polinomio è la differenza tra i monomi 9, quadrato di 3, e x2 , quadrato di x. Quindi 9 − x2 è una differenza di due quadrati e si scompone in: 9 − x2 = (3 + x)(3 − x) • Scomponiamo −x2 − y 2 Il polinomio è la differenza tra i monomi −x2 e y 2 ; −x2 non è un quadrato perché ha coefficiente negativo, quindi −x2 − y 2 non è una differenza di due quadrati. • Scomponiamo a3 − 4 Il polinomio è la differenza tra i monomi a3 e 4; a3 non è un quadrato, quindi a3 − 4 non è una differenza di due quadrati. • Scomponiamo x4 − 25 Il polinomio è la differenza tra i monomi x4 , quadrato di x2 , e 25, quadrato di 5. Quindi x4 − 25 è una differenza di due quadrati e si scompone in: Ä x4 − 25 = x2 + 5 äÄ x2 − 5 ä 157 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo 16x2 − 9y 4 Il polinomio è la differenza tra i monomi 16x2 , quadrato di 4x, e 9y 4 , quadrato di 3y 2 . Quindi 16x2 − 9y 4 è una differenza di due quadrati e si scompone in: Ä 16x2 − 9y 4 = 4x + 3y 2 äÄ 4x − 3y 2 ä • Scomponiamo −a4 + 16 Il polinomio può essere riscritto come 16 − a4 , che è la differenza di due quadrati. Quindi −a4 + 16 si scompone in: Ä 4 + a2 äÄ 4 − a2 ä Il secondo fattore è ancora una differenza di due quadrati e si scompone in: (2 − a) (2 + a) Pertanto −a4 + 16 si scompone in: Ä ä −a4 + 16 = 4 + a2 (2 + a) (2 − a) • Scomponiamo (3a + 2)2 − (a + 4)2 = ((3a + 2) + (a + 4))((3a + 2) − (a + 4)) = (3a + 2 + a + 4)(3a + 2 − a − 4) = (4a + 6)(2a − 2) = 2(2a + 3)2(a − 1) = 4(2a + 3)(a − 1) Osservazione Il polinomio a2 + b2 è irriducibile perché la somma di due potenze con esponente pari non è divisibile né per la somma, né per la differenza delle basi Quadrato di un binomio Consideriamo ora il prodotto notevole quadrato di un binomio: (a + b)2 = a2 + 2ab + b2 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: a2 + 2ab + b2 = (a + b)2 Un polinomio è il quadrato di un binomio se: 1. è formato da tre termini; 2. due termini sono dei quadrati; 3. il terzo termine è il doppio prodotto delle basi. Per scomporre il quadrato di un binomio: 1. si individuano i due termini che sono quadrati; 2. si determinano le basi, con coefficiente positivo, dei due quadrati; 158 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI 3. il polinomio si scompone nel quadrato del binomio formato dalla somma o dalla differenza delle due basi, secondo che il doppio prodotto ha coefficiente positivo o negativo. Esempio 11.2.5. • Scomponiamo x2 + 4x + 4 Il polinomio è formato da tre termini x2 e 4 sono i quadrati rispettivamente di x e 2 il termine 4x è il doppio prodotto tra x e 2. Quindi x2 + 4x + 4 è il quadrato di un binomio e si scompone in: x2 + 4x + 4 = (x + 2)2 • Scomponiamo 4a2 − 12a + 9 Il polinomio è formato da tre termini 4a2 e 9 sono i quadrati rispettivamente di 2a e 3 il termine −12a è l’opposto del doppio prodotto tra 2a e 3. Quindi 4a2 − 12a + 9 è il quadrato di un binomio e si scompone in: 4a2 − 12a + 9 = (2a − 3)2 • Scomponiamo a2 + a + 1 Il polinomio è formato da tre termini a2 e 1 sono i quadrati rispettivamente di a e di 1 il termine a non è il doppio prodotto tra a e 1. Quindi a2 + a + 1 non è il quadrato di un binomio. • Scomponiamo x2 + 1 Il polinomio è formato da due termini, quindi x2 + 1 non è il quadrato di un binomio. • Scomponiamo 25x2 + 9y 4 + 30xy 2 Il polinomio è formato da tre termini 25x2 e 9y 4 sono i quadrati rispettivamente di 5x e 3y 2 il termine 30xy 2 è il doppio prodotto tra 5x e 3y 2 . Quindi 25x2 + 9y 4 + 30xy 2 è il quadrato di un binomio e si scompone in: 25x2 + 9y 4 + 30xy 2 = (5x + 3y 2 )2 • Scomponiamo −4abc + 4a2 b2 + c2 Il polinomio è formato da tre termini 4a2 b2 e c2 sono i quadrati rispettivamente di 2ab e c il termine −4abc è l’opposto del doppio prodotto tra 2ab e c. Quindi −4abc + 4a2 b2 + c2 è il quadrato di un binomio e si scompone in: −4abc + 4a2 b2 + c2 = (2ab − c)2 159 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo a2 + 2a + 1 − b2 = (a + 1)2 − b2 = (a + 1 + b)(a + 1 − b) Osservazione Poiché il binomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi e il risultato non cambia. Esempio 11.2.6. • a2 − 2ab + b2 si può scomporre in (a − b)2 oppure in (−a + b)2 • a2 + 2ab + b2 si può scomporre in (a + b)2 oppure in (−a − b)2 Quadrato di un trinomio Consideriamo ora il prodotto notevole quadrato di un trinomio: (a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc = (a + b + c)2 Un polinomio è il quadrato di un trinomio se: 1. è formato da sei termini; 2. tre termini sono dei quadrati; 3. i rimanenti termini sono i doppi prodotti delle coppie di basi (con coefficiente positivo) dei quadrati o gli opposti degli stessi. Per scomporre il quadrato di un trinomio: 1. si individuano i tre termini che sono quadrati; 2. si determinano le basi, con coefficiente positivo, dei quadrati; 3. il polinomio si scompone nel quadrato del trinomio formato dalla somma algebrica delle tre basi (i segni dei coefficienti sono uguali se il corrispondente doppio prodotto ha coefficiente positivo, sono diversi se il corrispondente doppio prodotto ha coefficiente negativo). Esempio 11.2.7. 160 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b Il polinomio è formato da sei termini: a2 , b2 e 4 sono i quadrati rispettivamente di a, b e 2; il termine 2ab è il doppio prodotto tra a e b; il termine 4a è il doppio prodotto tra a e 2; il termine 4b è il doppio prodotto tra 2 e b. Quindi a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b è il quadrato di un trinomio e si scompone in: a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b = (a + b + 2)2 Tutti i termini hanno lo stesso segno perché i doppi prodotti hanno tutti coefficiente positivo. • Scomponiamo 4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y Il polinomio è formato da sei termini 4x2 , y 2 e 9 sono i quadrati rispettivamente di 2x, y e 3; il termine 4xy è il doppio prodotto tra 2x e y; il termine −12x è l’opposto del doppio prodotto tra 2x e 3; il termine −6y è l’opposto del doppio prodotto tra y e 3. Quindi 4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y è il quadrato di un trinomio e si scompone in: 4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y = (2x + y − 3)2 I termini 2x e y hanno lo stesso segno perché il loro doppio prodotto ha coefficiente positivo, y e −3 hanno segno diverso perché il loro doppio prodotto ha coefficiente negativo. • Scomponiamo 1 + x4 + a2 + a + 2x2 + 2ax2 Il polinomio è formato da sei termini 1, x4 e a2 sono i quadrati rispettivamente di 1, x2 e a; il termine a non è il doppio prodotto di alcuna coppia dei termini trovati. Quindi 1 + x4 + a2 + a + 2x2 + 2ax2 non è il quadrato di un trinomio. • Scomponiamo a2 + b2 + c2 Il polinomio è formato da tre termini. Quindi a2 + b2 + c2 non è il quadrato di un trinomio. • Scomponiamo 4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4 Il polinomio è formato da sei termini 4a2 , 9b2 e a4 sono i quadrati rispettivamente di 2a, 3b e a2 ; il termine −12ab è l’opposto del doppio prodotto tra 2a e 3b; il termine 4a3 è il doppio prodotto tra 2a e a2 ; il termine −6a2 b è l’opposto del doppio prodotto tra 3b e a2 . Quindi 4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4 è il quadrato di un trinomio e si scompone in: Ä 4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4 = 2a − 3b + a2 ä2 I termini 2a e a2 hanno lo stesso segno perché il loro doppio prodotto ha coefficiente positivo, 2a e −3b hanno segno diverso perché il loro doppio prodotto ha coefficiente negativo. 161 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo x4 + 3x2 + 1 + 2x3 + 2x = x4 + x2 + 1 + 2x3 + 2x2 + 2x = (x2 + x + 1)2 Osservazione Poiché il trinomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi e il risultato non cambia. Cubo di un binomio Consideriamo ora il prodotto notevole cubo di un binomio: (a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 = (a + b)3 Un polinomio è il cubo di un binomio se: 1. è formato da quattro termini; 2. due termini sono dei cubi; 3. i rimanenti termini sono i tripli prodotti tra il quadrato della base di un cubo per la base dell’altro cubo. Per scomporre il cubo di un binomio: 1. si individuano i due termini che sono cubi; 2. si determinano le basi dei cubi; 3. il polinomio si scompone nel cubo del binomio che ha come termini le basi dei due cubi. Esempio 11.2.8. • Scomponiamo x3 + 6x2 + 12x + 8 Il polinomio è formato da quattro termini x3 e 8 sono i cubi rispettivamente di x e 2; il termine 6x2 è il triplo prodotto tra il quadrato di x e 2; il termine 12x è il triplo prodotto tra x e il quadrato di 2. Quindi x3 + 6x2 + 12x + 8 è il cubo di un binomio e si scompone in: x3 + 6x2 + 12x + 8 = (x + 2)3 • Scomponiamo x3 − 3x2 + 3x − 1 Il polinomio è formato da quattro termini x3 e −1 sono i cubi rispettivamente di x e −1; il termine −3x2 è il triplo prodotto tra il quadrato di x e −1; il termine 3x è il triplo prodotto tra x e il quadrato di −1. Quindi x3 − 3x2 + 3x − 1 è il cubo di un binomio e si scompone in: x3 − 3x2 + 3x − 1 = (x − 1)3 162 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo a3 + 8b3 + 3a2 b + 3ab2 Il polinomio è formato da quattro termini a3 e 8b3 sono i cubi rispettivamente di a e 2b; il termine 3a2 b non è né il triplo prodotto tra il quadrato di a e 2b né il triplo prodotto tra a e il quadrato di 2b. Quindi a3 + 8b3 + 3a2 b + 3ab2 non è il cubo di un binomio. • Scomponiamo a3 + b3 Il polinomio è formato da due termini quindi a3 + b3 non è il cubo di un binomio. • Scomponiamo 27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2 Il polinomio è formato da quattro termini 27a6 e −8b3 sono i cubi rispettivamente di 3a2 e −2b; il termine −54a4 b è il triplo prodotto tra il quadrato di 3a2 e −2b; il termine 36a2 b2 è il triplo prodotto tra 3a2 e il quadrato di −2b. Quindi 27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2 è il cubo di un binomio e si scompone in Ä ä3 27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2 = 3a2 − 2b Somma di due cubi Consideriamo il prodotto notevole somma di cubi: ä Ä (a + b) a2 − ab + b2 = a3 + b3 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: Ä a3 + b3 = (a + b) a2 − ab + b2 ä Il polinomio a3 + b3 si dice somma di due cubi. Un polinomio è una somma di due cubi se: 1. è la somma tra due monomi; 2. i due monomi sono dei cubi. Per scomporre la somma di due cubi: 1. si determinano le basi dei due cubi; 2. il polinomio si scompone nel prodotto fra la somma delle basi e il polinomio formato dalla somma dei quadrati e dell’opposto del prodotto delle basi. Esempio 11.2.9. • Scomponiamo x3 + 8 Il polinomio è la somma tra i monomi x3 , cubo di x, e 8, cubo di 2. Quindi x3 + 8 è una somma di due cubi e si scompone in: Ä x3 + 8 = (x + 2) x2 − 2x + 4 ä 163 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo y6 + 1 Il polinomio è la somma tra i monomi y 6 , cubo di y 2 , e 1, cubo di 1. Quindi y 6 + 1 è una somma di due cubi e si scompone in: y 6 + 1 = (y 2 + 1)(y 4 − y 2 + 1) • Scomponiamo x4 + b3 Il polinomio è la somma tra i monomi x4 e b3 ; x4 non è un cubo. Quindi x4 + b3 non è una somma di due cubi. • Scomponiamo 64a9 + b6 c3 Il polinomio è la somma tra i monomi 64a9 , cubo di 4a3 , e b6 c3 , cubo di b2 c. Quindi 64a9 + b6 c3 è una somma di due cubi e si scompone in: Ä äÄ 64a9 + b6 c3 = 4a3 + b2 c 16a6 − 4a3 b2 c + b4 c2 ä • Scomponiamo (a + b)3 + 27 = ((a + b) + 3)((a + b)2 − 3(a + b) + 9) = (a + b + 3)(a2 + 2ab + b2 − 3a − 3b + 9) • Scomponiamo x3 −3x2 +3x−1+y 3 = (x−1)3 +y 3 = ((x−1)+y)((x−1)2 −(x−1)y+y 2 ) = (x−1+y)(x2 −2x+1−xy+y+y 2 ) • Scomponiamo y 6 + 2y 3 + 1 = (y 3 + 1)2 = ((y + 1)(y 2 − y + 1))2 = (y + 1)2 (y 2 − y + 1)2 Osservazione a2 − ab + b2 non è il quadrato di un binomio, perché −ab non è né il doppio prodotto tra a e b né l’opposto dello stesso. Il polinomio a2 − ab + b2 è irriducibile. Differenza di due cubi Consideriamo il prodotto notevole differenza di cubi: Ä ä (a − b) a2 + ab + b2 = a3 − b3 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: Ä a3 − b3 = (a − b) a2 + ab + b2 ä Il polinomio a3 − b3 si dice differenza di due cubi. Un polinomio è una differenza di due cubi se: 1. è la differenza tra due monomi; 2. i due monomi sono dei cubi. Per scomporre la differenza di due cubi: 164 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI 1. si determinano le basi dei due cubi; 2. il polinomio si scompone nel prodotto fra la differenza delle due basi e il polinomio formato dalla somma dei quadrati e del prodotto delle basi. Esempio 11.2.10. • Scomponiamo x3 − 1 Il polinomio è la differenza tra i monomi x3 , cubo di x, e 1, cubo di 1. Quindi x3 − 1 è una differenza di due cubi e si scompone in: Ä x3 − 1 = (x − 1) x2 + x + 1 ä • Scomponiamo a3 − 64 Il polinomio è la differenza tra i monomi a3 , cubo di a, e 64, cubo di 4. Quindi a3 − 64 è una differenza di due cubi e si scompone in: a3 − 64 = (a − 4)(a2 + 4a + 16) • Scomponiamo x8 − b3 Il polinomio è la differenza tra i monomi x8 e b3 ; x8 non è un cubo. Quindi x8 − b3 non è una differenza di due cubi. • Scomponiamo 8a6 − 27b3 Il polinomio è la differenza tra i monomi 8a6 , cubo di 2a2 , e 27b3 , cubo di 3b. Quindi 8a6 − 27b3 è una differenza di due cubi e si scompone in: Ä äÄ 8a6 − 27b3 = 2a2 − 3b 4a4 + 6a2 b + 9b2 ä • Scomponiamo (2a−3b)3 −1 = ((2a−3b)−1)((2a−3b)2 +2a−3b+1) = (2a−3b−1)(4a2 −12ab+9b2 +2a−3b+1) • Scomponiamo y 6 − x6 = (x3 − y 3 )(x3 + y 3 ) = (x − y)(x ∗ 2 + xy + y 2 )(x + y)(x2 − xy + y 2 Osservazione a2 + ab + b2 non è il quadrato di un binomio, perché ab non è il doppio prodotto tra a e b. Il polinomio a2 + ab + b2 è irriducibile. 165 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI 11.2.4 Trinomio particolare Alcuni trinomi di secondo grado si possono scomporre in prodotti di binomi, utilizzando il metodo del trinomio particolare. Dato il trinomio x2 + sx + p, se è possibile determinare due numeri a, b tali che: a+b=s a·b=p si può scomporre il trinomio nel seguente modo: x2 + sx + p = x2 + (a + b)x + ab = x2 + ax + bx + ab effettuando un raccoglimento a fattor comune parziale si ha x(x + a) + b(x + a) effettuando un raccoglimento a fattor comune totale si ha (x + a)(x + b) quindi x2 + sx + p = (x + a)(x + b) Un polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare se: 1. è formato da tre termini; 2. è di secondo grado; 3. il coefficiente del termine di secondo grado è 1; 4. esistono due numeri interi che, addizionati, danno il coefficiente del termine di primo grado e che, moltiplicati, danno il termine noto. Per stabilire se esistono o no tali numeri, si può: 1. si determinano tutte le coppie di numeri interi il cui prodotto è il termine noto 2. si controlla se, tra tutte le coppie ottenute, ne esista una la cui somma sia il coefficiente del termine di primo grado. Per scomporre il trinomio particolare: 1. si determinano i due numeri interi il cui prodotto è il termine noto e la cui somma è il coefficiente del termine di primo grado; 2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra la somma della variabile con uno dei numeri determinati e la somma della variabile con l’altro numero determinato. Esempio 11.2.11. • Scomponiamo x2 + 5x + 6 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo grado è 1. Il coefficiente del termine di primo grado è 5, il termine noto è 6. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 6 sono: −6 e − 1; 6 e 1; −3 e − 2; 3 e 2 Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 5: i numeri cercati sono 3 e 2. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: x2 + 5x + 6 = (x + 2) (x + 3) 166 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo x2 − 6x − 7 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo grado è 1. Il coefficiente del termine di primo grado è −6, il termine noto è −7. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −7 sono: −7 e 1; 7 e − 1 Tra queste, la prima coppia dà come somma −6: i numeri cercati sono −7 e 1. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: x2 − 6x − 7 = (x − 7) (x + 1) • Scomponiamo x2 + x + 2 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo grado è 1. Il coefficiente del termine di primo grado è 1, il termine noto è 2. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 2 sono: −2 e − 1; 2 e 1 Nessuna di queste coppie dà come somma 1, quindi x2 + x + 2 non si può scomporre con il metodo del trinomio particolare. • Scomponiamo x2 + x − 12 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo grado è 1. Il coefficiente del termine di primo grado è 1, il termine noto è −12. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono: −12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3 Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 4 e −3. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: x2 + x − 12 = (x + 4) (x − 3) • Scomponiamo x4 +37x2 +36+10x3 +60x = x4 +25x2 +36+10x3 +12x2 +60x = (x2 +5x+6)2 = ((x+2)(x+3))2 = (x+2)2 (x+3)2 Osservazione Il metodo del trinomio particolare si può estendere per scomporre trinomi della forma x2n + sxn + p cioè formati da un termine noto e da altri due termini di cui quello con coefficiente uno ha grado doppio dell’altro. In questo caso, per scomporre il polinomio: 167 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI 1. si determinano, se esistono, due numeri interi a e b il cui prodotto è il termine noto e la cui somma è il coefficiente del termine di grado n; 2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra la somma della variabile elevata a n con uno dei numeri determinati e la somma della variabile elevata a n con l’altro numero determinato. In simboli: x2n + sxn + p = (xn + a)(xn + b) Esempio 11.2.12. • Scomponiamo x6 + x3 − 6 Il polinomio è formato da tre termini, x6 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di x3 . il coefficiente del termine di terzo grado è 1, il termine noto è −6. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −6 sono: −6 e 1; 6 e − 1; −3 e 2; 3 e − 2 Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 3 e − 2. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: Ä x6 + x3 − 6 = x3 + 3 äÄ ä x3 − 2 • Scomponiamo x4 − 6x2 + 5 Il polinomio è formato da tre termini, x4 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di x2 . Il coefficiente del termine di secondo grado è −6, il termine noto è 5. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 5 sono: −5 e − 1; 5 e 1 Tra queste, la prima coppia dà come somma −6: i numeri cercati sono −5 e − 1. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: Ä äÄ x4 − 6x2 + 5 = x2 − 5 x2 − 1 ä Il secondo fattore è una differenza di due quadrati e si scompone in: (x − 1) (x + 1) Quindi Ä ä x4 − 6x2 + 5 = x2 − 5 (x − 1) (x + 1) • Scomponiamo x4 − x2 + 2 Il polinomio è formato da tre termini, x4 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di x2 . il coefficiente del termine di secondo grado è −1, il termine noto è 2. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 2 sono: 2 e 1; −2 e − 1 Nessuna di queste due coppie ha come somma −1 e quindi il polinomio non può essere scomposto con il metodo del trinomio particolare. 168 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo x8 −5x4 +4 = (x4 −1)(x4 −4) = (x2 −1)(x2 +1)(x2 −2)(x2 +2) = (x−1)(x+1)(x2 +1)(x2 −2)(x2 +2) Osservazione Negli esempi precedenti abbiamo considerato trinomi con una sola lettera. Il metodo del trinomio particolare si può estendere anche a trinomi con due lettere: x2n + sxn y n + py 2n In questo caso, devono essere verificate le condizioni già viste rispetto a una lettera e il trinomio deve essere omogeneo. Per applicare il metodo si sceglie come variabile la lettera che verifica le condizioni e: 1. si determinano i due numeri interi il cui prodotto è il coefficiente del termine di grado 0 rispetto alla variabile scelta e la cui somma è il coefficiente del termine di grado n rispetto alla variabile scelta; 2. si procede come nel caso di una sola variabile, ma i numeri determinati devono essere moltiplicati per l’altra variabile elevata a n. Esempio 11.2.13. • Scomponiamo x2 + 2xy − 3y 2 Il polinomio è formato da tre termini ed è omogeneo. Scegliamo come variabile x. Il coefficiente del termine di secondo grado rispetto a x è 1 Il coefficiente del termine di primo grado rispetto a x è 2, il coefficiente di grado zero rispetto a x è −3. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −3 sono: −3 e 1; 3 e − 1 Tra queste coppie, la seconda dà come somma 2: i numeri cercati sono 3 e −1. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: x2 + 2xy − 3y 2 = (x + 3y) (x − y) • Scomponiamo a4 − 5a2 b2 − 14b4 Il polinomio è formato da tre termini ed è omogeneo. Scegliamo come variabile a. Il coefficiente del termine di quarto grado rispetto a a è 1 Il coefficiente del termine di secondo grado rispetto ad a è −5 il coefficiente del termine di grado zero rispetto ad a è −14. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −14 sono: −14 e 1; 14 e − 1; −7 e 2; 7 e − 2 Tra queste coppie, la terza coppia dà come somma −5: i numeri cercati sono −7 e 2 Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: Ä a4 − 5a2 b2 − 14b4 = a2 − 7b2 äÄ a2 + 2b2 ä 169 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo x2 + 3xy 2 + 2y 2 Il polinomio è formato da tre termini ma non è omogeneo quindi non si può scomporre con il metodo del trinomio particolare. • Scomponiamo x4 − x2 y 2 + 2y 4 = (x2 − y 2 )(x2 + 2y 2 ) = (x + y)(x − y)(x2 + 2y 2 ) Osservazione Il metodo del trinomio particolare si può estendere al caso in cui il coefficiente del termine di secondo grado non sia 1. Per scomporre il trinomio ax2 + bx + c: 1. si determinano due numeri interi x1 , x2 il cui prodotto è ac e la cui somma è b; 2. si sostituisce bx con x1 x + x2 x 3. si effettua il raccoglimento parziale sul polinomio ottenuto Il metodo precedente si può adattare anche per scomporre trinomi delle forme ax2n + bxn + c e ax2n + bxn y n + cy 2n Esempio 11.2.14. • Scomponiamo 6x2 + x − 2 Il polinomio è formato da tre termini ed è di secondo grado. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono: −12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3 Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 4 e −3. Sostituiamo x con 4x − 3x e otteniamo 6x2 + 4x − 3x − 2 Effettuiamo il raccoglimento parziale 2x(3x + 2) − 1(3x + 2) (3x + 2)(2x − 1) • Scomponiamo 3x4 − 11x2 − 4 Il polinomio è formato da tre termini ed è di quarto grado. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono: −12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3 Tra queste, la prima coppia dà come somma −11: i numeri cercati sono −12 e 1. Sostituiamo −11x2 con −12x2 + x2 e otteniamo 3x4 − 12x2 + x2 − 4 Effettuiamo il raccoglimento parziale 3x2 (x2 − 4) + 1(x2 − 4) (x2 − 4)(3x2 + 1) (x − 2)(x + 2)(3x2 + 1) 170 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo 2x2 − xy − 3y 2 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado ed è omogeneo. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −6 sono: −6 e 1; 6 e − 1; −3 e 2; 3 e − 2 Tra queste, la terza coppia dà come somma −1: i numeri cercati sono −3 e 2. Sostituiamo −xy con −3xy + 2xy e otteniamo 2x2 − 3xy + 2xy − 3y 2 Effettuiamo il raccoglimento parziale x(2x − 3y) + y(2x − 3y) (2x − 3y)(x + y) • Scomponiamo 2x6 + 5x3 y 3 + 2y 6 Il polinomio è formato da tre termini, è di sesto grado ed è omogeneo. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 4 sono: 4 e 1; −4 e − 1; 4 e 2; −2 e − 2 Tra queste, la prima coppia dà come somma 5: i numeri cercati sono 4 e 1. Sostituiamo 5x3 y 3 con 4x3 y 3 + x3 y 3 e otteniamo 2x6 + 4x3 y 3 + x3 y 3 + 2y 6 Effettuiamo il raccoglimento parziale 2x3 (x3 + 2y 3 ) + y 3 (x3 + 2y 3 ) (x3 + 2y 3 )(2x3 + y 3 ) Osservazione Ogni trinomio che è quadrato di un binomio può essere scomposto con il metodo del trinomio particolare, anche se è preferibile utilizzare il metodo del prodotto notevole. 11.2.5 Scomposizione con la regola di Ruffini La regola di Ruffini, quando è applicabile, permette di scomporre un polinomio di grado n nel prodotto di un binomio di primo grado per un polinomio di grado n−1 utilizzando la proprietà che un polinomio P (x) è divisibile per x − k se e solo se P (k) = 0. Osservazione Se il valore che annulla il polinomio è k, il termine noto del divisore è il suo opposto. Per esempio, se il valore che annulla il polinomio è −5, il divisore è x + 5. Il polinomio dato si può scomporre con la regola di Ruffini se esiste un numero razionale che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio. La ricerca degli eventuali numeri razionali k che annullano il polinomio è basata sulla seguente proprietà, di cui diamo l’enunciato senza dimostrazione: Teorema 11.2.1. dato un polinomio P (x) a coefficienti interi, gli eventuali numeri razionali che annullano il polinomio sono da ricercare tra le frazioni aventi per numeratore un divisore del termine noto e per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo. 171 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI Per stabilire se esiste un numero razionale che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio: 1. si determinano tutti i numeri razionali che hanno per numeratore un divisore del termine noto e per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo (se il coefficiente del termine di grado massimo è 1, allora i numeri da determinare sono i divisori del termine noto); 2. si sostituisce ciascun numero nel polinomio finché non si trova quello che lo annulla (se esiste); 3. se nessun numero annulla il polinomio, non lo si può scomporre utilizzando la regola di Ruffini. Per scomporre il polinomio con la regola di Ruffini: 1. si effettua la divisione con la regola di Ruffini in cui il dividendo è il polinomio dato e il divisore è il binomio x − k, dove k è il numero razionale che annulla il polinomio; 2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra il binomio x − k e il quoziente della divisione perché, se il resto è 0, si ha Dividendo = Divisore · Quoziente Dopo aver effettuato la scomposizione, si esamina se il quoziente Q(x) è scomponibile, in caso affermativo lo si scompone o con uno dei metodi visti precedentemente o con la regola di Ruffini. Esempio 11.2.15. • Scomponiamo x3 − 2x2 − 2x − 3 Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1, −1, 3, −3 Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste): P (1) = (1)3 − 2 (1)2 − 2 (1) − 3 = −6 1 non annulla il polinomio; P (−1) = (−1)3 − 2 (−1)2 − 2 (−1) − 3 = −4 −1 non annulla il polinomio; P (3) = (3)3 − 2 (3)2 − 2 (3) − 3 = 0 Poiché 3 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini. Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra x3 − 2x2 − 2x − 3 e x − 3. Otteniamo come quoziente x2 + x + 1, quindi: Ä x3 − 2x2 − 2x − 3 = (x − 3) x2 + x + 1 ä • Scomponiamo 2x3 − 3x2 + 3x − 1 Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1 1 1, −1, , − 2 2 172 11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste): P (1) = 2 (1)3 − 3 (1)2 + 3 (1) − 1 = 1 1 non annulla il polinomio; P (−1) = 2 (−1)3 − 3 (−1)2 + 3 (−1) − 1 = −9 −1 non annulla il polinomio; Å ã3 1 1 =2 2 2 Å ã P Poiché −3 Å ã2 1 2 1 −1=0 2 Å ã +3 1 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini. 2 1 Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 2x3 − 3x2 + 3x − 1 e x − . 2 2 Otteniamo come quoziente 2x − 2x + 2, quindi: ã ä 1 Ä 2 2x − 3x + 3x − 1 = x − 2x − 2x + 2 2 3 2 Å Nel secondo fattore si può raccogliere 2 e moltiplicarlo per il primo fattore; pertanto: Ä 2x3 − 3x2 + 3x − 1 = (2x − 1) x2 − x + 1 ä • Scomponiamo x4 − 2x2 + 5 Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1, −1, 5, −5 Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste): P (1) = (1)4 − 2 (1)2 + 5 = 4 1 non annulla il polinomio; P (−1) = (−1)4 − 2 (−1)2 + 5 = 4 −1 non annulla il polinomio; P (5) = (5)4 − 2 (5)2 + 5 = 580 5 non annulla il polinomio; P (−5) = (−5)4 − 2 (−5)2 + 5 = 580 −5 non annulla il polinomio. Poiché nessun numero annulla il polinomio, non lo si può scomporre con la regola di Ruffini. • Scomponiamo 6x3 + 7x2 − 1 Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1 1 1 1 1 1 1, −1, , − , , − , , − 2 2 3 3 6 6 173 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste): P (1) = 6 (1)3 + 7 (1)2 − 1 = 12 1 non annulla il polinomio; P (−1) = 6 (−1)3 + 7 (−1)2 − 1 = 0 Poiché −1 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini. Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 6x3 + 7x2 − 1 e x + 1. Otteniamo come quoziente 6x2 + x − 1, quindi: 6x3 + 7x2 − 1 = (x + 1)(6x2 + x − 1) Consideriamo ora il secondo fattore. Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1 1 1 1 1 1 1, −1, , − , , − , , − 2 2 3 3 6 6 Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste) (il tentativo con 1 è inutile perché se 1 non annulla il polinomio di partenza, non annulla un suo fattore): P (−1) = 6 (−1)2 + (−1) − 1 = 4 −1 non annulla il polinomio; Å ã2 1 1 =6 2 2 Å ã P + 1 −1=1 2 1 non annulla il polinomio; 2 1 1 P − =6 − 2 2 Å ã Å ã2 − 1 −1=0 2 1 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini. 2 1 Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 6x2 + x − 1 e x + . 2 Otteniamo come quoziente 6x − 2; quindi: Poiché − Å 6x3 + 7x2 − 1 = (x + 1)(6x2 + x − 1) = (x + 1) x + 1 (6x − 2) = 2 ã 1 (x + 1) x + 2 (3x − 1) = (x + 1) (2x + 1) (3x − 1) 2 Å 11.3 ã Osservazioni conclusive sulla scomposizione A conclusione dei metodi di scomposizione fin qui analizzati, elenchiamo i criteri in base ai quali privilegiare un metodo piuttosto che un altro. 1. Effettuare, se è possibile, il raccoglimento a fattore comune totale 2. Se non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale, contare i termini del polinomio: • se i termini sono due, verificare se il polinomio è una differenza di due quadrati, o una differenza di due cubi, o una somma di due cubi; 174 11.3. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA SCOMPOSIZIONE • se i termini sono tre, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un binomio o un trinomio particolare; • se i termini sono quattro, verificare se il polinomio è lo sviluppo del cubo di un binomio; • se i termini sono sei, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un trinomio. 3. Se non si sono verificate le condizioni dei casi precedenti, controllare se è possibile effettuare un raccoglimento a fattore comune parziale o una scomposizione mediante la regola di Ruffini o spezzare il polinomio in più parti e scomporlo applicando più volte i metodi precedenti 4. Dopo aver scomposto il polinomio in fattori si può procedere, se è possibile, a un’ulteriore scomposizione dei singoli fattori. Esempio 11.3.1. • Scomponiamo a2 − b2 − 2bc − c2 Il polinomio è formato da quattro termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita dal primo termine e l’altra dagli altri tre: a2 + (−b2 − 2bc − c2 ) Nella seconda parte raccogliamo −1 e otteniamo: Ä a2 − b2 + 2bc + c2 ä Poiché il polinomio racchiuso nella parentesi è lo sviluppo del quadrato di un binomio, otteniamo: a2 − (b + c)2 Tale espressione si può considerare una differenza di due quadrati che, scomposta, diventa: [a + (b + c)] [a − (b + c)] = (a + b + c) (a − b − c) Osservazione A volte può succedere di considerare associazioni che non permettono di effettuare la scomposizione. Riprendiamo l’esempio a2 − b2 − 2bc − c2 Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita dai primi due termini e l’altra dagli ultimi due: Ä ä Ä a2 − b2 + −2bc − c2 ä I primi due termini sono una differenza di quadrati e negli ultimi due si può raccogliere −c; quindi: Ä ä Ä ä a2 − b2 − 2bc − c2 = a2 − b2 + −2bc − c2 = (a + b) (a − b) − c (2b + c) Questi passaggi, pur essendo corretti, non sono utili ai fini della scomposizione e quindi si deve individuare, se esiste, un’altra associazione dei termini. • Scomponiamo x2 + 2x + 1 − y 2 − 2ay − a2 Il polinomio è formato da 6 termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita dai primi 3 termini e l’altra dagli ultimi 3: Ä ä Ä x2 + 2x + 1 + −y 2 − 2ay − a2 ä 175 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI Nella seconda parte raccogliamo −1 e otteniamo: Ä ä Ä x2 + 2x + 1 − y 2 + 2ay + a2 ä Poiché entrambe le parti sono lo sviluppo del quadrato di un binomio, otteniamo: (x + 1)2 − (y + a)2 Tale espressione si può considerare una differenza di due quadrati che, scomposta, diventa: [(x + 1) + (y + a)] [(x + 1) − (y + a)] = (x + 1 + y + a) (x + 1 − y − a) • Scomponiamo x3 + 2x2 + 2x + 1 Il polinomio è formato da quattro termini, ma non è il cubo di un binomio. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima formata dal primo e dal quarto termine, e la seconda dagli altri due termini: (x3 + 1) + (2x2 + 2x) La prima parte è una somma di due cubi e nella seconda si può raccogliere 2x. Si ottiene così: Ä ä (x + 1) x2 − x + 1 + 2x (x + 1) e raccogliendo a fattor comune (x + 1) si ha: (x + 1) îÄ ä ó Ä x2 − x + 1 + 2x = (x + 1) x2 + x + 1 ä Osservazione Il polinomio si può anche scomporre applicando la regola di Ruffini • Scomponiamo x3 − a3 + x2 − a2 Il polinomio è formato da quattro termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima formata dal primo e dal secondo termine, e l’altra dagli altri due termini: (x3 − a3 ) + (x2 − a2 ) La prima parte è una differenza di due cubi e la seconda una differenza di due quadrati. Otteniamo: Ä ä (x − a) x2 + ax + a2 + (x − a) (x + a) Effettuando un raccoglimento a fattor comune totale, abbiamo: (x − a) îÄ ä ó Ä ä x2 + ax + a2 + (x + a) = (x − a) x2 + ax + a2 + x + a • Scomponiamo x4 − 1 Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale. I termini del polinomio sono due. Il polinomio è una differenza di due quadrati e si scompone nel seguente modo: Ä x2 + 1 äÄ ä x2 − 1 Il primo fattore è una somma di quadrati e quindi è irriducibile; il secondo è nuovamente una differenza di due quadrati, che quindi possiamo scomporre ottenendo: x2 − 1 = (x + 1) (x − 1) Il polinomio di partenza risulta così scomposto: Ä ä x4 − 1 = x2 + 1 (x + 1) (x − 1) 176 11.3. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA SCOMPOSIZIONE • Scomponiamo 3x3 + 2x2 − 23x − 30 Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale. I termini del polinomio sono quattro, ma non è lo sviluppo del cubo del binomio. Non è possibile effettuare né il raccoglimento a fattore comune parziale, né spezzarlo in più parti. Proviamo ad applicare la regola di Ruffini. I possibili numeri razionali che annullano il polinomio sono: 1 1 2 2 5 5 10 10 1, −1, 2, −2, 3, −3, 5, −5, 6, −6, 10, −10, 15, −15, 30, −30, , − , , − , , − , , − 3 3 3 3 3 3 3 3 Tra questi, −2 annulla il polinomio, infatti: P (−2) = 3 (−2)3 + 2 (−2)2 − 23 (−2) − 30 = 0 Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 3x3 + 2x2 − 23x − 30 e x + 2. Otteniamo come quoziente 3x2 − 4x − 15, quindi: Ä ä 3x3 + 2x2 − 23x − 30 = (x + 2) 3x2 − 4x − 15 Il fattore 3x2 − 4x − 15 è costituito da tre termini, non è lo sviluppo del quadrato di un binomio. Proviamo a scomporlo applicando ancora la regola di Ruffini. I possibili numeri razionali che annullano il polinomio sono: 1 1 5 5 1, −1, 3, −3, 5, −5, 15, −15, , − , , − 3 3 3 3 Tra questi, 3 annulla il polinomio. Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini fra 3x2 −4x−15 e x − 3. Otteniamo come quoziente 3x + 5, quindi: 3x2 − 4x − 15 = (x − 3)(3x + 5) Il polinomio di partenza risulta così scomposto: 3x3 + 2x2 − 23x − 30 = (x + 2) (3x + 5) (x − 3) • Scomponiamo x2 − 4x + 4 + ax − 2a Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale. I termini del polinomio sono cinque. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima formata dai primi 3 termini, e l’altra dagli altri due termini. I primi tre termini sono lo sviluppo del quadrato di un binomio negli altri due raccogliamo il fattore a: (x − 2)2 + a (x − 2) Eseguiamo ora un raccoglimento a fattore comune totale, ottenendo: x2 − 4x + 4 + ax − 2a = (x − 2) [(x − 2) + a] = (x − 2) (x − 2 + a) • Scomponiamo a4 + 4b4 = a4 + 4a2 b2 + 4b4 − 4a2 b2 = (a2 + 2b2 )2 − 4a2 b2 = (a2 + 2b2 − 2ab)(a2 + 2b2 + 2ab) • Scomponiamo x4 + x2 + 1 = x4 + 2x2 + 1 − x2 = (x2 + 1)2 − x2 = (x2 + 1 − x)(x2 + 1 + x) 177 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI 11.4 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di polinomi Definizione 11.4.1 (Massimo comune divisore). Il massimo comune divisore di due o più polinomi non nulli è ogni polinomio di grado massimo che sia divisore di tutti i polinomi dati. Per determinare il massimo comune divisore di polinomi: 1. si scompongono i polinomi in fattori; 2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei fattori. 3. il massimo comune divisore dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni presi una sola volta con il minimo esponente. Esempio 11.4.1. • MCD 3a2 + 6a, a2 − 4, a2 + 4a + 4 Scomponiamo i tre polinomi: 3a2 + 6a = 3a (a + 2) a2 − 4 = (a + 2) (a − 2) a2 + 4a + 4 = (a + 2)2 Il fattore comune a tutti i polinomi, preso con il minimo esponente, è (a + 2). Quindi: Ä ä MCD 3a2 + 6a, a2 − 4, a2 + 4a + 4 = a + 2 • MCD 1 − a2 , a2 + a − 2 Scomponiamo i due polinomi: 1 − a2 = (1 − a)(1 + a) a2 + a − 2 = (a − 1) (a + 2) Poiché i fattori (1 − a) e (a − 1) sono opposti, raccogliamo −1 nel fattore (1 − a): 1 − a2 = (1 − a)(1 + a) = −1(a − 1)(1 + a) Il fattore comune a tutti i polinomi, preso con il minimo esponente, è (a − 1). Quindi: Ä ä MCD 1 − a2 , a2 + a − 2 = a − 1 • MCD x3 − x2 y, x4 − x2 y 2 , 2ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y Scomponiamo i tre polinomi: x3 − x2 y = x2 (x − y) Ä ä x4 − x2 y 2 = x2 x2 − y 2 = x2 (x + y) (x − y) 2ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y = x2 (2ax + bx − 2ay − by) = x2 (x (2a + b) − y (2a + b)) = x2 (2a + b) (x − y) I fattori comuni a tutti i polinomi, presi con il minimo esponente, sono x2 e x − y. Quindi: Ä ä MCD x3 − x2 y, x4 − x2 y 2 , 2ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y = x2 (x − y) 178 11.4. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO DI POLINOMI • MCD x2 + 3x, x2 + 4x + 3, x2 − y 2 Scomponiamo i tre polinomi: x2 + 3x = x (x + 3) x2 + 4x + 3 = (x + 3) (x + 1) x2 − y 2 = (x + y) (x − y) Non esistono fattori comuni a tutti i polinomi, quindi: Ä ä MCD x2 + 3x, x2 + 4x + 3, x2 − y 2 = 1 Definizione 11.4.2 (Minimo comune multiplo). Il minimo comune multiplo di due o più polinomi non nulli è ogni polinomio non nullo di grado minimo che sia divisibile per tutti i polinomi dati. Per determinare il minimo comune multiplo di polinomi: 1. si scompongono i polinomi in fattori; 2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei fattori. 3. il minimo comune multiplo dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni e non comuni presi una sola volta con il massimo esponente. Esempio 11.4.2. • mcm x3 − x2 , x2 − 1, x3 − 3x2 + 3x − 1 Scomponiamo i tre polinomi: x3 − x2 = x2 (x − 1) x2 − 1 = (x + 1) (x − 1) x3 − 3x2 + 3x − 1 = (x − 1)3 I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono x2 , (x − 1)3 e x + 1. Quindi: mcm x3 − x2 , x2 − 1, x3 − 3x2 + 3x − 1 = x2 (x − 1)3 (x + 1) Ä ä • mcm 1 − a2 , a2 + a − 2 Scomponiamo i due polinomi: 1 − a2 = (1 − a)(1 + a) a2 + a − 2 = (a − 1) (a + 2) Poiché i fattori (1 − a) e (a − 1) sono opposti, raccogliamo −1 nel fattore (1 − a): 1 − a2 = (1 − a)(1 + a) = −1(a − 1)(1 + a) I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono a − 1, 1 + a e a + 2. Quindi: Ä ä mcm 1 − a2 , a2 + a − 2 = (a − 1)(1 + a)(a + 2) • mcm a3 − 1, a2 + a, a2 + 4a + 4 Scomponiamo i tre polinomi: Ä a3 − 1 = (a − 1) a2 + a + 1 ä a2 + a = a (a + 1) a2 + 4a + 4 = (a + 2)2 I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono a − 1, a2 + a + 1, a, a + 1 e (a + 2)2 . Quindi: mcm a3 − 1, a2 + a, a2 + 4a + 4 = a (a − 1) a2 + a + 1 (a + 1) (a + 2)2 Ä ä Ä 179 ä Capitolo 12 Frazioni algebriche 12.1 Introduzione Definizione 12.1.1 (Frazione algebrica). Si dice frazione algebrica il rapporto tra due polinomi con il secondo diverso dal polinomio nullo. Osservazione Il primo polinomio si dice nuneratore e il secondo denominatore Esempio 12.1.1. 3a2 + 2a a2 + 3a + 1 x x+y , , 2 , 2 a+2 a x + 2x x + y 2 • sono frazioni algebriche • Poiché i numeri sono polinomi, anche 2 3a − 1 , x+2 3 sono frazioni algebriche • Poiché ogni polinomio può essere scritto come frazione algebrica con denominatore 1, tutti i polinomi sono frazioni algebriche. 12.2 Frazioni algebriche come funzioni Una frazione algebrica si può considerare come funzione delle variabili che vi compaiono, cioè una relazione che associa a ogni n-pla di numeri reali assegnati alle variabili uno e un solo numero reale. Affinché una frazione algebrica sia una funzione, il denominatore non si deve annullare. Questo si ottiene imponendo le condizioni di esistenza (CE). Osservazioni 1. Un prodotto è diverso da zero se lo è ogni suo singolo fattore. 2. Una potenza è diversa da zero se lo è la sua base. Per determinare le condizioni di esistenza: 1. si scompone il denominatore; 2. si impone che ogni fattore del denominatore sia diverso da zero. Esempio 12.2.1. 180 12.3. FRAZIONI ALGEBRICHE EQUIVALENTI • Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica x+2 2x3 y 2 Il denominatore è scomposto nei fattori 2, x3 e y 2 ; 2 è sempre diverso da zero, quindi CE: x = 0 ∧ y = 0 • Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica 2a2 + 3b + 1 a+2 Il denominatore è irriducibile, quindi CE: a + 2 = 0 • Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica 3x + 1 x2 − 4 Scomponiamo il denominatore: 3x + 1 (x + 2) (x − 2) Quindi CE: x + 2 = 0 ∧ x − 2 = 0 • Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica 3y − 2x + 1 5 Il denominatore è un numero diverso da zero, quindi la frazione è definita per qualunque valore di x e di y Osservazione Nel porre le condizioni di esistenza di una frazione algebrica non si considera il numeratore. 12.3 Frazioni algebriche equivalenti Definizione 12.3.1 (Frazioni algebriche equivalenti). Due frazioni algebriche si dicono equivalenti se assumono lo stesso valore per ogni valore attribuito alle variabili, soddisfacente le condizioni di esistenza di entrambe. Esempio 12.3.1. • Le frazioni algebriche: 3x 3 , x2 + x x + 1 CE: x = 0 ∧ x + 1 = 0 sono equivalenti perché, sostituendo qualsiasi numero diverso da 0 e −1, alla variabile x, esse assumono lo stesso valore. • Le frazioni algebriche: 5x 5x , x−3 x−2 CE: x − 3 = 0 ∧ x − 2 = 0 non sono equivalenti perché, sostituendo alla variabile x il numero 1, esse assumono rispettiva5 mente valore − e −5. 2 181 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE 12.4 Proprietà invariantiva Teorema 12.4.1 (Proprietà invariantiva). Moltiplicando numeratore e denominatore di una frazione algebrica per uno stesso polinomio diverso da quello nullo, si ottiene una frazione equivalente a quella data. Esempio 12.4.1. Data la frazione algebrica: x−1 x+1 CE: x + 1 = 0 se moltiplichiamo numeratore e denominatore per x otteniamo: x(x − 1) x2 − x = 2 x(x + 1) x +x CE: x = 0 ∧ x + 1 = 0 che è equivalente alla frazione data. Osservazione Dividendo numeratore e denominatore di una frazione algebrica per uno stesso polinomio divisore di entrambi, si ottiene una frazione equivalente a quella data. Esempio 12.4.2. Data la frazione algebrica: x2 − x x2 + x CE: x = 0 ∧ x + 1 = 0 se dividiamo numeratore e denominatore per x otteniamo: (x2 − x) : x x−1 = 2 (x + x) : x x+1 che è equivalente alla frazione data. 12.5 Semplificazione di frazioni algebriche La proprietà invariantiva è utile per semplificare le frazioni algebriche. Per semplificare una frazione algebrica: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si semplifica la frazione dividendo numeratore e denominatore per il loro MCD Esempio 12.5.1. • Semplifichiamo 3a3 x2 6a2 x4 y 2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a = 0 ∧ x = 0 ∧ y = 0 182 12.6. ADDIZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE Il MCD del numeratore e denominatore è 3a2 x2 quindi, dividendo numeratore e denominatore per 3a2 x2 , otteniamo: 2 x 3✁a✁3 2 x✁ 42 y 2 62 a = ✁ a 2x2 y 2 • Semplifichiamo x2 + 3x + 2 x2 + 4x + 4 Scomponiamo numeratore e denominatore: (x + 2) (x + 1) (x + 2)2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 2 = 0 Il MCD del numeratore e denominatore è x + 2; quindi, dividendo numeratore e denominatore per x + 2, otteniamo: ✘ + 1) (x✘ +✘2)(x x+1 ✘ = x+2 (x + 2)✁2 • Semplifichiamo x2 − 9 x2 + 2x + 1 Scomponiamo numeratore e denominatore: (x + 3) (x − 3) (x + 1)2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 1 = 0 Poiché non vi sono fattori comuni al numeratore e al denominatore, il loro MCD è 1. La frazione pertanto non è semplificabile. Osservazione Nella semplificazione si possono semplificare solo i fattori comuni e non i termini; quindi la frazione a+2 non è semplificabile perché al numeratore il fattore è a + 2 e al denominatore il fattore è a. a 12.6 Addizione di frazioni algebriche Nell’insieme delle frazioni algebriche l’addizione si può sempre effettuare; il risultato dell’addizione si dice somma. Definizione 12.6.1 (Somma). La somma di due frazioni algebriche con lo stesso denominatore è la frazione algebrica avente per numeratore la somma dei numeratori e per denominatore lo stesso denominatore. Se le frazioni algebriche non hanno lo stesso denominatore, si possono trasformare in modo che abbiano lo stesso denominatore applicando la proprietà invariantiva. In pratica, per addizionare due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 183 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 3. si semplifica ogni frazione; 4. si scrive la frazione che ha come denominatore il minimo comune multiplo dei denominatori; 5. per ottenere il numeratore: (a) si divide il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione e si moltiplica il quoziente ottenuto per il suo numeratore; (b) si ripete il procedimento per la seconda frazione e si somma al risultato precedente; 6. si effettuano i calcoli al numeratore; 7. si scompone il numeratore; 8. si semplifica, se possibile, la frazione ottenuta. Osservazioni 1. L’addizione di frazioni algebriche gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento opposto. 2. La scomposizione del numeratore è utile solo se la singola frazione si può semplificare. Esempio 12.6.1. • Semplifichiamo l’espressione a2 − 4 a−6 + 2 2 a + 2a a − 3a Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (a + 2) (a − 2) a−6 + a (a + 2) a (a − 3) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a = 0 ∧ a + 2 = 0 ∧ a − 3 = 0 Semplifichiamo la prima frazione: ✘ (a − 2) a−6 a−2 a−6 (a✘ +✘ 2) ✘ + = + ✘ ✘ a✘ (a✘ + 2) a (a − 3) a a (a − 3) Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori: a (a − 3) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione e moltiplichiamo il quoziente per il suo numeratore: (a − 3) (a − 2) a (a − 3) Ripetiamo il procedimento per la seconda frazione e sommiamo al risultato precedente: (a − 3) (a − 2) + a − 6 a (a − 3) Effettuiamo i calcoli al numeratore: a2 − 4a a (a − 3) 184 12.6. ADDIZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE Scomponiamo il numeratore: a (a − 4) a (a − 3) Semplifichiamo la frazione: a−4 a✁ (a − 4) = a✁ (a − 3) a−3 • Semplifichiamo l’espressione −b 2b2 + 5ab a + + 2 2a + 2b 3a − 3b 6a − 6b2 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: a −b 2b2 + 5ab + + 2(a + b) 3(a − b) 6(a + b)(a − b) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a + b = 0 ∧ a − b = 0 Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori: 6 (a + b) (a − b) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione e moltiplichiamo il quoziente per il suo numeratore: (3a) (a − b) 6 (a + b) (a − b) Ripetiamo il procedimento per la seconda frazione e sommiamo al risultato precedente: (3a) (a − b) + (−2b)(a + b) 6 (a + b) (a − b) Ripetiamo il procedimento per la terza frazione e sommiamo al risultato precedente: (3a) (a − b) + (−2b)(a + b) + 2b2 + 5ab 6 (a + b) (a − b) Effettuiamo i calcoli al numeratore: 3a2 − 3ab − 2ab − 2b2 + 2b2 + 5ab 6 (a + b) (a − b) 3a2 6 (a + b) (a − b) Semplifichiamo la frazione: a2 2(a + b)(a − b) 185 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE 12.7 Opposto di una frazione algebrica Definizione 12.7.1 (Opposto). Si dice opposto di una frazione algebrica la frazione algebrica che, addizionata a quella data, dà come somma la frazione nulla. Osservazione L’opposto di una frazione algebrica si indica ponendo il segno − davanti alla frazione algebrica ed è uguale alla frazione che ha come numeratore (denominatore) l’opposto del numeratore (denominatore) della frazione data Esempio 12.7.1. L’opposto della frazione algebrica a+2 3b − 1 è − a+2 −a − 2 a+2 = = 3b − 1 3b − 1 −3b + 1 infatti −a − 2 a+2 + =0 3b − 1 3b − 1 12.8 Sottrazione di frazioni algebriche La sottrazione, nell’insieme delle frazioni algebriche, si può sempre effettuare. Il risultato della sottrazione si dice differenza. Definizione 12.8.1 (Differenza). La differenza di due frazioni algebriche è la frazione algebrica che si ottiene addizionando alla prima l’opposto della seconda. Esempio 12.8.1. a−5 3 − = 2 a −1 a+1 Addizioniamo alla prima frazione l’opposto della seconda a−5 −3 + = 2 a −1 a+1 Eseguiamo l’addizione a−5 −3 + = (a + 1)(a − 1) a + 1 CE: a + 1 = 0 ∧ a − 1 = 0 a − 5 + (−3)(a − 1) = (a + 1)(a − 1) a − 5 − 3a + 3 = (a + 1)(a − 1) −2a − 2 = (a + 1)(a − 1) −2(a + 1) = (a + 1)(a − 1) −2 a−1 186 12.8. SOTTRAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE La sottrazione e l’addizione di frazioni algebriche possono essere considerate un’unica operazione che si dice addizione algebrica. Esempio 12.8.2. • Semplifichiamo l’espressione 3 5 − x+2 x−1 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 2 = 0 ∧ x − 1 = 0 I numeratori e i denominatori delle frazioni non sono scomponibili; le frazioni non si possono semplificare. Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori (x + 2) (x − 1) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore di ogni frazione e moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori: (x − 1) 3 − (x + 2) 5 (x + 2) (x − 1) effettuiamo i calcoli al numeratore: −2x − 13 (x + 2) (x − 1) Il numeratore non è scomponibile e la frazione non è semplificabile. • Semplifichiamo l’espressione 1 x2 + 2x + 1 1 + − 2 2 4 2 4x x − 4x x − 2x Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: 1 (x + 1)2 1 + − 2 2 4x x (x + 2) (x − 2) x (x − 2) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x = 0 ∧ x + 2 = 0 ∧ x − 2 = 0 Le frazioni non si possono semplificare. Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori: 4x2 (x + 2) (x − 2) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore di ogni frazione e moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori: (x + 2) (x − 2) + 4 (x + 1)2 − 4x (x + 2) 4x2 (x + 2) (x − 2) Effettuiamo i calcoli al numeratore: 4x2 (x x2 + 2) (x − 2) Semplifichiamo la frazione e otteniamo: 2 x 2 (x 4x + 2) (x − 2) = 1 4 (x + 2) (x − 2) 187 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE Osservazione Nell’addizione algebrica, dopo aver scomposto i denominatori, se tra i fattori dei denominatori ne esistono due opposti con esponente dispari, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi. Se l’esponente di un fattore è pari si possono cambiare i segni dei termini senza raccogliere −1. Esempio 12.8.3. • Semplifichiamo l’espressione x2 2 3 − −1 1−x Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: 2 3 − (x + 1) (x − 1) 1 − x Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 1 e 1 − x. Raccogliendo −1 nel fattore 1 − x, otteniamo: 2 3 − (x + 1) (x − 1) − (x − 1) che possiamo riscrivere nel seguente modo: 2 3 + (x + 1) (x − 1) x − 1 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 1 = 0 ∧ x − 1 = 0 Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori: (x + 1) (x − 1) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per ogni denominatore e moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori: 2 + 3 (x + 1) (x + 1) (x − 1) Effettuiamo i calcoli al numeratore: 3x + 5 (x + 1) (x − 1) Il numeratore non è scomponibile e la frazione non è semplificabile. • Semplifichiamo l’espressione 2x 1 + (x − 2y)2 2y − x Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 2y e 2y − x. Possiamo procedere in due modi 1. Raccogliendo −1 nel fattore 2y − x, otteniamo: 2x 1 + (x − 2y)2 −(x − 2y) che possiamo riscrivere nel seguente modo: 2x 1 − (x − 2y)2 x − 2y 188 12.9. MOLTIPLICAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x − 2y = 0 Eseguiamo l’addizione algebrica 2x − x + 2y (x − 2y)2 x + 2y (x − 2y)2 2. Poiché (x − 2y)2 = (2y − x)2 otteniamo 2x 1 + 2 (2y − x) 2y − x Scriviamo le condizioni di esistenza CE: 2y − x = 0 Eseguiamo l’addizione algebrica 2x + 2y − x (2y − x)2 x + 2y (2y − x)2 • Semplifichiamo l’espressione y2 y+5 y−2 + = − 3y − 10 4 − y 2 y−2 y+5 + = (y − 5)(y + 2) (2 + y)(2 − y) y−2 y+5 + = (y − 5)(y + 2) −(2 + y)(y − 2) y+5 y−2 − = (y − 5)(y + 2) (2 + y)(y − 2) CE: y − 5 = 0 ∧ y + 2 = 0 ∧ y − 2 = 0 (y − 2)2 − (y − 5)(y + 5) = (y − 5)(y + 2)(y − 2) y 2 − 4y + 4 − y 2 + 25 = (y − 5)(y + 2)(y − 2) −4y + 29 (y − 5)(y + 2)(y − 2) 12.9 Moltiplicazione di frazioni algebriche Definizione 12.9.1 (Prodotto). Il prodotto di due frazioni algebriche è la frazione algebrica avente per numeratore il prodotto dei numeratori e per denominatore il prodotto dei denominatori. In pratica per moltiplicare due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 189 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE 3. si semplificano i fattori comuni al numeratore e al denominatore di una stessa frazione o di frazioni diverse; 4. si scrive la frazione che ha come denominatore il prodotto dei denominatori e come numeratore il prodotto dei numeratori (il prodotto dei numeratori e dei denominatori può non essere calcolato, ma solo indicato). Osservazione La moltiplicazione gode delle seguenti proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento inverso. Esempio 12.9.1. • Semplifichiamo l’espressione 3ab2 5c3 · 2ac 6ab3 c Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a = 0 ∧ c = 0 ∧ b = 0 Semplifichiamo: 2 3✁a✁ b 5c✁3 1 5c · = · 2a✁✁c 6✁2 ab✁3 ✁c 2 2ab Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: 5c 4ab • Semplifichiamo l’espressione 3x x2 − 1 x2 + x + 1 · · 2 x3 − 1 x2 − x x + 3x + 2 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (x + 1) (x − 1) x2 + x + 1 3x · · (x − 1) (x2 + x + 1) x (x − 1) (x + 1) (x + 2) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x − 1 = 0 ∧ x2 + x + 1 = 0 ∧ x = 0 ∧ x + 1 = 0 ∧ x + 2 = 0 Semplifichiamo: ✘ ✘ ✘(x✘ ✘ 1 3 (x✘ +✘1) 1) x2✘ +✘x✘ +1 3✚ x 1 ✘ ✘ −✘ ✘ · · = · · ✘ ✘ ✘ ✘ ✘ 2 ✘ ✘+ 1 x (x − 1) ✘ (x✘ + 1) (x + 2) 1 (x − 1) (x + 2) ✘x ✚ (x✘ − 1)✘x✘+ ✘ Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: 3 (x − 1) (x + 2) Osservazione Nella moltiplicazione, dopo aver scomposto i denominatori, se tra i fattori dei denominatori ne esistono due opposti con esponente dispari, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi. Se l’esponente di un fattore è pari si possono cambiare i segni dei termini senza raccogliere −1. 190 12.9. MOLTIPLICAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE Esempio 12.9.2. Semplifichiamo l’espressione 5 b2 − ab · a2 − b2 5a + 10 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: 5 b (b − a) · (a − b) (a + b) 5 (a + 2) Possiamo notare che compaiono i fattori opposti a − b e b − a. Raccogliendo −1 nel fattore b − a, otteniamo: 5 −b (−b + a) · (a − b) (a + b) 5 (a + 2) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a − b = 0 ∧ a + b = 0 ∧ a + 2 = 0 Semplifichiamo: −b✘ 1 −b (−b +✘ a) 5✁ ✘✘ · = · ✘ ✘ (a✘ − b) (a + b) 5✁ (a + 2) (a + b) (a + 2) ✘ ✘ Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: − b (a + b) (a + 2) 12.9.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione algebrica Esempio 12.9.3. • Semplifichiamo l’espressione b2 b 1− + 2 a a å b b2 1− + 2 a a å Ç Ç · · a2 = a3 + b3 (a + a2 = − ab + b2 ) b)(a2 CE: a = 0 ∧ a + b = 0 a2 − ab + b2 a2 · = a2 (a + b)(a2 − ab + b2 ) 1 a+b • Semplifichiamo l’espressione Å x+1 1−x x−3 3 − − · −2 + 1 · (x − 3) = 2 x + 3 − 4x 4x − 4 4 − 4x x−4 Ç ã Å x+1 1−x x−3 − − (x − 3)(x − 1) 4(x − 1) 4(1 − x) Å ã å Å · −2 191 Å ã 3 + 1 · (x − 3) = x−4 ã ã CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE Ç x+1 1−x x−3 − + (x − 3)(x − 1) 4(x − 1) 4(x − 1) å Å · −2 Å 3 + 1 · (x − 3) = x−4 ã ã CE: x − 3 = 0 ∧ x − 1 = 0 ∧ x − 4 = 0 4(x + 1) − (1 − x)(x − 3) + (x − 3)2 3+x−4 · −2 · (x − 3) = 4(x − 3)(x − 1) x−4 Å ã 4x + 4 − x + 3 + x2 − 3x + x2 − 6x + 9 x−1 · −2 · (x − 3) = 4(x − 3)(x − 1) x−4 Å ã 2x2 − 6x + 16 −2(x − 1)(x − 3) · = 4(x − 3)(x − 1) x−4 2(x2 − 3x + 8) −2(x − 1)(x − 3) · = 4(x − 3)(x − 1) x−4 − 12.10 x2 − 3x + 8 x−4 Divisione di frazioni algebriche Per definire la divisione tra frazioni algebriche, è necessario introdurre il concetto di inversa di una frazione algebrica. Definizione 12.10.1 (Inversa). Si dice inversa, o reciproca, di una frazione algebrica non nulla la frazione che, moltiplicata per quella assegnata, dà come risultato 1. Osservazioni 1. l’inversa di una frazione algebrica si ottiene scambiando il numeratore con il denominatore della frazione assegnata. 2. Per l’esistenza dell’inversa di una frazione algebrica non si devono annullare né il denominatore né il numeratore Esempio 12.10.1. • L’inversa della frazione a+2 a−1 con CE: a − 1 = 0 ∧ a + 2 = 0 è: a−1 a+2 Infatti: a+2 a−1 · =1 a−1 a+2 • L’inversa della frazione (x + 2) x2 + 1 x (x − 3) con CE: x + 2 = 0 ∧ x = 0 ∧ x − 3 = 0 è: x (x − 3) (x + 2) (x2 + 1) Infatti: (x + 2) x2 + 1 x (x − 3) · =1 x (x − 3) (x + 2) (x2 + 1) 192 12.10. DIVISIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE Definizione 12.10.2 (Quoziente). Il quoziente di due frazioni algebriche, con la seconda non nulla, è la frazione algebrica che si ottiene moltiplicando la prima frazione per l’inversa della seconda. In pratica per dividere due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore della seconda frazione sia diverso da zero; 4. si moltiplica la prima frazione per l’inversa della seconda. Osservazione Per eseguire divisioni di tre o più frazioni, poiché la divisione non gode della proprietà associativa, si devono effettuare le operazioni nell’ordine indicato. Esempio 12.10.2. • Semplifichiamo l’espressione 5xy 3 10xyz : 3z 4 6z 3 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: z = 0 ∧ x = 0 ∧ y = 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: 5xy 3 6z 3 · 3z 4 10xyz Semplifichiamo: 2 5✁✚ xy✁3 3✁z✁4 · 3 6✁✁2 z ✚✁2✚ 10 xyz ✚ ✁ = y2 1 · z z Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: y2 z2 • Semplifichiamo l’espressione a2 − 5a + 6 a2 − 2a : a2 − 1 a−1 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (a − 3) (a − 2) a (a − 2) : (a + 1) (a − 1) a−1 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a + 1 = 0 ∧ a − 1 = 0 ∧ a = 0 ∧ a − 2 = 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: (a − 3) (a − 2) a−1 · (a + 1) (a − 1) a (a − 2) Eseguiamo i prodotti e otteniamo: ✘ ✘✘ (a − 3) ✘ (a✘ −✘ 2) a− 1 a−3 ✘ · = ✘ ✘ ✘ ✘ (a + 1) ✘ (a✘ − 1) a✘ (a✘ − 2) a (a + 1) 193 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione x3 + 3x2 + 3x + 1 x2 + 2x + 1 3x3 : : x+2 x2 x2 + 3x + 2 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (x + 1)3 (x + 1)2 3x3 : : x+2 x2 (x + 2) (x + 1) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 2 = 0 ∧ x = 0 ∧ x + 1 = 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: (x + 1)3 3x3 x2 : · x+2 (x + 1)2 (x + 2)(x + 1) Effettuiamo il prodotto delle prime due frazioni: 3x3 (x + 1)✁3 x2 (x + 1) · x2 3x3 : · = : ✘ x+2 ✘ (x✘ +✘1)2 (x + 2)(x + 1) x+2 (x + 2)(x + 1) Moltiplichiamo la frazione ottenuta per l’inversa delle terza e ricaviamo: (x + 1) · x2 (x + 2)(x + 1) · x+2 3x3 Eseguiamo i prodotti e otteniamo: ✘ + 1) 2 (x✘ (x + 1) · x 2)(x (x + 1)2 ✘ +✘ · = ✘✘ x+ 2 3x ✘ 3x✁3 12.10.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione, divisione 2. addizione algebrica Esempio 12.10.3. • Semplifichiamo l’espressione x2 y + xy 2 xy + y 2 x3 + xy 2 xy + 1 · + = : x3 y + xy 3 x2 − xy x y xy(x + y) y(x + y) x(x2 + y 2 ) xy + 1 : · + = 2 2 xy(x + y ) x(x − y) x y CE: x = 0 ∧ y = 0 ∧ x + y = 0 ∧ x − y = 0 x + y x(x − y) xy + 1 · · (x2 + y 2 ) + = x2 + y 2 y(x + y) y x(x − y) xy + 1 + = y y x2 − xy + xy + 1 = y x2 + 1 y 194 12.11. FRAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione 1 1 1 (3a − 27) · + − 2 3a − 9 3a − a 6a − 9 − a2 Å 2 Ç 2 3(a − 9) · ã 1 1 1 + + 2 3(a − 3) a(3 − a) a − 6a + 9 Ç 3(a + 3)(a − 3) · : a3 + 27 = a3 − 9a å 1 1 1 − + 3(a − 3) a(a − 3) (a − 3)2 : (a + 3)(a2 − 3a + 9 = a(a2 − 9) å : (a + 3)(a2 − 3a + 9 = a(a − 3)(a + 3) CE: a − 3 = 0 ∧ a = 0 ∧ a + 3 = 0 3(a + 3)(a − 3) · a(a − 3) − 3(a − 3) + 3a a2 − 3a + 9 : = 3a(a − 3)2 a(a − 3) 3(a + 3)(a − 3) · a2 − 3a − 3a + 9 + 3a a(a − 3) · 2 = 2 3a(a − 3) a − 3a + 9 3(a + 3)(a − 3) · a2 − 3a + 9 a(a − 3) · 2 = 2 3a(a − 3) a − 3a + 9 a+3 12.11 Frazione di frazioni algebriche Consideriamo una frazione che ha frazioni algebriche al numeratore e al denominatore. Ogni frazione di questo tipo si può scrivere come divisione tra la frazione algebrica al numeratore e la frazione algebrica al denominatore, quindi si segue il metodo visto precedentemente. Esempio 12.11.1. • Semplifichiamo l’espressione 2x3 5ay 2 = 6xy 3 10a2 Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore: 2x3 6xy 3 : 5ay 2 10a2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a = 0 ∧ y = 0 ∧ x = 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: 2x3 10a2 · 5ay 2 6xy 3 Semplifichiamo: 2 ✚2 a✁2 2✁x✁3 ✚ 10 x2 2a · = · 2 63 xy 3 5✁ay y 2 3y 3 ✁✚ ✁ Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: 2ax2 3y 5 195 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione x2 − 1 = x2 − 2x + 1 x2 − x Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore: Ä ä x2 − 2x + 1 x2 − 1 : x2 − x Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (x − 1) (x + 1) : (x − 1)2 x (x − 1) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x = 0 ∧ x − 1 = 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: (x − 1) (x + 1) · x (x − 1) (x − 1)2 Semplifichiamo: ✘ (x✘ −✘1) x ✘ (x + 1) · x✘ (x✘ −✘1) = (x + 1) · ✘ ✘ ✘ 2 1 (x✘ − 1)✁ ✘ Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: x (x + 1) • Semplifichiamo l’espressione x2 − 1 x2 − 2x + 1 = x2 − x Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore: Ä ä x2 − 1 : x2 − x 2 x − 2x + 1 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (x + 1) (x − 1) : [x (x − 1)] (x − 1)2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x − 1 = 0 ∧ x = 0 I fattori ottenuti dalla scomposizione della seconda frazione devono essere racchiusi tra parentesi, per evitare di dividere solo per il primo fattore, commettendo quindi un errore. Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: (x + 1) (x − 1) 1 · 2 x (x − 1) (x − 1) Semplifichiamo: ✘ (x + 1) ✘ (x✘ −✘1) 1 (x + 1) 1 · = · ✘ 2 ✘ x✘ (x✘ − 1) (x − 1) (x − 1)2 x Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: x+1 x (x − 1)2 Osservazione Dagli ultimi due esempi possiamo notare che è importante individuare la linea di frazione principale perché in base ad essa il risultato cambia. 196 12.12. ELEVAMENTO A POTENZA DI FRAZIONI ALGEBRICHE 12.12 Elevamento a potenza di frazioni algebriche Definizione 12.12.1 (Potenza con esponente positivo). La potenza con esponente intero positivo di una frazione algebrica è la frazione algebrica che ha come numeratore la potenza del numeratore e come denominatore la potenza del denominatore. In pratica per calcolare la potenza con esponente intero positivo di una frazione algebrica : 1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si semplifica la frazione; 4. si elevano all’esponente intero positivo tutti i fattori del numeratore e del denominatore. Esempio 12.12.1. • Semplifichiamo l’espressione Ç 5a3 b 3c2 x4 å2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: c = 0 ∧ x = 0 La frazione non è semplificabile. Eleviamo all’esponente 2 tutti i fattori: 25a6 b2 9c4 x8 • Semplifichiamo l’espressione å3 Ç 4 x − 4x3 + 4x2 x2 − 5x Scomponiamo numeratore e denominatore: Ç 2 å3 x (x − 2)2 x (x − 5) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x = 0 ∧ x − 5 = 0 Semplifichiamo: x✁2 (x − 2)2 x (x − 5) ✚ 3 Ç = x (x − 2)2 x−5 å3 Eleviamo all’esponente 3 tutti i fattori: x3 (x − 2)6 (x − 5)3 Definizione 12.12.2 (Potenza con esponente negativo). La potenza con esponente intero negativo di una frazione algebrica non nulla è la frazione algebrica che si ottiene elevando all’opposto dell’esponente l’inversa della frazione. In pratica per calcolare la potenza con esponente intero negativo di una frazione algebrica : 197 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE 1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore sia diverso da zero; 4. si semplifica la frazione; 5. si eleva all’opposto dell’esponente l’inversa della frazione data. Esempio 12.12.2. Semplifichiamo l’espressione Ç å−4 3xy 3 x + 2y Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 2y = 0 ∧ x = 0 ∧ y = 0 La frazione non è semplificabile. Eleviamo all’esponente 4 l’inversa della frazione: Å x + 2y 3xy 3 ã4 Eleviamo all’esponente 4 tutti i fattori: (x + 2y)4 81x4 y 12 Osservazione La potenza con esponente 0 di ogni frazione algebrica non nulla è uguale a 1. Esempio 12.12.3. Semplifichiamo l’espressione Ç 3 å0 x + 3xy − 2y 4 x5 + 4x2 + y Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x5 + 4x2 + y = 0 ∧ x3 + 3xy − 2y 4 = 0 La frazione algebrica non è nulla, quindi: å0 Ç 3 x + 3xy − 2y 4 x5 + 4x2 + y 12.12.1 =1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione algebrica Esempio 12.12.4. 198 12.12. ELEVAMENTO A POTENZA DI FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione 3x2 − x x2 − 16 x3 − x x2 + x 31x − 22x2 − 7 · − : − x2 + 5x + 4 x x2 − 4 x2 + 5x + 6 x2 − x − 2 Scomponiamo numeratore e denominatore di ogni frazione: x (3x − 1) (x + 4) (x − 4) x (x + 1) (x − 1) x (x + 1) 31x − 22x2 − 7 · − : − (x + 4) (x + 1) x (x + 2) (x − 2) (x + 2) (x + 3) (x − 2) (x + 1) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 4 = 0 ∧ x + 1 = 0 ∧ x = 0 ∧ x + 2 = 0 ∧ x − 2 = 0 ∧ x + 3 = 0 Nessuna frazione è semplificabile. Eseguiamo la prima moltiplicazione e trasformiamo la divisione in moltiplicazione: (3x − 1) (x − 4) x (x + 1) (x − 1) (x + 2) (x + 3) 31x − 22x2 − 7 − · − (x + 1) (x + 2) (x − 2) x (x + 1) (x − 2) (x + 1) Eseguiamo la moltiplicazione ✘ (x − 1) (x✘ ✘ (x + 3) 31x − 22x2 − 7 (3x − 1) (x − 4) ✚ x✘ (x✘ +✘1) 2) ✘ +✘ − − = · ✘ ✘ ✘ ✘ x✘ (x✘ + 1) (x + 1) (x − 2) (x + 1) (x✘ + 2) (x − 2) ✚ ✘ (3x − 1) (x − 4) (x − 1) (x + 3) 31x − 22x2 − 7 − − (x + 1) (x − 2) (x − 2) (x + 1) Eseguiamo le sottrazioni: 2x3 + 2 (x − 2) (x + 1) Scomponiamo il numeratore e semplifichiamo: ✘ x2 − x + 1 (x✘ +✘1) 2✘ 2 x2 − x + 1 = ✘ (x − 2) ✘ (x✘ +✘1) (x − 2) • Semplifichiamo l’espressione Å x+3 2x − 1 x+1 − · x2 − 1 x2 + 2x + 1 2 ã Å ã2 Scomponiamo il denominatore di ogni frazione: ñ ô Å x+3 x+1 2x − 1 − · 2 (x + 1) (x − 1) (x + 1) 2 ã2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 1 = 0 ∧ x − 1 = 0 Nessuna frazione è semplificabile. Eseguiamo i calcoli all’interno delle parentesi quadre: −x2 + 7x + 2 x+1 · 2 2 (x + 1) · (x − 1) Å ã2 Elevando a potenza e moltiplicando otteniamo: −x2 + 7x + 2 4 (x − 1) 199 CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione á x2 + 4x + 4 x2 − 1 x2 + 2x xy + y + 3x + 3 ë2 · x3 − x2 xy + 3x + 2y − xy + 3x + 2y + 6 x−1 Scomponiamo numeratore e denominatore di ogni frazione: 2 (x + 2)2 (x + 1) (x − 1) x2 (x − 1) xy + 3x + 2y − · x (x + 2) (x + 2) (y + 3) x−1 (x + 1) (y + 3) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 1 = 0 ∧ x − 1 = 0 ∧ y + 3 = 0 ∧ x = 0 ∧ x + 2 = 0 Nessuna frazione è semplificabile. Trasformiamo la frazione di frazione in moltiplicazione: ñ (x + 1) (y + 3) (x + 2)2 · (x + 1) (x − 1) x (x + 2) ô2 · x2 (x − 1) xy + 3x + 2y − (x + 2) (y + 3) x−1 Eseguiamo la moltiplicazione all’interno delle parentesi quadre: 2 2 ✘ ✘ ✁ ✘ x2 (x − 1) (x + 2) (x + 1) (y + 3) xy + 3x + 2y ✘ · · − = ✘ ✘ ✘ ✘ ✘ ✘ (x + 2) (x + 1)(x − 1) x (x + 2) (y + 3) x−1 ✘ ✘ ñ (x + 2) (y + 3) (x − 1) x ô2 · x2 (x − 1) xy + 3x + 2y − (x + 2) (y + 3) x−1 Calcoliamo la potenza x2 (x − 1) (x + 2)2 (y + 3)2 xy + 3x + 2y · − 2 2 (x + 2) (y + 3) x−1 (x − 1) x Eseguiamo la moltiplicazione: (x + 2)✁2 (y + 3)✁2 2 ✚ ✚ (x − 1)✁2 ✚ (x) · ✘ 2 (x✘ 1) x xy + 3x + 2y ✘ −✘ = ✘(y✘ ✘− ✘ ✘ ✘ + 3) x−1 (x + 2) ✘ ✘ xy + 3x + 2y + 6 xy + 3x + 2y − x−1 x−1 Sottraendo le due frazioni otteniamo: 6 x−1 200 Capitolo 13 Assiomi e definizioni della geometria piana 13.1 Introduzione Noi studiamo la geometria euclidea che è basata sugli assiomi di Euclide. Nella geometria euclidea si assumono come termini primitivi il punto, la retta, il piano, lo spazio. Indichiamo i punti con le lettere maiuscole A, B, . . ., le rette con le lettere minuscole a, b, . . ., i piani con le lettere greche minuscole α, β, . . .. Studieremo la geometria piana, quindi, fissato un piano, i punti appartengono ad esso e le rette sono contenute in esso. Se un punto appartiene ad una retta si dice che la retta passa per quel punto. Definizione 13.1.1 (Figura geometrica). Si dice figura geometrica un qualsiasi sottoinsieme F del piano Osservazioni 1. Il punto, la retta e il piano sono figure geometriche 2. Poiché la figura geometrica è un insieme valgono le operazioni e le proprietà viste per gli insiemi: l’unione di figure geometriche è una figura geometria, l’intersezioni di figure geometriche è una figura geometrica Vediamo alcuni assiomi della geometria del piano 13.2 Assiomi di appartenenza Assioma 13.2.1. Per due punti distinti passa una e una sola retta r B A Teorema 13.2.1. Due rette distinte non possono avere più di un punto in comune Ipotesi r, s rette distinte 201 CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA Tesi r ∩ s = ∅ ∨ r ∩ s = {P } Dimostrazione Supponiamo per assurdo che r e s abbiano almeno due punti distinti in comune A e B. Quindi esistono due rette distinte che passano per due punti distinti: questo contraddice il precedente assioma di appartenza. Pertanto la tesi negata è falsa e r ∩ s = ∅ ∨ r ∩ s = {P } Assioma 13.2.2. La retta è un sottoinsieme proprio del piano Definizione 13.2.1 (Punti allineati). Tre o più punti si dicono allineati se appartengono alla stessa retta C B r A Figura 13.1: punti allineati Definizione 13.2.2 (Rette incidenti). Due rette si dicono incidenti se la loro intersezione è un punto s P r Figura 13.2: rette incidenti Definizione 13.2.3 (Rette parallele). Due rette si dicono parallele se sono coincidenti o se la loro intersezione è l’insieme vuoto s r Figura 13.3: rette parallele 202 13.3. ASSIOMI DI ORDINAMENTO Teorema 13.2.2. La relazione di parallelismo tra rette è una relazione di equivalenza 13.3 Assiomi di ordinamento Definizione 13.3.1 (Retta orientata). Si dice retta orientata una retta su cui si è fissato un verso di percorrenza indicato da una freccia Osservazione In una retta orientata se il punto A viene prima del punto B nel verso di percorrenza si dice che A precede B oppure che B segue A Assioma 13.3.1. Siano A e B due punti di una retta orientata, si verifica uno solo dei seguenti casi 1. A precede B, in simboli A < B 2. A coincide con B, in simboli A ≡ B 3. A segue B, in simboli A > B r B A Figura 13.4: A < B Assioma 13.3.2. Per ogni coppia di punti A e B di una retta orientata r con A < B esiste un punto M ∈ r che segue A e precede B, un punto N ∈ r che precede A e un punto P ∈ r che segue B r P B M A N Come conseguenza dell’assioma precedente si ha il seguente teorema 203 CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA Teorema 13.3.1. Una retta contiene infiniti punti ed è illimitata Assioma 13.3.3. Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata r se A < B ∧ B < C allora A < C. Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata r se A > B ∧ B > C allora A > C. r C B A 13.4 Semiretta, segmento, angolo Definizione 13.4.1 (Semiretta). Data una retta orientata r e un punto O ∈ r, si dice semiretta di origine O l’insieme formato da O e dai punti che lo seguono o da O e dai punti che lo precedono r O Figura 13.5: semiretta Definizione 13.4.2 (Segmento). Data una retta orientata r e due punti A, B ∈ r, si dice segmento di estremi A e B l’insieme formato da A, B e dai punti compresi tra A e B B A Figura 13.6: segmento Osservazioni 1. Se A e B coincidono si ha il segmento nullo 204 13.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO 2. Il segmento AB si dice anche distanza tra i punti A e B Definizione 13.4.3 (Segmenti consecutivi). Due segmenti si dicono consecutivi se hanno un solo estremo in comune C B A Figura 13.7: segmenti consecutivi Definizione 13.4.4 (Segmenti adiacenti). Due segmenti si dicono adiacenti se sono consecutivi e sono contenuti nella stessa retta C B A Figura 13.8: segmenti adiacenti Definizione 13.4.5 (Spezzata). Si dice spezzata l’unione di due o più segmenti consecutivi non adiacenti; i segmenti si dicono lati e gli estremi vertici; se il primo vertice e l’ultimo coincidono la spezzata si dice chiusa altrimenti aperta, se due lati non consecutivi della spezzata si incontrano la spezzata si dice intrecciata. C B A E Figura 13.9: spezzata aperta intrecciata Definizione 13.4.6 (Poligonale). Si dice poligonale una spezzata chiusa non intrecciata 205 CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA E C B A Figura 13.10: poligonale Definizione 13.4.7 (Poligono). Si dice poligono la figura costituita da una poligonale e dalla parte finita di piano che essa delimita E C B A Figura 13.11: poligono I lati e i vertici della poligonale si dicono lati e vertici del poligono. Il segmento che unisce due vertici non appartenenti allo stesso lato si dice diagonale del poligono. La poligonale si dice anche contorno del poligono Osservazione In seguito un poligono verrà rappresentato senza riempimento Definizione 13.4.8 (Semipiano). Data una retta r, si dice semipiano di frontiera r l’insieme formato da r e da una delle parti del piano divise da r Assioma 13.4.1 (Partizione del piano). Sia r la frontiere di due semipiani. Se A e B sono due punti che appartengono allo stesso semipiano e non alla frontiera, allora il segmento AB non interseca la retta r. Se C e D sono due punti che appartengo a semipiani diversi allora il segmento CD interseca la retta r 206 13.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO r D C B A Figura 13.12: assioma di partizione del piano Definizione 13.4.9 (Figura convessa e concava). Una figura si dice convessa se presi due punti qualsiasi appartenenti alla figura, il segmento avente per estremi quei punti è contenuto nella figura; altrimenti si dice concava A B F G E C Figura 13.13: figura convessa A B H F C G E Figura 13.14: figura concava Osservazione Il piano, il semipiano, la retta, la semiretta, il segmento sono figure convesse Definizione 13.4.10 (Angolo). Date due semirette a e b di origine O, si dice angolo di lati a e b e vertice O l’insieme formato dalle semirette e da una delle parti del piano divise dalle semirette Osservazione La parte che contiene i prolungamenti dei lati si dice angolo concavo, l’altra angolo convesso. Se non viene specificato in genere si considera l’angolo convesso 207 CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA A a concavo β O convesso α b B Figura 13.15: angolo Gli angoli li indichiamo in tre modi: 1. con le lettere greche minuscole: α, β “ 2. con un lato il vertice e l’altro lato: aOb “ 3. con un punto di un lato, il vertice e un punto dell’altro lato: AOB Definizione 13.4.11 (Corda). Si dice corda un segmento con gli estremi uno su un lato e l’altro sull’altro lato di un angolo A B α O Figura 13.16: corda Definizione 13.4.12 (Angoli consecutivi). Due angoli si dicono consecutivi se hanno solo il vertice e un lato in comune β α O Figura 13.17: angoli consecutivi Definizione 13.4.13 (Angoli adiacenti). Due angoli si dicono adiacenti se sono consecutivi e i lati non comuni sono contenuti nella stessa retta 208 13.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO β α O Figura 13.18: angoli adiacenti Definizione 13.4.14 (Angolo piatto). Un angolo si dice piatto se i suoi lati non sono coincidenti e sono contenuti nella stessa retta. Osservazione Per indicare che un angolo è piatto scriveremo π α O Figura 13.19: angolo piatto Definizione 13.4.15 (Angolo giro). Un angolo si dice giro se i suoi lati sono coincidenti e conincide con l’intero piano Osservazione Per indicare che un angolo è giro scriveremo 2π α O Figura 13.20: angolo giro Definizione 13.4.16 (Angolo nullo). Un angolo si dice nullo se i suoi lati sono coincidenti e gli unici punti sono quelli dei suoi lati 209 CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA O Figura 13.21: angolo nullo Definizione 13.4.17 (Angoli opposti al vertice). Due angoli si dicono opposti al vertice se i prolungamenti dei lati di uno sono i lati dell’altro. β O α Figura 13.22: angoli opposti al vertice 210 Capitolo 14 Congruenza fra figure 14.1 Relazione di congruenza Definizione 14.1.1 (Figure congruenti). Due figure F e F , si dicono congruenti e si scrive F ∼ = F , se esiste un movimento rigido per cui F si sovrappone a F Figura 14.1: figure congruenti Osservazione La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza. 14.2 Confronto di segmenti Per confrontare due segmenti AB e CD si trasporta con un movimento rigido il segmento CD sulla semiretta di origine A contenente B facendo coincidere C con A: 1. se D coincide con B, i segmenti sono congruenti e si scrive CD ∼ = AB 2. se D è compreso tra A e B, CD è minore di AB e si scrive CD < AB 3. se B è compreso tra C e D, CD è maggiore di AB e si scrive CD > AB G C M H N D F A AB ∼ = CD B I L E IL < M N EF > GH Figura 14.2: confronto di segmenti 14.2.1 Lunghezza Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme dei segmenti di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli i segmenti congruenti tra loro. 211 CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE Definizione 14.2.1 (Lunghezza). Si dice lunghezza ogni classe di equivalenza di segmenti fra loro congruenti. In altre parole due segmenti congruenti hanno la stessa lunghezza e, viceversa, segmenti con la stessa lunghezza sono congruenti tra loro. Per indicare la lunghezza del segmento AB invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza [AB] si utilizza la notazione AB. Il confronto tra segmenti può essere effettuato attraverso le rispettive lunghezze: dette a e b le lunghezze rispettive dei segmenti AB e CD si ha a maggiore, minore o uguale a b se il segmento AB è maggiore, minore o congruente al segmento CD. 14.3 Confronto di angoli “ e cV “ d si trasporta con un movimento rigido l’angolo cV “ d sul semipiano Per confrontare due angoli aOb di orgine a contenente b facendo coincidere V con O e c con a: “d ∼ “ 1. se d coincide con b, gli angoli sono congruenti e si scrive cV = aOb “ cV “ d è minore di aOb “ e si scrive cV “ d < aOb “ 2. se d è interna all’angolo aOb, “ cV “ d è maggiore di aOb “ e si scrive cV “ d > aOb “ 3. se d è esterna all’angolo aOb, d d V d V c c a “ ∼ “d aOd = cV c b b O V O b O a a aOb >cV d ”b < c V ”d a O Figura 14.3: confronto di angoli 14.3.1 Ampiezza Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme degli angoli di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli gli angoli congruenti tra loro. Definizione 14.3.1 (Ampiezza). Si dice ampiezza ogni classe di equivalenza di angoli fra loro congruenti. In altre parole due angoli congruenti hanno la stessa ampiezza e, viceversa, angoli con la stessa ampiezza sono congruenti tra loro. Per indicare l’ampiezza di un angolo invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza si utilizza la notazione stessa dell’angolo. Il confronto tra angoli può essere effettuato attraverso le rispettive ampiezze: dette α e β le ampiezze “ e cV “ d si ha α maggiore, minore o uguale a β se l’angolo aOb “ è rispettivamente degli angoli aOb “ d. maggiore, minore o congruente all’angolo cV 212 14.4. ADDIZIONE DI SEGMENTI 14.4 Addizione di segmenti Definizione 14.4.1 (Somma di segmenti adiacenti). Dati due segmenti AB e BC adiacenti, si dice somma di AB e BC il segmento AC e si scrive: AC ∼ = AB + BC C B AC ∼ = AB + BC A Figura 14.4: somma di segmenti adiacenti Assioma 14.4.1. Somme di segmenti congruenti sono congruenti Per sommare due segmenti non adiacenti li si fa diventare adiacenti tramite un movimento rigido. Osservazione L’addizione di segmenti gode delle proprietà commutativa, associativa e di esistenza dell’elemento neutro che è il segmento nullo. Definizione 14.4.2 (Perimetro). Si dice perimetro di un poligono e si indica con p la somma dei suoi lati 14.5 Sottrazione di segmenti Definizione 14.5.1 (Sottrazione). Dati due segmenti AB e AC giacenti sulla semiretta di origine A con AC < AB o AC ∼ = AB si dice differenza di AB e AC il segmento CB e si scrive CB ∼ = AB − AC B C A CB ∼ = AB − AC Figura 14.5: differenza di segmenti Assioma 14.5.1. Differenze di segmenti congruenti sono congruenti Per sottrarre due segmenti che non giacciono sulla stessa semiretta e non hanno un estremo in comune, con il primo maggiore del secondo, si effettua un movimento rigido. Osservazione AB − CD ∼ = EF ⇔ AB ∼ = CD + EF 213 CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE 14.6 Multipli e sottomultipli di un segmento Definizione 14.6.1 (Multiplo). Il segmento AB si dice multiplo del segmento CD secondo il numero naturale n > 1 se è congruente alla somma di n segmenti congruenti a CD e si scrive AB ∼ = nCD A D B AB ∼ = 4CD Figura 14.6: multiplo di un segmento Se AB è multiplo secondo n di CD allora CD si dice sottomultiplo di AB secondo n e si scrive ∼ 1 AB CD = n 14.7 Operazioni con le lunghezze Le operazioni tra segmenti possono essere effettuate attraverso le rispettive lunghezze: dette a e b le lunghezze rispettive di AB e CD con AB > CD: 1. a + b è la lunghezza di AB + CD 2. a − b è la lunghezza di AB − CD 3. na è la lunghezza di nAB 4. 14.8 1 a è la lunghezza di AB n n Punto medio Definizione 14.8.1 (Punto medio). Si dice punto medio di un segmento il punto del segmento che lo divide in due segmenti congruenti A M B Figura 14.7: punto medio di un segmento 14.9 Addizione di angoli Definizione 14.9.1 (Somma di angoli consecutivi). “ e bOc “ consecutivi, si dice somma di aOb “ e bOc “ l’angolo aOc “ e si scrive: aOc “ ∼ Dati due angoli aOb = “ “ aOb + bOc 214 14.10. SOTTRAZIONE DI ANGOLI b c a “ ∼ “ + bOc “ aOc = aOb O Figura 14.8: somma di angoli consecutivi Assioma 14.9.1. Somme di angoli congruenti sono congruenti Per sommare due angoli non consecutivi, se è possibile, li si fa diventare consecutivi tramite un movimento rigido. Osservazioni 1. In alcuni casi, per esempio se si hanno due angoli concavi, non è possibile renderli consecutivi. In questi casi sarà necessario estendere il concetto di somma. 2. L’addizione tra angoli gode delle proprietà commutativa, associativa e di esistenza dell’elemento neutro che è l’angolo nullo. 14.10 Sottrazione di angoli Definizione 14.10.1 (Sottrazione). “ e aOc “ con la semiretta c interna all’angolo aOb “ si dice differenza l’angolo cOb “ e Dati due angoli aOb “ “ “ ∼ si scrive cOb = aOb − aOc c b a “ ∼ “ − aOc “ cOb = aOb O Figura 14.9: differenza di angoli Assioma 14.10.1. Differenze di angoli congruenti sono congruenti Per sottrarre due angoli che non hanno un lato in comune, con il primo maggiore del secondo, si effettua un movimento rigido. Osservazione α−β ∼ =γ⇔α∼ =β+γ 14.11 Multipli e sottomultipli di un angolo Definizione 14.11.1 (Multiplo). “ si dice multiplo dell’angolo cV “ d secondo il numero naturale n > 1 se è congruente alla L’angolo aOb “ d e si scrive aOb “ ∼ “d somma di n angoli congruenti a cV = ncV 215 CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE b d a “ ∼ “ cOb = 4cOd O Figura 14.10: multiplo di un angolo “ è multiplo secondo n di cV “ d allora cV “ d si dice sottomultiplo di aOb “ secondo n e si scrive Se aOb 1 “d ∼ “ cV = aOb n 14.12 Operazioni con le ampiezze Le operazioni tra angoli possono essere effettuate attraverso le rispettive ampiezze: dette α e β le “ e cV “ d con aOb “ > cV “ d: ampiezze rispettive di aOb “ + cV “d 1. α + β è l’ampiezza di aOb “ − cV “d 2. α − β è l’ampiezza di aOb “ 3. nα è l’ampiezza di naOb 4. 1 “ α è l’ampiezza di aOb n n 14.13 Bisettrice Definizione 14.13.1 (Bisettrice). Si dice bisettrice di un angolo la semiretta dell’angolo che lo divide in due angoli congruenti c b a O Figura 14.11: bisettrice di un angolo 14.14 Angolo retto, acuto, ottuso Definizione 14.14.1 (Angolo retto). Si dice angolo retto un angolo congruente alla metà di un angolo piatto Osservazione π Per indicare che un angolo è retto scriveremo 2 216 14.15. RETTE PERPENDICOLARI c a O Figura 14.12: angolo retto Definizione 14.14.2 (Angolo acuto). Si dice angolo acuto un angolo minore di un angolo retto c a O Figura 14.13: angolo acuto Definizione 14.14.3 (Angolo ottuso). Si dice angolo ottuso un angolo maggiore di un angolo retto e minore di un angolo piatto a b O Figura 14.14: angolo ottuso 14.15 Rette perpendicolari Definizione 14.15.1 (Rette perpendicolari). Due rette incidenti si dicono perpendicolari se formano quattro angoli retti s O r Figura 14.15: rette perpendicolari 217 CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE 14.16 Retta perpendicolare passante per un punto e distanza Teorema 14.16.1 (Perpendicolare). Dati una retta r e un punto P esiste ed è unica la retta s passante per P perpendicolare a r s P r H Figura 14.16: perpendicolare Osservazioni 1. Il punto H in cui la perpendicolare per P a r interseca r si dice piede della perpendicolare oppure proiezione ortogonale di P su r 2. Il segmento di perpendicolare P H di dice distanza di P da r 14.17 Asse di un segmento Definizione 14.17.1 (Asse di un segmento). Si dice asse del segmento AB la retta perpendicolare ad AB passante per il suo punto medio M r B M A Figura 14.17: asse di un segmento 14.18 Angoli complementari, supplementari, esplementari Definizione 14.18.1 (Angoli complementari). Due angoli si dicono complementari se la loro somma è congruente a un angolo retto 218 14.18. ANGOLI COMPLEMENTARI, SUPPLEMENTARI, ESPLEMENTARI b c a O Figura 14.18: angoli complementari Definizione 14.18.2 (Angoli supplementari). Due angoli si dicono supplementari se la loro somma è congruente a un angolo piatto b a O c Figura 14.19: angoli supplementari Definizione 14.18.3 (Angoli esplementari). Due angoli si dicono esplementari se la loro somma è congruente a un angolo giro b a O Figura 14.20: angoli esplementari Teorema 14.18.1 (Angoli complementari). Angoli complementari di angoli congruenti sono congruenti 219 CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE β β α α O O Ipotesi π α+β ∼ = 2 π α +β ∼ = 2 α∼ =α Tesi β∼ =β Dimostrazione Poiché π β∼ = − α per ipotesi 2 π β ∼ = − α per ipotesi 2 ∼ α = α per ipotesi si ha β∼ =β perché differenza di angoli congruenti. Teorema 14.18.2 (Angoli supplementari). Angoli supplementari di angoli congruenti sono congruenti β β α O O Ipotesi α+β ∼ =π α +β ∼ =π α∼ =α Tesi β∼ =β 220 α 14.19. ANGOLI OPPOSTI AL VERTICE Dimostrazione Poiché β∼ = π − α per ipotesi β ∼ = π − α per ipotesi α∼ = α per ipotesi si ha β∼ =β perché differenza di angoli congruenti. Teorema 14.18.3 (Angoli esplementari). Angoli esplementari di angoli congruenti sono congruenti α α βO β Ipotesi α+β ∼ = 2π α +β ∼ = 2π α∼ =α Tesi β∼ =β Dimostrazione Poiché β∼ = 2π − α per ipotesi β ∼ = 2π − α per ipotesi α∼ = α per ipotesi si ha β∼ =β perché differenza di angoli congruenti. 14.19 Angoli opposti al vertice Teorema 14.19.1 (Angoli opposti al vertice). Due angoli opposti al vertice sono congruenti 221 O CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE γ β α Ipotesi α, β opposti al vertice Tesi α∼ =β Dimostrazione Poiché α+γ ∼ =π β+γ ∼ =π si ha α∼ =β perché supplementari di angoli congruenti. 222 Capitolo 15 Triangoli 15.1 Introduzione Definizione 15.1.1 (Triangolo). Si dice triangolo un poligono di tre lati A C B Figura 15.1: triangolo Definizione 15.1.2 (Angolo interno). Si dice angolo interno ciascuno degli angoli convessi individuato dai lati del triangolo A C α γ β B Figura 15.2: angoli interni Osservazione Un angolo interno verrà chiamato semplicemente angolo Definizione 15.1.3 (Angolo esterno). Si dice angolo esterno l’angolo adiacente a un angolo interno del triangolo 223 CAPITOLO 15. TRIANGOLI γ A C α γ α β B β Figura 15.3: angoli esterni Un triangolo può essere classificato in base ai lati. Definizione 15.1.4 (Triangolo equilatero). Un triangolo si dice equilatero se ha i tre lati congruenti A C B Figura 15.4: triangolo equilatero Definizione 15.1.5 (Triangolo isoscele). Un triangolo si dice isoscele se ha due lati congruenti A C B Figura 15.5: triangolo isoscele Osservazione Se ABC è un triangolo isoscele con AC ∼ = BC allora: 1. AB si dice base 2. C si dice vertice “ si dice angolo al vertice 3. l’angolo ACB “ e ABC “ si dicono angoli alla base 4. gli angoli C AB Definizione 15.1.6 (Triangolo scaleno). Un triangolo si dice scaleno se non ha lati congruenti 224 15.1. INTRODUZIONE A C B Figura 15.6: triangolo scaleno Un triangolo può essere classificato in base agli angoli. Definizione 15.1.7 (Triangolo rettangolo). Un triangolo si dice rettangolo se ha un angolo retto A C B Figura 15.7: triangolo rettangolo Definizione 15.1.8 (Triangolo acutangolo). Un triangolo si dice acutangolo se ha tutti gli angoli acuti A C B Figura 15.8: triangolo acutangolo Definizione 15.1.9 (Triangolo ottusangolo). Un triangolo si dice ottusangolo se ha un angolo ottuso A C B Figura 15.9: triangolo ottusangolo 225 CAPITOLO 15. TRIANGOLI 15.2 Mediane, bisettrici, altezze, assi Definizione 15.2.1 (Mediana). Si dice mediana di un triangolo un segmento che ha come estremi un vertice e il punto medio del lato opposto A F D C B E Figura 15.10: mediane Definizione 15.2.2 (Bisettrice). Si dice bisettrice di un triangolo il segmento di bisettrice di un angolo che ha come estremi un vertice e un punto del lato opposto A F E C D B Figura 15.11: bisettrici Definizione 15.2.3 (Altezze). Si dice altezza di un triangolo il segmento di perpendicolare che ha come estremi un vertice e un punto del lato opposto o del suo prolungamento D A F E B C G L K H I J Figura 15.12: altezze 226 15.3. CRITERI DI CONGRUENZA DEI TRIANGOLI Definizione 15.2.4 (Assi). Si dice asse di un triangolo l’asse di un lato del triangolo A F B D E C Figura 15.13: assi 15.3 Criteri di congruenza dei triangoli I criteri di congruenza dei triangoli sono molto utili per effettuare altre dimostrazioni. Noi non li dimostreremo. Teorema 15.3.1 (Primo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due lati e l’angolo tra essi compreso allora sono congruenti C C A α B A α B Figura 15.14: primo criterio Ipotesi AB ∼ =AB AC ∼ =AC α∼ =α Tesi ABC ∼ =ABC Teorema 15.3.2 (Secondo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due angoli e il lato tra essi compreso allora sono congruenti 227 CAPITOLO 15. TRIANGOLI C C A α β B α A β B Figura 15.15: secondo criterio Ipotesi AB ∼ =AB α∼ =α β∼ =β Tesi ABC = A B C Teorema 15.3.3 (Terzo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti i tre lati allora sono congruenti C C A B A Figura 15.16: terzo criterio Ipotesi AB ∼ =AB AC ∼ =AC BC ∼ =BC Tesi ABC ∼ =ABC 15.4 Proprietà dei triangoli isosceli Teorema 15.4.1 (Angoli alla base di un triangolo isoscele). Un triangolo isoscele ha gli angoli alla base congruenti 228 B 15.4. PROPRIETÀ DEI TRIANGOLI ISOSCELI C A M B Ipotesi AC ∼ = BC Tesi α∼ =β Dimostrazione Tracciamo la mediana CM relativa alla base AB. Consideriamo i triangoli ACM e BCM . AM ∼ = M B per costruzione CM in comune ∼ BC per ipotesi AC = quindi ACM ∼ = BCM per il terzo criterio di congruenza In particolare α∼ =β Teorema 15.4.2. Un triangolo con due angoli congruenti è isoscele C α A D α α β B α β β β Ipotesi α∼ =β Tesi AC ∼ = BC 229 E CAPITOLO 15. TRIANGOLI Dimostrazione Prolunghiamo i lati AC e BC di due segmenti congruenti AD e BE. Consideriamo i triangoli ABD e ABE AB in comune AD ∼ = BE per costruzione α ∼ = β perché supplementari di angoli congruenti Quindi ABD ∼ = ABE per il primo criterio di congruenza In particolare BD ∼ =β ∧α ∼ =β = AE ∧ α ∼ Consideriamo i triangoli CDB e CAE BD ∼ = AE per dimostrazione precedente α ∼ = β per dimostrazione precedente α ∼ =β per dimostrazione precedente Quindi ABD ∼ = ABE per il secondo criteiro di congruenza In particolare AC ∼ = BC Teorema 15.4.3. In un triangolo isoscele le mediane relative ai lati obliqui sono congruenti C E A α D β B Ipotesi AC ∼ = BC 1 AE ∼ = AC 2 1 BD ∼ = BC 2 Tesi AE ∼ = BD 230 15.4. PROPRIETÀ DEI TRIANGOLI ISOSCELI Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABD e ABE. AE ∼ = BD perchè metà di segmenti congruenti AB in comune α∼ = β perché angoli alla base di un triangolo isoscele Quindi ABD ∼ = ABE per il primo criterio di congruenza In particolare AD ∼ = EB Teorema 15.4.4. In un triangolo isoscele le bisettrici degli angoli alla base sono congruenti C D E α A αα β β β B Ipotesi AC ∼ = BC 1 α ∼ = α 2 1 β ∼ = β 2 Tesi AD ∼ = EB Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABD e ABE α ∼ = β perchè metà di angoli congruenti AB in comune α∼ = β perché angoli alla base di un triangolo isoscele Quindi ABD ∼ = ABE per il secondo criterio di congruenza In particolare AD ∼ = EB 231 CAPITOLO 15. TRIANGOLI Teorema 15.4.5. In un triangolo isoscele la mediana relativa alla base è anche bisettrice e altezza C β β α A α B M Ipotesi AC ∼ = BC AM ∼ = BM Tesi β∼ =β α∼ = π 2 Dimostrazione Consideriamo i triangoli AM C e BM C AC ∼ = BC per ipotesi M C in comune AM ∼ = BM per ipotesi Quindi AM C ∼ = BM C per il terzo criterio di congruenza In particolare β∼ =β ∧α∼ =α Poiché α∼ =α ∧α+α ∼ =π si ha α∼ = π 2 Teorema 15.4.6. In un triangolo isoscele la bisettrice dell’angolo al vertice è anche mediana e altezza 232 15.4. PROPRIETÀ DEI TRIANGOLI ISOSCELI C β β α A α B M Ipotesi AC ∼ = BC β∼ =β Tesi AM ∼ = BM π α∼ = 2 Dimostrazione Consideriamo i triangoli AM C e BM C AC ∼ = BC per ipotesi M C in comune β∼ = β per ipotesi Quindi AM C ∼ = BM C per il primo criterio di congruenza In particolare AM ∼ = BM ∧ α ∼ =α Poiché α∼ =α ∧α+α ∼ =π si ha α∼ = π 2 Osservazione Poiché un triangolo equilatero è anche isoscele, i teoremi precedenti valgono anche per i triangoli equilateri: Teorema 15.4.7. In un triangolo equilatero le tre mediane sono congruenti Teorema 15.4.8. In un triangolo equilatero le tre bisettrici sono congruenti Teorema 15.4.9. In un triangolo equilatero le mediane sono anche bisettrici e altezze Teorema 15.4.10. In un triangolo equilatero le bisettrici sono anche mediane e altezze 233 CAPITOLO 15. TRIANGOLI 15.5 Disuguaglianze nei triangoli Teorema 15.5.1. In un triangolo l’angolo esterno è maggiore di ogni angolo interno non adiacente C M γ ε A L ε α δ δ δ β B δ Ipotesi δ+β ∼ =π Tesi δ>α δ>γ Dimostrazione Tracciamo la mediana AL e prolunghiamola di un segmento LM ∼ = AL. Consideriamo i triangoli ALC e BLM . CL ∼ = LB per costruzione AL ∼ = LM per costruzione ∼ = perché angoli opposti al vertice Quindi ALC ∼ = BLM per il primo criterio di congruenza In particolare δ ∼ =γ Poiché δ > δ si ha δ > γ Quindi un angolo esterno è maggiore dell’angolo interno con il lato in comune. δ > α per dimostrazione precedente δ∼ =δ perché angoli opposti al vertice Quindi δ>α Teorema 15.5.2. In un triangolo un lato è minore della somma e maggiore della differenza degli altri due 234 Capitolo 16 Rette parallele 16.1 Assioma di Euclide Assioma 16.1.1 (Assioma di Euclide). Dati una retta r e un punto P , la parallela ad r per P è unica P r Figura 16.1: assioma di Euclide Se si nega questo assioma si costruiscono altre geometrie: la geometria ellittica e iperbolica 16.2 Rette parallele tagliate da una trasversale Consideriamo due rette r e s tagliate in due punti distinti da una retta t detta trasversale. Si generano otto angoli che possono essere classificati a coppie in base alla loro posizione rispetto alle rette date. s t α β δ γ β α γ δ r Figura 16.2: angoli formati da due rette tagliate da una trasversale • γ, α e δ, β si dicono angoli alterni interni • α, γ e β, δ si dicono angoli alterni esterni • α, α e β, β e γ, γ e δ, δ si dicono angoli corrispondenti • γ, β e δ, α si dicono angoli coniugati interni 235 CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE • α, δ e β, γ si dicono angoli coniugati esterni Teorema 16.2.1. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni interni congruenti t A α β P r B s Ipotesi α∼ =β Tesi r s Dimostrazione Supponiamo per assurdo che r non sia parallela a s: allora r e s si incontrano in un punto P formando il triangolo ABP . Per il teorema dell’angolo esterno si ha β > α. Questo contraddice le ipotesi e quindi è assurdo. Pertanto la tesi negata è falsa e r s t P s α α s β r Ipotesi r s Tesi α∼ =β Dimostrazione Supponiamo per assurdo che α = β per esempio α > β: allora si può tracciare una retta s = s che formi con t un angolo α ∼ = β. 236 16.2. RETTE PARALLELE TAGLIATE DA UNA TRASVERSALE Le rette r e s sono parallele per la dimostrazione precedente. Quindi per P passano due rette distinte parallele a r: questo contraddice l’assioma di Euclide e perciò è assurdo. Pertanto la tesi negata è falsa e α∼ =β Teorema 16.2.2. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni esterni congruenti t α s α β r β Ipotesi α∼ =β Tesi r s Dimostrazione α∼ = α perché opposti al vertice β∼ = β perché opposti al vertice α∼ = β per ipotesi Quindi α ∼ =β e r s perché formano con t angoli alterni interni congruenti Ipotesi r s Tesi α∼ =β Dimostrazione α ∼ = β perché angoli alterni interni delle rette parallele r, s tagliate da t 237 CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE α∼ = α perché opposti al vertice β∼ = β perché opposti al vertice Quindi α∼ =β Teorema 16.2.3. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli corrispondenti congruenti Teorema 16.2.4. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati interni supplementari Teorema 16.2.5. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati esterni supplementari 16.3 Applicazioni del parallelismo ai triangoli Teorema 16.3.1. In un triangolo, ogni angolo esterno è congruente alla somma degli angoli interni non adiacenti C r γ A δ δ α δ β B Ipotesi δ+β ∼ =π Tesi δ∼ =α+γ Dimostrazione Tracciamo la retta r passante per B parallela a AC. δ ∼ = γ perché angoli alterni interni delle rette parallele r, AC tagliate da CB ∼ α perché angoli corrispondenti delle rette parallele r, AC tagliate da AB δ = Quindi δ +δ ∼ =γ+α δ∼ =γ+α Teorema 16.3.2. In un triangolo la somma degli angoli interni è congruente a un angolo piatto 238 16.3. APPLICAZIONI DEL PARALLELISMO AI TRIANGOLI C γ δ α A β B Ipotesi ABC triangolo Tesi α+β+γ ∼ =π Dimostrazione Considerando l’angolo esterno δ si ha δ+β ∼ =π δ∼ = α + γ per il teorema dell’angolo esterno Quindi α+γ+β ∼ =π Teorema 16.3.3 (Secondo criterio di congruenza generalizzato). Due triangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti due angoli e un lato C C γ A α γ β B A α β Figura 16.3: secondo criterio generalizzato Ipotesi AC ∼ =AC α∼ =α β∼ =β Tesi ABC ∼ =ABC Dimostrazione Per il teorema della somma degli angoli interni di un triangolo si ha γ∼ =π−α−β 239 B CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE γ ∼ =π−α −β Quindi γ∼ = γ perché differenza di angoli congruenti Consideriamo i triangoli ABC e A B C α∼ = α per ipotesi γ∼ = γ per dimostrazione precedente AC ∼ = A C per ipotesi Quindi ABC ∼ = A B C per il secondo criterio di congruenza Teorema 16.3.4. In un triangolo isoscele le altezze relative ai lati congruenti sono congruenti C T S γ A α δ β B Ipotesi AC ∼ = BC π γ∼ =δ∼ = 2 Tesi AS ∼ = TB Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABS e ABT . α∼ = β perché angoli alla base di un triangolo isoscele AB in comune γ∼ = δ per ipotesi Quindi ABS ∼ = ABT per il secondo criterio di congruenza generalizzato In particolare AS ∼ = TB 240 16.4. TRIANGOLI RETTANGOLI 16.4 Triangoli rettangoli Teorema 16.4.1 (Criterio di congruenza dei triangoli rettangoli). Due triangoli rettangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti l’ipotenusa e un cateto. C γ γ β β α A α A B Figura 16.4: criterio di congruenza dei triangoli rettangoli Ipotesi π β∼ =β ∼ = 2 ∼ AC = A C Tesi ABC ∼ = A BC Dimostrazione Rappresentiamo i due triangoli in modo che il cateto BC sia in comune. AC ∼ = A C per ipotesi Quindi ACA è isoscele e α∼ =α Consideriamo i triangoli ABC e A BC β∼ = β per ipotesi α∼ = α per dimostrazione precedente AC ∼ = A C per ipotesi Quindi ABC ∼ = A BC per il secondo criterio di congruenza generalizzato Teorema 16.4.2. Due triangoli congruenti hanno altezze congruenti. C C A α β B A H αβ B H 241 CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE Ipotesi ABC ∼ =ABC π β∼ =β ∼ = 2 Tesi CH ∼ =CH Dimostrazione Consideriamo i triangoli AHC e A H C β∼ = β per ipotesi α∼ = α per ipotesi AC ∼ = A C per ipotesi Quindi AHC ∼ = A H C per il secondo criterio di congruenza generalizzato in particolare AH ∼ =AH Teorema 16.4.3. In un triangolo isoscele l’altezza relativa alla base è anche bisettrice e mediana C β β α A α B M Ipotesi AC ∼ = BC π α∼ =α ∼ = 2 Tesi β∼ =β ∼ BM AM = Dimostrazione Consideriamo i triangoli AM C e BM C AC ∼ = BC per ipotesi M C in comune π ∼α ∼ α= = per ipotesi 2 Quindi AM C ∼ = BM C per il criterio di congruenza dei triangoli rettangoli In particolare β∼ = β ∧ AM ∼ = BM 242 16.5. ASSE DI UN SEGMENTO E BISETTRICE DI UN ANGOLO 16.5 Asse di un segmento e bisettrice di un angolo Teorema 16.5.1 (Asse di un segmento). L’asse di un segmento è il luogo dei punti del piano equidistanti dagli estremi del segmento r P B α β M A Figura 16.5: asse di un segmento Ipotesi AM ∼ = MB r⊥AB P ∈r Tesi PA ∼ = PB Dimostrazione Consideriamo i triangoli AP M e BP M AM ∼ = M B per ipotesi P M in comune π α∼ =β∼ = 2 Quindi AP M ∼ = BP M per il primo criterio di congruenza In particolare PA ∼ = PB Ipotesi PA ∼ = PB Tesi P ∈ asse di AB Dimostrazione Sia r la retta passante per P e per il punto medio M di AB. PA ∼ = P B per ipotesi Quindi il triangolo AP B è isoscele e, poiché la mediana è anche altezza, si ha r⊥AB e P ∈ asse di AB 243 CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE Teorema 16.5.2 (Bisettrice di un angolo). La bisettrice di un angolo è il luogo dei punti del piano equidistanti dai lati dell’angolo P c b K δ β a γ α H O Figura 16.6: bisettrice di un angolo Ipotesi α∼ =β P ∈c π δ∼ =γ∼ = 2 Tesi PH ∼ = PK Dimostrazione Consideriamo i triangoli OP K e OP H γ∼ = δ per ipotesi OP in comune α∼ = β per ipotesi Quindi OP K ∼ = OP H per il secondo criterio di congruenza In particolare PH ∼ = PK Ipotesi PH ∼ = PK π δ∼ =γ∼ = 2 Tesi “ P ∈ bisettrice di aOb Dimostrazione Consideriamo i triangoli OP K e OP H π γ∼ =δ∼ = per ipotesi 2 244 16.5. ASSE DI UN SEGMENTO E BISETTRICE DI UN ANGOLO OP in comune PH ∼ = P K per ipotesi Quindi OP K ∼ = OP H per il criterio di congruenza dei triangoli rettangoli In particolare α∼ =β e “ P ∈ bisettrice di aOb 245 Capitolo 17 Quadrilateri 17.1 Introduzione Definizione 17.1.1 (Quadrilatero). Si dice quadrilatero un poligono di quattro lati B C A D Figura 17.1: quadrilatero Teorema 17.1.1. In un quadrilatero la somma degli angoli interni è congruente a un angolo giro B β β A α C γ β δ δ δ D Figura 17.2: somma angoli interni di un quadrilatero Ipotesi ABCD qudrilatero Tesi α+β+γ+δ ∼ = 2π Dimostrazione Tracciando la diagonale BD si ottengono 2 triangoli. α+β +δ ∼ =π 246 17.1. INTRODUZIONE γ+β +δ ∼ =π Quindi α+β +δ +γ+β +δ ∼ = 2π da cui α+β+γ+δ ∼ = 2π Il teorema precedente si può generalizzare Teorema 17.1.2. In un poligono di n lati la somma degli angoli interni è congruente alla somma di n − 2 angoli piatti B β A α γ δ ε C D E Figura 17.3: somma angoli interni di un poligono Teorema 17.1.3. In un quadrilatero la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro B β α C γ A D δ Figura 17.4: somma angoli esterni di un quadrilatero Ipotesi ABCD quadrilatero Tesi α+β+γ+δ ∼ = 2π Dimostrazione La somma degli angoli interni e esterni è congruente a 4 angoli piatti. Poiché la somma degli angoli interni è congruente a 2 angoli piatti, la somma degli angoli esterni è congruente a 2 angoli piatti. Il teorema precedente si può generalizzare 247 CAPITOLO 17. QUADRILATERI Teorema 17.1.4. In un poligono di n lati la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro B β α A C γ ε E D δ Figura 17.5: somma angoli esterni di un poligono 17.2 Parallelogrammi Definizione 17.2.1 (Parallelogrammo). Si dice parallelogrammo un quadrilatero con i lati opposti paralleli D C A B Figura 17.6: parallelogrammo Definizione 17.2.2 (Altezza). Si dice altezza di un parallelogrammo il segmento di perpendicolare che ha come estremi un estremo di un lato e un punto del lato opposto. Osservazione Ciascuno dei lati perpendicolari all’altezza si dice base D C A H B Figura 17.7: altezza parallelogrammo 248 17.2. PARALLELOGRAMMI Teorema 17.2.1 (Parallelogrammo). Un parallelogrammo ha gli angoli opposti congruenti, i lati opposti congruenti e le diagonali che si dimezzano D C δ δ δ α γ η M γ η β ε β α A γ ε α β B Ipotesi AB CD AD BC Tesi AB ∼ = CD AD ∼ = BC α∼ =γ β∼ =δ AM ∼ = MC BM ∼ = MD Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABC e ACD AC in comune γ ∼ = α perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC α ∼ = γ perchè angoli alterni interni delle rette parallele AD, BC tagliate da AC Quindi ABC ∼ = ACD per il secondo criterio di congruenza In particolare AB ∼ = CD AD ∼ = BC β∼ =δ α∼ = γ perché somma di angoli congruenti Consideriamo i triangoli ABM e CDM . AB ∼ = CD per dimostrazione precedente γ ∼ = α perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC 249 CAPITOLO 17. QUADRILATERI β ∼ = δ perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da BD Quindi ABM ∼ = CDM per il secondo criterio di congruenza In particolare AM ∼ = MC BM ∼ = MD Teorema 17.2.2 (Parallelogrammo). Un quadrilatero con i lati opposti congruenti oppure gli angoli opposti congruenti oppure con le diagonali che si dimezzano oppure con due lati congruenti e paralleli è un parallelogrammo D C δ δ δ γ η α M γ η β ε β α A γ ε α β B Ipotesi AB ∼ = CD AD ∼ = BC Tesi AB CD AD BC Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABC e ACD AC in comune AB ∼ = CD per ipotesi AD ∼ = BC per ipotesi Quindi ABC ∼ = ACD per il terzo criterio di congruenza In particolare α ∼ =γ α ∼ =γ quindi AB CD perché formano con AC angoli alterni interni congruenti 250 17.2. PARALLELOGRAMMI AD BC perché formano con BD angoli alterni interni congruenti Ipotesi α∼ =γ β∼ =δ Tesi AB CD AD BC Dimostrazione Poiché α+β+γ+δ ∼ = 2π α∼ = γ per ipotesi β∼ = δ per ipotesi si ha α+β+α+β ∼ = 2π 2α + 2β ∼ = 2π α+β ∼ =π AD BC perché formano con AB angoli coniugati interni supplementari Poiché α+β ∼ = π per dimostrazione precedente β∼ = δ per ipotesi si ha α+δ ∼ =π AB CD perché formano con AD angoli coniugati interni supplementari Ipotesi AM ∼ = MC BM ∼ = MD Tesi AB CD AD BC Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABM e CM D AM ∼ = M C per ipotesi BM ∼ = M D per ipotesi ∼ = perché angoli opposti al vertice 251 CAPITOLO 17. QUADRILATERI Quindi ABM ∼ = CM D per il primo criterio di congruenza In particolare β ∼ =δ quindi AB CD perché formano con BD angoli alterni interni congruenti Consideriamo i triangoli ADM e BCM AM ∼ = M C per ipotesi BM ∼ = M D per ipotesi η∼ = η perché angoli opposti al vertice Quindi ADM ∼ = BCM per il primo criterio di congruenza In particolare β ∼ =δ quindi AD BC perché formano con BD angoli alterni interni congruenti Ipotesi AB ∼ = CD AB CD Tesi AD BC Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABC e CDA AB ∼ = CD per ipotesi AC in comune α ∼ = γ perché angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC Quindi ABC ∼ = CDA per il primo criterio di congruenza In particolare α ∼ =γ quindi AD BC perché formano con AC angoli alterni interni congruenti 252 17.3. RETTANGOLI 17.3 Rettangoli Definizione 17.3.1 (Rettangolo). Si dice rettangolo un quadrilatero con gli angoli congruenti D C A B Figura 17.8: rettangolo Osservazioni 1. Un rettangolo è un parallelogrammo 2. Gli angoli di un rettangolo sono retti Teorema 17.3.1 (Rettangolo). Un rettangolo ha le diagonali congruenti D C α β A B Ipotesi ABCD rettangolo Tesi AC ∼ = BD Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABC e ABD AB in comune AD ∼ = BC perché lati opposti di un parallelogrammo α∼ = β perchè retti Quindi ABC ∼ = ABD per il primo criterio di congruenza In particolare AC ∼ = BD 253 CAPITOLO 17. QUADRILATERI Teorema 17.3.2 (Rettangolo). Un paralellogramma con le diagonali congruenti è un rettangolo D C δ γ α β A B Ipotesi ABCD parallelogrammo AC ∼ = BC Tesi α∼ =γ∼ =δ =β∼ Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABD e ABC AC ∼ = BD per ipotesi AB ∼ = CD per ipotesi AD ∼ = BC per ipotesi Quindi ABD ∼ = ABC per il terzo criterio di congruenza In particolare α∼ =β Poiché α∼ = γ perchè angoli opposti di un parallelogrammo β∼ = δ perchè angoli opposti di un parallelogrammo si ha α∼ =β∼ = γδ 254 17.4. ROMBI 17.4 Rombi Definizione 17.4.1 (Rombo). Si dice rombo un quadrilatero con i lati congruenti D C A B Figura 17.9: rombo Osservazione Un rombo è un parallelogrammo Teorema 17.4.1 (Rombo). Un rombo ha le diagonali perpendicolari e bisettrici degli angoli. D C β α γ ε ε A δ η η M B Ipotesi ABCD rombo Tesi AC⊥BD α∼ =β η∼ =η Dimostrazione Consideriamo il triangolo ACD. Poiché AD ∼ = BC il triangolo ACD è isoscele. Poiché il rombo è un parallelogrammo, DM è mediana e, per le proprietà dei triangoli isosceli, è anche bisettrice e altezza quindi AC⊥BD α∼ =β In modo analogo si dimostra che η∼ =η 255 CAPITOLO 17. QUADRILATERI Teorema 17.4.2 (Rombo). Un paralellogrammo con le diagonali perpendicolari oppure con le diagonali bisettrici degli angoli è un rombo D C β α γ ε ε A η δ η M B Ipotesi ABCD parallelogrammo AC⊥BD Tesi AB ∼ = BC ∼ = CD ∼ = AD Dimostrazione Consideriamo i triangoli AM D e DM C DM in comune AM ∼ = M C perché le diagonali di un parallelogrammo si dimezzano γ∼ = δ perché retti Quindi AM D ∼ = DM C per il primo criterio di congruenza In particolare AD ∼ = DC quindi AB ∼ = BC ∼ = CD ∼ = AD Ipotesi ABCD parallelogrammo α∼ =β ∼ = Tesi AB ∼ = BC ∼ = CD ∼ = AD Dimostrazione Consideriamo i triangoli AM D e DM C DM in comune α∼ = β per ipotesi 256 17.5. QUADRATI ∼ = η perché metà di angoli congruenti Quindi AM D ∼ = DM C per il secondo criterio di congruenza generalizzato In particolare AD ∼ = DC quindi AB ∼ = BC ∼ = CD ∼ = AD 17.5 Quadrati Definizione 17.5.1 (Quadrato). Si dice quadrato un quadrilatero con i lati e gli angoli congruenti D C A B Figura 17.10: quadrato Osservazione Un quadrato è un parallelogrammo, un rombo e un rettangolo Teorema 17.5.1 (Quadrato). Un quadrato ha le diagonali congruenti, perpendicolari e bisettrici degli angoli D α A C α B Ipotesi ABCD quadrato Tesi AC ∼ = BD AC⊥BD α∼ =α 257 CAPITOLO 17. QUADRILATERI Dimostrazione Poiché il quadrato è un rettangolo si ha AC ∼ = BD Poiché il quadrato è un rombo si ha AC⊥BD α∼ =α Teorema 17.5.2 (quadrato). Un paralellogrammo con le diagonali congruenti e perpendicolari oppure con le diagonali congruenti e bisettrici degli angoli è un quadrato D α A C α B Ipotesi ABCD parallelogrammo AC ∼ = BD AC⊥BD Tesi ABCD quadrato Dimostrazione Poiché AC ∼ = BD ABCD è un rettangolo e quindi ha gli angoli congruenti. Poiché AC⊥BD ABCD è un rombo e quindi ha i lati congruenti. Quindi ABCD è un quadrato. Ipotesi ABCD parallelogrammo AC ∼ = BD α∼ =α Tesi ABCD quadrato 258 17.6. TRAPEZI Dimostrazione Poiché AC ∼ = BD ABCD è un rettangolo e quindi ha gli angoli congruenti. Poiché α∼ =α ABCD è un rombo e quindi ha i lati congruenti. Quindi ABCD è un quadrato. 17.6 Trapezi Definizione 17.6.1 (Trapezio). Si dice trapezio un quadrilatero con due lati opposti paralleli e gli altri due non paralleli B C A D Figura 17.11: trapezio I lati paralleli si dicono basi, gli altri si dicono lati obliqui. Definizione 17.6.2 (Altezza). Si dice altezza di un trapezio il segmento di perpendicolare che ha come estremi un estremo di una base e un punto dell’altra base B C A H D Figura 17.12: altezza del trapezio Definizione 17.6.3 (Trapezio isoscele). Un trapezio si dice isoscele se ha i lati obliqui congruenti 259 CAPITOLO 17. QUADRILATERI D C A B Figura 17.13: trapezio isoscele Definizione 17.6.4 (Trapezio scaleno). Un trapezio si dice scaleno se ha i lati obliqui non congruenti B C A D Figura 17.14: trapezio scaleno Definizione 17.6.5 (Trapezio rettangolo). Un trapezio si dice rettangolo se ha due angoli retti D C A B Figura 17.15: trapezio rettangolo Teorema 17.6.1. In un trapezio gli angoli adiacenti ai lati obliqui sono supplementari D C δ γ α β B A 260 17.6. TRAPEZI Ipotesi AB CD Tesi α+δ ∼ =π β+γ ∼ =π Dimostrazione α e δ sono supplementari perché angoli coniugati interni delle rette parallele AB e CD tagliate dalla trasversale AD. β e γ sono supplementari perché angoli coniugati interni delle rette parallele AB e CD tagliate dalla trasversale CB. Teorema 17.6.2. In un trapezio isoscele gli angoli adiacenti a ciascuna base sono congruenti D C γ δ α A E F β Ipotesi AB CD AD ∼ = BC Tesi α∼ =β γ∼ =δ Dimostrazione Tracciamo le altezze DE e CF . Consideriamo i triangoli rettangoli ADE e CBF AD ∼ = BC per ipotesi DE ∼ = CF perché EF CD è un rettangolo Quindi ADE ∼ = CBF per il criterio di congruenza dei triangoli rettangoli In particolare α∼ =β γ∼ = δ perché supplementari di angoli congruenti 261 B CAPITOLO 17. QUADRILATERI Teorema 17.6.3. In un trapezio isoscele le diagonali sono congruenti D C α β A B Ipotesi AB CD AD ∼ = BC Tesi AC ∼ = BD Dimostrazione Consideriamo i triangoli ACB e ADB AB in comune α∼ = β perché angoli alla base di un trapezio isoscele AD ∼ = BC per ipotesi Quindi ACB ∼ = ADB per il primo criterio di congruenza In particolare AC ∼ = BD 17.7 Caso particolare del teorema di Talete Teorema 17.7.1 (Caso particolare del teorema di Talete). Dato un fascio di rette parallele tagliate da due trasversali a segmenti congruenti su una trasversale corrispondono segmenti congruenti sull’altra trasversale. 262 17.7. CASO PARTICOLARE DEL TEOREMA DI TALETE r t s u A A d γ α c B b C a δ β D B B C D D Figura 17.16: caso particolare del teorema di Talete Ipotesi a b c d AB ∼ = CD Tesi AB ∼ =CD Dimostrazione Tracciamo la retta r passante per A parallela a t e la retta u passante per C parallela a t. Consideriamo i triangoli ABB e CDD . AB ∼ = CD per ipotesi α∼ = β perché angoli corrispondenti delle retta parallele a, c tagliate da s γ∼ = δ perché angoli corrispondenti delle retta parallele u, rtagliate da s Quindi ABB ∼ = CDD per il secondo criterio di congruenza In particolare AB ∼ = CD Consideriamo i quadrilateri B B A A e D D C C. essi sono dei parallelogrammi perché hanno i lati opposti paralleli. quindi AB ∼ =AB CD ∼ =CD quindi AB ∼ =CD 263 CAPITOLO 17. QUADRILATERI Teorema 17.7.2. In un triangolo il segmento che ha come estremi i punti medi di due lati è parallelo al terzo lato e congruente alla sua metà s t C r R D r O A B Q Ipotesi AD ∼ = DC CO ∼ = BO Tesi DO AB 1 DO ∼ = AB 2 Dimostrazione Supponiamo per assurdo che DO AB Tracciamo le rette r passante per C parallela a AB e r passante per D parallela ad AB. La retta r incontra il lato BC in R = O. Poiché AD ∼ = DC per il caso particolare del teorema di Talete si ha CR ∼ = RB Questo è assurdo perché il punto medio è unico. Quindi DO AB 264 17.7. CASO PARTICOLARE DEL TEOREMA DI TALETE Tracciamo le rette s passante per O parallela a AC e t passante per B parallela a AC Poiché CO ∼ = BO si ha AQ ∼ = QB per il caso particolare del teorema di Talete. Poiché il quadrilatero AQOD è un parallelogrammo si ha DO ∼ = AQ e quindi 1 DO ∼ = AB 2 265 Capitolo 18 Equazioni di primo grado 18.1 Introduzione Definizione 18.1.1 (Equazione). Date due funzioni f e g con dominio A ⊆ R, si dice equazione in A nell’incognita x la scrittura f (x) = g (x) Il dominio delle funzioni viene anche detto dominio dell’equazione. Osservazione Il dominio A può essere assegnato a priori oppure è l’intersezione tra i domini delle due funzioni. Esempio 18.1.1. • Date f (x) = x + 2 e g (x) = 2x − 5, aventi dominio R, la scrittura x + 2 = 2x − 5 è una equazione in R nell’incognita x. • Date f (x) = scrittura x 3x − 1 e g (x) = , aventi dominio rispettivamente R − {−1} e R − {2}, la x+1 x−2 x 3x − 1 = x+1 x−2 è una equazione in R − {−1, 2} nell’incognita x. Osservazioni 1. In seguito, per semplificare la notazione, se il dominio di un’equazione è R può anche non essere specificato, se il dominio non è R lo si può scrivere direttamente o utilizzando le condizioni di esistenza. 2. Data l’equazione f (x) = g (x), f (x) si dice primo membro e g(x) secondo membro. Esempio 18.1.2. Data l’equazione 1 x + 5 = 3x + 2 − 7x 2 il primo membro è 1 x + 5, il secondo membro è 3x + 2 − 7x. 2 266 18.2. SOLUZIONI DI UN’EQUAZIONE 18.2 Soluzioni di un’equazione Definizione 18.2.1 (Soluzione). Si dice soluzione o radice dell’equazione f (x) = g (x) in A, ogni valore del dominio per il quale le due funzioni assumono lo stesso valore Quindi per stabilire se un elemento del dominio è una soluzione dell’equazione f (x) = g (x), è sufficiente sostituirlo all’incognita e verificare se le due funzioni assumono lo stesso valore. Risolvere un’equazione in A nell’incognita x significa determinare l’insieme S formato da tutte le soluzioni dell’equazione. Esempio 18.2.1. • Data l’equazione x + 5 − 3x = 2x + 9 verifichiamo se x = 2 è soluzione. Sostituiamo 2 all’incognita nel primo membro: 2+5−3·2=1 sostituiamo 2 all’incognita nel secondo membro 2 · 2 + 9 = 13 le due funzioni non assumono lo stesso valore, quindi x = 2 non è soluzione dell’equazione data. Verifichiamo ora se x = −1 è soluzione dell’equazione data. Sostituiamo −1 all’incognita nel primo membro: −1 + 5 − 3 · (−1) = 7 sostituiamo −1 all’incognita nel secondo membro 2 · (−1) + 9 = 7 le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = −1 è soluzione dell’equazione data. • Data l’equazione x2 − 2x + 5 = 9 + x verifichiamo se x = 4 è soluzione. Sostituiamo 4 all’incognita nel primo membro: 16 − 8 + 5 = 13 sostituiamo 4 all’incognita nel secondo membro 9 + 4 = 13 le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = 4 è soluzione dell’equazione data. Verifichiamo ora se x = −1 è soluzione dell’equazione data. Sostituiamo −1 all’incognita nel primo membro: 1+2+5=8 sostituiamo −1 all’incognita nel secondo membro: 9−1=8 le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = −1 è soluzione dell’equazione data. Osservazione A seconda del dominio il numero di soluzioni di un’equazione può variare. Per esempio, l’equazione x2 = 1, in Z ha come insieme delle soluzioni S = {−1; 1}, in N ha come insieme delle soluzioni S = {1}. 267 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO 18.3 Risolubilità di un’equazione Nella risoluzione di un’equazione in un’incognita in un insieme A si possono presentare i seguenti casi. 18.3.1 Equazione impossibile Definizione 18.3.1 (Equazione impossibile). Un’equazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto Osservazione Un’equazione impossibile non ha soluzioni Esempio 18.3.1. • L’equazione x2 = −1 è impossibile perché nessun numero reale elevato al quadrato è uguale a −1. • L’equazione x + 1 = −5 in N è impossibile perché nessun numero naturale sommato a 1 è uguale a −5. • L’equazione x − 3 = x è impossibile perché nessun numero reale diminuito di 3 è uguale a se stesso. 18.3.2 Equazione determinata Definizione 18.3.2 (Equazione determinata). Un’equazione si dice determinata se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto Esempio 18.3.2. • L’equazione x + 1 = 3 è determinata perché l’insieme delle soluzioni è S = {2} • L’equazione x2 = 4 in Z è determinata perché l’insieme delle soluzioni è S = {−2; 2} 18.3.3 Equazione indeterminata Definizione 18.3.3 (Equazione indeterminata). Un’equazione si dice indeterminata se l’insieme delle soluzioni è infinito Esempio 18.3.3. L’equazione | x | = x è indeterminata perché l’insieme delle soluzioni è S = {x ∈ R/x 18.3.4 0} Identità Definizione 18.3.4 (Identità). Un’equazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio Esempio 18.3.4. • L’equazione x + x + 3 = 2x + 1 + 2 è un’identità perché l’insieme delle soluzioni è R. • L’equazione (x + 2) (x − 2) = x2 − 4 è un’identità perché l’insieme delle soluzioni è R. • L’equazione x+2 x+2 = in R − {0} è un’identità perché l’insieme delle soluzioni è R − {0}. x x 268 18.4. TIPI DI EQUAZIONI 18.4 Tipi di equazioni In questo capitolo analizziamo le equazioni razionali cioè equazioni f (x) = g(x) in cui le funzionif e g sono rapporti di polinomi. Un’equazione razionale si dice numerica se, oltre all’incognita, non compaiono altre lettere; si dice letterale se, oltre all’incognita, compaiono altre lettere dette parametri. Un’equazione razionale si dice intera se l’incognita non compare al denominatore; si dice fratta se l’incognita compare al denominatore. Le equazioni razionali quindi si possono suddividere in: • numeriche intere • numeriche fratte • letterali intere • letterali fratte Esempio 18.4.1. • L’equazione 2x + 1 = 5 è numerica intera perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita non compare al denominatore; • L’equazione 1 3 x + 3 = + 2x 2 4 è numerica intera perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita non compare al denominatore; • L’equazione 2 = 3 + 2x x−1 è numerica fratta perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita compare al denominatore; • L’equazione ax = 3 è letterale intera perché, oltre all’incognita x, compare la lettera a che è un parametro e l’incognita non compare al denominatore; • L’equazione x =b a+1 è letterale intera perché, oltre all’incognita x, compaiono le lettere a e b che sono parametri e l’incognita non compare al denominatore; • L’equazione a =2 x è letterale fratta perché, oltre all’incognita x, compare la lettera a che è un parametro e l’incognita compare al denominatore. 269 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO 18.5 18.5.1 Principi di equivalenza delle equazioni Equazioni equivalenti Definizione 18.5.1 (Equazioni equivalenti). Due equazioni si dicono equivalenti se hanno lo stesso insieme delle soluzioni. Esempio 18.5.1. • Le equazioni 2x = 2 2x + 3 = 2 + 3 sono equivalenti perché entrambe hanno come insieme delle soluzioni S = {1}; • Le equazioni x=3 2x = 6 sono equivalenti perché entrambe hanno come insieme delle soluzioni S = {3}; • Le equazioni x+1=2 x2 = 1 non sono equivalenti in Z perché la prima ha come insieme delle soluzioni S1 = {1} e la seconda ha come insieme delle soluzioni S2 = {−1; 1}; le due equazioni sono invece equivalenti in N perché hanno entrambe come insieme delle soluzioni S = {1}; • Le equazioni 2x = 4 x+2=5 non sono equivalenti perché la prima ha come insieme delle soluzioni S1 = {2} e la seconda ha come insieme delle soluzioni S2 = {3}; Osservazione La definizione di equazioni equivalenti è utile per risolvere un’equazione. Infatti un’equazione può essere risolta trasformandola in una equivalente più semplice. 18.5.2 Primo principio di equivalenza Teorema 18.5.1 (Primo principio di equivalenza). Addizionando ad entrambi i membri di un’equazione la stessa espressione algebrica che non modifica il dominio, si ottiene un’equazione equivalente. Esempio 18.5.2. • Data l’equazione x+2=5 addizionando 1 ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: x+2+1=5+1 x+3=6 270 18.5. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DELLE EQUAZIONI • Data l’equazione 3x − 4 = 2 addizionando −2 ad entrambi i membri ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: 3x − 4 − 2 = 2 − 2 3x − 6 = 0 • Data l’equazione 3x = x + 4 addizionando −x ad entrambi i membri ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: 3x − x = x + 4 − x 2x = 4 Osservazione L’espressione addizionata ad entrambi i membri non deve modificare il dominio perché, in caso contrario, l’equazione ottenuta potrebbe non essere equivalente a quella data. Per esempio, se nell’equazione 2x = 6 con dominio R, che ha come insieme delle soluzioni S = {3} addizioniamo ad entrambi i membri l’espressione 1 x−3 con dominio R − {3} otteniamo 2x + 1 1 =6+ x−3 x−3 Questa equazione ha dominio R − {3}, quindi x = 3 non può essere soluzione di questa equazione che non è perciò equivalente a quella data. Regola del trasporto Teorema 18.5.2 (Regola del trasporto). Se in un’equazione si sposta un termine da un membro all’altro cambiandone il segno, si ottiene un’equazione equivalente. Dimostrazione Spostare un termine da un membro all’altro cambiando il segno equivale ad addizionare ad entrambi i membri l’opposto del termine. Esempio 18.5.3. • Data l’equazione x+1=3 trasportando il termine 1 al secondo membro cambiandone il segno otteniamo l’equazione equivalente: x=3−1 x=2 271 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO • Data l’equazione 5x = x + 20 trasportando il termine x al primo membro cambiandone il segno otteniamo l’equazione equivalente: 5x − x = 20 4x = 20 Regola di cancellazione Teorema 18.5.3 (Regola di cancellazione). Se in un’equazione si elimina lo stesso termine da entrambi i membri si ottiene un’equazione equivalente. Dimostrazione Eliminare lo stesso termine da entrambi i membri equivale ad addizionare ad entrambi i membri l’opposto del termine. Esempio 18.5.4. • Data l’equazione 3x + 2 = 5x + 2 eliminando il termine 2 da entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente 3x = 5x • Data l’equazione 7x + 2 − 3x = 2x − 3 − 3x eliminado il termine −3x da entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente 7x + 2 = 2x − 3 18.5.3 Secondo principio di equivalenza Teorema 18.5.4 (Secondo principio di equivalenza). Moltiplicando entrambi i membri di un’equazione per la stessa espressione algebrica, che non modifica il dominio e che in esso non si annulli, si ottiene un’equazione equivalente. Esempio 18.5.5. • Data l’equazione 2x = 8 moltiplicando per 1 entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: 2 1 1 · 2x = · 8 2 2 x=4 Osservazione 1 Moltiplicare per entrambi i membri equivale a dividere per 2 entrambi i membri 2 272 18.5. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DELLE EQUAZIONI • Data l’equazione 1 x=x+1 2 moltiplicando per 2 entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: 1 2 · x = 2 (x + 1) 2 x = 2x + 2 Osservazioni 5 1. Applicando il secondo principio, l’equazione 2x = 5 è equivalente a x = , non è equivalente a 2 5 x=5−2 o a x= −2 2. L’espressione per cui si moltiplicano entrambi i membri non deve modificare il dominio dell’equazione perché, in caso contrario, l’equazione ottenuta potrebbe non essere equivalente a quella data. Per esempio, se nell’equazione 3x = 6 con dominio R, che ha come insieme delle soluzioni S = {2} moltiplichiamo entrambi i membri per 1 , otteniamo x−2 3x 6 = x−2 x−2 Questa equazione ha come dominio R − {2} e quindi x = 2 non può essere soluzione di questa equazione che non è perciò equivalente a quella data. 3. Inoltre è necessario che l’espressione per cui si moltiplicano entrambi i membri non si annulli nel dominio dell’equazione perché in caso contrario l’equazione ottenuta potrebbe non essere equivalente a quella data. Per esempio, se nell’equazione x−5=0 con dominio R, che ha come insieme delle soluzioni S = {5} moltiplichiamo entrambi i membri per x, che si annulla in R, otteniamo x (x − 5) = x · 0 x2 − 5x = 0 Questa equazione ha come insieme delle soluzioni S = {0; 5} quindi non è equivalente a quella data. 273 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO Regola del cambiamento dei segni Teorema 18.5.5 (Regola del cambiamento dei segni). Se in un’equazione si cambiano i segni di tutti i termini, si ottiene un’equazione equivalente. Dimostrazione Cambiare i segni di tutti i termini di un’equazione equivale a moltiplicare entrambi i membri per −1 Esempio 18.5.6. • Data l’equazione −x + 3 = 4 cambiando i segni di tutti i termini otteniamo l’equazione equivalente: x − 3 = −4 • Data l’equazione −x = 5 cambiando i segni di tutti i termini otteniamo l’equazione equivalente: x = −5 Regola di eliminazione dei denominatori Teorema 18.5.6 (Regola di eliminazione dei denominatori). Se in un’equazione avente entrambi i membri costituiti da una sola frazione con lo stesso denominatore si eliminano i denominatori, si ottiene un’equazione equivalente. Dimostrazione Eliminare i denominatori è equivalente a moltiplicare entrambi i membri per il denominatore stesso. Esempio 18.5.7. • Data l’equazione 3x − 2 2x + 5 = 4 4 eliminando i denominatori otteniamo l’equazione equivalente: 2x + 5 = 3x − 2 • Data l’equazione 2x − 1 x = x−2 x−2 in R − {2} eliminando i denominatori otteniamo l’equazione equivalente: 2x − 1 = x in R − {2} Osservazione Poiché la relazione di uguaglianza gode della proprietà simmetrica, in un’equazione si possono scambiare i due membri. Per esempio l’equazione 1 + 3 = 2x − x è equivalente a 2x − x = 1 + 3 274 18.6. FORMA NORMALE DI UN’EQUAZIONE 18.6 Forma normale di un’equazione Definizione 18.6.1 (Forma normale). Un’equazione si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. Esempio 18.6.1. • L’equazione 5x − 1 = 0 è in forma normale perché il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. • l’equazione 3x + 2x − 5 = 0 non è in forma normale perché il primo membro non è un polinomio in forma normale. • l’equazione 5x − 7 = 3 non è in forma normale perché il secondo membro non è 0. Data un’equazione, la si può trasformare in forma normale procedendo nel seguente modo: 1. si determina il dominio dell’equazione scrivendo le condizioni di esistenza 2. si effettuano le operazioni in entrambi i membri 3. se sono presenti delle frazioni, si riducono entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori (di entrambi i membri) 4. si eliminano i denominatori applicando la regola di eliminazione dei denominatori 5. si trasportano tutti i termini al primo membro applicando la regola del trasporto 6. si addizionano i termini simili Esempio 18.6.2. • Trasformiamo in forma normale l’equazione (x + 2) · (x − 2) + 3x − 5 = (x − 1)2 + 2 effettuiamo le operazioni in entrambi i membri: x2 − 4 + 3x − 5 = x2 − 2x + 1 + 2 trasportiamo tutti i termini al primo membro: x2 − 4 + 3x − 5 − x2 + 2x − 1 − 2 = 0 addizioniamo i termini simili: 5x − 12 = 0 275 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO • trasformiamo in forma normale l’equazione x+1 1 2x − 1 2 + = − x+3 3 2 4 3 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: 4x + 4 + 6 6x − 3 − 8x + 36 = 12 12 eliminiamo i denominatori: 4x + 4 + 6 = 6x − 3 − 8x + 36 trasportiamo tutti i termini al primo membro: 4x + 4 + 6 − 6x + 3 + 8x − 36 = 0 addizioniamo i termini simili: 6x − 23 = 0 • trasformiamo in forma normale l’equazione x x+3 = 2 x −4 x−2 scomponiamo il denominatore della prima frazione: x x+3 = (x + 2) (x − 2) x−2 scriviamo le condizioni di esistenza: CE : x + 2 = 0 ∧ x − 2 = 0 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: x+3 x2 + 2x = (x + 2) (x − 2) (x + 2) (x − 2) eliminiamo i denominatori: x + 3 = x2 + 2x trasportiamo tutti i termini al primo membro: x + 3 − x2 − 2x = 0 addizioniamo i termini simili: −x2 − x + 3 = 0 18.7 Grado di un’equazione Definizione 18.7.1 (Grado). Si dice grado di un’equazione intera il grado rispetto all’incognita del polinomio a primo membro della sua forma normale. Osservazioni 1. Un’equazione di primo grado è detta equazione lineare. 276 18.8. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE INTERE DI PRIMO GRADO 2. Dalla definizione si deduce che per determinare il grado di un’equazione occorre prima trasformarla in forma normale Esempio 18.7.1. • Determiniamo il grado dell’equazione 3x + 2 = x − 1 la sua forma normale è: 2x + 3 = 0 l’equazione è di primo grado; • Determiniamo il grado dell’equazione 2x2 + 2 = 3x + 5 la sua forma normale è 2x2 − 3x − 3 = 0 l’equazione è di secondo grado. • Determiniamo il grado dell’equazione x2 + 3x − 1 = x2 + 2 la sua forma normale è 3x − 3 = 0 l’equazione è di primo grado. 18.8 Risoluzione delle equazioni numeriche intere di primo grado Risolviamo le equazioni numeriche intere di primo grado, quindi equazioni in cui l’unica lettera è l’incognita che non compare al denominatore di alcuna frazione. Tradizionalmente, invece di quella precedentemente definita, si assume come forma normale di un’equazione di primo grado nell’incognita x la forma ax = b dove a e b sono numeri reali; il dominio è R. Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b 2. si analizzano i valori di a e b: (a) se a = 0, si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita ottenendo: x= b a l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è b a ß ™ S= 277 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO (b) se a = 0 ∧ b = 0 si ha 0x = 0: l’equazione è un’identità perchè qualsiasi numero moltiplicato per 0 dà 0 e l’insieme delle soluzioni è S=R (c) se a = 0 ∧ b = 0 si ha 0x = b: l’equazione è impossibile perché nessun numero moltiplicato per 0 dà un numero diverso da 0 e l’insieme delle soluzioni è S=∅ Esempio 18.8.1. • Risolviamo l’equazione 7x + 5 − 2x = x + 7 + 2 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 7x − 2x − x = −5 + 7 + 2 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 4x = 4 il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita: x=1 l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è: S = {1} • Risolviamo l’equazione 1 3 1 1 + 2x + x = x − + 2 − x 2 3 4 2 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm tra tutti i denominatori: 6 + 24x + 4x 9x − 6 + 24 − 12x = 12 12 eliminiamo i denominatori: 6 + 24x + 4x = 9x − 6 + 24 − 12x trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 24x + 4x − 9x + 12x = −6 − 6 + 24 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 31x = 12 il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita: x= 12 31 l’equazione è determinata e l’ insieme delle soluzioni è: ß S= 12 31 ™ 278 18.8. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE INTERE DI PRIMO GRADO • Risolviamo l’equazione x − 3 2x + 5 2 − 4x − − =0 3 2 6 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: 2x − 6 − 6x − 15 − 2 + 4x 0 = 6 6 eliminiamo i denominatori: 2x − 6 − 6x − 15 − 2 + 4x = 0 trasportiamo tutti i termini senza incognita al secondo membro: 2x − 6x + 4x = 6 + 15 + 2 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 0x = 23 il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è diverso da 0, quindi l’equazione è impossibile e l’insieme delle soluzioni è S=∅ • Risolviamo l’equazione 3x + 2 − x = 2x + 2 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 3x − x − 2x = −2 + 2 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 0x = 0 il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è 0, quindi l’equazione è un’identità e l’insieme delle soluzioni è S=R • Risolviamo l’equazione 3x − x (x + 2) − x2 + 5x + 3 = (x + 2)2 − (x + 3) (x − 3) Ä ä effettuiamo le operazioni in entrambi i membri: 3x − x2 − 2x + x2 + 5x + 3 = x2 + 4 + 4x − x2 + 9 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 3x − x2 − 2x + x2 + 5x − x2 − 4x + x2 = −3 + 4 + 9 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 2x = 10 il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita: 10 =5 2 l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è x= S = {5} 279 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO 18.9 Risoluzione delle equazioni numeriche fratte Consideriamo le equazioni numeriche fratte, cioè le equazioni in cui l’unica lettera è l’incognita che compare al denominatore di almeno una frazione. Per risolvere un’equazione numerica fratta nell’incognita x: 1. si scompongono i denominatori di ogni frazione 2. si scrivono le condizioni di esistenza e si ricava l’incognita per ciascuna di esse 3. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b 4. si analizzano i valori di a e b: b (a) se a = 0, si ricava: x = . a b Se soddisfa le condizioni di esistenza, l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni a è b a ß ™ S= b se non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è impossibile e a l’insieme delle soluzioni è S=∅ (b) se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è una identità e l’insieme delle soluzioni è S=D dove D è il dominio (c) se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è impossibile e l’insieme delle soluzioni è S=∅ Esempio 18.9.1. • Risolviamo l’equazione 2x2 + 3x − 2 2x = 2 x −1 x+1 scomponiamo il denominatore della prima frazione: 2x2 + 3x − 2 2x = (x + 1) (x − 1) x+1 scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita: x+1=0∧x−1=0 cioè CE : x = −1 ∧ x = 1 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: 2x2 + 3x − 2 2x (x − 1) = (x + 1) (x − 1) (x + 1) (x − 1) 280 18.9. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE FRATTE effettuiamo le operazioni ai numeratori e eliminiamo i denominatori: 2x2 + 3x − 2 = 2x2 − 2x trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 2x2 + 3x − 2x2 + 2x = 2 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 5x = 2 il coefficiente dell’incognita è diverso da 0 quindi ricaviamo x= 2 5 2 poiché soddisfa le condizioni di esistenza, l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni 5 è 2 5 ß ™ S= • Risolviamo l’equazione x+3 2x + 1 x+7 = 2 − 3 2 x + 2x 2x − x 2x + 3x2 − 2x scomponiamo i denominatori: 2x + 1 x+7 x+3 = − x (x + 2) x (2x − 1) x (2x − 1) (x + 2) scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita: x = 0 ∧ x + 2 = 0 ∧ 2x − 1 = 0 cioè CE : x = 0 ∧ x = −2 ∧ x = 1 2 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: (x + 3) (2x − 1) (2x + 1) (x + 2) − (x + 7) = x (2x − 1) (x + 2) x (2x − 1) (x + 2) effettuiamo le operazioni ai numeratori e eliminiamo i denominatori: 2x2 − x + 6x − 3 = 2x2 + 4x + x + 2 − x − 7 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 2x2 − x + 6x − 2x2 − 4x − x + x = 3 + 2 − 7 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale x = −2 poiché −2 non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è impossibile e l’insieme delle soluzioni è S=∅ 281 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO • Risolviamo l’equazione 2x + 1 1 − 2x = x−2 2−x Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 2 e 2 − x. Raccogliendo −1 nel fattore 2 − x, otteniamo: 2x + 1 1 − 2x = x−2 −(x − 2) che possiamo riscrivere nel seguente modo: 2x + 1 2x − 1 = x−2 x−2 scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita: x−2=0 cioè CE : x = 2 eliminiamo i denominatori: 2x + 1 = 2x − 1 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 2x − 2x = −1 − 1 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale 0x = −2 il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è diverso da 0, quindi l’equazione è impossibile e l’insieme delle soluzioni è S=∅ • Risolviamo l’equazione 1 x − =0 −x x−1 scomponiamo il denominatore della prima frazione: x2 1 x − =0 x(x − 1) x − 1 scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita: x=0∧x−1=0 cioè CE : x = 0 ∧ x = 1 Semplifichiamo la prima frazione 1 1 − =0 (x − 1) x − 1 Otteniamo 0x = 0 il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è 0, quindi l’equazione è un’identità e l’insieme delle soluzioni è S = R − {0, 1} 282 18.9. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE FRATTE • Risolviamo l’equazione 3x − 2 x+1 2 − 2 = 2 x − 3x x + 9 − 6x x 3x − 2 x+1 2 − = x(x − 3) (x − 3)2 x CE : x = 0 ∧ x = 3 (x − 3)(3x − 2) − x(x + 1) 2(x − 3)2 = x(x − 3)2 x(x − 3)2 3x2 − 2x − 9x + 6 − x2 − x = 2x2 − 12x + 18 −11x − x + 12x = 18 − 6 0x = 12 L’equazione è impossibile, S = ∅ • Risolviamo l’equazione 5 x+3 = 2 x − 3 + 2x 3 + 2x x+3 5 = (2x + 3)(x − 1) 3 + 2x 3 CE : x = − ∧ x = 1 2 x+3 5(x − 1) = (2x + 3)(x − 1) (3 + 2x)(x − 1) x + 3 = 5x − 5 −4x = −8 x = 2 accettabile L’equazione è determinata S = 2 • Risolviamo l’equazione 12x2 + 20x 5x + 1 x+2 + = 4x2 − 9 3 − 2x 2x + 3 5x + 1 x+2 12x2 + 20x − = (2x + 3)(2x − 3) 2x − 3 2x + 3 3 3 CE : x = − ∧ x = 2 2 12x2 + 20x − (2x + 3)(5x + 1) (2x − 3)(x + 2) = (2x + 3)(2x − 3) (2x + 3)(2x − 3) 12x2 + 20x − 10x2 − 2x − 15x − 3 = 2x2 + 4x − 3x − 6 3x − x = 3 − 6 2x = −3 3 non accettabile 2 L’equazione è impossibile S = ∅ x=− 283 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO 18.10 Risoluzione e discussione delle equazioni letterali intere Consideriamo le equazioni letterali intere cioè equazioni in cui, oltre all’incognita, compaiono altre lettere chiamate parametri e l’incognita non compare al denominatore di alcuna frazione. Questo tipo di equazioni si risolve come quelle numeriche, ma, ottenuta la forma normale, è necessario determinare i valori dei parametri per i quali l’equazione è determinata, identità, impossibile. Per risolvere le equazioni letterali intere nell’incognita x: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale Ax = B (dove A e B sono dei polinomi con lettere diverse dall’incognita) scrivendo eventuali condizioni di esistenza per i parametri 2. si scompongono A e B in fattori 3. per i valori dei parametri che non soddisfano le condizioni di esistenza l’equazione perde significato 4. si determinano i valori dei parametri che soddisfano le condizioni di esistenza e non annullano il polinomio A; per tali valori l’equazione è determinata e x= B A 5. si sostituiscono nel polinomio B i valori dei parametri che soddisfano le condizioni di esistenza e annullano il polinomio A. In base ai valori assunti dal polinomio B l’equazione è impossibile o identità 6. si riassumono i risultati ottenuti Esempio 18.10.1. • Risolviamo l’equazione 3ax − 2a (x + 1) = 5 − 2a trasformiamo l’equazione in forma normale: ax = 5 quindi A=a B=5 Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A: a=0 se a = 0 ricaviamo l’incognita x= 5 a Sostituiamo a = 0 nel polinomio B B=5 poiché B = 0 l’equazione è impossibile Riassumendo: – se a = 0, l’equazione è determinata e 5 a ß ™ S= 284 18.10. RISOLUZIONE E DISCUSSIONE DELLE EQUAZIONI LETTERALI INTERE – se a = 0, l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo l’equazione a (x − 2) + 5a = a (3 + 3x) trasformiamo l’equazione in forma normale: −2ax = 0 quindi A = −2a B=0 Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A: −2a = 0 a=0 se a = 0 ricaviamo l’incognita x= 0 =0 −2a Sostituiamo a = 0 nel polinomio B B=0 poiché B = 0 l’equazione è un’identità Riassumendo: – se a = 0, l’equazione è determinata e S = {0} – se a = 0, l’equazione è un’identità e S=R • Risolviamo l’equazione 3x (b + 2) = bx − (a + 1) (a − 1) trasformiamo l’equazione in forma normale: (2b + 6) x = 1 − a2 quindi A = 2b + 6 = 2 (b + 3) B = 1 − a2 = (1 + a) (1 − a) Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A: 2 (b + 3) = 0 b = −3 285 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO se b = −3 ricaviamo l’incognita x= (1 + a) (1 − a) 2 (b + 3) Sostituiamo b = −3 nel polinomio B B = (1 + a)(1 − a) Determiniamo i valori che annullano B (1 + a)(1 − a) = 0 1+a=0∨1−a=0 a = −1 ∨ a = 1 se a = −1 ∨ a = 1, poiché B = 0 l’equazione è un’identità se a = −1 ∧ a = 1, poiché B = 0 e l’equazione è impossibile Riassumendo: – se b = −3, l’equazione è determinata e ® S= (1 + a) (1 − a) 2 (b + 3) ´ – se b = −3 ∧ (a = −1 ∨ a = 1), l’equazione è un’identità e S=R – se b = −3 ∧ a = −1 ∧ a = 1, l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo l’equazione (x + 2) (a − 1) = 2b (a − 3) + 2 (a − 1) trasformiamo l’equazione in forma normale: (a − 1) x = 2ab − 6b quindi A=a−1 B = 2ab − 6b = 2b (a − 3) Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A: a−1=0 a=1 se a = 1 ricaviamo l’incognita x= 2b (a − 3) a−1 Sostituiamo a = 1 nel polinomio B B = 2b(1 − 3) = −4b Determiniamo i valori che annullano B −4b = 0 b=0 se b = 0, poiché B = 0 l’equazione è un’identità se b = 0, poiché B = 0 e l’equazione è impossibile Riassumendo 286 18.10. RISOLUZIONE E DISCUSSIONE DELLE EQUAZIONI LETTERALI INTERE – se a = 1, l’equazione è determinata e ® S= 2b (a − 3) a−1 ´ – se a = 1 ∧ b = 0, l’equazione è un’identità e S=R – se a = 1 ∧ b = 0, l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo l’equazione abx (1 + a) = a (1 − 2bx) + 2 trasformiamo l’equazione in forma normale: Ä ä 3ab + a2 b x = a + 2 quindi A = 3ab + a2 b = ab (3 + a) B =a+2 Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A: ab (3 + a) = 0 a = 0 ∧ b = 0 ∧ a = −3 se a = 0 ∧ b = 0 ∧ a = −3 ricaviamo l’incognita x= a+2 ab (3 + a) Sostituiamo a = 0 nel polinomio B B =0+2=2 poiché B = 0 e l’equazione è impossibile Sostituiamo b = 0 nel polinomio B B =a+2 Determiniamo i valori che annullano B a+2=0 a = −2 se a = −2, poiché B = 0 l’equazione è un’identità se a = −2, poiché B = 0 l’equazione è impossibile Sostituiamo a = −3 nel polinomio B B = −3 + 2 = −1 poiché B = 0 e l’equazione è impossibile Riassumendo 287 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO – se a = 0 ∧ b = 0 ∧ a = −3, l’equazione è determinata e ® S= a+2 ab (3 + a) ´ – se a = 0, l’equazione è impossibile e S=∅ – se b = 0 ∧ a = −2, l’equazione è un’identità e S=R – se b = 0 ∧ a = −2, l’equazione è impossibile e S=∅ – se a = −3, l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo l’equazione x+2 2x − 3 − 3x − 1 = a a scriviamo le condizioni di esistenza: CE: a = 0 trasformiamo l’equazione in forma normale: (−3a − 1) x = a − 5 quindi A = −3a − 1 B =a−5 Se a = 0 l’equazione perde significato. Determiniamo i valori dei parametri che soddisfano le CE e non annullano il polinomio A: a = 0 ∧ −3a − 1 = 0 a=0∧a=− 1 3 se a = 0 ∧ a = − x= 1 ricaviamo l’incognita 3 a−5 −3a − 1 1 nel polinomio B 3 1 16 B =− −5=− 3 3 poiché B = 0 e l’equazione è impossibile Riassumendo Sostituiamo a = − – se a = 0, l’equazione perde significato 1 – se a = 0 ∧ a = − , l’equazione è determinata e 3 ß ™ a−5 S= −3a − 1 1 – se a = − , l’equazione è impossibile e 3 S=∅ 288 18.11. RISOLUZIONE E DISCUSSIONE DELLE EQUAZIONI LETTERALI FRATTE 18.11 Risoluzione e discussione delle equazioni letterali fratte Consideriamo ora le equazioni letterali fratte cioè equazioni in cui, oltre all’incognita, compaiono altre lettere chiamate parametri e l’incognita compare al denominatore di almeno una frazione. Questo tipo di equazioni si risolve come quelle letterali intere, aggiungendo le condizioni di esistenza dell’incognita e controllando che i valori trovati soddisfino queste condizioni Esempio 18.11.1. • Risolviamo l’equazione 2a a+1 =− −1 x+1 x2 scomponiamo i denominatori: 2a a+1 =− (x + 1) (x − 1) x+1 scriviamo le condizioni di esistenza: CE: x = −1 ∧ x = 1 trasformiamo l’equazione in forma normale: (a + 1) x = 1 − a quindi A=a+1 B =1−a Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A: a+1=0 a = −1 se a = −1 ricaviamo l’incognita x= 1−a a+1 determiniamo i valori del parametro a per i quali x soddisfa le condizioni di esistenza: 1−a 1−a = −1 ∧ =1 a+1 a+1 1 − a = −a − 1 ∧ 1 − a = a + 1 2=0∧a=0 a=0 quindi se a = 0 il valore trovato è accettabile. Sostituiamo a = −1 nel polinomio B B = 1 − (−1) = 2 poiché B = 0 l’equazione è impossibile Riassumendo: – se a = −1 ∧ a = 0, l’equazione è determinata e ß S= 1−a a+1 ™ 289 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO – se a = 0 l’equazione è impossibile e S=∅ – se a = −1, l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo l’equazione ax + b 3a = 2 x +x x scomponiamo i denominatori: ax + b 3a = x (x + 1) x scriviamo le condizioni di esistenza: CE: x = 0 ∧ x = −1 trasformiamo l’equazione in forma normale: 2ax = b − 3a quindi A = 2a B = b − 3a Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A: 2a = 0 a=0 se a = 0 ricaviamo l’incognita x= b − 3a 2a determiniamo i valori dei parametri a e b per i quali x soddisfa le condizioni di esistenza: b − 3a b − 3a =0∧ = −1 2a 2a b − 3a = 0 ∧ b − 3a = −2a b = 3a ∧ b = a quindi se b = 3a ∧ b = a il valore trovato è accettabile. Sostituiamo a = 0 nel polinomio B B =b−0=b Determiniamo i valori che annullano B b=0 se b = 0, poiché B = 0 l’equazione è un’identità se b = 0, poiché B = 0 l’equazione è impossibile Riassumendo: 290 18.11. RISOLUZIONE E DISCUSSIONE DELLE EQUAZIONI LETTERALI FRATTE – se a = 0 ∧ b = 3a ∧ b = a, l’equazione è determinata e ß S= b − 3a 2a ™ – se a = 0 ∧ (b = 3a ∨ b = a), l’equazione è impossibile e S=∅ – se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è un’identità e S = R − {0, −1} – se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo l’equazione 3 a+1 = x−3 ax scriviamo le condizioni di esistenza: CE: x = 3 ∧ x = 0 ∧ a = 0 trasformiamo l’equazione in forma normale: (1 − 2a) x = 3a + 3 quindi A = 1 − 2a B = 3a + 3 Se a = 0 l’equazione perde significato. Determiniamo i valori dei parametri che soddisfano le CE e non annullano il polinomio A: a = 0 ∧ 1 − 2a = 0 a=0∧a= 1 2 se a = 0 ∧ a = x= 1 ricaviamo l’incognita 2 3a + 3 1 − 2a determiniamo i valori del parametro a per i quali x soddisfa le condizioni di esistenza: 3a + 3 3a + 3 =3∧ =0 1 − 2a 1 − 2a 3a + 3 = 3 − 6a ∧ 3a + 3 = 0 a = 0 ∧ a = −1 a = −1 quindi se a = −1 il valore trovato è accettabile. 1 Sostituiamo a = nel polinomio B 2 1 9 B =3 +3= 2 2 poiché B = 0 l’equazione è impossibile Riassumendo: 291 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO – se a = 0, l’equazione perde significato 1 – se a = 0 ∧ a = ∧ a = −1, l’equazione è determinata e 2 ß S= 3a + 3 1 − 2a ™ – se a = −1, l’equazione è impossibile e S=∅ 1 – se a = , l’equazione è impossibile e 2 S=∅ 18.12 Risoluzione di problemi con equazioni Per risolvere i problemi utilizzando le equazioni: 1. si decide quale variabile è l’incognita e si scrivono le condizioni a cui deve soddisfare 2. si esprimono le altre variabili in funzione dell’incognita e si scrivono le condizioni a cui devono soddisfare 3. si traduce l’enunciato del problema in un’equazione 4. si risolve l’equazione 5. si controlla se la soluzione soddisfa le condizioni poste Esempio 18.12.1. • Determinare le misure della base e dell’altezza di un rettangolo avente il perimetro di 20 cm nei seguenti tre casi: 1. la base supera l’altezza di 2 cm; 2. la somma della base con l’altezza misura 10 cm; 3. la differenza fra la base e l’altezza è di 12 cm. 1. Indichiamo con x la misura dell’altezza x deve essere un numero reale positivo. Poiché la base supera di 2 cm l’altezza, la base è x + 2 Poiché x è un numero reale positivo anche la base lo è. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 2 (x + x + 2) = 20 risolviamo l’equazione x=4 il numero 4 soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è determinata e S = {4}. L’altezza è 4 cm e la base (4 + 2)cm = 6cm 292 18.12. RISOLUZIONE DI PROBLEMI CON EQUAZIONI 2. Indichiamo con x la misura dell’altezza x deve essere un numero reale positivo. Poiché la somma delle base con l’altezza è 10 cm, la base è 10 − x, 10 − x deve essere un numero reale positivo, cioè x < 10, quindi 0 < x < 10. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 2 (x + 10 − x) = 20 risolviamo l’equazione 0x = 0 quindi l’equazione è un’identità e S = {x ∈ R/0 < x < 10}. L’altezza è un numero compreso tra 0 e 10 cm e la base è 10 meno l’altezza. 3. Indichiamo con x la misura dell’altezza x deve essere un numero reale positivo. Poiché la differenza fra la base e l’altezza è 12 cm, la base è x + 12. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 2 (x + x + 12) = 20 risolviamo l’equazione x = −1 il numero −1 non soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è impossibile e S = ∅. Il problema non ha soluzione. • Determinare un numero naturale sapendo che, se al suo doppio si aggiunge 5, si ottiene il suo triplo. Indichiamo con x il numero da trovare x deve essere un numero naturale. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 2x + 5 = 3x risolviamo l’equazione x=5 Il numero 5 soddisfa le condizioni poste quindi l’equazione è determinata e S = {5}. Il numero naturale è 5. • Determinare un numero naturale sapendo che sommando ad esso il suo successivo si ottiene 6. Indichiamo con x il numero da trovare x deve essere un numero naturale il successivo di x è x + 1 Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione x+x+1=6 risolviamo l’equazione x= 5 2 5 Il numero non soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è impossibile e S = ∅. 2 Il problema non ha soluzione. 293 CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO • In una famiglia la madre ha il triplo degli anni della figlia; fra 10 anni l’età della madre supererà di 12 anni il doppio dell’età della figlia. Determinare l’età della madre Indichiamo con x l’età attuale della figlia, x deve essere un numero reale positivo. Se x è l’età attuale della figlia, allora 3x è l’età attuale della madre. Fra 10 anni l’età della figlia sarà x + 10 e quella della madre sarà 3x + 10. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 3x + 10 = 2 (x + 10) + 12 risolviamo l’equazione x = 22 Il numero 22 soddisfa le condizioni poste quindi l’equazione è determinata e S = {22}. L’età attuale della madre è 66 anni. • Antonio ha 18 anni più di Luigi e fra tre anni la somma delle loro età sarà 23 anni. Quanti anni ha Luigi? Indichiamo con x l’età attuale di Luigi, x deve essere un numero reale positivo. Se x è l’età attuale di Luigi allora x + 18 è l’età attuale di Antonio. Fra 3 anni l’età di Luigi sarà x + 3 e quella di Antonio sarà x + 18 + 3. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione x + 3 + x + 18 + 3 = 23 risolviamo l’equazione x=− 1 2 1 Il numero − non soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è impossibile e S = ∅. 2 Il problema non ha soluzione. 294 Capitolo 19 Strutture algebriche 19.1 19.1.1 Insiemi numerici Numeri naturali L’insieme dei numeri naturali viene indicato con N N = {0, 1, 2, 3, . . .} L’insieme dei numeri naturali privato dello 0 viene indicato con N0 N0 = {1, 2, 3, . . .} 19.1.2 Numeri pari naturali L’insieme dei numeri pari naturali viene indicato con P P = {0, 2, 4, . . .} L’insieme dei numeri pari privato dello 0 viene indicato con P0 P0 = {2, 4, . . .} 19.1.3 Numeri dispari naturali L’insieme dei numeri dispari naturali viene indicato con D D = {1, 3, 5, . . .} 19.1.4 Numeri interi L’insieme dei numeri interi viene indicato con Z Z = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .} L’insieme dei numeri interi privato dello 0 viene indicato con Z0 Z0 = {. . . , −3, −2, −1, 1, 2, 3, . . .} 19.1.5 Numeri razionali L’insieme dei numeri razionali, cioè l’insieme dei numeri decimali limitati e illimitati periodici, viene indicato con Q. L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 viene indicato con Q0 19.1.6 Numeri irrazionali L’insieme dei numeri irrazionali, cioè l’insieme dei numeri decimali illimitati non periodici, viene indicato con I. 295 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE 19.1.7 Numeri reali L’insieme dei numeri reali, cioè l’insieme dei numeri razionali e irrazionali, viene indicato con R. L’insieme dei numeri reali privato dello 0 viene indicato con R0 19.1.8 Numeri complessi L’insieme dei numeri complessi, cioè l’insieme dei numeri della forma a + ib con a, b reali e i unità immaginaria, viene indicato con C. L’insieme dei numeri complessi privato dello 0 viene indicato con C0 19.1.9 Classi di resto Una classe di resto di modulo n è l’insieme dei numeri interi che divisi per n danno lo stesso resto. Esempio 19.1.1. La classe di resto [0] di modulo 3 è formata dai numeri interi che divisi per 3 danno resto 0 [0] = {. . . , −9, −6, −3, 0, 3, 6, 9, . . .} La classe di resto [1] di modulo 3 è formata dai numeri interi che divisi per 3 danno resto 1 [1] = {. . . , −10, −7, −4, −1, 1, 4, 7, 10, . . .} L’insieme delle classi di resto di modulo n, si indica con Zn Esempio 19.1.2. L’insieme delle classi di resto di modulo 3 è Z3 = {[0], [1], [2]} 19.2 Operazioni Definizione 19.2.1 (Operazione binaria interna). Si dice operazione binaria interna in un insieme A una funzione da A × A in A. In simboli: f :A×A→A f (a, b) = c a è detto primo termine, b secondo termine e c risultato dell’operazione. Generalmente un’operazione si indica con i simboli ∗ oppure e invece della notazione c = ∗(a, b) si preferisce la notazione c=a∗b L’operazione si dice binaria perché opera su due termini e interna perché il risultato appartiene all’insieme A. L’insieme A si dice chiuso rispetto all’operazione ∗. Nel seguito, parlando di operazione, si intenderà sempre operazione binaria interna. Esempio 19.2.1. L’addizione in N è un’operazione La sottrazione in N non è un’operazione L’unione nell’insieme delle parti di un insieme è un’operazione 296 19.3. STRUTTURE Se l’insieme A è finito, l’operazione ∗ può essere definita mediante una tabella. Se a e b sono elementi di A, allora all’incrocio della riga a con la colonna b si trova l’elemento a ∗ b Esempio 19.2.2. Dato A = {a, b, c} l’operazione ∗ può essere definita mediante la tabella: ∗ a b a b c c a b a c b c a a b a∗a=b a∗b=c etc. Un’operazione si può definire utilizzando operazioni già note. Esempio 19.2.3. L’operazione ∗ può essere definita in questo modo: ∀a, b ∈ R a ∗ b = a2 + 2ab + b2 Teorema 19.2.1. Dato un insieme A e un’operazione ∗ in A ∀a, b, c ∈ A a = b ⇒ a ∗ c = b ∗ c ∧ c ∗ a = c ∗ b Dimostrazione Se a = b allora (a, c) = (b, c) e quindi a ∗ c = b ∗ c per definizione di funzione. Se a = b allora (c, a) = (c, b) e quindi c ∗ a = c ∗ b per definizione di funzione. 19.3 Strutture Definizione 19.3.1 (Struttura algebrica). Si dice struttura algebrica un insieme A dotato di una o più operazioni ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n . La struttura algebrica si indica con: (A, ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n ) A è detto supporto o sostegno della struttura, ∗1 prima operazione, ∗2 seconda operazione, e così via. Esempio 19.3.1. Sono strutture algebriche: (N, +) (N, +, ·) (Z, −) (Q, +, ·) Definizione 19.3.2 (Sottostruttura algebrica). Si dice sottostruttura di una struttura algebrica (A, ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n ) la struttura (A , ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n )) con A ⊆ A e A chiuso rispetto alle operazione ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n . Esempio 19.3.2. La struttura (P, +) è una sottostruttura di (N, +). La struttura (D, +) non è una sottostruttura di (N, +) perché D non è chiuso rispetto all’operazione +. 297 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE 19.4 19.4.1 Proprietà delle operazioni Commutativa Definizione 19.4.1 (Commutativa). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà commutativa se e solo se ∀a, b ∈ A a ∗ b = b ∗ a Esempio 19.4.1. L’addizione in N gode della proprietà commutativa La moltiplicazione in N gode della proprietà commutativa L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà commutativa La composizione di funzioni nell’insieme delle funzioni da R → R non gode della proprietà commutativa La sottrazione in Z non gode della proprietà commutativa. 19.4.2 Idempotenza Definizione 19.4.2 (Idempotenza). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di idempotenza se e solo se ∀a ∈ A a ∗ a = a Esempio 19.4.2. L’addizione in N non gode della proprietà di idempotenza La moltiplicazione in N non gode della proprietà di idempotenza L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà di idempotenza. 19.4.3 Associativa Definizione 19.4.3 (Associativa). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà associativa se e solo se ∀a, b, c ∈ A (a ∗ b) ∗ c = a ∗ (b ∗ c) Esempio 19.4.3. L’addizione in N gode della proprietà associativa La moltiplicazione in N gode della proprietà associativa L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà associativa La composizione di funzioni nell’insieme delle funzioni da R → R gode della proprietà associativa La sottrazione in Z non gode della proprietà associativa. 19.4.4 Esistenza dell’elemento neutro Definizione 19.4.4 (Esistenza dell’elemento neutro a sinistra). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a sinistra se e solo se ∃us ∈ A/∀a ∈ A us ∗ a = a Definizione 19.4.5 (Esistenza dell’elemento neutro a destra). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a destra se e solo se ∃ud ∈ A/∀a ∈ A a ∗ ud = a Definizione 19.4.6 (Esistenza dell’elemento neutro). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro se e solo se ∃u ∈ A/∀a ∈ A u ∗ a = a ∗ u = a 298 19.4. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI Esempio 19.4.4. L’addizione in N gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro che è 0 La moltiplicazione in N gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro che è 1 L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro che è l’insieme vuoto La composizione di funzioni nell’insieme delle funzioni da R → R gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro che è la funzione identità La potenza in N0 gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a destra che è 1 Teorema 19.4.1. Se un’operazione ∗ in un insieme A, ammette elemento neutro a sinistra us e elemento neutro a destra ud , allora us = ud Dimostrazione Poiché us è elemento neutro a sinistra, si ha us ∗ ud = ud Poiché ud è elemento neutro a destra, si ha us ∗ ud = us Quindi ud = us Da questo teorema si deduce: Teorema 19.4.2 (Elemento neutro). Un’operazione ∗ in un insieme A ammette elemento neutro se e solo se ammette elemento neutro a destra e elemento neutro a sinistra. Teorema 19.4.3 (Unicità elemento neutro). Se un’operazione ∗ in un insieme A ammette elemento neutro, esso è unico. Dimostrazione Supponiamo per assurdo che esistano due elementi neutri distinti u1 e u2 . Poiché u1 è elemento neutro, si ha u1 ∗ u2 = u2 Poiché u2 è elemento neutro, si ha u1 ∗ u2 = u1 da cui u2 = u1 19.4.5 Esistenza dell’elemento nullificatore Definizione 19.4.7 (Esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra se e solo se ∃ns ∈ A/∀a ∈ A ns ∗ a = ns Definizione 19.4.8 (Esistenza dell’elemento nullificatore a destra). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore a destra se e solo se: ∃nd ∈ A/∀a ∈ A a ∗ nd = nd 299 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE Definizione 19.4.9 (Esistenza dell’elemento nullificatore). Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore se e solo se ∃n ∈ A/∀a ∈ A n ∗ a = a ∗ n = n Esempio 19.4.5. L’addizione in N non gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore. La moltiplicazione in N gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore che è 0 L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore che èA La composizione di funzioni nell’insieme delle funzioni da R → R gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore che è la funzione nulla La potenza in N0 gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra che è 1 Teorema 19.4.4. Se un’operazione ∗ in un insieme A, ammette elemento nullificatore a sinistra ns e elemento nullificatore a destra nd , allora ns = nd Dimostrazione Poiché ns è elemento nullificatore a sinistra, si ha ns ∗ nd = ns Poiché nd è elemento nullificatore a destra, si ha ns ∗ nd = nd Quindi ns = nd Da questo teorema si deduce: Teorema 19.4.5 (Elemento nullificatore). Un’operazione ∗ in un insieme A ammette elemento nullificatore se e solo se ammette elemento nullificatore a destra e elemento nullificatore a sinistra. Teorema 19.4.6 (Unicità elemento nullificatore). Se un’operazione ∗ in un insieme A ammette elemento nullificatore, esso è unico. Dimostrazione Supponiamo per assurdo che esistano due elementi nullificatori distinti n1 e n2 . Poiché n1 è elemento nullificatore, si ha n1 ∗ n2 = n1 Poiché n2 è elemento nullificatore, si ha n1 ∗ n2 = n2 da cui n1 = n2 300 19.4. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI 19.4.6 Esistenza dell’elemento inverso Definizione 19.4.10 (Esistenza dell’elemento inverso a sinistra). Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette elemento inverso a sinistra, se e solo se ∃as ∈ A/as ∗ a = u Definizione 19.4.11 (Esistenza dell’elemento inverso a destra). Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette elemento inverso a destra, se e solo se ∃ad ∈ A/a ∗ ad = u Definizione 19.4.12 (Esistenza dell’elemento inverso). Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette elemento inverso, se e solo se ∃a ∈ A/a ∗ a = a ∗ a = u Esempio 19.4.6. L’elemento inverso L’elemento inverso L’elemento inverso L’elemento inverso L’elemento inverso L’elemento inverso 0 rispetto all’addizione in N è 0 2 rispetto all’addizione in N non esiste 2 rispetto all’addizione in Z è −2 1 rispetto alla moltiplicazione in Z è 1 −1 rispetto alla moltiplicazione in Z è −1 2 rispetto alla moltiplicazione in N non esiste 1 L’elemento inverso di 2 rispetto alla moltiplicazione in Q è 2 di di di di di di Teorema 19.4.7. Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u e che gode della proprietà associativa. Se un elemento a ∈ A ammette elemento inverso a sinistra as e elemento inverso a destra ad allora as = ad . Dimostrazione Poiché as è elemento inverso a sinistra di a, si ha (as ∗ a) ∗ ad = u ∗ ad = ad Poiché ad è elemento inverso a destra di a, si ha as ∗ (a ∗ ad ) = as ∗ u = as Poiché ∗ gode della proprietà associativa, si ha (as ∗ a) ∗ ad = as ∗ (a ∗ ad ) e quindi ad = as Da questo teorema si deduce Teorema 19.4.8 (Elemento inverso). Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u e che gode della proprietà associativa. Un elemento a ∈ A ammette elemento inverso, se e solo se ammette elemento inverso a destra e elemento inverso a sinistra. Teorema 19.4.9 (Unicità dell’elemento inverso). Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u e che gode della proprietà associativa. Se un elemento a ∈ A ammette elemento inverso esso è unico. 301 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE Dimostrazione Supponiamo per assurdo che esistano due elementi inversi distinti di a: a1 e a2 . Poiché a1 è elemento inverso di a, si ha (a1 ∗ a) ∗ a2 = u ∗ a2 = a2 Poiché a2 è elemento inverso di a, si ha a1 ∗ (a ∗ a2 ) = a1 ∗ u = a1 Poiché ∗ gode della proprietà associativa, si ha (a1 ∗ a) ∗ a2 = a1 ∗ (a ∗ a2 ) e quindi a2 = a1 Definizione 19.4.13 (Esistenza dell’elemento inverso). Un’operazione ∗ in un insieme A dotata di elemento neutro u gode della proprietà di esistenza dell’elemento inverso, se e solo se ∀a ∈ A ∃a ∈ A/a ∗ a = a ∗ a = u Esempio 19.4.7. L’addizione in N non gode della proprietà di esistenza dell’inverso L’addizione in Z gode della proprietà di esistenza dell’inverso La moltiplicazione in N non gode della proprietà di esistenza dell’inverso La moltiplicazione in Q0 gode della proprietà di esistenza dell’inverso 19.4.7 Distributiva Definizione 19.4.14 (Distributiva a sinistra). Siano ∗ e due operazioni in un insieme A. L’operazione rispetto all’operazione ∗, se e solo se gode della proprietà distributiva a sinistra ∀a, b, c ∈ A a (b ∗ c) = (a b) ∗ (a c) Definizione 19.4.15 (Distributiva a destra). Siano ∗ e due operazioni in un insieme A. L’operazione rispetto all’operazione ∗, se e solo se gode della proprietà distributiva a destra ∀a, b, c ∈ A (a ∗ b) c = (a c) ∗ (b c) Definizione 19.4.16 (Distributiva). Siano ∗ e due operazioni in un insieme A. L’operazione gode della proprietà distributiva rispetto all’operazione ∗, se e solo se gode delle proprietà distributive a destra e a sinistra Esempio 19.4.8. La moltiplicazione gode della proprietà distributiva rispetto all’addizione in N L’addizione non gode della proprietà distributiva rispetto alla moltiplicazione in N L’ unione gode della proprietà distributiva rispetto all’intersezione nell’insieme delle parti di A L’ intersezione gode della proprietà distributiva rispetto all’unione nell’insieme delle parti di A La potenza gode della proprietà distributiva a destra rispetto alla moltiplicazione in N 19.4.8 Assorbimento Definizione 19.4.17 (Assorbimento). Le operazioni ∗ e in un insieme A godono della proprietà di assorbimento, se e solo se ∀a, b ∈ A a (a ∗ b) = a ∗ (a b) = a Esempio 19.4.9. La moltiplicazione e l’addizione in N non godono della proprietà di assorbimento L’ unione e l’intersezione nell’insieme delle parti di A godono della proprietà di assorbimento 302 19.5. STUDIO DI UN’OPERAZIONE 19.5 Studio di un’operazione Studiare un’operazione significa individuare le proprietà di cui essa gode. 19.5.1 Proprietà di un’operazione definita mediante tabella Se l’operazione è definita mediante una tabella, le proprietà si possono dimostrare analizzando tutti i casi possibili perché l’insieme è finito. Esempio 19.5.1. Data l’operazione ∗ definita mediante la tabella: ∗ a b c a c a a b a b c c a c c verifichiamo se gode della proprietà associativa. (a ∗ a) ∗ a = c ∗ a = a a ∗ (a ∗ a) = a ∗ c = a (a ∗ a) ∗ b = c ∗ b = c a ∗ (a ∗ b) = a ∗ a = c e così via Poiché questo metodo è lungo, per alcune proprietà si possono utilizzare metodi più brevi. Commutativa Un’operazione definita mediante una tabella gode della proprietà commutativa, se e solo se gli elementi della tabella sono disposti simmetricamente rispetto alla diagonale principale. Esempio 19.5.2. L’operazione ∗ definita mediante la tabella: ∗ a b c a c a a b a b c c a c c gode della proprietà commutativa. Idempotenza Un’operazione definita mediante una tabella gode della proprietà di idempotenza, se e solo se gli elementi della diagonale principale sono uguali a quelli della riga esterna. Esempio 19.5.3. L’operazione ∗ definita mediante la tabella: ∗ a b c a a a a b a b c c a c c gode della proprietà di idempotenza. 303 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE Elemento neutro Un’operazione definita mediante una tabella ammette elemento neutro u, se e solo se gli elementi della riga e della colonna di u sono rispettivamente uguali a quelli della riga e colonna esterne. Esempio 19.5.4. L’operazione ∗ definita mediante la tabella: ∗ a b c a c a a b a b c c a c c ammette b come elemento neutro. Elemento nullificatore Un’operazione definita mediante una tabella ammette elemento nullificatore n, se e solo se la riga e la colonna di n hanno come elementi n. Esempio 19.5.5. L’operazione ∗ definita mediante la tabella: ∗ a b c a a a a b a b c c a c c ammette a come elemento nullificatore. 19.5.2 Proprietà di un’operazione definita mediante altre operazioni Se l’operazione è definita mediante altre operazioni, le proprietà della nuova operazione si verificano applicando le proprietà delle operazioni con le quali è definita. Esempio 19.5.6. Data l’operazione ∗ definita da: ∀a, b ∈ R a ∗ b = a2 + 2ab + b2 1. Verifichiamo se gode della proprietà commutativa a ∗ b = a2 + 2ab + b2 b ∗ a = b2 + 2ba + a2 = a2 + 2ab + b2 Poiché a∗b=b∗a l’operazione gode della proprietà commutativa. 2. Verifichiamo se gode della proprietà associativa (a ∗ b) ∗ c = (a2 + 2ab + b2 ) ∗ c = (a2 + 2ab + b2 )2 + 2(a2 + 2ab + b2 )c + c2 = a4 + 4a2 b2 + b4 + 4a3 b + 4ab3 + 2a2 b2 + 2a2 c + 4abc + 2b2 c + c2 = a4 + 6a2 b2 + b4 + 4a3 b + 4ab3 + 2a2 c + 4abc + 2b2 c + c2 a ∗ (b ∗ c) = a ∗ (b2 + 2bc + c2 ) = a2 + 2a(b2 + 2bc + c2 ) + (b2 + 2bc + c2 )2 = 304 19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE a2 + 2ab2 + 4abc + 2ac2 + b4 + 4b2 c2 + c4 + 4b3 c + 4bc3 + 2b2 c2 = a2 + 2ab2 + 4abc + 2ac2 + b4 + 6b2 c2 + c4 + 4b3 c + 4bc3 Poiché (a ∗ b) ∗ c = a ∗ (b ∗ c) l’operazione non gode della proprietà associativa. 3. Verifichiamo se ammette elemento neutro a ∗ u = a2 + 2au + u2 a2 + 2au + u2 = a u2 + 2au + a2 − a = 0 √ √ u = −a − a ∨ u = −a + a Poiché u dipende da a, non esiste elemento neutro. 4. Poiché non esiste l’elemento neutro, l’operazione non gode della proprietà di esistenza dell’elemento inverso. 5. Verifichiamo se ammette elemento nullificatore a ∗ n = a2 + 2an + n2 a2 + 2an + n2 = n n2 + (2a − 1)n + a2 = 0 √ √ −2a + 1 − 1 − 4a −2a + 1 + 1 − 4a ∨n= n= 2 2 Poiché n dipende da a, non esiste elemento nullificatore. 6. Verifichiamo se gode della proprietà di idempotenza a ∗ a = a2 + 2a2 + a2 = 3a2 3a2 = a Poiché a∗a=a l’operazione non gode della proprietà di idempotenza. 19.6 Classificazione delle strutture Le strutture algebriche si possono classificare in base alle proprietà delle operazioni. Nelle strutture algebriche con un’operazione, indicheremo con ∗ l’operazione, con 0 l’elemento neutro, con −x, l’elemento inverso di x. Nelle strutture algebriche con due operazioni, indicheremo con ∗ la prima operazione, con la seconda operazione, con 0 l’elemento neutro della prima operazione , con 1 l’elemento neutro della seconda operazione, con −x l’elemento inverso di x rispetto alla prima operazione, con x−1 l’elemento inverso di x rispetto alla seconda operazione 305 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE 19.6.1 Semigruppo Definizione 19.6.1 (Semigruppo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice semigruppo, se ∗ gode della proprietà associativa Esempio 19.6.1. • Le strutture (N, +) (N, ·) (Z, +) (F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale sono semigruppi • Le strutture (Z, −) (N,∧ ) dove ∧ è la potenza non sono semigruppi 19.6.2 Semigruppo commutativo Definizione 19.6.2 (Semigruppo commutativo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice semigruppo commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà associativa e commutativa. Esempio 19.6.2. • Le strutture (N, +) (N, ·) (Z, +) sono semigruppi commutativi • La struttura (F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale non è un semigruppo commutativo 19.6.3 Monoide Definizione 19.6.3 (Monoide). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice monoide, se ∗ gode delle proprietà associativa e di esistenza dell’elemento neutro Esempio 19.6.3. • Le strutture (N, +) (N, ·) (Z, +) (F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale sono monoidi • La struttura (N0 , +) non è un monoide 306 19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE 19.6.4 Monoide commutativo Definizione 19.6.4 (Monoide commutativo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice monoide commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutative, di esistenza dell’elemento neutro. Esempio 19.6.4. • Le strutture (N, +) (N, ·) (Z, +) sono monoidi commutativi • La struttura (F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale non è un monoide commutativo 19.6.5 Gruppo Definizione 19.6.5 (Gruppo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice gruppo, se ∗ gode delle proprietà associativa, di esistenza dell’elemento neutro e di esistenza dell’elemento inverso. Esempio 19.6.5. • Le strutture (Z, +) (Q, +) (Q0 , ·) (B, ◦) dove B è l’insieme delle biezioni reali di variabile reale sono gruppi • Le strutture (N, +) (N, ·) (F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale non sono gruppi Teorema 19.6.1 (Equazione). Se (A, ∗) è un gruppo, allora l’equazione a ∗ x = b è risolubile per ogni a, b ∈ A Dimostrazione Dato a ∈ A indichiamo con −a l’elemento inverso di a a∗x=b −a ∗ (a ∗ x) = −a ∗ b (−a ∗ a) ∗ x = −a ∗ b 0 ∗ x = −a ∗ b x = −a ∗ b 307 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE Teorema 19.6.2 (Semplificazione a destra). Se (A, ∗) è un gruppo ∀a, b, c ∈ A a ∗ c = b ∗ c ⇒ a = b Dimostrazione Dato c ∈ A indichiamo con −c l’elemento inverso di c a∗c=b∗c (a ∗ c) ∗ −c = (b ∗ c) ∗ −c a ∗ (c ∗ −c) = b ∗ (c ∗ −c) a∗0=b∗0 a=b Teorema 19.6.3 (Semplificazione a sinistra). Se (A, ∗) è un gruppo ∀a, b, c ∈ A c ∗ a = c ∗ b ⇒ a = b Dimostrazione Dato c ∈ A indichiamo con −c l’elemento inverso di c c∗a=c∗b (−c ∗ c) ∗ a = (−c ∗ c) ∗ b 0∗a=0∗b a=b 19.6.6 Gruppo commutativo Definizione 19.6.6 (Gruppo commutativo). Una struttura algebrica (A, ∗) si dice gruppo commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro e di esistenza dell’elemento inverso Esempio 19.6.6. • Le strutture (Z, +) (Q, +) (Q0 , ·) sono gruppi commutativi • La struttura (B, ◦) dove B è l’insieme delle biezioni reali di variabile reale non è un gruppo commutativo 308 19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE • La struttura (A, ∗) dove A = {1, −1, i, −i} e ∗ è l’operazione definita da: ∗ 1 −1 i −i 1 1 −1 i −i 1 −i i −i −1 1 −1 −1 i i −i −i i 1 −1 è un gruppo abeliano. L’elemento neutro è 1 L’elemento inverso di 1 è 1 L’elemento inverso di −1 è −1 L’elemento inverso di i è −i L’elemento inverso di −i è i • La struttura (Z6 , ⊕) dove ⊕ è definita da: [a] ⊕ [b] = [a + b] cioè ⊕ [0] [1] [2] [3] [4] [5] [0] [0] [1] [2] [3] [4] [5] [1] [1] [2] [3] [4] [5] [0] [2] [2] [3] [4] [5] [0] [1] [3] [3] [4] [5] [0] [1] [2] [4] [4] [5] [0] [1] [2] [3] [5] [5] [0] [1] [2] [3] [4] è un gruppo abeliano. L’elemento neutro è [0] L’elemento inverso di [0] L’elemento inverso di [1] L’elemento inverso di [2] L’elemento inverso di [3] L’elemento inverso di [4] L’elemento inverso di [5] è è è è è è [0] [5] [4] [3] [2] [1] Definizione 19.6.7 (Gruppo ciclico). Una gruppo (A, ∗) si dice ciclico, se ∃a ∈ A/∀x ∈ A ∃n ∈ N/x = a ∗ . . . ∗ a n volte a è detto generatore del gruppo. Esempio 19.6.7. La struttura (Z6 , ⊕) è un gruppo ciclico con generatore [1], infatti: [1] [1] + [1] = [2] 309 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE [1] + [1] + [1] = [3] [1] + [1] + [1] + [1] = [4] [1] + [1] + [1] + [1] + [1] = [5] [1] + [1] + [1] + [1] + [1] + [1] = [0] abbiamo ottenuto tutti gli elementi di Z6 19.6.7 Anello Definizione 19.6.8 (Anello). Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice anello, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa, e distributiva rispetto a ∗ Esempio 19.6.8. • Le strutture (Z, +, ·) (Q, +, ·) sono anelli • La struttura (N, +, ·) non è un anello • La struttura (A, ∗, ) dove A = {a, b, c, d} ∗ è definita da: ∗ a b c d a a b c d b b a d c c c d a b d d c b a è definita da: a b c d a a a a a b a b c a a a a d a b c d c d è un anello. L’elemento neutro di ∗ è a L’elemento inverso di a rispetto a ∗ è a L’elemento inverso di b rispetto a ∗ è b L’elemento inverso di c rispetto a ∗ è c L’elemento inverso di d rispetto a ∗ è d ∗ gode della proprietà commutativa 310 19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE Teorema 19.6.4 (Elemento neutro e elemento nullificatore). Se (A, ∗, ) è un anello, allora l’elemento neutro di ∗ è l’elemento nullificatore di Dimostrazione Dati x, y ∈ A, poiché 0 è elemento neutro di ∗ si ha x y = (x ∗ 0) y e x y = (x y) ∗ 0 da cui (x ∗ 0) y = (x y) ∗ 0 Applicando la proprietà distributiva si ottiene (x y) ∗ (0 y) = (x y) ∗ 0 applicando la legge di semplificazione si ottiene 0 y=0 quindi 0 è elemento nullificatore per Definizione 19.6.9 (Divisore dello 0 a sinistra). Sia (A, ∗, ) un anello. Un elemento x ∈ A diverso da 0 si dice divisore dello zero a sinistra se esiste y ∈ A diverso da 0, tale che x y = 0. Definizione 19.6.10 (Divisore dello 0 a destra). Sia (A, ∗, ) un anello. Un elemento x ∈ A diverso da 0 si dice divisore dello zero a destra se esiste y ∈ A diverso da 0, tale che y x = 0. Osservazione Se x è divisore dello zero a sinistra y lo è a destra e viceversa. Esempio 19.6.9. • La struttura (Z6 , ⊕, ⊗) dove ⊕ è definita da: [a] ⊕ [b] = [a + b] cioè ⊕ [0] [1] [2] [3] [4] [5] [0] [0] [1] [2] [3] [4] [5] [1] [1] [2] [3] [4] [5] [0] [2] [2] [3] [4] [5] [0] [1] [3] [3] [4] [5] [0] [1] [2] [4] [4] [5] [0] [1] [2] [3] [5] [5] [0] [1] [2] [3] [4] e ⊗ è definita da: [a] ⊗ [b] = [a · b] 311 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE cioè ⊗ [0] [1] [2] [3] [4] [5] [0] [0] [0] [0] [0] [0] [0] [1] [0] [1] [2] [3] [4] [5] [2] [0] [2] [4] [0] [2] [4] [3] [0] [3] [0] [3] [0] [3] [4] [0] [4] [2] [0] [4] [2] [5] [0] [5] [4] [3] [2] [1] è un anello. [3] e [2] sono divisori dello zero, infatti [3] ⊗ [2] = [0] [2] ⊗ [3] = [0] • Dato l’anello (Z4 , ⊕, ⊗), [2] è un divisore dello zero, infatti [2] ⊗ [2] = [0] Definizione 19.6.11 (Legge dell’annullamento del prodotto). In un anello (A, ∗, ) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se ∀x, y ∈ A x y = 0 ⇔ x = 0 ∨ y = 0 Teorema 19.6.5 (Legge dell’annullamento del prodotto). In un anello (A, ∗, ) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se è privo di divisori dello zero. 19.6.8 Anello commutativo Definizione 19.6.12 (Anello commutativo). Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice anello commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa, commutativa e distributiva rispetto a ∗ Esempio 19.6.10. • Le strutture (Z, +, ·) (Q, +, ·) sono anelli commutativi • La struttura (A, ∗, ) dove A = {a, b, c, d} ∗ è definita da: ∗ a b c d a a b c d b b a d c c c d a b d d c b a 312 19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE è definita da: a b c d a a a a a b a b c a a a a d a b c d c d non è un anello commutativo perché non gode della proprietà commutativa. • Le strutture (Z3 , ⊕, ⊗) (Zn , ⊕, ⊗) sono anelli commutativi 19.6.9 Anello con unità Definizione 19.6.13 (Anello con unità). Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice anello con unità, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa, di esistenza dell’elemento neutro e distributiva rispetto a ∗ Esempio 19.6.11. Le strutture (Z, +, ·) (Q, +, ·) sono anelli con unità 19.6.10 Anello commutativo con unità Definizione 19.6.14 (Anello commutativo con unità). Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice anello commutativo con unità, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro e distributiva rispetto a∗ Esempio 19.6.12. • Le strutture (Z, +, ·) (Q, +, ·) (Z3 , ⊕, ⊗) sono anelli commutativi con unità • La struttura (Z[x], +, ·) dove Z[x] è l’insieme dei polinomi nella variabile x a coefficienti in Z, + e · sono le operazioni di addizione e moltiplicazione tra polinomi, è un anello commutativo con unità. 313 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE 19.6.11 Dominio di integrità Definizione 19.6.15 (Dominio di integrità). Si dice dominio di integrità un anello commutativo con unità che non ha divisori dello zero Definizione 19.6.16 (Legge dell’annullamento del prodotto). In un anello (A, ∗, ) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se ∀x, y ∈ A x y = 0 ⇔ x = 0 ∨ y = 0 Teorema 19.6.6 (Legge dell’annullamento del prodotto). In un anello (A, ∗, ) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se è privo di divisori dello zero. Esempio 19.6.13. Le strutture (Z, +, ·) (Q, +, ·) sono domini di integrità e quindi in esse vale la legge di annullamento del prodotto: ab = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 19.6.12 Corpo Definizione 19.6.17 (Corpo). Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice corpo, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso in A0 e distributiva rispetto a ∗ Esempio 19.6.14. • Le strutture (Q, +, ·) (R, +, ·) sono corpi • La struttura (Z, +, ·) non è un corpo Teorema 19.6.7 (Divisori dello zero). Un corpo (A, ∗, ) è privo di divisori dello 0. Dimostrazione Supponiamo per assurdo che esistano x, y ∈ A con x = 0 e y = 0 tali che x y=0 Poiché x = 0 e (A, ∗, ) è un corpo, esiste l’elemento inverso x−1 di x. Poiché 0 è l’elemento nullificatore di si ha 0 = x−1 0 Poiché x y = 0 si ha 0 = x−1 (x y) 314 19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE Applicando la proprietà associativa si ottiene 0 = (x−1 x) y 0=1 y 0=y Questo è assurdo perché abbiamo supposto y = 0, quindi un corpo è privo di divisori dello zero. Conseguenza importante di questo teorema è che in ogni corpo vale la legge di annullamento del prodotto. 19.6.13 Campo Definizione 19.6.18 (Campo). Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice campo, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso in A0 e distributiva rispetto a ∗ Esempio 19.6.15. • Le strutture (Q, +, ·) (R, +, ·) sono campi • La struttura (Zn , ⊕, ⊗) con n primo è un campo. Consideriamo il caso n = 3. Abbiamo già visto che (Z3 , ⊕, ⊗) è un anello commutativo con unità. [0] è l’elemento neutro di ⊕ [1] è l’elemento neutro di ⊗ L’elemento inverso di [1] rispetto a ⊗ è [1] L’elemento inverso di [2] rispetto a ⊗ è [2] 19.6.14 Il campo dei numeri complessi Consideriamo l’insieme R2 = R × R = {(a, b)/a, b ∈ R} In R2 definiamo le operazioni ∗ e : ∀(a, b), (c, d) ∈ R2 (a, b) ∗ (c, d) = (a + c, b + d) ∀(a, b), (c, d) ∈ R2 (a, b) (c, d) = (ac − bd, ad + bc) Le operazioni ∗ e sono ben definite perché il risultato è ancora un elemento di R2 . Dimostriamo che (R2 , ∗, ) è un campo. 315 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE • Proprietà associativa di ∗ ∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ R2 ((a, b) ∗ (c, d)) ∗ (e, f ) = (a + c, b + d) ∗ (e, f ) = ((a + c) + e, (b + d) + f ) = (a + c + e, b + d + f ) (a, b) ∗ ((c, d) ∗ (e, f )) = (a, b) ∗ (c + e, d + f ) = (a + (c + e), b + (d + f )) = (a + c + e, b + d + f ) quindi ∗ gode della proprietà associativa. • Proprietà commutativa di ∗ ∀(a, b), (c, d) ∈ R2 (a, b) ∗ (c, d) = (a + c, b + d) (c, d) ∗ (a, b) = (c + a, d + b) = (a + c, b + d) quindi ∗ gode della proprietà commutativa. • Proprietà di esistenza dell’elemento neutro di ∗ Se (x, y) ∈ R2 è l’elemento neutro di ∗, si ha: ∀(a, b) ∈ R2 (a, b) ∗ (x, y) = (a, b) (a + x, b + y) = (a, b) a+x=a b+y =b x=0 y=0 Quindi (0, 0) è l’elemento neutro di ∗. • Proprietà di esistenza dell’elemento inverso rispetto a ∗ ∀(a, b) ∈ R2 indicando con (x, y) ∈ R2 l’elemento inverso di (a, b) rispetto ad ∗, si ha: (a, b) ∗ (x, y) = (0, 0) (a + x, b + y) = (0, 0) a+x=0 b+y =0 x = −a y = −b Quindi (−a, −b) è l’elemeno inverso di (a, b) rispetto a ∗. 316 19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE • Proprietà associativa di ∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ R2 ((a, b) (c, d)) (e, f ) = (ac − bd, ad + bc) (e, f ) = ((ac − bd)e − (ad + bc)f, (ac − bd)f + (ad + bc)e) = (ace − bde − adf − bcf, acf − bdf + ade + bce) (a, b) ((c, d) (e, f )) = (a, b) (ce − df, cf + de) = (a(ce − df ) − b(cf + de), a(cf + de) + b(ce − df )) = (ace − adf − bcf − bde, acf + ade + bce − bdf ) Quindi gode della proprietà associativa • Proprietà commutativa di ∀(a, b), (c, d) ∈ R2 (a, b) (c, d) = (ac − bd, ad + bc) (c, d) (a, b) = (ca − db, da + cb) = (ac − bd, ad + bc) Quindi gode della proprietà commutativa • Proprietà di esistenza dell’elemento neutro di Se (x, y) ∈ R2 è l’elemento neutro di , si ha: ∀(a, b) ∈ R2 (a, b) (x, y) = (a, b) (ax − by, ay + bx) = (a, b) ax − by = a ay + bx = b ax − by = a bx + ay = b D= a −b b Dx = Dy = = a2 + b2 a a −b b a a a b b = a2 + b2 =0 Se (a, b) = (0, 0), si ha: x=1 y=0 Poiché (0, 0) (1, 0) = (0, 0) (1, 0) è l’elemento neutro di . 317 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE • Proprietà di esistenza dell’elemento inverso rispetto a ∀(a, b) ∈ R2 /(a, b) = (0, 0) indicando con (x, y) ∈ R2 l’elemento inverso di (a, b) rispetto a , si ha: (a, b) (x, y) = (1, 0) (ax − by, ay + bx) = (1, 0) ax − by = 1 ay + bx = 0 ax − by = 1 bx + ay = 0 D= a −b b Dx = Dy = = a2 + b2 a 1 −b 0 a a 1 b 0 =a = −b Poiché D = 0, si ha: a a2 + b2 −b y = 2 a + b2 x = Å Quindi −b a , a2 + b2 a2 + b2 • Proprietà distributiva di ã è l’elemento inverso di (a, b) rispetto a . rispetto a ∗ ∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ R2 (a, b) ((c, d) ∗ (e, f )) = (a, b) (c + e, d + f ) = (a(c + e) − b(d + f ), a(d + f ) + b(c + e)) = (ac + ae − bd − bf, ad + af + bc + be) ((a, b) (c, d)) ∗ ((a, b) (e, f )) = (ac − bd, ad + bc) ∗ (ae − bf, af + be) = (ac − bd + ae − bf, ad + bc + af + be) Quindi gode della proprietà distributiva rispetto a ∗. Pertanto (R2 , ∗, ) è un campo. Tale struttura si indica anche con (C, ∗, ) e l’insieme C viene detto insieme dei numeri complessi. 318 19.7. STRUTTURE ALGEBRICHE CON INSIEMI NUMERICI 19.7 Strutture algebriche con insiemi numerici (N, +) è un monoide commutativo (N, ·) è un monoide commutativo (Z, +) è un gruppo commutativo (Z, ·) è un monoide commutativo (Q, +) è un gruppo commutativo (Q0 , ·) è un gruppo commutativo (R, +) è un gruppo commutativo (R0 , ·) è un gruppo commutativo (C, +) è un gruppo commutativo (C0 , ·) è un gruppo commutativo (Z, +, ·) è un anello commutativo con unità (Q, +, ·) è un campo (R, +, ·) è un campo (C, +, ·) è un campo 19.8 Morfismo Definizione 19.8.1 (Morfismo). Date due strutture algebriche (A, ∗) e (A , ∗ ), si dice morfismo una funzione f : A → A che gode della seguente proprietà: ∀a, b ∈ A f (a ∗ b) = f (a) ∗ f (b) La definizione di morfismo si può estendere al caso di strutture dotate di più operazioni. Esempio 19.8.1. • Date le strutture (R, +) e (R, ·), la funzione f :R→R f (x) = 2x è un morfismo. Infatti: ∀x, y ∈ R f (x + y) = 2x+y = 2x · 2y = f (x) · f (y) • Date le strutture (Z, +) e (Z+ ∪ {0}, +), la funzione f : Z → Z+ ∪ {0} f (x) = x2 non è un morfismo. Infatti: ∀x, y ∈ Z f (x + y) = (x + y)2 = x2 + y 2 + 2xy ∀x, y ∈ Z f (x) + f (y) = x2 + y 2 • Date le strutture (Z, ·) e (Z+ ∪ {0}, ·), la funzione f : Z → Z+ ∪ {0} f (x) = x2 è un morfismo. Infatti: ∀x, y ∈ Z f (x · y) = (x · y)2 = x2 · y 2 ∀x, y ∈ Z f (x) · f (y) = x2 · y 2 319 CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE 19.9 Isomorfismo Definizione 19.9.1 (Isomorfismo). Si dice isomorfismo un morfismo biettivo. Definizione 19.9.2 (Strutture isomorfe). Due strutture si dicono isomorfe se esiste un isomorfismo tra di esse. Due strutture isomorfe possono essere tra loro identificate. Esempio 19.9.1. Date le strutture (N, +) e (P, +), la funzione f :N→P f (x) = 2x è un isomorfismo. Infatti f è un morfismo poiché ∀x, y ∈ N f (x + y) = 2(x + y) = 2x + 2y = f (x) + f (y) Poiché f è una biezione, f è un isomorfismo Definizione 19.9.3 (Ampliamento). Se una struttura (A , ∗ ) è isomorfa ad una sottostruttura (A, ∗) di (B, ∗), si dice che (B, ∗) è un ampliamento di (A , ∗ ) 19.9.1 Numeri complessi come ampliamento dei numeri reali Consideriamo le strutture (R, +, ·) e (C, ∗, ) dove ∗ e sono le operazioni definite da ∀(a, b), (c, d) ∈ C (a, b) ∗ (c, d) = (a + c, b + d) ∀(a, b), (c, d) ∈ C (a, b) (c, d) = (ac − bd, ad + bc) Sia E = {(x, 0)/x ∈ R} Dimostriamo che (E, ∗, ) è una sottostruttura di (C, ∗, ). • E⊆C • E è chiuso rispetto a ∗: ∀(x, 0), (y, 0) ∈ E (x, 0) ∗ (y, 0) = (x + y, 0) ∈ E • E è chiuso rispetto a ∀(x, 0), (y, 0) ∈ E : (x, 0) (y, 0) = (xy, 0) ∈ E Sia f :R→E f (x) = (x, 0) Dimostriamo che f è un isomorfismo tra (R, +, ·) e (E, ∗, ). 320 19.9. ISOMORFISMO • ∀x, y ∈ R f (x + y) = (x + y, 0) f (x) ∗ f (y) = (x, 0) ∗ (y, 0) = (x + y, 0) • ∀x, y ∈ R f (xy) = (xy, 0) f (x) f (y) = (x, 0) (y, 0) = (xy, 0) • f è biettiva Quindi f è un isomorfismo. Pertanto (C, ∗, ) è un ampliamento di (R, +, ·). Identificando le operazioni ∗ e con le operazioni + e · si ha: ∀(a, b), (c, d) ∈ R2 (a, b) + (c, d) = (a + c, b + d) ∀(a, b), (c, d) ∈ R2 (a, b) · (c, d) = (ac − bd, ad + bc) si ottiene la struttura (C, +, ·) Dato (a, b) ∈ C si ha (a, b) = (a, 0) + (0, b) = (a, 0) + (0, 1)(b, 0) Identificando gli elementi di R con quelli di E nel modo seguente x = (x, 0) e ponendo (0, 1) = i si ha (a, b) = a + ib a + ib si dice forma algebrica del numero complesso (a, b). Osservazioni 1. i2 = i · i = (0, 1)(0, 1) = (−1, 0) = −1 2. (a + ib) + (c + id) = (a, b) + (c, d) = (a + c, b + d) = (a + c) + i(b + d) quindi (a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d) 3. (a + ib) · (c + id) = (a, b) · (c, d) = (ac − bd, ad + bc) = (ac − bd) + i(ad + bc) quindi (a + ib) · (c + id) = (ac − bd) + i(ad + bc) Questo risultato si può ottenere effettuando la moltiplicazione tra polinomi tenendo conto che i2 = −1 Esempio 19.9.2. • Calcoliamo (3 + 2i) + (1 − 4i) = 4 − 2i • Calcoliamo (3 + 2i) · (1 − 4i) = 3 − 12i + 2i − 8i2 = 3 − 12i + 2i + 8 = 11 − 10i 321 Parte II CLASSE QUARTA 322 Capitolo 1 Statistica 1.1 Indagine statistica La statistica studia i fenomeni collettivi: cioè quei fenomeni che si possono determinare solo attraverso molte osservazioni. Dato un fenomeno collettivo la statistica aiuta a descriverlo sinteticamente e a trarre da esso conclusioni rispetto a fenomeni più ampi. Per ottenere i dati si effettua un’indagine statistica che è formata dalle seguenti fasi: 1. individuazione dell’obiettivo dell’indagine 2. individuazione del tipo di indagine (su tutta la popolazione o su un campione), dei mezzi (persone, questionari,...) e dei tempi da utilizzare per la raccolta dati. 3. effettiva rilevazione dei dati 4. spoglio dei dati e sistemazione in forme di facile lettura come tabelle o grafici 5. sintetizzazione dei dati (valore medio) 6. misure di variabilità o dispersione 7. se l’indagine è stata fatta su un campione, generalizzazione sull’intera popolazione Se si considera l’intera popolazione, il fenomeno è univocamente determinato e si devono solo analizzare i dati per descriverlo sinteticamente: questa è la statistica descrittiva. Se si considera solo un campione, il fenomeno non è univocamente determinato e, sulla base dei dati del campione, si possono trarre indicazioni su tutta la popolazione: questa è la statistica inferenziale. L’uso del campione è opportuno o necessario se: • è antieconomico considerare tutta la popolazione • è intempestivo considerare tutta la popolazione • l’indagine è distruttiva • la popolazione è infinita La scelta del campione e della sua grandezza è un’operazione difficile. I dati statistici che si ottengono nelle rilevazioni sono tutti soggetti a errori di osservazione che dipendono da: • tipo di fenomeno investigato • mezzi di indagine e strumenti di misura • osservatore Noi considereremo la statistica descrittiva. 323 CAPITOLO 1. STATISTICA 1.2 Popolazione e unità statistica Definizione 1.2.1 (Popolazione statistica). Si dice popolazione statistica l’insieme su cui si studia il fenomeno Esempio 1.2.1. Sono esempi di popolazione statistica: • insieme delle persone che vivono in Italia • le aziende agricole del Piemonte • i lanci di una moneta in un certo intervallo di tempo Definizione 1.2.2 (Unità statistica). Si dice unità statistica ogni elemento della popolazione statistica 1.3 Caratteri statistici e modalità Definizione 1.3.1 (Carattere statistico). Si dice carattere una caratteristica che una unità statistica può avere Esempio 1.3.1. Uno studente può avere i seguenti caratteri: • nazionalità • età • luogo di nascita • altezza • peso • scuola a cui è iscritto • classe Definizione 1.3.2 (Modalità). Si dice modalità il modo in cui un carattere si può presentare Esempio 1.3.2. Il carattere nazionalità di uno studente può avere le seguenti modalità: • italiana • francese • inglese 1.3.1 Caratteri qualitativi o quantitativi Definizione 1.3.3 (Carattere qualitativo). Un carattere si dice qualitativo quando le sue modalità non sono dei numeri. Esempio 1.3.3. Sono caratteri qualitativi • colore occhi • nazionalità • religione 324 1.3. CARATTERI STATISTICI E MODALITÀ • stato civile • sesso Osservazione Consideriamo qualitativi anche i caratteri giorni, mesi e anni. Definizione 1.3.4 (Carattere qualitativo sconnesso). Un carattere qualitativo si dice sconnesso quando le sue modalità non hanno un ordine Esempio 1.3.4. Sono caratteri qualitativi sconnessi • nazionalità • religione • stato civile • sesso Definizione 1.3.5 (Carattere qualitativo ordinato). Un carattere qualitativo si dice ordinato quando le sue modalità hanno un ordine Esempio 1.3.5. Sono caratteri qualitativi ordinati • titolo di studio • giorno della settimana • anno Definizione 1.3.6 (Carattere quantitativo). Un carattere si dice quantitativo quando le sue modalità sono dei numeri. Esempio 1.3.6. Sono caratteri quantitativi • numero figli di una famiglia • peso • lunghezza Definizione 1.3.7 (Carattere quantitativo discreto). Un carattere quantitativo si dice discreto se le sue modalità sono in numero finito o infinito numerabile Esempio 1.3.7. Sono caratteri quantitativi discreti • numero figli di una famiglia • numero stanze di un appartamento • numero di persone in coda a uno sportello Definizione 1.3.8 (Carattere quantitativo continuo). Un carattere quantitativo si dice continuo se le sue modalità appartengono a un intervallo Esempio 1.3.8. Sono caratteri quantitativi continui • peso • temperatura • lunghezza 325 CAPITOLO 1. STATISTICA 1.4 Serie e seriazioni Definizione 1.4.1 (Serie statistica). Si dice serie statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere quantitativo Esempio 1.4.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono una serie statistica Definizione 1.4.2 (Seriazione statistica). Si dice seriazione statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere qualitativo Esempio 1.4.2. Le nazionalità di un insieme di 15 persone sono una seriazione statistica 1.5 Variabili e mutabili statistiche Definizione 1.5.1 (Variabile statistica). Si dice variabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità di un determinato carattere quantitativo Definizione 1.5.2 (Mutabile statistica). Si dice mutabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità di un determinato carattere qualitativo Le variabili e le mutabili statistiche verranno indicate con le lettere X, Y, Z Esempio 1.5.1. Consideriamo una popolazione di 10 studenti e come carattere la classe di appartenenza. Un esempio di mutabile statistica X è il seguente: 1 X= 3A 1.6 2 3 4 5 6 7 8 9 10 3E 3E 3E 3G 3A 3A 3G 3G 3G Distribuzioni di frequenze Definizione 1.6.1 (Frequenza (assoluta)). Si dice frequenza (assoluta) di una modalità il numero di volte in cui tale modalità si presenta Esempio 1.6.1. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze assolute sono rispettivamente 15, 10, 7 Definizione 1.6.2 (Frequenza relativa). Si dice frequenza relativa di una modalità il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di elementi della popolazione Esempio 1.6.2. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze relative sono 15 10 7 rispettivamente , , cioè 0, 46875; 0, 3125; 0, 21875 32 32 32 Definizione 1.6.3 (Frequenza relativa percentuale). Si dice frequenza relativa percentuale di una modalità la frequenza relativa moltiplicata per 100 Esempio 1.6.3. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze relative percentuali sono rispettivamente 46, 875%; 31, 25%; 21, 875% Definizione 1.6.4 (Distribuzione di frequenze (assolute)). Si dice distribuzione di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle modalità e dalle frequenze assolute di quelle modalità 326 1.7. DISTRIBUZIONI DI FREQUENZE IN CLASSI Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di frequenze assolute X= x 1 x2 . . . x k 1 f2 . . . fk f Definizione 1.6.5 (Distribuzione di frequenze relative). Si dice distribuzione di frequenze relative di una variabile o mutabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle modalità e dalle frequenze relative di quelle modalità Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di frequenze relative X= x 1 x2 . . . x k 1 f2 . . . fk f Osservazione La somma delle frequenze relative di una variabile statistica è uguale a 1. Esempio 1.6.4. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi la distribuzione di frequenze assolute della mutabile statistica X= “nazionalità” è: italiana francese inglese X= 15 10 7 la distribuzione di frequenze relative della mutabile statistica X= “nazionalità” è: X= italiana francese inglese 1.7 15 32 10 32 7 32 Distribuzioni di frequenze in classi Nel caso di variabili statistiche continue molte osservazione hanno valori diversi e quindi le frequenze assolute hanno valori vicini a 1. Con le variabili statistiche continue oppure con variabili statistiche discrete con valori molto dispersi, è quindi opportuno raggruppare le osservazioni in classi. Ogni classe ha un limite inferiore e un limite superiore. L’ampiezza della classe è la differenza tra il limite superiore e il limite inferiore. Il valore centrale della classe è la semisomma dei limiti e ad esso vengono riferite tutte le osservazioni sulla classe. Per determinare l’ampiezza delle classi: 1. si calcola il campo di variazione delle osservazioni, cioè la differenza tra il valore maggiore e il valore minore. 2. si determina il numero di classi desiderate: normalmente compreso tra 5 e 10 3. l’ampiezza di ogni classe è il rapporto tra il campo di variazione e il numero di classi In alcuni casi, le classi estreme possono avere ampiezza diversa dalle altre. Definizione 1.7.1 (Frequenza (assoluta) di una classe). Si dice frequenza (assoluta) di una classe il numero di elementi della classe. Definizione 1.7.2 (Frequenza relativa di una classe). Si dice frequenza relativa di una classe il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di elementi della popolazione Definizione 1.7.3 (Frequenza relativa percentuale di una classe). Si dice frequenza relativa percentuale di una classe la frequenza relativa moltiplicata per 100 327 CAPITOLO 1. STATISTICA Definizione 1.7.4 (Distribuzione di frequenze (assolute) in classi). Si dice distribuzione di frequenze (assolute) in classi di una variabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle classi e dalle frequenze assolute di quelle classi Definizione 1.7.5 (Distribuzione di frequenze relative in classi). Si dice distribuzione di frequenze relative in classi di una variabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle classi e dalle frequenze relative di quelle classi Esempio 1.7.1. In un indagine su 40 persone si sono rilevati i seguenti pesi: 64,5 56,7 58,9 65,5 70,5 85,4 70,0 72,5 57,7 63,5 43,5 45,7 74,5 46,5 52,4 68,3 70,5 77,3 60,0 82,5 67,4 67,8 47,5 55,7 52,8 56,2 57,5 55,2 49,9 75,6 70,5 72,5 87,6 53,5 73,5 65,7 77,2 80,0 87,5 57,7 Il valore minore è 43,5 e quello maggiore è 87,6 Possiamo considerare come valore minore 40 e valore maggiore 90. 50 Il campo di variazione è: 90 − 40 = 50, se utilizziamo 5 classi, la loro ampiezza è = 5. 10 Le classi sono ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] La distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso” è: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La distribuzione di frequenze relative in classi della variabile statistica X= “peso” è: X= ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] 1.8 5 40 12 40 8 40 11 40 4 40 Tabelle La distribuzione di frequenze molte volte viene rappresentata mediante una tabella. Spesso si rappresentano contemporaneamente le frequenze assolute e quelle relative. Esempio 1.8.1. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi la tabella delle distribuzione di frequenze assolute e relative della mutabile statistica X= “nazionalità” è: Nazionalità Frequenza assoluta Frequenza relativa Italiana 15 Francese 10 Inglese 7 1.9 15 32 10 32 7 32 Grafici Le distribuzioni di frequenze possono anche essere visualizzate attraverso un grafico. La rappresentazione grafica perde in precisione ma si possono cogliere alcuni aspetti caratteristici in modo immediato. Vedremo alcuni tipi di rappresentazioni grafiche. 328 1.9. GRAFICI 1.9.1 Grafico a canne d’organo o ortogramma Definizione 1.9.1 (Ortogramma). Un grafico si dice a canne d’organo o ortogramma se è formato da k rettangoli non contigui ciascuno con la stessa base e altezza pari alle frequenze assolute o relative delle k modalità della variabile o mutabile statistica. I rettangoli possono essere verticali o orizzontali e, se ci sono più variabili, si possono utilizzare diversi colori e affiancare o impilare i rettangoli. Esempio 1.9.1. Rappresentiamo con un ortogramma la distribuzione di frequenze assolute della mutabile statistica X= “nazionalità” vista precedentemente. DISTRIBUZIONE FREQUENZE NAZIONALITA’ 14 12 10 8 6 4 2 0 Italiana Francese Inglese Figura 1.1: Ortogramma 1.9.2 Diagrammi cartesiani I diagrammi cartesiani si possono utilizzare per le variabili statistiche. Il diagramma è costituito da punti che hanno per ascissa le modalità e per ordinata la corrispondente frequenza. Le unità di misura degli assi sono generalmente diverse. Esempio 1.9.2. Rappresentiamo con un diagramma cartesiano la distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X= “numero componenti di una famiglia”: X= 1 2 3 4 5 6 5.230.120 6.013.451 4.321.012 4.112.234 1.122.335 432.501 329 CAPITOLO 1. STATISTICA COMPONENTI FAMIGLIE 7000000 Famiglie 6000000 5000000 4000000 3000000 2000000 1000000 0 1 2 3 4 5 6 7 Componenti Figura 1.2: Diagramma cartesiano 1.9.3 Diagramma a torta Definizione 1.9.2 (Diagramma a torta). Un grafico si dice diagramma a torta o a settori circolari se è formato da un cerchio suddiviso da raggi che formano angoli di ampiezza pari al prodotto della frequenza relativa per 360, quindi l’area di ogni spicchio è proporzionale alla frequenza relativa della modalità corrispondente. Questo tipo di grafico si utilizza per rappresentare frequenze relative e frequenze relative percentuali Esempio 1.9.3. Rappresentiamo con un diagramma a torta la distribuzione di frequenze relative percentuali della mutabile statistica X= “nazionalità” vista precedentemente. NAZIONALITA Italiana 47% Francese Inglese 22% 31% Figura 1.3: Diagramma a Torta 1.9.4 Istogrammi Definizione 1.9.3 (Istogramma). Un grafico si dice istogramma se è formato da k rettangoli contigui ciascuno con base coincidente con 330 1.10. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE CUMULATIVA DELLE FREQUENZE una classe e area proporzionale alla frequenza assoluta della classe. Gli istogrammi si utilizzano per rappresentare distribuzioni di frequenza in classi. Le altezze si trovano dividendo la frequenza per l’ampiezza della classe. Se le classi hanno la stessa ampiezza l’altezza è proporzionale alla frequenza. Definizione 1.9.4 (Poligono di frequenza). Si dice poligono di frequenza la spezzata che unisce i punti medi delle basi superiori dei rettangoli Osservazione Il poligono di frequenza si può anche estendere alle classi estreme aventi frequenza nulla. Esempio 1.9.4. Rappresentiamo con un istogramma e con il poligono di frequenza la distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X= “peso” vista precedentemente. 18 PESO 16 14 12 10 8 6 4 2 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Figura 1.4: Istogramma 1.10 Funzione di ripartizione cumulativa delle frequenze Definizione 1.10.1 (Funzione di ripartizione). Si dice funzione di ripartizione (cumulativa delle frequenze) di una variabile statistica X la funzione che associa a ogni x appartenente a R la somma delle frequenze relative associate ai valori minori o uguali di x e si indica con F (x). In simboli F (x) = fxi xi x Esempio 1.10.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La distribuzione di frequenze relative della variabile statistica X =“voto” è: X= 3 2 20 4 1 20 5 3 20 6 3 20 7 5 20 8 4 20 9 2 20 Determiniamo alcuni valori della funzione di ripartizione F F (−5) = 0 331 CAPITOLO 1. STATISTICA F (2, 9) = 0 2 F (3) = 20 2 F (3, 5) = 20 6 F (5) = 20 18 F (8) = 20 F (9) = 1 F (35) = 1 Rappresentiamo graficamente la funzione di ripartizione F 1.4 y 1.2 1 0.8 0.6 0.4 0.2 x −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Figura 1.5: funzione di ripartizione 1.11 Frequenza cumulata dal basso Definizione 1.11.1 (Frequenza cumulata dal basso). Data una variabile statistica X si dice frequenza cumulata dal basso di un valore o di una classe la somma delle frequenze assolute associate ai valori minori o uguali di quel valore o di quella classe Esempio 1.11.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La tabella con le frequenze assolute e le frequenze cumulate è Voto Frequenza assoluta Frequenza cumulata 3 2 2 4 1 3 5 3 6 6 3 9 7 5 14 8 4 18 9 2 20 332 Capitolo 2 Valori medi statistici 2.1 Introduzione I valori medi servono per sintetizzare un fenomeno statistico. Ci sono diversi valori medi, che si possono suddividere in valori medi algebrici e valori medi laschi. Ne vedremo alcuni. 2.2 Medie algebriche Le medie algebriche si possono utilizzare solo per le variabili statistiche. Definizione 2.2.1 (Valore medio). Si dice valore medio di una successione di n dati un qualsiasi valore x ¯ compreso tra il dato più piccolo e quello più grande cioè xmin x ¯ xmax Questa definizione, data da Cauchy, non è utile da un punto di vista operativo. Utilizziamo un’altra definizione di valor medio data da Chisini che soddisfa la definizione di Cauchy. Definizione 2.2.2 (Valore medio). Si dice valore medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn rispetto a una funzione f (x1 , . . . , xn ) la costante M che soddisfa la seguente condizione: f (x1 , . . . , xn ) = f (M, . . . , M ) Per applicare questa definizione si individua la funzione f e si determina il valore di M , cioè quel valore costante che sostituito a tutti i dati mantiene invariato il valore della funzione. A seconda della funzione scelta si avranno medie diverse. 2.2.1 Media aritmetica Se come funzione f consideriamo la somma dei dati otteniamo la media aritmetica. Definizione 2.2.3 (Media aritmetica). Si dice media aritmetica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore M che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma: M + . . . + M = x1 + . . . + xn nM = x1 + . . . + xn x1 + . . . + xn M= n M= 1 n n xi i=1 333 CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI Data la variabile statistica X con distribuzione X= x 1 x2 . . . xk 1 f2 . . . fk f la media aritmetica è x1 f1 + . . . + xk fk M= f1 + . . . + fk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha M= 1 n k xi fi i=1 Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha k M= xi fi i=1 Osservazione Le frequenze fi si chiamano pesi e la media si dice ponderata Esempio 2.2.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media aritmetica è 5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6 M= = 20 128 = 6, 4 20 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 La media aritmetica della variabile statistica X è: 3·2+4·1+5·3+6·3+7·5+8·4+9·2 128 M= = = 6, 4 20 20 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media aritmetica si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 2.2.2. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media aritmetica della variabile statistica X è: 45 · 5 + 55 · 12 + 65 · 8 + 75 · 11 + 85 · 4 2570 M= = = 64, 25 40 40 Osservazione La media aritmetica è il valor medio più usato e si dice semplicemente media. Definizione 2.2.4 (Scarto). Si dice scarto la differenza tra un valore e la media aritmetica Teorema 2.2.1 (Scarto). La somma degli scarti è 0 Dimostrazione n n (xi − M ) = i=1 n xi − i=1 M = nM − nM = 0 i=1 334 2.2. MEDIE ALGEBRICHE 2.2.2 Media geometrica Se come funzione f consideriamo il prodotto dei dati otteniamo la media geometrica. Definizione 2.2.5 (Media geometrica). Si dice media geometrica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MG che sostituito a tutti i dati lascia invariato il prodotto: MG · . . . · MG = x 1 · . . . · x n MGn = x1 · . . . · xn √ MG = n x 1 · . . . · x n à MG = n n xi i=1 Data la variabile statistica X con distribuzione X= x 1 x2 . . . x k 1 f2 . . . fk f la media geometrica è MG = f1 +...+fk xf11 · . . . · xfkk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha à MG = k xfi i n i=1 Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha k xfi i MG = i=1 Esempio 2.2.3. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media geometrica è √ 20 MG = 5 · 7 · 6 · 6 · 5 · 7 · 8 · 9 · 7 · 8 · 8 · 7 · 5 · 4 · 3 · 7 · 3 · 8 · 9 · 6 = 6, 12 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 La media geometrica della variabile statistica X è: √ 20 32 · 41 · 53 · 63 · 7 · 5 · 84 · 92 = 6, 12 MG = Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media geometrica si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 2.2.4. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media geometrica della variabile statistica X è: √ 40 M= 455 · 5512 · 658 · 7511 · 854 = 63, 08 Osservazione La media geometrica si utilizza per esempio per calcolare il tasso medio di rendimento di un capitale impiegato a vari tassi. 335 CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI 2.2.3 Media armonica Se come funzione f consideriamo la somma dei reciproci dei dati otteniamo la media armonica. Definizione 2.2.6 (Media armonica). Si dice media armonica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MA che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma dei reciproci: 1 1 1 1 + ... + = + ... + MA MA x1 xn n 1 1 = + ... + MA x1 xn n MA = 1 1 + ... + x1 xn n MA = n 1 x i=1 i Data la variabile statistica X con distribuzione X= x 1 x2 . . . xk 1 f2 . . . fk f la media armonica è MA = f1 + . . . + fk fk f1 + ... + x1 xk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha MA = n k i=1 fi xi Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha MA = 1 k i=1 fi xi Esempio 2.2.5. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media armonica è MA = 20 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 + + + + + + + + + + + + + + + + + + + 5 7 6 6 5 7 8 9 7 8 8 7 5 4 3 7 3 8 9 6 5, 79 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 La media armonica della variabile statistica X è: MA = 20 = 5, 79 2 1 3 3 5 4 2 + + + + + + 3 4 5 6 7 8 9 336 = 2.2. MEDIE ALGEBRICHE Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media armonica si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 2.2.6. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media armonica della variabile statistica X è: 40 = 61, 91 12 8 11 4 5 + + + + 45 55 65 75 85 M= 2.2.4 Media quadratica Se come funzione f consideriamo la somma dei quadrati dei dati otteniamo la media quadratica. Definizione 2.2.7 (Media quadratica). Si dice media quadratica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore MQ che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma dei quadrati: 2 2 MQ + . . . + MQ = x21 + . . . + x2n 2 nMQ = x21 + . . . + x2n MQ = x21 + . . . + x2n n Œ n x2i i=1 MQ = n Data la variabile statistica X con distribuzione X= x 1 x2 . . . x k 1 f2 . . . fk f la media quadratica è x21 f1 + . . . + x2k fk f1 + . . . + fk MQ = e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha Œ k x2i fi i=1 MQ = n Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha k x2i fi MQ = i=1 337 CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI Esempio 2.2.7. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media quadratica è MQ = 52 + 72 + 62 + 62 + 52 + 72 + 82 + 92 + 72 + 82 + 82 + 72 + 52 + 42 + 32 + 72 + 32 + 82 + 92 + 62 = 20 1136 = 7, 54 20 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 La media quadratica della variabile statistica X è: MQ = 32 · 2 + 4 2 · 1 + 5 2 · 3 + 6 2 · 3 + 7 2 · 5 + 8 2 · 4 + 9 2 · 2 = 20 1136 = 7, 54 20 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media quadratica si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 2.2.8. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media quadratica della variabile statistica X è: MQ = 452 · 5 + 552 · 12 + 652 · 8 + 752 · 11 + 852 · 4 = 40 171000 = 65, 38 40 Osservazione La media quadratica si utilizza quando si devono ignorare i segni dei singoli valori Teorema 2.2.2 (Medie algebriche). Data una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn si ha MA 2.3 2.3.1 MG M MQ Medie lasche Moda Le medie algebriche dipendono dai valori della distribuzione, la moda dipende solo dalla frequenza dei dati e non dai dati stessi. Definizione 2.3.1 (Moda). Si dice moda di una successione di n dati x1 , . . . , xn il dato M o che ha frequenza maggiore Osservazione Se tutte le frequenze sono uguali la moda non esiste, se più dati hanno la frequenza maggiore ci sono più mode 338 2.3. MEDIE LASCHE Esempio 2.3.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6. La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 La frequenza maggiore è 5 e si ha per il valore 7 quindi la moda della variabile statistica X è: Mo = 7 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi con la stessa ampiezza si determina la classe modale cioè quella che ha la massima frequenza. Esempio 2.3.2. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La classe modale è la classe ]50, 60] Osservazione La moda può essere usata anche per caratteri qualitativi e non è influenzata da valori estremi. 2.3.2 Mediana Definizione 2.3.2 (Mediana). Si dice mediana M e di una successione ordinata di n dati x1 , . . . , xn il dato che occupa la posizione n+1 se n è dispari, la media aritmetica dei 2 dati centrali, cioè di posizione centrale, cioè la posizione 2 n n e + 1 se n è pari. 2 2 Esempio 2.3.3. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 Scriviamo i dati in ordine crescente 3,3,4,5,5,5,6,6,6,7,7,7,7,7,8,8,8,8,9,9 poiché 20 è pari la mediana è la media aritmetica dei dati occupanti la decima e undicesima posizione: Me = 7+7 =7 2 Data la variabile statistica X con distribuzione X= x 1 x2 . . . x k 1 f2 . . . fk f con x1 , . . . , xk ordinati in modo crescente, per calcolare la mediana 1. si calcolano le frequenze cumulate 2. si calcola n = f1 + . . . + fk 3. se n è dispari la mediana è il dato corrispondente alla prima frequenza cumulata maggiore o n+1 uguale a ; se n è pari la mediana è la media aritmetica dei 2 dati corrispondenti rispetti2 n vamente alla prima frequenza cumulata maggiore o uguale a e alla prima frequenza cumulata 2 n maggiore o uguale a + 1 2 339 CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI Esempio 2.3.4. La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 Determiniamo le frequenze cumulate voto Frequenza assoluta Frequenza cumulata 3 2 2 4 1 3 5 3 6 6 3 9 7 5 14 8 4 18 9 2 20 n = 20 poiché n è pari le frequenze cumulate da considerare sono quelle rispettivamente maggiori o 20 uguali a = 10 e 11 i dati corrispondenti sono 7 e 7, quindi la mediana è 2 Me = 7+7 =7 2 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi si determina la classe mediana con il metodo delle frequenze cumulate visto sopra Esempio 2.3.5. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 Determiniamo le frequenze cumulate peso Frequenza assoluta Frequenza cumulata ]40, 50] 5 5 ]50, 60] 12 17 ]60, 70] 8 25 ]70, 80] 11 36 ]80, 90] 4 40 n = 40 poiché n è pari le frequenze cumulate da considerare sono quelle rispettivamente maggiori o 40 uguali a = 20 e 21 le classi corrispondenti sono ]60, 70] e ]60, 70], quindi la classe mediana è ]60, 70] 2 La mediana non è influenzata da valori estremi. 340 Capitolo 3 Variabilità 3.1 Introduzione Nello studio di un fenomeno statistico ai valori medi è bene associare dei valori che indichino la dispersione dei dati. Questi valori si chiamano indici di dispersione o di variabilità e sono dei numeri non negativi; valgono 0 se i dati sono tutti uguali; più i dati sono dispersi più gli indici sono maggiori. Vediamo alcuni di questi indici di variabilità. 3.2 Campo di variazione Definizione 3.2.1 (Campo di variazione). Si dice campo di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn la differenza tra il valore maggiore e il valore minore Esempio 3.2.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 Il voto maggiore è 9, il voto minore è 3 il campo di variazione è 9−3=6 Osservazione Il campo di variazione è semplice da calcolare ma è influenzato dai valori anomali o troppo grandi o troppo piccoli dovuti magari a errori di osservazione o misura o trascrizione. 3.3 Varianza e deviazione standard Definizione 3.3.1 (Varianza). Si dice varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media del quadrato degli scarti. In simboli 1 σ = n n (xi − M )2 2 i=1 dove M è la media aritmetica. Data la variabile statistica X con distribuzione X= x 1 x2 1 f2 f . . . xk . . . fk indicando con n = f1 + . . . + fk , la varianza è 1 σ = n k (xi − M )2 fi 2 i=1 341 CAPITOLO 3. VARIABILITÀ Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha k (xi − M )2 fi σ2 = i=1 Esempio 3.3.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M = 6, 4, la varianza è σ2 = (5 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2 + 20 (5 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (9 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + 20 (8 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (5 − 6, 4)2 + (4 − 6, 4)2 + (3 − 6, 4)2 + 20 (7 − 6, 4)2 + (3 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (9 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2 = 3, 04 20 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 La media della variabile statistica X è M = 6, 4, la varianza è σ2 = (3 − 6, 4)2 · 2 + (4 − 6, 4)2 · 1 + (5 − 6, 4)2 · 3 + 20 (6 − 6, 4)2 · 3 + (7 − 6, 4)2 · 5 + (8 − 6, 4)2 · 4 + (9 − 6, 4)2 · 2 = 3, 04 20 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la varianza si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 3.3.2. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media della variabile statistica X è M = 64, 25, la varianza è σ2 = (45 − 64, 25)2 · 5 + (55 − 64, 25)2 · 12 + (65 − 64, 25)2 · 8 + (75 − 64, 25)2 · 11 + (85 − 64, 25)2 · 4 = 40 5877, 5 = 146, 9375 40 Teorema 3.3.1 (Varianza). La varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn è la differenza tra la media dei quadrati dei dati e il quadrato della media dei dati. In simboli σ2 = 1 n n x2i − M 2 i=1 342 3.4. SCARTO SEMPLICE MEDIO Dimostrazione 1 n σ2 = 1 n 1 n n (xi − M )2 = i=1 n x2i − i=1 n 1 n n 2M xi + i=1 1 − 2M n x2i i=1 1 n 1 n n Ä ä x2i − 2M xi + M 2 = i=1 n M2 = i=1 n 1 1 xi + nM 2 = n n i=1 n x2i i=1 1 − 2M + M = n 2 n 2 x2i − M 2 i=1 Esempio 3.3.3. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M = 6, 4, la media dei quadrati è 52 + 7 2 + 6 2 + 6 2 + 5 2 + 7 2 + 8 2 + 9 2 + 7 2 + 8 2 + 8 2 + 7 2 + 5 2 + 4 2 + 3 2 + 7 2 + 3 2 + 8 2 + 9 2 + 6 2 = 20 880 = 44 20 La varianza è σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04 Definizione 3.3.2 (Deviazione standard). Si dice deviazione standard o scarto quadratico medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la radice quadrata della varianza. In simboli à σ= n 1 n (xi − M )2 i=1 Esempio 3.3.4. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La varianza è σ 2 = 3, 04, la deviazione standard è σ= 3, 04 = 1, 74 3.4 Scarto semplice medio Definizione 3.4.1 (Scarto semplice medio). Si dice scarto semplice medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media dei valori assoluti degli scarti. In simboli S= 1 n n |xi − M | i=1 dove M è la media aritmetica. Data la variabile statistica X con distribuzione X= x 1 x2 . . . x k 1 f2 . . . fk f indicando con n = f1 + . . . + fk , lo scarto semplice medio è 1 S= n k |xi − M | fi i=1 343 CAPITOLO 3. VARIABILITÀ Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha k |xi − M | fi S= i=1 Esempio 3.4.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M = 6, 4, lo scarto semplice medio è S= |5 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |6 − 6, 4| + |6 − 6, 4| + |5 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + 20 |9 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |5 − 6, 4| + |4 − 6, 4| + 20 |3 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |3 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |9 − 6, 4| + |6 − 6, 4| = 1, 46 20 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 La media della variabile statistica X è M = 6, 4, lo scarto semplice medio è S= |3 − 6, 4| · 2 + |4 − 6, 4| · 1 + |5 − 6, 4| · 3 + |6 − 6, 4| · 3 + |7 − 6, 4| · 5 + |8 − 6, 4| · 4 + |9 − 6, 4| · 2 = 20 1, 46 Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare lo scarto semplice medio si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 3.4.2. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media della variabile statistica X è M = 64, 25, lo scarto semplice medio è S= |45 − 64, 25| · 5 + |55 − 64, 25| · 12 + |65 − 64, 25| · 8 + |75 − 64, 25| · 11 + |85 − 64, 25| · 4 = 40 414, 5 = 10, 3625 40 3.5 Indici di variabilità relativa Finora abbiamo considerato indici di variabilità assoluta. Consideriamo ora indici di variabilità relativa dati dal rapporto tra un indice di variabilità assoluta e un valore medio. L’indice di variabilità relativa più utilizzato è il coefficiente di variazione. Definizione 3.5.1 (Coefficiente di variazione). Si dice coefficiente di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn il rapporto tra la deviazione standard e la media aritmetica. In simboli cv = σ M 344 3.6. STANDARDIZZAZIONE Esempio 3.5.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M= 5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6 = 6, 4 20 La media dei quadrati è 52 + 72 + 62 + 62 + 52 + 72 + 82 + 92 + 72 + 82 + 82 + 72 + 52 + 42 + 32 + 72 + 32 + 82 + 92 + 62 = 44 20 La varianza è σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04 Lo scarto quadratico medio è 3, 04 = 1, 74 σ= Il coefficiente di variazione è cv = 1, 74 = 0, 27 6, 4 3.6 Standardizzazione Definizione 3.6.1 (dati standardizzati). Una successione di n dati x1 , . . . , xn di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1 Teorema 3.6.1 (dati standardizzati). Data una successione di n dati x1 , . . . , xn , con media M e deviazione standard σ, la successione x1 − M xn − M ,..., σ σ è standardizzata Dimostrazione Data la successione x1 − M xn − M ,..., σ σ Calcoliamo la media aritmetica M1 : 1 M1 = n n i=1 n xi − M 1 = σ nσ (xi − M ) = i=1 1 0=0 nσ Calcoliamo la deviazione standard σ1 : à σ1 = à 1 nσ 2 1 n n i=1 Å Ã ã2 xi − M −0 σ à n 2 (xi − M ) = i=1 = 1 1 σ2 n 1 n n i=1 Å xi − M σ n = 2 (xi − M ) = i=1 ã2 1 2 σ =1 σ2 Poiché la media aritmetica è nulla e la deviazione standard è 1, la successione x1 − M xn − M ,..., σ σ è standardizzata. 345 CAPITOLO 3. VARIABILITÀ Esempio 3.6.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M= 5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6 = 6, 4 20 La media dei quadrati è 52 + 7 2 + 6 2 + 6 2 + 5 2 + 7 2 + 8 2 + 9 2 + 7 2 + 8 2 + 8 2 + 7 2 + 5 2 + 4 2 + 3 2 + 7 2 + 3 2 + 8 2 + 9 2 + 6 2 = 44 20 La varianza è σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04 Lo scarto quadratico medio è σ= 3, 04 = 1, 74 la successione 5 − 6, 4 7 − 6, 4 6 − 6, 4 6 − 6, 4 5 − 6, 4 7 − 6, 4 ; ; ; ; ; ; 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 8 − 6, 4 9 − 6, 4 7 − 6, 4 8 − 6, 4 8 − 6, 4 7 − 6, 4 5 − 6, 4 ; ; ; ; ; ; ; 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 4 − 6, 4 3 − 6, 4 7 − 6, 4 3 − 6, 4 8 − 6, 4 9 − 6, 4 6 − 6, 4 ; ; ; ; ; ; 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 cioè −0, 80; 0, 34; −0, 23; −0, 23; −0, 80; 0, 34; 0, 92; 1, 49; 0, 34; 0, 92; 0, 92; 0, 34; −0, 80; −1, 38; −1, 95; 0, 92; 1, 49; −0, 23 è standardizzata Definizione 3.6.2 (variabile statistica standardizzata). Una variabile statistica X di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1 Teorema 3.6.2 (variabile statistica standardizzata). Data una variabile statistica X= x 1 x2 . . . xk 1 f2 . . . fk f con media M e deviazione standard σ, la variabile statistica Z= x −M 1 σ x2 − M σ ... f1 f2 ... xk − M σ fk è standardizzata Dimostrazione Data la variabile statistica Z: Z= x −M 1 σ x2 − M σ ... f1 f2 ... xk − M σ fk 346 3.6. STANDARDIZZAZIONE Indicando con n = f1 + . . . + fk , calcoliamo la media MZ : k 1 n MZ = i=1 xi − M 1 fi = σ nσ k (xi − M )fi = i=1 1 0=0 nσ Calcoliamo la deviazione standard σZ : à k 1 n σZ = à Ši=1 xi − M −0 σ 1 n fi = à k 1 nσ 2 à ã2 1 1 σ2 n 2 (xi − M ) fi = i=1 k Å i=1 xi − M σ k ã2 fi = 2 (xi − M ) fi = i=1 1 2 σ =1 σ2 Poiché la media aritmetica è nulla e la deviazione standard è 1, la variabile statistica Z= σ x2 − M σ ... f1 f2 ... x −M 1 xk − M σ fk è standardizzata Esempio 3.6.2. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: 3 4 5 X= 2 1 3 6 7 8 9 3 5 4 2 La media della variabile statistica X è: M= 3·2+4·1+5·3+6·3+7·5+8·4+9·2 = 6, 4 20 La varianza è σ2 = (3 − 6, 4)2 · 2 + (4 − 6, 4)2 · 1 + (5 − 6, 4)2 · 3 + 20 (6 − 6, 4)2 · 3 + (7 − 6, 4)2 · 5 + (8 − 6, 4)2 · 4 + (9 − 6, 4)2 · 2 = 3, 04 20 Lo scarto quadratico medio è σ= 3, 04 = 1, 74 La variabile statistica: Y = 3 − 6, 4 1, 74 4 − 6, 4 1, 74 5 − 6, 4 1, 74 6 − 6, 4 1, 74 7 − 6, 4 1, 74 8 − 6, 4 1, 74 2 1 3 3 5 4 9 − 6, 4 1, 74 2 cioè −1, 95 −1, 38 Y = 2 1 −0, 80 −0, 23 0, 34 0, 92 , 49 3 3 5 4 2 è standardizzata. Osservazione La standardizzazione è utile per confrontare distribuzioni statistiche differenti. 347 CAPITOLO 3. VARIABILITÀ 3.7 Rapporti statistici Definizione 3.7.1 (Rapporto statistico). Si chiama rapporto statistico il rapporto tra due dati di cui almeno uno statistico. Esempio 3.7.1. sono rapporti statistici: • il rapporto tra popolazione di un territorio e estensione del territorio • il rapporto tra il numero delle lavoratrici e il numero dei lavoratori in un territorio 3.7.1 Rapporti di composizione Definizione 3.7.2 (Rapporti di composizione). Si chiama rapporto di composizione il rapporto tra una parte e il tutto. Esempio 3.7.2. sono rapporti di composizione: • le frequenze relative • la composizione di un cibo • la composizione della spesa di una famiglia 3.7.2 Rapporti di densità Definizione 3.7.3 (Rapporti di densità). Si chiama rapporto di densità il rapporto tra la frequenza di una modalità statistica e una grandezza presa come unità di misura (superficie, intervallo di tempo, ect) Esempio 3.7.3. La densità di popolazione, data dal rapporto tra il numero di abitanti e la superficie del territorio, è un rapporto di densità. 3.7.3 Rapporti di derivazione Definizione 3.7.4 (Rapporti di derivazione). Si chiama rapporto di derivazione il rapporto tra due grandezze statistiche tali che una deriva dall’altra. Esempio 3.7.4. Il rapporto tra il numero di divorzi e il numero di matrimoni è un rapporto di derivazione. 3.7.4 Rapporto di coesistenza Definizione 3.7.5 (Rapporto di coesistenza). Si chiama rapporto di coesistenza il rapporto tra due grandezze statistiche non legate da un nesso di causalità ma che è lo stesso utile confrontare Esempio 3.7.5. Il rapporto tra importazioni e esportazioni è un rapporto di coesistenza. 3.7.5 Numeri indici I numeri indici sono rapporti statistici molto importanti. Definizione 3.7.6 (Numeri indici). Data una variabile o mutabile statistica X = x 1 f x2 . . . xk si dicono numeri indici i rapporti, f f2 . . . k moltiplicati per 100, tra ogni frequenza fi e una di esse assunta come base 1 348 3.7. RAPPORTI STATISTICI Osservazione La base può essere fissa o mobile, in particolare se ogni numero indice è calcolato usando come denominatore la frequenza della modalità precedente, i numeri indici sono detti a catena. Esempio 3.7.6. Data la mutabile statistica X =“numero occupati in agricoltura in migliaia di unità dal 1975 al 1980”: 1975 1976 1977 X= 3274 3244 3149 1978 1979 1980 3090 3012 2924 Calcoliamo gli indici a base fissa prendendo come base il 1975: 1975 1976 1977 Y = 100 99 96 1978 1979 1980 94 92 89 Calcoliamo gli indici a catena: 1976 1977 Z= 99 97 1978 1979 1980 98 97 97 349
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