51 IL GIORNALE DI VICENZA VICENZADIGUSTO GV12160 GV12161 Domenica 16 Febbraio 2014 AcuradiAntonio DiLorenzo ..................................................................n. 571 L’EMERGENTE. Lavora alSt.Hubertusdell’hotel Europain pienocentrocittà DELICATO ADASIAGO AlessioLonghiniha 25anni eprovienedalla scuola diNorbertNiederkofler eCorrado Fasolato.Ha untocco specialeei suoipiattisono ricchidi sfumature AlessioLonghini,25 annie mezzo, responsabiledella cucinaall’Hotel Europadi Asiago, dov’èstata creatala StubeGourmet. Antonio Di Lorenzo Delicato ad Asiago. Non solo dedicato. La consonante è decisiva, ma il gioco di parole regge ugualmente nel cambio di significato. O, se preferite, dal St. Hubertus (di San Cassiano in Alto Adige) al St. Hubertus (di Asiago). È il viaggio e anche la storia del giovane Alessio Longhini, 25 anni e mezzo, cuoco al ristorante St. Hubertus di Asiago. La sua carta vincente, che giustifica il titolo e che lo porterà lontano, è una mano delicata: i suoi piatti sono puliti, anche se pensati; rigorosi, anche se ricchi di ingredienti; pieni di sfumature, ma non pretenziosi. Merito della scuola che ha avuto, ma anche di un’innata capacità di tradurre con un linguaggio contemporaneo gli ingredienti di una cucina tradizionale che non vuole restare ferma al deja vu. Allarga l’orizzonte, il giovane Longhini, che ha uno sguardo vivace e curioso. È trasversale, caratteristica decisiva in tutti i campi della cultura e della comunicazione. Supera gli steccati dell’abitudine senza far pesare (e pensare) che sei a mille metri in una stube tutta legno, tra dipinti di galli cedroni e campi innevati, e allora per forza devi mangiare lo stufato. Certo, i suoi sono piatti che richiedono intelligenza gustativa: ma questa è la sfida che hanno lanciato Vito e Marc’Antonio Mosele (il secondo è lo zio per via FOTO DI RENATO VETTORATO derkofler e Corrado Fasolato, che gli hanno insegnato il nitore dei piatti e l’essenzialità. Quella di Longhini, per riprendere la metafora iniziale, è una storia molto circolare, in parecchi sensi. In termine geografico, perché inizia dall’Altopiano (dove s’è diplomato all’alberghiero “Lobbia”) e ritorno appunto ad Asiago. In sette anni, dal diploma alla responsabilità del ristorante, c’è stato spazio per le Isole Cayman, dove è stato naturalmente a lavorare, mica a fare il turista nei paradisi fiascali delle Antille. E quindi per due anni (2011-2013) al ristorante St. Hubertus dell’hotel Rosa Alpina di San Cassiano, assieme a Niederkofler. Riecco un’altra ciclicità, il nome del santo patrono dei cacciatori, cui curiosamente sono intitolati entrambi i ristoranti in cui Longhini ha lavorato. Altri due anni, dal 2009 al 2011, Longhini li ha trascorsi al “Met” di Fasolato, nel ruolo di capo-partita. Il giovane cuoco ama lo sci e l’hockey, e non poteva essere diversamente; la musica grintosa, dal rock al metal, e le attrici brillanti e intense, come Halle Berry e Cameron Diaz. Sintetizza l’insegnamento dei Tortelli diAsiagocon chips dipatata diRotzo especk Pettod’anatra leggermenteaffumicato, chips dirisosoffiato, liquiriziaecipollottialla griglia. Il“risone” alla base conanguilla caramellatae spugnadi prezzemolo della moglie Milena) creandogli su misura la Stube Gourmet, che affianca il ristorante e l’osteria all’Hotel Europa in centro ad Asiago, di cui pure Longhini è responsabile. Però, quando si gusta un risone allo zafferano con anguilla affumicata caramellata, spugna al prezzemolo, oppure quando l’antipasto è compo- sto da carpaccio di cervo, flan di broccolo fiolaro e mandarino si comprende subito di trovarsi a un cuoco che sa rendere con equilibrio sapori conosciuti ma trasformati. E se i tortelli ripieni di Asiago, ma cotti in brodo al fieno, sono un omaggio alla terra natia, con l’innovativa aggiunta di crema di patate di Rotzo ab- Vitoe Marc’AntonioMosele,titolari dell’HotelEuropa. FOTO VETTORATO brustolite e speck, un altro piatto dimostra tutte le qualità di Longhini: petto d’anatra leggermente affumicato, chips di riso soffiato, liquirizia e cipollotti alla griglia. Di alto livello, per l’incrocio dei gusti che riescono a valorizzarsi l’uno con l’altro. Ha imparato dai suoi maestri, due fra tutti: Norbert Nie- suoi maestri spiegando: «La mia è una cucina del territorio (come ho imparato da Niederkofler) che guarda a Oriente (come ho appreso da Fasolato)». È decisivo volgere lo sguardo a Oriente. È da lì che nasce il giorno e la quotidiana speranza per l’uomo di migliorare se stesso. • ILVINO. Idocumentiattestanolacoltivazione suiBerici dal 1754 Ilprosecco diSanGermano unatradizioneda 260anni Le bollicinedella Cantina Miolato dannospessore alcelebrevitigno Denise Battistin I Colli Berici come Valdobbiadene? A dirla così suona un po’ strana. Ma c’è chi a San Germano ci crede per davvero. «I documenti, come il Roccolo Ditirambo, che testimoniano una coltivazione di uva Glera, vitigno principale del prosecco, sulle pendici di Monte Berico, risalgono al 1754. E questo ci dà da pensare che la vinificazione del prosecco sui nostri Colli, possa risalire suppergiù a quella data». Rudy Miolato, 36 anni perito agrario e figlio d’arte - suo padre Ernesto, mancato nel ’97 conduceva l’azienda agricola fondata dal proprio padre, Olimpio - produce prosecco da quasi otto anni. Fatalità, anche la chiesetta intitolata a Sant’Antonio, inserita nella cinta del borgo appartenuto, come i terreni circostanti, ai conti Vajenti, porta la data di costruzione del 1754. «Pensiamo non sia solo una coincidenza - commenta Miolato - ma un segno del destino». Scegliere di produrre prosecco in una terra così lontana dalle zone tradizionalmente più famose ha dell’az- zardo, a guardare bene, ma Rudy replica ad ogni possibile obiezione con la forza dei fatti: «Questo è un anfiteatro naturale, che raccoglie il calore e non lo disperde, mentre protegge dal freddo e dai venti». Inoltre, il microclima legato alla vegetazione boschiva porta un beneficio alle coltivazioni, così come la percolatura d’acqua. «Tanto che qui tutto matura precocemente - sottolinea - dalle ciliegie ai piselli, fino all’uva per la vinificazione». Sugli otto ettari della tenuta, la famiglia di Rudy, composta dalla madre Rosella Tadiello, dalla moglie Giulia e dai figli Riccardo, 8 anni, e Niccolò, 3 anni, ne coltiva sei a vigneto (uve Cabernet, Merlot e Garganega) mentre a fianco, Labottiglia di Miolato RudyMiolato:lasua aziendaproduce settemilabottiglie un ettaro è di ciliegi e uno di orto misto ad altre viti. «Produciamo circa 50 ettolitri di prosecco l’anno, circa 7 mila bottiglie - ricorda Miolato - da una raccolta precoce. Infatti, vendemmiamo verso la seconda metà di agosto per mantenere acidità e freschezza. La vendemmia è tutta manuale e l’uva viene pigiata a temperatura controllata, per poi portare il mosto a fermentazione in autoclave secondo il metodo charmat. Dopo circa 2 o 3 mesi dalla fine del processo il vino viene imbottigliato». E venduto prevalentemente ai ristoranti e ai privati che vengono in azienda a comprarlo direttamente. «Le difficoltà derivano soprattutto dal mercato - aggiunge Miolato - che impone regole e procedure non sempre facili da rispettare». Accanto all’attività vitivinicola e alla produzione dI prosecco, l’azienda agricola di San Germano alleva 1.500 capponi in libertà a terra, che vengono macellati in casa. «E poi - riprende Miolato - stiamo anche preparandoci per aprire in primavera una sorta di “magazin”, una “frasca” dove bere vino e mangiare pan biscotto e sopressa». •
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