Negli ultimi 30 anni, l’incidenza di nascita da taglio cesareo è aumentata: lo studio di Betrán e colleghi, pubblicato nel 2007, ha documentato infatti che nel mondo l’incidenza di nascita da taglio cesareo è del 15% ed è più elevata nei paesi industrializzati, dove arriva al 21.1%, e nettamente inferiore nei paesi a risorse limitate (2%). Soprattutto in caso di procedure eseguite in elezione, l’incremento di questa pratica sembra essere legato anche ad una richiesta della donna, che teme il dolore o le possibili complicanze del parto per via vaginale. Già nel 1985 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomandava di non superare un limite di cesarei del 15%: senza voler demonizzare questa pratica, è importante ricordare, infatti, che se da una parte il taglio cesareo risulta essere talvolta un procedura salvavita per mamma e bambino, dall’altra può in alcune situazioni esporre ad un maggiore rischio di complicanze nel lungo termine. Studi recenti, infatti, hanno evidenziato come, nei nati da taglio cesareo, vi sia una maggiore incidenza di alcune condizioni oggi purtroppo molto comuni, anche in età pediatrica, come ad esempio l’incidenza di patologie a carattere allergologico (soprattutto rinite e asma). Probabilmente, il tipo di parto agisce soprattutto da concausa; va però detto che il microbiota intestinale è uno stimolo assai potente per lo sviluppo del sistema immunitario, pertanto è ragionevole aspettarsi che la differente composizione della microflora legata al taglio cesareo abbia comunque un ruolo importante nell’acquisizione della tolleranza immunitaria. Il recente studio di Jakobsson, infatti, ha dimostrato che il taglio cesareo si associa ad una più tardiva colonizzazione dell’apparato gastrointestinale e ad una minore diversità delle specie batteriche: i bambini nati da taglio cesareo, infatti, sono meno frequentemente colonizzati dal genere di Bacteroides, che tra l’altro ha anche un minore diversità inter-specie. Tali differenze nella composizione del microbiota ridurrebbero la risposta Th1 nei primi due anni di vita, contribuendo così allo sviluppo di patologie a carattere allergologico. Inoltre, negli ultimi anni, l’attenzione della ricerca si è focalizzata sulla modalità di parto quale fattore perinatale in grado di interferire con il rischio di obesità in età pediatrica; questa condizione, ancora una volta, sembrerebbe essere secondaria ad una differente composizione del microbiota intestinale in grado a sua volta, e tramite meccanismi non del tutto chiariti, di predisporre all’eccesso ponderale. Uno studio prospettico americano del 2012, condotto da Huh, condotto su un campione di 1255 bambini, ha riscontrato un incremento del rischio di obesità in età pediatrica nei bambini nati da taglio cesareo; l’analisi di regressione condotta dopo aggiustamento di fattori confondenti (BMI pre-gravidico materno, peso alla nascita, etc) ha documentato, all’età di 3 anni, un rischio doppio di obesità (odds ratio 2.10). L’associazione taglio cesareo e successivo rischio di sovrappeso-obesità è stato confermato anche da una revisione sistematica con meta-analisi. Tipo di parto, quindi, non solo come fattore predisponente per disordini del sistema immunoallergologico, ma anche come potenziale fattore di rischio per sviluppare patologie cronicodegenerative, purtroppo sempre più comuni nel bambino. Di fondamentale importanza sarà capire fino in fondo i meccanismi alla base di queste associazioni, proprio per poter fornire alla donna che sta prendendo in considerazione questo tipo di parto i migliori consigli e le più valide indicazioni a riguardo. Indipendentemente da tutto, però, questi dati devono far riflettere sulla necessità di evitare, in assenza di reali indicazioni mediche, il taglio cesareo: a tal proposito, di primaria importanza sarà il ruolo dello specialista nell’informare la futura madre, in modo da renderla il più consapevole possibile nelle scelte riguardo la vita e il futuro del suo bambino.
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