Relazione Dott. Enrica Brachi

Volgarità e Violenza
Agire Strategie Efficaci, individuali e collettive,
per un Empowerment Culturale diffuso
Phd Enrica Brachi1
Premessa
Attraverso questo contributo l’intenzione è di offrire uno sguardo, ulteriore, trasversale e sistemico,
per intravedere la complessità del fenomeno, in cui alcuni aspetti – come nell’iceberg – sono solo la
punta, di un fenomeno più ampio e complesso
Siamo immersi in una cultura, in cui prevale una concezione negativa nei confronti del conflitto,
visto nella sua possibilità di degenerare in una spirale di violenza distruttiva e dunque da evitare. Il
conflitto è fisiologico, è inevitabile in quanto siamo tutti diversi. Diviene fondamentale come viene
accolto e gestito ed inoltre essendo sempre un processo interattivo, in cui ciascuna delle parti
influenza le altre, la responsabilità dell’andamento del conflitto è sempre co-costruita. Dunque la
conflittualità distruttiva è sicuramente evitabile, ma necessita di conoscenze e competenze
adeguate2, altrimenti è veramente facile cadere in modalità comunicative aggressive o passive, più o
meno competitive.
La fecondità del conflitto può essere scoperta solo attraversandolo adeguatamente, con specifici
atteggiamenti (paradigmi interpretativi), comunicazioni (linguaggio verbale e non verbale coerente
ed appropriato), comportamenti (allineati a valori di fiducia e rispetto); altrimenti il rischio che
degeneri è sempre a “portata di mano”, ed il circolo potenzialmente virtuoso può trasformarsi, in un
attimo, in un circolo vizioso, che richiede ancora più impegno e fatica per essere recuperato.
Quindi dato che viviamo immersi nella conflittualità e spesso non siamo liberi di scegliere ciò che
ci succede, tuttavia sicuramente siamo liberi di scegliere come relazionarci con ciò che ci accade e
possiamo sempre “fare la differenza dentro di noi”.
Ogni organizzazione, così come l’individuo, ha sempre la possibilità di scegliere tra due strade:
- dare valore ed accrescere le proprie competenze
- eliminare le proprie “barriere allo sviluppo”, ovvero lasciar cadere ciò che non è necessario e che
contribuisce a rendere faticosa e lenta la crescita.
Il benessere/malessere viene co-creato quotidianamente negli inevitabili scambi comunicativi
1
Enrica Brachi ha conseguito un Dottorato di ricerca in“Studi per la pace e risoluzione pacifica dei conflitti
interpersonali”, con la seguente tesi “Strategie formative per la gestione costruttiva dei conflitti.
Empowerment delle competenze comunicativo-emotivo-relazionali nelle organizzazioni”. Prof. a contratto di
“Teorie e tecniche della comunicazione interpersonale” all’Università di Siena dal 2004 al 2008; è ancora
presso la medesima, docente nei corsi post-laurea: Master “Counseling e Formazione Relazionale”, Corso di
Perfezionamento “Comunicazione e relazioni interpersonali”. Ha coordinato e realizzato attività di ricerca,
didattiche e di promozione del “Progetto CO.R.EM” dal 2003 al 2009. È “Counselor Relazionale Trainer” e
“IE Certified Professional" (Individual Effectiveness, Intelligenza Emotiva, modello JCA). Attualmente è
formatrice e consulente in contesti pubblici e privati, con interventi di: prevenzione dei rischi psicosociali e
promozione del Benessere, gestione dello stress, delle criticità e dei conflitti per ben-lavorare e ben-vivere,
sviluppo dell’intelligenza emotiva (No Technical Skills o Life Skills), strumenti di Empowerment per una
crescita personale e professionale.
2
Come testimoniato nel modello olistico interdisciplinare, Progetto CO.R.EM (acronimo di COmunicazione,
Relazione, Emozioni, ove il CORE, il nucleo, è rappresentato dalla consapevolezza dell’interdipendenza tra
le diverse dimensioni), sviluppato presso l’Università degli Studi di Siena (www.corem.unisi.it,
www.corem.it).
Phd Enrica Brachi Tel. 348-9221078 [email protected]
Senior Trainer in www.consapevolezzaimprenditoriale.it
1
Ciascuno è chiamato a “fare la differenza: Competenze per trasformare il veleno in medicina
La trasformazione del conflitto distruttivo, in cui prevalgono violenza e volgarità, necessita di
competenze specifiche così che l’indicibile diventa affrontabile e condivisibile. Oggi esistono
molteplici teorie e metodologie che specificamente affrontano tale tematica ed in tutte siamo
chiamati a metabolizzare questo principio “se le soluzioni e le posizioni appaiono inconciliabili, i
bisogni e le motivazioni a essi sottesi sono sempre conciliabili”3. Al fine di gestire costruttivamente
i conflitti e trasformarli in un occasione per creare valore indico alcuni passaggi fondamentali, che
condensano importanti principi e tecniche, in modo da sentire cosa poter fare praticamente.
- So-stare. I conflitti sono ineliminabili, in quanto rappresentano il risultato dell’incontro delle
diversità, una componente strutturale e pervasiva delle relazioni umane. In tale prospettiva l’unica
alternativa veramente vincente, al negarli o al cercare di risolverli con strategie aggressive, consiste
nella capacità di stare in contatto con i reali bisogni delle diverse parti e accoglierlo nella sua
legittima dimensione in cui tutti hanno ragione, anche chi dice di non averla.
Il conflitto così diviene un modo per esplorare qualcosa di più profondo, è come un sintomo che ci
guida nel rendere ancora più “sana” la relazione, un occasione di crescita derivata da un reale
ascolto di ciò che si presenta. Quindi il potenziale distruttivo viene contenuto e trasformato in una
risorsa per generare una diversa qualità relazionale.
- Affrontarlo adeguatamente. Risulta indispensabile darsi tempi e spazi per esplicitarlo in un ottica
di rispetto ed ascolto. Molto spesso invece accade che viene taciuto, negato, nascosto per paura di
“perdere”, per timore di non essere abbastanza efficaci, per non toccare ruoli e poteri, o anche
semplicemente per non rischiare di esporsi e far emergere sensibilità e punti di vista alternativi.
Altre volte invece accade che agiamo comportamenti reattivi, impulsivi, in cui l’altro è
semplicemente visto come l’avversario (se non è con me è contro di me, o è un alleato o un
nemico), in cui si attivano reazioni automatiche di sopravvivenza, una guerra che facilita la
distruttività dell’uno, dell’altro o di entrambi.
- Agire da una posizione win-win, anche da soli. La ricerca è la soddisfazione di entrambe le parti,
ove il successo è inteso con una soluzione vinco-vinci o il coraggio anche di un niente di fatto, dove
al momento si riscontri un’incapacità di trovare un esito al conflitto che risponda in maniera
gratificante ai bisogni e desideri delle parti coinvolte.
Tale prospettiva richiede impegno, coraggio, fiducia e forza personale per ascoltare veramente
l’altro ed esprimere con chiarezza e determinazione le proprie necessità. Inoltre non siamo abituati a
stare in questa ottica, infatti prevale l’idea della controversia come “campo di battaglia”, la
mentalità che se io ho ragione sicuramente l’altro ha torto, la visione dicotomica che le cose sono
nere o bianche, rinunciando alle sfumature ovunque possibili.
- Le competenze comunicative per sostenere il processo. Se immaginiamo il conflitto come un
iceberg, dobbiamo divenire capaci di vedere ciò che talvolta non è visibile. Necessitiamo di
strumenti efficaci per gestire la complessità della situazione, per comprendere ciò che è essenziale
ed importante, al di là delle posizioni “superficiali”, delle argomentazioni espresse. Diviene
necessario un ascolto “empatico”, attivo, capace di comprendere i bisogni, i valori, le credenze
dell’altro e comunicare rispetto, fiducia, accoglienza verso i suoi interessi, per poi condividere il
nostro punto di vista, le nostre aspettative, così da attivare un processo di ricerca creativa di
soluzioni vincenti, con la credenza che ciò che sembra impossibile può divenire possibile, il veleno
può trasformarsi in medicina.
3
Maria Martello, Oltre il conflitto. Dalla mediazione alla relazione costruttiva, Mc Graw-Hill, Milano,
2003, pag. 9.
Phd Enrica Brachi Tel. 348-9221078 [email protected]
Senior Trainer in www.consapevolezzaimprenditoriale.it
2
- Proattività e creatività. Ognuna delle parti può agire nella sua sfera d’influenza e cercare con
l’altro esiti nuovi ed inaspettati, utilizzando anche il pensiero creativo, laterale. All’interno di un
clima facilitante e positivo, la collaborazione, può supportare e orientare le competenze di entrambi
nel trovare altre, diverse, soluzioni a quelle pensate individualmente.
Per avere una visione più chiara di quanto sopra esposto utilizziamo la figura n. 1 per schematizzare
le diverse modalità comunicative che si possono realizzare tra due soggetti (siano essi due individui,
due gruppi, una famiglia, il responsabile con i suoi collaboratori, ...), così da avere una efficace
mappatura della comunicazione.
Fig. n. 1. Posizionamenti nel comunicare oscillanti tra il rispetto di sé e dell’altro
Lo schema mostra quattro quadranti delineati da due dimensioni:
a sinistra. in verticale l’attenzione ad un soggetto, per es. se stessi, e dunque può rappresentare
quantitativamente il rispetto dei propri bisogni e desideri (sia nella capacità di reperirli, ascoltarli,
sia nell’esprimerli), leggibile a diversi livelli di intensità, in basso da 0, a metà a 50 ed in alto, nella
sua estremità a 100;
a sinistra in orizzontale l’attenzione all’altro, la capacità di accogliere e rispettare le necessità altrui,
leggibile sempre in una scala, che si muove da sx a dx gradualmente da un inizio 0 alla sua
estremità 100. Un esempio di attenzione e rispetto, bilanciata a metà tra noi stessi e qualsiasi altro di
fronte a noi, viene denominato “compromesso”, in cui “facciamo 50 e 50”, ossia ci muoviamo
all’interno di una visione di scarsità in cui l’unica soluzione risulta dividersi “la ragione” o qualsiasi
altro “oggetto del contendere”.
Attraverso questo schema - in ogni nostra interazione quotidiana - possiamo vedere chiaramente
dove ci posizioniamo nei diversi incontri ed anche in un singolo incontro quanto possiamo
muoverci tra i quadranti, al di là anche talvolta delle nostre intenzioni.
Nel quadrante in basso a sinistra: non c’è ascolto dei bisogni propri ed altrui, forse si scambiano
alcune informazioni, ma senza crederci, senza fiducia in se stessi ed anche verso l’altro (magari
vorremmo, ma…); in questo stile comunicativo “perdiamo sicuramente tutti” (risulta “lose-lose”), e
spesso evitiamo l’incontro ed il confronto o se questo avviene, non essendo in grado di gestire la
diversità, si realizza o con uno scontro violento, distruttivo o con l’abbandono del campo,
prevalendo l’impotenza, lo scoraggiamento ed il senso di fallimento.
Nel quadrante in basso a destra: la posizione si manifesta non esprimendo il proprio punto di vista,
evitando l’assumersi rischi, e comunque si mette l’altro in una posizione di superiorità delegandogli
le nostre responsabilità, per cui la comunicazione diviene passiva, rinunciataria.
3
Phd Enrica Brachi Tel. 348-9221078 [email protected]
Senior Trainer in www.consapevolezzaimprenditoriale.it
Nel quadrante in alto a sinistra: tendenzialmente non si ascolta l’altro, non vi è rispetto per l’altro,
non si conoscono i suoi bisogni o se possiamo comprenderli deliberatamente si focalizza
l’attenzione solo su se stessi e la comunicazione risulta egocentrata, aggressiva, manipolativa.
Nel quadrante in alto a destra: si è completamente nella visione del conflitto come opportunità di
crescita, una risorsa per approfondire la relazione ed ottenere un successo insieme e grazie agli altri,
sostenibile con fermezza (non si rinuncia) e flessibilità (sono disponibile a trovare una soluzione nel
rispetto di entrambi). In questo spazio sono necessari diversi strumenti di comunicazione costruttiva
e una visione win-win, in cui saper stare con creatività e leggerezza nella complessità,
nell’inquietudine del domandare, consapevoli che possiamo trasformare il famoso detto “vedere per
credere”, in “credere per vedere”, dove è grazie ad una visione “altra”, che possiamo trasformare
l’impossibile in possibile, il difficile in praticabile, il problema in occasione sfidante e dove la
differenza tra “il dire ed il fare” sta nell’iniziare e mantenere impegno e coerenza nel continuare a
nutrire una fiducia intelligente.
.
Secondo Covey4, elevata o scarsa, la fiducia è la “variabile nascosta” nella formula del successo. La
formula di business tradizionale dice che la strategia moltiplicata per l’esecuzione è pari ai risultati:
S*E = R. Tuttavia la tassa della fiducia diminuisce i risultati, mentre i dividendi dell’elevata fiducia
moltiplicano i risultati: (S*E) F = R. Pertanto un’organizzazione può avere una strategia eccellente
ed una grande abilità di attuazione, ma il risultato netto può essere o silurato da una tassa di scarsa
fiducia o moltiplicato dai dividendi dell’elevata fiducia.
In qualsiasi organizzazione, dalla famiglia al nostro contesto lavorativo, nulla è efficace e
penetrante quanto la fiducia. La capacità di creare, far crescere, trasmettere e ricostruire la fiducia
di tutti gli stakeholder – clienti, partner, investitori e colleghi – è la competenza chiave della
leadership nella nuova economia globale5.
Molte aziende pagano “tasse”, relative alla scarsa fiducia e dunque “sprecate”, che compaiono sotto
la forma di molteplici problemi. Covey ne individua sette6:
1. Ridondanza. Rappresenta la duplicazione inutile, l’eccessiva gerarchia, strutture che si
sovrappongono e progettate per assicurare il controllo, costi legati alle rielaborazioni e
riprogettazioni.
2. Burocrazia. La diffidenza alimenta la burocrazie e la burocrazia alimenta la diffidenza, così
si attivano eccessi di regole, controlli, policy, procedure e processi complessi e macchinosi.
3. Politica. Leggibile come l’antitesi della fiducia, si mostra attraverso l’adozione di tattiche e
strategie per ottenere potere, attraverso comportamenti come il trattenere informazioni,
pettegolezzi maliziosi, rivalità interne, eccesso di riunioni, finalità nascoste, in pratica “il
nemico è dentro”.
4. Distacco. Le persone sono al lavoro con il loro corpo (“licenziati stipendiati”), ma la mente
ed il cuore sono altrove; dunque si sforzano per lo stipendio, ma non manifestano il loro
talento, la loro energia, la loro creatività.
5. Turnover. Il riferimento qui è al turnover “non voluto” e particolarmente costoso, riferito
agli individui capaci di performance eccellenti.
6. Tasso di abbandono. Rappresenta il turnover degli stakeholder – eccetto i dipendenti come i clienti, i fornitori, i distributori, gli investitori
7. Frode. La maggior parte delle tasse è il risultato della risposta del management a questa
tassa, in cui si manifesta inganno, disonestà, sabotaggio, ostruzionismo.
4
Cfr. Covey S. M. R., La sfida della fiducia. Velocità ed efficacia nelle relazioni di business e nella vita privata, Franco
Angeli, Milano, 2008, pp 46-47.
5
Ivi, op cit., pag. 47.
6
Ivi, op cit., pp 282-287.
Phd Enrica Brachi Tel. 348-9221078 [email protected]
Senior Trainer in www.consapevolezzaimprenditoriale.it
4
All’opposto delle sette tasse ci sono i sette dividendi dell’elevata fiducia aziendale7:
1. Maggior valore. L’elevata fiducia aumenta sia il valore azionario, sia il valore per il cliente.
2. Accellerazione della crescita. Aumentano le vendite ed i profitti, in quanto i clienti
comprano di più, magari più spesso, si riferiscono alle persone con cui hanno fiducia e
dunque restano più a lungo.
3. Sviluppo dell’innovazione. Sia nei prodotti che nei servizi, es. la Apple, quasi “morta”
pochi anni fa – si è completamente ripresa, con l’amministratore delegato Steve Jobs,
attraverso lo sviluppo dell’iPod e di Itunes Music Store.
4. Migliore collaborazione. Al di là della semplice coordinazione e cooperazione solo con la
fiducia si accede alla vera collaborazione, in cui lo spirito di squadra diviene necessario per
il successo.
5. Solida partnership. La fiducia non è ingenua e si guadagna attraverso la performance, e
risulta anche più vantaggiosa rispetto a chi confida solo negli accordi contrattuali.
6. Migliore esecuzione. È meglio avere una strategia da 27 ed una esecuzione da 30 che il
contrario! La fiducia migliora significativamente l’esecuzione.
7. Maggiore fedeltà. Le aziende con un elevato livello di fiducia inducono i loro principali
stakeholder a una fedeltà molto più grande se paragonata alle aziende con scarso livello di
fiducia.
La formazione per la gestione costruttiva dei conflitti intra ed inter-personali si basa sul presupposto
che la comunicazione è un “antidoto” ai conflitti e che questi comunque divengono sempre, se
opportunamente affrontati, uno strumento di ristrutturazione evolutiva ed una risorsa per il
cambiamento. In sintesi dunque tra gli strumenti per una gestione costruttiva dei conflitti
sottolineiamo il ruolo di:
- Competenze comunicativo-emotivo-relazionali /intelligenza emotiva.
- Abitudine a “so-stare nella complessità” e gestirla in un ottica win-win.
- Efficaci strategie di coping (fronteggiamento) e mastering (controllo) individuali ed
organizzative (Problem Solving e Negoziazione Generativa)
Ciascun protagonista della vita organizzativa è chiamato a “fare la differenza” e dunque ad essere
competente, nel campo del sapere, del saper fare, del saper essere e del sapersi trasformare.
L’intelligenza emotiva di Goleman8, intesa come competenza “personale” e “sociale” rappresenta
“la differenza che fa la differenza”, ed in sintesi può essere descritta come la capacità di bencomunicare con noi stessi e con gli altri. In particolare a parità di expertise, l’intelligenza emotiva
incide significativamente sul successo individuale, sia a livello personale che professionale.
Quando i problemi da risolvere sono intensi o duraturi (o entrambe le cose), come generalmente
accade, diviene ancor più necessario un “recupero disciplinato”, in cui strategicamente gestiamo le
priorità, come ricavarsi delle pause, per sostenersi, e costruire delle riserve di energie, attingendo a
tutte e quattro le nostre facoltà (fisica, emotiva, mentale e spirituale).
Così lo stress diviene eu-stress (stress positivo), se opportunamente significato o di-stress (stress
negativo), capace di diffondersi come un veleno debilitante, nel singolo ed in coloro che non
riescono a fronteggiarlo. La gestione dello stress è un ulteriore tematica importante da inserire nei
percorsi formativi, sia nell’ottica di prevenire i rischi psicosociali, sia nell’apprendere efficaci
tecniche da praticare in situazioni d’emergenza.
Interessanti a questo proposito le parole di George Bernard Shaw “La gente incolpa sempre le
circostanze. Io non credo nelle circostanze. Le persone che hanno successo nella vita sono quelle
che si alzano e cercano le circostanze che vogliono, e, se non riescono a trovarle, le creano”.
7
8
Ivi, op cit., pp 287-291.
Cfr. Goleman D., Lavorare con l’intelligenza emotiva, RCS, Milano, 1998
Phd Enrica Brachi Tel. 348-9221078 [email protected]
Senior Trainer in www.consapevolezzaimprenditoriale.it
5
O ancora più sinteticamente come afferma Aldous Huxley “L’esperienza non è ciò che succede a
un uomo, ma ciò che l’uomo fa con ciò che gli succede”.
Strategie formative per un empowerment delle competenze comunicativo-relazionali.
Verso un saper ben-essere, un ben-vivere e ben-lavorare “diffuso”.
Gli analfabeti del XXI secolo non saranno coloro che non sanno leggere e scrivere,
ma coloro che non sanno imparare, disimparare ed imparare di nuovo. Alvin Toffler
La formazione è attualmente una priorità indispensabile per essere efficaci e deve offrire ai singoli,
alle famiglie, alle organizzazioni, alcuni “setting”, contesti autoconoscitivi, in cui attivare
riflessività, “imparare ad imparare”, facilitare competenze comunicativo-emotivo-relazionali “in un
ottica win-win”, padroneggiare l’intelligenza emotiva così da elaborare la tossicità ed accogliere i
doni nascosti nelle dimensioni conflittuali, per poter gestire il proprio ed altrui benessere
relazionale.
La formazione, la consulenza, oggi ha la responsabilità di co-costruire processi di empowerment,
individuali ed organizzativi, e questo attraverso diverse possibili strategie:
- creare uno spazio nel quale poter so-stare, fermarsi per riflettere, osservare ed un tempo per
prendersi cura dei conflitti, in cui ciò possa avvenire, sostenuto da un professionista e dalla forza di
un gruppo consapevole della difficoltà del viaggio intrapreso;
- facilitare un contesto di apprendimento in cui riflettere su come una “sufficientemente buona”
comunicazione può generare circoli virtuosi e creare valore in un ottica win-win;
- riconoscere le potenziali sinergie ed attuare una cooperazione creativa, sostenuti da una visione di
interdipendenza ed abbondanza;
- riconoscere che, l’organizzazione possiede potenzialmente le risorse per la soluzione dei problemi
e può “imparare ad imparare”, attraverso professionisti esperti esterni e/o una leadership riflessiva,
capace di accettare la sfida della fiducia;
- contribuire ad ampliare la pensabilità positiva, generativa, la proattività, in cui ciascuna singolarità
elabori la “visione del conflitto come opportunità di crescita” e manifesti, come protagonista, la sua
responsability (abilità a rispondere, in qualsiasi situazione, in maniera costruttiva, attingendo alla
sua sempre presente libertà di scelta);
- accettare che gli “errori” diventano un feedback che aiuta a migliorare, un esperienza su cui
riflettere e attraverso cui diventare esperti nel trarne insegnamenti.
Nella vita, personale e professionale, possiamo creare ambienti in cui incoraggiare l’assunzione di
rischi adeguati, ove comunque è ammesso e possibile l’errore, che diviene “un’esperienza di
apprendimento”.
La formazione quindi può permettere e catalizzare il processo di empowerment9, sostituendo il
senso d’impotenza - learned helplessness - con un sentimento di autoefficacia - self-efficacy,
avendo presente che la qualità delle prestazioni è influenzata, oltre che dalle effettive capacità della
persona, dalle sue convinzioni riguardo alle proprie capacità e al proprio potere di controllo e
d’intervento sulla realtà.
L’ottimismo e la speranza - proprio come il senso di impotenza e la disperazione – possono essere
appresi. Alla base di entrambi c’è una visione che gli psicologi chiamano self-efficacy, ossia la
convinzione di avere il controllo sugli eventi della propria vita e di poter accettare le sfide nel
9
L’empowerment è un processo, individuale e organizzativo, attraverso il quale le persone, a partire da una qualche
condizione di svantaggio e di dipendenza non emancipante, vengono rese “potenti” (empowered), ovvero rafforzano
la propria capacità di scelta, autodeterminazione e autoregolazione, sviluppando parallelamente il sentimento del
proprio valore e del controllo sulla situazione di lavoro, la propria autostima e autoefficacia, riducendo parimenti i
sentimenti di impotenza, sfiducia, paura, l’ansietà, la tensione negativa e l’alienazione.
Phd Enrica Brachi Tel. 348-9221078 [email protected]
Senior Trainer in www.consapevolezzaimprenditoriale.it
6
momento in cui esse si presentano. Lo sviluppo di una competenza di qualunque tipo rafforza
questa sensazione aumentando la disponibilità dell’individuo a correre dei rischi e a tentare
imprese sempre più difficili. A sua volta, il superare queste difficoltà aumenta il senso di selfefficacy.
La finalità di una formazione specifica, empowerment oriented, è trasformare i circoli viziosi in
percorsi virtuosi, gli scontri distruttivi - per sé e per gli altri - in confronti costruttivi, capaci di
nutrire la qualità di vita individuale e creare ben-essere nei contesti relazionali.
Tra i comportamenti che creano valore e su cui lavoriamo nei setting formativi troviamo:
• ascoltare attivamente attraverso una comunicazione empatica, in cui chiedere serve per
comprendere ed andare oltre le apparenze,
• assumersi le proprie responsabilità,
• approfondire la conoscenza dei bisogni, propri ed altrui, al di la delle rispettive posizioni,
• dare e chiedere tempo, nel rispetto delle proprie ed altrui necessità,
• esprimersi liberamente (pensieri, emozioni, bisogni) senza essere offensivi e meta-comunicare,
ossia definire ciò che sta avvenendo nella comunicazione mentre sta accadendo,
• definire chiaramente dei confini, saper rifiutare, darsi il permesso di trovare la giusta distanza
relazionale,
• proporre soluzioni, essere propositivi, ricercare da soli o insieme all’altro ulteriori possibilità,
alternative efficaci, eventualmente darsi la possibilità di chiedere aiuto ad una terza parte,
• riconoscere i propri errori e comunicarlo, con coraggio e umiltà,
• fare ed accettare critiche “costruttive”, orientate al miglioramento, nel rispetto della persona,
• dare ed accogliere i feedback positivi, gli apprezzamenti, con una capacità di riconoscere e
riconoscersi ciò che funziona, che è ben fatto, abituandosi a vedere anche il bicchiere mezzo
pieno,
• saper “so-stare” nel conflitto mantenendo contemporaneamente in considerazione le proprie ed
altrui aspettative,
Nei contesti formativi segnaliamo continuamente la capacità di utilizzare il conflitto, l’eterogeneità,
come risorsa, in modo da accettare, accentuare, valorizzare le differenze ed accogliere le diversità
come ricchezza. Gli “elementi di disturbo”, le crisi, possono divenire occasioni di rinnovamento e
crescita collettiva.
Per realizzare questo è necessario sviluppare la capacità di accogliere, riconoscere e valorizzare tali
diversità e ciò implica la capacità di “mettersi in gioco”, altrimenti si facilita la dissociazione, la
normalizzazione omologante, la riduzione semplificante della complessità.
Come ben sottolinea Melucci10 in un mondo che vive la complessità e la differenza non può sfuggire
l'incertezza che chiede agli individui la capacità di mutare forma restando se stessi. L'io, non più
imperniato in una identificazione stabile, ha gioco, oscilla e si moltiplica (…) Di questo movimento
l'io può tremare, e perdersi. Oppure può imparare a giocare.
Così come nel campo psicoanalitico J. Lacan ha trasformato il paziente da analizzato in analizzante,
poiché ogni volta gli riconsegnava “la domanda”, al fine di non chiudere l’accesso alla Verità, anche
noi valorizziamo la partecipazione attiva mediata dal concetto di “responsabilità condivisa” e la
capacità riflessivo-metacomunicativa, intesa come capacità di ricostruire, narrare, dare significati,
testimoniare i propri vissuti di scelta e non scelta, relativi alle esperienze vissute. Per ri-valutare la
crisi nella sua valenza formativa possiamo soffermarci sulle difficoltà ed opportunità legate al
10
Cit. in A. Melucci, Il gioco dell’io. Il cambiamento di sé in una società globale, Feltrinelli, Milano, 1991, pag. 11.
Phd Enrica Brachi Tel. 348-9221078 [email protected]
Senior Trainer in www.consapevolezzaimprenditoriale.it
7
cambiamento e ri-significare i processi di change e changing 11, per accogliere i doni nascosti che
ogni conflitto porta.
Gli studiosi della comunicazione individuano due diversi tipi di cambiamento: il “cambiamento 1”,
che rimane all'interno dello stesso livello logico e il “cambiamento 2”, che comporta un salto di
livello e appare di solito inatteso, creativo e originale Per es., per evitare le situazioni di terrore di un
incubo, nel sogno si possono mettere in pratica comportamenti diversi (“cambiamento 1”), ma
l'unico modo per uscire dall'incubo è svegliarsi e smettere di sognare (“cambiamento 2”).
Per passare dal “cambiamento 1” al “cambiamento 2” è necessario ricercare “che cosa” mantiene la
situazione, piuttosto del “perché” si è creata. Questa teoria del cambiamento ha grandi possibilità di
applicazione pratica in quanto permette di analizzare e quindi affrontare in modo nuovo i problemi.
Infatti nella grande maggioranza dei casi i problemi che vogliamo risolvere non sono correlati alle
proprietà degli oggetti o delle situazioni, “realtà di primo ordine”, ma al significato, al senso ed al
valore che noi siamo giunti ad attribuire a questi oggetti o situazioni, “la realtà di secondo ordine”.
Frequentemente proprio le “tentate soluzioni” mantengono o aggravano il problema.
L’intervento strategico è rappresentato dallo spostamento del punto di osservazione del soggetto,
così da passare da una rigida posizione percettivo-reattiva ad una prospettiva diversa, più elastica,
che richiama l’imperativo etico di von Foerster: “Comportati in modo da aumentare il numero delle
scelte”.
Il cambiamento di prospettiva produce un cambiamento nella percezione della realtà che cambia la
realtà stessa, determinando, di conseguenza, il cambiamento di tutta la situazione e delle reazioni ad
essa. In parole più semplici, ricorre il concetto della “profezia che si autoavvera”, ossia la
comprensione che gli effetti immaginativi producono cause concrete, in quanto la realtà si configura
come una invenzione, come una costruzione.
L’invito è dunque ad ampliare la visione, tentando di vedere oltre i fatti e gli aspetti manifesti, ad
ascoltare cosa si nasconde dietro l’apparenza o sotto ciò che osserviamo, a sentire - al di là delle
danze potenzialmente infinite dell’offesa e della difesa - il bisogno di fiducia che si cela dietro una
guerra che logora i suoi attori. La fiducia è come l’acqua per i pesci e per questo che il contesto
formativo diviene un laboratorio, uno spazio protetto, in cui esercitarsi per potersi sentire capaci di
fronteggiare le continue richieste che la vita ci offre, individuando sempre nuove modalità
relazionali, efficaci, soddisfacenti e realisticamente praticabili.
La formazione diviene quindi uno strumento necessario per il viaggio da intraprendere a livello di
singoli e di organizzazioni, ma anche un processo di accompagnamento, di tutela, di supporto
all’attraversamento di dimensioni e situazioni, operative ed organizzative, verso un ben-essere
diffuso. Concludo con le seguenti parole di Albert Einstein <<Ogni giorno ricordo a me stesso che
la mia vita interiore ed esteriore si basa sul lavoro di altri uomini, vivi o morti, e che devo
sforzarmi di dare nella misura in cui ho ricevuto e sto ancora ricevendo>>.
Bibliografia consigliata:
Covey S. M. R., La sfida della fiducia. Velocità ed efficacia nelle relazioni di business e nella vita privata,
Franco Angeli, Milano, 2008.
Goleman D., Lavorare con l’intelligenza emotiva, RCS, Milano, 1998
Rosenberg M., Le parole sono finestre (oppure muri), Edizioni Esserci, Reggio Emilia, 2003.
*Brachi E., Relazione estratta dalla Tesi di Dottorato di ricerca in Studi per la Pace: “Strategie formative per
la gestione costruttiva dei conflitti. Empowerment delle competenze comunicativo-emotivo-relazionali nelle
organizzazioni”.
11
Il concetto di change è passivo e richiama forme di resistenza, di disimpegno, di ansia connessa alla paura di perdere
la propria identità. Il changing invece è attivo, basato sulla partecipazione come protagonisti, in cui si è
responsabilmente coinvolti.
Phd Enrica Brachi Tel. 348-9221078 [email protected]
Senior Trainer in www.consapevolezzaimprenditoriale.it
8