LO SHINKANKAKUHA IL GRUPPO • • Shinkakakuha (“scuola della nuova sensibilita/delle nuove percezioni”): gruppo che si raccoglie attorno alla rivista Bungei Jidai, fondata nel 1924 da Yokomitsu Riichi e Yasunari Kawabata Scuola che rappresenta il settore di avanguardia del modernismo Anche sulla base dell’influenza dell’avanguardia europea, si oppone ancor più apertamente ai canoni romanzeschi dell’establishment letterario (shishōsetsu e la sua idea di realismo) e porta avanti un ulteriore sperimentalismo A livello tematico-narrativo A livello di generi, stili, sintassi Inoltre, in posizione opposta, e di stampo conservatrice, alla corrente di scrittori proletari marxisti, si appella al principio dello “art for art’s sake” : ricerca di “bellezza” e “purezza” CARATTERISTICHE DISTINTIVE DELLA PRODUZIONE DELLO SHINKANKAKUHA • Attenzione per il mondo urbano, in particolare dopo il terremoto del ’23, come tipico del modernismo, ma esaltazione di una estetica della velocità e della meccanizzazione Al centro della rappresentazione c’è un io non più rappresentato coerentemente, ma dissolto Priorità data alla messa in scena delle sensazioni: soggetto = semplice tramite per stimoli esterni Metafora dell’ansia della modernizzazione Stile: Rifiuto della coerenza della struttura narrativa e del dialogo prodotta artificialmente nei testi letterari: esiste una realtà oggettiva rappresentabile, ma non è statica, in continuo fluire, e non può essere colta razionalmente Adozione di uno stile frammentario, che predilige le libere associazioni della parola, del pensiero e dell’esperienza YOKOMITSU RIICHI (1898-1947) • • • • Shinkankakuron (1925) Esclusione dell’ideologia dalla letteratura Letteratura: comprensione immediata della realtà attraverso i sensi, incentrata sul kankaku (sensazione) Vero makoto: rappresentazione della percezione umana attraverso segni esteriori Nuova visione della soggettività moderna: soggetto smarrito, dissolto nella sensazione Shanhai (1928-1932): Spazio urbano cosmopolita e frammentario (confronto con la Tokyo del dopo terremoto) Questione della presenza giapponese in Asia e atteggiamento ambivalente verso la modernità (poi mutato nelle opere più tarde) KAWABATA YASUNARI (1899-1972) Membro fondatore dello Shinkankakuha Scrive opere vicine al gruppo soprattutto in una prima fase della sua produzione, ma • Tutta la sua produzione rimane vicina al modernismo • Non si distacca mai del tutto dall’influenza del surrealismo OPERE LEGATE AL GRUPPO DELLO SHINKAKAKUHA • • Asakusa Kurenaidan (La banda scarlatta di Asakusa, 1929-1930) Romanzo emblema del movimento, come Shanhai Centralità del quartiere di Asakusa Narrazione frammentaria, con unico elemento conduttore il colore rosso, e susseguirsi continuo di immagini Richiamo al terremoto del ‘23 Stile: frasi brevi e spezzate e forte resa visiva Esperienze cinematografiche: Kurutta ippeji (1926) • • N.B.: Anche dopo l’allontanamento della produzione di Kawabata dalle forme stilistiche più vicine allo Shinkankakuha, l’idea della letteratura non come reinterpretazione “organizzata” del mondo, ma come incanalamento del flusso libero dell’esistenza, rimane un elemento costante nella sua produzione Concezione che si riflette nella sua preferenza per i racconti brevi, in particolare i Tanagokoro (tenohira) no shōsetsu 掌の小説 (1921 – 1972) 146 racconti, spesso brevissimi, prodotti lungo tutto l’arco della carriera di Kawabata, vere e proprie cristallizzazioni delle sue tematiche e del suo stile Kawabata stesso li ha più volte definiti i suoi veri capolavori, e l’ultima sua opera è una versione “tenohira” di Yukiguni Anche i romanzi lunghi di Kawabata, d’altra parte, si presentano, come ammette Kawabata stesso, come sorta di insieme di brevi racconti CARATTERISTICHE PREPONDERANTI NELLA SUA PRODUZIONE DALLA FINE DEGLI ANNI ‘20 IN POI: ADESIONE AL “NEW PSYCHOLOGISM” E RICHIAMO ALLA CLASSICITÀ • Influenza di autori come Valéry, Gide, James, Proust, e soprattutto James Joyce, letto nella traduzione di Itō Sei (traduzione dell’Ulisse del ’31-’34): Sperimentazione dello stream of consciousness e delle associazioni libere applicate all’analisi dell’inconscio, su ispirazione della psicanalisi di Freud Al contempo, interesse per il recupero delle forme della poetica tradizionale in commistione con quelle del modernismo Soprattutto dopo la fine della guerra, in risposta alla distruzione morale e materiale del paese Desiderio di preservare l’identità culturale del Giappone e di farla conoscere all’estero IZU NO ODORIKO (LA BALLERINA DI IZU, 1926) Racconto di grandissimo successo, oggetto di molti adattamenti cinematografici, fin dal 1933. In ognuno di essi, esaltata l’idea di amore adolescenziale puro, di natura vagamente autobiografica. In realtà, espressione della tipica sensualità descritta da Kawabata: attrazione per figure di donne-bambine, ammirate soprattutto per il loro aspetto pallido e immacolato, belle da osservare ma caratterizzate solo in funzione dell’apprezzamento dello sguardo del protagonista, e non come esseri umani dai pensieri e sentimenti propri Il testo può essere inserito nella lunga tradizione della narrativa di viaggio dai kikō al nō, con le loro associazioni estetiche legate ai luoghi. “To think of the characteristics of Japanese literature in its ancient tradition, one of its salient features is the sentiment felt on a journey. Rather, it is sorrow felt on a journey. It is in the native songs of Japan. A pilgrimage was a form of spiritual discipline. Perhaps it was so in foreign countries, but Japanese pilgrimages were peculiarly characterized by the climate of Japan. To a certain extent this climatization has weakened the literature of Japan. But even lullabies and military songs of modern Japan are not free from this peculiarity. Yet this may contain something to which we have to give a fresh appreciation. I have desired that I might be able to leave this ancient strain through returning to it.” Dalla postfazione della seconda edizione del Kawabata Yasunari senshū, trad. Reiko Tsukimura YUKIGUNI (IL PAESE DELLE NEVI, 19371948) Considerato il capolavoro di Kawabata Romanzo lungo, ma poi riscritto da Kawabata in versione tenohira nel 1972 Linguaggio estremamente visivo, legato alle percezioni del protagonista Shimamura (retaggio del Shinkankakuha) Debolezza dei personaggi (Shimamura / Komako) rispetto alla forza delle immagini Però, rispetto ad altre storie di Kawabata, maggiore spessore alla figura femminile Secondo il critico Nakamura Mitsuo, l’“io” narrante di Yukiguni corrisponde alla figura dello waki nel teatro nō, la cui funzione e introdurre lo shite, vero protagonista, ovvero Komako VITTORIA DEL NOBEL (1968) Kawabata Yasunari was the first Japanese to win the Nobel Prize for Literature. The award was made in 1968, exactly one hundred years after the new era of Japanese literature opened with the Meiji restoration. Kawabata was unquestionably a modern man, and his works dealt exclusively with the lives of contemporaries, but the Nobel Prize Committee honored him because of the special affinities his works revealed with Japanese traditions. The Japanese public was naturally delighted to learn of the award, though surprise was expressed that a writer who was difficult to understand even for Japanese should have been so appreciated abroad. Kawabata, whose earlier photographs often brought to mind a deer frightened by a sudden flash of light, now showed smiles to the camera. But less than four years later he was dead, a suicide for reasons he did not disclose. (Donald KEENE, Dawn to the West, P. 786) “For his narrative mastery, which with great sensibility expresses the essence of the Japanese mind” DISCORSO PER IL NOBEL: UTSUKUSHII NIHON NO WATAKUSHI Utsukushii Nihon: Kawabata celebra la bellezza del Giappone, così come emerge nella visione della natura Sublimata nella poesia tradizionale, attraverso cui il poeta esprime le sue emozioni Riplasmata nelle altre arti tipicamente giapponesi (la cerimonia del té, i giardini.) Contemplata nello zen “Il professor Yashiro Yukio, esperto di arte orientale e occidentale, antica e moderna, (...) ha detto che una delle “caratteristiche dell’arte giapponese” può essere sintetizzata in una sola frase poetica: “Pensare agli amici quando è il tempo della neve, della luna e dei fiori di ciliegio. Quando vediamo la bellezza della neve, quando vediamo la bellezza della luna, in breve, quando apriamo gli occhi sulla bellezza dei singoli momenti nel corso delle stagioni e ne siamo sfiorati, quando abbiamo la fortuna di venire a contatto con la bellezza, allora pensiamo agli amici più cari (...); insomma l’emozione della bellezza risveglia in noi la simpatia, l’affetto per le persone. In questo caso, penso che “amico” possa essere letto in senso più ampio, come “essere umano”. Ancora, le parole che esprimono la bellezza dei singoli momenti nel corso delle stagioni, “neve, luna, fiori di ciliegio” per tradizione in Giappone sono diventate parole che indicano la bellezza di monti e fiumi, erbe e piante, di tutta la natura, dell’universo intero, e che includono anche le emozioni umane.” Da “La bellezza del Giappone ed io”, trad. Maria Teresa Orsi Watakushi: la letteratura è, per Kawabata, il personale strumento per raccontare la bellezza del Giappone all’Occidente Nel discorso, riallaccia esplicitamente la sua produzione letteraria alla letteratura Heian, in particolare l’Ise monogatari e il Genji monogatari: “Da ragazzino anche se ancora non conoscevo bene la lingua antica, le mie letture erano per lo più costituite dai classici della letteratura Heian e fra questi la Storia di Genji, credo, e l’opera che più si e impressa nel mio cuore. Per centinaia d’anni, dopo che la Storia di Genji e stata scritta, il romanzo giapponese ha cercato di eguagliarlo, ha continuato a proporne varianti e imitazioni.” Da “La bellezza del Giappone ed io”, trad. Maria Teresa Orsi “[dall’Ise monogatari] “...essendo un uomo raffinato, [Ariwara no Yukihira] aveva sistemato alcuni fiori, e fra essi uno straordinario trancio di glicine. Era lungo più di un metro”. Un tralcio di glicine che raggiunga quella lunghezza è davvero sorprendente e si può dubitare che l’autore dicesse la verità, eppure io vedo in questo fiore di glicine il simbolo di tutta la cultura di epoca Heian. Il glicine è un fiore molto giapponese e racchiude in sé una grazia tutta femminile, i suoi grappoli che seguono il soffio leggero del vento appaiono delicati, flessibili, di una bellezza sommessa, e mentre mostrano e si nascondono tra il verde di prima estate sembrano ispirare quell’intenso sentimento verso le cose che ci circondano, conosciuto come mono no aware.” Da “La bellezza del Giappone ed io”, trad. Maria Teresa Orsi
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