La guerra al femminile

8 giovedì 3 luglio 2014
l’Adige
STORIA
Partivamo dal Prà
de la Malga
e portavamo
su al Moietto due
assi alla volta
3
Le nostre vie non son
più silenziose,
sempre un dirivieni,
un chiacherio.. son
tutte voci nuove
DONNE
La guerra al femminile
Militarizzate, cuoche, lavandaie, operaie
«Noi ragazze eravamo state requisite»
✓ LA BUSSOLA
Ò 1914: il reclutamento
Dalla metà dell’agosto 1914, in
conseguenza della necessità di
costruire una «linea di
resistenza» in vista del
possibile intervento italiano
nel conflitto, nel Tirolo viene
attuato il reclutamento
volontario di lavoratori.
Ò Chiudono le fabbriche
Con la chiusura della
fabbriche, la richiesta di
manodopera nei cantieri del
Genio militare austro-ungarico
viene accolta con favore. Lo
storico Nicola Fontana
quantifica in 8.400 gli operai al
servizio della sola direzione
del Genio di Trento.
Ò Lavorano anche i ragazzi
Ai cantieri militari si
presentano anche ragazzi e
ragazze, anche con meno di 14
anni, e nella primavera del
1915 il numero dei volontari si
accresce con l’acuirsi delle
tensioni con l’Italia.
Ò La Famiglia del volontario
«Una nutrita schiera di donne
si rese attiva, mostrando
grande volontà sia in opere di
propaganda che di assistenza»,
scrive Rita Cimadom in «Le
donne nella Grande guerra»
(«La Prima guerra mondiale,
Didascalie, n. 3, aprile 1998,
Provincia autonoma di
Trento). «L’appello di tre
gentildonne trentine, la
contessa Giulia Manci, Rina
Pedrotti ed Emma de
Stanchina, venne raccolto da
un folto gruppo femminile
giovanile che formò la Famiglia
del Volontario Trentino. In
Toscana, la vedova di Cesare
Battisti ideò e attuò il progetto
di un convalescenziario per i
volontari trentini, malati o
feriti, che trovò dislocazione a
Forte dei Marmi».
Ò Internate e sospette
Una ricerca sulle donne
internate dei territori
asburgici in Italia per
«austriacantismo», spionaggio
o altre motivazioni è stata
condotta dallo storico Matteo
Ermacora (in «Deportate, esuli,
profughe» n. 7/2007, rivista
dell’Università Cà Foscari di
Venezia, www.unive.it): Furono
«vittime di invidie, rivalità,
rancori personali, calunnie scrive - ; come dimostrano
diverse situazioni che si
riferiscono al caso Trentino e a
quello dell’Isontino».
«N
oi ragazze eravamo
sotto ai soldati, eravamo state requisite, come anche i puteloti, per lavorare:
partivamo dal Prà de la Malga e portavamo su al Moietto due assi alla volta. Ci pagavano per questo, ma di quei
soldini ce ne voleva una cassa per
comprare qualcosa!».
La testimonianza di Maria Voltolini è
una delle tante pubblicata in un volume fondamentale, Il popolo scomparso. Il Trentino, i Trentini nella prima
guerra mondiale (1914-1920), a cura
del Laboratorio di storia di Rovereto
(Nicolodi, 2004) e ci dà un’idea degli
obblighi e dei disagi delle donne tren-
Dalle lavanderie militari
ai magazzini, dalle
cucine fino alla
manutenzione delle
strade o nelle zone di
guerra vicine al fronte
tine militarizzate nella Grande guerra. Per lei, la paga è di cinque corone
al giorno «e due pagnoche e mezza per
cinque giorni: fatte di paglia, eh! che
ci voleva uno stomaco da leoni per poterle digerire!».
Dopo la partenza degli uomini per il
fronte orientale nell’estate 1914, dai
paesi vicini al fronte partono anche le
donne e i figli, con un rituale triste: a
piedi o su carri fino alla stazione, poi
sui carri ferroviari verso località in Austria o Boemia. Nelle valli non toccate dall’esodo, oltre agli uomini e ai ragazzi fra i 14 e i 18 anni anche le donne vengono sostanzialmente militarizzate e si spingono talvolta anche in zone di guerra.
Le immagini mostrano donne al lavoro ovunque: nei magazzini militari, nelle stamperie, nelle sartorie, a lavare
indumenti dei militari o nelle cucine,
ma anche al lavoro in campagna sotto lo sguardo degli uomini in divisa
imperiale. Le donne militarizzate lavorano alla manutenzione delle strade, ma anche come portatrici di carichi in montagna, verso il fronte in quota. Quinto Antonelli, autore del libro I
dimenticati della Grande Guerra. La
memoria dei combattenti trentini (19141920) - edito da Il Margine nel 2008 ricostruisce con efficacia il contesto:
le libertà, a partire dal luglio del 1914
sono ristrette dalla sospensione di diritti costituzionali (libertà personale,
domicilio, segreto della corrispondenza, libertà di associazione e riunione,
stampa e opinione) e nel maggio 1915
viene introdotta la legge marziale. Il
Trentino è amministrato da militari, i
consiglieri comunali di Trento e Rovereto vengono internati o confinati.
Le conseguenze dell’afflusso di una
massa di soldati e militarizzati ricadono naturalmente anche sulle famiglie.
Scrive nel suo diario Cecilia Rizzi Pizzini, di Nomesino: «Le nostre vie non
son più silenziose sempre un dirivieni un chiacherio ma!... non son più le
voci dei nostri cari patrioti... Oi! me!
son tutte voci nuove oltre a questo
non si capisce un zero vi sono tedeschi, Slavi, Greci, Ungaresi, Boemi, ecc
ecc d’ogni nazione e lor non capiscono Italiano. Oh! giorni specialmente
oggi al suo arrivo affamati incontrano
sulla via fanno segno che vogliono
mangiare bere entrano dalle porte e
vogliono mangiare noi tutti pauriti si
chiudono le porte e si trema da capo
a pié sentendo nel paese il chiasso
d’una marmalia sconosciuta: alquni
le die delle patate cotte, al quni della
polenta, in fatti tutti lia portatto quel
poco che aveva ma come si fa sono
300 uomini ed il paesello piccolo (...).
Qui ci troviamo simile a quelli in guerra ci mancherebbe il cannone, ma giorno e notte ci fanno traballare le finestre / il ribombo delle mine per ora i
forestieri sono oltre 300 ma continuano a venire. A Lenzima ve ne sono 900»
(in Scritture di guerra n. 5, Museo storico in Trento, Museo storico italiano
della guerra Rovereto, 1996).
F. T.
DONNE
DAI
CAMPI
ALLE
TRINCEE
NELLA
PRIMA
GUERRA
DONNE INTERNATE
«Nel 1915 - scrive Matteo
Ermacora - gran parte degli
internamenti femminili erano
motivati dalla fedeltà alla
monarchia asburgica, indicata
come “austriacantismo”, e dalle
presunte azioni di spionaggio».
PROPAGANDA OSTILE
Scrive Ermacora di internate in
quanto in posti di rilievo
(maestre, ostesse, albergatrici,
levatrici): «perché erano in
relazione con molte persone e
venivano ritenute capaci di
attività di propaganda ostile».
SWANWICK FEMMINISTA
Una riflessione femminile sulla
guerra e la sorte dei civili, sul
disarmo e i rapporti fra i Paesi è
lo scritto «Le donne e la guerra»
della femminista britannica
Helena Maria Lucy Swanwick (in
«DEP» n. 15/gennaio 2011).
Profughe nell’esodo
N
ella storiografia relativa alla
Grande guerra «si parla
comunemente di “profughi”
(nella foto donne di Lavarone verso
Braunau), ma sarebbe più
appropriato usare il vocabolo al
femminile, cioè “profughe”, in
quanto nella maggioranza furono
coinvolti donne e bambini, e
comunque furono sempre le donne
nell’esodo a dover decidere, a
cercare le condizioni di
sopravvivenza per sé e i propri figli,
a tentare di tenere unita la famiglia,
a coltivare i sentimenti in modo da
evitare almeno il trauma della
lontananza affettiva dopo aver
subito quella reale». Lo rimarca la
storica Luciana Palla in Scritture di
donne. La memoria delle profughe
trentine nella prima guerra
mondiale, relazione alla giornata di
studi di Venezia del 31 ottobre 2003
«Grande guerra e popolazione
civile.Repressione, violenze,
deportati, profughi». E l’esperienza
di chi viene condotto in Italia «non
è di per sé né migliore né peggiore
di quella dei profughi evacuati nelle
terre dell’impero austro-ungarico:
molto dipende anche in questo
caso dalle proprie condizioni
economiche e di salute, dal tipo di
alloggio, ecc». I disagi «sono sempre
gli stessi: improvvisazione,
trascuratezza dei propri bisogni da
parte delle autorità, disperazione
ma anche grande capacità di
adattamento e di sopportazione».