ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns Considerazioni sulla tecnica per la ricerca dei guasti e collaudo elettronico nei circuiti. Queste pagine non vogliono essere una esposizione esaustiva della tecnica per la ricerca dei guasti negli apparati elettronici, materia abbastanza vasta e complessa, ma vogliono fornire alcune direttive base per chi si trova per la prima volta ad operare con sistemi e circuiti elettronici non funzionanti. Una corretta procedura di tecnica di ricerca guasti richiede una definizione ed una caratterizzazione di cosa si intende per specifiche e guasti nei circuiti. Le specifiche, sono una lista di dati diretti all’utilizzatore e che spiegano in quali condizioni le prestazioni del dispositivo sono garantite. Una definizione calzante del termine specifiche è: “una spiegazione dettagliata delle caratteristiche che contraddistinguono il dispositivo, o l’apparecchiatura, o il sistema, o il prodotto, o il procedimento”. Il guasto, corrisponde al termine della possibilità, che ha di svolgere una dato lavoro, una parte di apparecchiatura o dispositivo. I guasti possono perciò essere meglio definiti in riferimento ai punti che seguono: 1) La gravità del guasto: l’apparecchiatura che interessa ha semplicemente un difetto riparabile che lo pone fuori dalle specifiche o è completamente fuori uso? 2) L’origine del guasto: dovuto a cause interne o ad un impiego errato? 3) il modo di manifestarsi del guasto: improvviso o graduale? 1) IMPORTANZA DEI GUASTI a) Guasto parziale: si tratta di un difetto che è evidenziato da una deviazione nelle caratteristiche o nei parametri entro limiti specificati, ma non blocca completamente il funzionamento. L’interruzione del fusibile a protezione del motore dei tergicristalli di un auto è un esempio di guasto parziale; tanto è vero che se non arriva della pioggia a richiedere l’attivazione dei tergicristalli può passare moltissimo tempo prima che ci si accorga del guasto, pur avendo continuato, nel frattempo, ad usare l’auto. b) Guasto totale: i guasti che impediscono completamente le funzioni di un dato complesso. L’interruzione del filamento del tubo catodico del televisore, la rottura del menisco ad un giocatore di calcio, sono esempi di guasti totali. 2) CAUSE DEI GUASTI a) Guasti da errori nell’impiego: si tratta di guasti attribuibili a dei sovraccarichi rispetto alle specifiche dell’apparecchio. Ad esempio: la “cottura” di una presa da 220V/10A a cui è collegata una stufa elettrica da 3 Kw, il surriscaldamento di un alimentatore non protetto a cui è richiesta una corrente troppo alta. b) Guasti relativi al decadimento di qualche parte: sono guasti da attribuire al fuori uso di un componente interno, che bloccano del tutto la possibilità di funzionare. Per esempio: la rottura per usura della corda di una carrucola o della cinghia per il raffreddamento di un motore, l’interruzione del filamento di una lampada ad incandescenza all’approssimarsi delle mille ore di vita media, il fermo di un motore elettrico per l’usura delle spazzole. 3) TEMPO DI INTERVENTO DEI GUASTI a) Guasto improvviso: un guasto che non può essere evidenziato da una ispezione precedente anche accurata. Esempi possono essere quelli riportati per il “guasto totale”, come anche l’interruzione della giunzione di un diodo o di un transistor. b) Guasto progressivo: un guasto che potrebbe essere evidenziato da una ispezione dell’apparato. Una resistenza interrotta perché di potenza inferiore a quella necessaria, la rottura del tubo di collegamento della cucina con la rete del gas, un trasformatore di alimentazione sovraccaricato rispetto ai dati di progetto, ne sono alcuni esempi. 4) COMBINAZIONI DI GUASTI a) Guasto catastrofico: il classico guasto completo ed improvviso. b) Guasto da degrado: un genere di guasto che interviene gradualmente e parzialmente. 1 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns Un sistema può essere definito come “qualunque cosa formata da un insieme di parti collegate in modo da ottenere un tutto previsto e completo”. Di conseguenza, qualunque strumento elettronico o componente di apparecchiatura può essere considerato un sistema. In generale, un qualunque sistema, più o meno complesso, è composto da sottosistemi separati, ciascuno dei quali può essere immaginato incluso in un blocco. Nel caso di apparati elettronici, questa operazione di scomposizione, può essere portata fino al singolo componente elettronico (resistenza, condensatore, transistor, TTL, CMOS, diodo, ecc.) che costituisce, in un certo senso, il sottosistema base o blocco base. Il tutto quindi, funziona regolarmente solo se ciascuno dei sottosistemi svolge correttamente la propria funzione. Il visualizzare qualunque apparecchiatura sotto forma di schema a blocchi, è operazione essenziale per poter diagnosticare i guasti. Tra i compiti del progettista, vi è anche quello di fare in modo che il sistema possa essere soggetto ad operazioni di manutenzione abbastanza facilmente, applicando la massima attenzione all’accessibilità dei componenti, assemblandoli su pannelli disinseribili in caso di guasto e provvedendo a stabilire diversi punti di prova (o test) interni. L’intervento che può essere effettuato su un sistema ai fini della ricerca dei guasti, può essere di due tipi: preventivo e correttivo. L’intervento preventivo comporta la sostituzione delle sole parti che sono evidentemente arrivate al termine della loro vita operativa perché del tutto consumate o che a vista manifestino di essere sul punto di guastarsi. I guasti a componenti che sono soggetti a consumo, e che hanno un ben preciso limite di durata, non sono casuali, e possono essere previsti senza problemi. Si effettua in questo modo la manutenzione degli apparati. In alcuni casi, però, è molto difficile formulare un’accurata previsione del momento in cui una data parte giunge al termine della vita operativa e quindi diviene antieconomico effettuare la manutenzione preventiva descritta; anche in considerazione del fatto che la stessa manutenzione preventiva può turbare troppo spesso le condizioni di lavoro dell’apparato e favorire spesso l’insorgere di guasti. L’intervento correttivo, o “sostituzione dopo il guasto”, è in pratica il servizio di riparazioni che è richiesto a tutti gli apparati elettronici, e va effettuato ad intervalli casuali visto che i guasti delle varie parti avvengono ad intervalli imprevedibili. è questo secondo tipo di intervento che verrà trattato in queste pagine. Una percentuale estremamente elevata (fino all’85%) dei circuiti costruiti in laboratorio, risulta “non funzionante” durante il collaudo e, nella quasi totalità dei casi, ciò dipende da errori circuitali commessi dallo studente nella fase di sbrogliatura o in quella di montaggio del circuito o addirittura in quella di collaudo. Verranno di seguito esaminate le principali cause di errore; ciò che interessa qui sottolineare è che la tecnica di procedura per la ricerca del guasto non è per questo diversa. L’unica differenza, è che alla fine della ricerca si troverà un errore (se non di più) dello studente invece di un componente difettoso o guasto. Non è sempre così, ma spessissimo lo è. Va aggiunto a questo, che la difficoltà maggiore consiste proprio nel convincere lo studente che è molto più probabile un suo errore che un componente difettoso; lui si è impegnato al massimo, ha controllato il circuito due, tre volte ed ha trovato che “è tutto giusto”, quindi la colpa è di qualche maledetto componente che sta sogghignando da qualche parte sulla piastra e dell’insegnante che, tanto per cambiare, “ce l’ha con me e non mi crede”. E qui compie il suo primo macroscopico sbaglio. Se il circuito è affetto da un errore nella sbrogliatura, o nel riporto delle piste sulla piastra, è facile che durante il controllo del circuito, lo studente, giunto nel punto cruciale, rifaccia lo stesso ragionamento che ha fatto la prima volta (non osserva il circuito con gli occhi ma lo vede con la memoria), trovando quindi che “è tutto giusto”. Lo studente è affetto in questo caso da errore sistematico. In tali frangenti, una buona soluzione potrebbe essere quella di controllare il circuito insieme ad un collega completamente estraneo, al quale però non bisogna spiegare quello che si è fatto (inducendolo negli stessi errori sistematici), ma col quale si effettua un doppio controllo: uno “legge” il circuito elettrico (non il circuito di cablaggio!!) e l’altro “legge” la piastra e viceversa. Il circuito di cablaggio, essendo una trasposizione del circuito elettrico, può essere errato, per cui la perfetta corrispondenza cablaggio-piastra, non garantisce la corrispondenza circuito elettrico-piastra che è quella che interessa. L’esperienza diminuisce di molto questo tipo di errori ma non li elimina mai completamente. Quello che bisogna comunque rammentare nella ricerca guasti è che, per quanto strano possa sembrare, quando tutto è stato vagliato, l’impossibile, per quanto estremamente improbabile, diventa possibile. La ricerca guasti implica tre fasi distinte: 1) Il rilevamento del guasto. La presenza di un guasto è indicata da sintomi che devono essere attentamente valutati. La valutazione comprende una prova funzionale, ovvero il paragone delle prestazioni attuali dell’apparecchio o del circuito con quelle originali o con quelle da specifiche. Solo in tal modo si possono valutare esattamente i sintomi. In certi casi un apparecchio può essere giudicato guasto mentre in effetti è impiegato male; in altri casi il guasto apparente deriva da informazioni fuorvianti. La prova delle varie fun2 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns zioni dice se vi è veramente un guasto e fornisce tutte le possibili informazioni, nel caso in cui il guasto sia presente. 2) La localizzazione del guasto. Il compito successivo è quello di controllare bene il guasto, ricercandone le cause, prima in un blocco (o sottosistema) dell’apparato, poi nei singoli componenti. Saranno esposti in seguito i metodi di localizzazione. 3) La riparazione del guasto. Questa consiste semplicemente nella sostituzione del componente che si è guastato o in un intervento riparatore comunque della situazione anomala localizzata. Come è stato detto precedentemente, quando un componente va fuori uso, in un dato circuito, emergono dei sintomi ben precisi. Questi sintomi, che spesso sono unici e caratteristici per una data parte, producono dei mutamenti nel comportamento del circuito, nei livelli di lavoro, o nei segnali dell’uscita. Interpretando i sintomi, è possibile identificare il componente guasto. Se si tratta di analizzare un sistema completo, la ricerca di una parte fuori uso tra le centinaia presenti è molto più difficile, proprio per la complessità dell’apparato. Il problema può essere in parte superato, considerando il tutto in forma di schema a blocchi. Il sistema va suddiviso mentalmente in blocchi funzionali (un blocco funzionale è un “circuito elementare” che è in grado di svolgere una funzione autonoma: oscillatore, divisore di frequenza, integratore, derivatore, comparatore ecc. ecc.) e tramite successive misurazioni, si giungerà all’individuazione del blocco che non funziona. In seguito, si eseguiranno misure sempre più dettagliate sul blocco che interessa, sino a scoprire il componente fuori uso o la situazione circuitale anomala. È il caso di sottolineare che il blocco funzionale e circuito elementare di cui sopra, sono indicazioni non assolute, ma relative al sistema in esame. In questo caso sono riferiti ai circuiti generalmente realizzati in laboratorio. Lo schema blocchi dell’apparato, se disponibile, è un aiuto essenziale per rintracciare i guasti in qualunque sistema, anche perché, negli apparati più complessi, permette di comprendere facilmente le varie funzioni. Ricercando un guasto è possibile condurre una serie di prove anche senza nessun ordine prestabilito, provando i circuiti con una serie fissata arbitrariamente che sembra possa portare in breve alla localizzazione del blocco fuori uso. Anche se in taluni casi il metodo può portare effettivamente ad un risultato spendendo il minimo tempo possibile, non lo si può raccomandare in senso generale. È meglio preferire una ricerca rigidamente logica o “sistematica” che si basa su regole precise. Le procedure più diffuse per il rilevamento dei guasti sono le seguenti: a) prove condotte dall’ingresso all’uscita. b) prove condotte dall’uscita all’ingresso. c) prove che iniziano dal centro del sistema. I primi due metodi sono i più semplici. Serve un segnale d’ingresso che sarà immesso nel blocco iniziale e le misure saranno condotte in sequenza, blocco dopo blocco; sia andando dall’ingresso all’uscita che viceversa, sino a che si individua il blocco difettoso. La procedura di prova che inizia dal centro, al contrario, è molto utile quando il sistema da provare è costituito da un gran numero di blocchi collegati in serie. Qualunque dei metodi venga usato, è richiesta una competenza non superficiale del circuito in prova. Questo perché occorre conoscere il tipo di trasformazioni che ogni blocco introduce sul segnale in esame ed interpretarne le deformazioni e/o le discordanze. In senso lato, si può affermare che qualunque circuito elettronico, non è altro che un circuito manipolatore di segnali o informazioni: un alimentatore stabilizzato manipola la tensione alternata di rete per ottenere una componente continua e costante, un circuito contatore manipola un segnale elettrico per ottenere un segnale ottico su un display. Il problema sta nel fatto che questa trasformazione, non è mai o quasi mai diretta ed immediata, ma richiede un certo numero di passaggi intermedi attraverso dei blocchi. Nel caso di circuito non funzionante, si possono presentare due situazioni: circuito affetto da guasto totale o guasto parziale (possono aversi entrambi ma, in questo caso, è ovviamente prioritaria la ricerca del primo, senza la risoluzione del quale non è possibile verificare la presenza del secondo). Per quanto possa sembrare strano, i guasti totali sono in generale più facilmente rintracciabili di quelli parziali. Un circuito che non dà alcun segno di vita, richiede una serie di controlli standardizzati, soprattutto in fase di collaudo, come di seguito riportato: 1) verificare che all’uscita del circuito vi siano dei trasduttori in grado di evidenziarne il funzionamento. 2) verificare che i componenti non saldati siano inseriti correttamente nelle loro sedi (controllare il verso di inserzione, eventuali pin ripiegati, l’esatta corrispondenza delle sigle, etc.). 3) verificare che l’alimentazione, ovviamente di valore conforme alle specifiche circuitali, sia realmente presente ai relativi morsetti e che la corrente erogata dall’alimentatore sia sufficiente. 3 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns 4) verificare la presenza dell’alimentazione ai capi dei singoli componenti ed a tutti i punti direttamente connessi con l’alimentazione. 5) verificare che tutti i punti elettricamente connessi a massa lo siano realmente. 6) se tutte le verifiche precedenti danno risultati positivi, non dovrebbero esservi altre cause in grado di determinare un guasto totale. Eventuali difetti di funzionamento sono da attribuire a guasti parziali. A questo punto è opportuno fare alcune considerazioni sui singoli componenti prima di passare alle procedure di individuazione dei guasti parziali. Ogni componente, utilizzato all’interno di apparati elettronici, ha una sua affidabilità intrinseca che dipende dalla tecnologia di costruzione. Si intende per affidabilità, la possibilità di un dispositivo di svolgere una certa funzione (senza guasti), in determinate condizioni, per un periodo di tempo prefissato. La definizione si può utilizzare per componenti, strumenti, o interi sistemi. L’affidabilità è tuttavia legata a parametri che dipendono dalle condizioni di lavoro cui il componente è sottoposto. Risulta interessante notare come l’affidabilità non sia uguale per tutti i componenti che svolgono anche la stessa funzione, per esempio le resistenze che possiedono addirittura lo stesso valore, non hanno la stessa probabilità di guastarsi. Così come componenti diversi tra loro, hanno probabilità di guastarsi in tempi differenti a parità di ore di funzionamento o a parità di “stress” subito. Qui di seguito è riportato, a puro titolo indicativo, il tasso di guasto tipico (riferito allo stesso periodo di tempo) di alcuni componenti elettronici tra i più comuni: CONDENSATORI a carta poliestere ceramici elettrolitici (alluminio) al tantalio (solido) RESISTENZE ad impasto di carbone a deposito di carbone a film metallico a deposito di ossidi a filo variabili CONNESSIONI saldate a pressione avvolte a spina e presa SEMICONDUTTORI (al silicio) diodi per segnali diodi regolatori rettificatori transistor (potenza <1W) transistor (potenza >1W) IC digitali (DIL plastici) IC lineari (DIL plastici) COMPONENTI AVVOLTI induttanze per audio bobine RF trasf. alim. (x avvolgimento) COMMUTATORI per ciascun contatto LAMPADE SPIA a filamento a led VALVOLE 1 0,1 0,1 1,5 0,5 0,05 0,2 0,03 0,02 0,1 3 0,01 0,02 0,001 0,05 0,05 0,1 0,5 0,08 0,8 0,2 0,3 0,5 0,8 0,4 0,1 5 0,1 4 ITIS - “P. LEVI” - Torino termoioniche Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns 5 Dalla tabella, si possono ricavare informazioni, circa l’affidabilità dei componenti, del tipo: una resistenza a deposito di ossidi è 10 volte più affidabile di una a deposito di carbone, un led è 50 volte più affidabile di una lampada a filamento, un condensatore al tantalio è 3 volte più affidabile di uno a foglio d’alluminio, un transistor è 63 volte più affidabile di una valvola ecc. Queste riflessioni, aiutano a discernere tra i possibili guasti a cui possono essere soggetti i componenti e le tecniche di montaggio dei circuiti elettronici. Componenti con affidabilità più bassa sono maggiormente candidati al guasto di quelli con affidabilità più elevata. Purtroppo le tecniche di individuazione dei guasti parziali non permettono la stessa standardizzazione come per i guasti totali. Nel senso che ogni circuito è un caso a sé, e di conseguenza lo schema blocchi, la cui conoscenza è alla base della ricerca, è diverso per ognuno di essi. Molti sistemi non consistono affatto in una concatenazione di parti poste in serie, ma hanno anche rami paralleli e magari circuiti di reazione. Le connessioni che complicano la ricerca del guasto sono le seguenti: a) la divergenza: l’uscita da un blocco pilota due o più blocchi. b) la convergenza: due o più linee convergono in un unico blocco. c) i sistemi di reazione: possono essere impiegati per modificare le caratteristiche di un sistema e rappresentano un vero circuito completo. Nella ricerca guasti in un sistema con schema blocchi connesso in serie, un segnale corretto all’ingresso del blocco ed un segnale scorretto alla sua uscita, sono sintomo di un guasto nel blocco stesso; un segnale non conforme all’ingresso del blocco, implica un’indagine a monte, e quindi nel blocco precedente, delle cause di guasto. La divergenza è una situazione che si incontra comunemente. La regola da seguire per ciascun sistema divergente è provare ogni uscita a turno e continuare la ricerca del blocco fuori uso dal punto in cui si hanno dei segnali d’uscita non corretti. Nei sistemi a convergenza, due o più ingressi servono ad un unico blocco circuitale, e sono tutti necessari al fine di avere un’uscita normale dal blocco. Si tratta di una funzione simile a quella dei circuiti digitali AND, ed il tutto viene definito sistema a somma. In questi casi, tutti gli ingressi devono essere verificati, uno per uno, al punto di convergenza. Se tutti i segnali sono presenti e corretti, il guasto è situato dopo il punto di convergenza, ma se uno solo non è corretto, o manca, il guasto è nel circuito d’ingresso. I sistemi che prevedono circuiti di reazione, posti tra l’uscita di un certo blocco e l’ingresso di uno precedente tramite qualche dispositivo, presentano una delle peggiori e più difficili situazioni per la ricerca di un guasto. In questi, il segnale all’uscita, o una certa porzione del segnale all’uscita, è riportato all’indietro, ad un blocco precedente, ed in tal modo si ha una sorta di anello chiuso nel sistema. Se si ha a che fare con un circuito di questo tipo, si deve prima capire quale genere di reazione è impiegata nel circuito ed a cosa serve. La reazione, o nella maggioranza dei casi, la controreazione, serve per modificare le caratteristiche fondamentali del sistema. Modificando il circuito di controreazione è possibile interrompere l’anello generale, quindi provare ogni blocco separatamente senza che un segnale-errore sia inviato all’ingresso dell’anello. Il sistema di controreazione, è meglio che sia staccato dall’ingresso del blocco, ma naturalmente si deve porre ogni cura nel cercare di comprendere le funzioni che in tal modo mutano, visto che la controreazione può fornire una polarizzazione in c.c. e modificare il responso dei segnali. Siccome vi è una grande varietà di circuiti di reazione, non vi sono regole precise per l’individuazione dei guasti. È essenziale conoscere il sistema, capire come funziona e procedere in modo logico. Approfondire ulteriormente quanto esposto finora, diverrebbe estremamente complesso ed estraneo ai propositi iniziali di questa trattazione. Bisognerebbe fare uso di circuiti su cui analizzare concretamente con esempi, misure di grandezze elettriche ed altro le situazioni e le procedure di intervento che sono state fin qui descritte. Tutto questo verrà esaminato in laboratorio, con l’uso della strumentazione a disposizione (tester digitali e l’oscilloscopio), e dove molti dei punti illustrati appariranno più chiari ed immediati. Alcune informazioni aggiuntive, possono riguardare una serie di errori abbastanza frequenti a cui sono soggetti i circuiti realizzati, e che possono essere eliminati con un controllo preventivo da effettuarsi sistematicamente, nel corso di tutta l’esercitazione e prima del collaudo. Prescindendo dagli errori che possono essere commessi durante la sbrogliatura del circuito elettrico, e su cui è già stato riferito, l’esecuzione delle operazioni di seguito riportate, abbassa notevolmente la possibilità di “circuito non funzionante”: a) verificare l’assenza di corto circuiti e di interruzioni lungo le piste dello stampato (prima del montaggio dei componenti!) ispezionando otticamente la piastra utilizzando a tal proposito un tester predisposto per la misura di resistenza con portata ohm x 1. 5 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns b) verificare l’assenza di saldature difettose. La presenza di stagno su un punto di saldatura non è garanzia di contatto elettrico tra le parti. c) verificare attentamente l’assenza di corto circuiti tra le saldature. Oltre all’ispezione ottica, fare uso del tester con portata ohm x 1. È opportuno ricordare che la presenza dei componenti montati falsa la lettura dei valori, per cui è bene effettuare due misurazioni successive invertendo tra loro i puntali e senza modificare la portata. Il metodo, pur creando qualche problema di interpretazione dei dati, permette tuttavia un controllo rapido senza dissaldare i componenti. Se l’ago del quadrante va a fondo scala per entrambe le posizioni dei puntali, il corto circuito è palese. Durante tale verifica è indispensabile asportare dalla piastra in esame tutti i componenti non saldati o comunque non fissati, i quali, oltre a contribuire alla modifica di valori di resistenza, potrebbero essere danneggiati dalle correnti in circolo (ATTENZIONE: questa procedura non può essere utilizzata con tutti i componenti; ad esempio non è valida con componenti del tipo C/MOS). d) evitare l’eccessiva piegatura dei reofori. Spesso basta piegare più volte i terminali di un componente, o piegarli con un angolo acuto, per romperli o produrre il distacco dall’involucro. Se si piega troppo vicino al corpo di un elemento, si provoca una tensione meccanica nel punto d’ingresso del reoforo, e ciò può portare ad una crepatura dell’incapsulazione. e) evitare il surriscaldamento e lo shock termico del componente. Se durante la saldatura si supera la massima temperatura consentita per il componente, di solito si ha un danno permanente, un peggioramento delle caratteristiche, o un netto cambio dei valori; ciò si verifica soprattutto nel caso di componenti a semiconduttore. Tali effetti non sono usualmente avvertiti subito durante il montaggio, ed in taluni casi nemmeno al collaudo, ma si evidenziano sicuramente in seguito, quando l’apparecchio è in uso. In genere, per la saldatura manuale, si usa un saldatore di piccola potenza (da 20 a 50 W), con una temperatura compresa tra 300°C e 400°C. La punta del saldatore non deve rimanere a contatto con il punto da saldare per più di 4÷5 secondi. Nel caso di interventi correttivi di dissaldatura/saldatura su piastra, asportare sempre dalle loro sedi i componenti a semiconduttore non saldati. In ogni caso, eseguire operazioni rapide, “pulite” e con buona tecnica. In un certo senso, chirurgiche! f) evitare l’errore, controllando i collegamenti verso massa facendo uso dell’oscilloscopio, di considerare come elettricamente buono un collegamento solo perché una volta posizionata la sonda sul punto di test, la misura dà una tensione V=0. È bene rammentare che un capo della sonda è già collegato a massa (in generale mediante un “coccodrillo”), per cui l’oscilloscopio segnala la stessa misura sia che l’altro capo venga effettivamente collegato a massa, sia che venga lasciato libero, sia che venga comunque in contatto con un circuito aperto. E sono sicuramente situazioni elettricamente molto diverse. IL COLLAUDO ELETTRONICO NELLE INDUSTRIE Le nuove tecnologie, l’integrazione più spinta, i circuiti sempre più veloci hanno fatto segnare il passo alle apparecchiature ATE (Automatized Test Equipment) convenzionali ed altre relative tecniche di collaudo. La ricerca di una migliore copertura dei collaudi, la necessità di eseguire prove dinamiche in condizioni reali e l’esigenza di ridurre drasticamente i tempi di programmazione, trovano la loro soluzione nell’ultima generazione di ATE MULTI-MODE. Questi potenti e sofisticati mezzi di collaudo includono in una sola apparecchiatura la capacità di eseguire collaudi In-Circuit, Cluster, Funzionali ed al contempo effettuare certificazioni ed operazioni di taratura e calibrazione. Precisazione degli obiettivi Prima di eseguire ogni valutazione economica in senso assoluto od in senso relativo in termini di raffronto tra diverse possibilità, è bene esaminare innanzitutto il linea teorica i propri bisogni rapportati agli obiettivi che si intende perseguire, soprattutto in termini di qualità, affidabilità e di costo. Quando si è raggiunta la completa conoscenza di ciò di cui si avrebbe bisogno, allora si è in grado di comparare diverse possibilità e di scegliere quella ottimale, oppure scendere ad un ragionato compromesso avendo però ben chiari i limiti a cui si va incontro. Il conoscere i limiti e le scoperture di un processo è molto importante perché si possono impostare delle azioni preventive ed in ogni caso non si è impreparati di fronte all’insorgere di eventuali problemi connessi. Il collaudo elettronico 6 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns Frutto di quasi venti anni di esperienza, il collaudo elettronico sta subendo un’ulteriore implementazione a livello teorico che sfocia in nuove tecniche e metodologie le quali a loro volta richiedono una nuova generazione di apparecchiature automatiche di collaudo. Un rapido richiamo alle metodologie classiche di collaudo rende evidente che le nuove tecniche sono una naturale evoluzione e rappresentano un migliore uso delle precedenti. Il primo metodo di collaudo usato è stato quello funzionale. È il metodo più immediato e si prefigge di verificare solamente la funzionalità della scheda o apparecchiatura. I limiti del solo collaudo funzionale si riflettono sia sulla produttività che sulla qualità ottenibile dal prodotto finale. Sulla produttività incide sostanzialmente il tempo di ricerca del guasto che è praticamente lungo, anche in presenza di guasti banali, inoltre richiede personale tecnico specializzato e qualificato. L’aspetto qualitativo è fortemente ridotto dall’impossibilità di collaudare circuiti o funzioni ridondanti e di protezione, comportamenti critici, instabili o saltuari. Successivamente si è visto che molti degli errori di funzionamento dipendono da difetti di processo e da componenti guasti o fuori tolleranza. È nato così il metodo di collaudo In-Circuit che, attraverso il contatto tramite un cosiddetto letto d’aghi di tutti i punti nodali importanti del circuito in prova, verifica i difetti di processo e successivamente misura ogni singolo componente uno alla volta, isolandolo dal resto del circuito, con lo scopo di verificare se è montato correttamente e se rientra nei limiti di tolleranza imposti. L’introduzione del collaudo In-Circuit, a monte di quello funzionale, ha contribuito a migliorare notevolmente sia la produttività che la qualità delle schede. I problemi di collaudo non si possono tuttavia ritenere completamente risolti perché si verificano ancora dei guasti alla stazione di collaudo funzionale, al collaudo finale del sistema, all’installazione del cliente e inoltre si manifestano guasti fissi o saltuari sin dai primi mesi di funzionamento. Il motivo di questi inconvenienti è semplice da intuire se si analizza in dettaglio il flusso di collaudo. Collaudo In-Circuit Il collaudo In-Circuit tradizionale, normalmente non verifica in modo completo il funzionamento dei singoli componenti e soprattutto non esegue prove marginali in condizioni di massima frequenza, tensione, corrente, ecc. Le maggiori scoperture si hanno sui componenti analogici dove vengono eseguite solo prove sommarie, mentre per i digitali vengono eseguite le prove della tabella di verità, ma ad una velocità notevolmente inferiore a quella massima e con temporizzazioni, fronti di salita e discesa non coerenti rispetto alla realtà. Le prove possono essere, in sostanza, definite come statiche. Accade spesso quindi che nella fase In-Circuit i componenti vengono provati in condizioni meno gravose che nel collaudo funzionale, restando scoperti tutti quei componenti che funzionano in modo statico o in condizioni inferiori, e che non funzionano in condizioni dinamiche o reali. Esiste inoltre una scopertura a livello circuitale intrinseco, perché nel collaudo In-Circuit i componenti vengono provati separatamente uno alla volta, per cui non si possono verificare i difetti dovuti ad un insieme di componenti che formano un circuito, e che possono risentire di combinazioni di tolleranze e di interferenze. Collaudo funzionale La definizione di collaudo funzionale assume spesso diversi significati, in dipendenza del lessico aziendale e dell’apparecchiatura che si ha a disposizione. Normalmente viene eseguito applicando funzioni di un sistema, calcolate da un software di simulazione e a velocità molto inferiori a quelle reali. La migliore attuazione di un collaudo funzionale si ottiene andando a verificare tutte le funzioni realmente svolte dalla piastra eseguite alla massima velocità operativa. Inoltre bisogna anche verificare le sequenze con le quali possono essere svolte le funzioni, in modo da evidenziare eventuali punti critici dovuti all’ordine con cui le funzioni stesse vengono eseguite. Quindi tutti i metodi di collaudo funzionale che non rispettano questa regola, non possono garantire la completa copertura della scheda. Questo evidenzia il fatto che spesso possono venire rilevate delle anomalie sia durante il collaudo finale del prodotto/sistema, sia durante l’installazione o addirittura presso il cliente stesso, quando il sistema è chiamato a lavorare nelle sue condizioni reali. 7 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns Mortalità infantile (Burn-In) I guasti che si verificano durante i primi mesi di vita o addirittura durante le prime ore, oppure nelle fasi di Burn-In delle schede, se eseguite, vengono normalmente attribuiti alla mortalità infantile dei componenti. Accurate analisi eseguite su questi tipi di guasti hanno riscontrato che la percentuale di guasti dovuti realmente alla mortalità infantile dei componenti è molto bassa. è infatti noto che in certe piastre presentano più mortalità iniziale di altre dello stesso prodotto, pur utilizzando componenti uguali o simili. Se fossimo realmente in presenza di problemi dovuti unicamente alla mortalità infantile, tutte le piastre dovrebbero avere una percentuale simile di guasti, e invece questo non si verifica. Quindi se piastre diverse che usano componenti simili presentano diverso indice di mortalità iniziale, ciò deve essere imputato a fattori estranei ai componenti stessi, ma legati alle singole schede, ai relativi circuiti ed al processo produttivo. Componenti ammalati e/o danneggiati Fanno parte di questa categoria tutti quei componenti che, pur presentando alterazioni di qualche parametro elettrico (tempi di risposta, assorbimento in corrente, impedenza d’ingresso e/o d’uscita, mancanza di protezioni, ecc...), non comportano alcun guasto o anomalia nel circuito in cui sono inseriti. Gli approcci tradizionali di collaudo, condizionati anche dalla mancanza di apparecchiature idonee, non rilevano questo tipo di componenti nella fase di collaudo. È luogo comune non preoccuparsi di localizzare e quindi eliminare questo tipo di componenti in quanto non causano anomalie di funzionamento. Se ad esempio siamo in presenza di un contatore che da specifica deve lavorare fino a 30MHz (in realtà da difetti interni è limitato a 15MHz ed nel circuito della piastra lavora a 8MHz) ma l’apparecchiatura di collaudo è in grado di effettuare il test solo a 5MHz, risulta ovvio che il contatore sembra perfettamente funzionante perché alle condizioni di prova non causa inconvenienti. Quali sono però le garanzie di affidabilità nel tempo di un tale contatore? Sicuramente le anomalie interne al componente stesso che ne limitano le caratteristiche prestazionali, contribuiscono ad accorciare notevolmente la vita del contatore. Tali componenti rappresentano quindi un rischio potenziale per l’affidabilità delle schede e devono pertanto essere filtrati ed eliminati nel processo di collaudo delle schede stesse. I componenti danneggiati o ammalati possono essere così introdotti nel processo produttivo sia per assenza o scopertura del controllo accettazione, sia per danneggiamenti successivi dovuti a manipolazioni o al processo di produzione stesso. Gli esempi che seguono servono a chiarire meglio quanto esposto: • uno stadio di uscita CMOS dove il livello “zero” non è minore di 0,05 V ma vale “0,1 V”, avrà come causa una circolazione di corrente interna non prevista nel “Totem Pole”. • un componente CMOS che ha subito cariche e scariche elettrostatiche dovute a manipolazioni successive, ha visto danneggiata la sua protezione di un ingresso, ma non la funzionalità. • un diodo o un transistor inseriti in un circuito ad alta tensione e attraversati da una corrente inversa elevata. • un transistor di potenza di un alimentatore switching o di un oscillatore con un tempo di commutazione lento. • un condensatore elettrolitico di filtro con una resistenza di qualche ohm. • un integrato TTL con un tempo di commutazione di 50ns invece di 10ns. • un microprocessore o una memoria con un tempo di deselezione più lungo, che tra l’altro causano anche spike sul bus. Possiamo riassumere che ogni componente che presenti un parametro di valore alquanto diverso da quello fornito dalla specifica del costruttore è certamente ammalato o danneggiato e l’affidabilità ne è comunque compromessa. Scambio di componenti con funzioni equivalenti Lo scambio di componenti con funzioni equivalenti può essere rilevato nel flusso di collaudo. Il componente erroneamente montato al posto del suo equivalente, si romperà con il tempo oppure causerà dei funzionamenti saltuari che si manifestano in genere soprattutto con il calore. Tra i seguenti figurano alcuni esempi più tipici: • scambio tra integrati di eguale funzione tra le seguenti famiglie 74LSxx, 74Sxx, 74Fxx, 74ALSxx, 74HCxx. 8 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns • scambio tra amplificatori operazionali che possiedono il medesimo pin-out ma caratteristiche differenti come ingresso MOS, FET, BIPOLARE, VELOCI, DI PRECISIONE, ALTO GUADAGNO, ecc. • scambio tra memorie, microprocessori e circuiti VLSI, caratterizzati da veloci tempi di selezione con tempi di selezione più lenti (Z80 al posto di Z80A, 4164-1 al posto di 4164-2, 8087 al posto di 8087A, ecc.). • scambio con transistor con VCE più bassa (TIP31A al posto di TIP31B). • scambio di diodi di media potenza (1N4004) con diodi di segnale (1N4148). • componenti normali al posto di componenti selezionati. Questo tipo di errore di montaggio non può essere prevenuto a livello di controllo di accettazione perché i componenti montati sono perfettamente funzionanti, sono solo montati al posto sbagliato. Tali errori sono rilevabili attraverso apposite apparecchiature di collaudo schede. Circuito critico e circuito sottoposto a sforzo Si intende per circuito critico quello che presenta guasti saltuari, che si evidenziano magari a caldo, ed anomalie che si verificano solo in certe condizioni operative, mentre normalmente funziona correttamente. Questo genere di difetti si ha di norma in presenza di componenti che presi singolarmente funzionano bene ma che inseriti nel circuito presentano malfunzionamenti dovuti a problemi di tolleranze e/o di accoppiamento. Inoltre ovviamente si manifestano in caso di presenza di componenti soggetti a derive termiche. I circuiti sottoposti a fatica rappresentano una categoria di guasti potenziali che non alterano il funzionamento della scheda, per cui non vengono rilevati in un collaudo funzionale classico. La conseguenza è che il componente più debole della catena sotto sforzo si rompe, probabilmente per effetto Joule, nelle prime ore o nei primi mesi di funzionamento. Per di più sostituendo il componente rotto, senza eliminare quindi la causa, il componente appena sostituito segue la stessa sorte di quello di prima e così via. Le cause che possono provocare fatica, sia in modo statico che dinamico, sono molteplici, il più delle volte però sono banali, quali ad esempio: • una resistenza di pull-up molto più bassa del previsto. • un condensatore di filtro inserito per errore in uscita di un gate digitale o su di un bus. • un circuito digitale caricato da un altro con una impedenza (Fan-In) più bassa. • un transistor che per un insieme di tolleranze dei componenti del circuito ha una tensione di saturazione più elevata oppure tempi di turn-on / turn-off più lunghi. • un funzionamento non corretto dei circuiti di protezione o di compensazione. La tecnica di collaudo MULTI-MODE La tecnica di collaudo MULTI-MODE rappresenta un notevole passo in avanti dal punto di vista concettuale, rispetto alle tecniche In-Circuit e Funzionale convenzionali. Le apparecchiature combinate permettono l’esecuzione del test multi-mode in una sola stazione riducendo così ad una sola unità l’operatore, il programma, l’attrezzatura di test e abbreviando notevolmente la manipolazione delle schede. Inoltre i più sofisticati tester combinati hanno capacità dinamiche sia nell’analogico che nel digitale e sono previsti per poter rilevare le scoperture e i limiti esaminati nei punti precedenti. Il test multi-mode si compone delle seguenti fasi: • IN-CIRCUIT TEST • CLUSTER TEST • CALIBRATION / ADJUSTEMENT • FUNCTIONAL TEST Il fattore più rilevante di questa struttura di test è la differenza concettuale della fase del test funzionale rispetto al significato convenzionale. Tradizionalmente il test funzionale significa: applicazione di stimoli all’ingresso, rilevamento delle risposte in uscita e, in caso di errore, inseguimento del guasto fino alla sua origine, mediante probes, in modo manuale o in modo guidato. Il nuovo criterio che si vuole dare al collaudo funzionale è quello di verificare la totale rispondenza prestazionale della scheda, essendo certi di non rilevare alcun errore, perché la ricerca di ogni possibile guasto deve essere fatta in automatico negli stadi precedenti (In-Circuit / Cluster). La capacità di garantire la totale copertura degli errori, nelle fasi In-Circuit e Cluster, rappresenta un fattore fondamentale nella nuova strategia. Viene così eliminato dalla fase funzionale, il problema della ricerca, in9 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns seguimento e diagnostica del guasto, che normalmente richiede personale tecnico, tempi lunghi, complessi software diagnostici e occupazione della macchina durante la riparazione. La nuova strategia di collaudo multi-mode si basa sull’analisi delle possibili cause di guasto e in una verifica diretta dell’assenza di ogni guasto. Sono state suddivise le possibili fonti di guasto in tre classi fondamentali: 1) ERRORI DI LAYOUT Cortocircuiti Interruzioni Vengono rilevati direttamente misurando ogni punto rispetto agli altri. 2) ERRORI DI COMPONENTI Mancanti o non saldati Invertiti Fuori tolleranza Guasti Sbagliati Danneggiati Soggetti a deriva termica Fuori specifica Ogni singolo componente viene misurato separatamente con il metodo In-Circuit affinché non abbia nessuno degli errori sopra riportati e risponda alle specifiche richieste. 3) ERRORI DI CIRCUITI Guasto Critico Marginale (worst case) Dinamico Sottoposto a fatica Soggetto a deriva termica Accoppiamento Interferenza Ogni singolo circuito o gruppo di circuiti, ritenuto significativo, viene misurato separatamente nella fase “Cluster Test” affinché non abbia nessuno degli errori sopra riportati e risponda alle specifiche richieste. Condizioni di prova, prove marginali. Un altro aspetto fondamentale è rappresentato dalle condizioni con le quali vengono effettuate le singole prove sui componenti, sui circuiti e sull’intera scheda. La prova funzionale dell’intera scheda deve necessariamente essere eseguita in condizioni reali di frequenza, temporizzazioni, tensioni, correnti, carichi, ecc. Dovranno inoltre essere eseguite le prove con i parametri marginali in modo da verificare il funzionamento nel caso pessimo. Nelle fasi In-Circuit e Cluster le prove devono essere eseguite in condizioni più restrittive di quelle della prova funzionale in modo da garantire l’assenza di errori nella prova funzionale stessa. Obbiettivi raggiungibili L’utilizzo della tecnica di collaudo Multi-Mode, assieme alle apparecchiature di collaudo combinate, permette il superamento di tutti i limiti delle tecniche convenzionali prima esaminati. Ciò facilita il raggiungimento dell’obiettivo pricipale dell’industria elettronica che è quello di fornire un prodotto privo di qualunque tipo di difetto, il quale abbia una lunga vita con un perfetto funzionamento corrispondente alle esigenze del consumatore finale. Apparecchiature necessarie Per poter effettuare un livello di collaudo che garantisca praticamente una copertura totale dei collaudi sui diversi tipi di schede elettroniche oggi prodotte, le apparecchiature di collaudo combinate devono avere delle capacità di stimolo e di misura al passo con le tecnologie oggi utilizzate. Le apparecchiature combinate devono essere costituite dai seguenti moduli, che possono essere inseriti a seconda delle necessità: • MODULO CONTROLLO LAYOUT 10 ITIS - “P. LEVI” - Torino Lab. TDP Elettronica - G. Carpignano Classe 5Bns • MODULO ANALOGICO DINAMICO • MODULO DIGITALE DINAMICO • MODULO DI POTENZA DINAMICO Le caratteristiche minime necessarie per ogni modulo sono elencate qui di seguito. Modulo controllo stampato layout Questo modulo, nelle prove di cortocircuito, deve avere la possibilità di programmare in modo differente sia il tempo prova che la resistenza di threshold tra i differenti punti. Questa possibilità si rende necessaria per ottimizzare i tempi di collaudo in presenza di grossi condensatori, induttanze e resistenze di elevato valore. Inoltre la resistenza minima di threshold deve poter arrivare almeno a 10 milliΩ per poter rilevare direttamente i cortocircuiti ai capi di bobine, resistenze di bassissimo valore, di fusibili, ecc. Modulo analogico dinamico Il modulo analogico deve possedere almeno sei generatori programmabili utilizzabili in parallelo, sincroni tra di loro e con la capacità di formare e temporizzare dinamicamente le uscite. I generatori devono avere impedenza di uscita molto vicina allo zero per poter eseguire forzaggi all’interno dei circuiti. Devono poter essere generati dei segnali con tensioni superiori a 100V e correnti superiori a 3A. I circuiti di misura programmabili devono essere sincronizzati con i generatori e devono acquisire segnali analogici con campionamenti di almeno 1 µS. Inoltre devono essere dotati di filtri, amplificatori, rivelatori di picco e devono poter misurare tensioni, correnti, frequenze e tempi. Modulo digitale dinamico Le caratteristiche del modulo digitale sono molto importanti perché i componenti digitali sono quelli che subiscono un’evoluzione più rapida in termini di complessità e di velocità. Il modulo digitale deve essere dotato di almeno 256 DRIVER / SENSOR programmabili e paralleli, gli stimoli generati devono avere una ripetizione di almeno 20MHz. Gli impulsi devono essere programmabili a partire da 10ns. I sensor devono analizzare le risposte con una frequenza di almeno 100MHz. I livelli forzati e le soglie di ricezione devono essere programmabili. Ogni driver / sensor deve possedere una memoria minima dei 4000 stati precedenti ad un certo evento significativo. Inoltre i fronti di salita e di discesa devono essere inferiori a 20ns (slew rate = 300 V/µs.) per evitare problemi di pilotaggio e per mantenere una coerenza con i segnali reali. Modulo di potenza Il modulo di potenza viene usato nel caso di collaudo di alimentatori o di altri moduli in cui serva generare tensioni di rete o avere carichi ad elevata corrente. Deve essere disponibile un generatore di rete sintetizzato con capacità di programmare la tensione d’uscita, la frequenza e il limite di potenza. L’uscita di questo generatore deve essere temporizzabile in modo dinamico. Deve essere prevista la possibilità di collegare fino a 10 carichi elettronici dinamici, programmabili e sincronizzabili tra di loro e con i generatori. Si devono prevedere correnti fino a 200A. Infine occorre prevedere un generatore DC bipolare e bidirezionale con tensione d’uscita fino a 100V e correnti di 30A. Tempo di test La velocità con cui il sistema di test esegue le prove è un fattore fondamentale per determinare la produttività della stazione. Il costo elevato degli ATE MULTI-MODE dinamici si giustifica per produzioni medio-alte per la completezza del test, non ottenibile con altri sistemi, mentre per produzioni di grande serie si giustifica solo se il tempo totale di test è alquanto contenuto, dell’ordine di qualche secondo. Le apparecchiature ATE MULTI-MODE dell’ultima generazione usano un’architettura di sistema a intelligenza e memoria distribuite che, unite a tecniche di misura one-shot per l’analogico e comparazione in tempo reale per il digitale, permettono un tasso di misura, o di componenti provati analogici e/o digitali, pari a circa 300 per secondo. Praticamente si riescono ad ottenere per l’insieme delle prove: In-Circuit, Cluster e Funzionale, dei tempi totali di test compresi tra 2 e 10 secondi anche per piastre complesse. 11
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