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RIVISTA DELL'ARBITRATO
AnnoNXXIVNFasc.N1N-N2014
ISSNN1122-0147
EnricoNDebernardi
SULL’IMPUGNAZIONE DEL LODO
DICHIARATIVO DELLA
COMPETENZA ARBITRALE
Estratto
MilanoN•NGiuffrèNEditore
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civile, sentenza 6 aprile 2012, n. 5634; CARNEVALE
Pres.; RAGONESI Est.; CAPASSO P.M. (concl. diff.); Lentini (avv. Altavilla) c.
Cooperativa Edilizia Simi 1977.
Arbitrato - Lodo parziale - Riserva facoltativa d’impugnazione - Ammissibilità Esclusione.
Arbitrato - Eccezione d’incompetenza - Lodo parziale di merito - Impugnazione
immediata - Necessarietà.
Nel procedimento arbitrale non trova applicazione l’istituto della riserva
facoltativa d’impugnazione, attesa la mancanza dei presupposti pratici funzionali
all’applicabilità di tale istituto, quali la comunicazione della sentenza parziale e la
fissazione di un’udienza successiva al deposito della sentenza, entro la quale
formulare la riserva.
La pronuncia con cui gli arbitri rigettano un’eccezione d’incompetenza costituisce un lodo parziale di merito e, pertanto, ai sensi dell’art. 827, 3° comma, c.p.c.,
deve essere impugnata immediatamente.
CENNI DI FATTO. — Sorta una controversia fra una società cooperativa e un
professionista, questa viene devoluta alla cognizione di un collegio arbitrale. Con
un primo lodo depositato il 4 luglio 2002, gli arbitri statuiscono unicamente sulla
questione di competenza e dispongono la prosecuzione del giudizio. Con lodo
definitivo del 4 novembre 2003, dichiarato esecutivo in data 22 dicembre 2003, gli
arbitri condannano la società al pagamento di una somma di denaro in favore del
professionista.
Con atto di citazione notificato il 19 dicembre 2003, la società impugna per
nullità entrambe le decisioni arbitrali dinanzi alla Corte d’appello di Catania. Si
costituisce in giudizio il professionista, chiedendo il rigetto dell’impugnazione e
proponendo impugnazione incidentale. La Corte d’appello dichiara con sentenza
la nullità di entrambi i lodi. Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per
cassazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — Con il primo motivo di ricorso il ricorrente
deduce l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha affermato che il lodo
parziale doveva essere impugnato unitamente a quello definitivo.
Con il secondo ed il terzo motivo lamenta l’erroneità della sentenza laddove
ha ritenuto che, nel caso di specie, vi sarebbero stati due diversi contratti, mentre,
invece, si tratterebbe di un unico contratto stipulato nel 1982 e che questo non era
stato estinto per dar luogo ad un nuovo contratto.
Con il quarto motivo contesta la pronuncia sotto il profilo del vizio motivazionale laddove ha ritenuto l’inesistenza di un accordo compromissorio.
Con il quinto motivo deduce che non ricorrevano le condizioni per proporre
innanzi a questa Corte regolamento di competenza.
Il primo motivo è fondato.
Il lodo parziale in data 28.6.2002 ha deciso sulla « competenza » degli arbitri
a decidere della controversia ritenendo la sussistenza di una valida clausola
compromissoria.
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Tale decisione non è stata oggetto di immediata impugnazione, ma è stata
gravata successivamente insieme al lodo definitivo del 16.10.2003.
Il problema che si pone è se il lodo parziale doveva essere oggetto di
immediata impugnazione oppure no.
La Corte d’appello ha optato per tale seconda soluzione.
La decisione deve ritenersi erronea.
Va premesso che nel caso di specie deve applicarsi ratione temporis la
normativa in tema di arbitrato conseguente alle modifiche al codice di procedura
civile apportate dalla L. n. 25 del 1994, e che, secondo tale regime, il lodo parziale
è impugnabile soltanto unitamente al lodo definitivo, non essendo utilizzabile, nel
procedimento arbitrale, l’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione (Cass., 7
febbraio 2007, n. 2715; Id., 3 febbraio 2006, n. 2444), attesa la mancanza, nell’indicato procedimento, dei presupposti pratici funzionali all’applicabilità dell’istituto predetto, quali la comunicazione della sentenza parziale da parte della
cancelleria e la fissazione di un’udienza successiva al deposito di detta sentenza,
utile a segnare il termine finale per la formulazione della riserva. (Cass., 22
febbraio 2002, n. 2566).
Ciò premesso, va tuttavia rilevato che l’art. 827, comma 3, prevedeva, nel
vigore della normativa applicabile al caso di specie, (e prevede tuttora) che « il
lodo che decide parzialmente il merito della controversia è immediatamente impugnabile, ma il lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio
arbitrale è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo », e che in relazione a tale
norma questa Corte ha avuto modo di chiarire che « il termine « lodo parziale »
esige di essere interpretato in comparazione con il concetto di sentenza non
definitiva con riferimento all’art. 277 c.p.c., comma 2, art. 278 c.p.c. e art. 279 c.p.c.,
n. 4. Nel sistema del codice, sia le decisioni su questioni di giurisdizione o di
competenza, sia le decisioni su questioni pregiudiziali attinenti al processo o su
questioni preliminari di merito, sia le decisioni non esaurienti del merito, possono
costituire materia di sentenze non definitive, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n.
4, in relazione ai nn. 1, 2, 3 della stessa disposizione, e la stessa caratterizzazione
riveste la « condanna generica » di cui all’art. 278; tali sentenze, infatti, si qualificano
come sentenze « non definitive » suscettibili di impugnazione immediata o differita
ai sensi degli artt. 340 e 361 c.p.c. Nel procedimento arbitrale, nel quale la categoria
delle questioni incidentali assume una sua autonomia rispetto al merito in funzione
dell’esigenza della discriminazione tra le questioni suscettibili di decisione ad opera
degli arbitri e questioni sottratte ratione materiae alla cognizione degli arbitri,
l’impugnabilità immediata viene circoscritta, per volontà del legislatore della riforma, alle ipotesi di decisione non totale del merito, cioè alle ipotesi corrispondenti
alla previsione dell’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4: e di tale differenziazione
sembra costituire espressione formale il mancato riferimento da parte del legislatore
del 1994 alla nozione di non definitività » (Cass., 19 maggio 2000, n. 6522; v. anche
Id., 7 febbraio 2007, n. 2715).
A tale proposito si osserva in particolare che l’art. 279, comma 2, n. 4,
stabilisce che il collegio pronuncia sentenza quando, decidendo alcune delle
questioni di cui ai nn. 1 (decisioni di questioni di giurisdizione o di competenza),
2 (decisioni di questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari
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di merito) e 3 (merito), non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti
per l’istruzione della causa.
Nel caso di specie, dunque, al fine di valutare l’immediata impugnabilità o
meno del lodo parziale che ha escluso la nullità ovvero l’inesistenza della clausola
compromissoria, occorre valutare se questo rientra in una delle ipotesi previste
dall’art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c.
La risposta non può che essere positiva dovendosi ritenere che il lodo parziale
in esame, avendo riconosciuto il potere di decidere degli arbitri in virtù della
esistenza di una clausola compromissoria intercorsa tra le parti, ha deciso una
questione preliminare di merito ai sensi dell’art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c. in
riferimento alla ipotesi di cui allo stesso art. 279, comma 2, n. 2.
In questo senso la giurisprudenza di questa Corte, nel vigore della normativa
arbitrale conseguente alla riforma introdotta dalla L. n. 25 del 1994, applicabile al
caso di specie, aveva ritenuto pacifico il principio secondo cui, « gli arbitri, anche
nell’arbitrato rituale, non svolgono comunque una forma sostitutiva della giurisdizione né sono qualificabili come organi giurisdizionali dello Stato per cui la
questione relativa alla loro potestas iudicandi in ragione della esistenza di una
clausola compromissoria attiene al merito e non alla giurisdizione o alla competenza in quanto i rapporti tra giudici ed arbitri non si pongono sul piano della
ripartizione del potere giurisdizionale tra giudici, ed il valore della clausola compromissoria consiste proprio nella rinuncia alla giurisdizione ed all’azione giudiziaria; ne deriva che, ancorché formulata nei termini di decisione di accoglimento o
rigetto di un’eccezione d’incompetenza, la decisione con cui il giudice, in presenza
di un’eccezione di compromesso, risolvendo la questione così posta, chiude o non
chiude il processo davanti a sé va riguardata come decisione pronunziata su
questione preliminare di merito perché inerente alla validità o all’interpretazione del
compromesso o della clausola compromissoria » (Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n.
527; Id., 27 maggio 2005, n. 11315; Id., 28 luglio 2004, n. 14234; Id., 30 dicembre
2003, n. 19865; Id., Sez. Un., 3 ottobre 2002, n. 14223; Id., 21 novembre 2006, n.
24681).
Il motivo va pertanto accolto.
Sulla questione quindi della esistenza nel caso di specie di una clausola
arbitrale conferente agli arbitri la potestas iudicandi deve ritenersi formato il
giudicato.
Gli altri motivi restano assorbiti dovendo le questioni da essi poste essere
rivalutate, alla luce della decisione assunta dalla presente sentenza, dalla Corte
d’appello di Catania in sede di rinvio che, in diversa composizione, provvedere
anche a liquidare le spese del presente giudizio.
(Omissis).
Sull’impugnazione del lodo dichiarativo della competenza arbitrale.
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di cassazione si pronuncia sul regime d’impugnazione del lodo con il quale gli arbitri si siano
limitati a rigettare un’eccezione di difetto di potestas judicandi senza
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decidere il merito della lite (1). La vicenda sottoposta alla cognizione dei
giudici di legittimità trae origine da un procedimento arbitrale nel quale
gli arbitri, con un primo lodo del 4 luglio 2002, avevano rigettato l’eccezione d’incompetenza sollevata da una delle parti, disponendo la prosecuzione del giudizio. Contro tale pronuncia non era stata intrapresa alcuna
iniziativa (non sappiamo se, nel corso del procedimento, le parti avessero
formulato una riserva d’impugnazione); il procedimento arbitrale era
quindi proseguito con l’esame del merito della controversia ed era stato
poi definito con lodo del 22 dicembre 2003. Entrambe le decisioni erano
state impugnate dinanzi alla Corte d’appello di Catania, la quale ne aveva
dichiarato la nullità.
La sentenza veniva impugnata con ricorso per cassazione. Essa veniva
censurata nella parte in cui i giudici catanesi, ritenendo tempestiva l’iniziativa intrapresa nei confronti della prima decisione, avevano ammesso
l’impugnazione congiunta di entrambi i lodi. Al Supremo Collegio veniva
dunque richiesto di stabilire se il lodo con cui gli arbitri avevano risolto
positivamente la questione inerente alla loro competenza fosse o meno
suscettibile di impugnazione immediata.
Al quesito la Corte di cassazione dà una risposta positiva. Nella
propria motivazione, i giudici di legittimità affermano, nell’ordine, che: a)
il disposto dell’art. 827 c.p.c. rende inutilizzabile, nel procedimento arbitrale, l’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione; b) il lodo con cui
gli arbitri decidono una questione di merito deve essere qualificato come
lodo parziale; c) la questione relativa alla sussistenza della potestas judicandi arbitrale è questione sostanziale e pertanto il lodo che la decide deve
essere considerato come lodo parziale di merito.
Sulla scorta di tali argomentazioni, la Corte di cassazione accoglie il
ricorso, rilevando come il primo lodo dovesse essere impugnato immediatamente e non già insieme al lodo definitivo e, pertanto, che all’epoca in
cui era stata proposta l’impugnazione per nullità, la statuizione sulla
competenza arbitrale era ormai passata in giudicato.
2. Nel proprio iter argomentativo la Corte di cassazione muove da
una premessa, ossia la non configurabilità, nel procedimento apud arbitros, dell’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione (sub a). Sul
punto, la pronuncia si pone in continuità con l’orientamento giurispru(1) La pronuncia segue, di poche settimane, la sentenza n. 4790 del 26 marzo 2012
(consultabile in Juris data), con cui la stessa Sezione, chiamata a pronunciarsi sul medesimo
quesito, è pervenuta a una conclusione diametralmente opposta, qualificando il lodo dichiarativo della competenza arbitrale come un lodo non definitivo su questione inerente all’ammissibilità della domanda, impugnabile solo unitamente al lodo definitivo. Nel medesimo senso, più
recentemente, si è espressa anche la Corte d’appello di Roma, con la sentenza dell’11 aprile
2013, edita in questa Rivista, 2013, 963, con nota di MARINUCCI, Note sul contrasto fra lodo non
definitivo e lodo definitivo nel giudizio di impugnazione per nullità.
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denziale sviluppatosi all’indomani dell’intervento riformatore del 1994,
secondo il quale la distinzione operata dall’art. 827 c.p.c. (come novellato
dalla riforma) fra lodo parziale di merito e lodo non definitivo su questione avrebbe reso tale istituto inammissibile in sede arbitrale (2). Secondo questo orientamento, il lodo non definitivo su questione, non
essendo suscettibile di impugnazione immediata, sarebbe stato censurabile solo unitamente al lodo definitivo e senza la necessità di alcuna
riserva, mentre il lodo parziale di merito avrebbe dovuto ritenersi impugnabile immediatamente, essendo irrilevante la riserva d’impugnazione
eventualmente formulata nel corso del procedimento (3).
(2) Cass., 26 marzo 2012, n. 4790, cit.; Id., 3 febbraio 2006, n. 2444, in Rep. Giur. it., 2006,
voce « Arbitrato », n. 143; Id., 22 febbraio 2002, n. 2566, in questa Rivista, 2002, 691, con nota
di BOCCIOLETTI, Note sul divieto d’impugnazione immediata del lodo parziale.
Prima della legge n. 25 del 1994, la giurisprudenza, pur riconoscendo l’ammissibilità dei
lodi parziali su domande e dei lodi non definitivi su questioni, li riteneva entrambi impugnabili
solo unitamente alla pronuncia definitiva (Cass., Sez. Un., 2 maggio 1997, n. 3829, in Foro it.,
1997, I, 1751; Id., Sez. Un., 9 giugno 1986, n. 3835, in Foro it., 1986, I, 1525 con nota senza titolo
di BARONE; Id., 12 luglio 1979, n. 4020, in Giur. it., 1980, I, 1, 1695, con nota di LEVONI, La
controversa impugnabilità della sentenza arbitrale non definitiva). Tale orientamento era il
frutto, da un lato, del principio di indivisibilità del lodo, il cui addentellato normativo era
ravvisato nell’art. 830 c.p.c. (che, nella sua originaria formulazione, prevedeva che la Corte
d’appello, nell’accogliere l’impugnazione per nullità, dovesse dichiarare la « nullità del giudizio
e della sentenza »); dall’altro, della convinzione che l’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione, introdotto con la riforma del 1950, non trovasse applicazione in sede arbitrale.
L’unica eccezione a questa regola era rappresentata dall’ipotesi in cui oggetto d’arbitrato
fossero più controversie relative a rapporti giuridici distinti e autonomi, le cui decisioni,
proprio in quanto definitive, dovevano ritenersi immediatamente impugnabili (Id., 28 giugno
1994, n. 6206, in Giust. civ., 1995, I, 462). In questo contesto si inserì la novella del 1994, con cui
il legislatore, dopo aver infranto il dogma dell’indivisibilità del lodo, introdusse, all’art. 827
c.p.c., la distinzione fra « lodo che decide parzialmente il merito », immediatamente impugnabile, e « lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale »,
impugnabile solo unitamente al lodo definitivo, prevedendo, all’art. 820 c.p.c., la possibilità
per gli arbitri che avessero pronunciato un « lodo non definitivo » di prorogare, per una sola
volta e per non più di centottanta giorni, il termine per la decisione finale. Sull’argomento
CIPRIANI, Sentenze non definitive e diritto di impugnare (a proposito dell’art. 827 c.p.c.), in
questa Rivista, 1999, 225 ss. e RUFFINI, La divisibilità del giudizio arbitrale, ibid., 431 ss.; più
recentemente, v. i contributi di DALFINO, Lodi non definitivi su questioni preliminari di merito,
in AA. VV., Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 303 ss. e di RUFFINI,
BOCCAGNA, Sub art. 827 c.p.c., in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale ed
internazionale, a cura di Massimo V. BENEDETTELLI, Claudio CONSOLO e Luca RADICATI DI
BROZOLO, Padova, 2010, 321 ss.
(3) PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2000, 166 e 168; RUFFINI, op. ult.
cit., 440; MONTESANO, Sui lodi parziali di merito, in questa Rivista, 1994, 252; TARZIA, Sub art. 19
l. 5 gennaio 1994, n. 25, in Legge 5 gennaio 1994, n. 25, a cura di Giuseppe TARZIA, Riccardo
LUZZATTO ed Edoardo Flavio RICCI, Padova, 1995, 156. In senso contrario, per l’ammissibilità del
differimento dell’impugnazione anche rispetto ai lodi parziali di merito non definitivi, v.
FAZZALARI, La riforma dell’arbitrato, in questa Rivista, 1994, 10; ID., Sub art. 827 c.p.c., in La
nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Antonio BRIGUGLIO, Elio FAZZALARI e Roberto MARENGO, Milano, 1994, 194 e 195; LUISO, Le impugnazioni del lodo dopo la riforma, in questa
Rivista, 1995, 20. Di opinione ancora diversa CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi non
definitivi della nuova disciplina dell’arbitrato, ibid., 41, 42 e 56, secondo il quale l’art. 827 c.p.c.
si sarebbe limitato a prevedere come meramente facoltativa la proposizione dell’impugnazione
immediata avverso tali lodi, garantendo la possibilità di procrastinare la loro l’impugnazione
senza la necessità di formulare alcuna riserva; così pure LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e
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Con il provvedimento in esame, la Corte conferma l’orientamento in
parola, individuandone il fondamento nella mancanza, nel procedimento
arbitrale, « dei presupposti pratici funzionali all’applicabilità dell’istituto
predetto (quello della riserva, n.d.r.), quali la comunicazione della sentenza
parziale da parte della cancelleria e la fissazione di un’udienza successiva al
deposito di detta sentenza, utile a segnare il termine finale per la formulazione della riserva » (4). Invero, tale affermazione non appare pienamente
condivisibile, dal momento che, più che da ostacoli di carattere pratico (5),
l’applicazione dell’istituto della riserva d’impugnazione sembra impedita
dalla regola in forza della quale tutti i provvedimenti giurisdizionali sono
immediatamente impugnabili; regola a cui, in virtù del disposto degli artt.
340 e 361 c.p.c., si sottraggono soltanto l’appello e il ricorso per cassazione (6).
Tale orientamento sembra destinato a trovare una conferma anche
nell’attuale contesto normativo. Il legislatore del 2006 si è infatti astenuto
dall’intervenire sul terzo comma dell’art. 827 c.p.c. e anzi ha inserito una
norma di tenore analogo nella disciplina del ricorso per cassazione (7).
Pertanto, in assenza di una disposizione di segno opposto, l’alternativa
l’esperienza, Milano, 1999, 153. Recentemente, questi rilievi sono stati ripresi da VERDE,
Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 3ª ed., Torino, 2010, 187 e 188, secondo il quale, contrariamente all’intenzione del legislatore, la formulazione dell’art. 827 c.p.c. parrebbe esprimere una
mera facoltà e non un obbligo. In senso contrario v. però CIPRIANI, op. ult. cit., 240, il quale rileva
che, in caso di cumulo oggettivo di domande o di litisconsorzio facoltativo, la domanda sulla
quale sia pronunciato un lodo parziale è una domanda che, se proposta autonomamente in un
giudizio ad hoc, sarebbe decisa con un lodo definitivo immediatamente impugnabile, sicché non
sarebbe corretto consentire alla parte soccombente di sfruttare la presenza di altre domande per
posticipare l’impugnazione.
(4) In tal senso Cass., 26 marzo 2012, n. 4790, cit.; Id., 28 agosto 1995, n. 9028, in Rep.
Giur. it., 1995, voce « Arbitrato », n. 147 e Id., Sez. Un., 9 giugno 1986, n. 3835, cit., 1525.
(5) I quali non sembrano insormontabili, essendo sufficiente — in ipotesi — che in
seguito alla comunicazione del lodo ed entro il termine d’impugnazione (breve o lungo, a
seconda che la decisione sia notificata) la parte soccombente porti a conoscenza dell’altra, con
ogni mezzo idoneo, la propria volontà di differire l’impugnazione del lodo; cfr. FAZZALARI, op.
loc. ult. cit. e LUISO, op. ult. cit., 22. Critico sul punto è VERDE, op. loc. ult. cit., ad avviso del quale
ciò si tradurrebbe nell’imposizione di un onere (e in una conseguente decadenza) non previsto
dalla legge.
(6) Cfr. Cass., 22 febbraio 2002, n. 2566, cit.; in dottrina, CIPRIANI, op. loc. ult. cit. In
assenza di una previsione di tenore identico a quelle contenute nelle norme di cui al testo,
l’applicazione analogica di queste ultime all’arbitrato avrebbe potuto giustificarsi solo assimilando l’impugnazione per nullità a uno dei due mezzi d’impugnazione (PUNZI, op. ult. cit., 167);
soluzione, questa, difficilmente percorribile nel contesto successivo alla novella del 1994, nel
quale il giudizio d’impugnazione del lodo era considerato come un giudizio in unico grado
avente ad oggetto la validità di un atto negoziale (Id., 1 luglio 2004, n. 12031, in Giust. civ., 2005,
I, 2098; in dottrina, TARZIA, op. loc. ult. cit.).
(7) L’art. 360, 3º comma, c.p.c. (introdotto ex novo dal d.lgs. n. 40 del 2006) esclude
infatti l’immediata ricorribilità per cassazione delle « sentenze che decidono di questioni insorte
senza definire, neppure parzialmente il giudizio », prevedendo che « il ricorso per cassazione
avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la
sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio »; sul punto BOCCAGNA, Sub art. 827 c.p.c.,
in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Sergio MENCHINI, Padova, 2010, 452.
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continua ad essere fra il lodo non definitivo su questione, la cui impugnazione è automaticamente differita (8), e il lodo parziale di merito, la cui
immediata impugnazione non ammette riserve (9).
3. Compiuta tale premessa, la Corte si sofferma poi sulla nozione di
« lodo che decide parzialmente il merito della controversia » (sub b).
Nel contesto successivo alla novella del 1994, tale nozione, al pari di
quella di « lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il
giudizio arbitrale », va individuata sulla base del combinato disposto
dell’art. 827, 3º comma, c.p.c. e dell’art. 816, ult. comma, c.p.c. (applicabile
ratione temporis), a mente del quale, fatta eccezione per l’ipotesi di cui
all’art. 819 c.p.c., « su tutte le questioni » che si fossero presentate « nel
corso del procedimento » gli arbitri avrebbero dovuto provvedere « con
ordinanza non soggetta a deposito e revocabile ».
Per la quasi totalità degli interpreti, il disposto dell’art. 827 c.p.c.
confermava la distinzione fra i provvedimenti di carattere istruttorio o
ordinatorio, i quali avrebbero dovuto essere resi con l’ordinanza revocabile di cui all’art. 816 c.p.c., e i provvedimenti resi su domande, su
questioni pregiudiziali di rito e su questioni preliminari di merito (cioè
quei provvedimenti con cui fossero state decise questioni idonee, anche
astrattamente, a definire il giudizio, fra i quali rientrava la pronuncia
sull’eccezione d’incompetenza (10)), i quali avrebbero richiesto inderogabilmente la forma del lodo (11). E alla distinzione operata dal terzo
(8) Fermo restando che, nell’ipotesi in cui al lodo su questione faccia seguito un lodo
parziale non definitivo, la prima pronuncia deve essere necessariamente impugnata unitamente
alla seconda; cfr. CALIFANO, Le vicende del lodo: impugnazione e correzione, in Diritto dell’arbitrato, a cura di Giovanni Verde, Torino, 2005, 480 e 481 e, più recentemente, PUNZI, Disegno
sistematico dell’arbitrato, II, 2ª ed., Padova, 2012, 504.
(9) PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012, 503; ID., Il processo civile. Sistema e
problematiche, III, 2ª ed., Torino, 2010, 224; CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi,
3ª ed., Padova, 2012, 526; COMOGLIO, Lodo parziale e lodo non definitivo dopo l’ultima riforma,
in Riv. dir. proc., 2009, 610 ss. e 615 e, sia pur dubitativamente, VERDE, op. loc. ult. cit. Per
l’applicazione dell’istituto della riserva d’impugnazione v. invece ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub
art. 827 c.p.c., in Arbitrato. Titolo VIII libro IV codice di procedura civile - artt. 806 - 840, a cura
di Federico CARPI, 2ª ed., Bologna 2007, 667 ss. Ora, non v’è dubbio che l’ultima riforma abbia
apportato un contributo non secondario al processo di « giurisdizionalizzazione » dell’arbitrato
rituale; tuttavia, anche nel novellato contesto normativo sembra difficile assimilare pienamente
l’impugnazione per nullità del lodo all’appello o al ricorso per cassazione. Del resto, a fronte del
dibattito dottrinale sull’argomento (cfr. nota 3), il legislatore del 2006 avrebbe ben potuto
intervenire sulla materia ed estendere l’istituto della riserva d’impugnazione al giudizio arbitrale; il fatto che egli abbia lasciato inalterato l’art. 827 c.p.c. è un dato che non può essere
trascurato.
(10) Cfr. ACONE, Arbitrato e competenza, in questa Rivista, 1996, 243; SCHIZZEROTTO,
Dell’arbitrato, 3ª ed., Milano, 1988, 544; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3ª
ed., Napoli, 1964, 835. Per il carattere decisorio del provvedimento reso su tale eccezione v. la
risalente Cass., Sez. Un., 19 luglio 1957, n. 3050, in Giust. civ., 1957, I, 1460, in motivazione.
(11) PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 71; TARZIA, op. ult. cit., 155; RUFFINI, op. ult.
cit., 439. Secondo CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi, cit., 39, la riprova di tale
distinzione sarebbe stata rinvenibile nella diversità di formulazione fra gli artt. 816 e 827 c.p.c.:
139
comma dell’art. 827 c.p.c. fra lodo parziale di merito e lodo non definitivo
su questione sarebbe corrisposta la distinzione fra domanda e questione,
nel senso che la prima qualifica avrebbe dovuto essere riferita ai lodi con
cui gli arbitri avessero deciso una o più domande o uno o più capi di
domanda (dunque a lodi attributivi di un bene della vita, produttivi di
effetti giuridici nella sfera giuridica dei litiganti e idonei ad essere portati
in esecuzione nei confronti della parte soccombente (12)), mentre la
seconda sarebbe stata attribuibile alle pronunce con cui gli arbitri
avessero risolto in senso non ostativo alla prosecuzione del giudizio una o
più questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito (ossia a lodi la
cui emanazione, pur non esaurendo il potere decisorio degli arbitri
rispetto alla controversia, avrebbe loro impedito loro di « ripensare »
quanto deciso (13)) (14). Nella nozione di lodo parziale di merito sarebbero quindi ricadute le pronunce rese ai sensi degli artt. 277, 2º comma e
la prima norma, nel riferirsi alle questioni postesi nel corso « del procedimento », conteneva,
infatti, un implicito riferimento alla fase istruttoria, mentre la seconda, nel prevedere la forma
del lodo in relazione alle questioni insorte « nel giudizio arbitrale », presupponeva il passaggio
alla fase di decisione. Così anche ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato.
Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile - artt. 806 - 840, a cura di
Federico CARPI, Bologna, 2001, 538 e RASCIO, La decisione, in Diritto dell’arbitrato a cura di
Giovanni VERDE, Torino, 2005, 403, 404 e 405, secondo il quale la non fungibilità fra ordinanza
e lodo non definitivo sarebbe stata suffragata dal tenore dello stesso art. 816 c.p.c., che, vietando
il ricorso all’ordinanza per le questioni pregiudiziali non compromettibili, escludeva tale forma
proprio con riferimento a questioni idonee, per eccellenza, a definire il giudizio. Tale circostanza, secondo l’A., avrebbe circoscritto l’ambito di applicazione delle ordinanze ex art. 816
c.p.c. alle sole questioni che non fossero state idonee, neppure astrattamente, a chiudere il
procedimento. Sul punto anche CIPRIANI, op. ult. cit., 248 e 249. In senso difforme v. però LA
CHINA, op. ult. cit., 140 e 141, per il quale il grado di stabilità della decisione conseguente
all’adozione del lodo o dell’ordinanza sarebbe dipeso unicamente della volontà degli arbitri
(cioè da una loro valutazione di opportunità) e non già dal tipo di questione risolta, nonché
CAVALLINI, Questioni preliminari di merito e lodo non definitivo nelle riforma dell’arbitrato, in
Riv. dir. proc., 1995, 1151, per il quale sarebbe stata invece determinante la volontà delle parti,
nel senso che gli arbitri avrebbero dovuto risolvere ogni questione adottando la forma
dell’ordinanza revocabile, salvo che le parti non li avessero autorizzati, ai sensi dell’art. 816, 2º
comma, c.p.c., a decidere con lodo interlocutorio.
(12) LUISO, op. ult. cit., 20; CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi, cit., 41; ID., Le
vicende del lodo: impugnazione e correzione, cit., 468; RASCIO, op. ult. cit., 401.
(13) Tali lodi sono infatti vincolanti nella prosieguo del giudizio arbitrale, nel senso che
con il lodo parziale o il lodo definitivo che vengano resi successivamente gli arbitri non possono
disattendere la loro precedente statuizione; cfr. LUISO, op. ult. cit., 13; ID., Intorno agli effetti dei
lodi non definitivi o parzialmente definitivi (nota ad Arbitro unico Vercelli, 20 febbraio 1997), in
questa Rivista, 1998, 594; CAVALLINI, op. ult. cit., 1159 e, da ultimo, DALFINO, op. ult. cit., 318.
Inoltre, laddove essi non siano impugnati unitamente alla pronuncia definitiva (o laddove
l’impugnazione venga rigettata), il giudice, quand’anche pronunci la nullità del lodo definitivo
per vizi suoi propri, non potrebbe compiere un nuovo esame delle questioni decise con la
pronuncia non definitiva, la cui efficacia conformativa rimane estesa anche all’eventuale fase
rescissoria; cfr. RUFFINI, op. ult. cit., 443 e, più recentemente, ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art.
827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 670.
(14) FAZZALARI, op. loc. ult. cit.; PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 72; LUISO, Le
impugnazioni del lodo, cit., 18; CIPRIANI, op. ult. cit., 239; RUFFINI, op. ult. cit., 437; RASCIO, op.
ult. cit., 402; CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi, cit., 40; ID., Le vicende del lodo:
impugnazione e correzione, cit., 468.
140
279, 2º comma, n. 5, c.p.c. (15), mentre nella nozione di lodo non definitivo
su questioni quelle riconducibili all’art. 279, 2º comma, n. 4, c.p.c. (16).
Nel provvedimento che qui si annota, la Corte di cassazione si
discosta da tale orientamento. Richiamandosi ad alcuni propri precedenti,
il Supremo Collegio afferma, infatti, che « nel procedimento arbitrale ...
l’impugnabilità immediata viene circoscritta, per volontà del legislatore
della riforma, alle ipotesi di decisione non totale del merito, cioè alle ipotesi
corrispondenti alla previsione dell’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4 ».
Nella nozione di lodo parziale di merito vengono quindi ricondotte non
solo le pronunce rese ai sensi degli artt. 277, 2º comma e 279, 2º comma,
n. 5, c.p.c. (ossia le decisioni su domande oggettivamente o soggettivamente connesse), ma anche le decisioni rese ai sensi dell’art. 279, 2º
comma, n. 4, c.p.c., più precisamente quelle aventi ad oggetto « questioni
preliminari di merito » di cui all’art. 279, 2º comma, n. 2, c.p.c.; decisioni
che, se rese in sede ordinaria, sarebbero sottoposte al regime delle
pronunce non definitive (17). Tale conclusione appare come il portato
della formulazione dell’art. 827 c.p.c., che, nel riferirsi alle decisioni
parziali di merito, sembrerebbe non consentire alcuna distinzione fra lodo
su domanda e lodo su questione.
La decisione in commento evidenzia una sensibile differenza rispetto
alla disciplina del processo ordinario, nella quale il regime dell’impugnazione della sentenza non definitiva prescinde dal suo contenuto (18);
(15) E ciò indipendentemente dal provvedimento di liquidazione delle spese e di separazione del giudizio che gli arbitri avessero emesso contestualmente alla decisione: nessuna
distinzione sarebbe stata infatti configurabile fra lodi parziali non definitivi e lodi parziali
definitivi; cfr. PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 73 e 74; MONTESANO, op. ult. cit., 249 e,
dopo l’ultima riforma, ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 660 e
661. Ai fini dell’impugnazione, il lodo parziale di merito non sarebbe stato diverso, quindi, dal
lodo con cui gli arbitri avessero deciso una o più domande non connesse fra loro benché
rientranti nella medesima convezione arbitrale, il quale è di norma considerato come pronuncia
definitiva (Cass., 18 aprile 2000, n. 4992, in Rep. Giur. it., 2000, voce « Arbitrato », n. 166). Ciò
contrariamente a quanto accade in sede ordinaria, dove le sentenze parziali vengono qualificate
come definitive o non definitive a seconda che il giudice disponga la separazione delle cause e
provveda alla liquidazione delle spese; cfr. Id., Sez. Un., 1 marzo 1990, n. 1577, in Foro it., 1990,
I, 836. Sul punto v. COMOGLIO, op. ult. cit., 607 e 608.
(16) PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 74; LUISO, Le impugnazioni del lodo, cit., 18;
CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi, cit., 40 e 41; RASCIO, op. loc. ult. cit.
(17) Ad esempio, il lodo con cui gli arbitri rigettino un’eccezione di prescrizione. In
giurisprudenza v. Cass., 7 febbraio 2007, n. 2715, in questa Rivista, 2007, 581, con nota di
OCCHIPINTI, La cassazione conferma i propri orientamenti in tema di impugnazione del lodo per
nullità e Id., 16 maggio 2000, n. 6522, in Giur. it., 2001, 254. In dottrina, sia pur limitatamente
alle eccezioni di merito in senso proprio, la tesi è sostenuta da MONTESANO, op. ult. cit., 250 e
253, da TARZIA, op. loc. ult. cit. e da LA CHINA, op. loc. ult. cit. Contra v. gli autori citati alla nota
14 e, in particolare, RASCIO, op. loc. ult. cit., per il quale il tenore letterale dell’art. 827 c.p.c. non
legittimerebbe alcuna distinzione fra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato, posto
che entrambi i tipi di eccezione danno origine a questioni astrattamente idonee a definire il
giudizio.
(18) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 656. Come
ricordato poc’anzi (cfr. nota 15), nel giudizio ordinario il regime d’impugnazione delle decisioni
141
differenza le cui ragioni dovrebbero ricercarsi, ad avviso della Corte, nel
« mancato riferimento da parte del legislatore del 1994 alla nozione di non
definitività » (19).
Pur nella sua (apparentemente maggiore) aderenza al dettato normativo (20), essa non presenta alcuna utilità: essa non risponde alla necessità
di salvaguardare la posizione della parte soccombente sulla questione
preliminare dal momento che, contrariamente al caso del lodo su domanda, non vi è alcun rischio che la decisione venga messa in esecuzione (21); inoltre, essa paga un prezzo molto alto in termini di economia
processuale, posto che, stante l’inammissibilità della riserva d’impugnazione, ogni decisione su questione preliminare di merito deve essere
impugnata immediatamente, a prescindere da una concreta soccombenza
della parte che tale questione abbia sollevato (22).
Si è già detto che la formulazione dell’art. 827 c.p.c. è rimasta
inalterata anche dopo l’ultimo intervento riformatore (23); è però mutata
la disciplina delle ordinanze, prima contenuta all’art. 816 c.p.c. e oggi
trasfusa nell’ultimo comma del nuovo art. 816 bis c.p.c. Il legislatore del
2006 ha infatti modificato la vecchia disposizione, prevedendo che su tutte
le questioni che si presentano nel corso del procedimento gli arbitri
provvedono con ordinanza revocabile non soggetta a deposito « se non
ritengono di provvedere con lodo non definitivo ». Il tenore della norma
sembrerebbe rimettere agli arbitri ogni valutazione in ordine all’opportunità di adottare la forma del lodo piuttosto che quella dell’ordinanza; per
la dottrina maggioritaria, con questa disposizione il legislatore avrebbe
infatti sancito la piena fungibilità di queste due forme rispetto alle decisioni sulle questioni pregiudiziali di rito e sulle preliminari di merito (24).
parziali dipende dal provvedimento di separazione delle cause e di liquidazione delle spese;
circostanza, questa, che è invece irrilevante in sede arbitrale.
(19) In tal senso già Cass., 7 febbraio 2007, n. 2715, cit.
(20) Secondo LUISO, L’oggetto del processo arbitrale, in questa Rivista, 1996, 677 e
RUFFINI, op. ult. cit., 443, imponendo l’immediata impugnazione del lodo su questione preliminare di merito, si finisce però per costringere la Corte d’appello a « cimentarsi » su di una
controversia che, proprio per la sua natura, in sede giurisdizionale non potrebbe essere dedotta
in via autonoma.
(21) LUISO, Le impugnazioni del lodo, cit., 19 e RASCIO, op. loc. ult. cit.
(22) PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 75; così pure RUFFINI, op. ult. cit., 437, nt. 21.
Sul punto v. anche MONTESANO, op. ult. cit., 253.
(23) Il che ha indotto gli interpreti a confermare il proprio pregresso orientamento in
ordine alla distinzione fra lodo parziale di merito e lodo non definitivo su questioni (v. nota 14);
cfr. PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012, 387 e ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c.,
in Arbitrato, cit., 2007, 659 e 662; più recentemente MARINUCCI, Note sul contrasto, cit., 970.
(24) Cfr. PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012, 386; ID., Il processo civile, cit., 212;
VERDE, op. ult. cit., 148; LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, 4º ed., Milano, 2011, 232;
ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 658; BOCCAGNA, op. ult. cit.,
452 e 453; GHIRGA, Sub art. 816 bis c.p.c., in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Sergio
MENCHINI, Padova, 2010, 212, secondo la quale la discrezionalità degli arbitri troverebbe
comunque un limite nella regolamentazione imposta dalle parti ai sensi del medesimo art. 816
bis c.p.c.
142
Non mancano, tuttavia, coloro i quali, anche dopo la riforma, continuano
a ritenere che la scelta fra lodo e ordinanza dipenda dalla natura della
questione decisa e che, pertanto, tutte le questioni astrattamente idonee a
definire il giudizio vadano decise con la forma del lodo (25).
Stante all’ampia nozione di lodo parziale adottata dalla Corte di
cassazione, è di tutta evidenza che l’opzione per l’una o per l’altra
interpretazione rileva non solo sotto il profilo dell’impugnazione del
provvedimento (26), ma anche sotto il profilo della sua stabilità nel prosieguo del giudizio (27).
(25) COMOGLIO, op. ult. cit., 609, per il quale anche nel novellato contesto l’ordinanza
conserverebbe natura di provvedimento ordinatorio, e G.F. RICCI, Sub art. 816 bis c.p.c., in
Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile - artt. 806 - 840, a
cura di Federico CARPI, Bologna, 2007, 405 ss., secondo cui la forma dell’ordinanza revocabile
mal si concilierebbe con la risoluzione di questioni « di per sé idonee a chiudere il giudizio e
quindi destinate ad una stabilità ». In senso conforme anche DALFINO, op. ult. cit., 315 e 316, ad
avviso del quale contro la tesi maggioritaria militerebbe il combinato disposto del nuovo art. 816
bis c.p.c. e dell’art. 827 c.p.c., la cui formulazione è rimasta invariata. Secondo l’A., con l’inciso
« se non ritengono di provvedere con lodo non definitivo » il legislatore non avrebbe fatto altro
che sancire il potere degli arbitri di scegliere se risolvere immediatamente la questione (di rito
o di merito) con lodo non definitivo oppure rinviarne la decisione insieme al lodo definitivo (ma
per la sussistenza di un simile potere anche prima della riforma v. LUISO, Intorno agli effetti dei
lodi non definitivi, cit., 595 ss.), con la conseguenza che, una volta optato per la prima
alternativa, nessuna discrezionalità residuerebbe in capo agli arbitri, i quali sarebbero vincolati
all’emanazione di un lodo non definitivo; così anche TOTA, Sub art. 816 bis c.p.c., in Commentario alle riforma del processo civile, a cura di Antonio BRIGUGLIO e Bruno CAPPONI, III, 2º tomo,
Padova, 2009, 707 ss. Critico in proposito PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012, 387, secondo
il quale la formulazione dell’art. 816 bis, ult. comma, c.p.c. non lascerebbe spazio a interpretazioni di segno diverso.
(26) Sia pur limitatamente a quello reso su questioni preliminari di merito, essendo il
lodo non definitivo su pregiudiziali di rito impugnabile solo unitamente al lodo definitivo.
Peraltro, come rileva BOCCAGNA, op. loc. ult. cit., laddove si opti per la piena fungibilità fra lodo
e ordinanza, sarebbe necessario stabilire se il lodo sia scomponibile in tante parti quante sono
le questioni esaminate dagli arbitri; ciò al fine di capire se, onde evitare il passaggio in giudicato
di tutta la decisione, la parte soccombente sia comunque onerata dall’impugnare ogni singola
pronuncia su questione, anche se resa con ordinanza (in tal senso RUFFINI, op. ult. cit., 443 e 444),
oppure se la minima unità strutturale in grado di dar vita ad un autonomo potere (e quindi ad
un onere) d’impugnazione sia sempre e solo il lodo (CONSOLO, op. ult. cit., 540). In tal caso,
infatti, la Corte d’appello potrebbe riesaminare le questioni tutte le volte in cui esse siano decise
con semplice ordinanza, essendo il riesame precluso solo laddove su di esse sia pronunciato un
lodo e questo non sia impugnato.
(27) Come rilevato da autorevole dottrina (PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012,
504), il legislatore dell’ultima riforma ha mancato di regolare la sorte del lodo non definitivo su
questione nel caso in cui il procedimento arbitrale non giunga a una pronuncia definitiva o
parziale. Secondo un orientamento consolidato, i lodi non definitivi su questioni sarebbero
incapaci di sopravvivere all’“estinzione” del giudizio arbitrale, essendo sforniti di quell’efficacia
panprocessuale che tradizionalmente è attribuita alle sentenze su questioni; ciò in ragione
dell’impossibilità di esperire contro di essi l’impugnazione immediata e dell’assenza di norme
eccezionali quali gli artt. 310 c.p.c. e 129 disp. att. c.p.c. (in argomento v. MONTESANO, op. ult.
cit., 251 e CAVALLINI, op. ult. cit., 1157 ss. e 1159). Ora, se si dovesse dare continuità a tale
orientamento (cfr. ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 670), la
scelta fra la forma del lodo e quella dell’ordinanza esplicherebbe i propri effetti esclusivamente
in ambito endoprocedimentale, rilevando solo ai fini della (im)possibilità per gli arbitri di
ritornare sulla questione già decisa. Se invece si accedesse all’opinione, prospettata all’indomani della recente riforma, secondo la quale il lodo non definitivo avrebbe gli stessi effetti
143
4. Precisata la nozione di lodo parziale di merito, i giudici di
legittimità si domandano se la pronuncia con cui gli arbitri abbiano deciso
solo l’eccezione d’incompetenza possa rientrare nella previsione di cui
all’art. 279, 2º comma, n. 4, c.p.c. (sub c). La risposta al quesito non può
che essere positiva, dal momento che — afferma il Supremo Collegio —
la questione inerente alla sussistenza della potestas judicandi arbitrale
deve essere qualificata come questione preliminare di merito. Tale
affermazione è frutto dell’orientamento consolidatosi in seguito alla
riforma del 1994, allorquando la Corte di cassazione, dopo aver a lungo
considerato l’eccezione in parola come eccezione di natura processuale (28), attribuì all’istituto arbitrale un carattere tout court negoziale e
prese a considerare l’exceptio compromissi come eccezione di natura
sostanziale (29). Indipendentemente dalla condivisibilità di questo assunto (30), è evidente che se la questione di « competenza » integra in
realtà una questione preliminare di merito (31), allora anche il lodo che la
decide deve essere considerato a tutti gli effetti come un lodo di merito e
— stante l’ampia nozione di lodo parziale adottata dalla Corte — esso
deve ritenersi impugnabile immediatamente ai sensi dell’art. 827, 3º
conformativi previsti per le sentenze non definitive (in tal senso DALFINO, op. ult. cit., 321), la
scelta fra la forma del lodo e quella dell’ordinanza sarebbe chiaramente foriera di ben più
rilevanti conseguenze.
(28) Riconducendo i rapporti fra arbitrato e processo ordinario alla categoria della
competenza; cfr. Cass., 15 settembre 2000, n. 12175, in Giur. it., 2001, I, 1, 2035, con nota di
NELA, Arbitrato rituale e regolamento necessario di competenza; Id., 8 febbraio 1999, n. 1079, in
Foro it., 2000, I, 2308, con nota di DE SANTIS, In tema di rapporti tra giudice ordinario e arbitri;
Id., 23 gennaio 1990, n. 354, in questa Rivista, 1991, 79, con nota di MIRABELLI, Regolamento o
ricorso per cassazione per incompetenza dell’arbitro; Id., 27 luglio 1957, n. 3167, in Riv. dir. proc.,
1958, 244, con nota di COLESANTI, Cognizione sulla validità del compromesso in arbitri; Id., Sez.
Un., 9 maggio 1956, n. 1505, in Foro it., 1956, I, 847, con nota di ANDRIOLI, Procedura arbitrale
e regolamento di giurisdizione.
(29) Aderendo così alla tesi sostenuta da una parte della dottrina (per tutti PUNZI,
Disegno sistematico, cit., II, 2000, 142). In tal senso Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n. 527, in
questa Rivista, 2000, 699, con nota di FAZZALARI, Una svolta attesa in ordine alla « natura »
dell’arbitrato rituale; in Riv. dir. proc., 2001, 254, con nota di E.F. RICCI, La « natura »
dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlano le Sezioni Unite. Nello stesso senso v. le
successive Id., Sez. Un., 5 dicembre 2000, n. 1251, in Corr. giur., 2001, 1448, con nota di CONSOLO
e MURONI, L’eccezione di arbitrato rituale come eccezione « di merito » e la supposta inammissibilità del regolamento di competenza; Id., 1 febbraio 2001, n. 1403, in Giur. it., 2001, I, 1, 2035,
con nota di NELA, Arbitrato rituale, cit.; Id., Sez. Un., 25 giugno 2002, n. 9289, in questa Rivista,
2002, 511, con nota di BRIGUGLIO, Le Sezioni Unite ed il regime della eccezione fondata su
accordo compromissorio e in Giust. civ., 2003, 717, con nota di PUNZI, Natura dell’arbitrato e
regolamento di competenza e, infine, Id., 5 gennaio 2007, n. 35, in Riv. dir. proc., 2007, 1293, con
nota di E. F. RICCI, La Cassazione si pronuncia ancora sulla convenzione di arbitrato rituale: tra
l’attaccamento a vecchi schemi e qualche incertezza concettuale.
(30) Sul punto, si vedano gli scritti di E.F. RICCI, fra cui La « natura » dell’arbitrato rituale
e del relativo lodo, cit., 259 ss.; La never ending story della natura negoziale del lodo: ora la
Cassazione risponde alle critiche, in Riv. dir. proc., 2003, 557 ss.; La Cassazione si pronuncia
ancora sulla convezione di arbitrato rituale, cit., 1294 ss.
(31) In questi termini Cass., 21 novembre 2006, n. 24681, in Rep. Giur. it., 2006, voce
« Arbitrato », n. 88 e Id., 28 luglio 2004, n. 14234, in Mass. Giur. it., 2004, 1118 e 1119, entrambe
citate nella motivazione.
144
comma, c.p.c. (32). Donde la tardività, nel caso di specie, dell’impugnazione proposta nei confronti del primo lodo ed il conseguente passaggio
in « giudicato » della decisione resa sull’eccezione d’incompetenza.
Su questo punto, non possiamo non dare evidenza di quanto statuito
dalla sentenza n. 4790 del 26 marzo 2012, con cui la stessa Sezione,
qualificando la questione inerente alla sussistenza della potestas judicandi
arbitrale come questione pregiudiziale attinente all’ammissibilità della
domanda, ha opinato nel senso della impugnabilità del lodo dichiarativo
della competenza arbitrale solo unitamente al lodo definitivo (33). A fronte
(32) Nel medesimo senso, sia pur con riferimento ad una vicenda parzialmente diversa,
App. Milano, 9 giugno 1998, in questa Rivista, 2000, con nota di DANOVI, Lodi non definitivi e
limiti soggettivi di efficacia del patto compromissorio. Non sembra, invece invocabile Cass., Sez.
Un., 19 luglio 1957, n. 2050, cit., 1460, con cui i giudici di legittimità avevano ritenuto
suscettibile di impugnazione immediata il lodo con cui gli arbitri si erano dichiarati competenti
a conoscere della domanda proposta in via principale, disponendo la sospensione del procedimento a fronte di un’eccezione di nullità di un brevetto. Tale ultimo precedente risulta infatti
emesso all’indomani della novella del 1950, in un momento in cui parte della dottrina e della
giurisprudenza di merito avevano ritenuto che, di fronte all’intervento riformatore, la regola
dell’impugnabilità immediata delle sentenze dovesse trovare applicazione anche in sede
arbitrale. Come noto, tale orientamento è stato poi sconfessato dalla Corte di cassazione nelle
celebre sentenza n. 4020 del 12 luglio 1979, con cui la Corte, argomentando sulla base
dell’inapplicabilità all’arbitrato degli artt. 340 e 361 c.p.c., confermò l’operatività in sede
arbitrale del principio di concentrazione delle impugnazioni e dunque l’inammissibilità dell’impugnazione immediata nei confronti dei lodi parziali; cfr. Id., 12 luglio 1979, n. 4020, cit., 1707
e 1708.
(33) Cass., 26 marzo 2012, n. 4790, cit. La fattispecie era pressoché identica a quella
decisa nel provvedimento in esame. Anche in questo caso, infatti, il collegio arbitrale aveva reso
un primo lodo con cui si era dichiarato regolarmente costituito nonché competente a conoscere
la controversia, al quale era seguita la decisione sul merito della lite ed entrambe le decisioni
erano state impugnate congiuntamente dinanzi alla Corte d’appello. Va tuttavia precisato che,
dall’esame della motivazione, non è chiaro se la conclusione cui pervengono i giudici di
legittimità sia il frutto della natura processuale attribuita alla questione di competenza, piuttosto
che di una rimeditazione della nozione di lodo su questione e di lodo parziale (su cui ci siamo
intrattenuti poc’anzi), anche se il richiamo alle categoria dell’ammissibilità e della procedibilità
induce a privilegiare la prima lettura.
Nello stesso senso e sempre con riferimento alla disciplina anteriore alla riforma del 2006,
v. App. Roma, 11 aprile 2013, cit. Da segnalare anche Cass., 19 agosto 2004, n. 16205, in Arch.
giur. oo. pp., 2004, 265. Questa pronuncia trae origine da una fattispecie nella quale gli arbitri
avevano reso un lodo con cui avevano rigettato l’eccezione di nullità della clausola compromissoria e, al contempo, pronunciato la risoluzione del contratto sul quale era sorta la
controversia. Per la Corte di cassazione, tale decisione costituiva un lodo parziale di merito (in
forza del capo risolutorio), con la conseguenza che, data l’impossibilità di scindere in momenti
diversi l’impugnazione di un unico provvedimento (sull’impugnazione dei lodi a contenuto
“misto” v. COMOGLIO, op. ult. cit., 614), essa avrebbe dovuto ritenersi impugnabile immediatamente anche nella parte con cui gli arbitri avevano rigettato l’eccezione d’incompetenza. Nella
propria motivazione, la Corte ha però specificato che detto lodo non sarebbe stato suscettibile
di impugnazione immediata laddove si fosse limitato a rigettare l’eccezione di nullità,
dal momento che, in tal caso, esso non avrebbe inciso sul merito della lite. Per l’inammissibilità
dell’impugnazione proposta nei confronti del lodo dichiarativo della competenza arbitrale
v. anche Cass., 9 agosto 1983, n. 5311, in Rass. avv. Stato, 1983, I, 702, la cui motivazione
risulta però fondata sul principio di indivisibilità del lodo (cfr. nota 2). In dottrina la natura
non definitiva del lodo dichiarativo della competenza arbitrale è sostenuta da TARZIA, op. loc.
ult. cit.
145
di tale contrasto, non resta che auspicare un intervento risolutore da parte
delle Sezioni Unite, nella speranza che il Supremo Collegio colga l’occasione per fare chiarezza sul punto anche con riferimento alla situazione
attuale, tenendo conto cioè delle significative novità introdotte con il d.lgs.
n. 40 del 2006 (sulle quali ritorneremo infra).
In attesa di tale intervento, riteniamo opportuno compire un’ulteriore
riflessione, che ci è indotta dal passaggio della motivazione in cui la Corte
fa riferimento alla formazione del « giudicato ».
Invero, è probabile che, nell’utilizzare tale termine, i giudici di legittimità abbiano inteso riferirsi al giudicato formale, volendo significare
soltanto la sopravvenuta insindacabilità, nell’ambito di quel giudizio, della
decisione arbitrale relativa alla questione di competenza; del resto, è noto
come la Corte di cassazione abbia da sempre ritenuto che la statuizione
sull’eccezione d’incompetenza non possa costituire un capo autonomo
della decisione (emessa dagli arbitri o dal giudice ordinario) e che,
pertanto, essa non sia idonea ad acquisire l’autorità della cosa giudicata ai
sensi dell’art. 2909 c.c. (34). Si consideri inoltre che, nonostante il diverso
avviso della dottrina (35), tale orientamento, tradizionalmente fondato sul
carattere processuale attribuito all’exceptio compromissi e su un’interpretazione rigorosa del principio di Kompetenz-Kompetenz, non è parso
subire significativi mutamenti nemmeno all’indomani del revirement del
2000 (36). Tuttavia, laddove si condivida l’opinione secondo la quale
l’eccezione con cui si contesta la competenza arbitrale avrebbe natura
sostanziale, sarebbe necessario verificare se detta eccezione dia origine ad
una semplice questione preliminare o a una vera e propria questione
pregiudiziale (37).
(34) Cass., 28 marzo 1991, n. 3361, in Giur. it., 1992, I, 1, 552, con nota senza titolo di
FADEL; Id., 27 maggio 1961, in Giur. it., 1961, I, 1, 884, con nota senza titolo di COLESANTI, e in
Giust. civ., 1961, I, 1836, con nota di SAMMARCO, Trasmigrazione del processo dall’arbitro al
giudice ordinario; Id., 27 luglio 1957, in Riv. dir. proc., 1958, 247 e 258, con nota di COLESANTI,
Cognizione sulla validità del compromesso in arbitri.
(35) Fra i molti LUISO, Ancora sui rapporti fra arbitro e giudice, in questa Rivista, 1997,
525, BOVE, Rapporti tra arbitro e giudice statale, ivi, 1999, 420 e, sia pur de jure condendo,
CONSOLO, Litispendenza e connessione fra arbitrato e giudizio ordinario (evoluzione e problemi
irrisolti), ivi, 1998, 672.
(36) Si veda, infatti, Cass., 8 giugno 2007, n. 13508, in Rep. Giur. it., 2007, voce
« Arbitrato », 75, nella quale la Corte ha affermato che « la mancata impugnazione della
pronuncia sulla competenza dà luogo soltanto ad un giudicato formale che preclude la
riproposizione della questione davanti al giudice dello stesso processo, ma non fa stato in un
diverso processo promosso dalle parti dinanzi a un giudice diverso e, meno che mai, nel giudizio
arbitrale, che non costituisce prosecuzione del giudizio instaurato dinanzi al giudice incompetente ... ».
(37) Per comodità del lettore, ricordiamo che per questione pregiudiziale di merito
s’intende la questione dalla cui definizione dipende la decisione della causa. Si tratta di una
questione dotata di intrinseca autonomia, suscettibile di divenire causa autonoma (come tale
azionabile anche in un separato giudizio), che ha ad oggetto un rapporto giuridico sostanziale
diverso da quello principale, dalla cui esistenza dipende l’esistenza di quest’ultimo e la cui
inesistenza rende superfluo l’esame degli altri elementi della fattispecie; e che, ai sensi dell’art.
146
Ora, è innegabile che la questione inerente alla sussistenza della
potestas arbitrale sia dotata di una propria autonomia rispetto al rapporto
sostanziale cui accede il patto compromissorio: essa, infatti, riguarda un
autonomo « bene della vita » (38) (l’arbitrabilità della lite) e non può
essere ridotta a mero elemento costitutivo del rapporto principale; con la
conseguenza che, laddove ci si muova nell’ambito delle questioni sostanziali, parrebbe corretto riconoscerle il rango di questione pregiudiziale di
merito. Così opinando, la relativa statuizione potrebbe assurgere a capo
autonomo della decisione (o a decisione parziale) ed esplicare un’efficacia
conformativa in tutti gli eventuali successivi giudizi (arbitrali e ordinari)
in cui la questione fosse eventualmente riproposta. Ovviamente, ipotizzando di ricondurre la fattispecie in esame alla previsione di cui all’art. 34
c.p.c., si dovrebbe concludere che, in difetto di una norma che imponga
una decisione della questione con efficacia di giudicato, essa possa
conseguire solo alla formulazione di una domanda di accertamento
incidentale (39). Aderendo a questa ricostruzione, anche la sentenza resa
della Corte di cassazione potrebbe ritenersi corretta, sia pur in forza di
una diversa ratio: in questo modo, infatti, la decisione sull’eccezione
d’incompetenza dovrebbe — in ipotesi — essere considerata non già
come una semplice decisione su questione preliminare, bensì come una
decisione su questione pregiudiziale trasformata in causa, la quale, al pari
di ogni altra decisione su domanda, sarebbe immediatamente impugnabile ai sensi dell’art. 827, 3º comma, c.p.c. (40).
5. La ricostruzione sopra ipotizzata deve però essere verificata alla
luce della disciplina positiva; disciplina di cui, come noto, il nostro codice
di procedura civile è rimasto a lungo privo e che è stata introdotta solo in
occasione dell’ultimo intervento riformatore. Questo breve scritto non ci
consente di affrontare diffusamente il tema della natura dell’eccezione con
cui si contesta la potestas judicandi degli arbitri e di trattare ex professo il
34 c.p.c., può essere trasformata in causa pregiudiziale (ed essere quindi decisa con efficacia di
giudicato) in forza di una previsione di legge o di una domanda di parte. La questione
preliminare di merito consiste, invece, in una questione anch’essa idonea a definire il giudizio,
ma riguardante un elemento costitutivo della fattispecie e, soprattutto, insuscettibile di un
autonomo giudizio. Inoltre, mentre la sentenza non definitiva su questione pregiudiziale è
idonea alla formazione della cosa giudicata (a condizione che la questione sia stata trasformata
in causa) e, anche in caso di estinzione del giudizio, fa stato fra le parti ai sensi dell’art. 2909 c.c.,
la sentenza non definitiva su questione preliminare di merito è dotata solo della c.d. efficacia
panprocessuale, nel senso che essa vale solo nei successivi giudizi fra le parti aventi ad oggetto
la medesima controversia; cfr. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5ª ed., Napoli,
2006, 195. Su questi temi si rinvia a GARBAGNATI, Questioni preliminari di merito e questioni
pregiudiziali, in Riv. dir. proc., 1976, 257 ss. Sul punto v. anche COMOGLIO, op. ult. cit., 602 ss. e
DALFINO, op. ult. cit., 310 ss.
(38) CONSOLO, Litispendenza e connessione, cit.
(39) BOVE, op. ult. cit., 421.
(40) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 670 e 672.
147
problema legato all’efficacia della pronuncia sul patto compromissorio (41). Qui ci limitiamo a osservare soltanto che le modifiche apportate
all’art. 817 c.p.c., unitamente alla novellazione dell’art. 819 ter c.p.c.,
hanno indotto molti interpreti a ritenere che la questione inerente alla
sussistenza di un valido patto compromissorio sia oggi restituita all’ambito
delle questioni processuali, ancorché rimanga poi dubbio se essa vada
qualificata come questione di giurisdizione, di competenza o di ammissibilità della domanda. Il che dovrebbe indurre a confermare il pregresso
orientamento giurisprudenziale circa la presunta inefficacia della pronuncia sul patto compromissorio al di fuori del giudizio in cui questa venga
resa (42), ad opinare nel senso che essa possa essere emessa indifferentemente con la forma dell’ordinanza o con quella del lodo e, infine, a
ritenere che, ove resa sotto forma di lodo, essa possa essere impugnata
solo unitamente alla pronuncia definitiva (43).
Sennonché, a fianco delle disposizioni volte a rafforzare il carattere
processuale della questione in parola ve ne sono altre di segno opposto,
che sembrano invece attribuirle il rango di autonomo bene della vita (44);
intendiamo riferirci alla disposizione contenuta nell’art. 819 ter, ult.
comma, c.p.c., che, ammettendo la proposizione di domande aventi ad
(41) Sul punto v. BOCCAGNA, Sub artt. 817 e 819 ter c.p.c., in Commentario breve al diritto
dell’arbitrato nazionale ed internazionale, a cura di Massimo BENEDETTELLI, Claudio CONSOLO e
Luca Radicati di BROZOLO, Padova, 2010, 255 ss. e 276 ss.; ACONE, Arbitrato e translatio iudicii:
un parere eretico, in AA. VV., Sull’arbitrato, cit., 1 ss.; RUFFINI, Sub artt. 817 e 819 ter c.p.c., in La
nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Sergio MENCHINI, Padova, 2010, 281 ss. e 364 ss.;
PELLEGRINELLI, Sub art. 817 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di
Antonio BRIGUGLIO e Bruno CAPPONI, III, 2º tomo, Padova, 2009, 817; CAPPONI, Sub art. 819 ter
c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Antonio BRIGUGLIO e Bruno
CAPPONI, III, 2º tomo, Padova, 2009, 873; ID., Modestino Acone, la competenza e l’arbitrato, in
Il giusto processo civile, 2009, 391; G.F. RICCI, Sub artt. 817 e 819 ter c.p.c., in Arbitrato.
Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile — artt. 806 — 840, a cura di
Federico CARPI, Bologna, 2007, 467 ss. e 500 ss.; LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, in questa
Rivista, 2005, 776; NELA, Sub artt. 817 e 819 ter c.p.c., in Le recenti riforme del processo civile,
a cura di Sergio CHIARLONI, 2º tomo, Bologna, 2006, 1768 ss. e 1809 ss.; BOVE, Ancora sui rapporti
tra arbitro e giudice statale, in questa Rivista, 2007, 361; ID., Ricadute sulla disciplina dell’arbitrato della legge n. 69/2009, in AA. VV., Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli,
2010, 81 ss.; IZZO, Appunti sull’eccezione di compromesso e sulla sentenza che la decide, in AA.
VV., Sull’arbitrato, cit., 451 ss. Più di recente v. PUNZI, Disegno sistematico, cit., I, 2012, 155 ss.
e MENCHINI, Il controllo e la tutela della convenzione arbitrale, in questa Rivista, 2013, 363 ss.
(42) In tal senso CAPPONI, Sub art. 819 ter c.p.c., in Commentario alle riforme, cit., 880;
NELA, Sub art. 817 c.p.c., in Le recenti riforme, cit., 1771; G.F. RICCI, Sub art. 819 ter c.p.c., in
Arbitrato, cit., 2007, 506 ss., i quali, argomentando sulla base del carattere processuale attribuito
alla questione in parola e del principio di Kompetenz-Kompetenz di cui all’art. 817 c.p.c.
(principio che del resto si pone in perfetta sintonia con la soluzione delle “vie parallele” adottata
dal legislatore all’art. 819 ter c.p.c.), ritengono che l’accertamento compiuto dagli arbitri o dal
giudice ordinario in ordine alla propria competenza non sia in grado di esplicare effetti al di
fuori della sede in cui viene reso.
(43) Così DE ZANETTI, Il lodo, in AA.VV., Arbitrato, a cura di Bonelli Erede Pappalardo,
Milano, 2012, 191, nonché MARINUCCI, op. ult. cit., 967.
(44) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 658.
148
oggetto la questione inerente alla sussistenza della potestas arbitrale (45),
sembrerebbe legittimare l’idea che detta questione possa essere decisa con
efficacia di giudicato anche quando sorga nell’ambito di una controversia
avente ad oggetto il rapporto giuridico sostanziale (46). Valorizzando
questi elementi, dovrebbe ritenersi che la pronuncia sull’eccezione d’incompetenza richieda inderogabilmente la forma del lodo (47) e che essa
costituisca una decisione parziale, come tale impugnabile immediatamente (48).
Di fronte alla non univocità del dettato normativo, questa seconda
opzione sembrerebbe preferibile dal momento che, pur gravando la parte
soccombente dell’onere di proporre impugnazione immediata, essa è
(45) La norma, nell’escludere che in pendenza del giudizio arbitrale possano essere
proposte domande giudiziali aventi ad oggetto l’invalidità o l’inefficacia della convenzione
d’arbitrato, è stata interpretata a contrario nel senso che, prima di tale momento, la proposizione di simili domande sarebbe ammissibile; cfr. LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., 776;
BOVE, Ancora sui rapporti, cit., 361. Tale lettura ha trovato riscontro nella giurisprudenza di
legittimità; cfr. Cass., 4 agosto 2011, n. 1709, in Foro it., 2012, 1143. In senso contrario v. però
NELA, Sub art. 819 ter c.p.c., in Le recenti riforme, cit., 1821.
(46) PUNZI, Il processo civile, cit., 212; LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., 783;
RUFFINI, Sub art. 817 c.p.c., in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 285. Ulteriori argomenti in
favore del carattere autonomo della questione vengono tratti dal disposto dell’art. 817, 1º
comma, c.p.c., a mente del quale, in caso di contestazione sulla validità, il contenuto o
l’ampiezza della convenzione arbitrale, « gli arbitri decidono sulla propria competenza », nonché
dalla disposizione contenuta nell’art. 830, 3º comma, c.p.c., che, nel disciplinare il passaggio alla
fase rescindente a quella rescissoria del giudizio d’impugnazione, prevede che « quando la corte
d’appello non decide nel merito, alla controversia si applica la convenzione d’arbitrato, salvo che
la nullità dipenda dalla sua invalidità ». Fra coloro i quali ipotizzano che la decisione sul patto
compromissorio possa conseguire l’autorità propria del giudicato, si discute, tuttavia, se una
simile efficacia possa discendere solo dalla proposizione di una domanda di accertamento
incidentale ai sensi dell’art. 34 c.p.c. (MENCHINI, op. ult. cit., 372 e IZZO, op. ult. cit., 460 ss.) o
anche alla proposizione di una mera eccezione (LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., il quale
invoca la teoria dell’antecedente logico necessario). In senso contrario MARINUCCI, op. loc. ult.
cit., secondo la quale, in sede arbitrale, la questione inerente alla competenza del giudice privato
manterrebbe inalterato il proprio carattere processuale.
(47) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 658. D’altro canto,
opinando nel senso dell’ammissibilità dell’ordinanza ex art. 816 bis c.p.c. si determinerebbe una
forte discrasia rispetto al giudizio ordinario, dove, stante l’immutata formulazione dell’art. 819
ter c.p.c., la questione di competenza continua a dover essere decisa con la forma della sentenza;
sarebbe infatti piuttosto singolare che sulla medesima questione il giudice ordinario sia tenuto
ad adottare il provvedimento decisorio per eccellenza, mentre gli arbitri possano emettere
addirittura un provvedimento revocabile.
(48) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 662. Del resto, se
la ratio del divieto di impugnazione immediata per il lodo non definitivo su questioni è quella
di evitare di impegnare la Corte d’appello su questioni che, da sole, non sarebbero suscettibili
di accertamento davanti all’autorità giudiziaria (LUISO, L’oggetto del processo arbitrale, cit., 677)
e se le controversie sulla validità e sull’ampiezza della clausola compromissoria possono
costituire oggetto di autonomo accertamento in sede giurisdizionale (cfr. art. 819 ter, ult.
comma, c.p.c.), allora non vi sarebbe motivo per escludere che il lodo reso su di esse possa
essere immediatamente impugnato. Naturalmente, qualora si opini nel senso che il giudicato
possa formarsi soltanto in presenza di un’esplicita domanda di parte (IZZO, op. loc. ult. cit.),
ragionevolmente l’impugnazione dovrà essere proposta immediatamente solo laddove tale
domanda sia stata effettivamente formulata; in caso contrario, stante la cennata distinzione fra
lodo su domande e lodo su questioni (cfr. note 14 e 23), la pronuncia dovrebbe ritenersi
impugnabile solo unitamente alla decisione definitiva.
149
l’unica in grado di assicurare alle parti una decisione “tombale” sulla
questione di competenza. D’altronde, l’unica possibilità di risparmiare alle
parti un simile incombente risiederebbe nell’estensione al procedimento
arbitrale dell’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione.
6. L’immediata impugnabilità della decisione resa sulla questione
di competenza impone, infine, una breve riflessione sul coordinamento
fra il giudizio d’impugnazione del lodo e il procedimento arbitrale (che,
come nel caso di specie, prosegua con l’esame del merito della controversia).
La prima conseguenza dell’emanazione di un lodo non definitivo su
questione o di un lodo parziale è l’automatica proroga del termine per la
pronuncia della decisione finale di ulteriori centottanta giorni (49). Si
tratta, naturalmente, di uno strumento inadeguato; per cui, al fine di
garantire un coordinamento fra le due sedi, non sembrano esservi alternative a una sospensione concordata del procedimento arbitrale in attesa
della definizione della questione di competenza (50). Ove, invece, il procedimento arbitrale prosegua, l’accoglimento dell’impugnazione del lodo
parziale determinerà, ai sensi dell’art. 336, 2º comma, c.p.c., la caducazione
del lodo definitivo che sia stato nel frattempo pronunciato (51). E dal
momento che la legge n. 353/1990 ha espunto dall’art. 336 c.p.c. il riferimento al passaggio in giudicato della sentenza, l’effetto espansivo esterno
si produrrà immediatamente, in seguito al deposito della sentenza resa
dalla Corte d’appello (52); con la conseguenza che, qualora tale sentenza
sia a sua volta impugnata dinanzi alla Corte di cassazione e l’impugnazione venga accolta, non si potrà fare altro che riaprire il procedimento
davanti agli arbitri (53). Laddove, invece — per ipotesi — il lodo sia
(49) Il legislatore della riforma ha infatti modificato l’art. 820 c.p.c., rendendo automatica
la proroga del termine per la pronuncia del lodo definitivo ed estendendo la previsione anche
al caso in cui venga reso un « lodo parziale ».
(50) TARZIA, op. ult. cit., 157 e 158. Non sembra invece possibile applicare analogicamente
il disposto dell’art. 279, 4º comma, c.p.c. Tale norma, infatti, potrebbe essere trasposta nel
procedimento arbitrale solo in presenza di un’esplicita indicazione delle parti; cfr. PUNZI,
Disegno sistematico, cit., II, 2012, 502; ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato,
cit., 2007, 665 e 666.
(51) PUNZI, Disegno sistematico, cit., 2012, II, 503; CONSOLO, Le impugnazioni delle
sentenze, cit., 527; così già TARZIA, op. loc. ult. cit. e MONTESANO, op. loc. ult. cit. Il lodo definitivo
sarà dunque travolto per effetto della dichiarazione di nullità del lodo parziale anche laddove
il primo non sia stato impugnato e sia nel frattempo divenuto incontrovertibile.
(52) TEDOLDI, Sub art. 336 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura di
Claudio CONSOLO, 4ª ed., 2010, 524.
(53) Con riferimento al procedimento ordinario v. CONSOLO, Sub art. 336 c.p.c., in
Commentario alla riforma del processo civile, a cura di Claudio CONSOLO, Francesco Paolo LUISO
e Bruno SASSANI, Milano, 1996, 358.
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annullato prima della conclusione del giudizio arbitrale, gli arbitri dovranno conformarsi alla statuizione della Corte d’appello e respingere la
domanda, prendendo atto della propria incompetenza (54).
ENRICO DEBERNARDI
(54) RUFFINI, BOCCAGNA, Sub art. 827 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a
cura di Claudio CONSOLO, 4ª ed., 2010, 1193.
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