dal Campo alla tavola AGRICOLTURA &ALIMENTAZIONE Rinsaldare il legame con il territorio BIODIVERSITÀ Prodotti tipici e varietà sono le parole d’ordine contro l’omologazione L’agricoltura, nonostante le forti criticità accentuate dai problemi di un’estate piovosa e dalla crisi ucraina, è oggi un settore in attivo e su cui puntare anche grazie alla sua varietà. Expo 2015 deve essere l’occasione per fare capire a tutti i paesi l’importanza di rilanciare la biodiversità in agricoltura Crescono i consumi di prodotti bio e di tipicità alimentari: secondo il viceministro Olivero la sfida della biodiversità è la battaglia futura per la competitività della nostra agricoltura. 왘 Un’annata da ricordare... ma in negativo, per buo- na parte dell’agricoltura italiana del nord Italia. Eppure il viceministro all’agricoltura Andrea Olivero, intervenuto la scorsa settimana al circolo Wigwam di Arzerello per premiare alcuni produttori di eccellenza del Veneto, ha parlato di un settore che sta vivendo una stagione “fortunata”. «Nonostante alcune criticità – ha esordito il viceministro – questo è uno dei pochi settori che in Italia ha fatto segnare dati positivi, sia nell’export che nell’occupazione. E nel bio, in crescita straordinaria, siamo primi in Europa. Possiamo quindi ragionare sulle politiche per l’agricoltura in prospettiva di crescita e non solamente di difesa per parare i colpi della crisi». Il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea coincide però con l’embargo alla Russia (il problema, rivela il ministro, non è solo che i nostri prodotti non possono essere vendute in quel mercato, bensì che altri prodotti che prima andavano in Russia ora sono dirottati da noi a prezzi stracciati), con l’estate fredda e piovosa, l’Expo alle porte, la nuova Pac anco- ra in rampa di lancio e la mancanza di un commissario europeo all’agricoltura, visto che le nuove nomine, dopo le elezioni di maggio, risalgono a pochi giorni fa. È, insomma, un periodo di passaggio. «Si spera che sia nominato un commissario dell’Europa del sud, perché a nord hanno una visione molto diversa dell’agricoltura rispetto alla nostra», auspicava Olivero, lasciando intendere che non gli sarebbe dispiaciuto avere un italiano come commissario all’agricoltura, se non ci fosse già stata la Mogherini agli esteri. E la nomina è andata all’irlandese Paul Hogan. Quella nord-sud è comunque una questione seria, che ha contraddistinto la “battaglia” sulla riforma della politica agricola comunitaria, ma è anche la battaglia del futuro: ovvero quella tra chi coltiva pochi prodotti su grandi superfici (il nord) e chi, come noi, dispone di grande varietà ma in un’estrema parcellizzazione del territorio. Per l’agricoltura italiana è questione vitale. «Il successo di Expo 2015 – continua Olivero – non lo misureremo sui padiglioni pieni ma se saremo in grado di fare giungere il messaggio forte che il mondo deve passare dal modello di globalizzazione nell’omologazione, che ha fallito perché ha dimostrato incapacità nell’alimentare il mondo e ha suscitato rivolte contro un modello che tende a distruggere le culture, a uno di globalizzazione nella biodiversità. Questa può essere la soluzione per sfamare il pianeta e creare redditività. Se ne sta accorgendo, con perfetto tempismo, anche parte di quel mondo che ha fatto dell’omologazione il suo modello di business e che ora sta invertendo la rotta». Per l’Italia dei mille prodotti tipici (siamo i primi per dop e igp, c’è slowfood e ora anche le De.Co.) è un invito a nozze, ma non è scontato. «Biodiversità – conclude Olivero – non vuol dire “piccolo è bello” o mantenere il passato: la globalizzazione rimane. Si deve far capire che la difesa del “made in” e la tracciabilità dei prodotti, su cui l’Italia insiste, hanno un valore che va oltre la sicurezza e la lotta alla contraffazione, che è soprattutto culturale. Quanti prodotti eccellenti, sconnessi dal loro territorio, perderebbero valore?». 왘 pagine a cura di Emanuele Cenghiaro RISTORAZIONE Nuove tecnologie per una migliore organizzazione del lavoro Più sano il cibo grazie ai nuovi metodi di cottura tecnologico non dimentica la cuci왘 Ilna,progresso soprattutto quella della ristorazione collettiva: ristoranti piccoli e grandi, catering, mense scolastiche. Oggi, soprattutto grazie ai forni a cottura multipla, principalmente a secco ma anche a vapore o combinata, la qualità del cibo ne guadagna. Ad aiutare i cuochi vi è anche il largo uso del sottovuoto nella duplice funzione di cottura e conservazione. Grazie a questa combinazione di opportunità, infatti, si modifica l’organizzazione del lavoro, soprattutto di chi vede concentrata la propria attività nei fine settimana: i giorni più tranquilli possono essere utilizzati per pre- cucinare i cibi che poi saranno rifiniti molto velocemente quando sarà il momento di servirli. In questo modo anche molti piccoli ristoranti hanno ricominciato a produrre quasi tutto in casa, dalla pasta ai dolciumi. Più che con i nuovi ritrovati, invece, le cucine delle scuole materne non statali sono alle prese con le novità legislative, che di recente hanno rinnovato le modalità di formazione del personale, ma anche con le linee guida ministeriali in tema di menù e con la necessità di gestire le diete speciali per i sempre più numerosi bimbi che soffrono di intolleranze alimentari. 왘 Servizio alle pagine VI-IX Cottura a vapore e sottovuoto, diete speciali, cucina senza grassi saturi. Come cambia il lavoro ai fornelli. II vendemmia2014 LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 Una vendemmia col punto di domanda ANDAMENTO Il calo di produzione sarà contenuto, la qualità dovrebbe essere garantita dal Campo alla Tavola L’estate fredda e piovosa è causa di una peggiore maturazione delle uve e ci si aspettano minori quantitativi, ma l’annata non è eccessivamente compromessa Cali di produzione e molti punti di domanda sul vino veneto (e italiano) per il 2014. Le numerose e spesso intense precipitazioni del mese di luglio hanno creato non pochi problemi ai viticoltori, che oltre alle basse rese e ai danni fisici causati dai nubifragi e, in qualche caso, dalle grandinate, hanno dovuto fare i conti con interminabili ore di bagnatura fogliare, eccessiva umidità dei suoli, incessante sviluppo vegetativo, anomala compattezza dei grappoli e altro ancora. Se è vero il detto «mal comune mezzo gaudio», i produttori potranno consolarsi pensando che in quasi tutte le regioni del centro nord Italia, ma anche di Francia e Spagna, i colleghi viticoltori si trovano nelle medesime condizioni. Eppure fino a metà giugno le previsioni per la nuova vendemmia, anche sull’onda dell’entusiasmo per gli ottimi risultati dello scorso anno, erano ottimistiche: già si pregustava un’altra annata da ricordare. A questa aspettativa si univano i dati sulle vendite all’estero, che sembrano dare seguito ai risultati 2013 sulla crescita di apprezzamento del vino prodotto nella nostra regione: il Veneto, nel primo trimestre 2014, ha confermato di essere la prima regione italiana per esportazione di vino e ha registrato un più 6,5 per cento sulle vendite oltre confine. Ma qual è realmente la situazio- ne della vendemmia 2014 e che vino ci dobbiamo attendere? Si varia molto da zona a zona, più colpita sembra essere la provincia di Treviso rispetto a Padova, Venezia e Vicenza. Fuori diocesi, non pochi problemi vive nel veronese l’altro grande vino veneto, l’amarone, soprattutto per la sua particolare pratica produttiva che richiede uve ben mature. A livello di res, le quantità prodotte saranno di certo minori. Tuttavia, secondo i dati diffusi da Veneto agricoltura (che analizzano però l’intero Triveneto), considerando l’entrata in produzione di nuovi vigneti, la riduzione dovrebbe essere contenuta: ci si attende un calo medio nelle tre regioni del 5-10 per cento rispetto al 2013 (annata che però fu eccezionale). I motivi sono da ricercare nella minore fertilità delle gemme, nei danni dovuti alle grandinate e nello stato sanitario non sempre perfetto, soprattutto dei vitigni precoci. A livello di acini, l’acidità sarà più sostenuta mentre ci si aspettano valori zuccherini medi, come anche per le sostanze coloranti e aromatiche. La qualità dell’annata non sarà, verosimilmente, pari a quella scorsa, ma non sarà certo un vino da disprezzare, benché di minore grado alcolico. Guardando provincia per provincia, stando alle previsioni vendemmiali 2014 di Veneto agricoltura, a dispetto dei dati negativi di altre zone Padova dovrebbe avere una produzione stabile con addirittura un aumento per i bianchi (più 5 per cento) grazie ai nuovi impianti di glera (il vitigno del prosecco), pinot e moscato giallo (il fior d’arancio). Nel Trevigiano ci si attende invece una produzione minore rispetto al 2013 (dal 5 al 10 per cento, più accentuata per le uve nere rispetto a quelle bianche), mentre nel Veneziano preoccupa più il minore grado zuccherino (fino a un grado Babo) causato dall’eccessiva piovosità. Nel Vicentino si ipotizza un calo della produzione attorno al 5 per cento, più accentuato per la bacca nera e il glera, con meno grappoli ma acini più gonfi, e meno problemi per l’uva garganega. LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 vendemmia2014 III Meno bollicine sulle tavole PROSECCO Annata difficile per lo spumante veneto per eccellenza Come sarà l’annata 2014 del pro- Le annate recenti sono state quindi secco di Valdobbiadene docg? So- più adatte alla viticultura? «Con il caldo l’acino matura meglio. no ancora vari i punti di domanda, ma una cosa sembra certa: produzione Ma ogni anno le condizioni variano e in calo e, probabilmente, qualche sor- l’uva è diversa: nel 2014 c’è una sensipresa anche nel gusto. Così è almeno bile variazione della componente acida. per il territorio attorno a Valdobbiadene, Abbiamo basi più acidule, quasi da che ha vissuto un’annata meteorologica champagne, e meno zuccheri. Forse si particolarmente sfortunata e colpita an- percepirà di più l’asprigno, potrebbe esche da una grandinata, caratterizzata da sere che si gusteranno meglio i vini extemperature medie a luglio uguali a tra dry rispetto ai brut. Ma non è detto, questo è ciò che possiamo quelle di giugno (21,5 gradi contro i circa 24,5) e da una Secondo il direttore presumere. E comunque vapiovosità a luglio di 280 delle cantine Valdoca le per le nostre zone, in altre aree del prosecco potrebbe mm e di 170 fino al 18 agoda 25 anni essere andata meglio». sto (dati forniti dal consornon si registrava Cosa potrebbe cambiare? zio di tutela del prosecco di «La vendemmia è iniValdobbiadene). Lo confer- un’estate come questa. Ci sarà meno vino ziata verso metà settembre, ma Aldo Franchi, direttore più o meno come nel 2013. della cantina Valdoca, che e con più acidità Chi ha avuto coraggio di atriunisce 580 produttori per un territorio vitato di circa 800 ettari tendere la completa maturazione delle uve l’anno scorso ha avuto un’annata che dà vita a 12 milioni di bottiglie. «Siamo di fronte a un’annata insoli- eccezionale, una vendemmia storica. ta – conferma Franchi – e mi sembra di Quest’anno vedremo quanti hanno acessere tornato indietro di quasi 25 anni. cettato il rischio di aspettare». Era l’estate del 1989, che comunque era Perché, cosa può succedere se si attenstata meno piovosa di questa, e anche de? «Si aspetta la completa maturazione, allora avevamo chiesto al ministero di poter abbassare la gradazione alcolica ovvero che gli zuccheri che sono nella minima per lo spumante, portandola da pianta fluiscano nell’acino. Se però si 9 a 8 gradi. A quei tempi era ancora dif- aspetta troppo ci si espone al rischio di ficile avere estati soddisfacenti come avversità, come una grandinata oppure quelle a cui ci siamo abituati in questi l’attacco di muffe, si potrebbe perdere ultimi anni. Dal 2003 abbiamo avuto anche tutto il raccolto. Bisogna fare una annate calde e ci siamo resi conto che il scelta che a volte è difficile». vino con questo tipo di clima viene me- A proposito di grandinate, voi ne siete stati soggetti. Questo cosa comporterà? glio. Ci eravamo abituati bene». «Purtroppo abbiamo avuto questo problema, è stata colpita tutta l’area da Barbozza fino a San Giovanni. Molte aziende faranno fatica a raggiungere la quantità nominale di uva. Avremo meno vino sicuramente. Ad esempio, per il cartizze dovremmo avere meno superi di campagna (l’eccedenza di produzione rispetto ai disciplinari, che non può essere commercializzata con il marchio di denominazione, ndr)». Il fenomeno prosecco dove può arrivare? «Abbiamo avuto una diffusione incredibile, soprattutto all’estero, ma pensiamo che ci siano ancora parecchi margini di crescita. Siamo sbarcati in molti nuovi paesi, ora si tratta di lavorare non solo in ampiezza, ma in profondità: conquistare i consumatori di questi nuovi mercati. Un esempio sono gli Stati Uniti, dove fino a pochi anni fa non ci conoscevano e oggi il prosecco sta ottenendo un grande successo. Di fatto abbiamo occupato uno spazio che era vuoto, dove entriamo in competizione solo con il cava spagnolo». Quanto ai prezzi, non dovrebbero esserci grandi variazioni per il prosecco, come assicura il presidente del consorzio di tutela, Innocente Nardi. «Anche quest’anno si è riconfermato il senso di responsabilità da parte di tutte le categorie – ha spiegato Nardi – da quelle agricole alle cooperative al mondo degli spumantisti. L’aver mantenuto negli anni stabilità, evitando grandi oscillazioni di prezzi malgrado il successo del nostro vino, si è rivelato vincente. Anche quest’anno, nonostante le sfavorevoli condizioni climatiche e il grande lavoro richiesto in campagna, la filiera produttiva ha scelto di trasmettere al mercato un messaggio di stabilità e continuità». La minore quantità di uve glera non dovrebbe portare ad aumenti dei prezzi del prosecco, visto che la scelta di dare un messaggio di stabilità evitando grandi oscillazioni sembra essere piaciuta al mercato. vendemmia2014 왗 LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 왘 V PADOVANO L’annata del vino è stata condizionata dal maltempo Una vendemmia in stile nordico dal Campo alla Tavola Export Aumentano ancora sia le vendite che il fatturato All’estero piace il vino veneto prodotto nella nostra regione trova terreno fertile nelle ta왘 Ilvolevinoe nelle enoteche oltre confine. Se i risultati dell’annata 2013 avevano visto il Veneto come prima regione italiana per esportazioni, con il 31,5 per cento di tutta la produzione nazionale esportata e un fatturato di un miliardo e 588 milioni, i dati relativi all’export per il primo trimestre 2014 hanno confermato questa tendenza. Infatti la crescita delle esportazioni, tra vini e mosti, è continuata e ha raggiunto il 32,8 per cento del totale italiano, per un valore di quasi 375 milioni e mezzo di euro. L’aumento rispetto al 2013 è consistente, ben il 6,5 per cento in più, oltre il doppio del dato nazionale che pure è positivo (più 3,1 per cento). Il settore è naturalmente trainato dal fenomeno Prosecco, forse il vino al mondo che oggi sta conoscendo la maggiore crescita di apprezzamento. 왘 Nel territorio padovano la stagione vinicola non dovrebbero subire particolari battute di arresto. Quantità e qualità sembrano garantite e così la crescita dei vini euganei, in particolare i bianchi come il serprino e soprattutto il fior d’arancio, può continuare. «Si spera sempre che ogni annata sia quella del secolo – dice Urbano Salvan della omonima cantina di Due Carrare – ma questa si deve scontrare con una realtà che ci riporta con i piedi per terra. La situazione varia da zona a zona, sui colli sommato siamo stati abbastanza fortunati, la grande piovosità si è concentrata a luglio, un terzo delle precipitazioni medie dell’anno in un mese. Se però fossero cadute in agosto sarebbe stato peggio. Gli acini avrebbero potuto ingrossarsi al punto tale da scoppiare e diventare vulnerabili all’attacco di malattie, muffe e parassiti. Grandi problemi non ne ho visti ma, certo, bisognerà buttare via qualche grappolo». Se il raccolto si è salvato e le quantità saranno nella norma, i vini saranno certamente diversi. «Sento parlare di cali di produzione, ma sono dati riferiti al 2013, annata eccezionale: alla fin fine non si farà altro che ritornare nella norma. Quanto ai vini, dovendo raccogliere un’uva non perfettamente matura mi aspetto di avere prodotti meno caldi, più simili ai vini dell’Alto Adige». Meglio i rossi o i bianchi? «I bianchi hanno meno problemi – conclude Salvan – anche perché buona parte del lavoro con loro si fa in cantina. Sono i rossi che, come si usa dire, si fanno in vigneto. E saranno certamente dei vini meno alcolici: ma questo forse è un bene, ci eravamo abituati a fare vini da concorsi, sui 14 gradi, più che prodotti per la gente che vuole bere. Avremo quindi vini rossi meno muscolosi ma più beverini». Anche nell’altra area importante per il vino padovano, quella di Bagnoli, la situazione è sotto controllo. Ai primi di settembre la vendemmia non era ancora iniziata ma si pro- VALPOLICELLA A rischio la giusta maturazione delle uve necessaria a produrlo Ci sarà un amarone annata 2014? spettava nella media. L’area ha avuto anche la fortuna di non incorrere in grandinate e la quantità di uva non destava preoccupazione. «Abbiamo fatto con competenza i corretti trattamenti – spiegano alla cantina – e anche noi, vista la piovosità e il clima di quest’estate, ci aspettiamo una minore alcolicità nei vini di quest’anno. Ma non per questo ne dovrebbe risentire il livello qualitativo». Quali vini ci si aspetta che siano migliori? «Certamente il friularo e il merlot, ma anche le sempre più apprezzate bollicine di Bagnoli non dovrebbero avere problemi a mantenere il loro livello qualitativo». Più a nord, a Breganze, sono invece più ottimisti. «Le nostre uve sono quasi perfette, a dimostrazione che in un territorio vocato se si fanno le cose bene si hanno i risultati. I problemi sono soprattutto per chi non è vocato», afferma Vittorio Santacatterina, presidente della cantina Beato Bartolomeo di Breganze. BIO Dati in continua crescita Un sorso di natura che piace i dati Sinab e Ismea, i consumi nel mercato 왘 Secondo italiano del biologico sono cresciuti del 17,3 per cento quantità e la qualità, bensì all’opposto per la difficoltà a produrre questo grande vino e mantenere l’alto standard ormai apprezzato dal mercato. A pochi giorni dall’inizio della vendemmia, il consiglio di amministrazione del consorzio tutela vini Valpolicella era stato addirittura costretto a votare la richiesta alla regione Veneto di abbassare, portandole dal precedente 50 (già deciso in luglio) al 35 per cento, le quote di uva da destinare all’appassimento per la produzione tanto di amarone quanto del recioto della Valpolicella. «La decisione si è resa indispensabile – come ha spiegato il presidente del consorzio, Christian Marchesini – in considerazione delle condizioni climatiche anomale che hanno determinato una piovosità eccessiva e un’insufficiente soleggiamento nei mesi di luglio e agosto. Abbiamo concordemente ritenuto che questa fosse l’unica via per tutelare l’amarone, il vino di punta della denominazione, salvaguardandone la qualità». Ovviamente, questa richiesta nei primi cinque mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si tratta dell’aumento di consumi più elevato, nel comparto, dal 2002 e che sorprende, visto il periodo di crisi economica. Gli operatori del settore biologico, al 31 dicembre 2013, risultavano essere 52.383, con un aumento complessivo del 5,4 per cento rispetto al 2012. Tra questi, 41.513 sono solo produttori, 6.154 solo preparatori, 4.456 le aziende che effettuano entrambe le attività, 260 gli operatori che effettuano attività di importazione. È in aumento anche la superficie coltivata, che al 31 dicembre 2013 risultava pari a 1.317.177 ettari (circa il 10 per cento del totale della superficie coltivata nazionale) con un aumento complessivo annuale del 12,8 per cento. È ancora una nicchia di mercato, invece, il vino biologico, che tuttavia registra una continua crescita e sta beneficiando del nuovo regolamento europeo, entrato in vigore solo nel 2012, che ha esteso le regole per la certificazione non solo all’uva ma anche alla produzione in cantina, consentendo di parlare di “vino bio” (prima si poteva parlare solo di vino da uve biologiche) e di apporre quindi sulle bottiglie di vino il logo europeo con la foglia verde. Benché si debba scontrare con il calo nei consumi di vino in Italia, il settore ha quindi margini di crescita ancora non ben definibili, sia perché finora poco conosciuto e poco reclamizzato, sia per la scarsa presenza nella grande distribuzione. A livello produttivo, invece, i dati parlano di un 6,5 per cento degli ettari vitati in Italia a destinazione biologica, in decisa crescita (al secondo posto dopo l’Austria, con l’8,6), a fronte di una media mondiale del 2 per cento, per circa 53mila ettari, dietro solo i 57mila della Spagna. A livello consumi, invece, solo 2 italiani su 100 acquistano oggi vino bio. ha annullato quella ottimistica e precedente, presentata sempre alla regione, di poter stoccare il 15 per cento del vino atto a divenire amarone della Valpolicella ottenuto dalla vendemmia 2014. Questo significa che fra tre anni, quando l’amarone 2014 sarà commercializzato, come previsto dal disciplinare, vi sarà meno prodotto. «Ma è l’unico modo – continua Marchesini – per essere certi che solo i grappoli davvero idonei finiranno in fruttaio per l’appassimento, che, tra l’altro, quest’anno dovrà per forza di cose prolungarsi, dato che l’amarone non può per legge essere sottoposto ad alcun trattamento artificiale per incrementarne il grado alcolico». Meno amarone, quindi, ma quello che c’è sia almeno di qualità, mentre il resto delle uve può benissimo andare a confluire nel classico vino valpolicella (sono infatti le stesse uve, corvina in primis, che ammostate subito danno origine al valpolicella, se sottoposte ad appassimento possono produrre amarone o recioto). Tuttavia, alcuni produttori sono stati ben più drastici e hanno annunciato il rischio che di amarone, per il 2014, non se ne produca proprio. È il caso dell’azienda Cav. G.B. Bertani, il cui amministratore delegato Emilio Pedron ha dichiarato a WineMeridian che «la scelta ideale, più coerente anche con la necessità di garantire il prestigio della denominazione e del suo più importante prodotto, l’amarone, sarebbe quella di rinunciare alla produzione di questo vino per quest’annata. Sarebbe un segnale molto forte al mercato, agli opinion leader, ai media e avremmo ricadute positive sotto tutti i punti di vista e anche le preoccupazioni sull’impatto economico sul comparto, pur legittime, sarebbero ben controbilanciate dai vantaggi derivanti dalla riduzione delle giacenze e da una migliore immagine di tutto il sistema valpolicella». Vedere chi seguirà il consiglio. Se le uve non maturano è impossibile garantire gli standard qualitativi cui il grande vino della Valpolicella ha abituato gli intenditori. Difficile la scelta di rinunciare al vino 2014 sperando nel beneficio di immagine come unica possibilità di recupero della perdita economica. 왘Biologicamente un’annata da ricordare, il 왘 Sarà 2014, per l’amarone. Ma non per la VI ristorazionecollettiva Nuova tecnologia ai fornelli IN CUCINA Il cuoco moderno diventa un vero coordinatore dal Campo alla Tavola Oggi il cuoco è soprattutto coordinatore della cucina. I nuovi macchinari permettono di distribuire il lavoro nell’intera settimana. Si diffonde la cottura sottovuoto e con forni ventilati e a vapore, con benefici sia economici che nella qualità del cibo. Come cambiano le modalità di organizzazione del lavoro soprattutto in piccoli e medi ristoranti e mense Lenta cottura in bagno d’acqua o sottovuoto, abbattimento di calore, forno a vapore, apparecchi multifunzione... Per la normale cuoca di casa sono termini poco conosciuti, ma nella ristorazione collettiva, piccola o grande, sono all’ordine del giorno. Si tratta infatti di sistemi di cottura e di conservazione dei cibi, alcuni nuovi altri meno, che in questi ultimi anni si stanno facendo strada con forza. Permettono infatti di ottimizzare il lavoro di cucina e spesso garantiscono di poter abbinare maggiore qualità degli alimenti a minori sprechi, nonché ai sempre graditi risparmi economici. Ma come è possibile? Lo spiega Roberto Moro, titolare della For tecno service snc, azienda di fornitura di grandi impianti di cottura per comunità e alberghi con sede ad Albignasego. «Partiamo dal presupposto – esordisce Moro – che al giorno d’oggi un cuoco non è più “il cuoco” che noi conosciamo ma è un coordinatore. E un bravo coordinatore deve essere capace di acquistare e organizzare. Oggi il punto centrale, nella ristorazione collettiva, è il costo piatto». Quindi si sta attenti ai costi delle varie fasi produttive? «Nella grande, ma anche nella piccola ristorazione, c’è un ritorno alla produzione in casa di tutto quello che serve, dal pane alla pasticceria. Prima ci si rivolgeva ai produttori esterni che garantivano un certo risparmio, oggi si cerca di farne a meno e di distinguersi dalla standardizzazione. C’è meno personale e si devono contenere i costi con il massimo dell’organizzazione. Le nuove tecnologie e i nuovi sistemi di cottura oggi sono un valido aiuto». Possiamo fare un esempio? «Molti ristoratori hanno clienti solamente il fine settimana, mentre negli altri giorni hanno meno lavoro. Prima in questi giorni si faceva poco, perché si affrontavano i momenti caldi con il maggior personale e con i prodotti comprati all’esterno. Ora, grazie anche ai nuovi sistemi di cottura e di conservazione, questi sono diventati i giorni in cui si preparano in casa in modo che siano già pronti per il fine settimana cibi che prima si acquistavano fuori. Pensiamo alle patate, forse il prodotto di maggior consu- mo: attraverso la cottura sottovuoto si possono preparare sia delle monoporzioni che le grandi quantità. Poi si blocca la cottura a metà e con un abbattitore di calore si raffredda il tutto. A questo punto il prodotto, pastorizzato, può essere conservato nei frigoriferi e utilizzato quando serve, sia la singola porzione che la grande quantità per un matrimonio. È subito pronto in pochi minuti e si può fare la finitura che si vuole; inoltre, grazie alla cottura sottovuoto, mantiene tutti i sapori e le proprietà nutritive». Qualità, organizzazione, risparmio. Così si aumentano i margini? «Sì, perché si sfrutta un tempo che prima si perdeva e perché nelle piccole cucine non si butta via più niente. Si può andare alla ricerca dei prodotti migliori, magari locali e freschi, durante la settimana, si possono lavorare e conservare: con ulteriori benefici sui risparmi e sulla qualità. Il cibo fatto in casa ha poi, per il ristoratore, un ulteriore vantaggio: una migliore benevolenza da parte del cliente. Insomma, se una torta non riesce proprio perfettamente, il cliente, se sa che l’hai fatta veramente tu, la accetta... è il segno che è fatta in casa! Se fosse stato un prodotto industriale te l’avrebbe mandato indietro». Altri vantaggi che possono venire dalla strumentazione? «Restiamo alla cottura lenta e TECNOLOGIA I “forni intelligenti” scelgono da soli le modalità di cottura Oggi si può cucinare anche con la nuvola! è un termine inglese che significa nuvo «Cloud» la e che è ben noto a chi lavora nell’informatica: è una modalità di lavoro che permette di utilizzare delle risorse che non risiedono nel proprio computer ma si trovano altrove e sono raggiungibili attraverso la rete. Ma il cloud è anche una delle molte nuove frontiere cui si sta avvicinando il mondo delle cucine. Esistono infatti in commercio forni che si collegano a internet e vi reperiscono le istruzioni per cucinare i piatti più svariati. Uno di questi, ad esempio, il modello Naboo prodotto dalla Lainox di Vittorio Veneto, incorpora non un semplice schermo digitale ma un vero e proprio tablet. È quindi possibile impostare istruzioni per la cottura delle ricette, raccogliere tutto in cartelle (ad esempio per piatti del menù di primavera oppure per gli arrosti delle varie carni) o scaricare le impostazioni predisposte da altri chef, magari per cibi che si fanno per la prima volta, o condividere le proprie. La tecnologia informatica e digitale non permette, ovviamente, solo questo: il dialogo con il forno è quan- to mai vivace. La regolazione non riguarda solamente il tempo e la temperatura di cottura: con i forni a vapore si può stabilire il corretto livello di umidità per la migliore cottura dell’alimento. Particolari sonde permettono poi di sapere in ogni momento il livello di cottura, ad esempio dell’interno di un arrosto, in modo da poter eventualmente fare variazioni in corsa. Questo vale anche per la cottura sottovuoto. Infine, la quantità di calore o di vapore viene automaticamente adattata alla dimensione del pezzo da cucinare, permettendo di risparmiare energia. Dulcis in fundo, la cottura lenta, anche tutta la notte, permette di avere la miglior cottura e il minimo calo di peso. Questo tipo di forni sono pensati anche per la pulizia. Si tratta ovviamente di macchinari autopulenti, che permettono di utilizzare quantità minime di acqua e detersivo e che, con l’uso di appositi filtri anticalcare, garantiscono di non dover ricorrere tanto presto ai pezzi di ricambio. Unica domanda: sapranno i nostri cuochi sfruttare tutte le opportunità che tali prodotti offrono? ristorazionecollettiva 왗 VII L’ESPERTO Crescono le responsabilità di chi opera in cucina Attenzione a igiene e materie prime normativa in materia di mani왘 La polazione degli alimenti discende dal sottovuoto, che si fa ponendo il prodotto dentro appositi sacchetti da cottura che poi vengono portati sottovuoto, sigillati e messi in forni appositi a lenta cottura. Se cuciniamo in modo tradizionale un pezzo di roast-beef da un chilo, a fine cottura ci ritroveremo con un pezzo da 650 grammi, mentre con questo procedimento sarà attorno ai 900 grammi. Questo significa una resa maggiore e più porzioni, con grande beneficio del costo pasto. Senza contare il miglior sapore garantito dal fatto che i condimenti, rimanendo all’interno del sacchetto, vengono assorbiti di più». 왘 Tutto questo però ha un costo… «Certo, ma si possono anche acquistare solo alcuni pezzi. Diciamo comunque che, per arredare ex novo una cucina di un ristorante da 50-80 posti o di una mensa per un asilo, con i macchinari più moderni come i forni a triplice cottura (a secco, a vapore o mista) e abbattitore, potrebbero servire tra i 25 e i 30 mila euro». ENAIP Molto richiesti sono i corsi di formazione, riqualificazione e aggiornamento Anche servire in mensa richiede competenze ristorazione è uno dei settori 왘 La che «tira», stando almeno alle richieste che arrivano all’Enaip, ente di formazione professionale che ha sedi un po’ in tutto in Veneto e lavora sia con i giovani che con gli adulti. «Per gli adulti – spiega Sandro Dal Piano, direttore della comunicazione e promozione di Enaip veneto – due sono i target con cui operiamo. Il primo sono le imprese che ci commissionano l’aggiornamento professionale per i loro dipendenti, dalle certificazioni Haccp alle competenze specifiche per il proprio settore (ad esempio, cucinare per grandi quantità o gestire l’approvvigionamento). È un’attività che spesso si fa in azienda, perché le esigenze oggi sono molte: il personale deve conoscere non solo le norme di sicurezza, ma una mol- teplicità di cose. Ad esempio, deve sapere come caricare i contenitori per il catering, garantire il ciclo del freddo, effettuare la distribuzione. Usare un abbattitore di calore, ad esempio, è una delle prime cose che chi lavora nella ristorazione oggi deve imparare». Una seconda tipologia sono i corsi a qualifica per adulti, a pagamento, come cuoco o aiutocuoco. Sono corsi di 600 ore, metà di teoria e pratica a scuola, metà di stage nelle aziende. Proprio in questi giorni sono aperte le iscrizioni per un corso sulla ristorazione veloce, gratuito perché organizzato in collaborazione con Ranstad, che si terrà a Piazzola sul Brenta dal 3 ottobre (120 ore, rivolto a adulti maggiorenni inoccupati, disoccupati o in mobilità, info sul sito www.enaip.veneto.it ). E per i giovani? «Vi sono i due corsi a qualifica base – prosegue Dal Piano – di operatore della ristorazione, preparazione pasti (cuoco) e sala bar. Sono triennali e danno qualifiche professionali di terzo livello (Eqf3) spendibili nell’intera Unione Europea. Dal 2014-15 parte anche il quarto anno con cui si può ottenere il diploma di tecnico specializzato (quarto livello, Eqf4). Già dal secondo anno sono previsti stage in azienda, in genere un ristorante o un catering, nel quale spesso i ragazzi trovano anche lavoro». Sono corsi dove si impara di tutto, anche la presentazione del piatto. «Ma anche il solo servire in mensa oggi richiede competenza: sapere cosa si dà al cliente è fondamentale viste le intolleranze alimentari», conclude Dal Piano. cosiddetto «pacchetto igiene», costituito essenzialmente da quattro regolamenti comunitari emanati nel 2004 (852, 853, 854 e 882) e in seguito recepiti dall’Italia. «La parola chiave è prevenzione: diventa obbligatorio un sistema che prevenga possibili danni causati dagli alimenti», spiega Nicola Barison, consulente di igiene degli alimenti. Ma come si fa questa prevenzione? Principalmente con un percorso di formazione. «La “vecchia” cuoca che conoscevamo – continua Barison – non esiste più, ora deve essere una figura professionalmente formata. Deve saper cucinare come richiede la norma ed essere preparata ad affrontare i menù di bambini allergici e intolleranti. Purtroppo negli ultimi decenni le allergie e le intolleranze sono aumentate parecchio, soprattutto nei bambini: chi opera in cucina, che sia in un ristorante o in una mensa, ha una grande responsabilità». Anche la tecnologia fa la sua parte in termini di prevenzione. «I forni autopulenti, il controllo della temperatura, le modalità di cottura rapida, sono tutte funzionalità importanti per la sicurezza: ma ciò che conta sono le attenzioni del cuoco». Una delle problematiche più diffuse è la gestione della cucina per celiaci. Come possono affrontarla, ad esempio,i cuochi di un asilo? «L’ideale, ovviamente, sarebbe avere una cucina a parte, cosa certamente impossibile. Si può risolvere cucinando prima per i celiaci e poi per gli altri, mai in contemporanea, per evitare contaminazioni», consiglia Barison. Cosa ne pensa dei nuovi metodi di cottura permessi dai nuovi ritrovati della tecnica, come i forni ventilati e a vapore? «Le ultime generazioni di forni permettono una cottura sempre più rapida e precisa. E sono ottimi per cucinare pietanze con un sapore più naturale, mantenendo una maggiore quantità di principi nutritivi. Ad esempio, si possono avere verdure solo parzialmente lessate, in modo tale da rimanere più croccanti e saporite. E, visto che conservano più sapore, necessitano di minori condimenti, tipo zucchero, sale e olio, con ulteriore vantaggio per la salute». Alla fin fine tutta queste attenzione sta dando i suoi risultati? «In realtà sì – conclude Barison – le statistiche mostrano una riduzione dei danni da cibo, ad esempio le infezioni batteriche. E questo dipende dalla maggiore attenzione igienica. Consiglio infine di fare attenzione durante gli acquisti, controllando la provenienza delle materie prime». Corsi brevi e su misura di formazione nelle aziende o di 600 ore per riqualificare chi desidera o necessita trovare un nuovo lavoro. Per i giovani sono invece molto richiesti i corsi di operatore della ristorazione sia come cuoco che come operatore di sala bar. correttaalimentazione 왗 LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 왘 dal Campo alla Tavola La dietista Laura Mitaritonna spiega le più recenti linee guida per l’alimentazione a scuola, dove i bimbi assaggiano di tutto e migliorano il loro rapporto col cibo 왘 IX Come cambiano i menù nelle scuole italiane? Le linee guida ministeriali puntano decisamente a migliorare la qualità nutrizionale del menù degli alunni. «Le novità riguardano la dieta per le scuole dell’infanzia e, soprattutto, come affrontare i menù dei bambini allergici o intolleranti. Nella sola regione Veneto vi sono sempre più adulti e bambini che presentano diagnosi di reazione avversa agli alimenti come nel caso di celiachia, intolleranza al lattosio e allergie ad alimenti», spiega la dietista Laura Mitaritonna, che collabora con molte scuole dell’infanzia. Nei menù di oggi si vuole ridurre il più possibile la presenza di grassi saturi rappresentati dalle proteine animali e garantire una giusta rotazione alle pietanze. La tendenza è anche quella di introdurre l’uso dei legumi, che non contengono grassi: ceci e fagioli, sotto forma di piatti unici con i cereali o al posto della carne (polpette di ceci). Sono poi controllati burro e fritti e si predilige la cottura in forno. Quanto al pesce, niente polpette o crocchette o tonno in scatola: deve essere un pezzo riconoscibile. Fresco o congelato, ma che sia un filetto. E poi tante verdure, sono importanti da conoscere e apprezzare a questa età perché è proprio tra i 3 e i 4 anni che si definisce il loro gusto. «Un menù tipo – spiega la Mitaritonna – potrebbe prevedere di alternare, nei giorni di scuola, carni rosse, bianche, uova, formaggi, pesce e affettati. Si dovranno evitare le sovrapposizioni proteiche e, ad esempio, non si dovrebbe più trovare pasta al ragù abbinata a mozza- NUTRIZIONE La scuola è dove si mangia nel modo più corretto Meno grassi nei menù dei bimbi rella. Si dovrà sostituire uno dei due, magari pasta al pomodoro con mozzarella o solo pasta al ragù». Mangiare a scuola è un atto educativo e non solo una soddisfazione di fabbisogni. I genitori si chiedono, ad esempio, perché i bambini mangino con le maestre anche cibi che a casa rifiutano. «La relazione che si ha con il cibo a casa è diversa. A scuola – prosegue la Mitaritonna – c’è un rapporto educativo e le rego- le di una sana alimentazione si abbinano a una serie di risvolti emotivi e psicologici nei quali intervengono tanto il cibo quanto i rapporti relazionali con compagni e insegnanti. A scuola, nel piatto, si gioca con i colori e si cerca di far trovare più di un tipo di verdura. Si fanno laboratori di manipolazione del cibo in cui i bambini preparano quello che poi mangiano. Ma, se lo portano a casa, non è detto che lì lo mangino. Non è solo questione di gusto ma del contorno di relazioni». Che cosa direbbe alle mamme convinte che i figli mangino meglio a casa? «I menù scolastici sono i migliori. Mai più, nella vita, i nostri figli mangeranno correttamente come nella scuola dell’infanzia. Difficilmente a casa ci sarà la possibilità e il tempo di pianificare una diversità di alimenti nei giorni della settimana e nel singolo pasto». FISM Le materne paritarie preferiscono avere la cucina Sicurezza anche nel piatto 왘 Inizia l’anno scolastico e torna- di catering per i pasti – spiega Gi- sare a formare il proprio personale no le mense a scuola. L’argo- glio – perché alle spalle c’è una lun- con modalità e periodicità che sarà mento è sempre fonte di pre- ga tradizione, la figura della cuoca è lui a stabilire utilizzando e adottanoccupazione, soprattutto per i geni- sempre stata importante. Natural- do il Piano di autocontrollo come tori delle scuole dell’infanzia. Chi mente non si deve pensare alle cuci- strumento del ciclo produttivo da decide i menù per i ne e alle cuoche di una seguire. Però la formazione si rivolbambini? Come vengovolta: oggi ci sono nor- ge a tutti: ognuno deve conoscere le A livello normativo no preparati i cibi? Gli mative severe e chi pre- procedure da osservare in cucina e oggi vige la legge standard di sicurezza regionale 2 del 2013 para i pasti deve avere in tutta la scuola. Oggi anche l’adsono rispettati? Infine: i una solida formazione detto alle pulizie è tenuto a sapere, che ha modificato bambini mangeranno, per affrontare richieste ad esempio, come si gestiscono le le modalità visto che spesso la complesse, come i me- diete speciali nella scuola, per evitadi formazione scuola propone pietannù speciali per le diver- re contaminazioni pericolose». del personale ze che a casa lascerebse intolleranze e tutta Sicurezza non è solo igiene e bero nel piatto? una serie di adempi- formazione, ma anche scelta dei Prova a rispondere Barbara Gi- menti di sicurezza alimentare». menù e garanzia che siano corretti. glio, responsabile dell’area sicurezA livello legislativo, «C’è una grande attenza della Fism di Padova, la federa- la novità principale è la zione per le diete per gli L’Ulss approva zione delle scuole materne paritarie. legge regionale 2 del i menù base e quelli allergici – assicura GiL’argomento è particolarmente deli- 2013, che ha riformato – e le scuole paritaper le diete speciali glio cato perché, a differenza di quelle la precedente legge 41 e rie accettano tutti i bamdi ogni scuola, pubbliche, le scuole dell’infanzia riguarda tutte le aziende bini indipendentemente che per legge “parrocchiali” non si affidano a in cui si manipola o da problemi alimentari ogni anno devono strutture esterne per la preparazione semplicemente si somo fisici. E vengono ridel cibo, ma preferiscono la cucina ministra il cibo. «Quella spettate anche le richieessere diversi interna. Un fiore all’occhiello e una che è cambiata è princiste alimentari che arrifonte di risparmio, ma anche una re- palmente la formazione del persona- vano, soprattutto dagli stranieri, per sponsabilità in più. le. Non vi sono più i percorsi stan- motivi culturali o religiosi». «È vero, da noi è minoritario il dard che tutti devono seguire: è il Chi cura questi menù? «Questa è numero di chi si rivolge a strutture datore di lavoro, ora, che deve pen- una questione fondamentale, perché ogni anno le scuole sono tenute a sottoporre all’approvazione dell’Ulss tutti i menù, quello base e quelli per le diete speciali. E questo, purtroppo, ha un costo, perché si paga all’Ulss l’approvazione di ogni menù. Per la loro stesura di norma ci si appoggia a dei professionisti dell’alimentazione che garantiscono sia il rispetto delle normative, sia che le diete siano equilibrate e corrette». Autonomia in cucina significa anche poter scegliere le materie pri- me e i fornitori. Magari il fornaio del paese o l’azienda agricola a chilometri zero, a vantaggio di qualità, freschezza e magari convenienza. «Ognuno può rivolgersi ai produttori che preferisce, è fondamentale però garantire tracciabilità e rintracciabilità di tutto quello che entra ed esce dalla cucina». Anche imparare ad alimentarsi correttamente è un fattore educativo importante, soprattutto nella nostra società in cui i genitori hanno poco tempo e spesso capita che a casa si mangi quello che viene a tiro. «Per questo i genitori e il comitato genitori, dove presente, vengono informati sulle scelte del menù scolastico. In questo modo non solo vengono rassicurati, ma imparano a loro volta che l’alimentazione corretta è “educazione” e fonte di salute per tutta la famiglia», conclude Barbara Giglio. Secondo le nuove normative la formazione del personale viene stabilita e gestita dal Piano di autocontrollo che ogni azienda che manipola o solamente somministra dei cibi deve adottare. I menù sono spesso curati da specialisti della nutrizione che garantiscono il rispetto delle vigenti linee guida e il corretto equilibrio di tutte le diete alimentari, quella base e quelle speciali. • Impianti di stoccaggio e dosaggio farine e cereali • Impianti di macinazione e miscelazione • Trasporti meccanici a coclea, a catena, elevatori a tazze, estrattori per silos • Molini a martelli, miscelatori orizzontali e pulitori • Impianti di trasporto pneumatico • Impianti di pulizia e setacciatura farine • Impianti di premacinazione e macinazione sfridi di pasta secca • Impianti di aspirazione polveri con filtri automatici • Modifiche e personalizzazioni impianti esistenti • Quadri di comando e controllo con supervisione PLC e computer CMB S.r.l. via Anconetta 16 36063 Marostica, Vicenza, Italy, EU Tel. +39 0424 780 176 Fax +39 0424 472 196 www.cmbsrl.com [email protected] filieracorta 왗 LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 왘 XI COLDIRETTI Non conoscono la crisi e si trovano ormai ovunque Mercatini agricoli in crescita dal Campo alla Tavola SOLIDARIETÀ Nel padovano l’invenduto va alla Caritas Così si abbattono gli sprechi in difficoltà è rivolta un’iniziativa di Coldiretti Padova realiz왘 Azatachiinè collaborazione con la Caritas della parrocchia del duomo di Cittadella. «Ogni giovedì – spiega Pierluigi Argenton, presidente dell’Agrimercato delle Terre del Santo, costituito dai produttori agricoli che partecipano ai mercati di Campagna amica – al termine del mercato di Campagna amica, i produttori consegnano ai volontari della Caritas la merce rimasta invenduta e ancora in ottimo stato, per essere distribuita a chi ne ha bisogno. Contiamo di estendere, già nelle prossime settimane, ad altri mercati agricoli della nostra provincia». Una simile iniziativa è stata di recente realizzata anche da alcuni produttori aderenti alla Cia di Padova, soprattutto del comparto dell’ortofrutta, che hanno destinato parte del non venduto ad associazioni di volontariato del territorio. 왘 Un successo annunciato ma non scontato: è quello dei cosiddetti “mercati degli agricoltori”, dove le aziende che coltivano possono vendere i loro prodotti in modo diretto, senza intermediari. Tutte le principali organizzazioni agricole si sono attivate e i comuni che ospitano un mercato di questo tipo sono veramente tanti: a fare la parte del leone Coldiretti, che vanta oltre cento mercati Campagna amica nel Veneto (tra cui 30 nel Veronese, 19 nel Veneziano, una quindicina ciascuno a Padova, Vicenza e Treviso), 6 a Belluno e Rovigo. Non sta a guardare la Cia che arriva a una cifra di poco inferiore, con 25 mercati a Padova, 15 a Venezia, una decina a Vicenza e Treviso, mentre Confagricoltura e Copagri non hanno puntato molto su questo tipo di proposta. A guardare il loro successo sembra che la crisi non li abbia toccati, o comunque meno di altri canali di vendita. Merito dei prezzi concorrenziali, della qualità dei prodotti, della loro freschezza e non ultimo della possibilità di conoscere e parlare direttamente con il produttore, come se si andasse direttamente in azienda. Un pregio non trascurabile della filiera corta. Un’analisi dei dati Istat da parte di Coldiretti, diffusa in agosto, rivela che i consumi in Italia sono tornati al livello del 1981. «La contrazione dei consumi alimentari si fa sentire anche nella nostra provincia – afferma Federico Miotto, presidente di Coldiretti Padova – anche se abbiamo notato negli ultimi mesi un interesse crescente nei confronti dei nostri mercati di Campagna amica sia in città che in provincia. I clienti, una volta che si avvicinano alla spesa a km zero e conoscono i produttori, tendono a fidelizzarsi e a tornare tutte le settimane». Le famiglie che scelgono la spesa a “km zero” sanno di poter contare su un’ampia gamma di prodotti ortofrutticoli, latticini e formaggi, carne e insaccati, miele e confetture, olio extravergine e vino. Per de- CIA Cresce il successo dei mercati, ma la gente per il cibo spende meno Più persone ma meno quantità streggiarsi tra tanti prodotti, Coldiretti Padova ha persino sperimentato il “tutor della spesa”, che guida le persone fra i banchi dei produttori, consiglia sulla scelta degli alimenti di qualità a prezzo conveniente, informa sulla stagionalità e le proprietà delle eccellenze del territorio, illustra alcune ricette della tradizione. A garantire la qualità dei prodotti ci pensano poi dei ferrei regolamenti: gli agricoltori possono vendere esclusivamente i prodotti della propria azienda, senza eccezioni, a rischio di essere esclusi dall’iniziativa o di vere e proprie multe. Che ne pensano, infine, i negozianti locali? Non tutti sono d’accordo, ma è anche vero che la reale concorrenza questi mercati la fanno più che altro ai negozi della grande distribuzione, visto che, soprattutto in città, i piccoli esercizi che vendono frutta e verdura sono ormai rimasti in pochi. CONFAGRICOLTURA Non è la panacea del settore Nonostante i dati Istat diffusi nei giorni scorsi 왘 PADOVA. denuncino un importante calo dei consumi alimentari zioni che maggiormente stanno puntando sui mercati degli agricoltori, tanto da averne organizzati oltre una settantina sul territorio regionale, tra cui 25 nel territorio padovano, 15 nel Veneziano e 10 nel Vicentino. «L’iniziativa dei mercati agricoli procede bene, la dimostrazione consiste nell’apertura di ulteriori nuovi mercati anche nel 2014 – spiega Luciano Beria di Cia Padova – a partire da quello di Piove di Sacco, in località Sant’Anna, recentemente inaugurato. Vi si aggiungono quelli aperti anche in altri comuni della provincia, gestiti dalle organizzazioni di categoria e in alcuni casi dagli stessi comuni (è il caso di Grantorto e Carceri, dove è in atto anche una sperimentazione con i mercati agricoli notturni). Con altri comuni sono in corso trattative, in particolare con quello di Abano Terme. Tra Padova e provincia i mercati agricoli seguiti da Cia sono già arrivati alla ragguardevole cifra di venticinque». «Con la crisi la frequentazione dei nel 2014, si diffondono su tutto il territorio iniziative legate alla vendita diretta di prodotti agricoli da parte dei produttori e dei cosiddetti “mercati del contadino”. Nel Padovano sono ormai numerosi e la loro crescita sta ancora continuando. Ma il successo che stanno ottenendo non genera in tutti gli operatori il medesimo entusiasmo. «Se i mercati degli agricoltori sembrano all’apparenza non risentire di questa crisi dei consumi – afferma Renzo Cavestro, direttore di Confagricoltura Padova, che a differenza di altre associazioni di agricoltori non ha puntato troppo su questo tipo di mercati – è perché con i consumi, in questi anni, sono cambiati anche e soprattutto i consumatori». «Il consumatore moderno – spiega ancora Cavestro – è sempre più attento alla qualità di ciò che mangia, informato sull’origine e la provenienza dei cibi, sensibile alle tematiche della sostenibilità e della salubrità degli alimenti, e trova nella possibilità di acquistare direttamente dal contadino una risposta ai suoi mutati bisogni. Gli scandali alimentari degli ultimi anni, poi, hanno indubbiamente contribuito affinché si diffondesse un’attenzione nuova e diversa nei confronti della sicurezza alimentare e della genuinità dei cibi». Se però dal lato del consumatore i mercati contadini possono fornire un ottimo strumento per la cosiddetta “spesa intelligente”, dal lato del produttore questo non è sempre vero. «La diffusione di questa pratica non è di certo la panacea di tutti i mali – conclude Cavestro – e non risolve le tante problematiche che l’agricoltura sta vivendo in questi anni». mercati è aumentata – continua Beria – e lo dimostra l’apertura di sempre nuove realtà. Si sta però verificando una contrazione nella quantità di spesa: se è vero infatti che sempre più persone frequentano i nostri mercati, altrettanto reale è il fatto che spendano di meno». I mercati costituiscono comunque una nuova opportunità economica per le aziende, che si sono riorganizzate in funzione della possibilità di sviluppo e ampliamento dell’azienda. In alcune realtà sono state anche modificate le scelte colturali in vista delle richieste del mercato. E, se in questi primi anni di esperienza non sono mancate le problematiche, per affrontarle è stato predisposto un regolamento tipo che tutti i produttori sono tenuti a rispettare. Questi mercati non hanno solo un valore economico, ma anche educati- vo. La gente impara a consumare verdure di stagione e a preparare pasti più corretti, e aumenta la sensibilità verso il rispetto dell’ambiente. «Il valore educativo dei mercati degli agricoltori è indiscutibile – conferma Beria – e a controprova vi sono anche i corsi “Vieni a conoscere i mercati contadini”, realizzati in collaborazione con la camera di commercio durante tutto l’anno». A corredo di questa attività ne sono sorte altre di crescente interesse: a partire dalle giornate “Porte aperte”, che si svolgono due volte all’anno, in primavera e autunno, e che permettono di fare conoscere da vicino le aziende e le loro produzioni. E va sottolineato come alcuni produttori soci Cia, in particolare dell’ortofrutta, abbiano iniziato a destinare alle associazioni caritatevoli una parte delle loro produzioni presenti nei mercati. I mercati dei contadini sono una opportunità sia per le aziende sia per i consumatori. Rivestono anche una funzione educativa e si legano ad altre iniziative come quelle di porte aperte in azienda. 왘Brevemente la Cia, Confederazione ita왘 Anche liana agricoltori, è tra le organizza- XII prodottitipici LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 DENOMINAZIONI Guida per capire cosa sono i prodotti a marchio Dop, deco, igp: di cosa si parla? dal Campo alla Tavola QUANTI? Sono oltre un migliaio i prodotti tipici tutelati dall’Ue con le denominazioni di origine un quarto (265 al 1° settembre 2014) degli oltre 1.200 prodot Quasi ti europei a marchio protetto sono italiani. Le diciture dop (denominazione di origine protetta) e igp (indicazione geografica protetta) sono riservate a prodotti agricoli e alimentari di qualità per i quali è dimostrato che la relativa produzione avviene esclusivamente in un territorio delimitato ed esiste un nesso di causa tra la zona geografica e, per le dop, la qualità o le caratteristiche del prodotto, per le igp una qualità specifica, la reputazione o altre caratteristiche. In sintesi, per una dop tutto il processo produttivo avviene all’interno dell’area indicata nel disciplinare di produzione, per la igp è sufficiente che almeno una delle fasi caratterizzanti del processo produttivo avvenga nell’areale individuato. A questi due marchi si è aggiunto quello che tutela la specialità tradizionale garantita (stg), la cui peculiarità non è legata al luogo di origine ma alla tradizione del metodo produttivo (ad esempio la “pizza napoletana”). Il Veneto è tra le prime regioni al mondo per numero di prodotti a denominazione di origine dop e igp. Un settore che è un prezioso biglietto da visita per il territorio, sia in Italia che all’estero, e una forma di promozione: i prodotti di qualità sono, ad esempio, uno degli strumenti per lo sviluppo delle aree montane, dove secondo l’Istat si trova quasi il 30 per cento dei produttori italiani a marchio. Anche il valore economico non è trascurabile. L’aicig (associazione italiana consorzi indicazioni geografiche) stima che l’intero comparto italiano abbia un giro d’affari intorno ai 6,5 miliardi di euro alla produzione e 12 miliardi al consumo, di cui 8,5 derivanti dai consumi interni e il resto distribuito nei paesi raggiunti dalle esportazioni, principalmente concentrate nell’Unione europea. E i valori sono in crescita, nonostante la crisi. A farla da padrone sono i prodotti agricoli, presenti in grande varietà, che nel Veneto hanno come punte di diamante i vari tipi di radicchio, quello rosso di Treviso, di Chioggia, di Verona e di Castelfranco, tutti igp, gli asparagi (di Bassano dop e di Cimadolmo e Badoere igp) e gli oli extravergini di oliva (Garda e Veneto dop). Tra gli altri prodotti coltivati è dop l’aglio bianco polesano mentre sono igp il fagiolo di Lamon, l’insalata di Lusia e il riso del delta del Po e Vialone nano veronese. dop è anche il marrone di San Zeno di Montagna, igp la ciliegia di Marostica, i marroni di Combai e Monfenera, la pesca di Verona. Il latte delle montagne e della pedemontana è invece alla base di una nutrita schiera di formaggi, tutti dop (asiago, casatella trevigiana, monte veronese, piave, taleggio nonché, condivisi con altre regioni, grana padano, montasio, provolone valpadana e taleggio). Hanno un ruolo minore, per numero, carni e insaccati dop (prosciutto Veneto Berico-Euganeo e sopressa Vicentina) cui si aggiungono, grazie alla vicinanza con l’Emilia Roma- gna, alcuni prodotti igp più noti oltre regione (cotechino e zampone Modena, mortadella Bologna, salame Cremona, salamini italiani alla Cacciatora dop). Altri prodotti particolari solo le dop del Miele delle Dolomiti bellunesi e delle Cozze di Scardovari. La tutela di gran parte di questi prodotti è affidata ad appositi consorzi, approvati dal ministero delle politiche agricole e con la partecipazione nella compagine sociale di soggetti che rappresentano almeno i due terzi della produzione. Al mondo delle denominazioni europee si stanno aggiungendo, con grande crescita, le deco. (denominazioni comunali): sono prodotti non certificati che una determinata amministrazione ritiene di promuovere in proprio. Per riconoscerle disciplinarle esiste, in regione Veneto, una proposta di legge il cui iter però appare fermo, forse perché vede apertamente contrari i consorzi dei prodotti a marchio europeo. prodottitipici 왗 XIII LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 TASSINATO I prodotti tipici sono pezzi di territorio da gustare WIGWAM In rete per la sostenibilità Un’esperienza culturale Produrre il meglio del meglio possibile 왘 sede in una splendida casa colonica ad Ar왘 Ha zerello di Piove di Sacco la sede nazionale di Non sono troppi i prodotti tipici in Italia? Non si crea confusione con tutti questi marchi? Secondo Efrem Tassinato, presidente nazionale dei circoli Wigwam, una realtà che ha fatto della promozione territoriale il centro della propria attività, è questione di trasparenza. «Quando questa c’è – spiega – e ne è data adeguata comunicazione, sarà il mercato a discernere, a creare la fortuna di un prodotto piuttosto che relegarne al micro mercato un altro. C’è l’elenco delle denominazioni certificate dalla Ue, c’è l’atlante dei prodotti tradizionali, oltre quattromila, ora si sta creando quello delle Deco. Non dimentichiamo di essere nell’Italia dei comuni, se vogliamo anche dei molti campanili, ma altrettanto nella patria per eccellenza della biodiversità alimentare. E dobbiamo farne il nostro punto di forza». 왘 Non bastano i riconoscimenti europei? «Il riconoscimento di una denominazione presuppone l’osservanza di un preciso disciplinare e comporta costi di produzione più alti, in cambio però di una più elevata garanzia di qualità e della certezza che il maggiore valore aggiunto è ristornato per buona parte sui territori di produzione, a beneficio delle comunità locali. Perché il prodotto a denominazione reclamizza le aree di produzione e perciò diventa un propulsore anche per il turismo». 왘 I prodotti tipici sono però spesso solo produzioni di nicchia... «Il prodotto tipico rappresenta un salto di qualità rispetto alla mera commodity alimentare e, almeno per le dop, si deve accettare il limite della massima produzione che un territorio può esprimere. Da ciò possiamo desumere che tutto quanto non è commodity (ovvero materia prima indifferenziata) è di nicchia, anche se magari grande. Di recente, alla fiera europea dei prodotti regionali di Zakopane (Polonia), con Terenzio Finotti, presidente del consorzio di tutela riso del delta Po igp, si conveniva che il riso, che di per sé rappresenta una delle commodities agroalimentari per eccellenza, diventa “tipico” quando si può dimostrare la certezza del controllo della filiera e se viene supportato da una comunicazione e un marketing appropriato. Il riso del delta del Po e quello del delta del Mekong possono essere merceologicamente simili, il secondo può essere anche più conveniente, ma il primo aggiunge al valore intrinseco del prodotto quello immateriale, ma che fa la differenza, di fare assaporare un pezzo d’Italia e di un territorio bellissimo». 왘 Come si comunica un prodotto tipico? «C’è un mangiare per alimentarsi e poi ci sono i prodotti tipici, per fare esperienze gustative e vivere sensazioni a volte uniche. Non dimentichiamo che l’alimentazione rappresenta il comune denominatore dell’umanità, anzi, di tutti gli esseri viventi. È l’atto più essenziale della sopravvivenza: perché ridurla alla mera nutrizione, quando può anche essere cultura, spettacolo, convivialità? Perciò evviva al moltiplicarsi di denominazioni se corrispondono a contenuti davvero reali». Wigwam, un’associazione che ha per mission la promozione della cultura dello sviluppo solidale e sostenibile e, per il comparto agroalimentare, cerca di far sì che a ogni prodotto corrisponda una faccia che ne garantisce, prima ancora di ogni ferrea certificazione, la bontà dell’impegno a fare il meglio del meglio possibile. Tra i prodotti proposti da Wigwam vi sono il lardo della Saccisica e i dolcetti di Pontelongo, fatti con materie prime locali. «Sul territorio la rete – spiega il presidente Efrem Tassinato – organizza e supporta le comunità locali di offerta, reti solidali di attività di qualunque genere ma compatibili con la sostenibilità, che si integrano e collaborano per il bene comune. Ogni comunità esprime anche una domanda di prodotti e di servizi e agisce in termini di interscambio con tutte le altre, generando in questo modo un mercato orizzontale e diretto che dribbla le superfetazioni speculative, in genere esclusivamente finanziarie, che hanno generato mostri come i giochi in borsa sui generi di prima necessità. L’aberrazione massima del consumismo fine a se stesso». Sede Wigwam ad Arzerello di Piove di Sacco. THIENE CHI VUOL ESSER LIETO, SIA … OTTO SECOLI DI STORIA MERCANTILE Animazioni Musicali, di Spettacolo, di Bandiera e di Danza tra Vie, Borghi e Campi MESSER LORENCIOTTO Presentazioni, fabulazioni e versi EL SANGUANELO e le ANGUANE… sotto la luna (riuscirà il pubblico a udire il canto delle mitiche anguane?) Sabato 4 ore 20.30 - Borgo del Castello e Campo della Torre Civica A LIETA VITA - Armonie Rinascimentali proposte dal Coro Giovanile di Thiene Sabato 4 ore 17.00 in Campo della Torre Civica I PARATRAMPOLI DI CIRCA TEATRO - URBINO Sabato 4 e Domenica 5 - per le Vie, Borghi e Campi SALTI DI… SALTIMBANCO Sabato 4 ore 18.00 in Borgo del Castello e per le Vie, Borghi e Campi Domenica 5 ore 17.00 in Campo della Torre Civica e per le Vie, Borghi e Campi SBANDIERATORI E MUSICI CONTRADA DELLA CORTE DI QUATTRO CASTELLA Sabato 4 - per le Vie, Borghi e Campi - ore 22.00 I Cavalieri dell’Apocalisse - Grande Spettacolo su trampoli e con il fuoco in Campo Torre Civica INGRESSO LIBERO NEGOZI APERTI i Comune di Thiene Ufficio Cultura tel. 0445.804744 [email protected] [email protected] www.comune.thiene.vi.it GIULLARACCI E GIULLARINI Compagnia italo-spagnola del Circo Sonambulos Sabato 4 e Domenica 5 - per le Vie, Borghi e Campi GRUPPO SBANDIERATORI E MUSICI DEL RIONE SANTO SPIRITO DI FERRARA Domenica 5 - per le Vie, Borghi e Campi - ore 19.00 Grande Spettacolo in Borgo del Castello BALLO RINASCIMENTALE POPOLARE Sabato 4 e Domenica 5 - per le Vie, Borghi e Campi UNA PIAZZA PER GIOCARE Sabato 4 e Domenica 5 in Campo dell’Allegrezza CAVALCANDO LA STORIA Sabato 4 e Domenica 5 in Campo Equestre COMPAGNIA ARCIERI DELLA COLOMBA DI THIENE Sabato 4 e Domenica 5 - Campo degli Arcieri in Borgo del Castello SINEQUANON (musici della Terra veneta) Sabato 4 e Domenica 5 - per le Vie, Borghi e Campi COMPAGNIA D’ARME “GENS INNOMINABILIS” DI CASTELL’ARQUATO (PC) Sabato 4 e Domenica 5 in Borgo del Castello e per le Vie, Borghi e Campi EVO IN FABULA (Comp. I GUARDIANI DELL’OCA di Ascoli Piceno ) Sabato 4 e Domenica 5 in Borgo del Castello e per le Vie, Borghi e Campi COMPAGNIA D’ARME “CITTÀ DEL GRIFO” DI ARZIGNANO (VI) Sabato 4 e Domenica 5 al Varco d’entrata San Marco e per le Vie, Borghi e Campi XIV 왘 prodottitipici 왘 LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 CONTRO Secondo i consorzi dei prodotti a marchio le deco creano solo confusione Una concorrenza non troppo leale dal 왘 Campo alla Tavola I prodotti a marchio devono sottostare a severi controlli e rigidi disciplinari. Ma possono essere i veri trascinatori dell’economia e del turismo della zona di origine Deco sì o no? La posizione dei consorzi di prodotti tipici a marchio europeo dop e igp è ben chiara, e il no sembra essere definitivo. Questo nuovo strumento a loro non piace. «Siamo concordi con gli altri consorzi – afferma Giuseppe Boscolo Palo, presidente del consorzio del radicchio di Chioggia igp – sul fatto che la proliferazione di questi marchi non sia una cosa positiva, sia perché creano confusione nei consumatori e nelle filiere commerciali e distributive, sia perché non offrono garanzie di terzi sui processi produttivi e sulle materie prime». Secondo Boscolo Palo, insomma, si crea un problema di proliferazione di marchi, ma anche di concorrenza poco leale: un prodotto a marchio europeo deve sottostare a rigidi disciplinari e pagare degli organismi certificatori. Un altro problema è l’uso improprio del termine «denominazione», che ricalca quello del marchio dop comunitario ed espone al rischio di infrazioni. Infatti, se è vero che la normativa vigente prevede che un ente pubblico, come un comune, possa essere titolare di un marchio e possa quindi permetterne l’uso a soggetti licenziatari, è anche vero che può farlo solo se non attribuisce valore «qualitativo» all’origine della materia prima o al luogo di trasformazione. Questo tipo di caratteristiche e la loro derivazione causale possono essere attestate solo dalle procedure europee che stanno alla base del riconoscimento delle dop e igp: i comuni non certificano questo, ma il consumatore non lo sa e, abituato agli altri marchi, può essere indotto a considerare le deco. alla stregua di una certificazione di qualità. Che fare? Il consorzio di tutela del for- maggio asiago ricorda, per chiarezza, qual è la propria funzione. E ribadisce che la sua posizione sulle deco. «è coerente con il ruolo delegatogli dal ministero delle politiche agricole e forestali, ovvero quello di promuovere e tutelare l’indicazione geografica comunitaria. Su questa strada tutto l’impegno del consorzio è profuso nell’offrire al consumatore un prodotto sano, salubre e di grande qualità che segue uno scrupoloso disciplinare di produzione certificato e garantito». «Parliamoci chiaro – conclude Boscolo Palo – le deco. rischiano di essere solo strumenti per realizzare eventi tipo sagre e trarne risorse. Vi sono comuni che hanno attivato denominazioni basate su prodotti di un’unica azienda: non ha senso. In questo modo uno potrebbe inventarsi e dare il marchio a qualsiasi cosa». Alternative? «Certo, noi pensiamo che invece di dividerci e farci concorrenza, andrebbero aggregati gli sforzi. Un prodotto a marchio per un territorio deve essere una sorta di cappello dal quale tutte le attività, e anche gli altri prodotti che quella zona offre, possano ricavare benefici. È il prodotto a marchio europeo la vera e grande risorsa da tutelare». Un esempio? «Mi viene in mente – conclude Boscolo Palo – il luppolo tedesco igp: grazie a esso c’è tutta la filiera della birra locale che ne beneficia, a cascata. Noi, come consorzio, stiamo promuovendo l’abbinamento nei ristoranti del nostro radicchio di Chioggia igp con altri prodotti. Se il ristoratore chiede al grossista il nostro prodotto a marchio, vedrete che anche tutti gli altri prodotti del nostro territorio acquisteranno maggiore valore». PRO Sono oltre 60 i comuni veneti che ne hanno già attivata almeno una Una deco per farsi conoscere 왘 È in fermento il mondo delle deno- to concesso da un’amministrazione cominazioni comunali, le deco, nel munale a un prodotto o un piatto stretVeneto. Se finora il grande svilup- tamente collegati al loro territorio. po si era avuto soprattutto nel Vicenti«Si cerca in questo modo di difendeno, dove sono più di cinquanta i comuni re e promuovere prodotti e piatti assoluche hanno attivato una deco, da qualche tamente locali – spiega Vladimiro Riva, tempo anche a Padova si sta direttore del consorzio Vimuovendo qualcosa. E, in cenza è – piccole produzioDiffusissime attesa di una legge regionani che non possono permetnel vicentino, le per le deco di cui è già tersi certificati e quote da le denominazioni pronto il progetto, è stato di pagare. È un tentativo a cocomunali ora recente attivato un tavolo di sto zero ma importante per coordinamento interprovinmantenere l’identità di un si stanno facendo ciale tra i comuni deco. territorio. Purtroppo ci si largo anche Ma cosa sono le denoscontra con il blocco delle nel padovano minazioni comunali? Naassociazioni di categoria scono da un’idea di Gino agricole e dei consorzi dei Veronelli per tutelare e valorizzare la prodotti tipici che puntano su ciò che produzione tipica del mondo agricolo, vuole l’industria del settore, ovvero poma anche i piatti della tradizione e i chi prodotti». prodotti artigianali di eccellenza. Non «A me spiace – continua Riva – che si tratta di un vero marchio, come al ristorante, quando ordino frutta, mi quelli europei, ma di un riconoscimen- propongano ananas e non le nostre me- le. I ristoratori hanno un ruolo importante e le deco hanno funzione di stimolare anche loro, che possono contribuire a fare conoscere prodotti del territorio che poi le persone potrebbero consumare anche a casa». Lungo sarebbe l’elenco delle deco vicentine, dalla patata di Rotzo al tarassaco di Conco, dal mais di Marano al liquore Gerolimino di Santorso, dal pane delle rose di Santa Rita di Piovene Rocchette ai bigoli co l’arna di Zanè. Uno degli ultimi comuni vicentini ad approvare una deco è quello di Montegalda, che ne ha attivate subito due, dedicate rispettivamente alla grappa della famiglia Brunello e ai formaggi ovini e caprini dell’azienda La Capreria. «Questa grappa ha 200 anni di storia – spiega il sindaco di Montegalda, Riccardo Lotto – e viene fatta con una caldaia a vapore e ciclo discontinuo, mentre il formaggio è fatto da un’azienda che ne segue il ciclo intero dal fieno al prodotto finito, ed è qualcosa di unico». Cosa garantisce la deco e cosa si aspetta da essa Montegalda? «Noi non possiamo fare un controllo di qualità, ma possiamo vigilare sulla serietà comportamentale. È nostro interesse questa attenzione e, se qualcosa non dovesse essere soddisfacente, lo segnaleremmo alle autorità competenti. Attraverso questi e altri prodotti di eccellenza, come il baccalà, ci aspettiamo di fare conoscere il nostro paese». Nel territorio padovano le deco, per ora, si contano invece sulle dita di una mano: vi sono la batata (patata americana) di Anguillara Veneta, i bigoli a Monterosso di Abano Terme, l’asparago a Fontaniva. «Ma sono almeno una decina le amministrazioni in procinto di approvarne una», garantisce Loris Bar- tolomei, che assieme alla moglie Orietta è stato delegato dal neonato tavolo di coordinamento interprovinciale veneto a occuparsi di deco in provincia di Padova. «A breve – rivela Bartolomei – speriamo che ci sia una deco per i bigoli al torcio a Limena, dove c’è una confraternita molto attiva. In questi giorni c’è stato lo sposalizio tra i bigoli al torcio, fatti a mano e al momento come un tempo, e il baccalà alla vicentina deco di Sandrigo: una meraviglia. A Grantorto, invece, c’è un piatto particolare come la “fortaja col pessetto”, ovvero gli avannotti. Che, purtroppo, non sono quelli del Brenta dove non si possono pescare ma vengono da Nove». Perché questa grande voglia di deco? «Sono tutti prodotti del territorio – prosegue Bartolomei – che meritano di essere promossi. Non a caso c’è un grande interesse delle pro loco e dell’associazione cuochi di Padova e Terme Euganee. Vi sono altri comuni che vorrebbero attivarsi ma purtroppo hanno paura di andare contro le lobbies del territorio». Il deco non è un marchio che certifica la qualità ma intende invece far riconoscere un prodotto o un piatto strettamente legato a un territorio. Protagonisti sono i comuni che ne approvano gli appositi regolamenti. coldiretti 왗 XV LA DIFESA DEL POPOLO 28 SETTEMBRE 2014 MERCATO ORTOFRUTTICOLO Frutti freschi distrutti per l’invasione di prodotti stranieri. E scadenti LA FILIERA Ai contadini un decimo delle spese Lo scandalo delle mele a 2 cent al chilo Dai 25 cent al chilo del produttore a 1,50 euro per il consumatore spiegare nel dettaglio la 왘 Adrammatica situazione che Sopra, la distruzione delle mele a Merlara. A destra, Federico Miotto, presidente di Coldiretti Padova, con le mele dello scandalo. 왘 La crisi del settore ortofrutti- per denunciare uno scandalo tutto colo, aggravata dagli effetti italiano – ha dichiarato Federico dell’embargo russo e dalle Miotto, presidente di Coldiretti distorsioni di una filiera drogata e Padova – aggravato dall’ingresso senza regole, spinge gli agricolto- indiscriminato e senza controlli di ri a lasciare in campo o sugli al- frutta straniera, lontanissima dagli beri i propri prodotti. È di questi standard di qualità e sicurezza aligiorni lo scandalo delle mele, per mentare dei nostri prodotti. In le quali i produttori della nostra tempi di crisi come questo, menprovincia ricevono offerte di ac- tre le famiglie sono costrette a tiquisto a un prezzo ormai prossi- rare la cinghia per arrivare alla mo allo zero. Nella quarta settimana del Bassa Padovana le mese e a tagliare anIl paradosso: niente mele della varietà made in Italy di qualità che la spesa alimenGolden delicious soper le famiglie italiane tare, prodotti scadenno quotate addirittuti arrivano sempre e prezzi da fame ra tra i due e i tre più pericolosamente per i produttori. centesimi al chilo. nelle case e sulle taCosì la frutta rimane «Con questi prezzi – vole degli italiani. Di sugli alberi. spiega Coldiretti Pa- O, peggio, viene distrutta contro i nostri agridova – non si coprocoltori, a causa delle no nemmeno un terdistorsioni della fizo delle spese di raccolta, quindi, liera e di un mercato senza regole mele ormai mature vengono la- le, non sono in grado nemmeno sciate sugli alberi». di staccare la frutta dagli alberi. Il A Merlara, nell’azienda di prezzo riconosciuto ai produttori Marcellino Salandin, una parte ortofrutticoli in questi giorni è del raccolto di mele è stata di- scandaloso e vergognoso. Siamo strutta sotto gli occhi di diversi vicini allo zero e alla mercé di produttori della zona e alla pre- operatori commerciali senza scrusenza del sindaco Claudia Corra- poli che speculano sulla crisi del din. settore e sugli effetti dell’embar«Si tratta di un’azione choc go russo per lasciare sul campo i prodotti italiani e acquistare dall’estero. Il tutto senza alcun beneficio per il consumatore finale che continua a pagare la frutta e la verdura a caro prezzo e non può scegliere i prodotti autentici del nostro made in Italy». Per questo motivo Coldiretti ha lanciato in tutta la nostra regione la campagna “Scegli Veneto” per fare squadra intorno alla produzione locale e invitare le istituzioni a fare la loro parte attivandosi e sostenendo la filiera agricola locale, coinvolgendo anche la grande distribuzione organizzata. «Rivolgo un ringraziamento e un plauso a nome di tutta la Coldiretti al sindaco di Merlara per la presenza e il sostegno alla nostra iniziativa», conclude Miotto. A scatenare le ire dei produttori ortofrutticoli padovani è il prezzo riconosciuto in questi giorni per le mele prossime alla raccolta. Paradossalmente non c’è mercato per il prodotto fresco, così vengono offerti agli agricoltori pochi centesimi per conferire le mele all’industria di trasformazione per la produzione di purea e crema di mele. 왘 pagina a cura di Mario Stramazzo LA PROTESTA Molte le realtà impegnate anche nella ricerca e nell’innovazione del settore stanno vivendo gli agricoltori del comparto frutticolo e orticolo in questo periodo dell’anno che coincide con la raccolta di mele e pere è il direttore della sezione provinciale di Coldiretti: «Con una remunerazione di due-tre centesimi al chilogrammo per le mele nostrane – spiega Simone Solfanelli – siamo molto lontani dal coprire le sole spese vive di raccolta, di almeno dieci centesimi al chilo. A questo bisogna aggiungere i costi di produzione, in media 13-15 centesimi per ogni chilogrammo di mele. Quindi il produttore per sostenere le sole spese dovrebbe ricevere almeno 25 centesimi al chilo. Oggi siamo addirittura a un decimo di questo valore minimo, mentre le famiglie devono sborsare almeno 1,50-1,70 euro per un chilo di mele al dettaglio, fino ad arrivare anche a 2,50 euro. Così, mentre i consumatori continuano a tagliare sulla spesa alimentare perché non arrivano a fine mese, i nostri agricoltori sono costretti a non raccogliere la frutta e la verdura per non rimetterci ulteriormente. Distruggere il frutto del nostro lavoro quotidiano è una scelta estrema, una provocazione per far capire che così non possiamo andare avanti. Meglio, dunque, regalare la frutta e la verdura a chi ne ha bisogno, come ad esempio facciamo attraverso alcuni mercati di Campagna amica. Oppure, distribuirla direttamente ai cittadini, come abbiamo fatto in questi giorni davanti ad alcune scuole padovane. Vogliamo far capire che anche le nostre aziende devono vivere, altrimenti non potremo più avere un’agricoltura padovana degna di questo nome». IL COMPARTO 2.300 aziende nel Padovano provincia di Padova sono circa 330 gli ettari destinati alla 왘 Incoltivazione delle mele, concentrati per lo più nella Bassa Padovana, nell’area vocata lungo l’Adige, a Castelbaldo, Merlara e dintorni, oltre che nella zona di Monselice, Pernumia e San Pietro Viminario. Circa 250 le aziende agricole specializzate in questo prodotto per una produzione totale di 120 mila quintali e un fatturato di quasi 8 milioni di euro. Da rilevare che negli ultimi dieci anni nella provincia di Padova la superficie coltivata a mele e la relativa produzione sono più che dimezzate. Di contro le aziende ortofrutticole sono circa 2.300, di cui quasi 700 specializzate nella coltivazione di frutta (mele, pere, pesche nettarine, actinidia o kiwi, ciliegie, albicocche e susine). La produzione complessiva di frutta nel padovano si attesta intorno ai 270 mila quintali per un valore di oltre 15 milioni di euro, in calo rispetto agli anni precedenti anche a causa delle difficili condizioni meteorologiche. La produzione orticola supera il milione di quintali per un fatturato di quasi 110 milioni di euro. In questo caso la produzione è stabile ma il prezzo continua a scendere. LA SINERGIA Le mele dello scandalo gratis fino al 5 ottobre buone e genuine, dall’origi왘 Sono ne e dalla qualità garantita, coltivate nella nostra provincia da centinaia di agricoltori. Ma la filiera commerciale paga le mele nostrane appena due-tre centesimi al chilo. Così la Coldiretti di Padova, dopo la protesta choc dei giorni scorsi che ha coinvolto un’azienda di Merlara, dove lo stesso produttore ha mandato al macero una grande quantità di mele, come promesso, ha iniziato a regalare i frutti prodotti sui campi padovani ai ragazzi, di fronte alle scuole. Prima tappa di questa singolare ma decisa presa di posizione contro un mercato drogato dai troppi passaggi che interessano la filiera che va dal campo alla tavola, la scuola primaria e dell’infanzia con nido integrato Vanzo di via Marconi a Padova, nella zona residenziale di Città Giardino. Un istituto con oltre 200 alunni, gestito dalla fondazione Irpea di Padova, che è stato teatro della distribuzione gratuita di mele effettuata dagli agricoltori padovani della Coldiretti, supportati dagli imprenditori under 30 della sezione giovanile, da Impresa Padova e Donne Impresa, guidati da Massimo Bressan e Franca Dussin. Dapprima hanno consegnato un sacchetto di mele raccolte il giorno prima ai genitori che accompagnavano i figli a scuola, successivamente, alle 10.30, durante l’intervallo, la frutta è stata offerta a tutti gli alunni per una vera merenda a km zero, sana, sicura e soprattutto garantita direttamente nella qualità dagli stessi produttori. Che mostrando pubblicamente il loro volto non si nascondono certo dietro etichette di comodo che vantano aggettivi di italianità del prodotto che in realtà non sono sostenibili lungo tutto il percorso della filiera agroalimentare. Passa così alla seconda fase la mobilitazione di Coldiretti per denunciare lo scandalo tutto italiano della crisi dell’ortofrutta che sta stritolando migliaia di agricoltori e danneggiando i consumatori che non possono acquistare gli autentici prodotti made in Italy, soppiantati da merce straniera che non risponde ai medesimi standard di qualità e sicurezza. «Visto che con i due-tre centesimi al chilogrammo proposti dall’industria di trasformazione ai nostri produttori non si pagano nemmeno le spese – affermano Federico Miotto e Simone Solfanelli, presidente e direttore di Coldiretti Padova – come annunciato iniziamo a regalare le mele agli alunni davanti alle scuole. In questo modo i ragazzi e i loro genitori avranno l’opportunità di assaggiare mele di ottima qualità, prodotte a pochi chilometri dalla nostra città». 왘 Dai prossimi giorni anche i clienti di alcune aziende agricole riceveranno in omaggio quelle che ormai sono diventate le “mele dello scandalo di Merlara”, mandate al macero dallo stesso produttore, Marcello Salandin, dopo che erano state quotate appena due centesimi di euro al chilo. L’iniziativa della Coldiretti per denunciare le distorsioni del mercato che non porta alcun beneficio ai cittadini e ai produttori locali coinvolge così altre imprese agricole del territorio. È il caso dell’azienda florovivaistica Zoccagarden di Saccolongo che da sabato, in occasione della “Festa d’autunno”, regalerà nel proprio punto vendita in via per Mestrino 2 una borsa di mele appena raccolte a tutti i clienti. L’iniziativa proseguirà fino al 5 ottobre. Ovviamente si tratta di mele a km zero, coltivate dagli agricoltori nella provincia di Padova e sono le stesse che la filiera commerciale e industriale rifiuta di comperare a un prezzo che sia seppur minimamente dignitoso. Va poi ricordato che accanto a queste azioni dirette, la Coldiretti in questi giorni ha lanciato la campagna “Meglio italiano scelgo Veneto” per uscire al più presto dalla crisi che sta mettendo in ginocchio il settore ortofrutticolo. Una crisi aggravata dalle spinte speculative di un mercato senza regole e dalle conseguenze indirette dell’embargo russo. 왘l’iniziativa Mele in regalo agli alunni dell’istituto Vanzo di Padova Omaggio a km zero anche a Zoccagarden
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