Leonardo Da Vinci

Leonardo
di Ludovica Pirelli e Antonio De Leo
L’Annunciazione è un dipinto giovanile e con questo la critica ha giustificato gli errori di
prospettiva: il braccio destro di Maria troppo allungato, il basamento del leggio mal allineato, le
bugne troppo grandi, l’angelo che sembra scivolare. Il problema in realtà nasce dal non vedere
l’opera nel conteso in cui era stata pensata: probabilmente veniva vista trasversalmente più che
frontalmente. Infatti se la guardiamo da destra tutto torna a posto: il braccio di Maria si
ridimensiona, l’angelo è compostamente inginocchiato. Osservando un quadro da solo non si
comprendono alcuni dettagli: ad esempio, è vedendo La vocazione di san Matteo nella cappella
Contarelli che ci rendiamo conto che Caravaggio ha dipinto la luce di sguincio come se venisse
dalla lunetta (ora murata) effettivamente presente nell’ambiente di collocazione, la scena
rappresentata continua la sua illuminazione e vi è ben inserita.
In prospettiva:
Allo stesso modo, un’opera può risultare ancora
più enigmatica e incomprensibile se non
inquadrata nel suo contesto storico e culturale.
L’Annunciazione è ispirata alle parole di
Bernardo di Chiaravalle, a cui il fondatore della
congregazione degli Olivetani (il dipinto era
destinato a uno dei loro monasteri) era devoto.
Bernardo scrive quattro omelie in cui analizza il
vangelo di Luca, l’unico in cui c’è
l’annunciazione, e parla di Gesù come del
Mons montium, il monte dei monti.
Spesso, ad esempio nei quadri del
Romanticismo, la roccia rappresenta la virtù,
perché è difficile conquistarla, è impervia,
scalarla è il superamento di un limite ed è
possibile solo con il coraggio e il sacrificio,
anche in Leonardo le rocce indicano la fatica
del raggiungimento della santità. La cima più
alta e faticosa da raggiungere rappresenta Gesù,
che ha superato le difficoltà del martirio e della
morte. Il mondo degli uomini invece, che non è
santo, è rappresentato dall’acqua.
Nell’Annunciazione notiamo che nel centro non
c’è Maria. Sul fondo ci sono cipressi, olmi e
abeti, quelli che nelle parole di Isaia
abbelliscono il luogo del santuario di Dio, tranne
che nella parte centrale, dove lo scenario si apre
verso un monte immerso in un paesaggio
liquido: è Cristo tra gli uomini.
Inoltre, Bernardo dice che nel giorno
dell’annunciazione piove e la terra si riempie di
rugiada: è come se Dio, fecondando il ventre di Maria, fecondasse la terra, che si apre, si
squarcia per accettarlo. Il prato ai piedi dell’angelo è il santuario dell’accoglienza del divino, il
ventre fecondato. Il mistero del concepimento di Gesù era un problema forte, che andava
accettato come veniva raccontato o altrimenti poteva essere qualcosa di inaccettabile: quel seme
per poter sviluppare il bambino divino deve essere reale. Dio stesso è materiale, non solo la sua
incarnazione tra gli uomini. Leonardo forse risolve la questione riferendosi alla grotta come
ambiente che accoglie il divino.
Questo ci riporta a un altro dipinto di Leonardo, la Vergine delle Rocce (parleremo della prima
versione, quella che ora si trova a Parigi), ermetico, difficile da interpretare, tanto per cominciare
perché mettere Maria in una grotta?
Seneca, autore che Leonardo conosceva, ha scritto in una delle lettere a Lucilio un brano che ci
richiama il tema dell’opera: “Se ti imbatterai in un bosco sacro, denso di alberi vetusti e
cresciuti oltre l’altezza ordinaria e tale da sottrarti la vista del cielo con il fitto intrico dei suoi
rami che si coprono a vicenda, l’altezza degli alberi, l’appartata solitudine e lo spettacolo
suggestivo dell’ombra così compatta e continua pur nel bel mezzo di una campagna aperta, ti
comproveranno la presenza di un nume. Se un antro formato da rocce profondamente erose
tiene come sospeso un monte, un antro non fatto dalla mano dell’uomo, ma scavato da cause
naturali per una larghezza cosi enorme, ebbene questo fenomeno colpirà il tuo animo con
l’indefinita sensazione di una presenza divina. Veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; la polla
improvvisa di un imponente corso d'acqua, scaturita dal sottosuolo, ha i suoi altari; si onorano
le sorgenti di acque termali. Alcuni stagni hanno acquisito sacralità per la cupezza o la
profondità insondabile delle loro acque.”. Si parla di una grotta scavata all’interno di un monte e
da qui possiamo ricordare i significati che abbiamo attribuito alle rocce nell’Annunciazione , cioè
virtù, mentre la cima più alta e faticosa da raggiungere era rappresentata dal Mons montium,
Gesù. Mettendo insieme queste immagini potremmo dire che la grotta è il santuario della
fecondazione divina.
Non finisce qui quello che possiamo trovare nella Vergine delle Rocce.
Un’interpretazione che dà Argan parte dai personaggi. Gesù poggia la mano sinistra sull’orlo di
un baratro, raccontando la condizione di destinato al martirio. Chi espanderà la Chiesa sarà
Giovanni, prosecutore del messaggio cristiano, indicato dall’angelo, infatti Maria protegge lui e
non Cristo coprendolo con il suo mantello, e Maria nella sua ampia veste che avvolge e che
suggerisce la forma di una cupola rappresenta proprio la Chiesa di Roma. Inoltre, Gesù benedice
Giovanni. I quattro sono disposti a croce.
Argan fa anche altre ipotesi. Guardiamo l’ambiente in cui si
svolge la scena, una grotta umida. L’atmosfera è densa e questo
è usuale in Leonardo. Confrontiamo i suoi dipinti con quelli di
Botticelli, le figure di quest’ultimo hanno un contorno netto e
ben definito che le staglia dal fondo, l’atmosfera praticamente è
assente e le immagini tendono ad essere più piatte che in
Leonardo, in cui invece l’atmosfera è fondamentale: costruisce
le
distanze
nell’opera
interponendosi tra la realtà
rappresentata e l’osservatore,
sfuma i contorni rendendo
indistinguibile il passaggio tra
la figura e lo sfondo. Nella
Vergine delle Rocce rende
sfumato e non leggibile il
fondo, lo perde nell’indefinito,
le rocce che si vedono in
lontananza dallo squarcio
nella grotta si dissolvono nel
cielo. I fiori sul davanti invece
sono nitidi, dipinti con
minuzia fiamminga.
Questo ci permette di fare un discorso sul tempo. Il fondale
indeterminato è il passato geologico e remoto, la storia lontana; il bordo più esterno, rivolto
verso l’osservatore, rappresentato con una grande precisione di dettagli è il presente, che
possiamo leggere con esattezza.
Quindi c’è una visione contemporanea del tempo antico e del tempo
attuale, di elementi indeterminati e definiti,
di cose grandi come le montagne e quelle
piccole come i fiori. C’è un passaggio di
scala ampio senza intermediazioni, non
servono; l’uomo percepisce entrambi gli
estremi ed è lui stesso il mediatore tra i due
mondi. Come nel Partenone, l’uomo si sente
al centro dell’universo, la misura di tutte le
cose, può conoscere sia l’universo che il
granello di sabbia. Il suo pensiero, i suoi sensi, la sua condizione fisica, psichica, filosofica lo
pongono nel mezzo tra l’estremamente grande e l’infinitamente piccolo. Ci si riappropria
dell’idea della centralità dell’essere umano, l’uomo è colui che indaga e comprende la natura,
tant’è vero che rinasce la scienza e Leonardo ne è una forza trainante, analizza il mondo e si
appropria di quelle conoscenze tanto che può riprodurle nelle sue opere, ha studiato i fiori e
quindi li può rappresentare con esattezza nella Vergine delle Rocce.
E’ però un’indagine in cui Dio non è mai dimenticato. E’ un approccio diverso dalla scienza di
oggi: non è una ricerca laica della verità, un’analisi fatta dall’esterno, si cercano la perfezione del
creato e le regole divine con cui è stato fatto il mondo. Dio è sempre presente nell’UmanesimoRinascimento, la sua opera non viene mai messa in discussione.
E’ l’avvicinamento di Dio agli uomini avvenuto con Cristo che dà la possibilità di indagare la
natura con esattezza.
Lo sfondo, il tempo prima di Cristo, è indefinito, non riusciamo a conoscerlo esattamente; con la
rivelazione cristiana comincia la conoscenza. Gesù apre uno squarcio sulla realtà permettendo di
vederla con chiarezza: la grotta crolla, aprendo la possibilità dell’illuminazione all’interno, da lì
in poi tutto è nitido. Si capisce che la volta della caverna è caduta perché altrimenti l’apertura sul
fondo, da sola, creerebbe una situazione di controluce, mentre invece i volti dei personaggi sono
illuminati.
La venuta di Cristo è uno sconvolgimento che cambia la consapevolezza dell’uomo e la sua
visione del mondo.
opera non ancora restaurata
C’è un’altra opera di Leonardo che si collega a questo discorso, l’Adorazione dei Magi, che
l’artista non finì mai, tanto che alla fine i suoi committenti dovettero richiedere un altro dipinto a
Filippino Lippi al suo posto.
E’ un’adorazione dei Magi inconsueta. E’ povera, non spiccano ricchi doni ed è incompiuta, per
cui i personaggi sono appena accennati e se ne ricava solo il senso di una massa indistinta, che in
un dipinto compiuto e definito non si sarebbe potuto avere. Tutto questo è funzionale a ciò che
Leonardo vuole raccontare.
Si concentra sull’evento: l’Epifania, la presentazione di
Cristo agli uomini, il manifestarsi del divino. Gesù è su un
poggio, in braccio a Maria, circondati dalla folla. Si generano
due forze: la presenza della divinità richiama il popolo che
accorre per vedere ma allo stesso tempo la riverenza verso la
santità
che
l’uomo
non
può
raggiungere
e
l’incommensurabilità dei due mondi creano un vuoto, una
distanza incolmabile. E’ come se la presenza di Gesù fosse il
motore immobile di una forza centripeta e di una forza centrifuga, una che richiama e una che
impedisce di condividere il suo stesso spazio, le due forze si equilibrano e la risultante è una
massa rotante intorno al fenomeno centrale, come un vortice, che non arriva mai a toccare Cristo.
Le due realtà non possono interagire, sono incompatibili. Uno è l’universo dell’eternità, della
perfezione, della trascendenza; l’altro quello terreno e corruttibile della morte, della malattia e di
tutti gli affanni umani. Lo vediamo nella Creazione di Adamo di Michelangelo, c’è la scintilla
divina che viene trasmessa da Dio all’uomo, ma le loro dita nemmeno si sfiorano.
A richiamare gli uomini verso Gesù è il Furor,
un’intuizione del divino, una comprensione
immediata che non ha bisogno di istruzione o
preparazione. La presentazione di Cristo è un
evento tanto determinante che coinvolge tutti
senza dover essere spiegato, pur non potendosi
avvicinare completamente a Dio l’uomo ne
rimane sconvolto.
La rivelazione cristiana cambia la condizione
umana.
Questo sconvolgimento che porta a una nuova
consapevolezza è rappresentato nell’albero sul
poggio: nello stesso tumulto in cui perde le
foglie (il passato) nascono nuove gemme,
raccontando la rinascita dell’uomo grazie alla
venuta di Cristo, il nuovo mondo con una nuova
coscienza. Inoltre, notiamo che le radici, che
sporgono, sono antiche: alludono a ciò che ha
preceduto Gesù.
Dettaglio dell’opera (non ancora restaurata)
Nel passato l’uomo si era sempre teso verso la ricerca della
verità, ma è solo adesso che riesce a raggiungerla
pienamente. Michelangelo lo racconta nei profeti e nelle
sibille della volta della Sistina: sono le figure che hanno
avuto il presentimento del futuro, l’intuizione di un mondo
oltre l’umano, potevano stare in entrambi i mondi: la sibilla
cumana accompagna Enea nell’oltretomba. La storia antica
con la sua tensione verso la conoscenza, pur non
raggiungendo quella perfetta, è fondamento del tempo
cristiano, il nuovo nasce dalla storia, dal passato che l’ha
preceduto. Nel fondo dell’Adorazione notiamo scene di
battaglia e rovine antiche: rappresentano gli affanni degli
uomini nella ricerca della verità e nella costruzione del mondo della conoscenza, ma solo Cristo
può dare questo. Tornando a Michelangelo, sullo sfondo del Tondo Doni ci sono dei nudi che
rappresentano il mondo pagano, ma non guardano la sacra famiglia, sono due realtà diverse ma
Giovanni, che si sporge dalla balaustra, è il legame tra loro. Gesù, che incarna il nuovo
Testamento, è sollevato da Giuseppe e Maria, che sono il vecchio Testamento: Gesù è sostenuto
da tutto il passato che l’ha preceduto.
Dal vecchio al nuovo testamento il corso della religione cambia: da un Dio distante e terribile a
una divinità misericordiosa, infatti nell’Adorazione Gesù porge la mano verso gli uomini,
consentendo loro di avvicinarsi.
Le rovine antiche ci raccontano anche altro. Non ci deve sorprendere se un dipinto può essere
raccontato contemporaneamente in più modi.
L’opera d’arte deve aprire spazio all’interpretazione in modo da coinvolgerci: cercando le chiavi
per leggerla finiamo poi per andare più in là di una spiegazione determinata, che non basta per
esaurire la comprensione dell’opera; passiamo poi al godimento, la guardiamo ancora per
scoprire continuamente la visione e le emozioni che ci può dare.
Se guardiamo quei resti ai raggi x, o se aspettiamo che il restauro finisca, ci rendiamo conto che
ci sono degli operai che lavorano: non è distruzione ma la ricostruzione di un tempio. Questo ci
porta ai libri di Isaia, che ci offrono delle chiavi di lettura.
Isaia (a dire il vero, ci sono tre Isaia, ma le tre voci si raccolgono in un unico profeta, Isaia è una
figura simbolica) è sempre stato importante nella tradizione cristiana, in particolare: il Libro
dell’Emmanuele, in cui si parla della nascita di un bambino, futura salvezza del popolo ebraico e
luce delle nazioni, da una giovane donna (poi tradotto con “vergine”) che instaurerà un regno di
giustizia e armonia tra uomo e resto del creato; il Libro della Consolazione, in cui si parla del
Servo di Jahvè, considerato prefigurazione di Cristo che soffre e muore salvando l’umanità.
Dettaglio dell’opera (in corso di restauro)
Il profeta chiama il messia virgulto, cioè giovane
pianta, notiamo che nell’Adorazione l’albero è
giovane, che dietro c’è un angelo che ne indica la
chioma e un vecchio lì vicino che guarda solo quella e
non Gesù; in questo punto di vista, la storia antica
simboleggiata dalle radici è quella della stirpe di
Davide.
Dettaglio dell’opera (in restauro)
Inoltre, Isaia nelle sue profezie alterna la distruzione e la ricostruzione, prevede la morte e il
giubilo. Sul fondo dell’Adorazione ci sono battaglie, la guerra con le sue emozioni, c’è un cane
che ringhia e il terrore del cavallo, ma c’è anche la ricostruzione del tempio. Isaia dice che il
messia è colui che ricostruirà il tempio di Gerusalemme, è il riparatore del mondo e perciò anche
popoli lontani accorrono a omaggiarlo. Nella riparazione del tempio ci sono la ricostruzione dei
resti del passato, l’edificazione di un futuro, la costruzione di un mondo senza distruzione, c’è la
speranza di un riscatto degli uomini.
C’è una figura che contempla tutta la scena come se guardasse la sua opera: è Isaia che guarda
ciò che ha profetizzato. Gesù è il motore immobile dei moti dei personaggi, ma la scena è
costruita da Isaia. La sua presenza dà anche il senso di un evento in atto adesso, come se fosse
un’attualizzazione più che un racconto storico.
Adorazione in corso di restauro
L’Adorazione non è statica, ci sono dei moti in atto. Non è inusuale in Leonardo. Vasari di lui
dice che inventa un’arte moderna, diversa da quella che lo ha preceduto e che influirà su quella
successiva.
Parla di moto e fiato: il moto è il movimento, il fiato è la forza vitale, il respiro. Le figure non
sono mai rappresentate in uno stato di sospensione vitale, ma nel loro movimento in atto, nel
respiro, sono persone vive.
Guardiamo il San Gerolamo, scarno, digiuno, possente, colto nell’attimo in cui apre il braccio
per poi flagellarsi, diverso dal san Girolamo di Lippi a braccia chiuse.
Nei ritratti di Leonardo c’è altro rispetto alla
maggior parte dei ritratti dell’epoca, intanto
sono di tre quarti invece che di profilo, questo
contribuisce a non farne solo dipinti di
rappresentanza della persona, ma con il moto,
con lo sguardo, con le posizioni del corpo cerca
di rappresentare anche il fiato vitale, l’anima
della persona, guardiamo ad esempio il ritratto
di Ginevra Benci.
C’è un dipinto in cui il moto e il fiato sono
particolarmente importanti, il Cenacolo, che si trova a
Milano nel refettorio del convento di Santa Maria delle
Grazie.
Leonardo sceglie un momento inusuale da raccontare,
quello in cui Cristo annuncia: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. Una mano è
rivolta verso terra, a ricongiungersi alla sua condizione umana, agli effetti terreni, con il suo
destino di martirio; l’altra guarda il cielo, ricordando il futuro in cui si ricongiungerà al padre,
riunendosi nella trinità, notiamo inoltre che Gesù assume una forma triangolare proprio a
simboleggiare l’unione della trinità in lui in quell’attimo. Guarda verso il basso, si estranea
dall’ambiente che lo circonda, è come se fosse in uno stato di sospensione temporale, di assenza
dalla realtà, non fa più parte del tempo degli uomini e le passioni le lascia a loro. E gli apostoli
reagiscono con passione.
Spesso nei dipinti che descrivono l’ultima cena non tutti i personaggi rappresentati sono
coinvolti, qui sì e ognuno interagisce con tutti gli altri in una reazione a catena. Un altro artista
del passato aveva fatto opere in cui azioni e reazioni erano concatenate: Fidia. Generalmente, le
statue che componevano i gruppi marmorei dell’arte greca potevano essere considerate
isolatamente, in quelli di Fidia invece i soggetti sono in relazione emotiva tra loro, al gesto di
uno risponde l’altro e se manca un pezzo c’è un vuoto nella comprensione.
Ricostruzione del frontone ovest del Partenone
E’ come se l’annuncio di Cristo scatenasse un vento che scuote i discepoli come delle spighe di
grano. Gesù è il motore immobile, che trasmette il moto ma non si muove. Possiamo fare un
piccolo paragone con Giovanni nel Compianto sul Cristo morto: entrambi sono geometricamente
al centro delle rispettive opere, indicano con le mani cielo e
terra e sono il fulcro dei moti dei personaggi, anche se
chiaramente i loro ruoli sono diversi: Giovanni fa da raccordo
tra cielo e terra, trasmette i moti di disperazione e di speranza
ed è il fulcro della spirale che va dall’abisso alla futura
rinascita, ma non è certo un motore.
Le parole di Gesù sono sconvolgenti e impensabili, ognuno
degli apostoli crede se stesso e gli altri compagni il massimo
dell’abnegazione e della devozione, avevano abbandonato le loro vite consuete per lui, non per
interesse ma per convinzione, sono disposti a dare la vita… lo sgomento e lo sconvolgimento che
provano in quell’attimo sono forti, si scatenano tutte le reazioni possibili, Argan dice che
Leonardo mette in atto un gioco di moti, azioni, e moventi, le ragioni dei moti, il movente
comune qui è la dichiarazione di Gesù. L’artista vuole dare voce a tutti i moti dell’anima e il
pittore può raccontare i sentimenti solo con i movimenti del corpo, dai gesti esprimere l’anima
della persona. Goethe in un libro sul Cenacolo dice che solo un italiano poteva realizzarlo,
proprio per la gestualità così espressiva, le mani sono fondamentali.
Ognuno reagisce all’evento e la sua reazione influenza quelle dei compagni, ogni moto è in
relazione con tutti gli altri, ogni azione che viene aggiunta costringe a ricalibrare l’intero gruppo.
Perciò Leonardo non può scegliere la tecnica dell’affresco tradizionale, in cui si dipinge a
giornata: si stende dell’intonaco su una parte di muro e si finisce entro il giorno stesso, dopo non
si può correggere a meno di non grattare via tutta la malta e ricominciare da capo. Leonardo
aveva bisogno di aggiungere, modificare, ricalibrare continuamente le sue opere: portò con sé la
Gioconda sviluppandola per anni; Matteo Bandello, uno scrittore dell’epoca, ci racconta i ritmi
strani con cui è stata dipinta L’ultima cena: si alternavano giorni in cui il pittore ci lavorava
instancabilmente e altri in cui non ci metteva mano, la guardava soltanto. Ci ha meditato a lungo.
Senza armonizzare l’espressione di ogni personaggio in risposta a ogni aggiunta non avrebbe
costruito il gioco di azioni e reazioni; non può considerare concluso nessun frammento del
dipinto finché tutto non è completo. Cerca allora una tecnica che gli consenta di correggere
facilmente, a essiccazione rapida, ma il risultato è che l’opera si deteriora tanto facilmente che
già ai tempi di Leonardo Ludovico il Moro ne fece fare una copia. Le cause sono varie e possono
essere addebitate agli errori della tecnica, all’ambiente e alle disavventure che l’opera ha subìto
nel tempo.
Leonardo stende un sottile strato di biacca (bianco di piombo, un pigmento) sopra due strati di
intonaco, sul quale dipinge con una tempera grassa a base di olio di lino e uovo, ma la tecnica
usata era adatta più alla tavola che al muro e i colori non venivano assorbiti bene come
nell’affresco. Già in un’altra occasione Leonardo aveva sperimentato una tecnica nuova con
cattivi risultati, nella Battaglia di Anghiari. Leonardo e Michelangelo avevano ricevuto
l’incarico di affrescare il
Salone dei cinquecento di
Palazzo Vecchio a Firenze;
Leonardo ama sperimentare
tecniche nuove, più semplici
e
più
avanzate
del
tradizionale affresco, così
rielabora
quella
antica
dell’encausto, che fissa i
colori grazie al calore. Forse
a
causa
delle
grandi
dimensioni del dipinto, non
si riuscì a raggiungere
uniformemente
una
temperatura elevata e la
pittura colò con grave danno
dell’opera.
Copia di Rubens della parte centrale della Battaglia
Ciò che era rimasto è andato perso, e anche i cartoni della Battaglia di Cascina di Michelangelo,
di entrambi sono rimaste solo delle copie. Nel Cenacolo il problema non nasceva solo dalla
tecnica, il refettorio era molto umido, oltretutto vi si verificò un allagamento già in quel periodo
e successivamente fu trasformato in stalla. I restauri successivi peggiorarono la situazione: non
c’era il rispetto filologico dell’opera, chi interveniva metteva la sua interpretazione, è stato solo
nell’ultimo restauro che L’ultima cena è stata ripulita dalle stratificazioni successive. Infine, i
monaci ci hanno aperto una porta, il convento è stato bombardato durante la Seconda guerra
mondiale, insomma il Cenacolo è
passato attraverso varie peripezie.
Leonardo aveva un altro problema,
non strettamente tecnico. Il fatto
che ogni azione sia concatenata
con ogni reazione implica che
l’insieme delle combinazioni è
enorme.
E’
un’equazione
impossibile, una situazione troppo
complessa. Il pittore usa allora un
espediente: riduce il numero di
interazioni restringendo i dodici
apostoli in quattro gruppi. Ci sono
così due livelli di relazioni: ogni
personaggio
risponde
a
ed
influenza le reazioni degli altri
compagni del gruppo; ogni gruppo
risponde a ed influenza gli altri
gruppi. Gli elementi rimangono
concatenati, ma la complessità è
ridotta rendendo l’evento leggibile.
Il tutto non è semplicemente il racconto di tutti gli stati d’animo provati in un istante del passato
e bloccati lì. Leonardo attualizza il momento.
Il Cenacolo prosegue esattamente lo spazio del refettorio. Il tavolo è uguale a quello usato dai
monaci e si inserisce tra loro: di fronte c’è la tavola del priore, il quale era in posizione speculare
a Gesù, altri due tavoli erano ai lati. La tovaglia e le suppellettili sono le stesse, e anche
l’illuminazione. Come nella Vergine delle Rocce, c’è una fonte di luce alle spalle dei personaggi:
ci sono tre aperture (tra l’altro, la modanatura sopra quella centrale suggerisce la forma di
un’aureola di Cristo). Però i visi non sono in controluce quindi c’è un’altra luce che li illumina
dal davanti. Nel refettorio c’erano, in alto, delle lunette, che erano però state murate; Leonardo le
fa riaprire. Vuole che la luce del dipinto sia suffragata da un’illuminazione reale, effettivamente
presente nella stanza.
Vuole far corrispondere la realtà effettiva con la realtà rappresentata, vuole che corrisponda lo
stato d’animo di quell’istante eternizzato con la realtà dell’adesso.
I monaci mangiano ogni giorno insieme a Cristo nella sua ultima cena, servono alla sua tavola,
rivivono quell’episodio.
Non si tratta di un racconto storico, è un’attualizzazione, l’evento avviene a ogni pasto e i suoi
sentimenti si rinnovano continuamente nel presente.
E’ un memento, allo stesso tempo monito e indicazione della strada da seguire.
Il tradimento di Giuda prelude al martirio di Gesù e all’affermazione del cristianesimo. Ne
L’opera del tradimento Mario Brelich analizza il ruolo di Giuda e il perché Gesù lo avesse scelto
nonostante fosse consapevole delle conseguenze: arriva alla conclusione che Giuda era
necessario, perché altrimenti non ci sarebbero stati il calvario, il sacrificio per gli uomini, la
vittoria sulla morte e il trionfo del cristianesimo.
I monaci devono ripetere e guardare al percorso di Cristo. Devono scalare le stesse vette
impervie per raggiungere la virtù, ripercorrere i suoi dolori, compiere delle rinunce. Il momento
che prelude al percorso di martirio di Gesù deve essere loro ben presente. E deve essere ben
presente anche in un altro senso.
E’ vero che Giuda era necessario. Ma è vero pure che le conseguenze delle sue azioni sono
speranza, ma anche dolore, come abbiamo visto nel Compianto sul Cristo morto. Qui sta il
monito: se tradisci il tuo dio, lo uccidi. La vita del chierico deve essere quindi integerrima e non
può deviare dal percorso impervio indicato dalla guida divina per raggiungere la virtù, altrimenti
equivale al tradimento di Giuda, rappresenta il tradimento dei dettami della religione e della
figura di Cristo. E’ come se si riversassero sui monaci le colpe di quel tradimento: non sono
discolpati perché non erano presenti all’evento, perché lo rivivono ogni giorno, sono presenti.
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