RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 4 marzo 2015 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli ECONOMIA (pag. 2) Prove generali di Jobs Act a Nordest (Piccolo) Recupero edilizio, 13 milioni dalla Regione (Piccolo) REGIONE (pag. 4) Battaglia sul Tpl, 1.853 addetti in allarme (Piccolo) Sì al biotestamento. Fvg primo in Italia (M. Veneto, 2 articoli) Scuola: salta il decreto in arrivo nuovi tagli (M. Veneto) Fincantieri chiede mezz’ora “gratis”. Landini: inaccettabile (M. Veneto) Belci promuove Castro: sul Jobs act ha ragione, è più a sinistra di Renzi (M. Veneto) Promoturismo, all'agenzia 340 addetti (160 stagionali) (Gazzettino) CRONACHE LOCALI (pag. 10) Cassa integrazione alla Cartiera Burgo (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Il nodo di Fincatieri sulla mezzora gratis (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Oggi il vertice sul futuro della Eaton (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Sanità, un "buco" di 48 posti negli organici (Piccolo Gorizia-Monfalcone) “Truccato” un modello Isee su due (Piccolo Trieste) Il Consiglio sulla Ferriera finisce in rissa (Piccolo Trieste) Picchione trasferita, se ne va a L’Aquila (Piccolo Trieste) Tasse lievitate del 50% in tre anni (M. Veneto Pordenone) Provincia, passa la mozione per mantenere la Prefettura (Gazzettino Pordenone) Domino, l’asta va al gruppo Treesse. Si riparte a giugno (M. Veneto Pordenone) Lavinox, si torna al lavoro con l’incognita del salario (M. Veneto Pordenone) Agorà, stipendi in ritardo e nuove accuse (Gazzettino Pordenone) Metro, priorità per i posti liberi (M. Veneto Pordenone) Electrolux, il bilancio illustrato in fabbrica (Gazzettino Pordenone) Anno record per Bo Frost (M. Veneto Pordenone) Mercatone Uno, il 12 anche il Fvg sarà al ministero (M. Veneto Udine) «Non mi pagate? Non vengo al lavoro» (Gazzettino Udine) ECONOMIA Prove generali di Jobs Act a Nordest (Piccolo) di Piercarlo Fiumanò TRIESTE Prove generali di Jobs Act a Nordest. Il summit fra le imprese metalmeccaniche di Confindustria Pordenone, Udine, Venezia Giulia, Belluno Dolomiti e Venezia, avvenuta l’altro giorno a Pordenone, conferma che è in atto una concertazione più ampia fra le organizzazioni confindustriali. Un incontro in programma da tempo e definito «di routine» dai protagonisti. Tuttavia la presenza del direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, conferma il peso di una discussione che si è soffermata su un progetto di ampliamento dell'offerta complessiva di servizi erogati su scala regionale. Di fatto una prima consultazione sulle novità del Jobs Act varato dal governo Renzi che potrebbe avere un forte impatto sul mercato del lavoro anche in Friuli Venezia Giulia. «Ci sono diverse imprese anche triestine pronte a fare ricorso al Jobs Act per assumere», chiarisce il presidente di Confindustria Venezia Giulia e presidente di Wärtsilä, Sergio Razeto. Al summit di Pordenone erano presenti grandi gruppi come il colosso dei motori triestino Wärtsilä, Piaggio e Electrolux. Per Confindustria Venezia Giulia c’erano Luca Farina, presidente della Orion e responsabile della sezione metalmeccanica, Michela Cecotti (sezione navalmeccanica) con Raffaele Ferrio, direttore risorse umane di Wärtsilä Italia. Sono trascorse solo poche settimane dal varo della nuova organizzazione che nasce dalla fusione delle strutture di Trieste e Gorizia e rappresenta oltre 550 imprese nel settore industriale. Un’alleanza che per il leader di Confindustria Giorgio Squinzi costituisce «un modello di aggregazione da seguire anche in altre aree del Paese». E si propone chiarisce Razeto- di darsi in due tre anni «un volto più moderno e dinamico». Anche per dare una spinta a investimenti e mercato del lavoro. Nei piani del governo Renzi 200mila lavoratori passeranno dai contratti a progetto al tempo indeterminato. «Rottamate» forme di contratto come i co.co.co. e co.co.pro, è stato già introdotto il contratto a tutele crescenti che si applicherà ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, per i quali stabilisce una nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi. In vigore anche il nuovo ammortizzatore sociale (Naspi): chi perde il lavoro ha almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni ha diritto a un sussidio pari alla metà delle settimane per le quali si sono versati contributi. É noto che il Jobs Act prevede in alcuni casi il superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che regola il reintegro in caso di licenziamenti illegittimi. Le imprese metalmeccaniche nordestine sono pronte ad assumere ricorrendo al nuovo strumento ma prima di partire attendono che tutta la materia sia regolata dai decreti attuativi. Il governo ha sei mesi per legiferare per fare chiarezza sugli ammortizzatori sociali, la normativa in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive (incentivi per l’occupazione), la semplificazione delle procedure a carico di cittadini e imprese. «Tutto quello che viene fatto per modernizzare il Paese va visto con la più grande attenzione», ha detto di recente Giuseppe Bono, numero uno degli industriali del Fvg e Ceo di Fincantieri. «Il Jobs Act è una legge importante che ci avvina alla legislazione europea», aggiunge il presidente di Confindustria Venezia Giulia. «Ma perchè abbia efficacia-sostiene Razeto- è necessario che il mercato riparta. Penso soprattutto alle piccole e medie imprese triestine il cui fatturato è rivolto in gran parte alle esportazioni. Le strutture di Confindustria Venezia Giulia sono già pronte per sostenere le nostre imprese. Se guardiamo allo scenario economico ci sono tutte le condizioni per una ripresa. Soprattutto le medie imprese triestine stanno ricominciando a investire anche se alcune hanno sofferto il blocco commerciale con la Russia. Ma la forte liquidità sul mercato grazie all’azione tempestiva della Bce e il calo dell’euro rispetto al dollaro sono fattori competitivi importanti». Recupero edilizio, 13 milioni dalla Regione (Piccolo) di Massimo Greco TRIESTE Interventi di recupero, riqualificazione e riuso del patrimonio immobiliare in stato di abbandono o di sottoutilizzo: la Legge regionale 15 dell’agosto 2014 è finalmente dotata del regolamento che consente all’amministrazione di destinare 13 milioni di euro a questo tipo di operazioni. Il relativo bando dovrebbe essere di imminente emanazione. E’ una notizia interessante che coinvolge, a diverso titolo, quattro categorie di potenziali utenti: proprietari, imprese, immobiliaristi, aziende edili. In particolare, per il settore delle costruzioni, che purtroppo ha proseguito nel corso del 2014 in una annosissima china discendente, rappresenta una piccola ma importante boccata d’ossigeno: la norma è il frutto della collaborazione tessuta tra gli uffici redigenti e l’Ance Friuli Venezia Giulia. La filosofia del provvedimento è ispirata da una triplice volontà: intensificare le politiche di recupero, limitare il consumo di suolo, migliorare le condizioni delle zone centrali cittadine. Vediamo come funziona. Innanzitutto il 40% delle risorse disponibili riguarderà le domande presentate da persone fisiche, il 60% da soggetti privati «diversi dalle persone fisiche». Il contributo a fondo perduto copre fino a un massimo di 40 mila euro ad alloggio residenziale, se riguarda una persona fisica; arriva a 30 mila euro ad alloggio, se a richiederlo è un soggetto privato «diverso dalle persone fisiche» (alias un’azienda). Ripetiamo: ad alloggio. Per esempio, in un immobile composto da quattro alloggi, si possono ottenere 160 mila euro di contributo. L’allegato 1 del regolamento riporta 8 criteri sui quali si strutturerà la graduatoria delle domande: per citarne solo alcuni, la classe energetica, la sicurezza sismica, la prima casa, il numero di alloggi. Dal punto di vista urbanistico sono interessate alla contribuzione le zone omogenee A e B0, dunque aree centrali o semi-centrali: per intenderci, in una città come Trieste - “traduce” Donato Riccesi, presidente dell’Ance giuliana - «l’estensione è significativa, arrivando a Barriera Vecchia e a via Giulia». Venerdì scorso le caratteristiche della Legge 15/2014 sono state spiegate all’assemblea triestina dell’Ance, che, alla luce della prolungata magra stagionale, ha favorevolmente recepito il messaggio. Anche perchè la tipologia dell’intervento e del conseguente contributo sembra maggiormente adattarsi alla realtà urbana del capoluogo regionale. La cifra in palio - i 13 milioni citati all’inizio - non è di quelle che cambia il corso degli eventi, ma perlomeno si spera che inneschi un ciclo virtuoso. L’auspicio è di un rapido esaurimento delle risorse, in modo che il prima possibile la legge possa essere rifinanziata. I segnali di provenienza regionale paiono promettenti: sono in arrivo altri 20 milioni per la ristrutturazione delle scuole - in aggiunta ai 30 mln del 2014 -, mentre 11,4 milioni verranno stanziati per il recupero di alloggi Ater (quasi metà dell’importo riguarda la provincia di Trieste). D’altronde sul versante dell’edilizia residenziale privata il flusso dei mutui alle famiglie, dal 2007 al 2013, è sceso di quasi il 60% in Regione. E le compravendite a uso abitativo , dal 2007 al 2014, sono più che dimezzate. Infatti Valerio Pontarolo, presidente dell’Ance Fvg, interpreta come «segnale positivo» i contributi destinati al recupero edilizio: «motore di ripresa» e «iniezione di fiducia» il suo commento. «Le risorse non sono molte - prosegue ma si si potranno comunque portare a termine opere interessanti». REGIONE Battaglia sul Tpl, 1.853 addetti in allarme (Piccolo) di Marco Ballico TRIESTE Il “vangelo” è il protocollo d’intesa con la Regione del settembre 2014. Quello firmato anche dall’Orsa, Organizzazione sindacati autonomi di base. «Non accetteremo che si tocchino quegli accordi sul personale», dicono le categorie del trasporto pubblico locale attente e preoccupate sulla vicenda del bando per la gestione unica del servizio contro cui si batte Bus Italia-Sita Nord, società delle Ferrovie dello Stato. I numeri Quegli accordi riguardano 1.853 persone, i cui costi si aggirano attorno agli 80 milioni di euro all’anno. Si tratta di 803 dipendenti di Trieste Trasporti, 601 della Saf Udine, 247 dell’Atap Pordenone, 202 dell’Apt Gorizia. Sono firmati dall’assessore regionale alle Infrastrutture Mariagrazia Santoro e da varie sigle di settore: Filt Cgil, Fit Cisl, Uil Trasporti, Faisa Cisal, Fast Confsal, Cat, Orsa. Le tutele Il protocollo per l’affidamento del servizio di trasporto pubblico locale su gomma della Regione Fvg con gara aperta a evidenza pubblica, ricordano i sindacati, nel rispetto della legge regionale 23/2007, tutela i lavoratori dal primo all’ultimo, ma sollecita il vincitore della gara, chiunque sia, anche al rispetto degli standard di qualità. Il documento fissa innanzitutto le garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali e prevede l’applicazione, per tutti gli assunti, del contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria auto-filo-ferrotranvieri e internavigatori. E prevede poi che il personale in forza agli attuali gestori, ad eccezione di quello che gli stessi intendano conservare alle proprie dipendenze, venga trasferito con continuità di rapporto di lavoro, mantenendo nel tempo i diritti acquisiti anche tramite contrattazione integrativa e, per ciò che attiene la retribuzione, anzianità e profili professionali. Tfr e organizzazione Tutte clausole inserite nel bando. Compreso il fatto che l’affidatario sarà obbligato a riconoscere al personale trasferito le risorse del Tfr e gli importi relativi ai rinnovi contrattuali a partire dal 2012 fino al subentro agli attuali gestori, nonché quelli a copertura degli eventuali conguagli alla quota una tantum già erogata per il triennio 2009-2011. E ancora andrà assicurato l’impegno a un confronto con le organizzazioni sindacali sull’organizzazione dei posti di lavoro per favorire il più possibile una coerenza tra gli attuali luoghi di impiego o residenza dei lavoratori con quelli futuri. Infine, l’affidatario potrà sub-affidare ad altra impresa i servizi di Tpl e le attività correlate, previa autorizzazione regionale, ma per una quota non superiore al 20%. I paletti «Un percorso condiviso con la Regione che non intendiamo vedere toccato», chiarisce Lilli Bigoni (Fit Cisl). Tanto più dopo che il Tar, nel pronunciamento di metà gennaio, ha ritenuto legittima la clausola sociale relativa alla tutela e le modalità di trasferimento del personale dal gestore uscente a quello subentrante, con l’unica necessità di un chiarimento riguardante la quantificazione dei costi (puntualmente inserito dalla direzione Infrastrutture nella successiva correzione del bando). La qualità del servizio «I ricorsi purtroppo non mancano mai in Italia – rileva Bigoni – ma, senza entrare nel merito, non possiamo non temere che questa coda infici il percorso positivo fatto con la Regione in materia di assetti occupazionali e qualità del servizio. Speravamo che, una volta emanato il bando, si arrivasse a una conclusione naturale della procedura. Evidentemente un servizio su gomma che funziona bene da anni desta le attenzioni di tanti». «Consideriamo come intoccabili le intese con la Regione – dice anche Valentino Lorelli (Filt Cgil) –. Quel protocollo aveva dato serenità ai lavoratori, non vorremmo che fosse messo in discussione quanto acquisito». La Uil Trasporti, con il segretario Michele Cipriani, evidenzia in particolare il caso Trieste, «una città con un traffico particolare. Gli accordi con la Regione, non a caso, riguardano anche alcuni aspetti logistici». Sì al biotestamento. Fvg primo in Italia (M. Veneto) di Anna Buttazzoni TRIESTE Il 3 marzo 2015. La data è da cerchio rosso sul calendario. Il Consiglio regionale con 30 sì, tre no e due astenuti, ha approvato la legge che istituisce la possibilità del biotestamento. Prima regione in Italia, il Fvg fa da apripista e “sfida” il Parlamento a occuparsi presto di una legge sul fine vita. In Aula la bagarre scoppia in più occasioni, su una singola parola come sul significato generale della legge, sul confine tra la vita e la morte come sulle accuse di strumentalizzare fatti e di occuparsi di vicende su cui la Regione non ha competenza diretta. La norma è costruita con il bilancino, sul confine tra ciò che la legge consente e ciò che proibisce alle amministrazioni regionali. Ma non è questione di legge. È una scelta politica, precisa, e i consiglieri regionali lo sanno. Non c’è ordine di scuderia, ognuno vota secondo coscienza o sceglie di non votare affatto, come fanno in 14, perché i numeri dicono 35 votanti su 49 esponenti regionali. La strada però è tracciata. Tecnicamente si chiama Dat – dichiarazione anticipata di trattamento – e significa che in Fvg verrà costituito un registro regionale del testamento biologico, così da rendere facilmente accessibili ai medici i documenti con i quali una persona esprime la propria volontà sui trattamenti ai quali desidererebbe essere sottoposta oppure no se non fosse più in grado di esprimersi. Le dichiarazioni saranno codificate e omogenee in tutta la regione, saranno depositate negli uffici delle Aziende sanitarie e conservate sulla propria tessera sanitaria. Per i medici, è vero, il biotestamento non sarà vincolante – serve una legge nazionale –, ma la dichiarazione del paziente sulle cure che desidera o no ricevere, sarà esplicita e chiara. Assieme al trattamento una persona potrà anche manifestare la propria volontà di donare organi e tessuti dopo la morte (come da proposta di Valter Santarossa), dichiarazione che sarà sempre conservata nella banca dati delle Aziende sanitarie e sulla propria tessera sanitaria. È possibile revocare e modificare le decisioni prese e la registrazione sarà gratuita. Un anno fa Beppino Englaro e l’anestesista Amato De Monte, in rappresentanza dell’associazione “Per Eluana”, consegnarono ai vertici del Consiglio regionale una petizione con 5 mila 503 firme di cittadini che chiedevano l’istituzione del registro. Così è nata la legge, proposta da Stefano Pustetto (Sel) e che ha trovato un consenso bipartisan, dal M5s a Fi, da Ncd al Pd. Ma ha anche diviso i partiti perché ciascuno ha votato secondo coscienza. In Consiglio durante tutta la discussione riecheggiano i nomi di Eluana e Beppino Englaro. Perché l’obiettivo – non dichiarato, tra alcuni che minimizzano e altri che enfatizzano – è che nessuno metta più in discussione la decisione di un individuo, qualunque essa sia. Riccardo Riccardi, capogruppo di Fi, annuncia che non parteciperà al voto perché il Pd, sbagliando, ha portato la discussione sulla china ideologica. Giovanni Barillari (medico) del gruppo Misto, cita il codice penale e ripete ai colleghi: «La legge rischia di creare più problemi di quanti ne risolva, soprattutto per il pesonale medico». Bruno Marini (Fi) sbotta. Solleva dubbi di costituzionalità della norma. Massacra il filma di Marco Bellocchio “Bella addormentata” «perché ha solo voluto raffigurare il Pdl come un branco di pazzi psicopatici», dice Marini. Che accusa anche Englaro di aver strumentalizzato il caso della figlia. A quelle parole è Alessandro Colautti, capogruppo di Ncd, a reagire con veemenza. A gridargli che affermazioni del genere non si possono sentire, che da collega di Marini si vergogna. Il Consiglio, insomma, è la miniatura di quanto già visto in Parlamento ogni volta si sfiori il tema eutanasia o fine vita. Nulla di diverso. «In un contesto che dovrà trovare normazione nazionale – fa sintesi la presidente Debora Serracchiani –, il Fvg attiva la capacità legislativa per contribuire a mettere ordine, a livello amministrativo, nella delicata materia delle Dat. Non c’è intento suppletivo o anticipatore del legislatore nazionale», conclude la presidente. Eppure il Fvg è, ancora una volta, un modello. Il papà di Eluana: passo nella direzione giusta di Cristian Rigo UDINE «È un passo avanti, un passo nella direzione giusta perché la Regione viene incontro al cittadino. E non è una Regione a caso». Beppino Englaro ha seguito da Lecco l’approvazione della legge sul biotestamento che istituisce il registro regionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (Dat). «Io per vedermi riconosciuto nero su bianco questo diritto ho dovuto attendere 15 anni e nove mesi - racconta -, 5.750 giorni di attesa prima che la Corte suprema di Cassazione riconoscesse il diritto all’autodeterminazione di Eluana. Oggi invece in Fvg le disposizioni riportate sulla tessera sanitaria consentiranno ai medici di agire con tempestività rispettando il volere dei cittadini. Eluana era forte, libera e determinata, ma nel 1992 mi sono ritrovato in una sorta di trappola infernale tale per cui erano altri a disporre della salute e della vita di mia figlia». Dalla morte di Eluana sono trascorsi ormai più di sei anni ed è passato un anno da quando Beppino Englaro consegnò ai vertici della Regione una petizione firmata da 5 mila 503 cittadini per chiedere di poter registrare, sulla tessera sanitaria, le proprie volontà sul trattamento di fine vita. Da presidente dell’associazione “Per Eluana”, nata in Friuli, Englaro affidò la petizione ad alcuni esponenti del Consiglio. A farsene carico, su tutti, è stato Stefano Pustetto (Sel), primo firmatario della proposta di legge che è stata approvata ieri dal Consiglio. Un voto che ha suscitato polemiche. «Quelle proprio non le capisco - continua Englaro -. La Regione va incontro alle persone che vogliono poter disporre della loro salute anche nel momento in cui non sono più capaci di intendere e volere. Questo strumento non ha nulla a che fare con l’eutanasia e lascia le persone libere di agire in un senso o nell’altro. L’importante - precisa - è che le indicazioni siano chiare e inequivocabili. Viene in buona sostanza riconosciuto il diritto ad autodeterminarsi manifestando la propria volontà». Senza voler entrare nel merito delle polemiche Englaro si è detto però sorpreso dal fatto che l’ex presidente Renzo Tondo non abbia partecipato al voto. «Sono sorpreso sì - dice - perché lui come Honsell è stato determinante nella vicenda di Eluana». Scuola: salta il decreto in arrivo nuovi tagli (M. Veneto) UDINE La Buona scuola di Renzi stenta a decollare e taglia il personale in regione. Dal consiglio dei ministri di ieri non è arrivato alcun decreto legge per l’assunzione dei 180 mila precari. Ma quella assunzione era già stata messa in seria discussione dai decreti ministeriali che tagliano l’organico di diritto del Friuli Venezia Giulia: per l’anno scolastico 2015/2016 gli insegnanti di ruolo sono 11 mila 459, meno 22 rispetto agli 11.481 attualmente al lavoro con un contratto a tempo indeterminato (più 448 per la lingua slovena, confermati). «Con questi numeri i precari non potranno essere assunti – tuona Donato Lamorte, segretario regionale Cisl scuola –. Da una democrazia sbrigativa nasce la cattiva scuola». La decretazione d’urgenza avrebbe un’unica giustificazione: l’assunzione dei precari dal primo settembre. L’ok a quei contratti chiesti dall’Europa per tutti i lavoratori a tempo determinato che hanno accumulato almeno 36 mesi (tre anni) di attività anche non continuativa, deve arrivare entro luglio. Altrimenti le assunzioni slittano. E l’Italia è multata. Ma secondo Lamorte «è impossibile». Il segretario Cisl non ne fa soltanto una questione di tempi, ma di numeri: «È impossibile – ribadisce –: l’organico funzionale chiesto dai sindacati, dagli addetti ai lavori e anche dal governo serve, ma non si fa con i tagli. Deve essere ampliato il parterre delle assunzioni. E invece i decreti del Ministero le riducono. Questi sono documenti, non buone intenzioni. Perché purtroppo con gli spot non si fa ripartire la scuola». La Cisl punta il dito contro «l’incoerenza di una pratica di tagli che incide negativamente sulla mobilità e sulla stabilità degli organici: a fronte dei ripetuti annunci del piano sulla Buona scuola non si capisce come si potrà realizzare la stabilizzazione del personale precario di fronte a un organico in diminuzione». Il mondo della scuola si trova ancora una volta alle prese con «progetti calati dall’alto, caricato di nuovi oneri e costretto ad autotassarsi per consentire l’avvio di una pseudo meritocrazia a costo zero – incalza Lamorte –. A questo infatti conduce la tanto sbandierata previsione delle carriere “per competenza”: l’unico dato certo è che le retribuzioni del personale, già tra le più basse d’Europa, saranno ulteriormente taglieggiate». Nelle intenzioni il decreto legge – che potrebbe essere trasformato in disegno di legge e passare in Parlamento, con l’inevitabile allungamento dei tempi – racchiude un insieme di norme diverse fra loro. «Sembra che chi ha scritto quelle pagine non sappia veramente come funziona una scuola e come siano organizzate le attività di insegnamento – tuona Lamorte –. Perché anche solo pensare di affidare le supplenze fino a dieci giorni al personale di ruolo, è fuori dalla realtà. Di tutto aveva bisogno la nostra scuola, meno che di finire vittima della superficialità e della presunzione di chi dovrebbe governarla». Michela Zanutto Fincantieri chiede mezz’ora “gratis”. Landini: inaccettabile (M. Veneto) di Elena Del Giudice UDINE Dopo Electrolux è ora Fincantieri a porre, al tavolo sindacale, il tema della competitività. Non nello stesso drammatico modo, ma ponendo con altrettanta determinazione il tema del “fattore costo” così come misurato in Italia, in relazione ad altri Paesi competitors. Fortunatamente non sono nè la Cina nè la Corea, ma Francia e Germania. Il delta è 8 per cento. Costruire una nave in Italia costa l’8 per cento in più della stessa nave costruita in Francia. E dunque? E dunque se sui vari gap competitivi del sistema-Italia non si può incidere, forse lo si può fare al tavolo sindacale, parlando di costo del lavoro. E da qui la proposta choc: «i lavoratori restituiscano 104 ore di permessi» o si impegnino ad incrementare di mezz’ora l’orario lavorativo, ovviamente senza che questa sia retribuita. Scontata la risposta dei sindacati: «Non se ne parla!». Fincantieri «deve garantire condizioni certe di applicazione dei contratti di lavoro nei cantieri a tutti quelli che ci lavorano, anche quelli di altre ditte. Noi lo abbiamo chiesto ma la risposta è stata contraria: l'ultima idea - riassume il segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini - è stata quella di chiedere mezz'ora in più gratis. Non mi sembra un grande passo avanti». «Quello delle navi è un settore strategico per il nostro Paese, per questo abbiamo chiesto al ministro di incontrarci», ha spiegato Landini che ha ribadito: «non siamo disponibili ad accettare l'idea che pur di lavorare ci sia una riduzione dei diritti del salario: una dissociazione secca tra lavoro e diritti è inaccettabile per i lavoratori ma è sbagliata anche per il Paese». A ieri, quando si è svolto un altro incontro azienda-sindacati per procedere nella trattativa per il rinnovo del contratto integrativo di gruppo (scaduto il 31 dicembre 2014), pare che la questione “permessi” sia stata rimossa dal tavolo, non evidentemente quella più generale del costo del lavoro, tanto più che per la parte economica la richiesta di incremento salariale contenuta nelle piattaforme di Fim e Uilm, da una parte, e Fiom dall’altra, è significativa: mille e 500 euro aggiuntivi, sia pure legati a obiettivi, che si andrebbero a sommare ai circa 4.500/5.000 euro dei vari premi già consolidati frutto di trent’anni di contrattazione. «È vero - conferma Gianpiero Turus, Fim Cisl -, Fincantieri ha posto il tema del costo della produzione in Italia, e non solo. «Ad esempio - spiega - la nave in costruzione viene pre-finanziata dalla Sace, una procedura che richiede tempi lunghi e procedure farraginose rispetto a quel che accade in altri Paesi europei. Aspetti attinenti alla competitività del sistema-Paese su cui il Gruppo ha voluto, in qualche modo, forzare la mano. Per questo - prosegue il sindacalista abbiamo chiesto un incontro al ministero dello Sviluppo». Da qui la proposta ai sindacati sui giorni di permesso funzionale a ridurre il costo-nave. «Abbiamo risposto di no, perchè non è così che si fa efficienza nelle aziende. E ieri, al tavolo, la questione non è stata riproposta ee abbiamo iniziato a discutere nel merito di orari di lavoro, flessibilità e organizzazione della produzione, ovvero di ciò che è necessario definire per affrontare nuove commesse e picchi di lavoro». Il confronto, dunque, andrà avanti. Sono già stati calendarizzati diversi incontri da qui a fine mese quando scadrà la terza - e ultima - proroga dell’integrativo di Gruppo. La discussione non sarà facile. Come accennato, due sono le piattaforme depositate dai sindacati che contengono richieste su vari fronti, dagli appalti, «divenuti ormai terreno selvaggio», al sistema dei controlli, al protocollo legalità «che vorremmo unico per tutto il gruppo», fino all’incremento di salario, che presuppone la conferma degli istituti già presenti più 1.500 euro. Belci promuove Castro: sul Jobs act ha ragione, è più a sinistra di Renzi (M. Veneto) UDINE «Maurizio Castro dice la verità sul Jobs act: è fatto per ridurre gli spazi di autonomia contrattuale e non genera competitività». E se a dirlo è Franco Belci, segretario generale della Cgil del Fvg, c’è da crederci. L’esperto di relazioni industriali padre del sistema partecipativo in Electrolux, Maurizio Castro, e il sindacalista su alcuni aspetti la pensano allo stesso modo. Non su tutto, però. Ad esempio sulla proposta di patto territoriale che Confindustria Pordenone aveva avanzato per affrontare la crisi Electrolux (messo a punto dallo stesso Maurizio Castro insieme a Cipolletta, Treu e Illy), «noi non ci stiamo». Belci interviene in risposta all’intervista del Messaggero Veneto a Maurizio Castro, che definisce «interessante per vari motivi. Vi emerge un modello di relazioni industriali diverso da quello immaginato da Renzi, basato, quest’ultimo, sull'azzeramento non solo dei corpi sociali, ma anche dei livelli istituzionali, nei quali, sparite le province, strangolati i comuni, messe in discussione le Regioni, rischia di esistere solo un pericoloso neocentralismo che, abbinato a una secca riduzione del perimetro della partecipazione, induce pensieri preoccupanti per la qualità della nostra democrazia. Ma quel modello - secondo Belci - è diverso anche dalla mutazione in lobby che sembra tentare Confindustria nazionale e che speriamo non trovi adepti in Fvg. Dunque, un richiamo al ruolo delle parti sociali che condivido, anche se sui modelli non siamo del tutto d’accordo». Il rapporto tra contrattazione nazionale e integrativa «è regolamentato dal testo unico sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil e Confindustria nel gennaio 2014 e non si vede francamente il motivo di cercare scorciatoie od operare forzature - prosegue il sindacalista -. Però accettiamo la sfida, purchè stia in quel perimetro e valga per tutti e non solo per le grandi aziende, magari individuando integrativi territoriali. Ma non, per cortesia, del genere di quello prefigurato per Electrolux da Confindustria di Pordenone, che puntava semplicemente a ricondurre il salario dei lavoratori a condizioni polacche, mettendo le contropartite a carico del pubblico. A quei tavoli la Cgil nemmeno si siede». Venendo al Jobs act «Castro dice la pura verità: “È fatto per ridurre gli spazi di autonomia contrattuale e non genera competitività”. La stessa cosa che si sono precipitati a dire gli industriali appena approvata la legge, sostenendo che non si potevano impegnare ad assumere, e l’esatto contrario di ciò che sostiene Renzi. Tradotto in parole povere, il Jobs act serve a rendere ricattabili i lavoratori e a disincentivare l’iscrizione al sindacato, che è ciò che abbiamo sempre detto. Che lo faccia capire un manager di grande esperienza, conferma la nostra tesi». Secondo Belci, Castro ha ragione anche sui rischi in caso di conflittualità: «Quando non ci sono prospettive, la disoccupazione continua a crescere, gli imprenditori continuano a licenziare piuttosto che ad investire, il governo non perde occasione per entrare in conflitto con il sindacato, la tensione sociale inevitabilmente sale. E finora abbiamo dimostrato grande senso di responsabilità. Non altrettanto il governo, visto che di fronte ad un momento di alta tensione alla manifestazione della Fiom per difendere i posti di lavoro all’acciaieria Thyssenkrupp di Terni, ha lasciato che la polizia picchiasse i dirigenti di quell’organizzazione. Il deserto delle relazioni sindacali - conclude Belci - apre vuoti di confronto e di democrazia che potrebbero diventare vere e proprie falle nel sistema-Paese. Speriamo che il Pd, a Roma e a Trieste, faccia qualche pensiero sul fatto che un manager di centrodestra dica cose più “di sinistra” di Renzi». (e.d.g.) Promoturismo, all'agenzia 340 addetti (160 stagionali) (Gazzettino) Antonella Lanfrit UDINE - Passo di carica per la fusione Promotur e Turismo Fvg che dal primo gennaio del prossimo anno saranno un'unica entità ribattezzata Promoturismo Fvg. Il disegno di legge messo a punto dal vice presidente della Regione e assessore alle Attività produttive, Sergio Bolzonello, dopo essere stato approvato dalla Giunta regionale venerdì ha infatti ottenuto la procedura d'urgenza per l'iter in Consiglio regionale e dunque sarà in aula per la discussione martedì 17 marzo. Nascerà un'agenzia che riunirà 340 occupati, 160 dei quali, però stagionali. Nello specifico, rappresentano la somma dei collaboratori delle due attuali strutture. L'Agenzia regionale Turismo Fvg impiega 100 persone, a Promotur lavorano 240 persone, dei quali 160 stagionali. Obiettivo del disegno di legge è guidare il processo di fusione e delineare in 11 articoli le prospettive di questo rinnovato strumento per la politica turistica regionale, che riunisce in un unico organismo chi sin qui aveva come mission la gestione degli impianti con le loro articolazioni nei poli sciistici montani e il soggetto che si occupa della promozione turistica. La norma, si specifica in premessa, «detta ulteriori disposizioni per l'organizzazione del sistema turistico regionale con finalità di razionalizzazione dell'attività amministrativa, ottimizzazione delle risorse e risparmio della spesa pubblica, evitando la sovrapposizione tra enti che perseguono finalità analoghe». Turismo Fvg era stata istituita con la legge 2 del 2002, Promotur ha 9 anni in più, essendo nata a seguito della legge regionale 50 del 1993, una norma dedicata all'attuazione di progetti mirati di promozione economica nei territori montani. Il prossimo primo gennaio Turismo Fvg verrà soppressa e tutte le funzioni, il patrimonio mobiliare ed immobiliare saranno trasferiti a Promotur. Al fine comunque di assicurare continuità alle azioni intraprese da Promotur e Turismo Fvg nei rispettivi ambiti di competenza, nelle disposizioni della nuova legge si interviene per modificare la legge del 1993 istitutiva di Promotur, definendo gli obiettivi del nuovo organismo. Promoturismo Fvg svolgerà «attività di promozione e gestione dello sviluppo turistico nel territorio regionale, con compiti di programmazione, progettazione, individuazioni, organizzazione e promozione dei servizi e dei prodotti turistici», si afferma all'articolo 3. In particolare, realizza gli indirizzi strategici, la programmazione e gli interventi nel settore turistico; definisce e realizza la politica di marketing strategico per il sistema e per il prodotto turistico; coordina e monitora le azioni di promozione e commercializzazione attuate da eventuali reti di imprese e consorzi; istituisce e gestisce infrastrutture informative sul territorio (sportelli); monitora i servizi di località; realizza un piano pluriennale degli eventi e monitora la qualità del prodotto turistico percepita dal turista. Favorisce lo sviluppo del turismo invernale nei poli sciistici occupandosi degli impianti e della loro gestione e su richiesta di enti territoriali potrà assumere attività complementari per lo sviluppo turistico. Altro corposo articolo è quello dedicato ai compiti del futuro direttore generale che, come già delineato da recente delibera di Giunta, sarà il neo direttore di Promotur Marco Tullio Petrangelo. CRONACHE LOCALI Cassa integrazione alla Cartiera Burgo (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Tiziana Carpinelli Mentre banche e azionisti si dividono la governance, a colpi di rappresentanza in Consiglio di amministrazione, piove sulla testa degli operai della Cartiera Burgo l’ennesima iniezione di cassa integrazione. Dose da cavallo, stavolta. Due settimane di fila, dal 4 al 17 marzo. E i lavoratori sperano che i giorni di stop si esauriscano lì, senza prolungamenti, poiché all’orizzonte si profilano comunque le ferie pasquali. La notizia è stata data alle sigle sindacali lunedì. E c’è chi, come la Cgil, non l’ha presa proprio benissimo, parlando di una «mannaia che si abbatte sulla testa dei lavoratori» della Linea 2 (un centinaio), interessata dal fermo produttivo: questo mese si vedranno decurtare lo stipendio del 10-15% rispetto al salario standard. Tinte fosche per i residenti dell’Isontino (in quota senza dubbio maggioritaria all’interno dello stabilimento di San Giovanni di Duino), dove la crisi morde - eccome - tra le aziende. Ne è perfettamente consapevole il sindaco Silvia Altran, che dichiara: «Sono molto preoccupata e condivido la sofferenza di tutte queste persone che ormai da tanti anni si trovano a vivere questa situazione di intermittente insicurezza lavorativa». «Mi auguro - ha aggiunto vi siano spiragli per una soluzione positiva e che anche in questa circostanza si arrivi a un trovare un punto di equilibrio, e mi riferisco in particolare all’attesa di un nuovo piano industriale da parte del gruppo che dovrebbe chiarire definitivamente il quadro. Sono comunque a disposizione, come del resto il mio collega di Duino (il sindaco Vladimir Kukanja, ndr), per affiancare i lavoratori nel momento in cui si dovesse, assieme alla Regione, aprire un tavolo sulla Burgo». «Per il resto - conclude - non ci resta che attendere la definizione degli assetti». Fin qui il Comune. Tornando alla Cigo, si tratta, secondo quanto appreso dai sindacalisti, di uno stop di mercato, dovuto al crollo di ordinativi per questo specifico prodotto, il cosiddetto patinatino, la carta da rivista principalmente prodotta dalla Cartiera. Secondo Luca Mian (Uil) la Cigo sarà spalmata anche sugli altri stabilimenti del gruppo. «Chiaramente la notizia ha fatto salire la preoccupazione - così Mauro Benvenuto (Cisl) delegato Rsu -: l’andamento produttivo di gennaio e febbraio aveva fatto ben sperare, invece no. Non si è riusciti a recuperare a sufficienza». Concorde Simone Cumin, in quota Cgil: «Il provvedimento assunto dall’azienda arriva inatteso e di fatto coprirà metà del mese - sostiene -, uno scenario che difficilmente si registra a inizio anno, con la ripresa delle attività. Sappiamo che il nostro mercato non vive un periodo florido, ma dato l’incipit dei primi due mesi ci aspettavamo onestamente di lavorare di più. A questo punto dovremmo porre delle domande all’azienda, compiere un ragionamento su cosa si può fare per arginare la crisi. Una settimana fa la dirigenza di stabilimento ci aveva prospettato dati che non facevano presupporre un futuro immediato di questo tipo». Altra questione è invece quella della paventata chiusura della Linea 2 o, peggio dell’intero stabilimento. Ipotesi circolata diffusamente nei mesi scorsi sulla stampa, tuttavia mai ufficialmente formalizzata ai rappresentanti dei lavoratori. Le sigle, in attesa da mesi di conoscere il piano industriale Burgo, anche per questo avevano sottoposto la questione all’attenzione della governatrice Debora Serracchiani, per ottenere sul fronte politico un sostegno. «In questo momento - riprende ancora la parola Benvenuto - non possiamo dire che la chiusura o ridimensionamento di uno dei tre siti finiti nel mirino sia scongiurata. Attendiamo di vedere gli equilibri che usciranno, in termini di poltrone, nel cda della nuova Burgo. Da lì si capirà cosa accadrà e come potrà essere strutturato, conseguentemente, il piano industriale». Si capirà, insomma, da che parte penderanno gli interventi, soprattutto se a incidere maggiormente saranno le banche creditrici. Il nodo di Fincatieri sulla mezzora gratis (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Giulio Garau Ok per la flessibilità, ma di lavoro gratis non se ne parla «è una provocazione». La discussione sul contratto integrativo Fincantieri che a Monfalcone (l’unico cantiere in Italia dove Fim, Fiom e Uilm hanno firmato in maniera unitaria) interessa oltre 1500 dipendenti inizia subito in maniera “calda”. E a creare scompiglio, tra i vari punti, c’è la proposta di Fincantieri di un «contributo non retribuito da parte dei lavoratori pari a 30 minuti al giorno». Una proposta che, con l’obiettivo del recupero della competitività, va in linea con quanto è stato fatto in nel cantiere del principale concorrente, il tedesco Meyer Werft, dove è stato siglato un “patto per l’occupazione e l’innovazione” che prevede appunto un contributo dei lavoratori al piano di risparmio. Tra le varie novità Meyer autorizza il lavoratore ad adattare l’orario di lavoro (20 o 40 ore settimanali) a seconda delle proprie esigenze. Nel capitolo flessibilità è previsto che ogni dipendente lavori 70 ore l’anno (20 minuti al giorno) senza retribuzione. Come garanzia l’azienda si impegna a non ridurre l’occupazione fino al 2016 e a risparmiare fino a 10 milioni. «Per noi è una proposta irricevibile - commenta il segretario provinciale della Fiom, Thomas Casotto - non è un elemento di discussione, chissà, probabilmente l’azienda vuole seminare il panico tra i dipendenti per poi fare marcia indietro facendo accettare altre cose. Noi siamo pronti a discutere per arrivare a un accordo, ma non su quel punto». La trattativa è appena iniziata e soltanto domani a Genova, dove l’azienda ha convocato le parti sociali, si entrerà nel vivo dei temi. Gli altri incontri proseguiranno il 9 e il 12 marzo. «Il nostro obiettivo - aggiunge il segretario Fiom - è quello di non peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro dopo il job-act. In compenso Fincantieri ci ha promesso che ci stupirà con le proposte sugli appalti. Sono curioso per queste novità. È da tempo che chiediamo risposte sul recupero della legalità e la qualificazione dell’indotto locale, e non è vero che non si trovano figure professionali sul territorio, ma non abbiamo avuto risposte». Allineato sulle stesse posizioni il segretario della Fim-Cisl, Gianpiero Turus: «Noi da subito abbiamo detto anche nell’ultimo incontro che il contributo di 30 minuti di lavoro gratis è impossibile e noi siamo indisponibili - spiega - e la stessa Fincantieri, pur senza disconoscere la proposta, ha fatto capire che si aspettava la nostra reazione e che magari, pur ritenendolo utile, magari lo supererà. Possiamo ragionare sulla flessibilità all’interno del cantiere, ma bisogna tener conto degli accordi generali, non è possibile poi che ogni cantiere vada per conto suo. L’altro punto che ci interessa è quello degli appalti, devono diminuire in maniera drastica. Stanno appaltando all’esterno anche produzioni che sono tradizionalmente del nostro core business». Oggi il vertice sul futuro della Eaton (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Momenti decisivi alla Eaton, la realtà industriale di Monfalcone che produce valvole per automobili. Ci sono segnali di ripresa del mercato, l’azienda locale, di proprietà di una multinazionale americana, che è sempre stata un fiore all’occhiello per know-how e capacità produttive è chiamata a dare risposte alle commesse provenienti dall’Italia e dall’estero (tra i marchi oltre a Fiat, Volkswagen, Peugeot, Renault e Citroen).Ma soprattutto deve fare i conti con la riorganizzazione seguita alla rivisitazione dei piani industriali, i tagli e il trambusto del ricorso agli ammortizzatori sociali che hanno lasciato “in linea” soltanto 140 lavoratori. Una situazione su cui si dovbrebbe discutere oggi a Gorizia tra azienda e sindacati (la Fiom è l’unica rappresentata nelle rsu) al tavolo convocato in Assindustria. Si parlerà di organizzazione, carichi di lavoro, verifiche sugli investimenti previsti dal piano industriale. «Vogliamo capire come si svilupperà la produzione e se si stabilizzerà l’occupazione» spiega il segretario provinciale della Fiom, Thomas Casotto secondo il quale ci sono ancora molti aspetti da chiarire e il percorso non si prospetta certo breve. C’è poi in ballo anche la questione dei 52 ex lavoratori della Eaton che fra poche settimane (il 23 marzo) saranno privi di qualsiasi ammortizzatore sociale. In 75 erano usciti volontariamente dall’azienda dopo la riorganizzazione, ricevendo un indennizzo per essere andati in mobilità. In questio due anni soltanto in pochi sono riusciti a ricollocarsi, 52 fra pochi giorni si ritroveranno in strada. (g.g.) Sanità, un "buco" di 48 posti negli organici (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Francesco Fain Non è soltanto il Pronto soccorso a soffrire. Un po’ tutti i reparti degli ospedali di Gorizia e di Monfalcone sono sotto pressione perché la coperta è sempre più corta fra personale medico, infermieri, Oss. E i sindacati manifestano tutta la loro preoccupazione perché i carichi di lavoro (e lo stress conseguente) sono notevolissimi. A fornire i dati dei “buchi” negli organici è la CislFunzione pubblica che ha puntato la lente d’ingrandimento sui dipendenti di tutte le Aziende sanitarie regionali. I numeri (gli ultimi a disposizione) risalgono al periodo ottobre/novembre, quindi sono antecedenti alla “rivoluzione” della giunta Serracchiani ma sono ugualmente significativi perché ci permettono di avere un quadro completo delle due ormai ex Aziende sanitarie Isontina e Bassa friulana confluite appunto nell’azienda unica Bassa friulana-Isontina. «I dati di novembre 2014, purtroppo, parlano chiaro - sottolinea Massimo Bevilacqua, segretario regionale della Cisl/Funzione pubblica -. L’azienda sanitaria isontina ha chiuso con 48 dipendenti in meno. Leggermente più positiva la situazione nella realtà della bassa friulana dove il dato è ugualmente negativo ma si assesta sul “-24”. Che dire? La situazione di difficoltà ormai è conclamata. Si stanno già presentando le prime difficoltà nella determinazione dei periodi di ferie. Non si riescono a fare quadrare i conti e c’è il rischio denuncia Bevilacqua - che qualcuno non riesca nemmemo a godere delle meritate vacanze visti i numeri risicati relativi agli organici». La proroga dei tempi determinati Nei giorni scorsi, i sindacati hanno incontrato il nuovo direttore dell’Ass Bassa friulana/Isontina. «E gli abbiamo chiesto la proroga dei tempi determinati in scadenza a marzo di infermieri e oss. Sullo sfondo (problema già denunciato sulle pagine di questo giornale) c’è un concorso per 6 infermieri che è fermo dal primo luglio 2013 e per il quale sono pervenute quasi 3mila domande. C’è un enorme lavoro amministrativo in quanto sono molti gli stranieri partecipanti per i quali devono essere controllati i documenti del titolo di studio equipollenti. Ad oggi del concorso non si hanno notizie: moltissimi si sono rivolti alla Cisl-Fp per conoscere il perché. Pare sia sospeso - attacca Bevilacqua - in quanto altre aziende sanitarie a dicembre 2014 hanno chiesto di aderirvi. Se così fosse la nuova Ass deve decidere se il termine di adesione può essere riaperto. Ma il tempo passa e i lavoratori sono sempre meno: 48 all’ex Ass 2 e meno 24 all’ex Ass 5». Non migliore la situazione a Udine, Trieste e Pordenone dove mancano 302 dipendenti. Mal comune, mezzo gaudio. L’appello alla Regione Perfettamente in linea con le affermazioni della Cisl è pure la Uil che, già ieri, aveva espresso tutte le sue forti perplessità per i numeri risicati che caratterizzano le piante organiche degli ospedali di Gorizia e di Monfalcone. «Se da una parte tutti questi disagi sono forse da attribuirsi ad una cattiva gestione da parte della precedente amministrazione dell’Ass isontina, la Uil Fpl auspica che la nuova direzione affronti il prima possibile e trovi le adeguate soluzioni alle problematiche che coinvolgono sia pazienti che operatori. E che questi ultimi siano rimpiazzati con nuove assunzioni sia di infermieri che Oss». Non manca l’appello forte alla Regione. «La Uil Fpl, sin d’ora, sollecita l’assessore regionale Maria Sandra Telesca affinché, in tempi brevi, si attui un concorso così come più volte promesso, per l’assunzione a tempo indeterminato per infermieri e Oss che sono necessari alla copertura delle gravi criticità di questa nuova azienda». “Truccato” un modello Isee su due (Piccolo Trieste) di Giovanni Tomasin Ce li figuriamo un po' con le fattezze dell'Albertone nazionale, mentre rivolgono agli altri cittadini un inequivocabile «Contribuenti... Tié!». Stiamo parlando dei triestini che truccano le loro dichiarazioni Isee per aver accesso ad agevolazioni comunali come il contributo del bando affitti, i sussidi ai proprietari di cani, gli esoneri per la mensa, le spese funebri a carico del Comune e contributi sociali vari. Tre anni fa gli uffici comunali hanno avviato controlli a tappeto su queste dichiarazioni e i risultati per il 2014 sono sconcertanti: sui circa 650 controlli effettuati, 320 hanno evidenziato irregolarità. Circa il 55%. Se si considera che le dichiarazioni Isee presentate al Comune sono circa 20mila (contando anche le diverse domande fatte con lo stesso Isee) si tratta di un dato tutt'altro che irrilevante. Ragion per cui l'ente locale sta procedendo a un controllo serrato delle richieste. L'iniziativa rientra nei Cantieri di Area avviati dal Comune di Trieste, spiega l'assessore all'organizzazione Roberto Treu: «Stiamo rafforzando l'attività di controllo sui contributi fiscali e sulle varie agevolazioni specifica -. Il fine del Comune non è quello di risparmiare, perché le verifiche non cambiano nulla per le casse municipali. Semmai ci poniamo una questione di giustizia sociale: rilevando che qualcuno ha avuto accesso a un beneficio attraverso una dichiarazione contraffatta, consentiamo l'accesso a un’altra persona che la merita davvero». L'assessore e i suoi tecnici, il direttore del servizio finanziario Vincenzo Di Maggio e la responsabile del servizio di contrasto Roberta Tarlao, raccontano quanto è emerso dalle verifiche. Va detto innanzitutto che in quel 55% di dichiarazioni irregolari non ci sono soltanto i “furbetti”. Compilare l'Isee è un processo farraginoso e può capitare di sbagliare. «Si tratta spesso di errori veniali - spiega Tarlao - che costituiscono comunque un problema da sanare». Tutt'altro discorso vale per quelle dichiarazioni che si distaccano in modo sfacciato dalla realtà dei fatti. La prima graduatoria presa in analisi da Tarlao è esemplificativa: i primi trenta classificati si basavano tutti su dichiarazioni irregolari. «È chiaro che se uno arriva in cima alla classifica con un Isee falso, toglie l'accesso al servizio a un cittadino che sta in fondo e magari ha una dichiarazione corretta», sottlinea Di Maggio. Le irregolarità in materia di composizione del nucleo familiare erano il 12%: in questi casi coniugi e figli a carico compaiono o scompaiono dalle dichiarazioni a seconda della convenienza. La composizione del nucleo è fondamentale per determinare il valore dell'Isee, che cambia a seconda del numero dei componenti. Il controlli hanno evidenziato poi casi di omissione di reddito (53%), di omissione di patrimonio immobiliare (8%) e mobiliare (40%), con particolare riferimento al patrimonio netto della ditta individuale e al possesso di conti correnti e libretti bancari. Tra i virtuosi della "furbata" in questi ambiti c'è ad esempio chi tralascia di segnare i beni di proprietà della propria ditta. Oppure quelli che erano soliti svuotare i conti negli ultimi giorni dell'anno per poi rimpinguarli ai primi di gennaio, perché il vecchio Isee faceva riferimento alla giacenza al 31 dicembre. Un problema risolto dal nuovo criterio, che considera invece la media annuale. In parecchi casi (21%) è stato indicato un importo del canone di locazione errato creando un vantaggio per l'utente. Su tutti gli Isee controllati (sia regolari che irregolari) sono stati rilevati molti casi di incongruenza del reddito rispetto alle spese per la casa: quando una persona dal reddito bassissimo vive in un edificio che richiede spese di un certo livello, ciò è indice alternativamente di casi di urgenza sociale oppure di attività lavorative non dichiarate o non regolarizzate. Con questo progetto il Comune prosegue il lavoro che all'inizio dell'anno scorso aveva portato alla luce numerosi furbetti nel settore degli affitti. Le verifiche, specifica l'assessore, sono effettuate nel rispetto della privacy e soltanto su coloro che richiedono servizi alla collettività. «Oltre a fare giustizia - conclude Treu - speriamo di ristabilire così anche un po' di senso civico». Il Consiglio sulla Ferriera finisce in rissa (Piccolo Trieste) di Silvio Maranzana L’area a caldo della Ferriera ha reso incandescente anche il Consiglio comunale. Stava per finire a botte l’altra sera dopo gli interventi di Alessandra Barocci responsabile del Gruppo Arvedi per gli aspetti ambientali, della governatrice Debora Serracchiani, del sindaco Roberto Cosolini e dei vari consiglieri. Dapprima si è scatenata una guerra di mozioni contrapposte che ha sostanzialmente visto un pezzo della maggioranza, cioé Sel, votare assieme ai Cinquestelle e contro il Pd e che ha visto l’assemblea cittadina sposare la tesi secondo cui l’area a caldo deve essere chiusa soltanto se inquina. All’uscita infine la discussione ha preso toni sempre più accesi tanto che Roberto Decarli (Trieste Cambia) e Stefano Patuanelli (M5S) idealmente molto vicini agli operai il primo e agli abitanti il secondo, sarebbero entrati, secondo testimonianze rimbalzate anche sui social network, in contatto fisico con voci non controllate che parlavano addirittura di mani al collo e colpi allo stomaco. «Cose che possono succedere tra chi si appassiona molto ai temi che affronta, ma è tutto passato, ci siamo visti stamattina e abbiamo bevuto un caffé assieme, non è un episodio da enfatizzare», ha commentato ieri Decarli. «È stato lui a chiamarmi per riappacificarci, non intendo dire altro», ha aggiunto Patuanelli. Decarli era stato il primo firmatario dell’unica mozione approvata sull’argomento in tarda serata dal Consiglio. In essa, in particolare si impegnano il sindaco e l’assessore all’Ambiente «a verificare che la messa a punto degli impianti attuali e quelli che verranno progressivamente riconvertiti siano compatibili ed efficaci dal punto di vista ambientale sia per coloro che all’interno dello stabilimento vi lavorano che per l’abitato circostante, in relazione soprattutto ai rilevamenti e ai parametri di garanzia e di sicurezza per la salute» e a «richiedere una relazione semestrale a Siderurgica Triestina sul complesso della situazione ambientale, tempi e progressione della riconversione, numero degli occupati diretti e dell’indotto». Mozione approvata con 16 favorevoli (tutta la maggioranza di centrosinistra tranne Sel) e 5 contrari (Sel e M5S), mentre l’intero centrodestra non era presente in aula. Bocciate invece, entrambe con 15 voti contrari e 6 soli voti favorevoli (Sel, M5S e Paolo Bassi del Gruppo misto) sia la mozione dei vendoliani che quella dei grillini. In quella di Sel, il Consiglio comunale intendeva impegnare il sindaco «a orientare un nuovo sviluppo economico-produttivo del’area Ferriera definendo sul piano programmatico, con l’imprenditore, la chiusura progressiva dell’area a caldo, a compimento del necessario periodo di transizione per la messa a regime delle nuove attività». Secondo quella dei Cinquestelle il sindaco «in sede di rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale» avrebbe dovuto rappresentare «la necessità di addivenire progressivamente, e comunque entro la fine del 2015, alla chiusura dell’area a caldo, proponendo quindi alla Regione di inserire nelle prescrizioni contenute nell’Aia tutti gli interventi necessari a limitare le emissioni inquinanti nel periodo transitorio». Al termine di una contestazione che si è protratta per tutta la seduta, l'associazione Nosmog, attraverso la presidente Alda Sancin ha precisato che «la sua presenza agli incontri con le Istituzioni, talvolta richiesta e talvolta su invito, non è rappresentativa di una compiacenza, connivenza, assenso o peggio ancora complicità in merito a decisioni prese altrove. Ricorda che i cittadini non hanno mai avuto un ruolo decisionale, né tanto meno propositivo, ai vari tavoli sull'argomento. Già nel luglio 2011 - rileva Sancin - con questa amministrazione, l'associazione Nosmog, nel più totale spirito collaborativo, aveva avanzato al Comune una serie di richieste volte a migliorare i controlli ambientali sull'attività industriale della Ferriera, quali videomonitoraggi gestiti dalla parte pubblica, interventi in loco della Polizia locale per la verifica degli inconvenienti ambientali segnalati dai cittadini, l'acquisizione da parte pubblica delle centraline di rilevamento private e molto altro ancora. A tutt'oggi nulla di tutto ciò è stato ottenuto». Picchione trasferita, se ne va a L’Aquila (Piccolo Trieste) di Piero Rauber È una casella come tante altre: 135 a esser pignoli, tanti quanti i posti direttivi messi a bando a gennaio dal ministero per i Beni culturali una volta varata a fine 2014 la riforma Franceschini degli uffici ministeriali. A Trieste e più in generale in Friuli Venezia Giulia, però, è la casella con la C maiuscola, perché la figura che l’ha occupata negli ultimi tre anni è finita più e più volte sui giornali sia per la proverbiale ortodossia nella difesa delle Belle arti di fronte ai cantieri edilizi sia per quei lavori di restauro su alcuni monumenti da lei affidati senza gara a un’impresa di Roma, e per questo censurati di recente dall’Autorità nazionale Anticorruzione. La Casella è la scrivania occupata a Palazzo Economo da Maria Giulia Picchione, la soprintendente ai Beni architettonici e paesaggistici. La quale - nel valzer nazionale dei dirigenti per cui è stata aperta la procedura di trasferimento e sono partite le relative comunicazioni di avvio dell’iter - sta appunto per andarsene. Destinazione L’Aquila, dove in realtà le scrivanie analoghe a quella su cui lei siede qui sono due: una prima speciale, commissariale, dedicata esclusivamente alla ricostruzione, e una seconda ordinaria. Ebbene, Picchione dovrebbe prendersi quest’ultima. Sia chiaro: non si tratta formalmente di una punizione, poiché si dice che la diretta interessata neanche aveva fatto domanda di conferma a Trieste quando a gennaio erano stati aperti i bandi ministeriali, né di un declassamento, in quanto gli uffici di Friuli Venezia Giulia e Abruzzo sono sulla stessa linea per grado e retribuzione. Come dev’essere chiaro che, per intanto, Picchione resta salda in sella a Palazzo Economo. I tempi e i modi del trasloco dipenderanno pure dall’individuazione del sostituto, che andrà a guidare la nuova Soprintendenza regionale ai Beni culturali, frutto della fusione in base alla stessa riforma Franceschini della Soprintendenza regionale ai Beni architettonici e paesaggistici, retta per l’appunto da Picchione, e di quella ai Beni storico-artistici, guidata da Luca Caburlotto. Il quale, a sua volta, è stato scelto - ma in questo caso la cosa era già nota - come responsabile del Polo museale del Friuli Venezia Giulia di Aquileia, Cividale e Miramare, il nuovissimo ufficio contemplato sempre dalla riforma Franceschini. «Non c’è ancora nulla di ufficiale, non sappiamo ancora nulla di certo da Roma», si limita a dire per ora Picchione. Più avanti invece appare la procedura burocratica che riguarda Caburlotto, che conferma come, pur non essendogli ancora arrivato un vero e proprio decreto di nomina dalla capitale, ha comunque ricevuto una comunicazione preliminare, a suo modo irreversibile, se vogliamo, in cui gli viene assicurato che l’iter di nomina «è stato avviato». Tasse lievitate del 50% in tre anni (M. Veneto Pordenone) di Martina Milia Una lotta impari contro le tasse. Si prenda l’aumento generato dal passaggio dalla Tarsu (tassa per i rifiuti solidi urbani) alla Tares (tassa per i rifiuti e servizi) – la Tares, a differenza della Tarsu, copre il 100 per cento dei costi della bolletta –, si aggiungano i continui balzelli imposti da Roma, Tasi in testa, e il conto è fatto. Le entrate tributare del Comune di Pordenone, in tre anni, sono lievitate di quasi il 50 per cento. Un meccanismo, di fatto obbligatorio, visto che nel frattempo i trasferimenti da Stato e Regione sono calati. Per garantire i servizi, insomma, non restano che le tasse. I numeri emergono dalla sintesi del bilancio preventivo 2015 presentate ai capigruppo in consiglio. Entrate tributarie. I tributi, considerato che le entrate previste per l’anno in corso si attestano su poco meno di 100 milioni (99,5), rappresentano un terzo delle entrate totali, poco meno di 32 milioni. Se nel 2011 ammontavano a 20,8 milioni di euro, a fine 2014 hanno raggiunto quota 32 milioni di euro. E anche se lo sforzo dell’amministrazione è quello di ridurre la pressione fiscale sui cittadini – quest’anno è prevista una diminuzione della tassa sui rifiuti, sia per i cittadini che per le imprese – il Comune (Pordenone come gli altri) non ha grandi margini di manovra. A meno che non metta mano ancora alla spesa che, considerato il valore al netto dell’inflazione, può definirsi tutto sommato alla stregua di quella di dieci anni fa. Le tasse. Lo Stato ha “compensato” i Comuni del taglio dei trasferimenti “regalando” tasse. E’ nata così la Iuc, l’imposta unica comunale, formata dalla Tari (che per un anno si chiamava Tares e prevedeva pure una tassa nella tassa pari a 30 centesimi a metro quadro da versare allo Stato) e dalla Tasi, la tassa sui servizi che è andata praticamente a sostituire l’Imu sulla prima casa. Non a caso più di una volta il sindaco Claudio Pedrotti è sbottato evidenziando come i Comuni – e Pordenone non fa eccezione – si trovino a svolgere il ruolo di esattori per conto dello Stato. Trasferimenti. Ma il Comune potrebbe decidere di non applicare certi tributi? Davvero difficile da credere, soprattutto se si guarda il trend dei trasferimenti da Stato e Regione. Potrebbe fare meglio? Secondo le forze di opposizione sì, ma sta alla politica dimostrarlo. Rispetto al 2011 (anno in cui il Comune ha incamerato 53 milioni di euro), lo scorso anno i trasferimenti si sono fermati a quota 45 milioni e quest’anno, da bilancio di previsione, mancano all’appello altri 3,2 milioni di euro. In quattro anni, salvo la manna dall’assestamento della Regione che si accerterà solo nella seconda parte dell’anno, il calo è di circa 10 milioni. Servizi e partecipate. Se le entrate che derivano dai servizi sono tutto sommato in crescita (nel 2011 non raggiungevano i 12 milioni mentre già lo scorso anno questa cifra era stata raggiunta) quelle dei proventi finanziari sono crollate: dai 4 milioni del 2011 si passati a 1,2 milioni nel 2014 e quest’anno si ipotizza un ulteriore calo di 200 mila euro. A pesare sulle minori entrate il calo progressivo dei dividendi Atap. Provincia, passa la mozione per mantenere la Prefettura (Gazzettino Pordenone) Il Consiglio provinciale fa quadrato, con pochi distinguo, attorno alla difesa della Prefettura, e riparte da lì l'impegno contro il declassamento della Destra Tagliamento. È infatti passata all'unanimità, con un piccolo emendamento proposto dalla maggioranza, la mozione presentata dai gruppi consiliari Uniti al centro e Civica costituente popolare per il mantenimento a Pordenone dell'Ufficio territoriale del Governo e delle altre istituzioni e sedi di enti per i quali si profila l'ipotesi di cancellazioni e accentramenti. Quello su cui maggioranza e opposizione non trovano l'accordo è, in apertura di Consiglio, la proposta di dare la priorità al documento: la mozione d'ordine di Nicola Callegari per sovvertire l'ordine del giorno fissato dalla conferenza dei capigruppo si scontra con il voto contrario del centrosinistra, e la questione scivola nell'ultima fase dell'assemblea. La mozione impegna il presidente e la Giunta provinciale a intraprendere tutte le iniziative necessarie per la difesa della Prefettura, chiamando in causa anche la Regione Friuli Venezia Giulia e chiedendo una convocazione dell'Assemblea dei sindaci: «Non un documento di un colore politico - precisa Callegari -, ma il documento di un territorio che sta giocando le proprie carte». L'Assemblea dei sindaci, richiesta anche dalla maggioranza, è di fatto già in programma per il prossimo 13 marzo e il documento raccoglie il consenso di tutto lo schieramento, sia pure con diversi accenti. Il Pd chiede, con Francesca Papais, di inserire due emendamenti che sottolineano, da un lato, la condivisione del percorso di riforma dello Stato e dall'altro il principio di equità e il reciproco rispetto fra Stato ed enti territoriali. Via libera anche dalla Lega Nord, che pure con Andrea Delle Vedove rivendica la raccolta di firme promossa proprio per ottenere l'abolizione della Prefettura. Ma la difesa della Prefettura, si sottolinea da più parti, dev'essere solamente il punto di partenza: «Il vero problema di questo territorio - sottolinea Marco Salvador - è legato alla perdita di potere economico, prima ancora che delle rappresentanze statali». E analogamente il voto favorevole di Giuseppe Pedicini è subordinato a un impegno «a portare delle proposte concrete per dare un indirizzo al territorio». E alcune linee di indirizzo le traccia il presidente Claudio Pedrotti: «Se siamo in una regione così piccola, alla fine dovremo individuare le specialità. Se la nostra è una provincia da sempre caratterizzata dalla sua industria, l'Unione industriali deve aver qui, nel nostro territorio, una presenza significativa sui temi che ci sono cari come quello dell'innovazione». Domino, l’asta va al gruppo Treesse. Si riparte a giugno (M. Veneto Pordenone) La Domino di Spilimbergo è stata aggiudicata in via definitiva al gruppo Treesse di Viterbo, che opera nel comparto del wellness e del mobile e di cui è amministratore unico Francesco Merenda. In seguito all’asta di febbraio, non sono state depositate offerte migliorative e quindi si è proceduto alla conferma dell’aggiudicatario. Tramontata l’ipotesi che Stefano Boccalon, titolare di Glass idromassaggio, potesse farsi avanti. L’imprenditore, dopo la dichiarazione di fallimento, aveva portato a compimento le ultime commesse rimaste in portafoglio Domino e manifestato interesse, se non altro verbale, a partecipare all’asta per la vendita del complesso immobiliare. Inoltre, aveva dichiarato di essere al lavoro per un piano a lungo termine per garantire futuro al sito. Alla fine, però, non è passato dalle parole ai fatti. L’importante, comunque, è che la travagliata vertenza si sia chiusa positivamente. L’attività di Domino dovrebbe ripartire a giugno: al lavoro, un terzo dei 109 ex dipendenti. Il curatore Paolo Fabris ha sensibilizzato l’aggiudicatario sulla validità delle risorse umane presenti in tale realtà, invitandolo a evitare una dispersione delle professionalità. Lavinox, si torna al lavoro con l’incognita del salario (M. Veneto Pordenone) CHIONS Riparte alle 5.30 di oggi, su tre turni, l’attività della Lavorazioni Inox di Villotta, in capo alla newco Lavinox. In stabilimento, sino a venerdì, tutte le 214 maestranze. Per dare risposte ai clienti, in primis all’Electrolux Professional, e colmare il gap produttivo che si è determinato con la fermata collettiva della scorsa settimana, quando è stato decretato il fallimento, gli addetti lavoreranno anche di notte. E’ stato ripristinato il turno dalle 21.30 alle 5.30. Nei mesi scorsi, i dipendenti operavano sei ore su due turni, mattutino e pomeridiano. Le due ore non lavorate venivano coperte con i contratti di solidarietà. Le maestranze ora saranno operative al mattino, dalle 5.30 alle 13.30, al pomeriggio, dalle 13.30 alle 21.30, e di notte. Sempre attivi, come prima del crac, gli addetti che lavoravano a giornata, dalle 7 alle 16. Questa l’organizzazione produttiva di tre giorni, ma da lunedì come saranno gestiti il carico di lavoro e dunque gli addetti? Questo l’interrogativo cui si cercherà di dare risposta nel corso dell’incontro già a calendario permercoledì, a Unindustria. La preoccupazione delle maestranze è elevata, perché il posto per tutti, in azienda, è garantito per poco tempo. Le organizzazioni sindacali hanno già annunciato che si valuterà l’ipotesi del ricorso agli ammortizzatori sociali, tra cui la cassa ordinaria. Alle 17.30 di oggi, a villa Perotti, a Chions, si cercherà di trovare una soluzione, in termini economici, per i dipendenti dell’ex Lavorazioni Inox, che sino a metà aprile rimarranno senza soldi. Il primo cittadino Federica Della Rosa ha convocato i sindaci dei 43 comuni di residenza degli addetti, sindacati e Unindustria per individuare misure di sostegno al reddito per le maestranze. Dopo la dichiarazione di fallimento, gli stipendi sono stati congelati. Ma a preoccupare sono i tempi: si potrebbe attendere anche un anno per la corresponsione del 40 per cento della paga di gennaio, che doveva essere liquidato a fine febbraio, in base agli accordi col gruppo Sassoli, e le spettanze di febbraio. Inoltre, lo stipendio per l’attività di marzo arriverà dalla newco a metà aprile. Due mesi e mezzo senza spettanze sono tanti, da qui la mobilitazione degli amministratori. Giulia Sacchi Agorà, stipendi in ritardo e nuove accuse (Gazzettino Pordenone) PORDENONE - (d.l.) Potrebbe complicarsi la vertenza legata al ritardo dei pagamenti degli stipendi da parte della Coop Agorà Toscana ai sessanta dipendenti delle Rsa di Pordenone, Roveredo e Sacile gestite in appalto. Nell’incontro di ieri, tra la direzione generale dell’Aas5 e Cgil-Sanità, sarebbero emersi ulteriori elementi aggravanti relativi ad altre presunte violazioni contrattuali - sulle quali l’Azienda starebbe compiendo accertamenti per verificare le circostanze - legate ai versamenti di quote di Tfr nei fondi dei lavoratori. La direzione ha intimato alla Coop di effettuare il pagamento, a valuta fissa, il 20 marzo affinché in quella precisa data gli stipendi vengano accrediti nei conti dei dipendenti. «Il nostro obiettivo - ha spiegato il direttore generale Paolo Bordon - è di arrivare in tempi molto stretti alla nuova gara di appalto e all’assegnazione. Il capitolato è già stato consegnato e abbiamo segnalato all’Egas (l’ente gestisce gli appalti sanitari regionali, ndr) l’urgenza della situazione e la necessità di fare in fretta». L’appalto è scaduto e la gestione sta avvenendo in proroga. Il sindacato, che è intenzionato ad andare fino in fondo e a rivolgersi anche alla magistratura se fosse necessario, teme però che i tempi della gara possano essere più lunghi rispetto ai quattro mesi previsti e chiede che il contratto con l’attuale cooperativa venga rescisso con l’aggiudicazione provvisoria fino a nuova gara. «C’è un piano B - conferma il direttore - condiviso con il sindacato. Nel caso in cui la cooperativa non regolarizzi i pagamenti e se dovessero essere confermate le violazioni contrattuali si valuterà se rescindere il contratto e aggiudicare provvisoriamente il servizio scorrendo la graduatoria della gara». La società che si classificò seconda è il Consorzio Welcoop di Pordenone. Che ha fatto sapere di essere in grado, in cinque giorni, di subentrare in emergenza nella gestione del servizio con la riassunzione del personale. Metro, priorità per i posti liberi (M. Veneto Pordenone) A poco meno di un mese dalla chiusura della Metro Pordenone, Provincia e parti sociali si sono incontrate per attuare i percorsi di ricollocazione dei 48 dipendenti che dal 2 aprile rimarranno senza occupazione. Azienda, funzionari di area lavoro dell’ente intermedio e rappresentanti sindacali di Filcams, Fisascat e Uiltucs si sono riuniti ieri mattina per il primo di una serie di tavoli programmati a cadenza mensile. Oltre alla certezza della cassa integrazione per cessazione d’attività – che scatterà subito e durerà un anno – per i dipendenti della Metro Pordenone è stato raggiunto (al termine di due ore di trattativa) un altro importante accordo: una priorità di 15 giorni per manifestare l’interesse ad accedere alle posizioni lavorative che eventualmente si liberino nei vari punti vendita nazionali (48 eccettuato quello cittadino, l’unico a chiudere). Quest’arco di tempo sarà a esclusivo beneficio dei dipendenti pordenonesi: una volta trascorso, l’offerta sarà estesa a tutti i lavoratori di Metro Italia. Si tratta di un “vantaggio” chiesto dai sindacati in considerazione del fatto che si tratta pur sempre di un trasferimento coatto, dovuto cioè alla chiusura del punto vendita, e non volontario. Secondo lo stesso principio è stata accordata dall’azienda, nel caso di reinserimento in altra sede, l’attivazione degli strumenti di conciliazione degli orari di lavoro. Altro provvedimento attuato la pubblicazione dei curricula del personale sul portale di Federdistribuzione, così da renderli accessibili alle aziende interessate. Inoltre, 36 su 48 dipendenti parteciperanno all’iter formativo che li guiderà alla ricerca di una nuova occupazione. Resta aperto anche il canale della ricollocazione transfrontaliera, con la Provincia pronta a mettere in campo gli incentivi per chi vorrà trasferirsi all’estero. Le condizioni saranno illustrate ai lavoratori in assemblea l’11 marzo, mentre il 13 aprile parti sociali e Provincia faranno di nuovo il punto della situazione. «L’azienda si è impegnata a valutare caso per caso – spiega la segretaria provinciale della Filcams Cgil Daniela Duz –. Il sindacato auspica che Provincia e Metro lavorino in sinergia, senza sovrapposizioni d’intervento. Misureremo l’efficacia dei risultati e degli strumenti messi in campo soltanto quando avremo i dati sulla ricollocazione del personale. Pur rendendoci conto dell’attuale contesto di particolare difficoltà ci aspettiamo concretezza: la congiuntura sfavorevole non può diventare una scusante per non agire». Miroslava Pasquali Electrolux, il bilancio illustrato in fabbrica (Gazzettino Pordenone) PORDENONE - (d.l.) Solitamente le assemblee di fabbrica le convoca il sindacato. È molto più raro che sia l’azienda a "radunare" tutti i dipendenti per comunicare qualcosa. Anche per questo alla Electrolux di Porcia l’annuncio dell’assemblea convocata dalla direzione aziendale per domani ha creato molta curiosità tra i lavoratori. Nell’ultimo quindicennio l’azienda ha organizzato solo due o tre assemblee "generali" con tutto il personale e sempre in concomitanza con momenti importanti per la fabbrica. Come l’avvio del nuovo sistema organizzativo Ems o con l’avvio del nuovo modello Hec di lavatrice. O alcuni anni fa in occasione della nuova fabbrica con le cinque linee produttive attuali. Stavolta l’assemblea coinvolge tutti gli stabilimenti europei e fa parte di un programma deciso dai vertici di Stoccolma al fine di condividere la più ampia informazione possibile sui risultati trimestrali della società. Un programma - già in parte avviato - ma che punta a coinvolgere maggiormente sia i colletti bianchi degli uffici ma anche gli operai dei reparti produttivi. Si inaugura un programma di maggiore informazione basata su una comunicazione trasparente, all’insegna di un approccio scandinavo. Questo "nuovo corso" a Porcia sarà inaugurato domani e verterà sui risultati, giudicati da record, dell’ultimo trimestre. Il gruppo di Stoccolma ha chiuso il 2014 con un 8 per cento in più sull’utile operativo e un 2,7 per cento sul fatturato. Nell’illustrare i numeri dell’ultimo trimestre 2014 il "numero uno" del gruppo Keith McLoughlin aveva annunciato che il programma di delocalizzazioni, lanciato nel 2004, è arrivato al capolinea. Domani il direttore di stabilimento Emanuele Quarin, con lo staff della direzione di Porcia, interverrà davanti a tutti i dipendenti riuniti nella grande sala mensa. L’incontro, in orario di lavoro, è previsto dalle 13 alle 14. Anno record per Bo Frost (M. Veneto Pordenone) SAN VITO Fatturato e occupazione in crescita, progetti di ampliamento della rete di vendita e investimenti milionari per il rinnovo delle filiali. Un altro bilancio all’insegna del successo, quello appena chiuso, per Bofrost Italia, la più importante realtà italiana della vendita diretta di alimenti surgelati, che continua a puntare in alto, per tagliare altri importanti traguardi. Il colosso fondato e presieduto da Edoardo Roncadin ha tracciato il quadro dell’andamento dell’impresa in un evento aziendale organizzato allo stadio Friuli, in collaborazione con la società di Giampaolo Pozzo. La realtà di San Vito al Tagliamento ha chiuso il bilancio 2014-2015 (terminato il 28 febbraio) a quota 217 milioni di euro, con un più 4,8 per cento rispetto all’esercizio precedente. Un trend positivo, che continua per l’ottavo anno consecutivo: dal 2007 a oggi il fatturato è cresciuto del 31,5 per cento. Le famiglie italiane che conoscono e consumano le specialità surgelate Bofrost sono oltre 1,2 milioni e la quota valore di mercato tocca il 9,5 per cento, dietro solamente a Findus. «Motivazione e cura dei talenti, solidità economica ed eccellenza del territorio sono valori che condividiamo con un’altra realtà friulana come l’Udinese e sono la chiave della crescita di Bofrost – ha commentato l’amministratore delegato Gianluca Tesolin –. Nel 2015, proseguiremo il piano di espansione basato sull’ampliamento della rete di vendita e sull’investimento di 4,5 milioni di euro per rinnovare le filiali. Punteremo sempre sui nostri punti di forza, ossia qualità di prodotti e servizio, basato sulla vendita diretta al domicilio del cliente». Nell’ultimo anno Bofrost è cresciuta anche dal punto di vista occupazionale, con 86 nuovi inserimenti. Nella sede di San Vito, nei 10 call center e nelle 50 filiali italiani oggi lavorano 2 mila dipendenti e 300 operatori vendita. Sono 450 le persone che operano nei call center, assunte con contratto di lavoro subordinato. «Proprio alla forza vendita è stato dedicato l’evento aziendale di Udine – ha aggiunto Tesolin –, con le premiazioni dei migliori collaboratori 2014-15 e dei vincitori delle gare di incentivazione avvenute, per la prima volta, sull’erba dello stadio Friuli, in una location ricca di fascino». Il mese scorso, la più grande realtà del sottozero porta a porta in Italia ha ricevuto il plauso della presidente della Regione, Debora Serracchiani, che ha fatto visita allo stabilimento di Meduno, azienda che produce pizze surgelate per Italia ed estero e attualmente impiega 336 addetti. Accolta dall’amministratore delegato Dario Roncadin, la governatrice ha visitato il reparto produttivo, dove si realizzano ogni anno 65 milioni di pizze e 8 milioni di snack. «La Roncadin – aveva commentato la governatrice – vanta numeri di cui possiamo essere orgogliosi. E’ una realtà industriale che, soprattutto negli ultimi sette anni, ha investito, innovato, si è impegnata in ricerche di mercato, ha consolidato l’attività e ha creato un importante volano occupazionale». L’ad dell’impresa medunese aveva ricordato l'apertura, nel 2013, di una filiale commerciale negli Stati Uniti e nel 2014 di un negozio a Shangai. La presenza di Bofrost nel mondo è consolidata: non va dimenticato che Edoardo Roncadin è alla guida anche del gruppo Bofrost international, realtà presente in 12 paesi europei, con 4 milioni di clienti fissi, 10 mila venditori, 5 mila veicoli e un catalogo di oltre mille specialità, per un fatturato annuo di oltre un miliardo 200 milioni di euro. Giulia Sacchi Mercatone Uno, il 12 anche il Fvg sarà al ministero (M. Veneto Udine) La Regione si farà parte attiva nella gestione della crisi del Mercatone Uno attivando un apposito tavolo di monitoraggio. A chiederlo, ieri, sono state le organizzazioni sindacali esponendo all’assessore al lavoro, Loredana Panariti, la difficile situazione vissuta della società di Imola che, dopo aver chiesto l’ammissione al concordato preventivo, entro il 19 marzo dovrà presentare il piano concordatario al tribunale di Bologna. Piano da redigere sulla base delle manifestazioni d’interesse arrivate entro la data limite del 28 febbraio. Due – stando a quanto riferito ieri dalle parti sociali – sarebbero i potenziali acquirenti di cui nulla, per ora, è dato sapere. Né se si tratti di imprese o di fondi né se l’interesse ricada sull’intero universo Mercatone o solo su una parte dei negozi. Se ne saprà di più con tutta probabilità il prossimo 12 marzo, data per la quale il Ministero per lo sviluppo economico ha convocato a Roma l’azienda, le parti sociali e alcune Regioni. Ci sarà anche il Friuli Venezia Giulia. Reduci dal “vis à vis” con Panariti, Susanna Pellegrini (Filcams Cgil) e Athos Di Stefano (Fisascat Cisl) hanno fatto sapere d’aver chiesto all’assessore che la Regione si faccia parte attiva per difendere gli oltre 100 posti di lavoro che Mercatone garantisce in Fvg. «Panariti ci ha rassicurati – ha detto Pellegrini –: la Regione ha già comunicato la propria presenza al tavolo del Mise ed ha pure accolto la richiesta di attivazione di un tavolo di monitoraggio». Altra novità, la possibilità per i lavoratori di chiedere alle banche l’anticipo della solidarietà accorciando i tempi dell’erogazione da parte dell’Inps. «Se la riduzione d’orario è superiore al 50% è possibile chiederne l’anticipo rivolgendosi alle Bcc», ha spiegato Di Stefano riservandosi di illustrare la possibilità ai lavoratori dopo un ulteriore approfondimento. In Fvg i negozi a marchio Mercatone Uno sono tre: Reana del Rojale, Monfalcone e Sacile. Occupano 117 persone, che in queste ultime settimane stanno vivendo con grande apprensione l’evolversi della vertenza, specie considerata la posizione di marginalità del Fvg rispetto al cuore dell’azienda che sta in Emilia Romagna. «Temiamo che i nostri negozi siano tra quelli che l’azienda considera meno appetibili», ha detto ieri Pellegrini spiegando che Filcams radunerà a Bologna domani i delegati di tutta Italia per decidere eventuali azioni di mobilitazione, tra cui l’invio di una delegazione a Roma il 12 marzo, in concomitanza del tavolo convocato dal Ministero. Venerdì saranno invece i lavoratori di Reana a riunirsi per un’assemblea lampo di mezzora, anche questa finalizzata a valutare ipotetiche azioni di protesta. Maura Delle Case «Non mi pagate? Non vengo al lavoro» (Gazzettino Udine) Walter Tomada Non è ancora arrivata a soluzione la questione del ritardo nei pagamenti da parte della I&T Servizi ai dipendenti che si occupano dei servizi Cup, accettazione prelievi ed anagrafe sanitaria esternalizzati dall'Aas 4 a questa società, rivelata da "Il Gazzettino" nelle scorse settimane. Mentre gli stipendi di gennaio ancora non risultano evasi, un dipendente (64 anni), Livio Presiren, di Taipana, ha deciso di attuare una forma estrema di protesta che ha anticipato alla società e all'Aas: «Mi trovo a non poter più sostenere i costi per recarmi al lavoro. Quindi - annuncia - da domani sono costretto a rimanere a casa fino a quando non avrò ricevuto ciò che mi spetta, e non avrò le garanzie dalla I&T e dalla Aas 4 che gli stipendi arriveranno regolarmente entro il 15 del mese successivo a quello concluso». Protesta a titolo personale, ma dovuta al fatto che «questa società - continua - non rispetta più i tempi di pagamento degli stipendi. Dapprima si scusava per il ritardo, poi la cosa è diventata una consuetudine. In questi ultimi mesi la situazione è precipitata. Si sono susseguite assicurazioni per bonifici che poi risultavano non fatti, ritardi su ritardi che hanno causato enormi problemi alla famiglia mia e delle mie colleghe». «Io - spiega lui - sono un essere umano, in carne ed ossa. E come tale ho necessità e diritto di vivere pienamente la mia vita, che comporta nutrirmi, vestirmi, affrontare spese quali bollette, benzina e costi per recarmi al lavoro che pesano parecchio. Se il datore di lavoro mi considera soltanto una persona giuridica, ignorando chi sono veramente, allora abbiamo veramente toccato il fondo. Io non mi sento e non voglio essere schiavo di nessuno». Da qui la richiesta di regolarizzare i pagamenti: «Non posso più aspettare», dice. La sua analisi dell'accaduto è a 360 gradi: «Tutta questa situazione - conclude, infatti, anche con una seria autocritica - è un insieme di errori, fin dall'inizio. La scelta politica di esternalizzare l'attività amministrativa; concedere l'appalto ad una società senza tutelarsi adeguatamente per non doversi trovare impotenti dinanzi a situazioni come quelle venutesi a creare; l'errore da parte nostra di non prendere posizione fin dalle prime avvisaglie di irregolarità, dando sempre fiducia a chiacchiere e promesse. Tanto più che dal contratto (metalmeccanico, ndr) a 40 ore a tempo pieno siamo finiti a 30 ore, con decurtazione del 25 per cento delle retribuzioni». Che arrivano a singhiozzo: «Io - dice - sono abituato a portar avanti gli impegni lavorativi presi. Il mio lavoro comporta puntualità, attenzione, responsabilità e disponibilità nei confronti dell'utenza e cerco di dare il massimo sempre e comunque. Ma non si può pretendere che ciò sia sottinteso per il dipendente e tutto il resto un optional per il datore di lavoro».
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