RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 18 febbraio 2015 (Gli articoli della presente rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli REGIONE (pag. 2) Un polo del Nordest per stoppare gli spagnoli (M. Veneto, 2 articoli) Province cancellate a fine marzo dal Senato (Piccolo) Sanità, operatori del Cup senza stipendio da due mesi (Gazzettino) Pesca, la crisi morde ancora. «Cassa, ritardi pesanti» (Gazzettino) “Siconte” vale 2mila posti di lavoro (Piccolo) Profughi in gruppi di almeno 15 (Gazzettino) Ronchi di interesse nazionale. Ma l’intesa con Venezia non c’è (M. Veneto) Via la poltrona ai manager in pensione (Piccolo) CRONACHE LOCALI (pag. 10) Porto, cambio della guardia. D'Agostino commissario (Piccolo Trieste) Chiudono i magazzini Mazzorato (Piccolo Trieste) I sindacati: «Così l'Ater non funziona» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Fincantieri, lavoro sicuro fino alla metà del 2018 (Piccolo Gorizia-Monfalcone) La crisi minaccia anche la pesca, ma l’acquacoltura salva i bilanci (M. Veneto Udine) Friulia decisiva per Sangalli vetro (Gazzettino Udine) Savio, arriva una commessa. Chiusura del 27 cancellata (M. Veneto Pordenone) Electrolux, a Roma si cerca la soluzione per evitare 150 esuberi (M. Veneto Pordenone) Safop verso i contratti solidali. In 43 con il fiato sospeso (M. Veneto Pordenone) Domino, debiti per oltre 9 milioni di euro (M. Veneto Pordenone) Scuola, un centinaio di precari rischiano di restare senza lavoro (Gazzettino Pordenone) REGIONE Un polo del Nordest per stoppare gli spagnoli (M. Veneto) di Anna Buttazzoni UDINE Progettare il polo autostradale del Nordest tra Autovie Venete, Cav (Concessionarie autostradali venete) e Brescia-Padova. Anche per stoppare la conquista del mercato da parte degli spagnoli di Abertis. Il progetto di fusione dev’essere pronto entro giugno. A realizzarlo è l’advisor Kpmg. Il lavoro procede a ritmo sostenuto. Fosse per il leghista sindaco di Verona Flavio Tosi – presidente della Brescia-Padova controllata dalla società A4 Holding – sarebbe anche già chiuso, perché lui vuole accelerare. Autovie procede come da programma e la prova viene anche dall’impegno avviato in queste settimane per “pesare” il valore del personale della concessionaria regionale. I sei direttori di Autovie e i 23 dipendenti che hanno il ruolo di “posizioni organizzative”, cioè i quadri della società, vengono valutati, anche attraverso interviste vis-à-vis, per dettagliare l’organizzazione della società e le diverse aree operative in cui è impostata. Un’attività portata avanti perché funzionale a capire quanto vale Autovie e come arrivare alla fusione. Fusione sposata anche dai presidenti del Fvg, Debora Serracchiani, e del Veneto, Luca Zaia. In mezzo, però, c’è più di un ostacolo. Il primo si chiama Sblocca Italia. È la legge del novembre 2014, voluta dal Governo di Matteo Renzi e approvata dal Parlamento, che consente di prorogare la scadenza delle concessioni autostradali in cambio di lavori di potenziamento delle infrastrutture e dell’unificazione di tratte contigue o complementari per la loro gestione unitaria. Le fusioni, appunto. È in base a quelle norme che il Governo Renzi ha presentato all’Unione europea la richiesta di proroga delle concessioni autostradali per il Gruppo Gavio, l’Autobrennero e Autovie, cui l’Anas ha dato in gestione l’A4 fino al 2017, proponendo all’Europa di poter arrivare al 2038. Ma il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha messo in discussione quella norma e proprio lunedì, in audizione alla Camera, ha anche proposto di farla decadere. La risposta arriverà dal Governo e dal ministro Maurizio Lupi, ma certo al momento rallenta le unioni. Il secondo ostacolo è la scadenza del Cda di Autovie che a giugno chiuderà il proprio impegno per essere rinnovato entro ottobre. L’attuale consiglio, presieduto da Emilio Terpin, vedrà il progetto di fusione proposto da Kpmg, ma di sicuro non lo approverà. Un atto di tale rilevanza non potrebbe vedere l’ok da parte di una Cda in scadenza. La luce verde all’eventuale fusione, quindi, non arriverà prima della fine dell’anno. Il terzo ostacolo si chiama Abertis e s’intreccia, pericolosamente, con il Cda di Autovie in scadenza e con la voglia di accelerare di Tosi. Intesa Sanpaolo controlla il 51 per cento di A4 Holding e da mesi lavora alla vendita delle quote. Una cessione che la Banca ha intavolato con Abertis, il colosso spagnolo delle telecomunicazioni e delle infrastrutture di trasporto. La trattativa va avanti da mesi e vale circa 600 milioni, ma soprattutto consentirebbe agli spagnoli di entrare nel mercato italiano delle autostrade, obiettivo cui Abertis punta da un decennio. La Brescia-Padova è una concessionaria tra le più floride, tanto che nel 2014 sono cresciuti i ricavi di 16 milioni e diminuiti i debiti di 10 (i numeri del bilancio 2014 sono riportati nell’articolo a destra). E la Brescia-Padova sarebbe solo un primo tassello nella strategia di conquista del mercato italiano delle autostrade da parte degli spagnoli. Il primo a opporsi con forza all’ipotesi è stato Tosi, che ha quindi provato ad accelerare sulla holding unica tra Autovie e Cav, la società subentrata a Serenissima nel dicembre 2009 per la gestione della Venezia-Padova e che è composta al 50 per cento da Anas e al 50 dalla Regione Veneto. I presidenti Serracchiani e Zaia hanno già manifestato la comune volontà di aggregazione, non solo tra Autovie, Cav e Brescia-Padova, ma anche oltre. Arrivando a immaginare una holding delle autostrade per l’intero Nord, perché la frammentazione tra concessionarie è troppa e unire le gestioni significherebbe abbattere i costi e rispondere ai dettami europei. Se però sembra prematura la costituzione di una squadra del Nord, quella del Nordest non è un miraggio. Soprattutto per stoppare le ambizioni di Abertis. Nel percorso tracciato politicamente, però, c’è un altro ostacolo, è l’appuntamento con le elezioni regionali in Veneto, contesa che si consumerà a maggio. L’uscente presidente Zaia è ricandidato e, tra gli altri, dovrà competere anche con la democratica Alessandra Moretti. Le elezioni definiranno i rapporti di forza tra Tosi e Zaia, ma potrebbe anche far cambiare le prospettive su Cav e fusioni. La nascita del polo del Nordest potrebbe dunque rallentare e lasciare spazi conquistatori spagnoli. Cambiano gli orari di lavoro. E scatta il primo referendum UDINE Il nuovo contratto è stato siglato e per la prima volta tra i circa 650 dipendenti di Autovie Venete scatterà un referendum. A conferma che il passaggio non è stato banale. La firma al documento tra i vertici della società, sindacati e Rsu – rappresentanze sindacali unitarie – è arrivata venerdì. Il nuovo contratto resterà in vigore fino al 2017 e si tratta di una contrattazione di secondo livello, perché Autovie, come tutte le concessionarie autostradali, ha adottato un contratto nazionale di lavoro che riguarda concessionarie, autostrade e trafori e che detta le norme per i dipendenti. A ogni singola realtà è dato poi facoltà di dare attuazione a una propria contrattazione aziendale, chiamata appunto di secondo livello. Autovie, avendone potestà, ha scelto quella strada rispetto al “patto” nazionale. Cgil, Cisl, Uil e Ugl sono quindi arrivati a un’intesa con i vertici della concessionaria, ma se dal punto di vista economico o dei buoni pasto le variazioni sono minime, molto cambierà sotto il profilo degli orari, il nodo più discusso e che sarà poi l’oggetto del referendum. In Autovie i circa 650 dipendenti sono organizzati tra impiegati che lavorano 40 ore settimanali, mentre circa un terzo del personale è impegnato a turni dovendo garantire una presenza 24 ore su 24. Si tratta in particolare degli esattori – cioè i casellanti –, degli operai della manutenzione d’urgenza, dei tecnici dedicati all’assistenza degli impianti e del personale impegnato al Centro radio informativo. I cambiamenti entreranno in vigore il 1º aprile e riguardano il personale che svolge il lavoro distribuito sulle 40 ore settimanali. A loro è stato proposto di modificare l’orario d’entrata che resta flessibile, ma se oggi va dalle 7.45 alle 8.45 tra un mese e mezzo sarà allungato alle 9. Oggi i dipendenti lavorano otto ore al giorno – straordinari esclusi –, ma da aprile potranno arrivare a otto ore e mezza al giorno. Dal lunedì al giovedì, quindi, i dipendenti potranno accumulare complessivamente due ore in più che potranno essere “scalate” il venerdì, terminando quindi il lavoro alle 14.15 piuttosto che, come oggi, alle 16.15. Una rimodulazione dell’orario che, soprattutto per gli straordinari in meno, ha scatenato qualche mal di pancia. Ecco perché il debutto in via sperimentale è fissato il 1º aprile e poi tra ottobre e novembre il nuovo orario sarà sottoposto a referendum.(a.bu.) Province cancellate a fine marzo dal Senato (Piccolo) di Marco Ballico TRIESTE Tra un mese il Senato potrebbe votare per l’eliminazione delle Province del Friuli Venezia Giulia. Solo il primo passo di un percorso di doppia lettura parlamentare ma, secondo il relatore a Palazzo Madama, il senatore triestino Francesco Russo, l’operazione potrebbe concretizzarsi in tempi non lunghissimi, «sei-nove mesi», di certo prima dell’approvazione della riforma costituzionale. Fermo restando, avverte Russo anche davanti all’auspicio di Franco Iacop per un «esame spedito», che tutto dipenderà dai lavori delle Camere. Ieri la presenza a Roma del presidente del Consiglio regionale in audizione in commissione Affari costituzionali del Senato (presieduta da Anna Finocchiaro, con Russo anche i colleghi senatori Fvg Carlo Pegorer e Alessandro Maran), assieme al presidente della V commissione Vincenzo Martines (oggi toccherà a Debora Serracchiani), è stato comunque un altro appuntamento verso il superamento degli enti intermedi Fvg. Il presidente dell’aula di piazza Oberdan ha illustrato un documento di sintesi dei passaggi legislativi degli ultimi anni sugli enti locali (dalla riforma 2006 al declassamento delle Province ad amministrazioni di secondo grado, dalla previsione di loro abrogazione statutaria alle Uti del ddl Panontin). In questo contesto si inseriscono due altre iniziative di legge: quella parlamentare del senatore friulano Carlo Pegorer (ddl 77 del marzo 2013) e quella consiliare inviata alla Camere. Entrambe propongono la modifica dello Statuto con la previsione della cancellazione delle Province differenziandosi solo sulla città metropoliana. La volontà politica dell’aula, ha spiegato Iacop in commissione, «non vorrebbe questo istituto obbligatorio, ma lascerebbe al legislatore regionale la facoltà di introdurla con valutazioni coerenti a quanto già oggi avviene con le Unioni intercomunali». Altro nodo è quello dello scioglimento automatico della Provincia di Udine una volta chiusa la procedura della doppia lettura, un passaggio previsto nel ddl Pegorer su cui si è battuto ieri in audizione il presidente dell’ente Pietro Fontanini. Pure Russo ha qualche perplessità: «Non credo servano accanimenti, anche per Udine si può andare a scadenza naturale». Sarà proprio Russo a fare ora sintesi del ddl Pegorer e della legge del Consiglio. «La prossima settimana chiuderemo la fase degli emendamenti e non è escluso un passaggio tecnico in piazza Oberdan in caso di modifiche al testo – fa sapere il senatore triestino –. Ma poi, spero entro un mese, il Senato dovrebbe dare il primo via libera». Sanità, operatori del Cup senza stipendio da due mesi (Gazzettino) UDINE - Nella sanità della riforma, dell'organizzazione e dell'efficienza talvolta un ingranaggio si inceppa: e di mezzo ci vanno le persone, come i dipendenti dei servizi Cup, accettazione prelievi ed anagrafe sanitaria che l'Ass 4 ha esternalizzato dal 2010. L'appalto è stato vinto dalla I&T Servizi, che ha sede legale a Trento (ma è nata a Bari) e nei mesi scorsi ha avuto analoghi problemi di erogazione degli stipendi anche alla Asl 2 di Torino dove sono stati denunciati gravi ritardi nel versamento delle spettanze. E anche qui in Friuli, dove i lavoratori avrebbero dovuto già ricevere lo stipendio di gennaio, non hanno incassato ancora quello di dicembre. «Due mesi di stipendio non pagato mettono in grossa difficoltà al giorno d'oggi. Alcune colleghe rappresentano nuclei monoreddito, in alcuni casi con figli a carico» spiega una rappresentanza dei dipendenti coinvolti dal disservizio. Sono una quarantina, in servizio presso diverse sedi: il Gervasutta, il Distretto di Udine, Distretto e Ospedale di San Daniele, e poi Codroipo, Manzano e le sedi periferiche di Tricesimo e Povoletto e soprattutto il servizio di accettazione prelievi dell'Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine. «La maggior parte di noi - chiariscono - lavorava già presso le varie sedi dell'Ass 4, prima con contratto a tempo indeterminato, poi con un'agenzia interinale. Alla fine, per motivi vari, normative, fondi, il servizio è stato appaltato». E le cose non sono sempre andate bene: a partire dalla forma di assunzione: «Siamo state assunte dicono, perché la maggior parte è donna - con un contratto part time che da 36 ore è stato portato a 30, a tempo indeterminato con contratto metalmeccanico». Una tipologia del tutto diversa dalle mansioni effettivamente esercitate: ma per lavorare oggi si accetta di tutto. Il pagamento dello stipendio era previsto per il 15 del mese successivo. «All'inizio le cose funzionavano regolarmente, il secondo anno i tempi di erogazione degli stipendi si sono dilatati ma perlomeno l'ufficio personale mandava una mail, scusandosi per il ritardo». A gennaio 2014 però le dipendenti hanno ricevuto il pagamento dello stipendio e della tredicesima in due trance, «e da allora le cose sono andate peggiorando. Ad oggi siamo in attesa di ricevere lo stipendio di dicembre. Ormai questi ritardi sono diventati una abitudine consolidata. Non ci vengono fornite risposte, nessuno sa nulla. Quando riusciamo a metterci in contatto con l'azienda ci viene garantito che il pagamento degli stipendi è avvenuto, ma poi constatiamo che non è vero. Per lo stipendio di dicembre ci avevano assicurato che erano stati fatti liquidati i bonifici prima venerdì 6, poi giovedì 12 ma non è stato così. Oltre il danno pure la beffa». Anche perché «per un servizio essenziale come questo l'ipotesi di sciopero non è nemmeno considerabile: e del resto »l'Aas ha sempre cercato di difendere i nostri interessi entro i limiti imposti dalla normativa, ma finora il problema non si è risolto". Pesca, la crisi morde ancora «Cassa, ritardi pesanti» (Gazzettino) UDINE - Un lavoratore su 5 toccato dalla cassa integrazione, ma dalla pesca e dall'acquacoltura arrivano anche segnali di tenuta. Segnali che potranno trovare sostegno nei 10 milioni di dotazione (per il Fvg) del nuovo piano comunitario Feampo 2014-2020. «Ma il settore - ha detto l'assessore Panontin nel corso di un convegno organizzato dalla Flai Cgil ieri a Marano lagunare - si potrà risollevare solo se saprà perseguire un percorso di filiera capace di rafforzare la qualità certificata del prodotto e se le nostre imprese sapranno raggiungere le dimensioni necessarie per poter affrontare i mercati con le credenziali adatte». Una visione simile a quella espressa dalla Flai Cgil con il segretario Fvg Fabrizio Morocutti e la responsabile regionale del settore Ingrid Peres. Il sindacato, però, ha lanciato un allarme sul nuovo rischio di forti ritardi nell'erogazione dei fondi della cassa in deroga. Cassa in deroga che, pur ridimensionata del 20% nelle richieste rispetto al 2013, nel 2014 ha interessato un quinto dei lavoratori (80 imbarcazioni su 400) del comparto pesca e acquacoltura. Se l'anno scorso i fondi furono sbloccati a ottobre, il timore è che la situazione si ripeta, mettendo in grave difficoltà lavoratori per i quali la cassa arriva a coprire il 40% degli stipendi. «Entro marzo - denucia Ingrid Peres - il ministero dovrà dare alle Regioni informazioni precise sulla disponibilità e sui tempi di erogazione dei fondi. La Cgil, da parte sua, chiede più certezze sulla disponibilità di un ammortizzatore che, essendo utilizzato prevalentemente a copertura dei periodi di fermo biologico e degli effetti delle avversità atmosferiche, dovrebbe rientrare nella Cisoa, la cassa del settore agricolo che garantisce una copertura Inps per tutti i periodi di fermo non legati alla situazione dell'azienda». Dal comparto, toccato duramente dalla crisi, arrivano però anche segnali di tenuta: il numero di imprese attive, come evidenziato da una ricerca di Michela Mason e Luca Gos, dell'università di Udine, è aumentato dalle 489 del 2009 alle 508 del 2014, grazie soprattutto alla crescita dell'acquacoltura, che ha triplicato le imprese attive dalle 29 del 2009 alle 86 del 2014. «Questo - sottolinea Mason - a dimostrazione che ci si sta adeguando alle richieste di un mercato sempre più attento ai prezzi, anche per effetto della crescente concorrenza estera». “Siconte” vale 2mila posti di lavoro (Piccolo) TRIESTE Il programma regionale «Si.Con.Te. sistema conciliazione integrato», a supporto di occupazione femminile e conciliazione tra tempi di lavoro e per la cura dei cari, ha ottenuto anche nel 2014 risultati favorendo emersione del lavoro irregolare femminile, qualificazione dell’occupazione femminile e aumento dell'occupazione delle donne. Per l’assessore Pari opportunità, Loredana Panariti, con «i 21 Sportelli Si.Con.Te. - Assistenti Familiari (presenti in Fvg grazie anche al Fondo sociale europeo), è stato possibile erogare un servizio gratuito di risposta a problemi di conciliazione, con oltre 2mila nuovi contratti di lavoro per la cura e l’assistenza domiciliare, consentendo quindi alle famiglie e alle persone che hanno un proprio lavoro di mantenerlo». Il risultato è stato conseguito anche grazie alle attività di Anci ed Upi - partner assieme alle Province del programma Si.Con.Te - e al potenziamento della rete di attori che consentono al servizio e al sistema, di crescere qualitativamente scongiurando la nascita di un “mercato parallelo” non accreditato. Gli sportelli che operano in regione da oltre 10 anni sono un’esperienza unica in Italia, sono stati presentati come best practice al Comitato sorveglianza Fse (2012) e come progetto regionale innovativo (2013). In assoluta controtendenza al mercato del lavoro, gli sportelli ogni anno offrono supporto nella attivazione di un numero consistente di nuovi contratti di lavoro (mai sotto le 2mila unità/anno); ciò da un lato conferma la necessità e l’importanza di questa attività, e dall’altro testimonia la fidelizzazione e soddisfazione per il servizio. I dati evidenziano che rimane costante negli anni il rapporto tra la domanda e l’offerta (circa uno a tre). Questi i numeri del 2014. Sul versante del networking conciliazione (accoglienza e analisi fabbisogni / info su strumenti conciliazione e su servizi a supporto conciliazione) il totale dei servizi erogati è 40.337. Sul matching domanda/ offerta i servizi sono stati 8.372. La nuova programmazione dei Fondi europei (Fse) prevede la continuazione delle esperienze realizzate e l’avvio di ulteriori servizi sperimentali. Profughi in gruppi di almeno 15 (Gazzettino) TRIESTE - «Accoglienza diffusa non vuol dire accoglienza polverizzata. La seconda opzione non è oggettivamente praticabile non fosse che per ragioni organizzative, logistiche e di sicurezza». Gianni Torrenti, assessore regionale all’Immigrazione, riunirà quest’oggi per la prima volta il tavolo sull’emergenza dei richiedenti asilo chiamando, per intanto, le associazioni, ma con la dichiarata missione di coinvolgere quanto prima anche i Comuni. Assessore Torrenti, qui il gioco si fa pesante. Ha visto la ribellione di Tarvisio prima e di Malborghetto poi. Da una parte l’emergenza da gestire, dall’altra le popolazioni dei piccoli centri preoccupate. Anzi arrabbiatissime. «Proprio per questo occorre senso di responsabilità da parte di tutti. Ho fiducia che un po’ alla vola la condizione si faccia sostenibile». Adesso però ci spieghi la vostra strategia sul piano operativo. «La prima cosa da fare - e ci stiamo impegnando per questo - è dar vita a quattro centri di miniraccolta, diciamo per una cinquantina di richiedenti asilo, dove poter offrire una prima accoglienza, una visita medica, un letto e una mensa. Ma anche un piccolo ufficio di polizia per le identificazioni e i necessari controlli». Dove e con chi? A Pordenone c’è un bando per 200... «Il dove lo stiamo cercando, ad esempio a Coccau il Comune di Tarvisio renderebbe disponibile una vecchia casermetta, che però occorre riattare in un paio di mesi». A Coccau? Ma la Carinzia non ha protestato? «Il governatore Peter Kaiser era preoccupato per la caserma Lamarmora, temeva un arrivo in massa di mille e più stranieri a ridosso del confine. Questo non è e non sarà. Noi qui parliamo di alcune decine». Con chi? «Ecco il punto: con le associazioni. Il richiedente asilo dev’essere gestito e in qualche modo inquadrato: deve imparare alla svelta a comportarsi secondo le regole che abbiano noi, rispettare sempre e comunque i cittadini residenti e alla sera rientrare a una certa ora. Non solo: le associazioni devono anche insegnare queste regole e la nostra lingua». Quindi, dice lei, almeno per i primi tempi i profughi vanno intruppati in gruppetti non troppo piccoli. «Se questi gruppetti contassero meno di una quindicina di profughi, come faremmo a garantire loro l’assistenza e nel contempo a controllarli?». Il sindaco di Malborghetto Boris Preschern vedrà Debora Serracchiani giovedì (domani, ndr) e pare si vada a 20 e non più 40 stranieri da ospitare. Tarvisio ha scongiurato il centro-raccolta alla caserma Lamarmora. Ma è tutto un combattere, assessore. «L’emergenza è un concetto diverso dalla normalità. Occorre considerare che una struttura capace di accogliere qualche decina di persone non può sostenere la gestione dell’ospitalità per un numero troppo esiguo di ospiti». Dunque diventa necessario mediare con buon senso e dimostrare sul campo - aggiungiamo noi che non c’è impatto sociale negativo sui residenti. «A Nimis è andata e sta andando così. Nessuno si lamenta, vorrà pur dire qualcosa». Sul piano generale, il Friuli Venezia Giulia pare stia sostenendo lo sforzo proporzionalmente più pesante a livello nazionale. «Avevamo una quota iniziale di 1200 immigrati da gestire, ma non siamo mai arrivati a quel livello prima dell’emergenza più recente». Adesso a quanto siamo? «Circa 1600 richiedenti asilo e li dobbiamo gestire». Con l’Isis nella Sirte, si prefigura la possibilità di nuovi esodi massicci verso le coste italiane. Non è che ci arriveranno nuove richieste? «Potrei escluderlo. La nostra vera criticità sono i flussi dall’Est Europa». I richiedenti asilo di rientro dopo il no di altri Stati comunitari? «Anche, ma oggi soprattutto - per il Friuli Venezia Giulia - diventa decisiva la tenuta della situazione nel Kosovo e dell’armistizio in Ucraina in base agli accordi raggiunti faticosamente a Minsk. In ogni caso è doveroso riconoscere che gli appelli della nostra presidente Debora Serracchiani e del commissario del Governo Adelaide Garufi non sono caduti nel vuoto». Ossia? «L’ultimo esempio è di questi giorni: ci hanno alleggerito di 80 presenze, richiedenti asilo imbarcati su un aereo e trasferiti in un’altra area del Paese». Dove li hanno spediti? «Questo non lo so. So però che a Roma il Ministero dell’Interno ci ha dato una mano importante». Ronchi di interesse nazionale. Ma l’intesa con Venezia non c’è (M. Veneto) di Maurizio Cescon UDINE C’è anche lo scalo regionale di Ronchi dei Legionari tra i 38 aeroporti di interesse nazionale. Lo certifica, nero su bianco, uno schema di decreto del presidente della Repubblica che dovrebbe dare attuazione al Piano nazionale degli aeroporti, riportato dall’agenzia “Public Policy”. Ronchi è inserito nell’area Nord-est con Venezia, Verona e Treviso che, di fatto, sono alleati. A questo punto dunque non ci sarebbero alternative allo scalo regionale: un’intesa, i cui modi e termini sono tutti da definire, con Save. Ma l’accordo, al momento, non è all’orizzonte. Tornando al Piano studiato dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, vi sarebbe un sistema di 38 aereoporti di interesse nazionale, di cui 12 di particolare rilevanza strategica e tre con il ruolo di gate intercontinentali. I gate intercontinentali individuati dal Dpr sono Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia, caratterizzati da «capacità di rispondere alla domanda di ampi bacini di traffico» e da un «elevato grado di connettività con le destinazioni europee ed internazionali». Gli aeroporti di interesse nazionale, stabilisce la norma, sono quelli in grado di «esercitare un ruolo ben definito» all’interno dei bacini di traffico a cui fanno riferimento, «con una specializzazione dello scalo e una riconoscibile vocazione dello stesso, funzionale al sistema aeroportuale di bacino da incentivare». Per ricadere sotto la definizione di interesse nazionale, l’aeroporto in questione deve essere in grado di dimostrare «tramite un piano industriale e economico finanziario, il raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario anche tendenziale e di adeguati indici di solvibilità patrimoniale, almeno su un triennio». Queste condizioni, prosegue però il decreto, non si applicano «per gli aeroporti che garantiscono continuità territoriale di regioni periferiche e aree in via di sviluppo particolarmente disagiate, qualora non sussistano altre modalità di trasporto». La società Aeroporto Fvg chiuderà il bilancio 2014 in passivo, mentre negli ultimi tre esercizi il saldo positivo era di poche migliaia di euro. L’aeroporto di Torino, prevede sempre il Dpr «è considerato di particolare rilevanza strategica a condizione che si realizzi, in relazione alle interconnessioni ferroviarie alta velocità tra Torino e Milano e un sistema di alleanza con Malpensa». Soddisfazione in Regione per la “promozione” del “Savorgnan di Brazzà”. «L’inserimento di Trieste tra gli aeroporti di interesse nazionale è l’esito di un lavoro incessante svolto dall’assessore Santoro a Roma - dice la presidente Serracchiani -, che ci ha permesso di mantenere una posizione importante nella rete di primo livello in Italia, anche in relazione agli investimenti e alle possibili alleanze. Conferma che ci sono le caratteristiche affinché questo scalo giochi un ruolo specifico, a servizio del territorio regionale e a più ampio raggio. Incoraggia a mantenere aperto l’interesse della Regione per sinergie che potrebbero valorizzare le potenzialità che questa infrastruttura ha da esprimere». «Essere nel Piano nazionale - aggiunge l’assessore Santoro - è una conferma che fa piacere. Adesso lavoriamo a polo intermodale e nuova governance». Via la poltrona ai manager in pensione (Piccolo) di Marco Ballico TRIESTE Emilio Terpin si tira fuori dalla corsa, ma chiede una deroga per il collega pensionato Maurizio Castagna? Niente da fare. Non a rigor di legge. Tanto meno dopo che, via circolare, il ministro Marianna Madia ha chiarito che i varchi sono chiusi. E che dunque i manager pubblici in quiescenza con ruoli da presidente, direttore generale o amministratore delegato, al primo rinnovo cariche delle partecipate, dovranno farsi da parte. Niente deroghe, confermano gli uffici della Regione rispetto alle norme nazionali che vietano a chi è già in pensione di ricevere incarichi nelle partecipate pubbliche. Niente deroghe né per i vertici di Autovie Venete né per gli altri diretti interessati. E pazienza se Terpin, il presidente uscente della concessionaria regionale (che ha precisato che il prossimo ottobre lascerà comunque indipendentemente dal divieto), ha suggerito alla Regione, viste le competenze e la capacità dell’ad Castagna, di fare pressing a Roma per un «aggiustamento intelligente» delle regole. Lo stop è dettato dal Dl 95/2012. All’articolo 5 già pochi dubbi. «È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni – si legge – di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto nel corso dell’ultimo anno di servizio funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza». Ma c’è poi pure una circolare del dipartimento Funzione pubblica della presidenza del Consiglio dei ministri, la firma è del ministro Madia, che fa definitiva chiarezza. È la numero 6 del 14 dicembre 2014, 9 pagine in cui si entra nel merito del Dl 90/2014, convertito nella legge 114, che modifica la disciplina proprio dell’articolo 5 del Dl 95, prevedendo nuovi divieti. La finalità è ancora più restrittiva. Il governo vuole infatti evitare che le amministrazioni pubblichi continuino ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza, «aggirando – si legge nella circolare – lo stesso istituto della quiescenza e impedendo che gli incarichi di vertice siano occupati da dipendenti più giovani». Il divieto – è il passaggio chiave – «si estende a qualsiasi lavoratore dipendente collocato in quiescenza, indipendentemente dalla natura del precedente datore di lavoro e del soggetto che corrisponde il trattamento pensionistico, compresi i pensionati degli organi costituzionali». Concretamente l’altolà riguarda tutti i ruoli «rilevanti al vertice delle amministrazioni», compresi gli incarichi «in strutture tecniche, quali quelli di direttore scientifico o sanitario» e pure quelli «dirigenziali, di studio o di consulenza nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione di organi politici». La nomina in cda, in particolare, «rientra nell’ambito del divieto indipendentemente dalla qualifica in virtù della quale il soggetto in quiescenza sia stato nominato». Si intravedono deroghe solo per i casi di attività legale o sanitaria non aventi carattere di studio o di consulenza e per progetti di ricerca, docenze, commissioni di concorso o di gara, organi collegiali scolastici, collegi sindacali e pure per i commissariamenti straordinari (di qui il via libera a qualche pensionato alla guida delle aziende sanitarie). Non sembrano essere però i casi delle partecipate Fvg che, a questo punto, dovranno chiudere il rapporto di lavoro con i manager in pensione. A partire da Fvg Strade con il presidente Roberto Paviotti e il direttore Augusto Burtulo, e a seguire l’Aeroporto di Ronchi con Sergio Dressi, Autovie con Terpin e Castagna, l’Itis di Trieste con il vicepresidente Fabio Fonda, l’istituto di cura “La Quiete” di Udine con il presidente Gabriele Renzulli, il Consorzio acquedotto Friuli Centrale e l’Ater di Udine con gli amministratori unici Eddi Gomboso e Luciano Aita. Tutti definitivamente in pensione a meno che non si segua la strada indicata dalla circolare Madia, quella di incarichi gratuiti per non più di un anno e solo in funzione di affiancamento ai nuovi entrati. Il ricambio generazionale rimane il diktat nazionale. CRONACHE LOCALI Porto, cambio della guardia. D'Agostino commissario (Piccolo Trieste) di Gabriella Cerami «Tante le sfide che abbiamo davanti» per raggiungere «performance e numeri sempre più positivi». Zeno D'Agostino è stato nominato ieri da Maurizio Lupi, commissario con pieni poteri dell'Autorità portuale di Trieste. Assumerà l’incarico martedì 24 febbraio, ma già in conferenza stampa al ministero delle Infrastrutture a Roma, traccia il suo programma. «Vanno portate avanti e ultimate - dice - le procedure con la Comunità europea» ma, più di ogni altra cosa, «la vera sfida che abbiamo di fronte è l'integrazione tra i porti italiani per migliorare la competitività del sistema a livello internazionale». Per quanto riguarda Trieste, una sfida che D'Agostino definisce «allettante» è quella di realizzare un'integrazione «tra porti, interporti e retroporti perché nella realtà triestina, e più in generale in quella del Nordest e del Friuli Venezia Giulia, ci sono delle sinergie interessantissime che il porto di Trieste può portare avanti per diventare sempre più competitivo». La scelta di nominare D'Agostino è stata condivisa sia dalla Regione Friuli Venezia Giulia sia dal sindaco di Trieste «a dimostrazione che quando vengono indicati professionisti non si può che essere d'accordo», dice il ministro Lupi, sottolineando «l'esperienza nel settore» che negli anni ha accumulato il nuovo commissario, già direttore generale dell'Interporto di Bologna, segretario generale dell'Autorità Portuale di Napoli, e responsabile strategie, sviluppo e marketing dell'Interporto di Verona. Il ministro precisa che la decisione di nominare un commissario è dettata dal fatto di non voler aspettare l'entrata in vigore della riforma dei porti ma a D'Agostino sono stati assegnati comunque i pieni poteri. Lupi inoltre si dice «sorpreso per l'agitazione sentita sui territori» in questo periodo di transizione: «Non ne capisco i motivi perché, come si è sempre fatto, è stata stabilita una proroga tecnica di 45 giorni e il mandato di Monassi è scaduto il 19 gennaio scorso, quindi siamo nei tempi». Si tratta di una procedura «sempre utilizzata e la normale amministrazione non è stata penalizzata. Ciò che a noi interessava di più prosegue il ministro - era che l'avvicendamento fosse di grande professionalità in favore delle sviluppo dell'Autorità portuale indipendentemente dalle discussioni politiche». La nomina di Zeno D'Agostino, sottolinea ancora Lupi, «è in continuità con «l'ottimo lavoro» svolto dalla presidente uscente Monassi che «ha consentito al porto di Trieste di essere di nuovo un grande hub, un punto di riferimento nel mare Adriatico, un grande porto in Italia che si confronta e compete con i porti del Nord». Tra il 2012 e il 2014, rileva il ministro, «la movimentazione di teu è cresciuta del 30% passando da 408 mila a 510 mila. È un dato, sottolinea Lupi, «che dimostra la dinamicità» del porto e il lavoro che è stato fatto, mentre «adesso abbiamo nuove sfide». Nell'evidenziare i grandi investimenti fatti in questi ultimi anni, il presidente uscente Monassi sottolinea come «l'azienda sia sana e in buona salute» e che «da quattro anni registra un avanzo di bilancio». Con D'Agostino, aggiunge, «effettueremo il passaggio di consegne e avrà tutta la mia assistenza e il mio sostegno». Chiudono i magazzini Mazzorato (Piccolo Trieste) La crisi continua a picchiare duro, non si intravede la fine almeno per il commercio triestino. La gente, come sottolinea il responsabile del marketing di Zanchetta, ha una capacità di spesa molto ridotta rispetto a una volta ma c’è anche chi limita gli acquisti per paura, preferendo mantenere un piccolo gruzzolo in banca nell’ipotesi di tempi ancora peggiori. Tra Godina che ha chiuso in novembre, uno dei più prestigiosi negozi di abbigliamento della città, e Mazzorato non ci sono neanche 500 metri di distanza. La crisi, ma incide anche la zona (dall’incrocio di via Battisti in giù) scarsamente frequentata da chi va a fare shopping. Anzi, via Ghega è proprio brutta e trascurata come tutta la cintura attorno alla stazione. In più è costretto a ridimensionare l’attività anche Marchi Gomma. Una vera ritirata.di Micol Brusaferro Lo storico marchio Mazzorato chiude i battenti a Trieste. Il punto vendita di via Ghega 6 darà il via giovedì 19 febbraio a una svendita totale di tutta la merce presente, per abbassare le saracinesche probabilmente a fine marzo. Ma il gruppo Zanchetta, proprietario del brand e di una sessantina di negozi in tutta Italia, annuncia di non voler abbandonare il capoluogo giuliano, è infatti al vaglio dell’azienda una nuova apertura, con una formula rinnovata, sempre nello stesso sito, che dovrebbe portare anche al riassorbimento di tutto il personale attualmente impiegato. A spingere verso la chiusura del locale per il momento la crisi generale del settore, che a Trieste si sta facendo sentire forse con più forza rispetto ad altre città, dove Mazzorato continuerà invece ad esistere e dove è conosciuto da svariati decenni. Il negozio, rilevato circa cinque anni dal gruppo Zanchetta, ha una superficie di mille metri quadrati, dove un tempo trovavano posto i Magazzini Giovanni, baluardo dello shopping d’oltre confine soprattutto tra gli anni ’70 e ’80, quell’enorme bazar tappa abituale anche per molti triestini. «Inizialmente si era deciso di chiudere in modo definitivo il punto vendita di Trieste – spiega Antonio Buso, responsabile Marketing di Zanchetta – poi è stata fatta una successiva valutazione e si proverà a cambiare, adottando una nuova formula che in alcune regioni ha già registrato un buon successo, uno svecchiamento delle proposte presenti, sperando che funzioni. C’è da considerare però che la situazione di crisi è molto evidente, la capacità di spesa della gente si è ridotta, anno dopo anno. Ricordiamo anche noi, come fornitori, i Magazzini Giovanni e il trend dell’epoca. Epoca che ormai è tramontata. Da parte nostra in questo particolare momento economico cercheremo di studiare qualche modifica che possa portare un’aria di novità. Intanto però possiamo dire che il marchio Mazzorato a Trieste sparirà». Insomma si tenterà una sorta di salvataggio, che passerà attraverso una ristrutturazione generale. Nel frattempo migliaia di volantini sono stati distribuiti in questi giorni in città, con la notizia della svendita, che punta a far uscire dal negozio 12.800 camicie, 9500 pantaloni, 2250 abiti, in aggiunta a scarpe, accessori e biancheria per la casa. Attorno a Mazzorato in via Ghega e nelle strade vicine negli ultimi anni hanno aperto, uno dopo l’altro, quasi esclusivamente negozi cinesi, tra abbigliamento e articoli per la casa. «Ma non crediamo sia questo il motivo del calo di affari registrato – precisa Buso – che invece, ripeto, è da ricercarsi nella difficoltà complessiva riscontrate dalle famiglie nelle spese. Nonostante ciò faremo un ulteriore tentativo, per capire se davvero sulla piazza triestina è ancora possibile investire. Seguiremo un iter di rinnovo dei locali e valuteremo il da farsi, con l’obiettivo di aprire un altro punto vendita e di mantenere il personale, seppur con una pausa dovuta ai lavori». E intanto, ormai già da parecchi mesi, ha chiuso i battenti anche un altro pezzo di storia del commercio triestino, i Magazzini Delta in via Economo, che dopo un periodo di crisi ha svuotato completamente gli spazi. Dentro i locali sono da tempo inutilizzati. Del noto negozio di abbigliamento ormai resta soltanto l’insegna. I sindacati: «Così l'Ater non funziona» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Se non è un ultimatum, poco ci manca. A formularlo Massimo Bevilacqua, segretario regionale della Cisl Funzione pubblica, ieri mattina durante la conferenza stampa che si è svolta nella sede della Cisl in via Manzoni. Ah dimenticavamo: l’ultimatum è indirizzato al direttore dell’Ater Domenico Degano. «O torna sui suoi passi - le parole forti e chiare di Bevilacqua - o è meglio che se ne vada. La sensazione è che si stia pianificando la “morte” dell’Ater di Gorizia». Luca Manià della Cgil ha aggiunto un altro particolare. Aggiungendo subito l’aggettivo “inquietante”. «Ci hanno detto che nei prossimi tre anni i bilanci di previsione dell’Ater di Gorizia chiuderanno con un segno “meno”. Non era mai capitato prima. Siamo davvero molto preoccupati per quanto sta accandendo all’interno del palazzo di Corso Italia». Ecco perché la richiesta che arriva dai sindacati è quella di chiarezza e di trasparenza da parte dei vertici dell’Ater Gorizia. «Perché quello che rimbalza fuori sono notizie che non lasciano intravvedere nulla di buono».di Francesco Fain «Hanno messo Gorizia con le spalle al muro. Di questo passo, dell’Ater non rimarrà più nulla». Per lanciare il loro grido d’allarme i sindacati (nella fattispecie Massimo Bevilacqua della Fp Cisl, Luca Manià della Fp Cgil, Michele Lampe della Uil Fpl e Filvio Fantini della Fesica Confsal) hanno convocato ieri mattina una conferenza stampa. I toni? Di forte e sincera preoccupazione per tutta una serie di elementi, hanno sottolineato, «che non promettono nulla di buono». «Intanto - la denuncia di Bevilacqua - il neodirettore Domenico Degano, come buon giorno, ha disdettato tutti gli accordi sindacali pregressi. Sono dodici e vanno dalla produttività alla banca-ore, alle indennità. In un recente incontro, ci ha detto che l’Ater non ha soldi: eppure è stata prevista in bilancio una posta da 260mila euro per pagare l’eventuale risarcimento ad uno dei direttori precedenti, Liberale, per essere stato cacciato anzitempo». I sindacati, poi, puntano il dito contro la cifra mostruosa relativa alla morosità. Ammonta a quasi 2 milioni 800mila euro: 2.789.520,85 euro, per essere precisi al centesimo. Si tratta di canoni d’affitto non pagati: soldi che, se incassati, permetterebbero la realizzazione di 18 alloggi nuovi o la sistemazione (il riatto) di 80 appartamenti. «Ci domandiamo: come mai si è arrivati a questa somma così ingente? Cosa hanno fatto i precedenti consigli d’amministrazione e i precedenti direttori? Non si può dare la colpa sempre agli ultimi, ai dipendenti», la sottolineatura forte e chiara di Bevilacqua, Manià, Lampe e Fantini. Che vorrebbero maggiore trasparenza anche relativamente ai bilanci dell’ente. «Il direttore ha fatto affermazioni sulla situazione finanziaria dell’Ater di Gorizia che fanno accapponare la pelle - la rivelazione di Bevilacqua -. Una cosa è avere un bilancio che “quadra” ed è tecnicamente perfetto, un’altra è avere a disposizione liquidità». È toccato, invece, a Manià elencare la lista delle “magagne” di Ater che fanno essere i sindacati così poco ottimisti sul futuro stesso dell’istituzione. Si va dalle «troppe consulenze esterne» al fatto che nel Piano strategico «Gorizia non viene nemmeno citata», dalla cancellazione di tutti gli accordi sindacali al cambio repentino di direttori («Cinque negli ultimi cinque anni che quando arrivano ribaltano tutto e cancellano quanto fatto da chi c’era prima»), sino ai silenzi dell’assessore regionale Santorio («Viene qui a tagliare nastri per le inaugurazioni ma non c’è verso di parlare con lei di sviluppo dell’Ater»). Sullo sfondo, poi, cifre già rese note dai sindacati nel luglio dello scorso anno: ci sarebbero un milione e 200mila euro di fatture per lavori eseguiti non recuperate dal 2008 ad oggi e un buon 40% del personale con una categoria alta. Ancora: il 10% degli alloggi dell’Ater di Gorizia (450 su 4500) sarebbero liberi e con costi di ristrutturazione alti mentre le spese per il personale ammonterebbero al 63% del bilancio, contro il 56 per cento, ad esempio, dell’Ater di Udine. «Ricordo che qualche mese fa, pur senza presentare un piano aziendale, il direttore ci fece capire che le prospettive future non erano buone - la denuncia di Bevilacqua -, e che tra pochi anni ci sarebbero potuti essere una ventina di dipendenti in esubero, visto che alcuni settori rischiano di non avere più lavoro». Insomma, una situazione non facile. «Che deve essere gestita in maniera responsabile dalla politica e dall’amministrazione regionale. Altrimenti, non vediamo una luce che sia una per il futuro dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale», il monito delle quattro sigle sindacali. Fincantieri, lavoro sicuro fino alla metà del 2018 (Piccolo Gorizia-Monfalcone) L’annunciata festa cittadina per la consegna della “Britannia” è in programma sabato. Alle 11, al Palazzetto veneto, verrà inaugurata una mostra con circa 40 modelli delle più famose passeggeri realizzate nei cantieri di Monfalcone e di Trieste. Il clou della giornata è previsto, a partire dalle 18, al Teatro comuanale (con diretta su maxischermo in piazza della Repubblica). Nel corso della manifestazione saranno proiettati alcuni filmati, sia di carattere storico sia relativi alla nuova nave e alla compagnia armatoriale, intervallati da vari interventi fra i quali quelli del sindaco Altran, dell’amministratore delegato di Fincantieri Bono, e di un alto rappresentante di Carnival Corporation. La manifestazione si concluderà con la consegna agli ospiti dei sigilli della città.di Giuseppe Palladini Domenica prossima, con la consegna all’armatore P&O Cruises della “Britannia”, il cantiere di Panzano volta nuovamente pagina e guarda già alle future costruzioni, che garantiranno lavoro almeno fino a metà del 2018. Una di questa - la Carnival Vista - è già buon punto. Impostata nell’ottobre scorso, quella che sarà la più grande unità - 135mila tonnellate di stazza lorda, un “costo” di 800 milioni di dollari - realizzata per la compagnia statunitense uscirà dal bacino di costruzione a giugno. Da luglio ad aprile 2016 la nuova nave sarà ormeggiata alla banchina per l’allestimento, ma già nel gennaio del prossimo anno sono fissate le prove in mare, in vista della consegna che è fissata ad aprile. Guardando alla altre commesse, le due unità acquisite di recente da Fincantieri - una per Carnival e una per Holland America Line - non sono ancora state assegnate ad alcun stabilimento, ma è ipotizzabile che una venga costruita a Panzano. E’ invece certa la realizzazione nello stabilimento di Panzano delle gemelle del progetto “Seaside”, giganti da 154mila tonnellate di stazza lorda, con le quali un altro colosso armatoriale, la Msc Crociere, terzo gruppo al mondo del settore (oltre che colosso dei traffici commerciali marittimi), assegna per la prima volta a Fincantieri la costruzione di nuove unità, dopo il “test” in corso al cantiere di Palermo con l’allungamento di quattro navi passeggeri realizzate anni fa da costruttori esteri. Il taglio delle lamiere per la prima delle due “Seaside” è previsto quest’estate. Ci vorranno poi più di due anni per la costruzione e l’allestimento: la consegna della prima gemella è fissata infatti per il novembre 2017. La costruzione della seconda dovrebbe invece iniziare nei primi mesi del 2016 e concludersi nel maggio 2018. Tornando alla “Vista”, la venticinquesima della flotta del Carnival, quest’altro gigante del mare sarà in grado di trasportare più di 3.900 passeggeri e avrà un equipaggio di 1.450 persone. La costruzione in bacino richiede, come detto, ancora qualche mese, ma la macchina organizzativa per l’attività crocieristica è già attiva da tempo. Lo scorso 26 gennaio, con una grande evento, la “Vista” è stata presentata a New York, per far conoscere e “provare” tutto quanto sarà in grado di offrire, fra cui spicca il teatro Imax, il primo ad essere realizzato a bordo di una nave. È già pronto poi il calendario dei primi mesi di crociere. Il viaggio inaugurale partirà da Trieste il primo maggio 2016 alla volta di Barcellona. Per tutta l’estate 2016 la “Vista” rimarrà in Mediterraneo, con Barcellona e Atene come “home port”. Alla fine di ottobre è poi fissata la crociera transatlantica, che approderà a New York, da dove la “Vista“ raggiungerà Miami, porto base per le crociere nei Caraibi. La crisi minaccia anche la pesca, ma l’acquacoltura salva i bilanci (M. Veneto Udine) MARANO La pesca regionale si trasforma per rispondere alla crisi e il comparto oggi è una filiera che va dalla pesca e acquacoltura fino al commercio e alla produzione di piatti pronti, che fanno crescere il numero delle imprese che passano dalle 489 del 2009 alle 508 del 2014. La forte riduzione dell’attività di pesca in mare (da 316 a 271 imprese) è stata più che compensato dalle attività di acquacoltura, triplicate in cinque anni, con 86 imprese attive nel 2014. Questi sono alcuni dei dati emersi ieri al convegno sulla situazione della pesca e dell’acquacoltura nell’Alto Adriatico, organizzato a Marano dalla Flai Cgil, alla presenza dell’assessore regionale alle Risorse ittiche Paolo Panontin che ha parlato del nuovo piano comunitario Feamp di sostegno al settore. Piano in corso di approvazione a Bruxelles e che in sette anni metterà a disposizione del settore circa 10 milioni di contributi pubblici tra fondi europei, statali e regionali. «Occorre ora – ha precisato Panontin – che il settore della pesca compia un ulteriore passo avanti e che anche i piccoli produttori comprendano la necessità di aderire alle strategie messe in atto, volte a conferire al prodotto pesca e acquacoltura del Fvg la necessaria solidità per permettergli di raggiungere quella massa critica che è indispensabile per affrontare con successo le sfide dei mercati». Presente anche il sindaco Devis Formentin, che ha portato i saluti dell’amministrazione. «Il comparto si sta adeguando alle diverse richieste del mercato, sempre più attento ai prezzi, anche per effetto della crescente concorrenza estera» ha spiegato Michela Mason, che assieme a Luca Gros, del dipartimento Scienze economiche e statistiche dell’Università di Udine, ha presentato una ricerca sulle dinamiche di un settore in profonda trasformazione. Ingrid Peres e il segretario regionale Fabrizio Morocutti della Flai Cgil hanno ribadito che oggi c’è la necessità di rafforzare gli investimenti per ammodernare la flotta (il 90% delle imbarcazioni ha più di 15 anni) e avviare aggregazioni aziendali su tutte quelle politiche industriali e commerciali capaci di incrementare il valore aggiunto del prodotto, dalla valorizzazione delle produzioni locali fino alla commercializzazione diretta del pescato, anche dando impulso alla ristorazione autogestita, oggi quasi del tutto assente in regione. Ma il comparto vive anche problematiche come quella dei ritardi nell’erogazione dei fondi per la copertura della cassa in deroga nel settore pesca, per la quale entro marzo il ministero dovrà dare alle Regioni informazioni precise sulla disponibilità e sui tempi di erogazione. A oggi costituisce la retribuzione di un lavoratore su cinque. Francesca Artico Friulia decisiva per "Sangalli vetro" (Gazzettino Udine) SAN GIORGIO DI NOGARO - (P.T.)Oggi gode di buona salute, con un moderno forno di fusione che funziona da appena due anni e uno stabilimento con macchinari nuovi di zecca. Ma potrebbe finire comunque in amministrazione controllata, la "Sangalli Vetro" di San Giorgio di Nogaro. Lo stabilimento, attivo nella zona industriale dell'Aussa Corno, è a rischio, infatti, a causa di un pesante debito che non deriva dalla sua attività in questa zona del Friuli Venezia Giulia ma dalle cattive acque in cui è finito il Gruppo che la controlla. Il primo a cadere, oggi commissariato, è stato l'opificio "gemello" di Manfredonia, in Puglia, fermo e con gli operai senza stipendio, in sciopero e senza cassa integrazione. Ieri, a Roma, presso la sede del Ministero dello sviluppo economico, le organizzazioni sindacali di categoria nazionali e regionali hanno fatto il punto sulla delicata vertenza. Presenti i vertici del Gruppo e i due commissari Ambrosini e Di Fant che, dopo la nomina, si sono immediatamente attivati per cercare di salvare il salvabile. Dall'incontro è emerso, per la parte friulana, come non si possa escludere, oggi, l'attivazione di un piano concordatario, nel caso in cui il quadro debitorio non si appiani in qualche modo. Si tratterebbe di un passivo di circa 70, 80 milioni di euro, simile a quello che grava sulla vetreria di Manfredonia, in Prodi Bis. Il rosso deriverebbe da alcune operazioni finanziarie che hanno spostato una serie di debiti anche sulla società attiva in Aussa Corno, che resta la migliore fabbrica del Gruppo e la più appetibile. In sede ministeriale è stata sottolineata l'anomalia che caratterizza questa compagne societaria: solo il 7%, delle azioni infatti, al momento, è in mano a Sangalli che però continua a curare la gestione della vetreria. L'azionista che detiene la quota più alta, superiore al 50%, è la finanziaria regionale Friulia, entrata inizialmente con un pacchetto di minoranza di azioni privilegiate. Per capire quali siano le intenzioni di Friulia per mantenere la continuità produttiva nel sito friulano, il vicepresidente Fvg, Sergio Bolzonello, sarà convocato in breve al Ministero. Savio, arriva una commessa. Chiusura del 27 cancellata (M. Veneto Pordenone) Chiusura collettiva cancellata per il 27 febbraio alla Savio macchine tessili di Pordenone (450 lavoratori): l’arrivo di una commessa ha reso necessaria una revisione del programma delle fermate, che venivano coperte con la cassa integrazione. Confermato, invece, lo stop produttivo già a calendario per venerdì. Una notizia positiva, quindi, considerato l’andamento altalenante dei mercati in cui anche la Savio opera. «Ora la Cina è per Savio il più importante mercato e negli ultimi giorni sono stati chiusi alcuni ordini che miglioreranno le prospettive produttive - hanno comunicato le Rsu aziendali, in una nota -. La situazione si è evoluta al punto da rivedere il programma della cassa integrazione: venerdì 27 febbraio si lavora. Inoltre, la possibile giornata di ferie del 3 aprile, molto probabilmente, sarà spostata. La decisione sarà presa nell'ambito della definizione del calendario ferie 2015, che sarà effettuata entro marzo». Le Rsu hanno fatto sapere che «i volumi delle macchine da soddisfare comporteranno l’esternalizzazione di alcune produzioni, che erano state fatte rientrare in sede per saturare il personale (altrimenti la cassa sarebbe stata ben più pesante). Questa relativa stabilizzazione degli ordini ci permette di guardare con più fiducia al futuro, considerando pure che a novembre ci sarà la fiera internazionale Itma, a Milano (oltre 1.400 le aziende interessate a livello mondiale)». Ci sono, comunque, alcune questioni ancora aperte, di cui si dovrà discutere con i vertici aziendali. «Si tratta della definizione della rappresentanza sindacale futura - hanno concluso le Rsu -, del varo del calendario produttivo-ferie 2015 e della chiusura dei dati definitivi del premio di risultato 2014 e definizione di quelli del 2015». (g.s.) Electrolux, a Roma si cerca la soluzione per evitare 150 esuberi (M. Veneto Pordenone) Giornata chiave, quella di oggi, per conoscere il futuro anche dello stabilimento Electrolux di Porcia, nel quale sono stati stimati 450 esuberi. Al ministero dello Sviluppo economico, si terrà l'incontro tra la multinazionale, le istituzioni e le organizzazioni sindacali, per fare il punto della situazione rispetto all'accordo salva-aziende siglato lo scorso maggio. Un incontro di verifica, di fatto, il primo dopo la sottoscrizione dell'intesa. Un tavolo di concertazione era in programma a dicembre, ma è stato poi rinviato. Per quanto riguarda lo stabilimento di Porcia, i sindacati chiederanno lumi sul progetto di reindustrializzazione, che dovrebbe scongiurare 150 dei 450 esuberi annunciati. Un progetto che deve trovare attuazione entro il 2017, ma le forze sociali invitano l'azienda a stringere i tempi, «perché non si può pensare di presentare un piano all'ultimo momento». Anche le istituzioni sono dello stesso avviso e non hanno esitato a rimarcarlo più volte. Oggi, insomma, i sindacati intendono sapere se esiste qualche imprenditore disposto a investire per reindustrializzare parte del sito e in che termini. «Non dimentichiamoci che in ballo ci sono posti di lavoro – hanno sottolineato le forze sociali –. Quest'anno è necessario gettare le basi per mettere in atto questo piano. E' arrivato il momento in cui la multinazionale deve concretizzare gli impegni assunti. Bisogna agire quando si è ancora lontani dal 2017. Questa scadenza, insomma, non può rappresentare la deadline per una realtà così importante per il territorio». Lavoratori e sindacati hanno ricordato che l'accordo, che oggi sarà sottoposto a verifica, è stato stipulato dopo uno scontro durissimo, durato dall'ottobre 2013 al maggio 2014. Gli operai, come hanno messo in luce nei giorni scorsi le Rsu, sono stati protagonisti di una vertenza esemplare, a difesa dell'occupazione e dell'industrializzazione dei vari stabilimenti italiani della multinazionale, che si è chiusa con un accordo difensivo. Accordo che è stato considerato di alto profilo, per le soluzioni adottate in termini di impegni assunti da governo e istituzioni regionali (decontribuzione e finanziamenti per investimenti), impegni dell'impresa sino al 2017 (nessun taglio salari, chiusure, investimenti e riduzione solo soft dell'occupazione) e delle forze sociali (aumento dei ritmi di lavoro e riduzione permessi sindacali per i rappresentanti interni). A 10 mesi dall'accordo, la situazione industriale, sempre secondo il quadro delineato dalle forze sociali, si è articolata e diversificata tra i diversi stabilimenti del Gruppo. Sembra esserci una ripresa significativa in termini di volumi per gli stabilimenti di Forlì (che produce forni e conta 900 dipendenti) e Susegana (frigoriferi, 1.100 addetti), mentre permane una situazione incerta per Porcia (lavatrici, 1.500 dipendenti) e più che complicata a Solaro (lavastoviglie, 1.000 dipendenti). Oggi, insomma, saranno tanti gli interrogativi che porrà il sindacato. E dalla multinazionale sono attese precise risposte. Giulia Sacchi Safop verso i contratti solidali. In 43 con il fiato sospeso (M. Veneto Pordenone) Cassa integrazione o contratti di solidarietà? Di questo si discuterà nel prossimo incontro tra la Safop, azienda che ha dichiarato 43 esuberi tra i 155 dipendenti, e le organizzazioni sindacali. L’obiettivo è individuare la soluzione migliore, in primis per i lavoratori. Maestranze e forze sociali insistono sul fatto che la solidarietà rappresenterebbe la strada da percorrere per gravare di meno sulle spalle dei lavoratori. L’azienda, però, sembra più propensa a giocare la carta della solidarietà. Questo il quadro tracciato nelle assemblee di ieri. Nell'ultimo incontro, comunque, Safop ha ribadito che le eccedenze ci sono: ora resta da capire quale ammortizzatore andrà utilizzato e quali saranno le strategie industriali che l'azienda intende mettere in campo. Intanto, entro fine mese, scadono i termini per la presentazione del progetto salva-impresa in tribunale (il limite fissato è quello del 28 febbraio). L’azienda, nel 2012, era stata acquisita dalla cinese Bejing Jingcheng Machinery Electric Holding: l’arrivo di questo colosso era stato considerato una svolta. Poi la richiesta di concordato. (g.s.) Domino, debiti per oltre 9 milioni di euro (M. Veneto Pordenone) SPILIMBERGO Supera i 9 milioni di euro il debito della Domino di Spilimbergo nei confronti di dipendenti, banche, fornitori, agenti, artigiani e professionisti. Ieri, in tribunale a Pordenone, sono state ammesse domande per 786 mila 451 euro, di cui 592 mila 381 per crediti privilegiati e 194 mila 70 per chirografari. Il debito complessivo, per la precisione, ammonta quindi a 9 milioni 413 mila euro, di cui 5 milioni 32 mila 632 per privilegiati e 4 milioni 381 mila 68 per chirografari. Intanto, il tempo stringe per depositare eventuali domande di acquisizione dell’azienda, dichiarata fallita a maggio dell’anno scorso: le offerte potranno essere presentate entro le 11.30 di domani, alla cancelleria del tribunale o all’ufficio del curatore fallimentare Paolo Fabris (avviso di vendita e perizia sono scaricabili sul portale dei fallimenti di Pordenone). Il compendio immobiliare andrà all’asta, al prezzo base di un milione 840 mila euro, venerdì. Per ora, restano gli interessamenti verbali di due gruppi di industriali. Da una parte, una delegazione composta da imprenditori orientali, americani e londinesi, che hanno fatto anche un sopralluogo in azienda, in rappresentanza di un grosso gruppo che opera nel settore delle vasche da bagno e conta diversi stabilimenti nel mondo. Dall’altra, un gruppo romano, sempre del settore. In questo quadro, si inserisce pure l’interessamento di Stefano Boccalon, titolare della Glass idromassaggio, che già da tempo ha manifestato l’intenzione di dare un futuro al sito di Spilimbergo. A settembre, quando l’attività di Domino era ripartita in capo a Glass, per consentire l’ultimazione di commesse ancora in portafoglio, Boccalon aveva annunciato una possibile partecipazione all’asta. L’imprenditore aveva anche dichiarato di essere al lavoro, con alcuni industriali, per valutare la sostenibilità di un piano industriale di medio-lungo termine, per rilanciare il sito. «Siamo dinanzi a una situazione fortemente compromessa e gli ostacoli da superare sono diversi – aveva detto –: siamo comunque al lavoro per valutare in maniera approfondita la sostenibilità di un piano industriale di medio-lungo termine, col coinvolgimento di una cordata di imprenditori. L’obiettivo è sviluppare un modello di business diverso rispetto a quello del passato. Per rilanciare Domino, lo sforzo da compiere è importante, da qui la necessità di lavorare assieme a una rete di imprese». Da capire se le parole si tradurranno in atti concreti. Una ripresa dell’attività produttiva dell’azienda, in cui trovavano impiego 109 lavoratori, sarebbe importante per garantire una prospettiva non soltanto dal punto di vista occupazionale, ma anche al territorio. Un territorio, quello dello Spilimberghese, tra i più martoriati da una crisi economica che continua a mordere e a lasciare sulla strada addetti e le loro famiglie. Giulia Sacchi Scuola, un centinaio di precari rischiano di restare senza lavoro (Gazzettino Pordenone) Valentina Silvestrini Dieci anni di lavoro come insegnante alle medie, con esame di abilitazione superato. Eppure per almeno un centinaio di docenti della provincia, non solo il futuro è incerto e precario, ma il rischio è addirittura quello di ritrovarsi senza nulla in mano. Niente lavoro e con un percorso di riconoscimento della professionalità da ricominciare. A raccontare i propri timori sono state ieri sei insegnanti, durante la conferenza stampa convocata dalla coordinatrice provinciale Antonella Piccolo, di Cisl Scuola, in concomitanza con il sit-in organizzato dai sindacati a Roma. Si tratta delle insegnanti di matematica e scienze Laura Pangon (8 anni di insegnamento), Patrizia Antonel (12 anni, Laura Moras (9 anni), Barbara Contessi (9 anni), Rosalba Accordino (7 anni) e Daniela Zanolin (9 anni). Condividono il precariato con un centinaio di insegnanti delle medie (circa al 10% del totale): insegnano matematica, scienze, lettere e spagnolo. Sono coloro che dal 2007 sono rimasti esclusi dalle graduatorie a esaurimento, da cui si attingono i docenti di ruolo. Il recente piano "Buona scuola" proposto dal governo Renzi prevede la stabilizzazione di 148 mila insegnanti, ma solo quelli in graduatoria. Per chi ne è escluso il rischio è di perdere il lavoro. Inoltre nel pordenonese, dove le graduatorie sono esaurite da tempo e dove la richiesta di personale è coperta dai precari, il rischio è che con il piano "Buona scuola" il loro posto sia assegnato a docenti in graduatoria trasferiti da altre regioni d'Italia. L'unica prospettiva sarebbe partecipare al nuovo concorso previsto dal piano, ma con un'ulteriore beffa, quella di non vedersi riconoscere nemmeno l’abilitazione ottenuta dopo aver superato il corso (a proprie spese) e l'esame. «La richiesta che facciamo al Governo - ha sottolineato Antonella Piccolo - è di stabilizzare anche questi docenti e tutelare almeno gli abilitati, senza più dover affrontare ricorsi estenuanti. Perciò è importante sensibilizzare tutta la società e coinvolgere anche i politici». Ad aver risposto è stato il parlamentare Giorgio Zanin che nelle scorse settimane ha sollecitato una correzione del piano scrivendo al sottosegretario Davide Faraone.
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