1 HEIDEGGER: L’OLOCAUSTO COME ATTO DI AUTOANNIENTAMENTO EBRAICO di Richard Wolin In questo articolo pubblicato qualche settimana fa su “The Chronicle of Higher Education”, ampliato e rivisto per la presente traduzione italiana, Richard Wolin prosegue la sua riflessione sul valore e il significato dei Quaderni neri di Heidegger; riflessione di cui il lettore può già osservare il precipitato nel suo saggio tradotto nell'ultimo Almanacco di Filosofia di “Micromega” e che diventa tanto più importante alla luce della recentissima pubblicazione dei Quaderni Neri relativi agli anni 1942-1948. Ringraziamo l'autore per aver concesso al “Rasoio di Occam” la possibilità di tradurre il testo. La scorsa primavera, l’editore francofortese Vittorio Klostermann ha pubblicato i primi tre volumi (dei nove previsti) dei Quaderni Neri di Martin Heidegger: un diario filosofico che il saggio di Friburgo tenne coscenziosamente, a partire dai primi anni Trenta per quattro decenni. Per molti versi, i Quaderni offrono un accesso diretto ai pensieri filosofici e alle convinzioni più profonde di Heidegger. Allora la loro pubblicazione ha scatenato un’importante controversia internazionale, in quanto è emersa la piena portata del fanatismo nazionalsocialista di Heidegger. Fra le altre rivelazioni, i Quaderni Neri hanno tradito l’identificazione senza soluzione di continuità con l’ideologia dell’antisemitismo eliminazionista, che del Terzo Reich costituì il principio e la fine. Quindi Heidegger aderiva, senza riserve, all’idea di un complotto ebraico mondiale, ritenendo il “giudaismo mondiale” responsabile della degradazione tecnologica della totalità dell’Essere (Sein). Come osserva in un testo correlato: “sarebbe importante interrogarsi sulle basi della particolare predisposizione della comunità giudaica alla criminalità planetaria”. Il quarto volume dei Quaderni Neri (Riflessioni I-IV), comprendente gli anni 194248, apparirà a breve [è già apparso, n.d.r.]. Le anteprime dimostrano che, dopo la guerra, non solo l’antisemitismo di Heidegger persisteva ininterrotto; esso giungeva ad altezze qualitativamente nuove. Pertanto l’ultima parte mostra come il pensiero di Heidegger si adattasse all’ideologia della negazione dell’olocausto. La sua affermazione forse più inquietante al riguardo è che lo sterminio degli ebrei europei vada compreso come atto di “autoannientamento” ebraico (Selbstvernichtung). In particolar modo, offensive come possono essere, tali affermazioni sono del tutto coerenti con la struttura teorica della “critica della tecnica” che Heidegger aveva sviluppato nel corso degli anni Trenta. Perciò il danno di affermazioni del genere alla credibilità di Heidegger come pensatore è sistematico piuttosto che fortuito. Compromette il nucleo autentico della sua filosofia successiva, incentrato sull’eterea dottrina della “storia dell’Essere”. Come fu quindi possibile, per un uomo che alcuni considerano il più grande filosofo del ventesimo secolo, giungere a un tale ripugnante verdetto, ritenendo in sostanza gli 2 ebrei responsabili per la loro morte in massa? Per rispondere a questa domanda, si deve sospendere temporaneamente l’incredulità e pensare come un heideggeriano. Nel corso degli anni Trenta, Heidegger aveva individuato nel “giudaismo mondiale” il vettore fondamentale della modernità occidentale – una formazione culturale che, sulla scorta di Oswald Spengler, egli considerava come un continuum di irreversibile declino (Untergang). Il termine impiegato per descrivere questo processo di catastrofico declino culturale era “macchinazione”; e, a un certo punto nel suo ragionamento, “giudaismo mondiale” e “macchinazione” diventarono sinonimi. Già nei primi volumi, questo modo di procedere aveva conseguenze che possono essere descritte solo come perverse e contorte. Per esempio, Heidegger asseriva che, nella misura in cui la “macchinazione” minacciava di impedire alla Germania nazista di realizzare il suo massimo potenziale storico, e poiché gli ebrei erano i suoi esponenti fondamentali, il nazismo stesso si era in parte arreso alla “giudaizzazione” (Verjudung). Tali argomenti costituiscono antisemitismo allo stato puro. L’incriminazione del “giudaismo mondiale” da parte di Heidegger non aveva nulla a che vedere con la realtà dei costumi o condotte di vita ebraiche. Piuttosto, si basava sull’attribuzione agli ebrei – che, durante gli anni Trenta, nel periodo precedente all’olocausto, furono perseguitati e oppressi come mai prima – di una capacità fantasmagorica di influenzare la politica mondiale da dietro le quinte. Attribuendo al “nemico ebraico” poteri e abilità soprannaturali, Heidegger forniva al contempo una giustificazione per combattere l’influenza ebraica con ogni mezzo necessario – sterminio compreso. Ovvero, come Heidegger osserva nel 1942: “Il genere più alto e l’atto più alto della politica consiste nel porre il proprio oppositore in una situazione in cui è costretto a prendere parte al suo stesso autoannientamento”1. Secondo Heidegger, l’olocausto era un atto di “autoannientamento” ebraico nella misura in cui, ad Auschwitz e negli altri campi di morte, gli ebrei stessi – come principali promotori della “macchinazione” quale devastazione tecnologica di tutto l’Essere – avevano ceduto alle forze dell’omicidio di massa industrializzato. In questo modo, gli ebrei d’Europa avevano semplicemente aderito alle forze ed energie tecnologiche che essi stessi avevano originariamente scatenato. Come afferma Heidegger: “Quando l’essenzialmente ‘ebraico’, in senso metafisico, lotta [kämpft] contro ciò che è ebraico [das Jüdische], viene raggiunto il culmine dell’autoannientamento nella storia”. Nell’opinione di Heidegger, dunque, la Shoah significava un po’ più che un esempio imponente e sanguinario di ritorsione contro se stessi. In modo più serio, per Heidegger la transizione verso un nuovo “inizio” non può verificarsi finché lo spirito ebraico non è sconfitto. Naturalmente, questa spiegazione estremamente falsa rappresentava al contempo il modo di Heidegger di preservare la Germania e i tedeschi dalla responsabilità storica – oltre che dalla colpevolezza – per aver lanciato nel 1939 (secondo l’accusa del Tribunale 1 «Die höchste Art und der höchste Akt der Politik bestehen darin, den Gegner in eine Lage hineinzuspielen, in der er dazu gezwungen ist, zu seiner eigenen Selbstvernichtung zu schreiten.» Martin Heidegger, GA 96, p. 260. 3 per i crimini di guerra di Norimberga) una “guerra imperiale di aggressione”. Seguendo la guerra, per tutta la Germania occupata, gli Alleati avevano affisso dei cartelli in campi di concentramento e luoghi dell’orrore che affermavano: “Sie sind schuldig daran!” (“L’avete fatto voi!”). La teoria della “storia dell’Essere” (Seinsgeschichte) di Heidegger offriva un potente contrappeso intellettuale: una comoda razionalizzazione per la non responsabilità tedesca. Come dice nella “Lettera sull’umanismo” del 1947 (il testo canonico di Heidegger del periodo del dopoguerra): “Se e come esso [l’ente] appaia, se e come Dio e gli dèi, la storia e la natura entrino nella radura dell’Essere, si presentino e si assentino, non è l’uomo a deciderlo. L’avvento dell’ente riposa nel destino dell’essere”2. Quest’affermazione rappresenta una deliberata accettazione del fatalismo storico e dell’eteronomia umana: un’acquiescenza passiva di fronte ai “decreti” (Schickungen) imperscrutabili di poteri più alti senza nome. Dando la colpa della catastrofe europea a pompose astrazioni quali la “tecnica planetaria” o il “destino dell’essere”, Heidegger cercava di scaricare la responsabilità per uno dei più eclatanti esempi storici di omicidio premeditato di massa. A questo punto, vale la pena ricordare che uno degli interventi più influenti del dopoguerra sull’argomento della responsabilità tedesca fu il saggio pionieristico di Karl Jaspers del 1946, La questione della colpa (Die Schuldfrage). In questo pamphlet ampiamente dibattuto, Jaspers sosteneva che solo assumendosi attivamente la responsabilità per le atrocità e i misfatti del Terzo Reich i tedeschi come popolo potevano avviare il necessario processo di rigenerazione morale. (Sotto i nazisti, Jaspers era stato espulso dall’insegnamento a partire dalla metà degli anni Trenta per via della moglie ebrea. Nelle ultime fasi della guerra, la coppia visse nella costante paura di essere deportata). Nel corso degli anni Venti, Jaspers e Heidegger erano stati intellettualmente vicini, pensando a se stessi come pionieri nello sviluppo dell’esistenzialismo come alternativa al compassato razionalismo neokantiano. Perciò la sprezzante caratterizzazione da parte di Heidegger della Shoah come esempio di “autoannientamento” ebraico voleva essere anche una replica ideologica agli appelli diretti, etici di Jaspers al pentimento nazionale. Come uomo e come filosofo, Heidegger possedeva molti talenti. Basti questo per dire che integrità intellettuale e rettitudine morale non erano tra quelli. Una caratteristica parimenti inquietante dei Commenti I-V è che, nonostante la devastazione ampiamente diffusa della guerra, Heidegger insiste nel dire che i tedeschi, e loro soltanto, hanno la capacità di redimere l’Occidente dalla sua condizione di incontrollata degenerazione nichilistica. Heidegger porta questo ragionamento un ripugnante passo più in là, sostenendo che la sconfitta degli alleati della Germania era un crimine di gran lunga superiore allo sterminio degli ebrei europei. Cerca di capovolgere la situazione a danno dei conquistatori della Germania. Essi sono, nell’opinione di Heidegger, “più colpevoli” dei tedeschi. Li accusa di “colpa collettiva” e di aver trasformato la Germania occupata in un “KZ” (campo di concentramento)3. A questo 2 Heidegger, “Letter on Humanism,” in Basic Writings (New York: Harper Row, 1977), p. 210, trad. it. Id., Lettera sull’umanismo, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1995. 3 HOHE LUFT Magazin, Feb. 10, 2015. 4 punto, si può solo indietreggiare con stupore di fronte alla sua sbalorditiva miopia di giudizio. Evidentemente, se vi fu una nazione responsabile per la frenesia distruttiva senza precedenti della Seconda guerra mondiale, è stata la Germania. Per tanti aspetti, l’ottuso germanocentrismo di Heidegger – che egli indossava come un distintivo d’onore – contribuiva decisamente alla sua rovina. Una lettura dei Commenti I-V rivela quanto poco Heidegger avesse imparato dalla guerra. Diversamente da Jaspers, egli ha fallito nell’utilizzare il Götzendämmerung del dominio nazista come un’esperienza di apprendimento o come una spinta verso il miglioramento morale. Piuttosto, Heidegger ha continuamente cercato rifugio in logore razionalizzazioni ed esercizi di autoinganno. Liquidava altezzosamente critici e dubbiosi affermando, “non possono attaccare la filosofia quindi attaccano il filosofo”. Ma questo atteggiamento tradisce soltanto la sua straordinaria mancanza di conoscenza di sé. In Germania, le conseguenze di queste ultime rivelazioni sulle indifendibili posizioni ideologiche di Heidegger si sono già ampiamente diffuse. A gennaio, il presidente dell’International Heidegger Society, Günter Figal, si è dimesso sostenendo che non poteva più rappresentare in buona fede la filosofia di Heidegger in una veste ufficiale. Il mese scorso, il curatore dei Quaderni Neri, Peter Trawny, ha rilasciato un’intervista esplicita al magazine tedesco di filosofia, Hohe Luft, in cui ha criticato i suoi soci heideggeriani per la loro servile disonestà: cioè per essersi comportati per decenni come vigliacchi apologeti di tutte le cose heideggeriane. Poco dopo, l’Università di Friburgo ha annunciato le sue intenzioni di chiudere il cosiddetto “Heidegger Lehrstuhl” in fenomenologia, che è attualmente occupato da Figal, e di sostituirlo con una posizione meno controversa in filosofia analitica. Ma benché questo cambiamento possa avere un “senso amministrativo” dal punto di vista dei funzionari universitari, intenzionati a sbarazzarsi della cattiva pubblicità, da una prospettiva intellettuale è limitato e controproducente. In primo luogo, il Lehrstuhl in questione è stato precedentemente occupato dal mentore e predecessore di Heidegger, il fenomenologo Edmund Husserl, che era, per di più, ebreo. Perciò, una soluzione più giusta e imparziale sarebbe quella di ribattezzare la posizione “cattedra di Husserl” e in tal modo continuare a onorare la ricca eredità filosofica della fenomenologia. Il più recente atto di malafede da parte dei difensori di Heidegger è stato di affermare che elementi antiebraici sono presenti anche nell’opera di pensatori tedeschi precedenti, quali Kant e Hegel, insinuando così che sarebbe ingiusto prendere di mira Heidegger per aver nutrito convinzioni antisemite, le quali, nella storia della filosofia, erano ampiamente diffuse. Ad ogni modo, asserzioni del genere sono fallaci e fuorvianti per molti aspetti cruciali. Perché in primo luogo (e solo per affermare quel che è ovvio): segnalare che commenti antisemiti possono essere trovati nell’opera di pensatori tedeschi precedenti (qui si può anche menzionare il saggio di Marx del 1843, “Sulla questione ebraica”) non torna in alcun modo a credito di Heidegger. Ma in modo più significativo, sono il contenuto e il tenore di simili esempi di antisemitismo che, soprattutto, meritano la nostra attenzione. Le tracce di antisemitismo (un termine che fu coniato per la prima volta negli 5 anni Settanta dell’Ottocento) che si trovano nelle opere di Kant e Hegel sono di quel genere che si può chiamare episodico o occasionale. Per tale ragione, non influiscono in modo sfavorevole sulla nostra considerazione finale del valore della loro filosofia. Al contrario, nel caso di Heidegger la questione è ben diversa. I Quaderni Neri rendono inequivocabile che l’antisemitismo occupa un ruolo sistematico nell’ultimo pensiero di Heidegger. Inoltre, per tornare momentaneamente agli idealisti tedeschi predecessori di Heidegger, Kant e Hegel: gli esempi di antisemitismo che si trovano nelle loro opere sono, per lo più, della variante tradizionale, religiosa. Possono condurre a discriminazione e persecuzione, ma non erano, di regola, di carattere annientatore. Al contrario: obiettivo primario della cristianità era di convertire gli ebrei piuttosto che distruggerli in massa. Infine, le filosofie di Kant e Hegel si basavano sull’idea di “autonomia della ragione”. Come tale, in contrasto con la filosofia di Heidegger, il loro pensiero si dimostrava inconciliabile con l’ideologia dell’“antisemitismo redentore” fatta propria dai nazisti. Com’è noto, il filosofo politico tedesco, Carl Schmitt, ha riconosciuto questa fondamentale incongruenza osservando che, il 30 gennaio 1933 (la data della presa del potere nazista), “Hegel è morto”. L’antisemitismo che si trova nei Quaderni neri è di un genere e una portata qualitativamente differenti. Come a questo punto dovrebbe essere chiaro, Heidegger si identifica senza difficoltà con l’“antisemitismo eliminazionista” che è diventato il pilastro centrale del nazionalismo culturale tedesco negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo. Così già nella frase conclusiva del suo famoso saggio “Das Judentum in der Musik” (1851), Wagner gioca con l’idea di Untergang (distruzione, perire) come “soluzione” desiderabile alla questione ebraica. Dal momento che Heidegger crede che le tendenze disgregatrici della modernità siano guidate dalla propensione ebraica al “calcolo” e alla “computazione”, come i Quaderni Neri affermano più volte, solo una Endlösung o Soluzione Finale della Questione Ebraica le risolverà. In Germania, dopo la guerra, la riammissione nella famiglia delle nazioni è dipesa da un sincero riconoscimento delle violazioni e malefatte storiche precedenti. Ora è tempo per gli heideggeriani che si trovano altrove di seguire la guida tedesca assumendo una posizione di critica esplicita e spietata. Solo così possono ripristinare la loro reputazione seriamente compromessa come intellettuali e studiosi. Richard Wolin History and Political Science The Graduate Center della City University of New York (traduzione di Denise Celentano)
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