Raccolta interrogazioni a Camera e Senato 6/2014

Attività Parlamentare
Raccolta delle interrogazioni presentate alla
Camera e al Senato
n. 6/2014
2014
INDICE
CAMERA ........................................................................................................................................... 4
Risoluzione in Commissione sull'estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo nella zona del
delta del Po, sulla subsidenza, anche in riferimento alla presenza di un rigassificatore e
della centrale Enel di Porto Tolle ................................................................................................. 4
Interrogazione a risposta scritta sullo svolgimento di attività di ricerca subacquea di
giacimenti di idrocarburi nel mar Adriatico croato da parte della società norvegese Geo
Spectrum Limited ........................................................................................................................... 6
Interrogazione a risposta scritta sugli impianti a carbon fossile .................................................. 10
Interrogazione a risposta scritta sulla collocazione degli impianti eolici offshore nel mare del
golfo di Manfredonia e del Gargano ........................................................................................... 10
Interrogazione a risposta scritta sulla bonifica della cava di Calancoi a Sassari, divenuta
discarica nella quale si sono riversati rifiuti di ogni genere e sulla revisione del sistema di
gestione dei rifiuti ......................................................................................................................... 11
Mozione sul dissesto idrogeologico .............................................................................................. 15
Interrogazione a risposta scritta sull'inceneritore di rifiuti per recupero energetico di San
Vittore (Frosinone), alimentato per mezzo di CDR (combustibile da rifiuto) ....................... 18
Interrogazione a risposta in Commissione sui contributi relativi alla produzione di energia
elettrica versati dal GSE per gli impianti a biogas e biomassa ............................................... 20
Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, all’interrogazione sull’individuazione di
un ambito unico di distribuzione di gas in provincia di Bologna ............................................. 21
Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, all’interrogazione sull’introduzione di
misure a favore della distribuzione del metano per autotrazione nei codici di rete............... 22
Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, all’interrogazione sulle problematiche
connesse alla realizzazione di un elettrodotto tra Puglia e Albania ......................................... 24
Interrogazione a risposta in Commissione sugli interventi di riqualificazione ambientale
funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di
interesse nazionale (SIN) di Trieste ............................................................................................ 29
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Interrogazione a risposta scritta sul superamento del Sistri (Sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiuti) ................................................................................................................. 31
Interrogazione a risposta scritta sulle trivellazioni e sulla realizzazione di un pozzo e di un
oleodotto nel Vallo di Diano, in Lucania, da parte di Eni ........................................................ 34
Interrogazione a risposta scritta sul sistema delle agevolazioni per le imprese a grande
consumo di energia, con particolare riferimento alla deliberazione in materia, dell'Autorità
per l'energia elettrica ed il gas..................................................................................................... 36
Interrogazione a risposta scritta sulla bonifica dell'area dell'ex-Isochimica in Pianodardine di
Avellino ......................................................................................................................................... 37
Interrogazione a risposta in Commissione sulla realizzazione di interventi infrastrutturali
destinati all'area portuale di Piombino ..................................................................................... 38
Interrogazione a risposta scritta sul settore dell'autotrasporto .................................................. 39
SENATO ........................................................................................................................................... 41
Interrogazione a risposta scritta sui contratti di fornitura di energia elettrica e sul
procedimento avviato dall'AEEG nei confronti di Eni ............................................................. 41
Interrogazione a risposta orale sulla situazione delle acque nella valle Olona, in Lombardia e
sugli
ulteriori
interventi
di
messa
in
sicurezza
operativa
del
polo
chimico
ex Montedison ............................................................................................................................... 44
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CAMERA
Risoluzione in Commissione
sull'estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo nella zona del delta del Po, sulla subsidenza,
anche in riferimento alla presenza di un rigassificatore e della centrale Enel di Porto Tolle
MORETTO e altri (PD)
L'VIII Commissione,
premesso che:
i recenti accadimenti alluvionali hanno riportato al centro dell'attenzione il tema della sicurezza
idrogeologica che, in Veneto, per caratteristiche geomorfologiche, necessita di particolare
attenzione. Alcune aree del territorio veneto, in particolare parti significative della fascia costiera
veneziana, il delta del fiume Po e un ampio settore del suo entroterra, sono interessati da fenomeni
di subsidenza, i cui effetti hanno ricadute sull'assetto idraulico, geologico e di tutela del territorio e
risulta, quindi, necessario mettere in atto ogni azione che possa limitare tali fenomeni irreversibili;
in nome del principio di precauzione va anteposta la sicurezza e la tutela di un territorio fragile, in
difficile equilibrio e già pesantemente sfruttato e compromesso, ad ogni possibile interesse
economico derivante dall'estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo, anche perché gli introiti
sarebbero in ogni caso incommensurabilmente inferiori a quanto necessario per ulteriori interventi
sulle opere di difesa a mare e per la messa in sicurezza del bacino idrografico del Po e dell'Adige.
Senza contare il rischio a cui verrebbero sottoposti non solo centri urbani, ma anche beni storicoartistici, monumentali ed ambientali disposti lungo il corso dei fiumi e lungo le coste;
la fascia padana in generale e nello specifico l'area al largo delle coste venete (Alto Adriatico) è
notoriamente ricca di idrocarburi;
dagli anni Trenta e soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, fino alla
sospensione decisa dal Governo nazionale nel 1961, furono estratti nel territorio del Delta del Po
miliardi di metri cubi di metano e gas naturali, contribuendo ad aggravare notevolmente il
fenomeno della subsidenza, che determina un progressivo abbassamento del suolo;
la subsidenza «antropica», derivata all'estrazione del gas metano, ha contribuito ad aggravare
notevolmente la situazione idrogeologica di un territorio, il Polesine – l'attuale provincia di Rovigo
– che nel 1951 è stato colpito da una rovinosa alluvione;
nel periodo 1951-1960 è stimato che gli abbassamenti del suolo raggiunsero i 2 metri, ma le
conseguenze del fenomeno non si sono fermate con l'interruzione delle estrazioni e, fino al 1980, gli
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abbassamenti hanno raggiunto e superato i 3 metri. Studi recenti effettuati dall'università di Padova
hanno dimostrato una «coda» della subsidenza nel periodo 1983-2008, che ha raggiunto i 50 cm
nella zona meridionale del Delta del Po, al confine tra Veneto ed Emilia Romagna;
in questa stessa zona, a ridosso delle coste polesane, è attualmente presente un rigassificatore e
l'impatto sul territorio di questa recente struttura si somma alla presenza trentennale della centrale
Enel di Porto Tolle, situata nell'estremo Delta del Po: un impatto ambientale che deve fare i conti
con l'equilibrio di un delicato ecosistema e con le previsioni, avanzate da più parti, di un
progressivo innalzamento del livello del mare, destinato ad interessare nei prossimi anni anche il
territorio deltizio;
buona parte del territorio polesano deltizio è area protetta in quanto già parco regionale veneto del
Delta del Po;
rispetto al fenomeno della subsidenza, cronicità di questa porzione costiera d'Italia, si sono registrati
nel tempo attenzione e sensibilità di vari Governo, che hanno adottato politiche di tutela del
territorio e determinato anche significativi interventi pubblici;
numerosi provvedimenti legislativi regionali e nazionali hanno allontanato dalla costa il pericolo
della subsidenza indotto dalle estrazioni a mare, a maggior ragione le estrazioni a terra
contrasterebbero con i concetti tecnici che costituiscono presupposto della normativa citata, e quindi
non possono ritenersi ammissibili nell'entroterra delle suddette zone di mare nelle quali è posto il
divieto in questione;
è urgente la necessità di tutelare il territorio della pianura così come quello lagunare e costiero dal
rischio di subsidenza e quindi anche dai conseguenti pericoli di eventi alluvionali, di erosione dei
litorali, dell'aumento di forze distruttive delle onde, della risalita del cuneo salino, che invece
risultano favoriti dalle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi;
l'area del permesso di ricerca intestata a AleAnna Resources, LLC, interessa alvei, invasi e corsi
d'acqua tutelati; zone soggette a dissesto idrogeologico, zone esondabili o a ristagno idrico, zone di
riconosciuta fragilità ambientale, zone a rischio di incidente rilevante, zone sottoposte a continua
attività di bonifica anche mediante opere e manufatti idrovori, complessi archeologici (siti e
monumenti) ufficialmente riconosciuti, edifici di pregio architettonico, ville venete, centri storici;
aree naturali protette; aree SIC-ZPS;
in data 25 gennaio 2011, il consiglio regionale del Veneto ha già approvato una proposta di legge
statale, da trasmettere al Parlamento nazionale, denominata «Interventi di tutela dal fenomeno della
subsidenza dei territorio delle province di Padova, Rovigo e Venezia», primo firmatario il
consigliere regionale Graziano Azzalin, che ha già illustrato il testo in Commissione ambiente;
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la vicenda della subsidenza e dei rischi derivanti dalla ricerca di idrocarburi è da tempo ormai posta
all'attenzione della commissione VIA della regione Veneto;
appare necessario un ruolo attivo del Governo nazionale per monitorare i fenomeni della
subsidenza, dell'erosione delle coste, dell'impatto ambientale di strutture già esistenti – impatto
particolarmente rilevante nel Delta del Po, come si è accennato – e del progressivo innalzamento del
livello del mare, nonché per mettere in atto strategie complessive finalizzate alla tutela della
specificità del territorio del Delta del Po, che partano dal pronto coinvolgimento di tutti gli attori
locali e da una rinnovata elaborazione di carattere generale rispetto alla valenza nazionale dei
problemi in essere e delle questioni che qui sono state richiamate,
impegna il Governo:
a tener conto, per le ragioni di cui sopra, della specificità del territorio dell'Alto Adriatico, con
particolare riferimento alla costa polesana e quella veneziana, al Delta del Po e all'entroterra
padovano e veneziano prossimo all'area polesana, e della necessità di un intervento rispetto ai
fenomeni della subsidenza, a dell'erosione delle coste e ai rischi derivanti dall'innalzamento
progressivo del livello del mare;
a istituire e a convocare, per quanto di competenza un tavolo di coordinamento con la regione
Veneto, l'Ente parco regionale Veneto Delta del Po, le istituzioni locali dei comuni del rodigino, del
veneziano e del padovano interessati da tale fenomeno, e le forze sociali del territorio, rispetto ai
temi richiamati e alle possibili strategie da mettere in campo;
a verificare la possibilità di adottare ulteriori iniziative normative volte a modificare l'articolo 6 del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia ambientale», al fine di vietare le attività
di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, di cui agli articoli
4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, nel territorio delle province di Padova, Rovigo e Venezia
anche relativamente ai procedimenti in corso. (7-00256)
Interrogazione a risposta scritta:
sullo svolgimento di attività di ricerca subacquea di giacimenti di idrocarburi nel mar
Adriatico croato da parte della società norvegese Geo Spectrum Limited
BENEDETTI e altri (M5S)
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri. —
Per sapere – premesso che:
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il Governo croato senza alcuna gara pubblica e senza alcuno studio di impatto ambientale, ha
contattato direttamente la società norvegese Geo Spectrum Limited, che dall'inizio di settembre
2013 sta conducendo la scansione del versante marittimo croato in Adriatico di un'area di 12 mila
chilometri quadrati alla ricerca di giacimenti di idrocarburi (greggio e metano) intrappolati nei
fondali;
la società conta di rifarsi delle spese vendendo i dati ottenuti nel corso delle rilevazioni alle
compagnie petrolifere, mettendo quindi sul mercato i risultati delle scansioni;
l'organizzazione internazionale per la difesa del mare «Ocean Care» chiede al Governo croato di
fermare l'attività di ricerca sottomarina per avviare un confronto pubblico, visto che quella stessa
attività costituisce un enorme rischio per il patrimonio ittico croato e porterebbe grave nocumento
anche allo sviluppo turistico del Paese;
secondo il presidente di «Ocean Care», Sigrid Lüber, come riportato dal quotidiano di Zagabria
Ve#62;ernji list, la tecnica adoperata nella ricerca dei giacimenti di gas o di petrolio cosiddetta
«2D» prevede il rilascio di vere e proprie bombe di onde sonore ogni dieci secondi pari a 260
decibel ciascuna, mentre il rumore di un jet non supera i 125, 140 decibel;
secondo il presidente del Blue World Insitute, Draško Holcer, le specie ittiche più danneggiate
sarebbero quelle dei delfini e delle balene che possono percepire le onde sonore anche a chilometri
di distanza. L'intensità con cui queste vengono «sparate» danneggia il loro sistema uditivo
provocando lesioni ed emorragie e, a lungo andare, la fuga di queste due specie dal loro habitat;
una interrogazione dell'eurodeputato Zanoni chiede alla commissione europea indagini sullo
svolgimento di attività di ricerca subacquea di giacimenti di idrocarburi nel mar adriatico mediante
l'utilizzo di onde sonore, segnalando inoltre che, lungo alcune coste italiane dell'alto adriatico si sta
assistendo ad una concomitante ecatombe di tartarughe marine comuni con 165 esemplari morti in
meno di due mesi, rendendo necessarie indagini anche sulla strana concomitanza del fenomeno
italiano con le ricerche in corso in Croazia;
con l'attuazione della direttiva 2008/56/CE (recepita in Italia con decreto legislativo n. 190 del 13
ottobre 2010) il rumore diventa un parametro di qualità dell'ambiente marino, imponendo agli Stati
membri di affrontare il problema agendo in via precauzionale ed evitando ogni tipo di inquinamento
transfrontaliere. La Commissione europea ha applicato il principio secondo cui l'assenza di certezza
scientifica, qualora sussista il pericolo di danni gravi o irreversibili, non esonera gli Stati dal dovere
di predisporre misure efficaci per evitare il degrado ambientale (principio 15 della dichiarazione di
Rio). Tutti i Paesi devono inoltre assicurare che «le attività condotte sotto la propria giurisdizione e
sotto il proprio controllo avvengano in modo tale da non provocare danno da inquinamento ad altri
Stati e al loro ambiente»;
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pertanto, a prescindere dalla mancanza di disposizioni specifiche sia a livello interno che
internazionale, vige il principio di carattere generale correlato all'obbligo di vigilare affinché il
rumore sottomarino prodotto da attività soggette alla propria giurisdizione non determini effetti
dannosi sugli ecosistemi di altre nazioni, coerentemente con il generale «obbligo di proteggere e
preservare l'ambiente marino» (articolo 192 della convenzione UNCLOS);
si tratta di una cooperazione dai tratti variabili in quanto gli Stati devono cooperare, direttamente o
tramite le competenti organizzazioni internazionali, al fine di promuovere studi e sviluppare
programmi di ricerca scientifica sull'inquinamento acustico sottomanno, garantendo la protezione di
tutte le specie a rischio, sulla base di quanto disposto dalla convenzione sulla diversità biologica e
del relativo patto d'azione del 2006 della Comunità europea (PAB);
si legge nel rapporto tecnico 2012 dell'ISPRA «valutazione e mitigazione dell'impatto acustico
dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani», che il concetto di inquinamento acustico è
stato esteso all'ambiente acquatico quando si è giunti alla certezza che alcuni suoni antropogenici
hanno effetti negativi su diversi phyla di organismi, in particolare sui cetacei;
l'esposizione al rumore di origine antropica può produrre un ampia gamma di effetti sugli organismi
acquatici, in particolare sui mammiferi marini. L'esposizione a rumori molto forti può addirittura
produrre danni fisici permanenti ad altri organi oltre a quelli uditivi e può in alcuni casi portare al
decesso del soggetto colpito;
lo studio di Bowles e altri (1994) ha dimostrato la tendenza dei capodogli a cessare i loro click
(sistemi di segnali sonori per l'ecolocalizzazione e la socializzazione) interrompendo l'attività di
feeling (alimentazione) in risposta agli impulsi sismici emessi da una nave a più di 300 chilometri di
distanza;
uno studio di Miller e altri (2009) ha ampiamente dimostrato la tendenza dei capodoglio a non
spostarsi dalla zona dr impatto acustico, nonostante il ramp up (suoni di allarme usati come
deterrenti per non fare avvicinare i mammiferi alla fonte del rumore);
lo studio di Madsen e altri 2006 ha inoltre dimostrato come la propagazione sonora sia molto più
complicata di quella generalmente rappresentata dai modelli utilizzati per le misure di mitigazione.
L'impatto acustico potrebbe verificarsi a distanze maggiori di quelle previste e ben oltre l'area di
mare che gli osservatori a bordo nave possono efficacemente monitorare;
le specie di cetacei che frequentano i nostri mari sono inserite nelle liste rosse dell'IUCN (Unione
internazionale per la conservazione della natura) in categorie che evidenziano la necessità di
maggiori informazioni e di ungenti azioni di conservazione e protezione;
molte specie sono incluse in direttive convenzioni e accordi di carattere internazionale per la
protezione degli habitat, delle specie e della biodiversità (CBD, direttiva habitat, convenzione di
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Bonn, CITES, convenzione di Barcellona protocollo ASPIM, IWC) che sono state ratificate
dall'Italia;
anche la nuova strategia per l'ambiente marino (2008/56/EC – Marine Strategy Framework
Directive) prevede il mantenimento della diversità biologica marina oltre agli specifici programmi
di monitoraggio per la valutazione dello stato dell'ambiente sulla base di specifici elementi, fra i
quali i mammiferi marini;
il 1o luglio 2013 la Croazia è diventato il 28o Stato membro dell'Unione europea;
da notizie di stampa pare che la Croazia si appresterebbe a liberalizzare il settore della ricerca e
dell'estrazione di risorse naturali di metano e di petrolio sul suo territorio, incluso il sottofondo
marino nell'Adriatico, che finora era monopolio della società petrolifera nazionale Ina;
sarebbero previste semplificazione delle procedure burocratiche per ottenere permessi per la ricerca
e lo sfruttamento di risorse dì idrocarburi gassosi e liquidi –:
se il Governo croato abbia informato ufficialmente a mezzo di formale notificazione il Governo
italiano delle attività di scansione mediante l'utilizzo di onde sonore del versante marittimo croato
in Adriatico di un'area di 12 mila chilometri quadrati alla ricerca di giacimenti di idrocarburi
(greggio e metano) intrappolati nei fondali;
se il Governo italiano, indipendentemente dalla formale notificazione di attività frontaliera posta in
essere dal Governo croato, sia comunque a conoscenza dei fatti e delle suddette attività poste in
essere dal Governo croato o da società da esso incaricate;
quali garanzie di misure idonee ed efficaci siano state offerte dal Governo croato al fine di
proteggere e preservare l'ambiente marino ai sensi e per gli effetti dell'articolo 192 della
convenzione UNCLOS, di evitare il degrado ambientale alla luce del principio 15 della
dichiarazione di Rio, di protezione della diversità biologica marina disciplinata dalla direttiva
2008/56/EC, ed ogni via precauzionale per evitare l'inquinamento transfrontaliero, anche in
considerazione che il delta del Po è candidato ad essere riconosciuto riserva di biosfera dall'Unesco
e la laguna di Venezia è già nell'elenco dei siti patrimonio dell'umanità;
se, indipendentemente dalle eventuali garanzie offerte dal Governo croato, sia intenzione del
Governo italiano promuovere un'indagine conoscitiva al fine di accertare se allo stato esiste il
rischio che dalle suddette attività possano derivare danni e inquinamento di ogni tipo ai danni del
nostro Stato;
se sia intenzione del Governo italiano, a seguito delle risultanze di indagini conoscitive sullo stato
delle attività poste in essere dal Governo croato, giungere alla ratifica di un protocollo di intervento
congiunto al fine di predisporre misure idonee ed efficaci per prevenire ogni tipo di danno e
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inquinamento, e, comunque, disciplinare le ipotesi di responsabilità per tutti i danni che dovessero
essere eventualmente procurati ai cittadini italiani e al nostro Stato dalle suddette attività. (4-03492)
Interrogazione a risposta scritta:
sugli impianti a carbon fossile
PAGLIA (SEL)
Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare. — Per sapere – premesso che:
l'evoluzione del mercato dell'energia indica un progressivo spostamento della capacità produttiva
dalle centrali a combustione verso le fonti rinnovabili; tale processo mette in discussione la stessa
sostenibilità economica di medio periodo degli impianti di tipo tradizionale, tanto da aver indotto di
recente il Parlamento a riconoscere sul piano economico i costi di messa a disposizione della
capacità produttiva; in particolare sono gli impianti a carbon fossile a doversi ritenere superati, per
ragioni di impatto ambientale, e tali sono considerati in prospettiva anche dalla strategia economica
nazionale; si potrebbe ipotizzare una riconversione ad altra fonte di alimentazione delle centrali a
carbone, che risultano peraltro oggi alimentate essenzialmente da combustibile acquistato
all'estero –:
quale sia la quantità di carbone in tonnellate che ogni anno viene utilizzato nelle singole centrali;
quali siano i Paesi di provenienza del carbone utilizzato e per ciascun Paese di provenienza quali
siano le quantità tonnellate/anno importate;
quali siano i costi necessari per acquistare la materia prima;
quali e quante siano le società di trading che si occupano degli acquisti di carbone;
quali e quante siano le società di trasporto coinvolte per la gestione della logistica. (4-03504)
Interrogazione a risposta scritta
sulla collocazione degli impianti eolici offshore nel mare del golfo di Manfredonia e del
Gargano
DI GIOIA e altri (MISTO)
Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al
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Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
un largo fronte di amministrazioni locali, raccogliendo le richieste dei cittadini del territorio, ha
inviato, il 27 gennaio 2014, una lettera al Presidente del Consiglio e ai Ministri interessati, un
appello nel quale si richiede di rivedere le posizioni in merito ai programmi di insediamento degli
impianti eolici offshore nel mare del golfo di Manfredonia e del Gargano; le aree maggiormente
interessate sono quelle prospicienti i comuni di Zapponeta e di Margherita di Savoia;
le associazioni del territorio contrarie a questa opera hanno già raccolto migliaia di firme nella loro
petizione; il numero di sindaci, firmatari dell'appello, si è ulteriormente allargato nel corso di questi
ultimi giorni; in tale istanza, i sindaci non disconoscono la necessità di ridurre l'uso di combustibili
fossili per produrre energia, ciò nonostante fanno presente che nel decidere dove collocare gli
impianti eolici offshore non si può non tener conto delle peculiarità dei territori interessati;
in tal senso, non si può non evidenziare la naturale vocazione turistica delle aree interessate che
potrebbero subire danni enormi, in termini ambientali ed economici, con le relative ricadute
negative sul fronte occupazionale; non a caso, a fronte del parere favorevole della commissione di
VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispetto a due dei progetti
interessati (quello della Trevi Energy spa e della Gargano Sud) vi è stato il parere negativo del
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; in materia di collocazione di parchi eolici
le direttive dell'Unione europea sono estremamente chiare nella parte che riguarda la compatibilità
degli stessi con la conservazione della natura e la difesa dell'assetto paesaggistico, elementi questi
che, evidentemente, non sono garantiti nella situazione in esame, visto che una parte degli impianti
dovrebbe essere addirittura collocata nell'area protetta del parco nazionale del Gargano –:
se non si ritenga fondamentale preservare la sostenibilità economica, sociale e ambientale dei
territori interessati dai progetti in questione proteggendone l'ecosistema marino, le risorse naturali,
la vocazione turistica del territorio; se non si ritenga, di conseguenza, necessario, alla luce di quanto
sopra esposto e viste le giuste proteste delle amministrazioni e dei cittadini dei territori coinvolti,
sospendere qualsiasi decisione in merito alla collocazione degli impianti eolici offshore nel mare del
golfo di Manfredonia e del Gargano convocando, al contempo, un tavolo di confronto con i
rappresentanti delle comunità interessate al fine di arrivare a soluzioni condivise. (4-03524)
Interrogazione a risposta scritta:
sulla bonifica della cava di Calancoi a Sassari, divenuta discarica nella quale si sono riversati
rifiuti di ogni genere e sulla revisione del sistema di gestione dei rifiuti
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CORDA (M5S)
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
a ridosso della Valle dei Ciclamini, in località Calancoi, ubicata a nord-est della città Sassari, sorge
un'estensione di centomila metri quadrati (10 ettari), utilizzata in origine come cava da cui si
estraeva tufo per l'edilizia; Calancoi è divenuta discarica nel 1983 ed ha funzionato come tale fino
al 1997. Per 14 anni su di essa si sono riversati rifiuti di ogni genere, da quelli solidi urbani a inerti
pericolosi, ceneri da inceneritore, fanghi da inceneritore e rifiuti speciali; le attività minerarie sono
caratterizzate, come noto, dall'avere un forte impatto sul territorio che subisce modificazioni sia
morfologiche sia dal punto di vista dei processi ambientali. In particolare, questi ultimi portano ad
una serie di problematiche che interessano tutte le matrici ambientali – suolo, sottosuolo, acque
superficiali e sotterranee, aria – compromettendo inoltre la biodiversità e l'identità dei luoghi. Nel
passato, per di più, la gestione delle attività minerarie prescindeva dall'obiettivo della tutela
dell'ambiente e, piuttosto, le modalità di messa in dimora dei materiali di scarto erano improvvisate
ed ispirate alla massima economicità e rapidità. Inoltre, i bacini di accumulo erano generalmente
realizzati nei compluvi naturali con la messa in opera di sbarramenti a carattere temporaneo. Nel
tempo tali cumuli di materiale, ancora ricchi di minerali, sono stati esposti all'azione erosiva dello
scorrimento superficiale delle acque determinando una contaminazione da metalli pesanti nelle
diverse matrici ambientali; queste considerazioni e le difficoltà nel realizzare gli interventi di messa
in sicurezza e/o bonifica risolutivi delle problematiche di quest'area, hanno indotto alla redazione
del piano di bonifica delle aree minerarie dismesse del Sulcis-Iglesiente-Guspinese il cui obiettivo
principale era il risanamento ambientale delle aree prioritarie di intervento (perimetrate attraverso
l'ordinanza commissariale n. 2 del 23 febbraio 2008 ed illustrate negli allegati 1 e 2 del piano)
nonché la predisposizione dei cronoprogrammi delle attività di bonifica da porre in essere;
a tale scopo, il piano commissariale ha individuato delle macro-aree a cui vengono ricondotte le
aree minerarie caratterizzate da analoghi problemi ambientali, così da individuare possibili
soluzioni comuni ed uscire, in tempi quanto più brevi possibile, dall'emergenza ambientale;
i criteri di individuazione di tali macro-aree, indipendenti o concomitanti, vengono selezionati in:
primario
interesse
rilevanti
dimensioni
di
recupero
dell'attività
produttivo
mineraria
o
turistico
(coltivazione
e
dell'area;
trattamento);
rilevanti dimensioni del fenomeno di inquinamento derivato dall'attività mineraria;
ubicazione nel medesimo bacino idrografico o in piccoli bacini idrografici costieri adiacenti;
concorso
di
diverse
collegamento
diretto
aree
con
minerarie
il
all'inquinamento
medesimo
centro
di
di
singole
matrici
trattamento
ambientali;
mineralogico;
sono svariati gli interventi intrapresi negli anni da parte delle autorità locali, qui di seguito elencati:
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nel 1999 è avvenuto il primo finanziamento da parte della regione Sardegna a favore del comune di
Sassari per far fronte ai primi interventi di progettazione ed esecuzione di bonifica per un importo,
espresso in lire, di un miliardo e trecentomilioni (ovvero euro 671.393,97), stanziati in modo
seguente:
per
l'anno
1999
trecento
milioni
e
per
l'anno
2001
un
miliardo;
nel mese di giugno 2003 è stato consegnato all'amministrazione comunale il progetto di
caratterizzazione dell'area, eseguita in base alla vecchia normativa ambientale costituita dal decreto
ministeriale n. 471 del 1999, meglio noto come «decreto Ronchi». Nel mese di settembre la Giunta
comunale di Sassari ha approvato il progetto e nel mese di dicembre è stata indetta la gara d'appalto;
nel 2005 l'amministrazione comunale ha fatto richiesta di inserimento di Calancoi nel sito di
interesse nazionale, a cui è seguita la consegna, da parte dei tecnici, di due elaborati titolati
«rapporto conclusivo delle indagini previste dal piano di caratterizzazione» e «progetto preliminare
di bonifica»; il sito di bonifica «Aree industriali di Porto Torres» è stato inserito nell'elenco dei siti
d'interesse nazionale dall'articolo 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179. L'area potenzialmente
inquinata è stata perimetrata, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge n. 426 del 1998, con il
decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 7 febbraio 2003. L'area
perimetrata ha una superficie totale di oltre 4.600 ettari. Con decreto ministeriale del 3 agosto 2005,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 219 del 20 settembre 2005, è stata altresì inserita nella
perimetrazione del sito di interesse Nazionale di Porto Torres, compresa la discarica di Calancoi;
le principali criticità ambientali, per quel che riguarda il suolo ed il sottosuolo, che si riscontrano
nell'area riguardano una compromissione connessa specialmente alla presenza di attività industriali
in esercizio nonché di discariche non controllate di rifiuti tossico-nocivi e industriali speciale
contaminazione da metalli pesanti BTEXS, idrocarburi Leggeri e pesanti, IPA, alifatici clorurati
cancerogeni. Per quel che concerne, invece, le acque di falda, l'area marino costiera e le aree
fluviali, si evidenzia una contaminazione di tipo diffuso da metalli, BTEXS, solventi clorurati, IPA,
idrocarburi e clorobenzeni, con presenza di notevoli spessori di prodotto surnatante; talvolta è stata
rinvenuta anche la presenza di sottonatante. La qualità delle acque dell'area marina risulta
compromessa in quanto fortemente condizionata dai reflui industriali e civili. Inoltre, il Rio Mannu
a causa dei numerosi processi produttivi industriali ed agricoli della zona, dei diversi scarichi di
reflui urbani nonché dello scarico a mare di materiale di dragaggio del porto industriale, risulta
fortemente contaminato; il 13 dicembre 2013 sono stati avviati i lavori relativi al risanamento
ambientale e sistemazione naturale, con un primo intervento di messa in sicurezza, grazie al
progetto redatto dall'RTP (Raggruppamento temporaneo di professionisti), costituito dalla Montana
spa e dagli ingegneri Antonio Fraghì e Roberto Mura; un milione di euro è la cifra stabilita per
l'intervento che verrà eseguito dall'RTI, il raggruppamento temporaneo di imprese costituito da due
13
ditte locali: la nuova Prima srl e la Rina srl, a seguito di un'apposita gara ad evidenza pubblica,
espletata anche per la scelta dei progettisti. I lavori, finanziati nell'ambito del POR 2007-2013,
mirano a mettere in sicurezza il sito, intervenendo su vari aspetti: in particolare, l'intervento
riguarderà la stabilità dei pendìi e la verifica dei rischi connessi a possibili incendi o a
contaminazioni della falda; l'intervento dovrebbe consentire la realizzazione di nuovi pozzi sia per
l'aspirazione del biogas ancora presente, sia per l'estrazione dei percolati. Dovrebbe essere inoltre
messa in opera una torcia mobile dotata di biofiltro per il trattamento del biogas, prima
dell'emissione in atmosfera. I lavori prevedono inoltre il monitoraggio dei comparti ambientali
limitrofi: le sorgenti delle acque dei pozzi idrici situati nel raggio di un chilometro, le acque
superficiali e i sedimenti fluviali del rio Bunnari; si ritiene altresì necessario migliorare il sistema di
gestione dei rifiuti, promuovendo la prevenzione, la riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti
prodotti, la raccolta differenziata, nel rispetto della normativa comunitaria, al fine di conseguire gli
obiettivi percentuali previsti dal decreto legislativo n. 22 del 1997, il riuso, il riciclaggio e il
recupero di materia e di energia, minimizzando il conferimento in discarica dei rifiuti in
applicazione di quanto disposto dal decreto legislativo n. 36 del 2003, elevando la sicurezza dei siti
per lo smaltimento e favorendo lo sviluppo di un efficiente sistema di imprese e assicurando la
piena attuazione delle normative di settore attraverso la pianificazione e la realizzazione di un
sistema integrato di gestione dei rifiuti su scala di ambiti territoriali ottimali; è inoltre necessario
introdurre innovazioni di processo nei sistemi di gestione dei rifiuti promuovendo la riduzione della
quantità e della pericolosità dei rifiuti prodotti e favorendo il recupero energetico, in particolar
modo dei rifiuti biodegradabili inclusi tra le fonti di energia rinnovabili ai sensi della difettiva
2001/77/CE; i sopracitati interventi dovrebbero realizzarsi solo se vi è la certezza delle risorse
finanziarie. A fronte quindi dell'inaridirsi delle risorse finanziarie pubbliche per le bonifiche e della
persistenza di un quadro normativo che sembrerebbe favorire l'inazione, piuttosto che la soluzioni
dei problemi ambientali e sanitari causati dalle aree contaminate, non si è trovato di meglio che
proporre l'ennesima sanatoria con la legge n. 13 del 2009, che in particolare all'articolo 2 riduce la
complessa gestione degli interventi di bonifica e della pianificazione del futuro delle aree
interessate a un «condono tombale»: l'assessorato all'ambiente del comune di Sassari ha inviato
all'Arpas una richiesta di esito in merito agli esami di laboratorio effettuati durante il sopralluogo
del mese di dicembre 2013 –: quale sia lo stato attuale dei lavori dell'area di Calancoi. (4-03519)
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Mozione
sul dissesto idrogeologico
GIORGETTI e altri (LN)
La Camera,
premesso che:
le incessanti precipitazioni dei primi giorni di febbraio hanno messo in ginocchio gran parte del
Paese; l'ondata di maltempo ha creato frane, allagamenti e straripamenti dei fiumi, da Nord a Sud, e
ha fatto registrare fino ad oltre 5 metri di neve e rischio valanghe sulle Alpi orientali;
il livello di criticità nel Veneto ha raggiunto i massimi livelli: oltre 1000 gli evacuati, un morto,
danni alle colture e alle cose stimati per ora attorno ai 500 milioni di euro; il padovano, dove sono
esondati diversi canali collegati al Bacchiglione, interi quartieri sono stati totalmente allagati da
oltre un metro e mezzo di acqua, costringendo molte famiglie ad abbandonare le proprie abitazioni
attraverso le barche della protezione civile; il disastro è arrivato a pochi giorni di distanza
dall'alluvione di Modena del 19 gennaio 2014, quando la rottura dell'argine destro di Secchia nella
frazione di San Matteo, ha inondato Modena, Bastiglia, Bomporto, San Prospero, Medolla e altre
zone della provincia di Modena, provocando l'allagamento di una superficie di 75 chilometri
quadrati, l'evacuazione di 600 persone, il blocco delle strade, frane e smottamenti, oltre duemila
ettari di coltivazioni con grano e altri cereali sommerse nell'acqua; l'S.O.S. idrogeologico lanciato
dalla Protezione civile ha riportato alla ribalta il problema cronico di cui soffre il Paese, ossia la
mancanza di un programma organico di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del
suolo e dei corsi d'acqua, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più
sensibili; l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la forte espansione edilizia soprattutto
negli anni ’70 e ’80, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei
corsi d'acqua, la forte antropizzazione e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti
contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad
alluvioni; il nostro Paese ha un territorio estremamente fragile e in crescente pericolo di dissesto;
secondo uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 9,8 per
cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono 6.633 i comuni interessati,
pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato
da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a
rischio sia di frana che di alluvione; più di 5 milioni i cittadini italiani ogni giorno vivono o
lavorano in aree considerate ad alto rischio; un'indagine mostra che «quasi il 60 per cento degli
italiani indica frane e smottamenti come una delle prime tre emergenze ambientali del Paese»;
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secondo i dati elaborati dal Cnr-Irpi, fra il 1960 e il 2012, tutte le 20 regioni italiane hanno subito
eventi fatali: 541 inondazioni in 451 località di 388 comuni, che hanno causato 1.760 vittime (762
morti, 67 dispersi, 931 feriti), e 812 frane in 747 località di 536 comuni con 5.368 vittime (3.413
morti compresi i 1.917 dell'evento del Vajont del 1963, 14 dispersi, 1.941 feriti). Le vittime dal
1960 a oggi per frane e inondazioni sono state dunque in totale oltre 4 mila, gli sfollati e i senzatetto
per le sole inondazioni superano rispettivamente i 200 mila e i 45 mila; secondo i dati apparsi sui
giornali in questi giorni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha
quantificato in circa 8,4 miliardi di euro i finanziamenti statali degli ultimi venti anni per politiche
di prevenzione e di difesa del suolo, mentre nello stesso periodo sono stati spesi 22 miliardi per
riparare i danni causati da frane ed alluvioni; tali dati rendono evidente l'impellente necessità di un
piano pluriennale di prevenzione e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua, finanziato dallo
Stato e cofinanziato dalle regioni e dagli enti locali, da attuarsi da parte degli enti periferici e
territoriali competenti per legge; risulta evidente che si tratta di un'emergenza nazionale e che se
non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del
territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di
ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle alluvioni;
la ripresa economica di cui abbisogna il Paese è continuamente rallentata e minacciata dall'aumento
della fragilità del territorio, dal susseguirsi di drammi umani e danni alle cose; ma sono gli stessi
finanziamenti per la prevenzione e per la manutenzione del territorio che possono diventare un
volano per l'accelerazione della ripresa economica e per lo sviluppo del Paese, creando indotto e
occupazione; in questi giorni, i mass media hanno riportato l'esempio del bacino di laminazione di
Montebello che ha raccolto, trattenuto ed evitato che si riversassero soprattutto sul basso vicentino e
sul padovano circa 4 milioni di metri cubi di acqua. Si tratta di un impianto costruito addirittura nel
1926 che raccoglie a Nord le acque dell'Agno-Gua’ attraverso 12 sifoni di presa e si può
trasformare in un lago di 6 milioni di metri cubi d'acqua, su oltre 50 ettari, quasi tutti di proprietà
demaniale, raggiungendo una profondità sino a 20 metri; si tratta di un esempio delle soluzioni che
servono, certamente costose, in grado di mantenere l'acqua il più possibile in bacini per evitare che
a valle i fiumi possano provocare danni; il 26 giugno 2013 sono state accolte dal Governo alcune
delle mozioni presentate alla Camera da tutti i gruppi che hanno impegnato lo stesso Governo sugli
obiettivi da raggiungere in merito al dissesto idrogeologico; la legge di stabilità 2014 ha cercato di
sbloccare circa 1.400 milioni di euro di finanziamenti per il rischio idrogeologico stanziati dai
precedenti governi e ha stanziato ulteriori 180 milioni di euro per il triennio 2014-2016;
tuttavia, nella scorsa legislatura sono state calcolate necessità di prevenzione del rischio
idrogeologico per un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area del
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Centro-Nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero;
per raggiungere risultati concreti serve la sinergia tra amministrazioni centrali e locali per il
finanziamento degli interventi; i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative
necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli
derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, gli stessi amministratori
sono sempre al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed esecuzione
degli interventi e della mitigazione dei rischi; negli ultimi anni, le regole stringenti del patto di
stabilità e crescita imposte dalla Commissione europea e le conseguenti norme nazionali sul patto di
stabilità interno costituiscono un vincolo insormontabile alla spesa delle amministrazioni locali;
anche nei casi di disponibilità di risorse, gli investimenti dei comuni per la prevenzione e la
manutenzione
del
proprio
territorio
sono
frenati
dal
patto
di
stabilità
interno;
appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto
idrogeologico, non solo verso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e
l'assegnazione delle risorse ma anche verso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono
impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa
sopravvivenza dei territori e della popolazione, alla contabilizzazione della spesa per il rispetto dei
parametri del patto di stabilità e crescita imposti dalla Unione europea; recentemente si è tanto
parlato della golden rule sulle infrastrutture, in merito all'uscita delle spese sostenute dal nostro
Paese per finanziare gli interventi delle reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T europei dal
rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita; infatti, nell'ottobre 2013, la Commissione
sviluppo regionale del Parlamento europeo ha approvato la necessità di non calcolare nel 3 per
cento dei parametri di bilancio le spese per gli investimenti produttivi in infrastrutture, occupazione
e formazione; si tratta di una modifica importante ai vincoli di bilancio degli Stati e delle regioni
che permette maggiore efficienza all'utilizzo dei fondi europei e sostiene il superamento delle
politiche di austerità; sulla scia dei provvedimenti adottati per le reti infrastrutturali inserite nei
corridoi Ten-T, occorre attuare un passo importante a livello dell'Unione europea, per escludere dal
rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, e conseguentemente dal patto di stabilità
interno, le spese sostenute per finanziare interventi di prevenzione del dissesto idrogeologico e di
manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua, impegna il Governo
ad assumere le opportune iniziative affinché uno degli obiettivi prioritari e fondamentali del
prossimo semestre italiano di presidenza europea diventi l'esclusione, dalla contabilizzazione delle
spese ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, delle risorse stanziate dallo
Stato, dalle regioni e dagli enti locali per finanziare gli interventi necessari per la prevenzione dei
dissesti, la manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua e il contrasto del dissesto idrogeologico,
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provvedendo, conseguentemente, all'esclusione di tali spese dai vincoli previsti dal patto di stabilità
interno. (1-00339)
Interrogazione a risposta scritta:
sull'inceneritore di rifiuti per recupero energetico di San Vittore (Frosinone), alimentato per
mezzo di CDR (combustibile da rifiuto)
FRUSONE e altri (M5S)
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole
alimentari
e
forestali,
al
Ministro
della
salute.
—
Per
sapere
–
premesso
che:
al confine con il Molise e la Campania, nel comune di San Vittore del Lazio in provincia di
Frosinone è situato l'inceneritore di rifiuti per recupero energetico di San Vittore alimentato per
mezzo di CDR – combustibile da rifiuto – proveniente in parte dalla SAF spa di Colfelice. A tale
impianto sono state aggiunte due nuove linee messe in esercizio tra ottobre (Linea 2) e dicembre
(Linea 3) del 2011. L'inceneritore viene a collocarsi nelle immediate vicinanze di nuclei abitati ed è
poco distante ad aree di importante valore naturalistico per la presenza di alcuni siti di interesse
comunitario SIC–ZSC (Monti di Mignano Montelungo e Catena di Monte Cesima in provincia di
Caserta e Monte Corno – Monte Sammucro in provincia di Isernia) e di aree di interesse ambientale
e storico (Abbazia di Montecassino in provincia di Frosinone e Parco regionale di Roccamonfina –
Foce del Garigliano in provincia di Caserta), alle porte di paesi appartenenti alle Valle dei Santi,
come Sant'Andrea sul Garigliano, Sant'Ambrogio sul Garigliano, Sant'Apollinare, San Giorgio al
Liri, Cassino, Cervaro (comuni ubicati nella provincia di Frosinone), San Pietro Infine, Rocca
d'Evandro, Mignano Montelungo, RoccaMonfina e Galluccio (comuni ubicati nella provincia di
Caserta). Come riportato nel DGR Lazio 217/2012, l'impianto ricade all'interno della zone della
Valle del Sacco (SIR – siti di interesse regionale – ) che rappresenta, nel suo complesso e insieme
all'agglomerato di Roma, una delle zone più critiche a livello regionale. In parte il territorio dove
grava l'impianto è già in parzialmente compromesso dalla presenza dell'autostrada E45, della linea
TAV Roma-Napoli, della SP81, della SS480, della Zona industriale di Rocca D'Evandro, dalla
SS430, da un deposito di materiale ferroso e da un impianto di betonaggio oramai inattivo da alcuni
anni destinato a bonifica mai portata a compimento; al grave stress territoriale a cui è sottoposta
l'area interessata dall'inquinamento atmosferico («cumulo» dell'inquinamento preesistente e
«sommatoria» delle due nuove linee dell'inceneritore) non è corrisposto un numero adeguato di
centraline rimaste sempre e solo due (appartenenti all'ACEA spa) dall'avvio della prima linea. Non
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essendo mai stato elaborato un registro tumori non c’è l'esatta percezione del reale rischio sanitario
che corrono le popolazioni pertinenti al perimetro del comune di San Vittore. La rete regionale di
monitoraggio dell'ARPA Lazio ha in attivo una sola centralina che si trova ad una decina di
chilometri dall'inceneritore nella città di Cassino. Tale rischio risulta maggiormente elevato nelle
aree con vocazione agricola; il comune di Forlì ha prodotto uno studio analitico pubblicato sul suo
sito istituzionale: la «Relazione finale del sui lavori del Tavolo Interistituzionale in tema di
diossine/furani e PCB nelle matrice ambientali ed alimentari del territorio forlivese». In esso sono
riportati i risultati delle indagini condotte dall'Asl per la ricerca di diossine, furani e PCB eseguiti
nel 2011 in allevamenti rurali del forlivese. A questi campioni si aggiungono altri condotte
dall'ISDE. I risultati emersi da questa ulteriore e più nutrita indagine confermano in pieno quanto
già segnalato dall'ARPA territoriale che i livelli previsti già superavano i limiti previsti dal
regolamento 1881 della CEE. In Italia non è previsto un limite di legge per la presenza di diossina
su terreni dedicati alla pastorizia e all'allevamento di animali; da un articolo del Fatto quotidiano
del 27 aprile 2011 la dottoressa Patrizia Gentilini e il dottor Stefano Raccanelli, parlando di
diossine/furani e PCB, dichiarano: «Queste sostanze non sono assunte attraverso l'aria che si
respira, ma attraverso il cibo: infatti le diossine, una volta emesse attraverso i fumi, contaminano
terreno e pascoli ed entrano nella catena alimentare». Per le diossine, infatti, il pericolo non è
rappresentato dall'aria che si respira, ma dagli alimenti contaminati che finiscono nei nostri piatti
ogni giorno. «Si tratta di molecole molto stabili e perciò persistenti, sono insolubili in acqua ma
hanno un'elevata affinità per i grassi», hanno spiegato gli autori dello studio. «Si accumulano negli
organismi viventi in concentrazioni anche molte migliaia di volte superiori rispetto all'ambiente»;
da quanto riportato nell'interrogazione a risposta scritta 4-11106 del 2 marzo 2011 (in corso),
depositata dall'onorevole Ermete Realacci, risulta che presso l'inceneritore di San Vittore del Lazio
e stato rinvenuto materiale radioattivo proveniente dall'impianto di Colfelice, così come affermato
dall'ARPA LAZIO – sezione Frosinone – nella nota n. 0025546 del 9 aprile 2010 indirizzata
all'assessore all'ambiente della provincia di Frosinone. Al fine di verificare la presenza di materiale
radioattivo conferito all'impianto di Colfelice, la regione Lazio, con determinazione dirigenziale n.
C1628 del 15 luglio 2010 ha autorizzato la SAF spa a dotarsi di un contatore geiger. Il materiale
radioattivo all'interno dell'impianto rappresenta un'ulteriore pericolo per la salute dei cittadini, ai
quali non potrà mai essere assicurata la completa neutralizzazione delle sostanze contaminanti –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione ambientale in cui versa l'area del
Cassinate; se si intendano assumere iniziative normative al fine di fissare un limite legale alla
presenza di diossine su terreni destinati alla pastorizia e all'allevamento degli animali;
se i Ministri interrogati, ciascuno secondo le proprie competenze, non ritengano necessario valutare
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se predisporre un piano nazionale di screening territoriale specifico sugli allevamenti di animali
all'aperto nel rispetto del regolamento (CE) n. 1881/2006 del 19 dicembre 2006 con particolare
riferimento alla verifica dei tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. (4-03545)
Interrogazione a risposta in Commissione:
sui contributi relativi alla produzione di energia elettrica versati dal GSE per gli impianti a
biogas e biomassa
TERZONI (M5S)
Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
con la sentenza 93/2013 la Corte Costituzionale ha cassato la legge regionale della regione Marche
n. 3 del 2012 nelle parti in cui escludeva gli impianti biogas e biomassa per la produzione di
energia elettrica da verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (screening) e
conseguentemente, dalla stessa valutazione di impatto ambientale (VIA); successivamente alla
sentenza il TAR Marche ha accolto i ricorsi presentati contro la realizzazione di queste centrali
revocandone le autorizzazioni (sentenze 559/2013; 215/2014); la regione Marche sta cercando di
porre rimedio approvando una nuova legge con la quale si riattivano tali autorizzazioni imponendo
una VIA postuma e realizzando così quello che appare all'interrogante l'ennesimo palese strappo
normativo e costituzionale; le autorizzazioni per questo tipo di centrali rappresentano condizione
vincolante per accedere ai contributi rilasciati dal GSE –:
se il Ministro sia informato sulla possibilità che il GSE, a fronte della revoca delle autorizzazioni di
cui sopra ad opera del TAR, stia continuando a versare i contributi relativi alla produzione di
energia elettrica; se il Ministro, nel caso in cui il versamento non sia stato interrotto, non ritenga
necessario e urgente assumere iniziative affinché siano sospesi tali versamenti e sia recuperato
quanto indebitamente ricevuto dai proprietari degli impianti. (5-02115)
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Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione
sull’individuazione di un ambito unico di distribuzione di gas in provincia di Bologna,
presentata da Fabbri – PD.
Preme evidenziare che – come peraltro già rappresentato dagli uffici del MiSE agli enti locali
coinvolti – i comuni di Bazzano, Castello di Serravalle, Monte Veglio e Savigno ricadono
nell'ambito di Modena 2 per motivi di interconnessione della rete all'impianto di «Valle SamoggiaBazzano-Zocca»; così come il comune di Crespellano, ricade nell'ambito Bologna 2 a motivo
dell'interconnessione con l'impianto «Anzola dell'Emilia». A Seguito della prospettata fusione, in
coerenza con la normativa vigente, il nuovo comune (risultato dalla fusione dei 5 comuni citati)
verrà ad essere ricompreso nell'ambito Modena 2 perché l'impianto prevalente che serve il comune
stesso, si trova in tale ambito, in quanto interconnesso con i comuni di Guiglia (MO), Marano sul
Panaro (MO), Zocca (MO) e Montese (MO). Ai sensi del Decreto Ministeriale del 18 ottobre 2011
recante «Determinazione dei comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale del settore della
distribuzione del gas» si esplicita infatti, tra i criteri che hanno guidato il Ministero dello sviluppo
Economico alla determinazione degli ambiti e dei comuni ad essi appartenenti, il criterio
dell'interconnessione. In particolare i Comuni interconnessi devono appartenere allo stesso ambito,
con la precisazione che, laddove un comune sia servito da più impianti di distribuzione di gas
naturale, si considera che il comune sia servito solo dall'impianto prevalente, cioè dall'impianto che
serve il maggior numero di clienti nel territorio comunale.
Tale è la situazione in cui si troverà il futuro nuovo comune.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
Al
Ministro
dello
sviluppo
economico.
—
Per
sapere
–
premesso
che:
il processo di liberalizzazione per la distribuzione di gas in Italia è iniziato con l'entrata in vigore
del decreto legislativo n. 164 del 2000;il decreto ministeriale del 19 gennaio del 2011 recante la
definizione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale, al comma 1,
dell'articolo 1, reca: «Gli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare e l'affidamento del
servizio di distribuzione del gas sono determinati in numero di 177». Al successivo comma 2 reca
invece: «Con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro
per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale, da comunicare alla Conferenza Unificata, sono
indicati i Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale»;in vista della scadenza (al 31 dicembre
2013) dei contratti di gestione delle reti e di distribuzione del gas, il dipartimento per l'energia e
l'Autorità nazionale per l'energia e il gas stanno facendo la ricognizione per la definizione degli
21
ambiti territoriali ottimali, operazione preliminare alla definizione del perimetro di pertinenza per la
definizione e la pubblicazione dei bandi di gara finalizzati alla selezione del soggetto gestore;
in provincia di Bologna i comuni di Bazzano, Castello di Serravalle, Crespellano, Monteveglio e
Savigno hanno formalmente deliberato ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale n. 24 del 1996 la
fusione dei suddetti comuni che prevede dal 1o gennaio 2014 il commissariamento finalizzato
all'elezioni del comune unico per la primavera del 2014; attualmente 4 comuni su 5 pur essendo in
territorio bolognese sono stati finora inseriti nell'ambito territoriale di Modena per la distribuzione
del gas, mentre quello di Crespellano, il più grande per popolazione, nell'ambito territoriale di
Bologna; la definizione dell'ambito territoriale per la selezione del soggetto gestore gas viene a
sovrapporsi
in
termini
temporali
con
la
nascita
del
nuovo
comune
unico
–:
se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di individuare un
unico ambito territoriale di riferimento in modo da garantire a tutti gli abitanti del nuovo comune, le
stesse modalità di erogazione del servizio nonché condizioni tariffarie e al contempo accogliere la
richiesta degli stessi comuni suddetti di inserimento nell'ambito territoriale di Bologna 2, a
prescindere dalla perimetrazione dell'ambito precedente individuato. (5-01355)
Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione
sull’introduzione di misure a favore della distribuzione del metano per autotrazione nei codici
di rete, presentata da Tiziano Arlotti – PD.
In premessa si rammenta che, come rappresentato nell'interrogazione, lo sviluppo della rete di
distributori di metano dipende anche dalle iniziative e dagli indirizzi che si vogliano fornire circa gli
impulsi da dare allo sviluppo del settore attraverso l'attuazione dell'articolo 17, comma 11, del
decreto-legge n. 1 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge 27 del 24 marzo 2012.
Tale dispositivo stabilisce che «l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, coerentemente con gli
indirizzi del Ministro dello sviluppo economico stabiliti per la diffusione del metano da
autotrazione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto adotta misure
affinché nei codici di rete e di distribuzione di cui al d.lgs. 23 maggio 2000 n. 164, siano previste
modalità per accelerare i tempi di allacciamento dei nuovi impianti di distribuzione di metano per
uso autotrazione alla rete di trasporto o di distribuzione del gas, per ridurre gli stessi oneri di
allacciamento, in particolare per le aree dove tali impianti siano presenti in misura limitata, nonché
per la riduzione delle penali per i superi di capacità impegnata previste per gli stessi impianti». Per
quanto di competenza di questo Ministero, si evidenzia che sono in fase di elaborazione finale gli
22
indirizzi da trasmettere all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico, per la
predisposizione delle misure di modifica ai codici di rete di trasporto e di distribuzione del gas
metano. Tali modifiche dovranno essere volte, come accennato, ad accelerare il processo di
adeguamento delle reti stesse alla distribuzione del metano per autotrazione e più in particolare a
diminuirne tempi e costi di allacciamento, nonché a ridurre le penali per eventuali impegni superiori
della capacità giornaliera prefissata.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
Al
Ministro
dello
sviluppo
economico. —
Per
sapere
–
premesso
che:
dal 2003 in Italia esistono i «codici di rete», insieme di regole e condizioni cui deve sottostare
chiunque
trasporti,
immetta
o
estragga
gas
dalla
rete
nazionale
di
trasporto;
dalla loro introduzione, i codici di rete prevedono, tra l'altro, che chiunque prelevi gas dalla rete
debba indicare contrattualmente quella che tecnicamente viene menzionata come «Capacità
giornaliera», ovvero il volume di gas massimo che l'utente si impegna a non superare giornalmente,
pena l'applicazione di una sanzione che costituisce un onere particolarmente pesante per gli
operatori; l'eventuale adozione da parte dell'utente di un livello di capacità giornaliera molto elevato
(al fine di evitare sforamenti nei prelievi) determina per contro, un costo del gas per ogni metro
cubo sensibilmente maggiore, pertanto il distributore che preleva gas dalla rete prenota una capacità
in linea con il venduto del proprio impianto; molteplici, secondo i dati della Federazione nazionale
distributori e trasportatori di metano (Federmetano), sono le situazioni problematiche che il limite
della capacità giornaliera crea alla attività degli operatori e agli automobilisti che hanno scelto
questo carburante; si viene a creare inoltre una situazione di impari concorrenza determinata dal
rispetto di questo parametro nei confronti degli operatori che vendono carburanti liquidi (benzina
gasolio
GPL),
per
cui
non
esistono
limiti
o
vincoli
alla
vendita;
il decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 24 marzo 2012,
all'articolo 17, comma 11, stabilisce che «l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, coerentemente
con gli indirizzi del Ministro dello sviluppo economico stabiliti per la diffusione del metano per
autotrazione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto adotta misure
affinché nei codici di rete e di distribuzione di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164,
siano previste modalità per accelerare i tempi di allacciamento dei nuovi impianti di distribuzione di
metano per uso autotrazione alla rete di trasporto o di distribuzione di gas, per ridurre gli stessi
oneri di allacciamento, in particolare per le aree dove tali impianti siano presenti in misura limitata,
nonché per la riduzione delle penali per i superi di capacita impegnata previste per gli stessi
23
impianti»; nonostante le citate disposizioni di legge, nessun provvedimento (che darebbe slancio
allo sviluppo della rete di distributori stradali eliminando uno dei tanti lacci che imbrigliano il
desiderio di fare impresa) è stato ancora adottato –:
quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro in relazione a quanto descritto e se siano
stati adottati gli indirizzi di cui in premessa. (5-01530)
Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione
sulle problematiche connesse alla realizzazione di un elettrodotto tra Puglia e Albania,
presentata da Giuseppe L'Abbate – M5S.
Preliminarmente preme evidenziare che la linea di interconnessione (c.d. merchant line) oggetto
dell'interrogazione, è stata autorizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il
Ministero dell'Ambiente e previa intesa della Regione Puglia, ai sensi del decreto-legge n.
239/2003 e s.m.i. Tale norma prevede un procedimento unico per l'autorizzazione alla costruzione
ed esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica e
delle c.d. merchant lines, cioè «le reti elettriche di interconnessione con l'estero con livello di
tensione pari o superiore a 150 kv qualora per esse vi sia un diritto di accesso a titolo prioritario». In
applicazione di tale dettato normativo, la società Enel Produzione S.p.A. ha presentato al Mise
l'istanza per l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio della merchant line tra l'Italia e l'Albania
«Casamassima
–
Porto
Romano»,
fino
al
confine
di
Stato
italiano.
Il procedimento autorizzativo ha visto la partecipazione sia delle amministrazioni territoriali, tra le
quali la Regione Puglia, con l'espressione dell'intesa al progetto con delibera di Giunta Regionale n.
44/2012 e del parere di compatibilità ambientale, sia delle amministrazioni statali, tra le quali il
Ministero della Salute, competente per quanto riguarda la materia delle esposizioni ai campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici CEM, ed il Ministero dell'Ambiente, competente sia in
merito alla posa del cavo in mare ex d.lgs. n. 152/2006, sia in materia di rischi incendi.
Al termine dell'iter autorizzativo è stato emanato il decreto n. 239/EL-155/192 /2013 del 19
settembre 2013 di autorizzazione alla società Enel Produzione S.p.A. delle opere succitate.
Per quanto attiene al quesito posto dagli On.li Interroganti circa i possibili effetti in termini di campi
elettro-magnetici, determinati da un'eventuale realizzazione di una «Fase II» di incremento della
potenza elettrica installata in territorio albanese da 500 a 1000 MW, va segnalato che il citato
decreto prevede, nella fase esecutiva, una serie di adempimenti posti a carico della società
proponente riguardanti i dati dell'esposizione elettromagnetica. Al riguardo, infatti l'articolo 4 del
24
suddetto decreto, comma 8, prescrive che: «Per tutta la durata dell'esercizio delle opere in corrente
alternata la società titolare del decreto autorizzativo dovrà fornire i valori delle correnti agli organi
di controllo previsti dal DPCM 8 luglio 2003, secondo le modalità e la frequenza ivi stabilite. Dei
suddetti adempimenti, nonché del rispetto degli obblighi di cui all'articolo 3, la società titolare del
decreto di autorizzazione deve fornire, alle Amministrazioni autorizzanti, apposita dettagliata
relazione».
Per quanto attiene al rispetto dei parametri europei di riduzione delle emissioni di CO2 a seguito
dell'entrata in funzione della centrale termoelettrica albanese alimentata a carbone, si rappresenta
che, tali problematiche risultano superate dal momento che è infondato l'assunto che la società Enel
stia costruendo in Albania una centrale a carbone.
Al riguardo, infatti, si segnala che la società Enel ha rappresentato che nell'anno 2007 ha avviato un
progetto di sviluppo di un impianto a carbone pulito nella stessa località sopracitata. Tale processo è
stato portato avanti per due anni, interrotto e poi definitivamente abbandonato a novembre del 2011,
quando la società ha formalmente rinunciato allo sviluppo del progetto, ritirandosi dall'accordo
siglato
con
il
Ministero
dell'Economia,
Commercio
ed
Energia
albanese.
In ordine al secondo quesito posto dagli Onorevoli Interroganti, si sottolinea che la merchant
line autorizzata alla società Enel si deve inquadrare tra le infrastrutture previste nel Reg. EU. n.
714/2009 e nel D.lgs. n. 93/2011, recante «Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e
2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e
ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e
di energia elettrica, nonché l'abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE» e che pertanto
non può avere caratteristiche di linea diretta ad un punto di produzione, ma deve essere sempre
considerata, come infrastruttura di collegamento tra la rete elettrica italiana e quella albanese con la
quale, nel rispetto dell'interesse generale, è possibile migliorare il mercato energetico europeo e
trans europeo. Infine, per quanto concerne i temi più precisamente ambientali, si fa rinvio alle
valutazioni positive espresse nel corso del procedimento dalle amministrazioni competenti.
Si chiarisce comunque che sull'opera non è stata richiamata la VAS effettuata sul Piano di Sviluppo
di Terna S.p.A., dal momento che le cd. merchant lines non rientrano tra gli interventi promossi da
Terna S.p.A. e finanziati con risorse pubbliche. La compatibilità della linea con la rete elettrica di
trasmissione è stata valutata mediante un parere di Terna, acquisito nell'iter autorizzativo.
Per completezza di informazione, si rappresenta, infine, che il decreto autorizzativo succitato è stato
oggetto di ricorso giurisdizionale dinnanzi al giudice amministrativo, promosso dal Comune di
Polignano a Mare. Nella camera di consiglio del 18 dicembre presso il TAR Puglia, il giudice
amministrativo ha disposto con ordinanza cautelare la sospensione degli effetti del decreto
25
autorizzativo, al fine di rivedere l'approdo all'interno del territorio comunale di Polignano a Mare.
Tale ordinanza è ad oggi oggetto di impugnazione da parte della società Enel dinnanzi al Consiglio
di Stato.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare. — Per sapere – premesso che: la regione Puglia è dotata di uno strumento programmatico
denominato PEAR (piano energetico ambientale regionale) adottato con delibera G.R. n. 827 dell'8
giugno 2007 e poi aggiornato con delibera G.R. n. 602 del 28 marzo 2012, che contiene indirizzi e
obiettivi strategici in campo energetico in un orizzonte temporale di dieci anni. Il PEAR concorre
pertanto a costituire il quadro di riferimento per i soggetti pubblici e privati che, in tale campo,
assumono iniziative nel territorio della regione Puglia; il PAN (piano di azione nazionale), previsto
dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili fornisce indicazioni dettagliate sulle azioni da
porre in atto per il raggiungimento, entro il 2020, dell'obiettivo vincolante per l'Italia di coprire con
energia prodotta da fonti rinnovabili il 17 per cento dei consumi lordi nazionali;
in data 16 dicembre 2011, la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione relativa alla
«Tabella di marcia per l'energia 2050», la cosiddetta «roadmap 2050», con la quale ha fissato
l'obiettivo della riduzione delle emissioni di carbonio dell'80 per cento da raggiungere, appunto,
entro il 2050; la SEN (strategia energetica nazionale), datata marzo 2013, prevede «il mantenimento
di un ruolo chiave del gas nella transizione energetica, nonostante una riduzione del suo peso
percentuale e in valore assoluto nell'orizzonte dello scenario. Come evidenziato anche nella
Roadmap europea 2050, la sostituzione in Europa del carbone e dell'olio con il gas naturale nel
breve e nel medio termine darà un contributo essenziale alla riduzione delle emissioni»;
in data 9 marzo 2009 la società Enel Produzione spa ha presentato al Ministero dello sviluppo
economico – dipartimento per l'energia istanza ai sensi dell'articolo 1, comma 26, della legge n. 239
del 2004 per l'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio di un collegamento (merchant-line) in
corrente continua tra l'Italia e l'Albania da 500 kV ovvero tra impianti rispettivamente di 1 e 500
megawatt nei paesi di Casamassima (Bari) e Porto Romano (provincia di Durres - Albania), dove
Enel possiede un impianto a carbone in funzione dal prossimo anno. Istanza accolta dal Ministero
che ha emanato il decreto interministeriale n. 239/EL-155/192/2013 del 19 settembre 2013;
la lunghezza complessiva del tracciato marino è di circa 197 chilometri di cui 27, in acque italiane
sino all'approdo sulle coste del comune di Polignano a Mare (Bari) in località S. Vito, in un'area
26
densamente antropizzata tra Cala Ponte e Porto Cavallo, che interesserà aree attualmente destinate
alle attrezzature funzionali e ricettive turistiche, ai sensi dell'articolo 53 del piano regolatore e,
successivamente, zone destinate ad uso agricolo. Il tratto terminale di 300 metri nel comune di
Polignano in contrada Grottole interesserà un territorio classificato come Va (zone a vincolo
archeologico) e Vm (aree di rispetto di beni storico-culturali), per i quali il piano regolatore
generale statuisce la inedificabilità. I suddetti cavi saranno posati in una trincea larga circa 0,7 metri
e ricavata su percorso stradale che interesserà, per circa 31 chilometri, i comuni di Polignano a
Mare, Conversano, Mola di Bari, Turi e Casamassima, con una profondità di circa 1,5 metri. Il
tratto terminale, seppur lungo la strada provinciale, per circa 5 chilometri giunge in prossimità di
un'ampia zona di interesse archeologico in località Purgatorio, nei pressi della Lama Giotta, su cui
insiste un vincolo idrogeologico; la centrale Enel di Porto Romano è costituita da unità della
capacità di 800 megawatt ciascuna: il 60 per cento della produzione sarà esportato in Italia (7,8
TWh) mentre il restante 40 per cento sarà destinato al mercato albanese, sebbene attualmente
l'Albania produca energia al 99 per cento da fonte idrica (energia prodotta 5,15 GWh e potenza
installata idrica 1,86 GW). L'investimento per la costruzione del cavidotto è pari a 2,2 miliardi di
euro; la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione
degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, nota anche come «direttiva Vas»,
estende l'obbligo di valutazione ambientale ai processi di pianificazione e programmazione. La
valutazione di impatto ambientale agisce necessariamente a un livello del processo decisionale che
risente di decisioni già prese in ambito pianificatorio e programmatorio; la direttiva Vas è volta a
intervenire all'origine di tali decisioni, con l'obiettivo di «garantire un elevato livello di protezione
dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione
e dell'adozione di piani e programmi [...] che possono avere effetti significativi sull'ambiente»
(articolo 1); in applicazione dell'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300,
convertito dalla legge n. 17 del 2007, a partire dal 31 luglio 2007 è entrata in vigore la Parte II del
decreto legislativo n. 152 del 2006, avente ad oggetto le «Procedure per la valutazione ambientale
strategica (Vas), per la valutazione d'impatto ambientale (Via) e per l'autorizzazione ambientale
integrata (Ippc)». Con decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2007 di riordino del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata istituita la commissione tecnica di
verifica dell'impatto ambientale cui sono assegnate le competenze in materia di valutazione
ambientale strategica e di valutazione di impatto ambientale, anche per le opere strategiche di cui
alla legge n. 443 del 2001. La Commissione, infatti, accorpa la Commissione per la valutazione
d'impatto ambientale, istituita ai sensi dell'articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, e
successive modificazioni, e la Commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale,
27
istituita ai sensi dell'articolo 184, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Tra le
funzioni della Commissione figurano «le attività tecnico-istruttorie per la valutazione ambientale
strategica dei piani e programmi la cui approvazione compete ad organi dello Stato, in attuazione di
quanto previsto dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.06.2001,
ed esprime il proprio parere motivato per il successivo inoltro al Ministero dell'ambiente e della
tutela
del
territorio
e
del
mare
che
adotta
il
conseguente
provvedimento»;
nel decreto Mise-Matt a quanto consta agli interroganti è assente qualsiasi riferimento alla
procedura di Vas (valutazione ambientale strategica) applicata al piano di sviluppo della rete di
trasmissione (previsto dal terzo pacchetto energia composto da due direttive e tre regolamenti). Il
terzo pacchetto energia introduce il piano di sviluppo decennale di rete che deve essere redatto sulla
base dei piani di sviluppo nazionali e in conformità con gli scenari elaborati da ENTSO-E
(European Network of Transmission System Operators Electricity). Oltre alla stretta correlazione
con i piani nazionali, il piano europeo si propone uno sviluppo coerente con i piani di investimento
regionali. Tutto questo è coerente con la strategia europea comune di passaggio verso una low
carbon economy; il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988 regolamenta
la redazione dei Sia (studio impatto ambientale) e le leggi regionali lo replicano nella sostanza. Nel
Sia prodotto per l'elettrodotto Albania-Italia a giudizio degli interroganti è disatteso l'articolo 5
«Quadro
di
riferimento
ambientale»,
comma
3,
lettera a)«Stima
qualitativamente
e
quantitativamente gli impatti indotti dall'opera sul sistema ambientale, nonché le interazioni degli
impatti con le diverse componenti ed i fattori ambientali, anche in relazione ai rapporti esistenti tra
essi». Inoltre, come da «Allegato I – Componenti e Fattori Ambientali», «Lo studio d'impatto
ambientale di un'opera con riferimento al quadro ambientale dovrà considerare le componenti
naturalistiche ed antropiche interessate, le interazioni tra queste ed il sistema ambientale preso nella
sua globalità», mancano le componenti ed i fattori ambientali «f) salute pubblica: come individui e
comunità», «h) radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: considerati in rapporto all'ambiente sia
naturale che umano» con «la descrizione dei livelli medi e massimi di radiazioni presenti
nell'ambiente interessato, per cause naturali ed antropiche, prima dell'intervento» e «la definizione e
caratterizzazione delle sorgenti e dei livelli di emissioni di radiazioni prevedibili in conseguenza
dell'intervento»; sia la VIA (valutazione d'impatto ambientale) sia il decreto attuativo del Ministero
dello sviluppo economico autorizzano un impianto relativo ad un progetto di potenza pari a 500
megawatt mentre già adesso, in fase documentale, è prevista una successiva «Fase II» per arrivare a
complessivi 1.000 megawatt –:
28
se i Ministri interrogati intendano far in modo che vengano completate le procedure e le analisi,
soprattutto dal punto di vista elettromagnetico, come riportato in premessa, a maggior ragione in
vista di una «Fase II» che porterà l'elettrodotto a 1.000 megawatt;
se i Ministri interrogati ritengano utilmente strategico il progetto in questione, soprattutto in
relazione ai dubbi emersi sul rispetto delle direttive nazionali ed europee, e come questo debba poi
interfacciarsi con la rete di distribuzione attualmente esistente, dato che la regione Puglia dispone
già di una sovrapproduzione di energia da fonti rinnovabili che risulta sprecata a causa di mancanza
di accumulatori efficaci e di una rete sottostante non efficiente;
se i Ministri interrogati ritengano che l'approvvigionamento da centrale a carbone non metta in
difficoltà il rispetto dei parametri normativi europei di riduzione dell'emissione di CO2. (5-01799)
Interrogazione a risposta in Commissione
sugli interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e
infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale (SIN) di Trieste
PRODANI (M5S)
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo
economico. — Per sapere – premesso che: il 25 maggio 2012 è stato sottoscritto a Trieste l'accordo
di programma fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione
autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, i comuni di Muggia e Trieste, EZIT (l'Ente
zona industriale di Trieste) e l'autorità portuale di Trieste per gli «Interventi di riqualificazione
ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di
interesse nazionale (SIN) di Trieste»; l'obiettivo dell'accordo è quello di facilitare i soggetti
responsabili e i soggetti interessati a operare la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica
dei suoli, delle falde, delle acque superficiali e delle aree marino-costiere del SIN, offrendo la
possibilità di adottare procedure celeri con tempi certi di risposta, tenendo conto del diverso impatto
esercitato sulle aree di rispettiva competenza; la copertura delle spese previste, contenuta
nell'articolo 11 dell'accordo, prevede il ricorso a risorse pubbliche e private. Le prime sono
quantificate in 13.432.000 euro e sono suddivise tra il «Programma nazionale di bonifica e ripristino
ambientale» (10.832.000 euro) assegnate alla regione Friuli Venezia Giulia e il decreto d'impegno
protocollo 8717/QdV/DI/G/SP del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
(2.600.000 euro), mentre le seconde devono essere quantificate in fase di approvazione del piano di
caratterizzazione generale unitario; l'articolo 12 del testo stabilisce che il soggetto responsabile
29
dell'accordo è il direttore generale della direzione tutela delle risorse idriche e del territorio del
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o un suo delegato;
ad oggi le procedure sembrano ferme alla sola caratterizzazione di alcune parti del SIN, peraltro su
superfici di territorio ridotte, e quindi non sarebbe stata avviata nessuna opera di bonifica.
Quest'inerzia delle autorità preposte è stata oggetto di un'interrogazione, la n. 4-00776, per la quale
non è ancora pervenuta la risposta scritta del Governo; il 20 novembre 2013 sul quotidiano Il
Piccolo di Trieste è stato pubblicato l'articolo «Bonifiche, ok le risorse all'Ezit» in cui Confindustria
Trieste ha espresso soddisfazione per l'atto amministrativo regionale di affidamento che mette a
disposizione dell'EZIT 7,3 milioni di euro per completare le caratterizzazioni necessarie alla
valutazione dell'effettivo stato di inquinamento dell'area e all'avvio dei successivi interventi di
messa in sicurezza e di bonifica; il 30 gennaio 2014 le istituzioni nazionali e locali competenti
hanno sottoscritto a Roma, presso la sede del Ministero dello sviluppo economico, l'accordo quadro
per la realizzazione degli interventi a seguito del riconoscimento dell'area industriale di Trieste
quale «area di crisi industriale complessa». In quest'occasione si è manifestata solo la defezione
dell'Autorità portuale di Trieste che non ha sottoscritto il testo chiedendo alcuni chiarimenti in
relazione
a
possibili
conflitti
di
competenze
sulle
aree
demaniali
marittime;
la grave situazione industriale e occupazionale in cui versa la Ferriera di Servola – stabilimento del
gruppo Lucchini dedito principalmente alla produzione di ghisa destinata ai settori metalmeccanico
e siderurgico – ha spinto il Governo a includere Trieste tra le aree di crisi industriale complessa con
il decreto legge n. 43 del 2013 sulle emergenze ambientali, superando la procedura di
individuazione fissata dall'articolo 27 del decreto legge «sulla crescita» (n. 83 del 2012), resa
operativa
con
il
decreto
attuativo
del
Mise
dal
31
gennaio
2013;
l'accordo del 30 gennaio 2014 è stato sottoscritto dopo l'entrata in vigore del decreto legge n. 145
del 2013, noto come «Destinazione Italia», che prevede la nomina a commissario straordinario del
presidente della regione Debora Serracchiani, per l'esecuzione del documento all'epoca ancora non
sottoscritto; il testo, richiamando in premessa l'accordo sulle bonifiche del 2012, riconosce come
delimitazione geografica dell'area di crisi industriale complessa quella del perimetro dell'EZIT
insieme alle aree demaniali in concessione alla società Servola spa. In pratica l'area coincide con
quella del SIN; gli articoli 6, 7 e 8 del documento fanno un chiaro riferimento agli interventi di
bonifica e messa in sicurezza del sito della Ferriera di Servola; l'articolo 6 riguarda il progetto
integrato di messa in sicurezza e reindustrializzazione del sito della Ferriera, e stabilisce
chiaramente che gli interventi relativi, definiti nell'accordo, sono a carico dell'aggiudicatario della
procedura di evidenza pubblica necessaria per il passaggio di proprietà; l'articolo 7 segue la stessa
linea del precedente per definire il programma degli interventi di messa in sicurezza a carico del
30
soggetto interessato non responsabile della contaminazione per l'immediata fruizione dell'area;
l'articolo 8, poi, al comma 3, prevede il cofinanziamento per la cifra complessiva di 41 milioni e
500 mila euro a valere del fondo per lo sviluppo e la coesione; a parte il richiamo nella premessa,
non risulta in nessuna parte del testo il legame con l'accordo di programma del 2012 relativo alla
bonifica del SIN di Trieste; questa confusione, legata alla nomina del commissario straordinario, si
aggiunge a una serie di decisioni ed atti normativi che, invece di semplificare procedure e contenuti,
sembrano rendere ancora più confusionaria la gestione delle distinte emergenze – industriale e
ambientale – che coinvolgono la Ferriera sovrapponendosi, incrociandosi e legandosi tra loro
indissolubilmente –:
se sia ancora valido l'accordo di programma sottoscritto dalle istituzioni nazionali e locali il 25
maggio 2012 per la bonifica del SIN di Trieste;
se siano stati avviati e, nel caso, a che punto siano i lavori per la bonifica del sito;
come siano stati impiegati i finanziamenti pubblici previsti, stimati in circa 13 milioni e mezzo di
euro. (5-02142)
Interrogazione a risposta scritta:
sul superamento del Sistri (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti)
REALACCI (PD)
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo
economico. — Per sapere – premesso che: come più volte ricordato, secondo i dati dell'ultimo
Rapporto ecomafie di Legambiente, il giro illegale di rifiuti in Italia è di almeno 4,1 miliardi di euro
l'anno di cui 3,1 derivano da rifiuti speciali e un miliardo dagli appalti della gestione dei rifiuti
solidi urbani nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa; le inchieste per traffico
organizzato di rifiuti ex articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono ad oggi oltre 253,
con 1.367 ordinanze di custodia cautelari, oltre 4.000 denunce e 698 aziende coinvolte;
il SISTRI, ovvero Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, nasce con l'idea di attuare una
semplificazione del processo di gestione e tracciabilità dei rifiuti (ospedalieri, urbani, speciali e
pericolosi). Il SISTRI dovrebbe avere il duplice obiettivo di semplificare l'iter di certificazione e
tracciabilità dei rifiuti e di rendere trasparente il ciclo di distruzione dei rifiuti abbattendo i costi
sostenuti dalle imprese del settore, ma nella realtà – tra rinvii, stop e modifiche alla normativa il
SISTRI non hai mai centrato le aspettative; il predetto sistema si basa sull'utilizzo di due
apparecchiature elettroniche: una cosiddetta black box, ovvero un transponder, da montare sui
31
mezzi adibiti al trasporto dei rifiuti per tracciarne i movimenti e un token usb da 4 gigabyte
equipaggiata con un software per autenticazione forte e firma elettronica che viaggia assieme ai
rifiuti, su cui sono salvati tutti i dati ad essi relativi; sono obbligati ad aderire a tale sistema di
tracciabilità: tutti i produttori iniziali di rifiuti pericolosi; tutti i produttori iniziali di rifiuti non
pericolosi derivanti da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali, da trattamenti effettuati
sulle acque, da trattamento di rifiuti e costituiti da fanghi da abbattimento delle emissioni in
atmosfera con più di 10 dipendenti; tutti i trasportatori di rifiuti speciali prodotti da terzi; i
trasportatori di propri rifiuti speciali pericolosi; i gestori di impianti di recupero e smaltimento, gli
intermediari e i commercianti di rifiuti senza detenzione degli stessi; i comuni e gli enti e le imprese
che gestiscono i rifiuti urbani nel territorio della regione Campania; l'avvio del sopraddetto SISTRI
è stato infatti più volte rinviato e poi sospeso fino al 30 giugno 2013 per motivi di ordine tecnico,
legale e gestionale, per poi andare in vigore dal 1o ottobre 2013 solo per chi tratta rifiuti pericolosi.
Per i produttori di rifiuti, comuni e imprese campane la partenza prevista è il 3 marzo 2014. Per
questa serie di piccoli artigiani il SISTRI viaggerà in parallelo ai classici adempimenti cartacei
costituiti da registri di carico/scarico e formulario di trasporto rifiuti fino al 1° agosto 2014, dopo di
che il tracciamento telematico diventerà esclusivo. Mentre per il via al terzo scaglione, costituito da
operatori del trasporto intermodale e dagli altri gestori di rifiuti urbani bisognerà attendere
l'adozione degli specifici decreti ministeriali; l'obbligo di SISTRI varrà perciò anche per diverse
categorie di piccoli artigiani al pari degli altri produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi già
obbligati ad utilizzare il sistema informatico per la tracciabilità dei rifiuti pericolosi. Si tratta di
carrozzieri, elettrauto, parrucchieri, orafi se utilizzano acidi, tintorie, lavanderie, impiantisti, fabbri e
falegnami che effettuano anche verniciature, odontotecnici, metalmeccanici, autofficine, tipografie,
estetiste; i ripetuti appelli da parte delle associazioni di rappresentanza imprenditoriale volti a
modificare la necessità di dotarsi di apparecchiature elettroniche – sul cui numero si basa il
corrispettivo riconosciuto al concessionario dal contratto di servizio – non sono stati adeguatamente
considerati, nonostante la fattibilità tecnica di semplici modifiche di sistema ad esempio
collegamento in remoto, uso di password e altro;
le associazioni di categorie imprenditoriali
interessate lamentano il fatto che dalla penultima data di entrata in operatività (quindi dal giugno
2012 al marzo 2014) nulla è stato fatto in termini di diffusione delle apparecchiature, riallineamento
del funzionamento delle stesse, approntamento della formazione degli operatori. Il Sistri presenta
pertanto gli stessi deficit strutturali e conoscitivi che suscitarono tanto allarme nel maggio 2011
quando, con il famoso click day si appalesò l'impreparazione dell'apparato di assistenza e
l'approssimazione dell'intero sistema; dal 1° ottobre 2013 l'entrata in vigore del Sistri ha comportato
pesanti rallentamenti nel lavoro di gestori e trasportatori, nella peggiore, un vero e proprio blocco
32
delle attività. Tale situazione, oltre a ripercuotersi sull'attività delle imprese, rischia soprattutto di
favorire la gestione illegale dei rifiuti, come dimostra il calo dei quantitativi di rifiuti raccolti già
riscontrato a seguito dell'operatività di ottobre: nell'ultimo trimestre del 2013 i dati sulla raccolta dei
rifiuti mostrano un calo di circa il 20/25 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
le rilevazioni effettuate nella filiera dalle maggiori associazioni di categoria, dopo la partenza del
SISTRI, il 1o ottobre indicano che i tempi per tracciare i rifiuti sono aumentati, rispetto al sistema
cartaceo,
del
1500
per
cento
cui
corrispondono
costi
20
volte
superiori;
nella risposta dello scorso 17 settembre 2013 all'interrogazione n. 5/00913 presentata
dall'interrogante il Ministro dell'Ambiente Andrea Orlando precisava: «In particolare, attraverso una
normativa secondaria, verranno individuate ulteriori semplificazioni tese a razionalizzare il sistema
di tracciabilità per la gestione e la movimentazione dei rifiuti in modo da renderlo semplice,
efficace e trasparente e senza sovraccarichi organizzativi da parte delle aziende, anche al fine di
eliminare gli strumenti più contestati dagli utenti, vale a dire la cosiddetta black box e la chiavetta
USB. La semplificazione si pone anche in una prospettiva di progressiva riduzione dei costi a carico
degli utenti, e di aumento dei servizi ad essi offerti, anche mediante la possibilità che la piattaforma
informatica del Sistri confluisca in un sistema informativo più ampio a servizio della pubblica
amministrazione. Nella consapevolezza che un sistema informatico non è mai perfetto ab initio, ma
senz'altro perfettibile alla luce della sua applicazione pratica, non solo è stata prevista una prima
semplificazione in fase transitoria, ma dopo questa sono previste semplificazioni periodiche, previa
consultazione degli utenti, al fine di adeguare il sistema all'evoluzione tecnologica e alle esigenze
via via manifestate dagli utenti, con una logica di work in progress (...) Una particolare attenzione è
stata posta al sistema sanzionatorio in fase di prima applicazione del Sistri, al fine di attenuare gli
effetti derivanti dall'operatività di un nuovo sistema da parte degli operatori, prevedendo una soglia
di tre violazioni consentite oltre la quale verrà applicata la sanzione stessa. Alla luce delle
osservazioni già pervenute da parte delle associazioni, vi è la disponibilità del Ministro
dell'ambiente a ampliare ulteriormente, in sede di emendamenti al decreto-legge, la soglia di non
punibilità, purché si tratti di illeciti colposi, mentre non possono consentirsi deroghe alla punibilità
di illeciti dolosi (quale ad esempio la consapevole e voluta non iscrizione al Sistema)»;
la motivazione con la quale i Ministri interrogati continuano a giustificare l'ineluttabilità del Sistri è
quella del danno erariale per violazione del contratto con Selex Spa, che si determinerebbe qualora
il Sistri venisse superato a favore di un sistema più agile per le imprese operatrici. Tale condizione
non soleva le importanti responsabilità del decisore pubblico sui costi e le difficoltà del sistema
verso le imprese obbligate all'adesione al Sistri –:
33
se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano valutare una rapida iniziativa
normativa per il superamento del Sistri sostituendolo con nuovi criteri da affidare poi a normativa
secondaria e pur mantenendo, nel frattempo, il sistema esistente, se non ritengano utile intervenire
da subito affinché si garantisca maggiore efficacia del Sistri, data anche l'urgenza di dare una
soluzione
efficace
al
problema
del
contrasto
allo
smaltimento
illegale
di
rifiuti;
se non ritengano utile censire e integrare i vari sistemi già esistenti al livello regionale;
se essi intendano poi adottare per il nuovo sistema di tracciabilità informatizzata gli indirizzi
indicati unanimemente dalle 31 organizzazioni delle imprese interessate e se non sia altresì utile che
nella progettazione, sperimentazione e miglioramento del nuovo sistema siano coinvolte le
organizzazioni delle imprese e ugualmente che si prevedano misure di semplificazione, per
determinate categorie, sulla base della individuazione di esigenze obiettive di tutela ambientale;
se i Ministri interrogati non ritengano più utile che il nuovo sistema di tracciabilità entri
completamente in funzione solo dopo essere stato efficacemente collaudato. (4-03564)
Interrogazione a risposta scritta:
sulle trivellazioni e sulla realizzazione di un pozzo e di un oleodotto nel Vallo di Diano, in
Lucania, da parte dei Eni
CIRIELLI (FDI)
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo
economico. — Per sapere – premesso che:
è di pochi giorni fa la notizia che la compagnia petrolifera Eni spa avrebbe avviato la procedura
autorizzativa per iniziare le trivellazioni nel Vallo di Diano, nel cuore dell'Appennino lucano, un
territorio ricco di acqua e di risorse paesaggistiche;
in particolare, il progetto presentato dalla Eni prevede la realizzazione di un pozzo «Pergola 1»,
situato nel comune di Marsico Nuovo (Potenza) e un oleodotto di circa nove chilometri che
interesserebbe un'area in cui sono presenti le più importanti sorgenti perenni che portano acqua in
Campania, nonché in prossimità dell'area Sic Monti della Maddalena e sulla faglia sismica
«Pergola-Melandro»;
si tratta dell'ennesima caccia al petrolio che sta fortemente minacciando questo territorio, posto che
già due anni fa i sindaci dei comuni coinvolti si erano schierati contro la Shell che aveva presentato
una richiesta in regione Campania per effettuare studi e carotaggi nella zona Monte Cavallo e meno
di un anno fa, nell'aprile 2013, erano tornati ad occuparsi della vicenda per impedire alla Apennine
34
Energy di ottenere il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma nel territorio
del Vallo di Diano e nella vicina regione Basilicata; cambia lo scenario ma non le preoccupazioni:
l'area interessata dalla procedura, infatti, oltre a far parte del parco nazionale del Cilento e del Vallo
di Diano, si caratterizza anche per la diffusa presenza di siti di interesse comunitario e zone di
protezione
speciale
(aree
SIC
e
ZPS),
nonché
di
riconoscimenti
UNESCO;
le politiche comunitarie, nazionali e regionali in detto territorio sono state sempre orientate alla
valorizzazione del turismo e delle risorse naturali, culturali, agricole ed artigianali, a sostegno,
quindi, del cosiddetto sviluppo eco-compatibile; nonostante le scelte fatte da questa terra vadano,
pertanto, nella direzione opposta alle estrazioni e allo sfruttamento delle risorse ambientali, l'incubo
delle trivellazioni petrolifere, che due anni fa, come nel 2013, sembrava essere stato scongiurato, è
tornato purtroppo a incombere nell'area tra Campania e Basilicata, ancora una volta oggetto di
interessi privati legati alle attività di estrazione di idrocarburi; anche in questa occasione le
amministrazioni degli otto comuni coinvolti (Atena Lucana, Montesano Sulla Marcellana, Padula,
Polla, Sala Consilina, Sant'Arsenio e Teggiano) si sono schierate con fermezza contro la richiesta di
autorizzazione avanzata da Eni; particolare preoccupazione desta la vicenda, posto che si tratta di
una zona ad alto rischio sismico, idrogeologico e che coinvolge molti comuni al confine con il
parco naturale del Cilento; ad allarmare i cittadini e le amministrazioni locali sarebbe, in particolar
modo, il rischio che la regione, in grave difficoltà economica, possa cedere alla richiesta della
compagnia petrolifera e concedere il permesso alle esplorazioni; sul punto è intervenuto persino il
Wall Street Journal secondo il quale «il governo italiano, anche con l'intento di superare la difficile
situazione economica, sta cercando di facilitare in Basilicata la strada alle trivellazioni delle
principali compagnie petrolifere. Offrendo alle amministrazioni regionali e locali maggiori
guadagni, il governo spera di superare l'opposizione che ha ostacolato le operazioni di trivellazione.
L'obiettivo è di duplicare la produzione annuale di petrolio del Paese e tagliare i costi di
importazione di energia di circa un quarto entro il 2020»; a parere dell'interrogante i rischi
ambientali e le conseguenze per la popolazione sarebbero troppo elevati per poter consentire
ricerche petrolifere e non ci sarebbe, peraltro, alcun guadagno reale, né immediato, né futuro per
l'area che, al contrario, vedrebbe aumentare i volumi di traffico dovuti all'attraversamento di mezzi
pesanti e crescere l'inquinamento nel suo complesso, con notevoli ripercussioni sullo sviluppo
ecocompatibile avviato; appare oltremodo necessario scongiurare questo ennesimo scempio che
potrà segnare la definitiva distruzione del territorio interessato e, in particolare, del Vallo
di Diano –:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se siano già state concesse le
autorizzazioni alla Eni per il progetto e, in caso negativo, se non intendano sospendere ogni
35
procedura in essere convocando urgentemente un tavolo tecnico a cui siano invitati tutti i soggetti
coinvolti nella vicenda, tenuto conto altresì della volontà chiaramente e fortemente espressa dai
rappresentanti istituzionali del Vallo di Diano contro qualsiasi ipotesi di ricerca petrolifera, a
salvaguardia dell'interesse primario e collettivo di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini.
(4-03567)
Interrogazione a risposta scritta:
sul sistema delle agevolazioni per le imprese a grande consumo di energia, con particolare
riferimento alla deliberazione in materia, dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas
TONINELLI (M5S)
Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere –
premesso che: in attuazione del comma 1 dell'articolo 39 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (Misure urgenti per la crescita del
Paese) è stato emanato il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il
Ministro dello sviluppo economico, 5 aprile 2013; il succitato decreto all'articolo 2 definisce le
imprese a forte consumo di energia quelle «per le quali, nell'annualità di riferimento, si sono
verificate entrambe le seguenti condizioni: a) abbiano utilizzato, per lo svolgimento della propria
attività, almeno 2,4 gigawattora di energia elettrica oppure almeno 2,4 gigawattora di energia
diversa dall'elettrica; b) il rapporto tra il costo effettivo del quantitativo complessivo dell'energia
utilizzata per lo svolgimento della propria attività, (...), e il valore del fatturato, (...), non sia risultato
inferiore al 3 per cento»; la deliberazione 467/2013/R/Com dell'Autorità per l'energia elettrica ed il
gas (Prima applicazione delle disposizioni in materia di agevolazioni relative agli oneri generali di
sistema per le imprese a forte consumo di energia elettrica) prevede che: «gli oneri per il
riconoscimento delle agevolazioni (...) siano esplicitati in una nuova componente di tipo parafiscale
AE, nell'ambito della rideterminazione degli oneri generali di cui al decreto legge 83/12, a carico di
tutte le utenze non beneficiarie delle medesime agevolazioni»; ne consegue che il costo delle
agevolazioni alle imprese cosiddette energivore verrà ripartito sotto forma di una componente
tariffaria in bolletta tra gli utenti non agevolati, e quindi a pagare saranno le famiglie e le piccolemedie imprese che non rientrano della definizione di imprese a grande consumo di energia –:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
considerata la forte crisi economica in atto, quali iniziative, anche normative, i Ministri intendano
adottare al fine di impedire che il sistema per le agevolazioni per le imprese a grande consumo di
energia penalizzi le piccole e medie imprese e famiglie. (4-03552)
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Interrogazione a risposta scritta:
sulla bonifica dell'area dell'ex-Isochimica in Pianodardine di Avellino
D'AGOSTINO (SCpI)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per
sapere – premesso che: già il 6 giugno 2013 in Commissione VIII l'interrogante ha portato
all'attenzione del Ministro interrogato la gravissima situazione in cui versa l'area dell'ex-Isochimica
in Pianodardine di Avellino, in particolare: il 3 giugno 2013, gli agenti del Corpo forestale dello
Stato di Avellino hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo dello stabilimento e
dell'area dove era allocata l'azienda «Isochimica spa», sita in Pianodardine – Zona A.S.I. di
Avellino, disposto in via d'urgenza dalla procura della Repubblica ai sensi dell'articolo 321 comma
3-bis del codice di procedura penale; la suindicata azienda era addetta alla scoibentazione di
carrozze e vagoni ferroviari; secondo quanto reso noto dalla procura della Repubblica il
provvedimento di sequestro è stato adottato d'urgenza, in quanto dalle ultime verifiche disposte gli
inquirenti «hanno accertato che lo stato attuale di “ammaloramento” degli oltre 500 cubi di
cemento-amianto friabile (su un totale di circa 2.767 tonnellate – 2.276.000 chilogrammi – di tale
materiale lavorato) ivi illecitamente smaltiti, dal 1983 al 1988, nel corso dell'attività industriale
dell'Isochimica spa è tale da imporre per essi una valutazione di generalizzata inidoneità a trattenere
le fibre di amianto, la cui dispersione nell'area aziendale va ad integrare quell'evento grave e
complesso che, provocando effetti nocivi di natura diffusiva, espone a concreto pericolo,
collettivamente, l'incolumità di un numero indeterminato di persone»; nel suindicato provvedimento
di sequestro sono stati contestati a 24 indagati, a vario titolo, i reati di cui agli articoli 110 e 434,
comma 1 e 2 del codice penale (concorso in disastro ambientale doloso), di cui agli articoli 113, 434
in relazione all'articolo 449, comma 1 del codice penale (cooperazione colposa in disastro
ambientale)
e
di
cui
all'articolo
328
del
codice
penale;
secondo quanto comunicato dalla procura della Repubblica sono in corso ulteriori indagini nei
confronti di persone allo stato non identificate, ai fini dell'accertamento di eventuali, ulteriori
coinvolgimenti e responsabilità nella mancata attività di bonifica e messa in sicurezza dello
smaltimento e dell'area; l'attività di indagine prosegue anche in ordine ai reati di cui agli articoli 589
del codice penale e 590 del codice penale relativi ai decessi di vari dipendenti della «Isochimica spa
ed alle lesioni in danno di altri lavoratori, nonché in ordine alla fattispecie di reato ex articolo 347
del codice penale (rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro);
i primi risvolti dell'inchiesta giudiziaria sulla vicenda Isochimica – in particolare l'affermazione
della procura della Repubblica secondo cui la mancata bonifica dell'area dello stabilimento espone a
37
concreto pericolo un numero indeterminato di cittadini – impone a tutti, ciascuno per il proprio
ruolo istituzionale e politico, di mettere in essere con la massima urgenza tutte le iniziative
necessarie per tutelare la popolazione di Avellino residente nella zona di Pianodardine;
mentre la giustizia fa il proprio corso per l'accertamento della verità, naturalmente nella doverosa
cornice di garantismo verso le persone a vario titolo indagate, le istituzioni devono collaborare
affinché vengano immediatamente rimossi gli ostacoli di ogni ordine e grado che hanno sin qui
impedito o rallentato l’iter di bonifica dell'area Isochimica; la vicenda Eternit, che pure ha destato il
giusto clamore in tutto il Paese, secondo gli esperti non è più grave di quella dell'Isochimica, per la
quale si sono già registrati 13 decessi e accertati oltre 150 casi di patologie molto gravi –:
a distanza di oltre sette mesi alcuna concreta iniziativa è stata assunta per garantire la bonifica
dell'area in questione in tempi rapidissimi, così come raccomandato dalla stessa procura di
Avellino; di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali
iniziative, per quanto di competenza, si intendano adottare per contribuire a risolvere la gravissima
situazione che minaccia la salute dei cittadini dell'area. (4-03595)
Interrogazione a risposta in Commissione:
sulla realizzazione di interventi infrastrutturali destinati all'area portuale di Piombino
VELO e MANCIULLI (PD)
— Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che: il decreto legge 26
aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71 (Disposizioni
urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in
favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la
realizzazione degli interventi per Expo 2015), prevede, al comma 5 dell'articolo 1, che «Al fine di
consentire la realizzazione degli interventi infrastrutturali destinati all'area portuale di Piombino, il
CIPE, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, delibera in ordine al progetto definitivo relativo al lotto n. 7 – tratto tra l'intersezione della
strada statale 398 fino allo svincolo di Gagno – compreso nella bretella di collegamento al porto di
Piombino, parte integrante dell'asse autostradale Cecina-Civitavecchia, approvato con delibera
CIPE n. 85/2012 del 3 agosto 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27 dicembre
2012»; ad oggi, a 10 mesi dall'approvazione del decreto, tale opera non risulta essere stata ancora
esaminata dal CIPE; il ritardo nell'approvazione del progetto sta provocando pesanti ripercussioni
che minano il tentativo di rilancio dell'area portuale e industriale di Piombino, dichiarata, in base al
38
decreto sopra citato, area di crisi industriale complessa –: quali siano i motivi del ritardo nell'esame
da parte del Cipe del progetto definitivo relativo al lotto n. 7 – tratto tra l'intersezione della strada
statale 398 fino allo svincolo di Gagno – compreso nella bretella di collegamento al porto di
Piombino, parte integrante dell'asse autostradale Cecina-Civitavecchia;
se il Ministro interrogato non ritenga necessario e urgente assumere un'iniziativa per far sì che il
progetto sia inserito all'ordine del giorno della prossima seduta del Cipe. (5-02154)
Interrogazione a risposta scritta:
sul settore dell'autotrasporto
ROSATO (PD)
— Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il settore dell'autotrasporto — che impiega in tutta Europa direttamente circa 10 milioni di persone
(costituendo il 4,5 per cento dell'occupazione totale e generando il 4,6 per cento del prodotto interno
lordo europeo) — si pone come un ambito vitale per l'economia del nostro Paese, radicato
soprattutto nel Nordest; questo specifico mercato è stato colpito da una durissima crisi a partire dal
2008, dovuta all'andamento dell'economia globale, che è stata ancora più acuta a causa
dell'instaurarsi da parte di alcune aziende straniere europee che effettuano operazioni di trasporto
merci sul territorio nazionale in regime di cabotaggio, molteplici forme di concorrenza sleale basate
sul mancato rispetto di alcune norme italiane; tra le pratiche utilizzate da queste società vi sono
anche palesi superamenti dell'orario settimanale di lavoro, turni irregolari di cabotaggio
internazionale, distaccamenti «fasulli» in Italia di lavoratori da parte di società con sede all'estero,
ed altre rinunce dei diritti dei lavoratori; casi di peggioramento delle condizioni di lavoro ed altre
simili violazioni sono oggetto di numerose denunce anche da parte di alcuni documenti sindacali, e
sono all'attenzione del Governo che a novembre 2013 ha sottoscritto un protocollo d'intesa con le
associazioni di categoria dell'autotrasporto per rafforzare le azioni di contrasto alle pratiche sopra
esposte e per prevedere un maggiore coinvolgimento di tutte le autorità per «definire possibili
ulteriori controlli di filiera»; è superfluo ricordare che questo sfruttamento e dequalificazione dei
conducenti, e più in generale, le condizioni di lavoro, se non ottimali, possono essere causa diretta
di gravi incidenti stradali, che accadono sempre più spesso, coinvolgendo mezzi stranieri non in
regola con le minime norme di sicurezza e mettendo a rischio anche la sicurezza dei cittadini che
transitano su strade e autostrade; sono corrette le aperture dell'Unione europea indirizzate alla
liberalizzazione del settore dei trasporti, a patto che evitino la creazione di fenomeni di dumping
39
sociale basato sulle eterogenee condizioni che esistono all'interno dell'Unione e sui livelli differenti
di costi e diritti; a parere dell'interrogante, paiono condivisibili le preoccupazioni sollevate sul
futuro dell'autotrasporto italiano, e va rinnovato l'invito a porre in essere tutte le azioni di contrasto
alle condotte di squilibrio contrattuale –: quali iniziative il Governo intenda mettere in campo,
anche in sede europea, per evitare che la competizione nel mercato dell'autotrasporto si scarichi
sulle condizioni di lavoro e sulle retribuzioni dei lavoratori, specialmente dopo l'eventuale
liberalizzazione dei settore; quali iniziative di competenza il Governo abbia posto in essere o
intenda promuovere sul terreno normativo ed amministrativo per fronteggiare il rischio di
concorrenza sleale da parte degli autotrasportatori stranieri europei che effettuano operazioni di
trasporto
merci
sul
territorio
nazionale
in
regime
di
cabotaggio;
come il Governo intenda definire possibili ulteriori controlli di filiera attraverso l'annunciata azione
congiunta di tutte le autorità coinvolte in dette azioni di contrasto all'elusione delle normative
italiane. (4-03587)
40
SENATO
Interrogazione a risposta scritta:
sui contratti di fornitura di energia elettrica e sul procedimento avviato dall'AEEG nei
confronti di Eni
GIROTTO e CASTALDI (M5S)
Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:
con il decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, viene data "Attuazione delle direttive 2009/72/CE,
2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del
gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale
industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e
2003/55/CE"; gli allegati I delle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE, nell'elencare le misure sulla
tutela dei consumatori rispettivamente del settore elettrico e del settore gas naturale, prevedono che
i clienti siano adeguatamente informati del consumo effettivo di energia elettrica e di gas naturale e
dei relativi costi, con frequenza tale da consentire loro di regolare il proprio consumo e che tali
informazioni siano fornite ad intervalli adeguati che tengano conto della capacità del contatore del
cliente; per la fornitura di gas di clienti serviti alle condizioni contrattuali regolate dall'Autorità per
l'energia elettrica e il gas, già l'articolo 5 della deliberazione n. 229/01 prevede che la fatturazione
dei consumi debba avvenire con una frequenza che varia secondo i consumi annui del cliente finale
ed in particolare, nella formulazione introdotta dalla deliberazione ARG/gas n. 69/09, secondo una
periodicità almeno: a) quadrimestrale, per i clienti con consumo annuo fino a 500 Smc (standard
metro cubo); b) trimestrale, per i clienti con consumo annuo compresi tra 501 e 5.000 Smc; c)
mensile per tutti i clienti titolari il cui consumo annuo è superiore a 5.000 Smc, ad esclusione dei
mesi in cui i consumi storici sono inferiori del 90 per cento ai consumi medi mensili;
ai sensi dell'art. 11 della deliberazione ARG/com n. 104/10 i contratti di fornitura di energia
elettrica e di gas predisposti dagli esercenti la vendita contengono, tra gli altri elementi, almeno la
periodicità di emissione delle fatture (comma 1, lett. g, punto i); dall'analisi dei dati trasmessi dallo
Sportello per il consumatore all'Autorità ai sensi dell'articolo 7 della deliberazione 548/2012/E/com
risulta che, almeno nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2012 e il 30 settembre 2013: la mancata
fatturazione da parte di ENI ai suoi clienti ha costituito oggetto di 1.785 reclami con riferimento alle
forniture di gas e di 1.305 reclami con riferimento alle forniture di energia elettrica e dual fuel; da
successive comunicazioni tra ENI e l'Autorità è emerso che, nel periodo compreso tra il 1° aprile
41
2011 e il 1° gennaio 2013, ben 82.959 clienti ENI del settore elettrico, gas naturale e dual fuel che
hanno cambiato fornitore in quel periodo, non hanno ricevuto la fattura di chiusura; la mancata
fatturazione di chiusura riguarda, quindi, un numero considerevole dei casi di switch out
complessivamente gestiti; nell'istanza di partecipazione e contestuale memoria procedimentale,
depositata da "Altroconsumo" in merito al procedimento avviato dall'Autorità Aeeg con
deliberazione 31 ottobre 2013 n. 477/2013/S/com, nei confronti di ENI, si legge che i
comportamenti posti in essere da ENI sono in contrasto con le disposizioni dettate in materia di
conguaglio definitivo e passaggio ad altro operatore contenute nella direttiva 2009/73/CE, nonché
con gli artt. 3 e 43, comma 2, del decreto legislativo n. 93 del 2011. In proposito, l'art. 1, lett. J),
dell'allegato 1 alla stessa direttiva, recante "Misure a tutela del consumatore", stabilisce che i
consumatori devono ottenere un conguaglio definitivo a seguito di un eventuale cambiamento del
fornitore di gas naturale non oltre 6 settimane dopo aver effettuato il cambiamento di fornitore;
il cambiamento di fornitore deve essere, quindi, sempre accompagnato da un conguaglio finale in
modo tale che il consumatore sia messo nelle condizioni di valutare l'opportunità della scelta
effettuata; dalle segnalazioni pervenute ad Altroconsumo risulta che i ritardi accumulati dalla
società nella periodicità della fatturazione hanno inciso negativamente anche su tale possibilità: da
un lato alcuni consumatori hanno lamentato problemi specificamente legati alla fatturazione del
conguaglio a passaggio avvenuto, altri invece hanno sottolineato le difficoltà di decidere
sull'eventuale passaggio a causa della indisponibilità dei dati di consumo per periodi di tempo anche
molto lunghi; a parere degli interroganti l'impossibilità di conoscere l'entità dei propri consumi e, di
conseguenza, di prevedere e programmare i medesimi in funzione della spesa rappresenta, di per sé,
una palese violazione dei diritti riconosciuti ai consumatori, che vengono in questo modo privati
della possibilità di organizzare, sulla base della propria personale situazione economica, i consumi
medesimi. Risulta, inoltre, evidente che l'impossibilità di determinare l'ammontare delle somme
dovute all'operatore ha limitato e continua ancora oggi a limitare drasticamente la possibilità del
singolo consumatore di scegliere consapevolmente tra i diversi fornitori presenti sul mercato;
gli utenti, infatti, a causa delle condotte poste in essere dalla società, ad oggi non hanno la
possibilità di comparare le offerte commerciali dei diversi operatori né di verificarne la convenienza
alla luce delle specifiche caratteristiche dei propri consumi (quantitativo di gas e/o elettricità
consumati, periodi di maggior utilizzo, eccetera) e, quindi, non sono in grado di valutare, non
disponendo di tutte le informazioni necessarie, l'opportunità della scelta di un operatore diverso da
ENI (cosiddetto switch out); tale possibilità risulta ancora più compromessa dalla totale incertezza
sugli importi, sui tempi e sulle modalità di pagamento della fattura di conguaglio definitivo una
volta deciso di passare a diverso operatore;
42
la totale assenza di qualsivoglia informazione determina un'intollerabile compressione della libertà
dei consumatori e una violazione delle più elementari norme in tema di trasparenza dei prezzi nei
confronti dell'utenza; la condotta di ENI, quindi, non consentendo al cliente di cambiare facilmente
venditore e nella specie non consentendo al cliente di chiudere definitivamente il proprio rapporto
con la società di vendita uscente nei tempi previsti, crea un potenziale ostacolo alla concorrenza, se
non altro diffondendo tra i consumatori sfiducia nella possibilità di cambiare facilmente fornitore,
chiudendo definitivamente il rapporto con il precedente, e nel buon funzionamento del mercato;
ciò è tanto più grave in considerazione del fatto che la condotta è posta in essere dall'operatore
incumbent nel mercato della vendita del gas ai clienti finali, nonché da uno dei principali operatori
del mercato della vendita di energia elettrica ai clienti finali; considerato che: nella deliberazione
dell'Autorità del 21 luglio 2011, n. VIS 75/11, ENI veniva condannata al pagamento di una
sanzione pecuniaria, tra l'altro, a causa della violazione delle norme in materia di periodicità della
fatturazione per cui "l'adozione di un idoneo sistema informatico e la risoluzione dei relativi
problemi di gestione rientrano nell'ordinaria gestione aziendale della società" (pag. 11 della
deliberazione); appare evidente che ENI, essendo tenuta alla diligenza qualificata di cui all'art.
1176, comma 2, del codice civile (si vedano le sentenze Cassazione civile, sez. III, 9 agosto 2007, n.
17478; Cassazione civile, sez. I, 12 giugno 2007, n. 13777; Cassazione civile, sez. I, 5 luglio 2000,
n. 8983), avrebbe dovuto adoperarsi per assicurare ai clienti la conformità della fatturazione alla
normativa di riferimento, prevedendo e organizzando un sistema in grado di evitare simili disservizi
ai clienti; il comportamento di ENI appare, inoltre, ancor più grave alla luce del fatto che la società
era già da tempo consapevole dell'esistenza di criticità legate al sistema di fatturazione, avendo già
subito per la stessa ragione una specifica sanzione applicata dall'Autorità per l'energia elettrica il
gas ed il servizio idrico con la citata deliberazione 21 luglio 2011, si chiede di sapere:
quali misure in particolare di carattere normativo il Ministro in indirizzo ritenga opportune adottare
affinché tali comportamenti non si ripetano in futuro;
se non intenda adottare tutte le opportune iniziative entro i limiti di competenza per ripristinare
l'effettiva concorrenza nel mercato energetico, nonché assicurare ai consumatori il diritto di
informazione in tempo reale sui propri consumi al fine di svolgere, con consapevolezza, il proprio
ruolo all'interno di un mercato energetico efficiente. (4-01676)
43
Interrogazione a risposta orale:
sulla situazione delle acque nella valle Olona, in Lombardia e sugli ulteriori interventi di
messa in sicurezza operativa del polo chimico ex Montedison
BIGNAMI e altri (M5S)
Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute - Premesso che:
la valle Olona è un'area produttiva in gran parte contaminata nel suolo principalmente da mercurio;
la valle prende il nome dal fiume Olona che nasce nelle Prealpi varesine e ha una lunghezza
complessiva di 71 chilometri, sino a Milano; attraversa 45 comuni appartenenti alle province di
Varese e Milano; lungo l'Olona la qualità delle acque viene monitorata nelle stazioni di Varese,
Lozza, Fagnano Olona, Legnano e Rho; come segnalato in un recente documento elaborato da
Legambiente Lombardia, l'Olona registra giudizi molto negativi sulla qualità delle acque da Varese
a Lainate, collezionando valutazioni che vanno dallo "scarso" al "cattivo". Secondo quanto riportato
nel documento più della metà dei carichi organici inquinanti nel tratto tra Castiglione e Rho deriva
da scarichi non depurati, anche il Lura e il Buzzente sono in uno stato critico, e nei tratti dove
confluiscono nell'Olona provocano un peggioramento delle condizioni del fiume, che registra uno
stato di qualità che viene definito "pessimo"; Legambiente Lombardia segnala inoltre come il 50 per
cento dei depuratori sull'Olona presentino anomalie o malfunzionamenti rilevati dall'Agenzia
regionale protezione ambientale; anche il depuratore di Varese ha notevoli difficoltà nella
rimozione dei carichi di azoto ammoniacale; considerato che:
la direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque) istituisce un quadro per l'azione comunitaria
in materia di acque e introduce un approccio innovativo nella legislazione europea tanto dal punto
di vista ambientale quanto dal punto di vista amministrativo gestionale. Tra gli obiettivi fissati dalla
direttiva vi è quello del raggiungimento dello stato di qualità "buono" per tutte le acque entro il 31
dicembre 2015; la Regione Lombardia nel proprio piano di tutela e uso delle acque ha chiesto una
proroga al 2027 per il raggiungimento dello stato "buono" e al 2015 per il raggiungimento dello
stato "sufficiente" per i fiumi Lambro, Seveso, Olona e Mella; nei confronti dell'Italia è stata aperta
dalla Commissione europea la procedura di infrazione n. 2009/2034 per l'applicazione degli articoli
3, 4, 5 e 10 della direttiva del Consiglio 91/271/CEE del 21 maggio 2008, concernente il
trattamento delle acque reflue urbane, ai cui obblighi avrebbe dovuto ottemperare entro il 31
dicembre 1998; il mancato adeguamento comporterebbe sanzioni che graverebbero nella misura di
10 milioni di euro per ogni mancato depuratore e di 200.000 euro per ogni giorno di ritardo
nell'assolvimento degli adempimenti previsti; la pessima qualità delle acque del fiume Olona è
dovuta al fatto che gli scarichi costituiscono il 40-60 per cento della portata del fiume. I depuratori
44
consortili che scaricano lungo l'asse dell'Olona sono 6. La Provincia di Varese ha concesso
autorizzazioni allo scarico in deroga complessivamente a 22 industrie, 5 delle quali scaricano nei
depuratori consortili sul fiume Olona. La Regione ammette, nella risoluzione di luglio 2013, che gli
scarichi in deroga compromettono la capacità depurativa dei depuratori. Tali deroghe sono
attualmente in fase di rinnovo; nel complesso la valle Olona registra uno stato ambientale
estremamente critico, con un preoccupante inquinamento delle falde acquifere, dell'aria e del suolo;
si apprende dai molteplici rapporti di caratterizzazione e le migliaia di analisi effettuate dal 2006 ad
oggi che il polo chimico ex Montedison di Castellanza e Olgiate Olona ha inquinato la falda
acquifera sottostante. L'unico intervento di messa in sicurezza operativa è costituito da una barriera
idraulica di 7 pozzi che emungono oltre 3 milioni di metri cubi all'anno (fino a 100 metri di
profondità) da tale acqua di falda, si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo, nell'ambito delle proprie competenze, siano a conoscenza della situazione
e quali siano le ripercussioni sulla salute dei cittadini della valle;
quali azioni, nei limiti delle rispettive attribuzioni, intendano intraprendere in collaborazione con la
Regione Lombardia e gli enti territoriali interessati per far sì che il fiume Olona raggiunga gli
standard di qualità delle acque definite dalla direttiva europea 2000/60/CE nei tempi previsti dalla
legge, per evitare di incorrere in sanzioni;
se sia stato redatto un quadro completo di quanti e quali fiumi in Italia non rispettano i parametri di
qualità definiti dalla direttiva europea 2000/60/CE;
se siano previsti ulteriori interventi di messa in sicurezza operativa del polo chimico ex Montedison.
(3-00731)
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