Anno XI - n° 4 Aprile 2014 TARIFFA REGIME LIBERO: POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% - DCB (BOLOGNA) www.comune.bologna.it/iperbole/buonenuove Nasce DO UT DO Le eccellenze del design aiutano Hospice 5 Bologna scoperte Un brevetto mette ko l’amianto Successo agli Ufficiali 3 Se il Tango conquista la platea Corso base Counseling 12 Così agevoliamo lo sviluppo dell’individuo 3 Quando parliamo di valori cerchiamo di dargli nome e cognome Molto spesso diciamo ‘questa è una società senza più valori’. Lo ripetiamo a destra e a manca. Nei salotti, in televisione, alla radio. A volte per farci belli, quasi a suggerire ‘io non c’entro, sono gli altri che non hanno saputo...’. E lì aggiungete un verbo a scelta. La colpa è sempre degli altri, del prossimo. Mai nostra, ci mancherebbe. Parlo da sessantenne. Per gli altri non posso dire, ma noi sì che di valori abbiamo sentito parlare. Dai nonni che avevano vissuto e sofferto in un’Italia dilaniata dalla guerra (guerre), che avevano saputo ricostruire e dare speranza. Nel testamento mio nonno parlò, con parole vibranti e sentite, di questi valori. Chiamandoli per nome e cognome, come forse oggi non sappiamo più fare. Invitava figli e nipoti a stare lontani dalla prigione, ribadendo che l’onestà era un’esigenza primaria, ci chiedeva di rispettare e far rispettare un cognome che da secoli tramandava il ‘fare’ e il ‘pensare’, puntava il dito sulla necessità di tenere in debita considerazione la famiglia, come cellula vitale della nostra società. Eccoli, con poche parole, quelli che riteneva i capisaldi per un uomo e una donna che volessero real- mente contare. Non l’arricchimento a tutti i costi, la corruzione come prassi, l’atteggiarsi a donna fatale (?) per poi andare a svernare a Dubai con due milioni di euro piovuti dal cielo (e quanti di noi si affannano ancora a spiegare a ragazzi e ragazze che quel che conta, nella vita, è comportarsi bene...). Mia figlia lavora in un grattacielo che si affaccia sulle spiagge dove Ruby sorseggia aperitivi e rilascia interviste. Deve pedalare dodici ore al giorno per uno stipendio minimo (ma fortunatamente, come diciamo quasi tutti noi genitori, almeno lavora). Sono felice, in cuor mio, che abbia scelto la via più lunga e faticosa per tentare di affermarsi: anni di levatacce per andare a Forlì e guadagnarsi una laurea, la gavetta in giro per il mondo, oggi un lavoro pagato il giusto ma gratificante. E soprattutto sono orgoglioso che abbia mantenuto uno sguardo sincero, che sappia cosa significano valori come fedeltà e sacrificio. Buona lettura dal vostro direttore Fabio Raffaelli Visitate il nostro sito www.comune.bologna.it/iperbole/buonenuove Il Consiglio direttivo dell’Associazione no profit, editrice di “Le Buone Notizie”, è così formato: Giorgio Albéri - Presidente Fabio Raffaelli - Vice Presidente Ornella Elefante - Segretario/Tesoriere Maria Dagradi - Consigliere Paola Miccoli - Consigliere Andrea Ponzellini - Consigliere Luisella Gualandi - Revisore dei conti (Presidente) Donatella Bruni - Revisore dei conti Comitato di Redazione: Roberta Bolelli, Giorgia Fioretti, Francesca Rispoli Valenti, Manuela Valentini, Antonio Vecchio Le Buone Notizie nasce da un’idea di Francesca Golfarelli e Fabio Raffaelli Testi e fotografie vanno inviati all’e-mail [email protected] Edito da Associazione Buone Notizie Redazione: Piazza Volta, 7 - 40134 Bologna Tel. 051.614.23.27 - Fax 051.46.67.51 Direttore responsabile: Fabio Raffaelli Direttore editoriale: Giorgio Albèri Segreteria di redazione: Ornella Elefante Stampa: Tipolito Casma - via B. Provaglia 3 - Bologna Registrazione al Tribunale di Bologna n° 7361 del 11/09/2003 BASTANO 30 EURO PER SOSTENERE da ritornare via fax al 051.46.67.51 SCHEDA PER SOSTENERE E ABBONARSI ALLA RIVISTA “LE BUONE NOTIZIE” Io sottoscritto, per conto - proprio, dell’Associazione, dell’Ente - chiede di attivare n° ...................... abbonamenti (10 numeri a 30 euro) a partire dal mese di ............................................ dell’anno ............................... Allego fotocopia del pagamento avvenuto sul c/c postale n° 60313194, ABI 07601, CAB 02400, Codice Iban IT47 N076 0102 4000 0006 0313 194 intestato all’Associazione Buone Notizie. La rivista è da inviare a: 1. Nominativo ............................................................................................................................................................. 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Via .............................................................................................................................. cap ............................................ città .......................................................................................................................... prov. ...................................... tel. ............................................................................. e-mail ............................................................................................... data ............................................ 2 Firma ............................................................................................................... I nostri ‘cervelli’ hanno messo ko l’amianto S maltire l‘amianto immergendolo nel siero di latte acido. Apparentemente semplice la soluzione trovata e brevettata a Bologna, con la quale si è certi di aver individuato lo strumento definitivo per eliminare le tonnellate di amianto ancora presenti nelle nostre città. è l’importante risultato (con relativo brevetto) della Chemical Center, società creata nel 2009 dal laboratorio di strutturistica chimica, ambientale e biologica (Lebsc) del Dipartimento di Chimica dell’Alma Mater ed un’azienda privata, la Coswell, operante nel settore della cosmesi. Il principio della scoperta consiste nell’aver osservato come il siero di latte, ad una temperatura tra i 35 ed i 37 gradi centigradi, grazie alla sua acidità, riesce a dissolvere il cemento, che costituisce almeno l’85 per cento dell’eternit. Con tale procedimento fuoriescono le fibre di amianto, che vengono poi ulteriormente scomposte in un reattore a 150°. Inoltre, dall’intero processo (non inquinante), si ricava il magnesio, metallo che sul mercato ha un costo di circa € 6,00 al chilogrammo, il carbonato di calcio che è la base dell’idropittura, ed un silicato ottimo per concimare. L’utilizzo del minerale amianto risale agli inizi delle nostra civiltà. Fu molto usato dai Persiani, ma anche dai Romani per usi “magici e rituali”. Il medico naturalista Boezio lo introdusse, nel 1600, in campo farmacologico, impiego che mantenne sino agli anni 60 del secolo scorso, anno in cui erano ancora presenti sul mercato una polvere contro la sudorazione dei piedi ed una pasta dentaria per le otturazioni. L’utilizzo industriale si re- alizzò, invece, negli ultimi decenni del ‘800 e nei primi decenni del ‘900, periodo in cui l’Italia detenne la leadership nel mercato mondiale. Sempre italiano fu, a Casale Monferrato, il più grande stabilimento di manufatti in cementoamianto d’Europa (chiuso nel 1986), che arrivò ad occupare, nel 1965, più di 2000 operai. Ad oggi, non esistono dati certi sulla presenza residua di amianto in Italia: secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), le tonnellate ancora da smaltire sarebbero 32 milioni (dato riferito alle sole coperture). Legambiente calcola in 50 mila gli edifici, pubblici e privati, ancora da bonificare. Antonio Vecchio ‘Tango de mi vida’ conquista la platea A ncora una volta la piéce di Giorgio Albéri ha fatto centro. La platea era gremita e tante le Autorità civili e militari per lo spettacolo “Tango de mi vida” da lui ideato e diretto, rappresentato al Teatro “Antoniano” la sera del 20 marzo. Il successo è ni del soprano Tiziana Scaciga Della Silva e del mezzosoprano Benedetta Orsi, che con la loro eleganza e bravura, hanno cantato le canzoni immortali di tango. “Tango delle capinere”, “Violino tzigano”, “Jalousie”: quante coppie nel mondo si sono conosciute, Da sinistra le cantanti Benedetta Orsi e Tiziana Scaciga Della Silva stato tale da ‘obbligare’ gli artisti a ‘regalare’ agli spettatori che continuavano ad applaudire calorosamente, tre bis dopo due ore di spettacolo. L’attrice Gaia Ferrara, ha raccontato la storia del tango argentino intervallata dalle esecuzio- al violinista Mario Donnoli ed al fisarmonicista Davide Salvi, ha catturato l’attenzione del pubblico con la perfezione ed il ritmo di coinvolgenti esecuzioni. Ma a rendere ancora più apprezzabile la rappresentazione è stato il ballo eseguito dalla coppia Chia- I ballerini Chiara Benati e Andrea Vighi ballato follemente, amate, sentendo la musica e le parole di queste immortali melodie rese famose dai più grandi cantanti! Al pianoforte Lamberto Lipparini che, unitamente al basso Felice Del Gaudio, al batterista Lele Barbieri, L’autore e regista Giorgio Albéri con tutta la compagnia ra Benati e Andrea Vighi, vice campioni del mondo di tango argentino, che hanno offerto al pubblico superbe interpretazioni di figure del ballo sudamericano. Il difficile compito di trovare un filone logico, che partisse dalla fine dell’800 per arrivare fino ai nostri giorni è stato mirabilmente raggiunto dall’autore, che ha proposto una piacevole ed importante carrellata di compositori famosi per brani indimenticabili. è stato un vero trionfo! Non è vero che il piacere di ascoltare canzoni romantiche si stia affievolendo; questo spettacolo musicale lo ha dimostrato. 3 Basta esitazioni, arriva l’Informagiovani è con piacere che presentiamo ai nostri Lettori una realtà che opera nel nostro territorio, rivolta ai giovani: l’Informagiovani. Si tratta di centri gestiti di solito dai Comuni che offrono informazioni e servizi mirati ai giovani, dai 14 ai 35 anni, riguardanti le opportunità di formazione professionale, lavoro e volontariato nel territorio di riferimento, studio e lavoro all’estero, vacanze e turismo e cultura e tempo libero, proponendo punti d’ascolto e di consulenza per i giovani della città e per i giovani turisti, L’Informagiovani permette pertanto di conoscere le opportunità del mondo del lavoro e della scuola, gli eventi e le manifestazioni culturali della città e le più diverse iniziative rivolte ai ragazzi. Gli utenti possono consultare una raccolta di notizie suddivise per argomenti e le Banche Dati per conoscere aziende, associazioni ed enti presenti sul territorio. Il sito del servizio offre un ampio ventaglio di risorse informative ed è un canale molto efficace per un target come quello giovanile che si serve della rete come strumento quotidiano per organizzare la vita, il lavoro, lo studio ed il tempo libero. Presso il centro è possibile utilizzare gratuitamente alcune postazioni di navigazione per lo svolgimento di alcune specifiche operazioni tra cui la spedizione 4 del curriculum vitae. Viene inoltre offerto gratuitamente un servizio di informazione e consulenza. Agli sportelli già attivi di ascolto psicologico, di mobilità internazionale e campi di volontariato, di video maker, dal marzo 2014 si è affiancato lo Sportello del Commercialista, nato dalla collaborazione tra l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili della Provincia di Bologna ed il Comune di Bologna, Informagiovani Multitasking. Infatti, negli incontri formativi di orientamento sui temi legati al lavoro, all’impresa ed all’associazionismo, era emersa l’esigenza di molte piccole realtà di tipo associativo, di un servizio informativo e di consulenza orientativa nello svolgimento della loro ordinaria attività. è importante per i giovani avere un luogo dove condividere problemi, opportunità e speranze per un futuro più roseo. Eleonora Dimichino Il Dalai Lama premia Morselli, il dottore che regala sorrisi Q uando si parla di chirurgia plastica spe so si pensa alle donne dello spettacolo e ai ‘ritocchini’ puntualmente smascherati da ‘Striscia la notizia’. Ma tra i fatti e i rifatti delle riviste patinate ogni tanto arriva qualche notizia che ci ricorda come la chirurgia plastica sia importante e non abbia finalità esclusivamente estetiche, o, per meglio dire, come sia riduttivo considerarla semplicemente uno strumento abusato da uomini e donne per far pace con il proprio naso. Infatti, la chirurgia plastica aiuta migliaia di persone affette da malformazioni del corpo, del volto e delle mani, da gravi esiti di ustioni, traumi severi o con tumori cutanei di grosse dimensioni. Situazioni molto gravi che diventano drammatiche se si verificano nelle aree più povere del mondo. Proprio quei Paesi dove il bolognese Paolo Morselli (nella foto) opera da ben 26 anni. Docente di Chirurgia plastica all’Università di Bologna, Morselli è presidente e fondatore di ‘Interethnos Interplast Italy Onlus’, l’associazione di volontariato composta da specialisti in chirurgia plastica ricostruttiva che dal 1988 a oggi ha compiuto 62 missioni umanitarie in 19 Paesi tra i più bisognosi al mondo. Un impegno umanitario riconosciuto a livello mondiale e sottolineato dal titolo di ‘Unsung Hero of Compassion’ recentemente assegnato al professor Morselli direttamente dal Dalai Lama. Andrea Barrica Viva Facebook e i ‘mi piace’ per le Buone Notizie I l nostro giornale è sbarcato su Facebook, agli inizi di gennaio, sottovoce, come è nel nostro stile, ed in circa 40 giorni più di 160 persone, una volta visitato il profilo, hanno espresso il loro “mi piace”, con un trend di crescita che, francamente, ha sorpreso tutti. Si, certo, eravamo da tempo già presenti su Iperbole, la rete internet cittadina. Ma FB è un’altra cosa. Esserne parte significa collocare il giornale in un luogo visitato da oltre un miliardo di utenti, 22 milioni dei quali solo in Italia (11° posto al mondo), con una prevalenza di età tra i 35 ed i 45 anni. Che sia un luogo dove occorre esserci, lo ha capito anche il premier britannico Da- vid Cameron, che ha speso 7.000 sterline per incrementare (di 20.000) il numero dei suoi contatti e raggiungere, in questa particolarissima graduatoria, il suo vice Nick Clegg. Altrettanto fanno importanti marchi internazionali, forti anche del fatto che è stato stimato in 174 dollari il valore commerciale di ogni singolo contatto. Godiamoci allora questo momento, anche perché, se è vero come è vero, che non tutto il miliardo di utenti leggerà gli articoli del nostro mensile, tuttavia il nome della testata continuerà a girare nel web, fornendo ampia prova che le buone notizie , prima o poi, si avverano. Antonio Vecchio DO UT DO, le eccellenze del design per Hospice D O UT DO: dietro la brillante formula coniata da Alessandro Bergonzoni, c’è un originale progetto culturale internazionale, inaugurato nel 2012, con svolgimento biennale e finalità di beneficenza, promosso dall’Associazione “Amici della Fondazione Hospice Seràgnoli” e ideato a sostegno della Fondazione Hospice Seràgnoli, organizzazione non-profit che dal 2002 opera nel campo dell’assistenza, formazione, ricerca e divulgazione della cultura delle Cure Palliative. Dopo il grande successo della prima edizione del 2012, dedicata all’arte contemporanea, con Yoko Ono come madrina (che donò il suo Wish Tree), importanti artisti internazionali (tra cui Michelangelo Pistoletto, Pirro Cuniberti, Vanessa Beecroft, Mimmo Paladino) e una raccolta fondi di 240.000 euro, è stato presentato a Bologna il DO UT DO 2014 Design per Hospice, dedicato alle eccellenze del design internazionale. Padrini d’eccezione i MASBEDO, duo di video artisti che ha contribuito con la realizzazione di un video inedito dal titolo Look Beyond, esplorazione del rapporto tra essere umano e fine della vita. 50 le opere, provenienti dalle donazioni tra gli altri di architetti come Richard Meier, Daniel Libeskind, Jean Nouvel, Doriana e Massimiliano Fuksas, il bolognese Iosa Ghini, designers come Philippe Starck, artisti come Luigi Ontani e Sandro Chia, mente gratuita, di équipe multidisciplinari di Medicina Palliativa. “Il foundraising è infatti molto importante per l’attività degli Hospice, perché - sottolinea Maurizio Marinelli - la sanità pubblica permette di coprire circa il 60 per cento delle spese, ma il 40 per cento è sostenuto dai contributi privati”. Il catalogo di DO UT DO 2014 Design per Hospice diventerà un libro “Il dono aziende come Alessi, Artemide, Memphis. Con un obiettivo sociale d’avanguardia: la realizzazione di un nuovo Hospice (il quarto) della Fondazione Seràgnoli dedicato a piccoli degenti. Nel corso dell’anno diversi appuntamenti proporranno al grande pubblico un’esposizione che , per ampiezza e contenuti, ha pochi precedenti nella storia del design. Dopo la presentazione ai collezionisti alla Peggy Guggenheim di Venezia nell’ottobre scorso, le opere saranno esposte dal 16 al 18 maggio 2014 al MAXXI di Roma e a settembre saranno al MAMbo di Bologna, prima dell’assegnazione finale delle opere, in una serata di gala nella sede del MAST, con una iniziativa unica nel suo genere che si chiuderà con un’estrazione finale a sorte tra quanti avranno partecipato a questa asta benefica con un versamento minimo di 5.000 euro. Al termine sono ammessi gli scambi. “Stiamo ragionando – dice Maurizio Marinelli, Art Director della Fondazione – sulla possibilità di creare un meccanismo di futures, come succede in borsa” . I fondi raccolti verranno interamente devoluti a sostegno della Fondazione Hospice Seràgnoli, che attraverso gli Hospice (strutture dedicate alla cura dei pazienti affetti da malattie inguaribili e ai loro familiari), offre accoglienza altamente qualificata, con l’obiettivo di alleviare la sofferenza e migliorare dignità e qualità di vita in momenti e situazioni particolarmente delicate, con l’assistenza, rigorosa- dell’oggetto”, curato dal designer Stefano Casciani, per sottolineare l’atto di donazione che sta dietro a questa mostra, il suo valore sociale. E proprio il valore sociale dell’attività della Fondazione Seràgnoli sarà nei prossimi mesi anche al centro di una riflessione articolata sulle nuove forme del welfare, di cui Bologna è un esempio, che la fondazione sta portando avanti con le Università Luiss e Bocconi. Roberta Bolelli Dopo la ‘fuga’ i cervelli ritornano D opo un 2013 da ricordare, il Premio ‘Capitani dell’Anno’ riparte da Napoli, il prossimo 17 maggio. Napoli e la Campania sono e rimangono un terreno fertile, dove il talento ha sempre attecchito. Molti i ragazzi e le ragazze con grandi capacità partiti da questa terra, eccellenze italiane nate e cresciute in Campania che troppo spesso, purtroppo, danno i loro frutti all’estero. Come riportali a casa? Cosa bisogna fare affinché queste preziosissime risorse possano esprimere tutto il loro potenziale e, soprattutto, diventare un asset strategico per il nostro Paese? A queste domande risponderanno Claudio Quintano, Magnifico Rettore dell’Università Parthenope di Napoli, e Salvatore Capasso, docente di Politiche economiche dello stesso Ateneo, nel corso del seminario-incontro ‘Il Ritorno dei Cervelli’. L’iniziativa, organizzata da Editutto e Università degli Studi di Napoli Parthenope, parte integrante della tappa campana del Premio Capitani, vedrà la partecipazione di oltre 100 ragazzi delle università e delle scuole superiori del territorio, che avranno modo di confrontarsi sul tema dell’incontro tra il mondo della scuola e quello del lavoro, con la guida di importanti docenti universitari, ospiti provenienti da centri di ricerca esteri, imprenditori, giornalisti ed esperti di vari ambiti professionali e disciplinari. 5 Che bello vivere con l’Acchiappasogni U na frase divenuta poi famosa qualche tempo fa, recitava così: “La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?”. Marzullo la sapeva lunga su quanto questa parola, “sogno”, entrasse negli animi più intimi delle persone, parola che si nasconde, che si mette da parte spesso, che però vive oltre la realtà e la quotidianità. La vita è sì un sogno, il nostro personale e grande sogno da realizzare in ogni sua emozione, in ogni piccola meravigliosa e semplice cosa che conterrà dentro di sé, Il sogno ci rende cosi “sognatori”, ci rende idealisti e fa un dono prezioso: ci aiuta a vivere e andare oltre ogni limite, crea la vitalità ed energia che ci spinge ad alzarci da ogni fondo, produce quella lealtà che nascondiamo dietro gli occhi tristi di una delusione o di un fallimento, ci fa impegnare in quella creazione e costruzione delle nostre strade. Tutto ciò, la nostra vita, nasce e cresce grazie ai nostri sogni che la riempiono. Questa premessa mi è utile per spiegare come nasce questa piccola grande follia che si chiama “L‘Acchiappasogni”, provare ad essere qualcosa di “diverso” e anche un po‘ controcorrente in un complesso come quello sociale, culturale e sportivo. L’Aps-Asd Acchiappasogni promuoverà la riabilitazione sociale, mentale, fisica 6 ed emotiva dell’individuo attraverso lo sviluppo della capacità espressiva, la consapevolezza corporea per mezzo di attività tera- peutiche integrate e attività sportive, ponendo particolare attenzione alle categorie sociali dei bambini, dei disabili e degli anziani. Potrebbe sembrare “una fra le tante”, in cosa allora è diversa? Per spiegare, utilizzo un altra frase a me cara di Robert Frost: “Due strade divergevano in un bosco, ed io presi quella meno battuta, e questo ha fatto tutta la differenza”. Ecco, L’acchiappasogni sarà una strada meno battuta. Siamo in un periodo sociale, culturale ed economico di profonda trasformazione, dove rimanere fermi su idee, metodi e teorie può essere molto pericoloso e impedire l’offrire alla società che cambia una reale risposta alle sue esigenze, ai bisogni che in ambito sociale, psichico e sportivo, stanno emergendo in maniera significa- tiva. Come l’ambito sociale anche quello della disabilità si è trasformato, le stesse patologie hanno modificato i loro sintomi e le loro evoluzioni. La visione olistica del concetto di cura e riabilitazione deve ampliare i nostri orizzonti e permetterci di guardare ogni essere vivente come entità nella sua integrità, unicità e peculiarità. Anche per questo l’Aps-Asd L’acchiappasogni è iscritta al registro del Coni, e affiliata nel Settore Sport Disabili ASI, con il quale vuole costruire progetti sportivi in ambito non solo Paralimpico e quindi agonistico di alto livello, ma anche a scopo di riabilitazione e in- tegrazione dove lo Sport diventa strumento utilissimo per percorrere la strada dell’autonomia, della socialità, dell’integrazione e dello sviluppo psicomotorio. Lo scopo non ultimo dell’Acchiappasogni sarà proprio quello di ridare allo sport il suo ruolo peculiare di “fabbricante di sogni” e non “cantera’” di illusioni, frustrazione e nei casi estremi di violenza e razzismo come spesso la cronaca porta alla ribalta. Ecco, questo è, sarà e vorrà essere l’Aps-Asd Acchiappasogni, una fabbrica di sogni per chi vorrà condividere i propri e per chi vorrà sperimentare i nostri. Sabrina Molino Mastronardi agli Ufficiali con ‘Il mistero di Viteliù’ “U na storia mai raccontata in un romanzo; un viaggio avvincente ed emozionante alle radici stesse della nostra identità nazionale”. Si è parlato di questo e di molto altro, sabato 22 marzo, al Circolo Ufficiali dell’Esercito, in Bologna, con Nicola Mastronardi, autore di “Viteliù’. Il nome della libertà”, ro- manzo storico pubblicato da Itaca edizioni. Organizzato dal Gen. Gioacchino Di Nucci, Presidente dell’Unione Nazionale Ufficiali in congedo, con la collaborazione dell’Associazione Profutura, l’incontro ha permesso all’autore, pungolato dal nostro direttore, Giorgio Albéri, di illustrare il suo romanzo d’esordio ripercorrendo, da storico e da narratore, uno dei periodi meno conosciuti dell’Italia pre-romana. Un età, però, di straordinaria importanza per la nascita stessa di un’ identità peninsulare, che influenzò le fasi storiche successive. “Viteliú” è il termine osco da cui derivò la parola latina Italia, e Vitelios fu la denominazione sotto cui si unirono alcuni popoli italici dell’Appennino centrale e meridionale - (Sanniti, Marsi, Peligni, Piceni e Lucani) - i quali, accomunati da lingua, religione e tradizioni sociali, misero in campo più di 100.000 uomini per combattere, dal 91 all’82 a.C., contro il disegno egemonico di Roma e costruire il loro sogno di libertà. Un grande affresco, piacevolmente narrato con l’ambizione di far riemergere l’identità storica della prima Italia politica, e renderla nota ben oltre i confini abruzzesi e molisani. Un interessante incontro umano con un uomo attaccato alla propria terra. Antonio Vecchio Mercato di Mezzo? è il Mercato coperto P remetto che “Mercato di Mezzo” era il nome della via che poi è stata ribattezzata col nome di Francesco Rizzoli, ed ebbe questa denominazione in quanto si trovava in mezzo a due mercati: quello di piazza Ravegnana e quello di piazza Maggiore. L’edificio adibito a mercato che si inaugurerà il 3 aprile si chiama, invece, “Mercato coperto”. Il distretto commerciale nel quale è inserito il “Mercato coperto”, da tempo, è chiamato “il Quadrilatero”. Ora, con una forzatura inspiegabile si vorrebbe denominare “Mercato di Mezzo” l’edificio da inaugurare. E’ un errore storico! Ora vediamo la storia del Mercato coperto. Nel 1877 il Consiglio Comunale decise il “trasloco” delle bancarelle che affollavano da secoli la piazza Maggiore in vista del prossimo “esercizio di una tramvia urbana a cavalli” con capolinea davanti al palazzo del Podestà e di una riqualificazione urbana che prevedeva anche il restauro degli edifici a contorno della piazza. Il sindaco di Bologna, Gaetano Tacconi, dispose lo sgombero per il giorno 8 maggio: il Consiglio Comunale approvò unanime la decisione per porre fine alla “sconcia e deturpante” presenza delle bancarelle nella piazza Maggiore e anche la stampa locale approvò con entusiasmo. Il quotidiano “La Patria” dell’11 maggio scrisse: “Finalmente il mercato delle erbe si è traslo- cato e la nostra bella piazza Vittorio Emanuele è libera da quello sconcio: stamani era quasi deserta. Là in fondo sorgevano solitarie le baracche degli acquaiuoli, ma anche queste si disponevano a levar le tende”. E un altro quotidiano bolognese scrisse: “Finalmente Piazza Maggiore è sgombra da baracche, cumuli di insalate e di cipolle, dai ciarlatani che vendevano il cerotto per guarire ogni male e cavavano i denti senza dolore. Ora la Piazza è vuota ed ha un aspetto maestoso”. Le proteste dei 450 ambulanti furono limitate in quanto il Comune aveva promesso loro varie alter- Il Mercato in un’immagine dei primi anni del ‘900 native: il nuovo “mercato di San Francesco”, uno spazio coperto da una tettoia ubicato nell’attuale via De Marchi che poteva accogliere 250 ambulanti; un’altra tettoia per i venditori di ortaggi era stata predisposta lungo la fiancata della chiesa del SS. Salvatore in via IV Novembre, un’altra nella piazzetta Caprara (davanti all’omonimo palazzo, oggi sede della Prefettura) ed infine era stato concesso il lato porticato della “seliciata di Strada Maggiore”, oggi piazza Aldrovandi. Ma la sistemazione più prestigiosa fu quella del nuovo edificio realizzato dall’Amministrazione degli Ospedali, quasi a somiglianza di una chiesa, fra via Clavature e via Pescherie con ingresso da entrambe le vie. L’immobile, scrisse “La Patria” del 20 maggio 1877, “è riuscito benissimo: nel mezzo c’è una corsia di scaffali, ove i posteggianti possono esporre la loro merce, ai lati ci sono altri posteggi e parecchie botteghe. E’ perfettamente arieggiato, selciato a pietrini… Insomma, torna a comodo e decoro della città, ad utile dell’amministrazione che l’ha eseguito, ad onore del consigliere avv. Vicini che ha ideato e presieduto i lavori”. Un complimento fu rivolto anche “al capo mastro signor Bedosti cui era stata affidata l’esecuzione dei lavori”. Nel nuovo Mercato Coperto trovarono posto circa 150 “sfrattati” da piazza Maggiore. Alle ore 15 del 20 maggio “i proprietari delle case e botteghe dei dintorni” offrirono una “refezione rallegrata da un po’ di musica” (oggi diremmo una bandiga) ai 30 operai che per completare velocemente i lavori avevano lavorato anche di Il Mercato coperto all’inizio del 2000 notte: suonò la Banda di Borgo Panigale e al termine della manifestazione “dall’alto del Mercato coperto piovvero una quantità di foglietti di carta a diversi colori su cui leggevasi un “evviva” in versi”. Erano stati gli “erbivendoli” che in tal modo intendevano ringraziare gli operai e l’Amministrazione degli ospedali. La mattina si era svolta l’inaugurazione ufficiale con le autorità che visitarono il nuovo mercato coperto già occupato dai nuovi inquilini: c’era un grande affollamento di curiosi dentro e fuori la nuova costruzione. Tantissimi applausi e allegria. Alla fine della manifestazione fu lamentata la scomparsa di quattro portafogli. Ultimo ad abbandonare Piazza Maggiore fu il teatrino dei burattini di Cuccoli. Marco Poli 7 Ricordi e rabbie all’insegna di una ‘coda’ C osa pensereste se una mattina vi svegliaste nel letto sbagliato, nella famiglia sbagliata, nella città sbagliata e … nell’epoca sbagliata? Questo è ciò che accade a Ludovica protagonista di una insolita avventura. Figlia del Ventunesimo secolo si trova i m provvisamente alle prese con le scomodità di una epoca lontana: il 1890 e un mistero che si risolverà con l’aiuto di un’amica preziosa al di là del tempo e dell’immaginazione. Il libro d’esordio di Anna Valeria Cipolla d’Abruzzo (nella foto), “Nate con la coda” (Armando Siciliano Editore, 2013), prende spunto dalle storie che la nonna materna le raccontava da ragazzina. Un racconto insolito ma vero sulla vita della bisnonna bellissima, solare, innamorata, costretta ad un matrimonio non voluto, imposto, arido di sentimenti. Ci sono fili capaci di unire i mondi interiori delle donne legandoli anche attraverso epoche diverse: la forza dell’amicizia, dell’amore, della libertà o del ricordo e della ricerca di se stessi; talora anche la storia di paure e di solitudine. Ma questi 8 mondi possono unirsi anche con le radici della propr ia famiglia, poiché n e l DNA di ciascuno ci sono i fili che tessono la nostra pelle, che in nessun modo possiamo strappare e che possono indurci a capire chi siamo e perché siamo così. A n n a Va l e r i a h a origini abruzzesi e in questo romanzo ha voluto rendere omaggio alla terra da cui proviene. Nate con la coda infatti, è prevalentemente ambientato in un piccolo paese di montagna, in provincia di Chieti, Pàlmoli (nella foto il castello), e il racconto si sviluppa su linee parallele tra la fine dell’Ottocento e la contemporaneità. Un intreccio di passato e presente in paradossale coesistenza. Descrizioni dettagliate dànno al lettore la possibilità di immergersi in luoghi sconosciuti, ma di particolare suggestione. L’attenzione è puntata sulle protagoniste femminili, tutte diverse tra loro, ma accomunate dal talento dell’autrice nel penetrare anima e psicologia con un racconto abitato da donne fragili, forti, avventurose o timorose, le cui voci e storie si imprimono nella memoria del lettore. Un bel romanzo sulla condizione della donna e sul rapporto con la solitudine, in un tempo in cui si stenta a ritrovare le proprie radici, attraverso parole, emozioni, ricordi e rabbia, per fare un bilancio che non vuole essere solo privato, ma anche sociale. Il libro è dedicato a quelli che nella vita hanno perso qual- cosa, un amore, un lavoro, un affetto. E rifiutandosi di accettare la realtà, finiscono per smarrire se stessi. Immergendosi nella sofferenza e, superandola, questa storia ci ricorda come sia sempre possibile buttarsi alle spalle la sfiducia per andare al di là dei nostri limiti. Anna Valeria Cipolla d’Abruzzo ha raccolto gli slanci di una lotta contro la solitudine, l’inadeguatezza e il senso di abbandono, raccontando la sto- ria in un intreccio di passione e delicata ironia. Il traguardo sarà la conquista di un’esistenza piena ed autentica, che consentirà finalmente un riscatto anche familiare. Roberta Bolelli Una speciale imbragatura aiuta il piccolo Rotem a camminare A r r i va n o s e m pre le mamme a cambiare la vita. E se ci sono dolori in ballo sono loro ad alleviarli. Questa volta parliamo dell’ingegno di una mamma contro una diagnosi che non lasciava speranze. Secondo i medici e i fisioterapisti, Rotem, 2 anni, affetto da paralisi cerebrale, non sarebbe mai stato in grado di camminare. I medici avevano ragione. Rotem, che oggi ha 19 anni e vive a Gerusalemme, non può fare a meno della sedia a rotelle. Ma per cinque anni, finché peso e altezza glielo consentivano, ha potuto camminare usando le gambe di sua madre, grazie a una speciale imbragatura, inventata proprio da lei. Oggi quell’imbragatura rudimentale, costruita dalla madre di Rotem, Debby Elnatan, è diventata un vero e proprio ausilio per bambini disabili, che sarà in vendita a partire da lunedì prossimo. L’azienda nordirlandese Firefly ha infatti trasformato l’invenzione di Debby nell’imbragatura chiamata “Upsee”. L’universo femminile si fa più grande O ggi il 17,1% degli incarichi nelle aziende quotate è affidato a donne (dati Consob), il doppio dell’anno precedente. Nel settore pubblico va ancora meglio: nelle 69 Società che hanno rinnovato i propri Consigli d’Amministrazione il 29,4% degli incarichi è ricoperto da donne. Lo conferma anche il “Global Gender Gap Report 2013” del World Economic Forum che, su 136 paesi presi in esame, vede l’Italia passare dall’80.mo al 71.mo per la parità di genere ma ancora al 124.mo nella parità di retribuzione tra i sessi. Sono i dati di un significativo cambiamento in atto del CIRSFID dell’Università di Bologna, dal titolo “L’Universo femminile: Donne al vertice delle Fondazioni pubbliche e private”. Due relatrici d’eccezione: Caterina Seia, Direttore Editoriale de Il Giornale delle Fondazioni/Il Giornale dell’Arte - Coordinatrice del Rapporto sulle Fondazioni 2013-14 - e Silvia Evangelisti, storica dell’arte, docente dell’Accademia Belle Arti e dell’Università di Bologna, già Direttore Artistico di Arte Fiera. Partendo dal Focus contenuto nel Rapporto sulle Donne che sono alla guida delle Fondazioni private e pubbliche (tra cui quelle bancarie), sono stati analizzati i processi di cambiamento in atto nella condizione femminile, soprattutto nei versanti più significativi delle arti delle professioni e delle imprese, che hanno visto Caterina Sala e Silvia Evangelisti significativamente crescere le posizioni manageriali coperte da figure femminili con vaste e diversificate esperienze. Come ha sottolineato Caterina Seia “il tema femminile non è solo questione di genere, ma è un modo diverso di guardare le situazioni con grande coraggio, con capacità di mescolare ingredienti, con sano pragmatismo, con una forte volontà di arrivare al risultato”. Perché, come recita il titolo del Focus “Abituate nella vita a gestire la molteplicità e la complessità dei ruoli, davanti alla crisi inventano nuovi percorsi con uno stile tutto femminile che cambia le organizzazioni e la loro relazione con il contesto”. (r.bol) Libri digitali ed app per avvicinare i piccoli L nella società italiana, cui ha sicuramente contribuito una più forte e diffusa consapevolezza delle donne, da cui ha tratto origine anche la importante legge sulla parità di genere che dal 2012 obbliga le società pubbliche o quotate ad aumentare al primo rinnovo la presenza di donne nei Consigli d’Amministrazione. Sono anche i dati discussi in un recente incontro, organizzato dalla sezione bolognese di FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) a Palazzo Gaudenzi, sede ibri digitali ed app per avvicinare i più piccoli alla lettura. Questa la nuova tendenza registrata dall’indagine #NatiDigitali, presentata a Bologna in chiusura della Fiera del Libro per ragazzi. Lo studio dimostra come le nuove tecnologie possano essere lo strumento giusto per restituire a bambini e ragazzi il gusto di leggere. Infatti, se per la favola della buonanotte (letta dai genitori, naturalmente) il libro cartaceo continua ad essere il ‘supporto’ che va per la maggiore, il digitale, invece, si dimostra estremamente più adatto per intrattenere i bambini. Un trend in crescita, che dimostra la sempre maggiore propensione da parte dei genitori a far leggere i propri figli in digitale (so- prattutto app ed ebook). Nell’ultimo anno si è passati dal 30,3% di mamme e papà che nel 2013 hanno affermato di aver utilizzato libri digitali al 34,6%. Il dato più importante, però, è quel 16,1% di bambini tra 1 e 14 anni che legge in digitale almeno una volta a settimana. Un segnale di come l’atteggiamento dei genitori rispetto al digitale stia poco a poco cambiando e di come, in questo modo, simile ad un gioco, i più piccoli si possano avvici nare alla lettura. Un segno di cambiamento che restituisce (qualora ce ne fosse ancora bisogno) una maggiore dignità ad una tecnologia che fino a poco tempo fa, non dimentichiamocelo, era considerata poco più che una perdita di tempo. Andrea Barrica 9 Il coraggio di un giovane industriale I n un momento in cui la disoccupazione giovanile è tra le più alte e le difficoltà che i nostri figli incontrano nella ricerca di un qualsiasi posto di lavoro sono veramente enormi, è con gioia che riportiamo ai Lettori l’esperienza di un giovane che è riuscito ad affermarsi grazie al coraggio, all’intraprendenza uniti forse a un po’ di “sana incoscienza”. Abbiamo incontrato Massimiliano Collina, fondatore di Cardnology, e gli abbiamo chiesto come è arrivato a costruire questa realtà che stampa tessere card personalizzate e di alta tecnologia. A 24 anni lavoravo come docente informatico, ma pensavo che nella vita bisogna osare per creare qualcosa. Ho così deciso di intraprendere un nuovo cammino che mi desse promozionali e prepagate, tutte ovviamente realizzate con i massimi standard di qualità e sicurezza dei dati. Oltre al servizio completo di stampa delle tessere, con personalizzazione e codifica puntuale ed af- soddisfazione e potesse rendere orgogliosi i miei genitori, che avevo in parte deluso abbandonando gli studi universitari. Cardnology è nata oltre 10 anni fa ed è un’azienda altamente specializzata nella produzione e nella stampa di carte plastiche neutre, con banda magnetica, con chip, carte contactless, carte fidabile, procediamo poi al confezionamento finale secondo le aspettative dei nostri clienti. Che target ha la vostra clientela? E’ molto varia; infatti, va dai grandi centri commerciali ai singoli negozi, dalle ditte individuali, alle squadre di calcio o pallacanestro. Il nostro obiettivo è cercare di capire quali 10 sono le esigenze dei singoli e di realizzarle. Se infatti è semplice distribuire, ad esempio, una carta fedeltà per una raccolta punti, occorre sottolineare anche quanto sia necessario che la carta fedeltà diventi uno strumento per aumentare il fatturato sia nel breve che nel medio-lungo periodo, attraendo nuova clientela ed aumentando quindi la spesa pro-capite. Abbiamo inoltre clienti che, per esigenze personali , preferiscono stampare in proprio ed a questi forniamo le tessere neutre e le relative stampanti (dimensionate a seconda del lavoro che deve essere prodotto) per metterli in condizione di essere autonomi, fornendo sempre un servizio di consulenza e di supporto tecnologico. Ci può spiegare quali sono ora le principali tessere in uso? Tra le principali tessere individuiamo 4 grandi aree: - Tessere neutre: senza alcun tipo di tecnologia; sono adatte per tesserini di riconoscimento e tessere associative; - Tessere a banda magnetica: più comunemente utilizzate per veicolare piccole quantità di dati; - Tessere a chip (chip card o smart card): con il chip esterno a vista, utilizzate nei più svariati campi di applicazione; - Tessere contactless RFID: a tecnologia più avanzata, utili per immagazzinare ingenti mole di dati con la massima sicurezza, dal momento che il chip non è esterno ed è accessibile solo a radiofrequenza. Quali sono i materiali usati? Le tessere plastiche possono essere di diversi materiali: dal PVC che può essere lucido o mattato (opaco), al PET laminate che verniciate; dal PET-G a basso impatto ambientale, tipicamente utilizzato in maggior parte nelle produzioni destinate ai Paesi Scandinavi (molto sensibili già per legge all’ambiente), al polistirolo che permette la realizzazione di card verniciate monostrato in diversi spessori per quantità enormi e a costi ridotti. Le tessere, ormai fanno parte del nostro quotidiano. Complimenti per questa dimostrazione di coraggio e di volontà per aver creato questa azienda leader nel settore. Donatella Bruni La guarigione? Osserviamola allo specchio I n questi giorni, i quotidiani riportano una notizia che – davvero – è una buona notizia. In alcuni reparti oncologici, sono stati organizzati degli incontri “di bellezza”, per signore che si stanno sottoponendo a cure chemio e radioterapiche. Estetiste, visagisti ed altri operatori del settore, insegnano alle donne tutte le strategie che servono a contrastare e ridimensionare gli effetti che la malattia e le stesse cure lasciano sul corpo. Penso sia davvero una iniziativa molto importante. L’impatto che l’esperienza di una malattia oncologica produce nella vita di una persona, coinvolge tutti gli aspetti e le dimensioni dell’esistenza. Non ultimo, il possibile cambiamento corporeo. Gonfiori, perdita dei capelli, della barba, delle sopracciglia, sono tutti possibili effetti collaterali, anche se mai come oggi, vengono studiate strategie per ridurli il più possibile. Molte persone, di fronte ad una modifica importante del proprio aspetto corporeo, possono andare profondamente in crisi. Con il nostro corpo, con il nostro viso, noi ci presentiamo al mondo e ci rappresentiamo a noi stessi. “ Quando mi guardo allo specchio, faccio fatica a riconoscermi…” racconta Anna, una signora in cura per una neoplasia. Il viso in particolare è la parte di noi che per prima … attraverso le espressioni e i tratti somatici entra in contatto con la realtà esterna, con i nostri interlocutori. E narra loro di noi. Quasi sempre il paziente tenta di portare nella relazione di cura con il medico e l’infermiere la paura, l’agitazione, il disagio per un possibile cambiamento corporeo. Quando si partecipa a convegni sulla relazione con la persona sofferente, spesso si sente sottolineare quanto sia importante che questi vissuti vengano accolti e compresi. La realtà però è molto diversa. Spesso le visite mediche sono scandite da tempi estremamente ridotti e da ritmi veloci; paziente e medico sono costretti ad una comunicazione essenziale e quasi sempre unidirezionale. Senza contare poi che molto raramente medici ed infermieri hanno avuto la possibilità di una formazione personale e professionale per la gestione del contagio emotivo della sofferenza. Il rischio è quindi quello che il paziente rimanga solo nell’angoscia di vedere sotto gli occhi il proprio corpo cambiare; di sentire sottovalutati i propri sentimenti e le proprie paure. Qualche volta, addirittura, perfino il sarcasmo non viene risparmiato, anche se come inopportuno risultato di un tentativo di aiuto. “… pensa, con i soldi che risparmierai dalla parrucchiera, potrai fare un sacco di altre cose…”, sempre Anna si sente dire durante un ricovero in day hospital da una operatrice, che - in perfetta buona fede - cercava di …tirarla su di morale. Se per una donna, è difficile far comprendere l’angoscia per le Come sostenere le Buone Notizie? Vedi a pagina 2 modifiche che le cure infliggono al proprio corpo, per un uomo spesso lo è molto molto di più. Ad un uomo si chiede… di essere forte. Come se un pianto, un silenzio, uno sguardo smarrito, fossero segni di una imperdonabile debolezza. Tanti anni fa, all’interno di un reparto oncologico, condussi un gruppo di aiuto per signori che avevano subito interventi urologici importanti. Allora non si parlava ancora di chirurgia endoscopica, le operazioni erano molto estese e spesso lasciavano esiti importanti. Ricordo bene i loro racconti. Il bisogno disperato di dare parole ad un dolore troppo a lungo reso indicibile da assurde convenzioni. Nicola, un signore di circa sessant’anni, per la prima volta riuscì a raccontare della sua grande dispera- zione per la perdita completa della barba. La sua barba. A lui piaceva, la mattina, farsi la barba all’antica, con il sapone ed il rasoio a mano. Gli ricordava di quando suo padre un giorno, quando lui era un ragazzino, lo prese accanto a sé e gli insegnò come si faceva: “… mi sentii un uomo… quanto vorrei qui mio padre. Ora, accanto a me…” Ognuno di noi ha la sua vita e con essa la sua storia. Il proprio viso ne è il testimone attento e contemporaneamente depositario di ricordi antichi e cari. Ecco, perché è così importante e preziosa l’iniziativa all’interno di quei reparti. Anche ora, nonostante la fatica ed il dolore della malattia, io posso guardarmi allo specchio. E ritrovarmi. Paola Miccoli 30 Bastano Euro 11 Così agevoliamo lo sviluppo dell’individuo è di imminente attivazione il Corso base in abilità di Counseling, presso la Scuola Superiore Europea di counseling professionale del Centro Regionale ASPIC Emilia-Romagna di Bologna. Chiediamo alla dottoressa Giuliana Crisman, Anatomopatologo e Psicoterapeuta (i.f. ASPIC) che cos’è il Counseling? Il termine Counseling (o counselling secondo l’inglese britannico) deriva dal verbo to counsel, a sua volta derivante dal verbo latino consulo-ĕre, traducibile in “consolare”, “venire in aiuto”. La figura professionale del counselor nasce in America negli anni quaranta per venire incontro alla necessità di tutti coloro che “non desiderando diventare psicologi o psicoterapeuti svolgono un lavoro che richiede una buona conoscenza della personalità umana”. La professione del counselor approda poi in Europa attraverso la Gran Bretagna dove, in breve tempo, si afferma con ruoli e funzioni specifiche raggiungendo altri paesi europei, tra cui l’Italia. La prima scuola di counseling in Italia fu proprio l’ASPIC, fondata nel 1988. Da allora ficacia e dell’autodeterminazione, attraverso un orientamento alla consapevolezza ed alla valorizzazione delle risorse personali dell’individuo in un’ottica di integrazione, di responsabilità, di crescita e di sviluppo. In che cosa differisce, dunque, dalla psicoterapia? L’ambito circoscritto e specifico ove opera il counseling è stato già sottolineato, pertanto le due principali differenze tra il counseling e la psicoterapia sono: * la definizione dell’obiettivo concreto e del contesto spazio-temporale della relazione counselor-cliente; * l’esclusione della psicopatologia come settore di intervento. A differenza del paziente nella psicoterapia, il cliente nel counseling non ha bisogno di essere curato né aiutato a superare una sofferenza psicologica, ma si avvale delle competenze del counselor come sussidio delle capacità che già possiede in modo da conseguire gli obiettivi che desidera, nei modi e nei tempi che gli sono consoni. sono nate molteplici scuole, istituti, centri di formazione volti alla preparazione di validi professionisti con competenze di counselor. Inizia così a svilupparsi un’attività professionale che si focalizza sul concetto di salute, inteso come sviluppo e promozione del benessere, dell’autonomia, dell’autoef- I campi di intervento del counselor sono perciò definibili con estrema facilità determinando dei semplici punti di riferimento che si evidenziano in base alle specifiche formazioni professionali. In quali contesti è possibile operare il counseling? In teoria non esiste un campo di attività specifico per 12 il counseling. Se pensiamo al suo ruolo come la persona che favorisce lo sviluppo e l’utilizzazione delle potenzialità già insite nel cliente, aiutandolo a superare quei problemi di personalità che gli impediscono di esprimersi piena- mente e liberamente nel mondo, ci rendiamo immediatamente conto che tutto questo può avvenire in ogni tipo di contesto. Chiediamo alla dottoressa Niamh Warde, Psicologa e Psicoterapeuta (i.f. APSIC) come si può accedere ad un corso di formazione al counseling a Bologna? Presso la Scuola Superiore Europea di Counseling professionale del Centro Regionale ASPIC Emilia-Romagna di Bologna in via De Giovanni 18/2 è in attivazione il “Corso Base in abilità di counseling”. Il corso base è articolato in quattro weekend intensivi (sabato: 15-19, domenica: 9-13 e 14-18) nell’ambito dei quali verranno affrontati i seguenti argomenti: - I principi della comunicazione efficace; - Empatia e ascolto attivo nella relazione; - Empowerment (processo di crescita, sia dell’individuo sia del gruppo, basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale) di sé e dell’altro; - Assertività nelle relazioni professionali e personali; - Gli ostacoli alla “buona” comunicazione. A fine corso viene rilasciato un attestato di partecipazione ed è accreditato per gli ECM per le professioni sanitarie. è possibile avvalersi dell’aiuto dei counselors presenti al Centro Aspic Bologna come clienti? I Counselors della sede ASPIC di Bologna, sul territorio da molto tempo, hanno inoltre promosso l’apertura di un Centro di Ascolto rivolto a tutti coloro i quali avvertano la necessità di un sostegno in un momento particolare della propria vita. Non vi sono limiti di età o di professionalità: le difficoltà nell’affrontare un anno scolastico impegnativo, un blocco che impedisce il superamento di esami universitari o di portare a compimento il percorso di studi, una crisi di coppia, la nascita di un bambino che ridefinisce gli equilibri all’interno di una famiglia, una separazione, un lutto, la perdita del posto di lavoro, la diagnosi di una malattia rappresentano tutti momenti di forte stress, di cambiamento, di disorientamento. Ecco che il Centro di Ascolto, aperto dal Lunedì al Venerdì offre la possibilità di una consulenza professionale su queste tematiche, oltre ad uno spazio di condivisione e sostegno. Per informazioni è possibile visitare il sito www. aspic.bologna.it, la pagina Facebook digitando nel motore di ricerca “ASPIC Bologna”, via email scrivendo a [email protected], oppure telefonando ai numeri 0518495763 e 339-2494997. Donatella Bruni Artemisia, un toccasana che viene dalla natura U n’antica erba della medicina cinese potrebbe rivoluzionare le cure per i tumori. Si chiama Artemisia Annua o “erba magica” proprio per questo suo presunto potere. A sostenere l’efficacia delle cure a base di questa erba di origine cinese sono stati alcuni medici dell’Università della California che hanno condotto studi finalizzati a dimostrare che questa cura è efficace anche nella lotta contro il cancro. Questo perché l’artemisia interviene nella distruzione delle cellule tumorali del polmone, il che significa che controlla la crescita e la riproduzione delle cellule del cancro infatti, quando entra in contatto con il ferro, ne deriva una reazione chimica che produce i radicali liberi, che attaccano le membrane cellulari, smembrandole e ammazzando il parassita: attacca le cellule “cattive” e lascia quelle “buone” intatte. Questa erba venne dimenticata per un lungo periodo. Venne riportata alla luce negli anni settanta, ricercando antiche ricette contro la malaria, e attualmente il suo uso è diffuso in Asia e in Africa per combattere le malattie trasmesse dalle zanzare. Era il 1994, quando si iniziò ad ipotizzare che il processo potesse funzionare anche con il cancro infatti le cellule cancerogene necessitano di tanto ferro per la riproduzione del DNA nella divisione cellulare e per questo motivo, la concentrazione di ferro è più elevata nelle cellule tumorali che in quelle normali. L’idea fondamentale era di “gonfiare” le cellule cancerogene con il massimo di concentrazione di ferro, quindi introdurre artemisinina per uccidere, in modo selezionato, il cancro. Dopo otto ore erano rimaste solo il 25% di cellule cancerogene ma dopo 16 ore quasi tutte le cellule erano morte. Nel caso della leucemia le cellule cancerogene furono eliminate in otto ore. Una spiegazione potrebbe essere quella del livello di ferro nel- le cellule della leucemia, che hanno la concentrazione più alta di ferro di tutte le cellule cancerogene. Ovviamente studi più pro- fondi andrebbero eseguiti. Se questo procedimento adempirà le aspettative, rivoluzionerà il trattamento di alcuni tipi di cancro. Un altro vantaggio sarebbero i costi ed inoltre si può affermare , grazie alle migliaia di persone che hanno già provato l’Artemisinin per il trattamento contro la malaria, che è senza effetti collaterali. Non resta che aspettare, perché la cura con l’erba Artemisia non è al momento una cura disponibile: può essere considerato come un farmaco in via di sviluppo, una goccia di speranza, dal momento che ogni giorno in Italia si diagnosticano mille casi di cancro. E allora non ci resta altro che “sperare”. Donatella Bruni Un complimento? Fa sempre piacere T utti lamentiamo, nel lavoro come nel tempo libero, la monotonia della routine, tutti ammiriamo chi, nell’arte come nella scienza e anche nel lavoro e nel gioco, si esprime creativamente; ma quando essere creativi tocca a noi, assumiamo spesso un atteggiamento di autocensura. Certo, la creatività non si impara e non è insegnabile, se non in piccola parte, ma è anche vero che non è prerogativa dei geni, ma è una risorsa di cui tutti disponiamo e che tutti dovremmo saper attivare. Per cominciare può essere sufficiente allargare la stima di noi stessi: controllare emotivamente il sospetto di essere capaci e stimabili. Poi dovremmo e soprattutto nel lavoro di gruppo, accettare di giocare con nuove regole e di non avere pregiudizi. Non solo nelle relazioni sociali, ma anche nel lavoro, sono sempre più frequentemente adottate le occasioni e le tecniche di sollecitazione del pensiero che si differenzia dalle procedure per risolvere dei problemi. Se i problemi sono nuovi, insomma, non basteranno per risolverli i metodi vecchi. Una volta su mille succede che quelle che sembravano sciocchezze o parole in libertà, erano inve- ce l’embrione di una novità preziosa. Diciamo che non possiamo sopportare l’adulazione, ma ci fa piacere una lode sincera. In realtà, però, una lode sincera, il più delle volte ci mette a disagio. Nonostante ciò anche se desideriamo e abbiamo bisogno dei complimenti, quando ce li fanno di solito non sappiamo come reagire. Probabilmente ciò si verifica, perché la gente accetta una lode con la stessa cautela con cui riceverebbe una bomba ben incartata. Molti sono convinti di dover ricambiare il complimento così come si sentono in obbligo di ricambiare un invito a cena. Alcuni, anzi, si agitano in maniera esagerata, pensando che i rapporti con la persona che ha fatto il complimento siano condizionati da fattori esterni e cercano di ricambiarlo al più presto. Una parte della società, fin da bambini, è stata abituata a non vantarsi e non gradisce sentirsi lodare per paura di sembrare presuntuosi. Chi fa un complimento assume, temporaneamente, la veste di giudice, pertanto chi lo riceve può aspettarsi di essere criticato la volta successiva. Poiché i complimenti, come ho sottolineato, possono suscitare delle ansie, è bene imparare anche a farli oltre che riceverli. Ma ci sono persone così abituate ai complimenti che, di fatto, sono incapaci di farne a meno. Credo che tutti noi dobbiamo imparare ad avere coscienza dei nostri pregi e difetti, per dare a noi stessi una valutazione abbastanza esatta della nostra capacità. Sì, è un fatto che abbiamo bisogno di un po’ di approvazione da parte degli altri. Non conosco nessuno che soffra per i troppi elogi. E’ che la maggior parte di noi è stata tanto rimproverata o criticata nella vita che, quando riceviamo un complimento, non crediamo che sia vero. Forse il segreto più importante per apprezzare un complimento sta nel sapere come rispondere. Un semplice “grazie” è di solito la risposta migliore con l’intento, comunque, di fare sempre meglio per ottenere sempre più complimenti. Giorgio Albéri 13 Se a 85 anni il lavoro è ancora fondamentale “I l lavoro mi piace, mi affascina. Potrei starmene seduto per ore a guardarlo!”scriveva Jerome k. Jerome, l’autore del libro: “Tre uomini in barca”. Eppure dopo più di 85 anni che lo fa, Irving Kahn non è stanco del suo lavoro e, per lui, esso è un’autentica droga che non lo stancherà mai. Ha iniziato nel 1928, prima della “grande depressione” del 1929, che mise sul lastrico stuoli di milionari e creò una povertà diffusa. E, ancora oggi, a 108 anni, Irving Kahn si reca in ufficio a Maddison Avenue, nel cuore di New York, dove compera e vende azioni per la sua azienda: la Kahn Brothers e per i clienti cha a loro affidano i risparmi. è longevo di una famiglia di longevi: il fratello più giovane ha 103 anni e due sorelle sono morte ultracentenarie. Irving Kahn, ha consegui- to il master alla Columbia Business School ed è stato un assistente di Benjamin Graham e tuttora continua ad ispirarsi agli insegnamenti del suo maestro. Ammonta a più di 700milioni di dollari il portafoglio che Irving Kahn gestisce, assieme ai figli, per i clienti della Kahn Brothers. La filosofia di Benjamin Graham era basata sulla prudenza: lui era l’inventore del “value investing” che 14 si basa su alcune considerazioni sul come valutare il valore di un titolo. Come il suo maestro, il discepolo Irving Kahn guarda, infatti, alla dimensione dell’azienda: per Benjamin Graham, le industrie dovevano avere un fatturato di almeno 100 milioni di dollari; il totale degli “assets” - il patrimonio in senso lato - doveva avere un valore pari almeno al doppio dell’indebitamento; vi deve essere stato costantemente “un qualche guadagno” negli ultimi 10 anni; vi deve essere stato il pagamento continuo di dividendi negli ultimi 20 anni ed altri concetti ancora. Si tratta di fare investimenti molto prudenti e la prudenza non va certo di moda ai giorni nostri. Non va di moda nel mondo degli affari e neanche nella vita in generale. Eppure la prudenza può essere un modo per mantenere il benessere in una famiglia, od in un’azienda: la sua finalità è la preservazione dell’individuo e della specie. C’è chi adora i soldi, non so se sia il caso di Irving Kahn, c’è chi odia i soldi: “lo sterco del diavolo!” e c’è chi rispetta il denaro e ne è consapevole della necessità di queste monete, banconote e carte di credito, ma di esse non n’è schiavo. Vi deve essere, infatti, il rispetto per i denaro ma, anche, la consapevolezza che un uomo rimane tale, solo se si considera il denaro uno strumento e non un fine; se, insomma, egli si rende conto che un gior- no lascerà i beni di questo mondo ed essi, come il suo corpo, marciranno. Il modo con il quale un uomo si rapporta al denaro può, indubbiamente, fare la differenza tra una brava persona ed una da cui gli altri esseri umani preferiscono stare volentieri alla larga. Il rapporto con il denaro può rendere una persona avara o altruista, un tiranno o un filantropo. E la mente si può ammalare tra deliri di ricchezza e di conseguente onnipotenza e deliri di rovina. Il delirio è, per definizione, una interpretazione alterata della realtà quindi riguarda la psicopatologia. La “grandiosità” per la mancata consapevolezza dei propri limiti e la “parsimonia” si ritrovano con una certa frequenza in campo geriatrico. L’anziano torna un po’ il bambino che era con l’aggiunta del suo vissuto. Chissà che bambino era Irving Kahn? E chissà quale è il suo rapporto personale con il denaro? Proverà piacere a maneggiarlo o la sua soddisfazione è nel sentirsi incaricato di una responsabilità: quella di investire i risparmi di una famiglia? Si sa, che il decano di tutti gli agenti di borsa, legge due quotidiani al giorno, nonché numerose riviste ed un libro di scienza tutte le settimane. Egli mantiene una sana curiosità per tutto ciò che lo circonda: il cervello ha bisogno di stimoli. L’uomo ha bisogno di progetti e suo figlio, Thomas, dice che: “invecchiando si diventa più saggi”. Forse il mondo ideale dovrebbe essere un mondo senza denaro il quale denaro, oltre ad essere fonte di invidia - la madre dell’odio - può, effettivamente, creare ingiustizie ed essere responsabile di tumulti e guerre. Per quanto tempo ancora un quarto del mondo potrà continuare a detenere le ricchezze, incurante della povertà di miliardi di persone? Dicono che: “il denaro fa girare il mondo”, non so se sia così ma, per esso, un uomo di 108 anni si reca tutti i giorni in ufficio ed è l’agente di borsa più vecchio del mondo, sempre alla ricerca di un buon affare. A pensarci bene, Irving Kahn potrebbe diventare l’eroe dei vari ministri del welfare in tutto il mondo: la dimostrazione vivente che si potrebbe spostare l’età pensionabile, magari, a 110 anni e...riuscire a risparmiare tanti soldi! Stefano Crooke Inseguo la Pop Art ma sogno sempre Bologna D i origini tedesche, la giova n e S a r a h Corona si è trasferita a Bologna per intraprendere studi d’arte. Per quanto poi, una volta trovata la chiave, non si è di certo fermata davanti agli ostacoli, ma, anzi, si è rimboccata le maniche e ha proseguito verso il suo innamorata di quella che oramai era diventata la ‘sua’ città, ovvero Bologna, a un certo punto ha avvertito l’esigenza di evadere da una realtà divenuta forse un po’ troppo stantia. E così ha deciso di spiccare il volo verso lidi lontani, trovando nella Grande Mela il punto di partenza di un cammino professionale nuovo. Sono bastati pochi mesi a Sarah per capire quali fossero le tendenze dell’arte contemporanea in America, obiettivo: fare. Da qui la nascita di ben tre gallerie pop-art, a proposito delle quali sarà la stessa curatrice a parlarcene…. Sarah, come mai ha deciso di lasciare Bologna? Forse offriva poche opportunità lavorative? A Bologna ho lavorato parecchi anni come assistente di galleria, poi ho sentito la necessità di respirare aria nuova e di cambiare vita. Così ho pensato di trasferirmi oltreocea- no e di intraprendere l’attività di curatrice indipendente di mostre e consulente. Al momento lavoro prevalentemente con artisti giovanissimi. Inoltre, ritengo che un’esperienza all’estero sia sempre molto formativa e utile a livello professionale. Tuttavia, rimango molto legata a Bologna e credo abbia tantissimo da offrire, perciò prima o poi vorrei tornare. Forse per seguire più da vicino il portale da lei ideato…. ’www.b-a-g.net’ è un portale gratuito per la comunicazione delle attività delle gallerie giovani a Bologna. Lavorando in una galleria mi sono accorta che in città mancava un servizio di questo tipo e quindi l’ho creato io. E invece in America di cosa si occupa? Tr a i l r e p o r t a g e sull’arte e il coordinamento di un corso per giovani curatori, è nato Il progetto ‘sarahcrown’ con l’obiet- tivo di ‘svecchiare’ il concetto tradizionale di galleria. Iniziato come gioco l’anno scorso, ho aperto delle ‘pop-art gallery’, ovvero delle gallerie temporanee ricavate dal recupero di spazi abbandonati. Finora ne ho aperte tre, una nel Lower East Side, una a SoHo e l’altra nell’East Village. Più una mostra collettiva a TriBeCa, realizzata insieme ad altre due curatrici. In questo modo tutte le persone coinvolte nel progetto ne traggono vantaggio: il proprietario del locale (che si ritrova il proprio immobile, messo a nuovo gratuitamente), i giovani artisti (che hanno una vetrina per farsi conoscere) ed io che posso usufruire di uno spazio espositivo slegato dalle regole del mercato. Con che fondi ristruttura i locali? In parte grazie ad un team-working ed in parte grazie a degli sponsor. Spesso anche le persone del quartiere aiutano a sostenere il progetto, anche senza richiedere in cambio niente, poiché mossi dalla volontà di socializzare e vivacizzare la zona. Insomma, un po’ come a Bologna…. Sarebbe bellissimo se fosse così! Diciamo che oggi in America il mercato dell’arte, soprattutto giovane, funziona meglio. Le piccole gallerie riescono a vivere e a portare avanti la loro attività, ci sono format diversi, più sostengo da parte della città, mentre in Italia, oggi come oggi, mi sembra ci sia una situazione un po’ meno favorevole. Sono però convinta che con determinazione e spirito d’impresa si possano raggiungere (quasi) tutti gli obiettivi anche nel Bel Paese. Manuela Valentini 15 La fattoria di Federico Fiabe per bambini, genitori e nonni E dopo l’amore, parliamo di cinismo e cattiveria. I FURBI E I FESSI M olto tempo fa, quando Pietro, la carpa, era ancora giovane, un drammatico evento aveva messo sottosopra lo stagno e i suoi abitanti. Una sera di fine estate, alla tana di Ugo, il ranocchio, si era presentata una biscia d’acqua, di quelle che abitano i fossi e gli stagni. Lidia, si chiamava ed era giovane, flessuosa e di modi garbati. Chiese ad Ugo se poteva, per quella notte, pernottare nello stagno e domandava, cortesemente, se aveva qualcosa da darle da mangiare, giusto qualche larva, un pizzico di mosche, un po’ di zanzare; stava facendo un lungo viaggio ed era stanca ed affamata. Ugo, favorevolmente colpito dalle maniere gentili e dal piacevole aspetto di Lidia, la invitò ad entrare e divise con lei, visto che avevano gli stessi gusti, il pasto serale. La biscia, per sdebitarsi, volle raccontare ad Ugo e alla sua famiglia, che le si era stretta intorno, qualcosa del paese da cui veniva, proposta che fu accolta con piacere: il racconto avrebbe attenuato la monotonia della serata, non passava di lì mai nessuno e da tempo non vi accadeva nulla d’interessante. “È un posto molto bello, quello da cui provengo – cominciò a raccontare Lidia – gli inverni sono miti, le tane sono luminose e confortevoli, il cibo abbondante per tutti e non occorre lavorare per procacciarselo”. “Dov’è questo paese?” chiese 16 Ugo. “A un giorno da qui, verso est” fu la sua evasiva risposta. Poi, narrò loro una fiaba: di un drago tutto d’oro che piacque molto ad Ugo e alla sua famiglia. Il mattino seguente, al momento del congedo, il ranocchio chiese a Lidia quando sarebbe tornata a trovarlo. “Fra due giorni - gli disse – rientrando, passerò di qui con alcuni amici e vi racconterò un’altra fantastica storia”. “Bene, inviterò vicini e parenti che saranno felici di conoscerti e di ascoltarti” propose Ugo, “Ben volentieri, fa che siano numerosi!” gli rispose la biscia. Puntuale, due giorni dopo, Lidia si ripresentò accompagnata da due giovani amici, Piero e Daniela. Nella tana di Ugo c’erano molte rane, tutte desiderose di ascoltare le storie della simpatica serpe. Parlò ancora del fantastico paese in cui abitava e narrò loro un’altra bellissima fiaba: di una fontana le cui acque facevano ringiovanire chi le beveva. Alcuni dei presenti chiesero a Lidia se potevano andare con lei, erano curiosi di visitare quel meraviglioso paese; il rettile si disse felice di poterli ospitare. Quindi si misero in cammino, rifiutando il rinfresco a base di mosche e larve che i ranocchi avevano preparato per loro: “Grazie, ma non disturbatevi, mangeremo qualcosa strada facendo– disse Lidia – abbiamo portato con noi una gustosa merenda; tornerò a trovarvi la prossima settimana Testo di Federico Nenzioni Disegni di Rosa Pesci carpa a trarla, in versi, naturalmente: Gira il mondo, gira in tondo c’è chi sale e chi va a fondo c’è chi è abile e c’è chi è gonzo c’è chi mangia e chi è mangiato qual è il senso del creato? Qual è il nesso? C’è chi è furbo e c’è chi è fesso Appendice e mi auguro che siate ancor più numerosi di oggi”. Pietro, la carpa, venuto a sapere quanto stava accadendo in superficie, chiamo a sé Ugo e gli ordinò di tenere lontano le bisce dal loro mondo, perché crudeli e bugiarde. Il ranocchio, punto sul vivo, gli rispose, anche a nome della sua comunità, che lui, Pietro, costretto dalla natura a vivere sul fondo fangoso dello stagno, non era in grado di giudicare le scelte di vita degli animaletti di superficie. Che il paese delle bisce esiste veramente ed è così meraviglioso che chi c’era stato non l’aveva poi più lasciato. Pietro, impermalito, come faceva di solito quando era arrabbiato, si nascose sotto il fango del fondo a meditare, dimenticandosi completamene di quanto stava accadendo a pelo d’acqua. Trascorsa una settimana, Lidia tornò potando con sé, oltre a Piero e Daniela, anche Mariangela e Laura. Ad accoglierle era lì convenuto un gran numero di rane che si accalcavano davanti alla tana di Ugo, ormai strapiena. Lidia, soddisfatta, cominciò a raccontare la storia di alcune rane che si erano lasciate abbindolare da delle astute bisce che avevano fatto loro credere che venivano da un paese meraviglioso. Quando, poi, alcune di esse erano andate con loro per visitarlo, se le erano pappate tutte strada facendo. A questo punto, a quelle povere meschine si aprirono gli occhi, ma ormai la trappola era scattata e molte di esse finirono nei famelici ventri di quegli ingordi rettili. La morale fu Pietro, la saggia Non attribuire a consapevole malvagità ciò che può essere adeguatamente spiegato come stupidità. Non sottovalutare mai il potere della stupidità umana. Robert Anson Heinle Il tema di questa fiaba è la cattiveria. Diverse possono essere le cause di un’azione riprovevole: ignoranza, superficialità, egoismo, stupidità. Ma nel nostro caso ci troviamo di fronte ad una cattiveria che possiamo definire istintiva, cinica e crudele. Quelle bisce sono cattive per il piacere di esserlo e praticano la loro perfidia in modo sistematico, traendone un perverso piacere. Prima di far scattare la loro trappola, preparata con cura, si divertono a rivelare a quegli sciocchi ranocchi i particolari della loro trama criminosa con perfido cinismo, godendo della loro paura. Il cinismo è un atteggiamento di disprezzo nei confronti di qualsiasi ideale e sentimento. Un’azione riprovevole può essere dovuta alla scarsa o nulla conoscenza di una circostanza; in questo caso è involontaria. Prima d’intraprendere un’azione è bene prevedere le conseguenze che potrebbe causare. Più gravi e riprovevoli sono le azioni generate dall’egoismo. Gli egoisti vivono rinserrati in loro stessi, dediti esclusivamente al loro tornaconto personale, sordi ai bisogni e alle aspettative degli altri. Queste persone finiscono per essere emarginate e, dato che ciascuno di noi per realizzarsi ha bisogno del prossimo, ne trarranno un grave danno.
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