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Cooperativa
Migros Ticino
G.A.A.
6592
S. Antonino
Settimanale
di informazione e cultura
Anno LXXVII
3 marzo 2014
Azione 10
M sho
alle pa pping
gine 3
3-45 /
51-61
Società e Territorio
Migranti e lavoro di cura:
una ricerca della Supsi indaga
il mondo delle badanti
Ambiente e Benessere
Il dottor Pierre Kahn, psicologo clinico
e psicoterapeuta, ci parla dell’importanza
di aiutare i giovani nelle fasi difficili
del loro ciclo di vita
Politica e Economia
Dopo la battaglia di Kiev
sale la tensione con la Russia
Cultura e Spettacoli
La Fondation Beyeler
di Basilea presenta un’ottantina
di opere di Odilon Redon
pagina 9
pagine 19, 20, 21
pagina 2
pagina 27
Avanti il prossimo
RSI, un direttore nuovo
Uomo della Provvidenza per una televisione in mutamento
Anche questa volta l’Italia non sfugge alla tentazione di affidarsi all’«Uomo della
Provvidenza» per salvare miracolosamente il Paese dal disastro imminente. Dopo
il Ventennio berlusconiano e lo sfascio politico, morale, economico che ne è seguito, l’unica alternativa praticabile era incarnata dal sindaco di Firenze Matteo
Renzi. Profilatosi come «rottamatore» delle cariatidi di un Partito Democratico
ormai svuotatosi della spinta ideale del Partito Comunista Italiano attraverso le
metamorfosi degli ultimi 20 anni, viene ora elevato a demiurgo cui è affidata la rinascita del Belpaese. La scalata di Renzi alla presidenza del Consiglio era solo una
questione di tempo, un fatto ineluttabile, per cui la poco elegante defenestrazione
di Enrico Letta da Palazzo Chigi ha certo dato fastidio a tanti, anche fra i sostenitori di Renzi, ma è stata archiviata come un mal di pancia passeggero. Perché Matteo Renzi, caustico golden boy toscano, era ormai l’ultima spiaggia per un Paese
profondamente diviso e disorientato.
Renzi piace: sprizza simpatia, è giovane e spregiudicato, ha la battuta pronta
(da ricordare quella sui grillini: dobbiamo volergli bene a quelli, con il capo che si
ritrovano), entusiasmo, carisma, intelligenza, baldanza, ambizione; possiede, insomma, in sufficiente misura le qualità berlusconiane che hanno stregato gli italiani, tanto da poter mettere in soffitta il vecchio Berlusconi. Perlomeno, non affronta la sua «discesa in campo» nella politica nazionale con il conflitto di interessi del Cavaliere che tanto inquinò la sua azione politica. E ha avuto il coraggio di
affermare che se il suo governo fallirà, la colpa sarà sua – una novità, nel mondo
politico italiano e non solo. Ma, qual è il suo programma, quali ingredienti hanno
le sue ricette per risollevare l’economia e ridare fiducia agli italiani? Con gli «Uomini della Provvidenza» il rischio è che il leader diventi il programma, anziché
averne uno. Fin qui la lacuna principale del nuovo capo del governo italiano è stata di dire che cosa farà ma non come lo farà. In che modo riuscirà a spendere, investire e ridurre le imposte se le casse dello Stato sono ancora vuote? Come avvenne con Obama negli Stati Uniti, Renzi sta sollevando enormi aspettative e verrà
misurato sulle promesse mantenute e soprattutto su quelle tradite. E non sono
promesse da poco: la riforma del lavoro in marzo, della pubblica amministrazione
in aprile, del fisco in maggio – come ha scritto Beppe Severgnini sul «Corriere della Sera»: «tre mesi per tre cose che aspettiamo da trent’anni? Auguri». Analizzando un po’ più da vicino i vari proclami che ha fatto negli scorsi mesi, non si vedono ancora i contorni di una visione politico-economica coerente e capace di fare
l’unanimità neppure all’interno del suo partito. Anche la compagine governativa,
al di là del fatto che conta solo 16 ministri di cui la metà donne, non brilla per
competenze (eccetto Gian Carlo Padoan, ministro dell’economia, da ascrivere
all’orbita di Enrico Letta e di Massimo d’Alema).
Nonostante le perplessità diffuse, Renzi parte con un vasto sostegno, che si
estende anche oltre i confini del suo partito. La sua popolarità si misura anche con
la quantità di persone che sta oggi «accorrendo in aiuto al vincitore». Oggi come
oggi, ha il potenziale di rubare voti sia a destra (in particolare a Forza Italia), sia fra
i sostenitori di un sempre più autoritario e sconcertante Beppe Grillo. Hanno capito bene che aria tira anche i transfughi del Polo della Libertà che fanno capo ad
Angelino Alfano, che hanno rapidamente ingoiato il rospo della perdita della vicepresidenza del Consiglio e di qualche poltrona ministeriale, pur di restare ancora per un po’ nella stanza dei bottoni. Tuttavia, Renzi farà bene a guardarsi dagli
abbracci e dalle esternazioni di stima che provengono dal paludoso mondo politico italiano: in questo parlamento, in cui ha contro di sé il Movimento 5 Stelle e
Forza Italia, non ha una maggioranza politicamente coesa e coerente. La sua iniziale spinta politica potrebbe venire frenata, logorata, infine svuotata, lasciando le
cose come stanno oggi, cioè: male.
Ma il rischio maggiore che Renzi corre è insito nella tradizione italiana di delegare la realizzazione di un futuro migliore all’«Uomo della Provvidenza», perché una volta di più libera i cittadini dall’assumersi le responsabilità che spettano
loro. In effetti, l’immagine di una casta politica malata, corrotta, incapace e di una
società civile virtuosa è artefatta. In realtà, quel mondo politico è espressione e
specchio di una società che conosce gli stessi mali: divisione, astio, corruzione, cinismo, scarso senso di solidarietà e dell’interesse comune. Se la maggioranza degli
italiani non riscopre la virtù di riflettere e agire in favore della collettività anziché
del proprio tornaconto personale, non basteranno mille Renzi (come non bastò
Garibaldi e i suoi Mille) per cambiare l’Italia.
di Antonella Rainoldi
pagina 29
Stefano Spinelli
di Peter Schiesser
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Società eTerritorio
Il parco di Villa Argentina
A Mendrisio non si placa la polemica su uno
dei pochi spazi verdi rimasti, sarà il Consiglio
comunale a pronunciarsi sul suo futuro
Genere e professioni
In Ticino sono pochi gli uomini
che lavorano in settori considerati
«femminili» come gli asili nido:
l’esperienza dell’educatore Jacopo
De Pol
pagina 5
pagina 3
Casa o ospedale?
Due luoghi non più
inconciliabili, un’alternativa
che presuppone il diritto di scelta
dei pazienti, ma quali le
conseguenze psicologiche
e familiari? Un seminario voluto
da Associazione Triangolo
e Fondazione psico-oncologica
si è chinato sull’argomento
pagina 6
Il lavoro
della cura
Badanti La Supsi ha appena concluso
una ricerca sulle condizioni di lavoro e di vita
delle lavoratrici immigrate
giorno, quando le condizioni saranno
buone, anche gli svizzeri vorranno farlo. I problemi principali che esprimono (la ricerca Supsi ha intervistato 35
donne provenienti dall’Est Europa) sono: mancanza di privacy almeno durante le ore di riposo, cioè assenza di
un luogo dove andare per «staccare»
veramente; turni lunghissimi e sfiancanti di notte e giornate senza tregua;
scarsa considerazione da parte della famiglia, come se la badante fosse una di
quelle domestiche di un tempo, che
deve occuparsi di tutto, dalla spesa alle
cure, alla compagnia, alla pulizia, non
solo per la persona accudita ma anche
per i figli e chi le sta intorno.
«C’è sicuramente un problema culturale – spiega Paola Solcà, responsabile del progetto di ricerca della Supsi –
perché alcune lavoratrici immigrate
hanno espresso rammarico per essere
trattate come fornitrici di servizi, per
non sentirsi parte della famiglia, perché
nessuno ha mai chiesto loro chi sono,
da dove vengono, che storia hanno. È
come se una badante fosse una badante
e basta, non una persona, che, tra l’altro,
spesso ha figli lontani al suo Paese da
mantenere di cui ha nostalgia».
«D’altro canto – prosegue la ricercatrice – i problemi sono molto concreti e riguardano le situazioni di coabitazione in cui è difficile, se non impossibile, operare una distinzione tra
tempo di lavoro e tempo libero. Parliamo di un mestiere duro e pesante in
termini psicologici, di grande responsabilità, con persone a volte affette da
Alzheimer, che hanno bisogno di
un’assistenza continua. La badante si
pretende sia disponibile 24h/24 con un
giorno e mezzo di pausa alla settimana.
Ma nei momenti liberi deve esserci
qualcun altro a casa, il che non sempre
avviene, se no per loro diventa impossibile ignorare le chiamate della persona di cui si occupano».
Un punto fondamentale è dunque
cercare soluzioni abitative diverse. Ci
sono esperimenti in Italia di «Casa delle
badanti», in cui alcune stanze sono disponibili a rotazione per chi ha giornata
di riposo e vuole avere un attimo per sé
stessa oppure per chi si trova in una situazione di transizione tra un lavoro e
l’altro; oppure si sta pensando a soluzioni di alloggi per anziani dove ognuno
continua a vivere in un appartamento a
sé stante, ma con le badanti «di condominio» che fanno i turni e vivono anche
loro in appartamenti contigui.
In Ticino c’è un’associazione senza
scopo di lucro, Opera Prima, nel cui comitato ora ci sono direttori di enti che si
occupano di anziani, invalidi e di servizi
di assistenza e cura a domicilio, che colloca badanti e fa da mediazione nelle case quando sorge un conflitto tra le parti.
L’ente pubblico nel 2010 ha messo in atto una sperimentazione con l’obiettivo
di definire una proposta di servizio badanti a livello cantonale. Il Servizio assi-
stenza e cura a domicilio del Mendrisiotto e del Basso Ceresio ha assunto direttamente il ruolo di collocare e inserire la badante e il servizio analogo del
Locarnese, lo ha fatto collaborando con
un’agenzia privata di collocamento.
«In alcune situazioni sarebbe opportuno inserire due badanti – aggiunge ancora Paola Solcà – ma questa soluzione diventa impraticabile, poiché
troppo cara per le famiglie. L’assunzione di una badante è la presenza di una
figura che somma quella professionale
e quella “filiale”. A mio parere questa
soluzione può funzionare finché la
persona anziana non si trova ancora in
una fase acuta. Quando si arriva al
punto che la badante non osa più nemmeno uscire a fare la spesa per paura di
lasciare solo il malato, è attiva giorno e
notte, allora sarebbe opportuno pensare ad altre strutture meglio attrezzate».
«Se cominciamo a parlare di nuove
concezioni di case per gli anziani –
conclude – si apre un mondo di possibilità, ancora in gran parte da studiare,
valutare, inventare, apposta per renderci migliori gli anni della quarta o
quinta età. In merito alle condizioni di
lavoro e di vita delle badanti coresidenti occorre uno sforzo congiunto tra
cantone, famiglie, associazioni e collettività affinché si possano superare situazioni che ricordano la servitù».
Settimanale edito dalla Cooperativa
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Cooperativa
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Sara Rossi
Da Oriente non importiamo più soltanto stoffe e spezie, ma anche amore
per i nostri genitori e nonni. La vita come è impostata oggi spesso non permette più di accogliere in casa propria i
parenti non più autosufficienti e la società è alla ricerca di soluzioni. Tra le
possibilità di affidare ad altri chi non
riesce più a vivere da solo ci sono gli
appartamenti medicalizzati, le case per
anziani sempre più accoglienti e specializzate e le «badanti» (useremo anche noi il termine più facile e comune
per designare chi svolge un lavoro di
cura vivendo a domicilio).
Il Dipartimento scienze aziendali
e sociali della Supsi si è interessato all’argomento Migranti transnazionali e
lavoro di cura e ha realizzato una ricerca su questo tema, strettamente collegato agli anziani, finanziata dal Fondo
nazionale svizzero per la ricerca scientifica. Perché parlarne tanto? Negli ultimi anni sono usciti vari articoli di
giornale, soprattutto dopo il suicidio
di due badanti nel 2012; l’anno
scorso il settimanale «Area» ha proposto un’indagine-denuncia sulla situazione di molte lavoratrici, i sindacati si
stanno mobilitando e i quotidiani hanno dedicato vari approfondimenti
sull’argomento. Perché? Perché è molto complicato. Il lavoro della badante è
invischiato con i sentimenti: i suoi,
quelli della persona curata e quelli della famiglia. Il datore di lavoro deve fidarsi della persona che assume a tal
punto da conviverci; la lavoratrice accetta compiti che includono dove e come vivere per mesi, forse anni; quando
il suo lavoro non servirà più, dovrà
cercarsi non solo un altro posto, ma
anche un altro alloggio. Come si può
controllare l’una e gli altri? Come istituire il rispetto del contratto, delle regole, dei limiti a un lavoro totalizzante,
di stretto contatto, che si svolge al
chiuso, nel privato, con la difficoltà per
la badante di lamentarsi di persone a
cui si sta affezionando e che sente molto più forti di lei sul piano sociale?
«È un mestiere bellissimo», mi
hanno confidato due badanti, una dopo l’altra, e una ha aggiunto che un
Azione
Il ruolo della badante spesso somma la figura professionale a qualle «filiale».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Pochi uomini negli asili nido ticinesi
Scelte professionali atipiche La segregazione dei generi nel mondo del lavoro è ancora forte ma c’è chi ha sfidato
retaggi culturali e abitudini sociali: l’esperienza di Jacopo De Pol educatore presso l’asilo nido Supsi di Manno
Valentina Grignoli
Che l’abito non fa il monaco lo si era capito da tempo. Quante volte abbiamo
sentito parlare di quote rosa nelle alte
sfere, di camioniste, fisiche nucleari,
elettriciste... eppure la segregazione dei
generi nel mondo del lavoro in Svizzera,
secondo un interessante studio del Fondo nazionale Svizzero per la ricerca
pubblicato lo scorso agosto, rimane una
caratteristica marcata. Ancora di più se
si prendono in considerazione uomini
che iniziano una carriera in un mondo
lavorativo socialmente – per abitudine
o naturale evoluzione? – legato alla sfera
femminile. Se ne parla poco, a volte chi
lo fa ha quasi il timore di sfiorare il tabù,
eppure ci sono sempre più uomini che
scelgono una professione «atipica» rispetto al loro genere.
Piace pensare che questa evoluzione possa tendere col tempo a una parità
che distrugga la segregazione dei generi,
poiché i vantaggi di una simile tendenza
non si contano neppure: dall’integrazione allo scambio e complemento di
competenze, dall’apporto di uno sguardo nuovo sul mestiere alla possibilità di
evoluzione di un’attività. Razionalmente, certo. Ma non tutti sono ancora
pronti a vedere un uomo nei panni di
un «mestiere da donna», e retaggi culturali, abitudini sociali, preconcetti prendono spesso il sopravvento, più di
quanto si creda.
Prendiamo per esempio il mondo
dell’educazione infantile: se già sono in
minoranza i maestri di scuola elementare, lo sono ancora di più quelli della
scuola dell’infanzia. E se ci addentriamo
nel mondo della prima infanzia, in Ticino, scopriamo che gli educatori attivi
negli asili nido si possono contare sulle
dita di una mano. Il fatto che dei neonati se ne debbano occupare prevalentemente le donne è uno di quei falsi miti
che si fatica a sfatare. Ma come all’interno delle famiglie l’equilibrio sta lentamente cambiando, con padri che si occupano sempre di più dell’accudimento
dei neonati sin dai primi giorni, così vediamo che anche nel mondo lavorativo
dedicato ai bambini molto piccoli pare
naturale l’avvento, seppure timido e
lento, di figure maschili.
Abbiamo voluto incontrare a tale
proposito Jacopo De Pol, educatore
presso l’asilo nido Supsi, a Manno, che
ci ha parlato del proprio mestiere e della
sua soddisfazione. «Il mio lavoro è stimolante! Si sta a contatto con diverse
persone, sempre: bambini, genitori e
colleghi. Inoltre ogni giornata è diversa
dall’altra», ci racconta Jacopo. Che
dell’eccezionalità del suo ruolo rispetto
alla società afferma: «La figura maschile
all’interno di queste strutture è ritenuta
da tutti importante, ma in realtà nel nostro contesto ticinese ve ne sono pochissime. Si tratta anche di riportare una figura genitoriale nel lavoro. Io non vado
a supplire il genitore, sia ben chiaro, ma
in assenza di padri i bambini possono
ritrovare delle figure maschili». Uno dei
motivi di questa penuria è anche la formazione, che spesso propone diverse
alternative come operatore sociale, alcune sembrano più attrattive o comunque offrono maggiori possibilità di
sbocco professionale, rispetto a quella
di educatore in asilo nido. È quello che è
successo ai compagni di studio o colleghi di stage di Jacopo, che hanno scelto
strade diverse, dove la richiesta di personale era maggiore.
La situazione negli asili nido in Ticino pare infatti essere abbastanza precaria, sia a livello salariale sia a livello di
posti vacanti. E si capisce che per un uomo, magari con una famiglia a carico, la
sicurezza è importante. Quindi è stata
proprio la passione per il mestiere a
spingere Jacopo De Pol a fare questa
scelta? «Io avevo, sin da piccolo, sempre
pensato di diventare educatore. Di lavorare nel campo dell’handicap. Avevo già
fatto esperienze formative interessanti,
ma ciò che permette la Supsi, come
scuola, è di fare esperienze diverse, e
l’ultimo stage che ho fatto è stato in un
asilo nido, a Mendrisio. Ho lavorato per
sei mesi e mi son trovato molto molto
bene, quindi ho proseguito nella stessa
struttura nel ruolo di supplente e poi ho
potuto continuare al nido della Supsi.
Da allora non ho mai neanche pensato
di cambiare».
Dopo nove anni che Jacopo si occupa di prima infanzia, l’idea di lasciare
il proprio lavoro non lo ha infatti mai
nemmeno sfiorato. Parlando di differenze tra l’apporto che può offrire Jacopo rispetto a quello delle sue colleghe:
«Credo che non sia particolarmente diverso, in fondo siamo tutti unici e quindi con delle caratteristiche personali.
Per esempio spesso si dice che l’uomo
Jacopo De Pol si occupa di prima infanzia da nove anni. (Vincenzo Cammarata)
abbia una disciplina più forte. Ma io, rispetto alle mie colleghe o a altre persone
con cui ho lavorato, mi sono già sentito
più accogliente. È vero che da parte del
bambino c’è una figura diversa con la
quale si può identificare, non solo una
donna. E magari è una figura che, in alcune famiglie, non è abituato a vedere
spesso». Quindi a volte ci sono bambini
che si affezionano maggiormente a te?
«Sì, come per tutti però, e la differenza è
sottile, non credo che sia perché io sia
un uomo!». Con le colleghe poi, Jacopo
dice di essersi sempre trovato molto bene, anche se unico uomo: «Sono a mio
agio, anche se non escludo che mi farebbe piacere, un giorno, che ci siano anche
altri uomini a fare questo mestiere. Da
parte delle mie colleghe sento molta stima, c’è una reciprocità in questo senso,
perché anche loro ritengono la figura
maschile in questo ambito molto importante».
Ma allora perché non ci sono praticamente uomini che fanno questa professione? «Credo che sia perché questo
ambito è davvero poco conosciuto. Solo negli ultimi anni è aumentata la richiesta e se ne parla di più. Certo, non si
vedono ragazzi fare questo mestiere,
per cui gli stessi, dovendo scegliere,
non si sentono di poterlo fare. Inoltre a
livello ticinese, c’è un grande bisogno,
una forte richiesta, ma sono troppo poche le strutture che offrono buone condizioni di lavoro e che danno la disponibilità di una formazione».
Nella speranza che con il tempo la
situazione possa cambiare, scopriamo
che l’Associazione svizzera (Assai) e
quella ticinese (Atan) di Strutture d’accoglienza per l’infanzia, e il Centro di risorse in educazione dell’infanzia sono
attive nella promozione di un team misto negli asili nido attraverso opuscoli
orientativi e vere e proprie guide per le
strutture d’accoglienza. Per quanto riguarda la formazione, inoltre, sono ben
quattro le possibilità di studio che portano a fare lo stesso lavoro di Jacopo: la
Scuola specializzata per le professioni
sanitarie e sociali, la Scuola cantonale
per operatori sociali, la Scuola Specializzata Superiore e la Supsi (DSAS), quindi
l’offerta non manca, sia di percorsi sia di
differenti diplomi. Forse è proprio una
questione di tempo e evoluzione, e sì,
anche di rottura di schemi e preconcetti.
museo, allestito con dei vecchi macchinari, tra i quali un alternatore di più di
100 anni, che mi ha lasciata a bocca
aperta. Abbiamo anche potuto fare un
giro nella sala di comando, una specie
di balcone avvolto in una grande vetrata, che custodisce i controlli automatici
e dove, ogni sera, viene stampato un foglio con i dati della giornata.
Un ascensore ci ha condotto sotto il livello dell’acqua. Non riuscivamo proprio a trattenerci dal ridere, perché le
nostre orecchie si stavano tappando,
proprio come in aereo. Quando ci hanno detto che in passato, prima della costruzione dell’ascensore, bisognava fare
ben 1400 scalini, ci siamo però subito ricomposte. Il rumore era assordante, a
causa dei motori delle grandi turbine,
che pesano ben 30 tonnellate; mentre
degli operai stavano provando gli allarmi. Mi sono anche spaventata un pochino, ma non fa niente. All’uscita ci hanno
presentato quanta corrente si produce e
si distribuisce in Ticino: impressionante! Poi ha iniziato a piovere, purtroppo.
Abbiamo comunque fatto una passeggiata sulla diga e ci siamo chieste se qualcuna di noi volesse tuffarsi nel lago. Nessuna si è offerta, per fortuna.
In seguito ci siamo diretti negli archivi
della ditta Lombardi. I primi progetti
erano tutti disegnati a mano, richiedendo un lavoro di grande precisione. Oggi,
per fortuna, ci sono i computer che velocizzano non poco. Dopo aver guardato
la stampa di un progetto, siamo finalmente andate a mangiare una pizza in
un ristorante vicino, sempre accompagnate dagli ingegneri, con i quali abbiamo potuto chiacchierare tutto il tempo e
che ci hanno offerto il pranzo.
Abbiamo passato tutto il pomeriggio in
ufficio, svolgendo una serie di attività tipiche di un ingegnere. Prima ci hanno
fatto vedere una trasmissione sullo stu-
Anche perché Jacopo non ha mai avuto
problemi neanche con i genitori che accompagnano i propri figli: «Si potrebbe
pensare che alle famiglie risulti strano
dover lasciare il proprio bambino a un
uomo, ma è il contrario! Questo infatti
favorisce la mia figura rispetto alla madre, che non essendo in competizione, si
sente più a suo agio».
Sembra naturale a questo punto, la
via verso un’équipe di lavoro sempre
più mista, che della diversità faccia la
propria ricchezza. Anche se, ascoltando
Jacopo De Pol, diversità e normalità
sembrano solo parole: «Credo sia semplicemente naturale che una figura maschile abbia la possibilità di essere presente nella vita di ogni bambino. In famiglia e tra le mie amicizie ho sempre
riscontrato molto supporto, anzi grande stima. La mia scelta è sempre stata
motivo d’orgoglio, non tanto per un desiderio di voler far altro o andar contro
corrente, bensì come scelta di vita legata
al lavoro ed accompagnata al piacere
dello stesso. Normalità? Termine generico che probabilmente dice poco… Solo un pezzo di vita quotidiana che ogni
bambino ha il diritto di avere».
I ragazzi si raccontano di Thayla Belotti
Un tuffo in un mondo professionale
maschile
Un giorno come tanti altri, a metà settembre, il docente responsabile della
«Città dei Mestieri» ha presentato alla
mia terza media una giornata particolare, diversa dal solito, chiamata Nuovo
Futuro, organizzata dal «Servizio Gender» della SUPSI. I ragazzi avrebbero
potuto seguire un’attività tipicamente
femminile, mentre le ragazze sarebbero
andate in un luogo di lavoro prevalentemente maschile. L’idea mi è piaciuta subito. Ne ho discusso con i miei genitori e
ho completato il foglio ricevuto, anche
nello spazio previsto per illustrare la
motivazione, nel mio caso l’interesse per
l’ingegneria. I miei l’hanno firmato e così l’ho potuto consegnare. Qualche settimana dopo ho saputo di essere stata accettata. Ne ero felice.
E poi è arrivato il fatidico giovedì 14
novembre. Mi sono svegliata di buon
umore, contenta di poter vedere con i
miei occhi uno studio d’ingegneria. Il
tempo era bello, con un sole splendente, pronto ad accompagnarmi nel breve
viaggio dal Gambarogno fino a Minusio, presso la sede della ditta Lombardi
S.A. Una volta arrivata, sono stata accolta da una signorina in segreteria, che
mi ha regalato una penna e una descrizione della ditta. Essendo molto in anticipo, mi sono divertita a osservare
l’entrata dei dipendenti che, tutti, mi
hanno salutato, facendomi sentire subito a mio agio. Progressivamente sono
giunte anche le mie compagne. Alla fine eravamo sette, di tre classi diverse,
tutte della mia scuola.
Al termine di una breve introduzione,
due simpatici ingegneri ci hanno guidato a visitare la diga della Verzasca. È stato il momento più bello. Ho scoperto
che la sua altezza è di ben 220 metri. Siamo entrati in una specie di corridoio-
dio, che abbiamo commentato rispondendo a una serie di domande. Poi ci
hanno chiesto di mettere in ordine cronologico delle foto che rappresentavano le diverse fasi della costruzione di
una casa. Infine ci hanno fatto disegnare la sezione del modellino di una casa
da diverse prospettive, partendo da alcuni affascinanti libri illustrati.
Rapidamente è giunta l’ora di compilare
il foglio di bilancio, prima di ringraziare
tutti per la disponibilità e di salutare. Ero
un po’ dispiaciuta. È stata una giornata
indimenticabile, che mi ha permesso di
vivere al quotidiano questo interessante
mondo professionale. A dire il vero, non
so se diventerà il mio. So però che mi
piacerebbe poter rivivere questa esperienza, ma in un altro ambito.
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su piumini
e cuscini
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Società e Territorio
I tormenti di un magnifico parco
Pianificazione A Mendrisio il Consiglio comunale dovrà decidere sul futuro del parco di Villa Argentina
e confrontarsi con le necessità dell’Accademia di architettura
Roberto Porta
«Guarda, anzi ascolta» mi dice un anziano signore incontrato qualche tempo fa
all’eremo di san Nicolao. Con la sua
chiesetta e il grotto, l’eremo è una piccola nicchia a strapiombo sul vuoto, aggrappata com’è alla parete di roccia che
sovrasta la città di Mendrisio. «Ascolta e
sentirai il lamento di questo territorio
che chiede, anzi che implora di essere finalmente lasciato in pace». Non ha tutti
i torti questo signore che non vuol essere citato, basta guardare verso il basso
per capire quanto il territorio di Mendrisio, e di tutto il distretto, stia soffrendo per l’incedere incalzante di catrame e
cemento. E in questo lembo di terra ci
sono di questi tempi due spazi verdi al
centro della contesa per la loro destinazione futura e forse anche loro implorano di essere lasciati in pace. Si tratta della zona di Valera, lungo il fiume Laveggio, tra Genestrerio e Ligornetto (confronta «Azione» del 10 settembre 2012)
e il parco di Villa Argentina a Mendrisio. Per parlare di questo parco partiamo da lontano, da quando è stata realizzata la villa che gli dà il nome. L’edificio
fu costruito dall’architetto Antonio
Croci, tra il 1876 e il 1878 ed inserito in
un’area verde di circa 46 mila metri quadrati, che fu trasformata in un vero e
proprio parco, con scuderie, serre e un
giardino all’inglese, con un intreccio di
scale e fontane. A quei tempi, nella parte
più alta, sulla collina, fu persino realizzato un belvedere con ali a pergolato.
L’intero comparto giunge poi ai giorni
nostri e nel 1985 l’allora Dipartimento
dell’ambiente lo inserisce, con un vincolo di protezione, nell’elenco dei monumenti storici e artistici del canton Ticino, definendolo un «raro esempio integro di spazio disegnato dell’Ottocento
nel Mendrisiotto».
Tre anni più tardi questa proprietà
viene venduta al comune di Mendrisio,
che l’acquista con un investimento di 3
milioni e mezzo di franchi. Una parte di
questa area, quella sulla collina, rimane
però di proprietà privata. Con la nascita
dell’Accademia di architettura la Villa
Argentina, posta all’entrata del parco,
viene ceduta all’ateneo che ne fa la sede
della propria direzione. L’accademia
costruirà poi in un settore del parco un
suo edificio, chiamato Palazzo Canavée,
Sulla questione
del parco di Villa
Argentina il
clima politico si
infiamma nel
2008, in quegli
anni nasce
un’associazione
in difesa
dell’area e viene
lanciata una
petizione
firmata da 2870
persone.
(CdT - Maffi)
dove oggi si trovano gli atelier, le aule
informatiche e gli spazi espositivi dell’ateneo. Già alla fine degli anni 80 del
secolo scorso, il comune di Mendrisio
ha dato mandato di allestire un piano
particolareggiato di Villa Argentina,
per definire e valorizzare l’aspetto urbanistico dell’intera area, che comprende
anche la vicina casa per anziani Torriani, ricavata negli spazi di quello che un
tempo lontano era l’Hotel Mendrisio.
Sulla questione di Villa Argentina il
clima politico si infiamma attorno al
2008 quando si viene a sapere che nella
parte alta del parco si progetta la costruzione di sei palazzine, a firma dell’architetto Giorgio Giudici, allora sindaco di
Lugano. Il piano regolatore considera
quei 18mila metri quadrati edificabili
ma una parte della popolazione non ci
sta. Nasce un’associazione in difesa
dell’area e viene lanciata una petizione
che verrà firmata da 2870 persone. «Un
magnifico parco per un magnifico borgo», questo il titolo della petizione che
ha l’obiettivo di salvaguardare anche la
parte alta del comparto, con il comune
esortato ad acquistare anche quest’ultimo settore ancora in mano privata.
A questo proposito nel corso del
2013, tra i proprietari e il Municipio si è
giunti ad un possibile accordo per un
prezzo di vendita che dovrebbe aggirarsi attorno agli otto milioni di franchi.
Ma con i tempi che corrono non sarà facile trovare in città una maggioranza
politica disposta ad un investimento di
questo genere. La risposta spetterà comunque al Consiglio comunale. Nel
frattempo però il Comune, in una variante del piano regolatore intende modificare la destinazione d’uso della parte
alta del parco da «abitazioni private» a
«edifici e attrezzature pubbliche di interesse comunale» e ha sottoposto questa
modifica all’esame del Dipartimento
del territorio, che ha risposto con toni
piuttosto critici un anno e mezzo fa.
Perplessità dovute non alla modifica
della destinazione d’uso ma ad altre
probabili costruzioni. Il legislativo cit-
tadino, infatti, dovrà presto confrontarsi anche con le necessità della vicina Accademia di architettura. Nel concreto si
tratta di realizzare due nuovi edifici.
Dopo Canavée 1, l’ateneo ritiene che
per poter funzionare al meglio dovrà
costruire anche Canavée 2 e 3, per destinarvi in particolare i nuovi atelier per i
lavori pratici degli studenti. «Non sarà
una costruzione nel parco» assicurano i
vertici dell’accademia, ma ai margini
dello stesso. I due edifici potrebbero
sorgere al limite del parco, in una zona
oggi comunque verde, da qui l’opposizione del Comitato del parco di Villa
Argentina, che in una recente lettera al
Municipio chiede che venga abbandonato l’obiettivo prioritario di sostenere
lo sviluppo del campus universitario. La
situazione per chi difende il parco si fa
comunque piuttosto ingarbugliata perché un conto è opporsi all’edificazione
di case private o – come per l’aerea di
Valera – alla costruzione di capannoni
industriali, un altro è invece contestare
l’ampliamento dell’ateneo di architettura, vero e proprio fiore all’occhiello della città di Mendrisio e anche di tutta la
Svizzera italiana.
In favore di chi lotta per la difesa
integrale dell’area c’è però il citato documento firmato dal Dipartimento del
territorio, in risposta alle modifiche
proposte dal Comune per il futuro assetto pianificatorio del parco. In quel testo vi si legge tra l’altro: «Mal si comprende, se non quale logica di carattere
economico, la necessità di confermare il
potenziale edificatorio del comparto,
pur modificandone completamente la
sua connotazione, da privata a pubblica. L’abbandono dei vincoli edificatori
vigenti deve favorire l’insediamento, se
del caso, di nuove strutture che garantiscano un rapporto equilibrato con il
parco sottostante e concorrano alla salvaguardia paesaggistica e monumentale di quest’ultimo». L’Accademia assicura di voler rispettare questi obiettivi.
La palla è comunque ora nel campo
del Consiglio comunale che dovrà discutere i prossimi sviluppi di questo
tormentato parco di Villa Argentina. E
non si esclude nemmeno che un giorno
o l’altro vi sarà persino un referendum.
Una cosa è certa: gli spazi verdi a Mendrisio continueranno a far discutere ancora parecchio.
Cronache di un’età interrotta
Videogiochi Broken Age di Double Fine è un gioco d’avventura
di «quelli di una volta» voluto e finanziato dal popolo della rete
Filippo Zanoli
C’era una grande attesa per questo Broken Age, uscito a fine gennaio per Pc dalle brillanti fornaci di Double Fine, e i
motivi sono diversi. Innanzitutto si tratta del titolo-simbolo di un’ondata/generazione di videogiochi finanziati «dal
basso» attraverso la piattaforma online
di raccolta fondi Kickstarter.com. Il progetto, lanciato da Tim Schafer uno dei
guru del videogioco d’avventura cervellotico (e ironico) degli anni ’90, aveva
entusiasmato le folle affamate di nostalgia. In molti desideravano un successore
spirituale a grandi giochi nello stile
dell’ormai defunta LucasArts come la
saga di Monkey Island, Day of the Tentacle o Grim Fandango.
Risultato: 3,45 milioni di dollari
raccolti in pochissime ore (contro i 400
mila richiesti dall’azienda) e una copertura mediatica invidiabile con tanto di
documentari a seguirne lo sviluppo che
non è stato affatto in discesa. Già dopo
circa un anno di lavorazione lo stesso
Schafer ha infatti dichiarato che, la
somma raccolta «non era sufficiente» a
coprire tutti i costi sollevando diverse
polemiche fra i finanziatori. Per questo
motivo il gioco sarebbe stato pubblicato
in due parti la prima, a pagamento,
avrebbe coperto i costi della seconda
(gratuita se si possiede la prima). Spreco? Sperpero? Oppure sviluppare videogiochi è più costoso di quanto si
pensi?
In ogni caso, dopo due anni di lavorazione, il primo atto di Broken Age raggiunge finalmente i computer (Mac,
Windows e anche Linux) con uno sbarco successivo su dispositivi mobile iOS
e Android previsto ma ancora da definire. Mantiene le promesse? In parte
senz’altro sì ma risulta anche un po’ limitato da questa sua violenta (e inorganica) cesura.
Ma parliamo del gioco. A differenza di molti altri titoli videoludici nell’ultima impresa di Double Fine avremo a
che fare con due protagonisti, due storie
che inizialmente ci parranno separate.
Si tratta di una coppia adolescenti in situazioni simili anche se apparentemente agli antipodi. Ad entrambi, infatti, è
stato imposto un destino scomodo a cui
faranno di tutto per sfuggire.
Una certa urgenza ce l’ha senz’altro
Vella, la protagonista femminile, abitante di un pianeta idilliaco, scelta come
agnello sacrificale per placare l’ira di
una divinità-mostro dal nome di Mog
Chothra. Meno drammatica, ma ugualmente opprimente, la situazione di
Shay prigioniero di un’astronave iperprotettiva progettata dai suoi genitori.
Assieme al lupo Marek cercherà di evadere dalla sua gabbia dorata e dare un
significato alla propria esistenza. Compito del giocatore sarà quello di aiutare i
due ragazzi a scardinare le barriere imposte loro e, raggiunta l’anelata libertà,
aiutarli ad affrontarne le imprevedibili
conseguenze.
Sin dal primo momento Broken
Age impressiona per la veste grafica
meravigliosa che ricorda un libro illustrato per bambini/ragazzi e che scorre
Vella e Shay, i due protagonisti adolescenti di Broken Age.
davanti agli occhi come i migliori film
d’animazione. Cura estrema anche per
quanto riguarda il doppiaggio (ovviamente in lingua inglese) con ugole
d’eccezione come Elijah Wood (la voce
di Shay) e il divo rock Jack Black. Ottima anche la scrittura e l’orchestrazione
narrativa e interattiva del gioco che
scorre senza intoppi da una meraviglia
e una sghignazzata all’altra. Colpisce
abbastanza duramente l’interruzione
del primo atto che coglie il giocatore un
po’ fra «capo e collo» con un colpo di
scena incredibile e ben orchestrato. La
durata? Attorno alle quattro orette, forse poche?
Tutto sommato, quindi, Broken Age
resta un ottimo titolo, consigliato a videogiocatori di tutte le età che non disdegnano di divertirsi con un gioco ispiratissimo e che, spesso e volentieri, farà
spremere loro un pochino le meningi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni
La sfortuna di stare bene
I quotidiani svizzeri danno notizia di
un rapporto dell’Organizzazione
mondiale della sanità che segnala
un’anomalia svizzera: i dati forniti
dall’OCSE indicano che in quattro
anni, tra il 2008 e il 2012, la quota di
giovani passati al beneficio di una rendita AI è cresciuto dell’11%. Sono circa
1300 i giovani ai quali è assegnata la
rendita per turbe comportamentali e
problemi psichici. Di per sé la cifra non
è elevata rispetto al totale della popolazione attiva. A preoccupare è piuttosto
l’evoluzione della tendenza: dal 1995 la
quota di giovani afflitti da tali disturbi
si è triplicata, ed è questo il fattore d’allarme segnalato dall’OCSE. Deve esistere, evidentemente, qualche fattore
patogeno.
Secondo Pro Juventute, la causa di questo aumento inquietante sarebbe lo
stress al quale le nuove generazioni
sono sottoposte. E qui, la prima reazione è di perplessità: lo stress? Ma
come è possibile? La nostra società e il
mondo del lavoro hanno condizioni di
vita grandemente migliorate rispetto
anche solo alla prima metà del secolo
scorso. Ancora tra le due guerre mondiali gran parte delle famiglie contadine
viveva più o meno come nel Medioevo:
non avevano l’elettricità, attingevano
l’acqua dal pozzo, si scaldavano e cuocevano il cibo con la legna raccolta nel
bosco; se il raccolto del grano o la vendemmia andavano male pativano la
fame; riservavano le scarpe e la giacca
per i giorni di festa; il cavallo e il bue
erano i mezzi per alleggerire la fatica,
che rimaneva comunque grande.
E l’incertezza e le ansie circa il domani?
In caso di malattia o d’incidenti non
c’erano rapide possibilità d’intervento,
né casse malati che ti rimborsassero le
spese. In caso di grandine o d’incendio
nessuna assicurazione ti garantiva il
recupero dei beni perduti. L’assistenza
sociale era quasi nulla, il domani in-
certo, la sciagura sempre in agguato.
Non abbiamo dati che ci dicano
quanto fossero stressati gli uomini
d’allora. A quel tempo non esisteva
neppure la parola «stress», che, ci dicono i dizionari italiani, fa la sua apparizione da noi solo a partire dal 1955. È
però da supporre che molti fossero sovraffaticati, malnutriti, magari infelici
– ma stressati probabilmente no. Perché lo stress, almeno così come si configura nella statistica dell’OCSE,
sembra piuttosto un fenomeno d’oggi.
E allora la notizia fornita circa la gran
quantità di giovani stressati può risultare meno paradossale. Lasciamo stare
i casi possibili di giovani che preferiscono cadere in malattia piuttosto che
lavorare (lo stesso documento dell’OCSE segnala che, soprattutto per
giovani che percepiscono un basso
reddito, è più conveniente percepire
una rendita AI che un salario). Consideriamo solo gli stressati autentici:
quali sono i fattori che li tempestano di
stress? La scuola certamente no – per
lo meno non quella dell’obbligo.
Chiunque abbia più di quarant’anni e
confronti il carico scolastico dei suoi
tempi con quello d’oggi non può che
convenirne. «Star bene a scuola» è, lo
sappiamo, l’imperativo pedagogico
oggi dominante. Dunque sembrerebbe
di dover escludere il percorso scolastico dai fattori di stress.
Eppure, forse proprio qui si annida
un’insidia nascosta. A giudizio di Pro
Juventute i ragazzi sono sottoposti a
pressioni psicologiche da parte dei datori di lavoro durante l’apprendistato e
da parte delle famiglie che li spronano
al successo. E sarà vero; ma queste considerazioni vanno valutate anche in
rapporto con altri fattori. Un bambino,
poniamo, cresce in condizioni di benessere costante; gli è sempre possibile
rinviare il tempo dello studio dando la
precedenza al gioco e alla TV; non im-
para gradualmente a disciplinarsi
nell’uso del tempo e a concentrarsi per
tempi prolungati. Poi, di colpo, inizia
un apprendistato e tutto cambia: d’improvviso non deve perdere tempo, non
deve distrarsi, dev’essere efficiente e
preciso. Lo stress è inevitabile, perché è
mancato l’allenamento; è come se, a
chi non ha mai corso duecento metri,
si chiedesse di fare una maratona.
Questa non è che un’ipotesi e può rivelarsi errata. Ma per saperlo occorrerebbe condurre un’indagine seria
presso i giovani – stressati e non – per
vedere che tipo di famiglia, di educazione, di scuola hanno avuto e se esista
una correlazione tra questi fattori e la
sindrome da stress. Si dà tanto peso
alla prevenzione, in tutti i campi: ebbene, sembra ragionevole pensare che
la prevenzione allo stress della vita
adulta consista nel preparare gradualmente il ragazzo al mondo che lo attende.
corrimano scendendo le scale – è un
contrappunto magistrale. Questa fonte
termale era già conosciuta nella media
età del bronzo. Perdipiù, il bronzo, riflette le scintille di luce in fondo a lunghi steli neri appesi al soffitto. Qui
incomincia la liturgia dei tagli netti e
labirintici dei volumi che creano vari
tragitti, tutti ad angolo retto, con fughe
prospettiche mozzafiato. La luce bluastra che si specchia nell’acqua, dando
tinte azzurrine alla quarzite interna,
viene dai quadratini di vetro sul soffitto
della nota vasca centrale, aperta ai
quattro lati. Passo via e vado dritto a
immergermi nell’acqua a trentasei
gradi che porta fuori, nella piscinapatio. Qui l’anima trova di colpo il suo
luogo, da tre proboscidi bronzee
escono getti forti d’acqua al solfato di
calcio. Sotto, testa e schiena: inizia il
rito, la rinascita. Attorno le montagne
rocciose della Surselva, baite isolate,
undici paravalanghe, pinete a perdita
d’occhio. C’è sempre gente alle terme,
ma numero chiuso a parte, nessuna
percezione di folla; il vapore acqueo
sfuma i volti, oltre a favorire le narici
che ispirano l’aria pura. A poco a poco
poi, va da sé, ci si rilassa e nasce un
senso di condivisione eccetera. È qui
che le mura mostrano il loro vero volto.
Apparenza monolitica, raggiunta
pezzo per pezzo: lastre di trentuno,
quarantasette, sessantatré millimetri di
spessore – tagliate in cinque diverse
lunghezze agli angoli – sono state combinate dai muratori con modulo alla
mano. Con tre millimetri di malta per
lastra, si arriva a una cadenza di quindici centimetri: «corrisponde all’altezza di un passo» dice lo stesso
Zumthor. Una tessitura muraria con
sei sequenze possibili in altezza, ritma
dunque di questo passo, le infinite tonalità di questa pietra con cinquanta
milioni di anni, riportata alla luce dal
ventre dell’Adula e poi lavorata. Siamo
a mollo modernamente arcaici. Per la
quarzite di Vals si parla di metamor-
fite, vale a dire formata con sbalzi termici favolosi: negli scontri condensati
ci sono anche occhiate bianche; in tedesco è chiamato appunto Augengneiss. Risalendo le scale di prima,
faccio attenzione allo scalino: tre lastre,
quindici centimetri. Ma ci sono ben
altre cose degne d’interesse: il bagno
turco minimale tutto nero fatto di basalto, mettere i piedi nella neve accanto
alla pensilina sacrale, le orme d’acqua
in giro sul pavimento. Le dieci chaise
longue disegnate senza tanti frou frou
da Zumthor: in mogano e poggiatesta
di pelle nera, con vista a pieni vetri sul
versante innevato. Trovare i due unici
orologi nascosti, gli altri spazi-grotta,
la luce che entra zenitale dai sei centimetri degli interstizi-giunture vetrate
in alto, i coni d’ombra, la connessione
con una partitura di John Cage. O il
Blütenbad: in un bagno-bunker con la
spiritualità dei soffitti alti, ad esempio,
nuotano nell’acqua a trentadue gradi,
petali di calendula.
varsela per conto proprio, rimanendo
fra le pareti domestiche. Ecco allora che
si giustifica la domanda, che è anche un
diritto di scelta: meglio in casa o in
ospedale? E per ospedale si deve intendere casa di cura, casa di riposo, e, in generale, l’istituzione. Una parola che, a
partire dagli anni 60, è stata spesso abbinata alla contestazione, al bisogno e al
piacere di dire no.
Anche nel rifiuto dell’ospedale, simbolo
dell’autoritarismo, e nella riscoperta
della casa, simbolo della libertà, ha
avuto la sua parte una corrente di pensiero ereditata da quegli anni, quando si
predicava il ritorno alle origini, alla purezza della natura, alle cose genuine. E
tutto ciò come reazione alla medicina
tecnologicizzata, all’eccesso specialistico e alla spocchia dei baroni della
scienza ufficiale. Di questa dissacrazione si era fatto banditore Ivan Illich,
personaggio eclettico e pittoresco, un
mix di scienziato e guru, che denunciava la diffusione del cosiddetto
«morbo iatrogeno», cioè prodotto da
un’eccessiva «medicalizzazione della
vita». E, quindi, invitava alla ribellione:
« Curatevi in casa, fate nascere i bambini in casa…». La casa, insomma, idealizzata alla stregua di un luogo di
armonia e salvezza. Lanciò questo messaggio anche a Lugano, in un’affollatissima serata al Palazzo dei congressi,
invitato dal Percento culturale Migros.
Era il 24 febbraio 1978, e Illich aveva
toccato, con estremismo polemico, un
tema comunque d’avvenire: ancora in
fieri, aperto a interrogativi sul piano organizzativo, finanziario e, non da ultimo, umano.
Com’è emerso dal seminario, organizzato la scorsa settimana dall’Associazione Triangolo e dalla Fondazione di
ricerca psico-oncologica che, appunto,
si presentava con un titolo già rivelatore: La casa che libera, la casa che imprigiona. Un dualismo, dunque, che
sottintende una conquista ma anche
una rinuncia. Certo, al paziente si riconosce il diritto di far sentire la propria
voce, in un momento delicato dell’esistenza, è lui a decidere di rimanere nel
suo ambiente di sempre. E se le abita-
zioni attuali sono spesso esigue, le difficoltà logistiche appaiono, per lo più, superabili. È possibile, insomma,
trasferire in casa le attrezzature indispensabili a un malato, un invalido, un
anziano. Ben più complesse e insidiose,
invece, le difficoltà d’ordine psicologico
o familiare. Qui si tratta di modificare
abitudini e mentalità. Per taluni, la casa,
in particolare la camera da letto, rimane
una sorta di spazio inviolabile dove l’infermiere, la badante, l’operatore sociale
diventa un intruso. La difesa della privacy ha, insomma, il sopravvento. Non
si accetta, e l’ha rilevato il filosofo Carlo
Sini, che «un mondo considerato privato sia invaso» e si dimentica che il malato stesso è «un individuo unico e in
pari tempo il membro di una collettività» e quindi la malattia rappresenta
una situazione da condividere. Ma c’è,
infine, un altro aspetto ancora del problema, più imbarazzante e persino inconfessabile. Non tutti i familiari,
persino i più prossimi, il coniuge, i figli,
i nipoti sono disposti ad accogliere nella
loro quotidianità il malato o il vecchio.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf
Le terme di Vals
Le terme di Vals, si sa, sono un capolavoro e per me, anche un luogo dell’anima. Da quando ci sono stato
cinque anni fa, cerco di andarci una
volta all’anno. Ora che sto per arrivare
con la posta da Ilanz, un pomeriggio di
fine febbraio, non vedo l’ora di riscoprire questo tempio radicale di pietra e
acqua. Opera (1994-1996) di Peter
Zumthor, architetto antistar ma di
culto, nato a Basilea nel 1943 con ora
casa-studio ad Haldenstein, paesino
appena fuori Coira a cinquantatré chilometri da qui. Alle soglie di Vals, villaggio di origini walser adagiato laggiù,
che assomiglia a Bosco Gurin: stessa
posizione, conca incontaminata, in
cima a una valle. Questa è la Valsertal,
impervia diramazione della Lumnezia.
Tra i larici, la neve, e la figura slanciata
tipica degli sporthotel sciistici grigionesi anni Sessanta, si scorge un angolo
monolitico di queste terme ormai diciottenni che hanno fatto di Vals, una
meta internazionale. Il tetto-prato ri-
coperto di neve, mimetizza bene l’edificio termale eretto con sessantamila
lastre di ortogneiss – noto anche come
quarzite di Vals – anticipandone così,
la felice ispirazione bunkeriana all’interno. Su, dentro: spogliarsi, accappatoio bianco di spugna e via, a piedi nudi
e mente sgombra. Il pellegrino termale
è introdotto dal rimbombo di uno
sgorgare meditativo, tunnel nero in
pendenza, illusione di entrare nel
cuore della montagna. Cinque esili tubi
grezzi scandiscono il beton lungo un
corridoio monacale, l’acqua mineralizzata scroscia sulla pietra: per terra si è
formata una mezzaluna arancio-rossiccia. Dietro l’angolo, il primo bagliore di bronzo: l’agile
poggia-asciugamani a U rovesciata
delle terme di Vals (1272 m). Poi subito
spazi puri e austeri, delineati da blocchi
grigioverdastri, ottenuti con lastre impilate di quarzite in tre spessori diversi.
L’elemento bronzo, declinato anche
nelle linee della ringhiera – che diventa
Mode e modi di Luciana Caglio
Meglio in casa o in ospedale?
La domanda, oggi, è tutt’altro che peregrina. Sta a indicare una scelta diventata
possibile, anzi sempre più frequente.
Casa e ospedale, infatti, non sono più i
poli di una contrapposizione in termini
assoluti, cioè inconciliabili. Da un lato,
il luogo che spetta a chi è sano, efficiente, autonomo, dall’altro il luogo per
chi, colpito da una malattia acuta o vittima di un infortunio, esige terapie
d’emergenza, trattamenti specialistici,
interventi chirurgici. La separazione
non è più tanto netta. Negli ultimi de-
cenni, fra le due categorie, sani e malati
a pieno titolo, si è aperto un nuovo spazio che rappresenta un terreno di studio
e di sperimentazione per la medicina e
la socialità. Concerne una gamma di situazioni diverse, per così dire intermedie: vissute da persone alle prese con
affezioni croniche, da convalescenti reduci da incidenti cardiocircolatori e
anche da tumori, da invalidi che, grazie
a cure appropriate, possono recuperare
un certo grado di autosufficienza, e poi,
soprattutto da anziani, che vogliono ca-
Ivan Illich nel
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Ambiente e Benessere
Turismo scolastico
Quando la scelta degli allievi ricade su una
meta famosa per la vita notturna, o per lo
shopping, dimenticando invece l’esistenza
di musei, monumenti e altre attrazioni
culturali
Convivenze difficili
Anche nel mondo degli animali
non sempre è facile andare
d’accordo
La ricchezza dell’acqua
L’annuale Giornata dell’Acqua,
World Water Day, avrà luogo
il 22 marzo e si concentrerà
sul tema «acqua ed energia»
Grand Prix Migros 2014
Sono ben 13 i giovani ticinesi
che ad Airolo si sono classificati
per la finale di Arosa
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Il dottor Pierre
Kahn, psicologo
clinico e
psicoterapeuta
Fsp.
(Stefano Spinelli)
Una porta sempre aperta
Psicologia Nell’odierna realtà sociale permeata dall’incertezza, è importante aiutare i giovani
nelle fasi difficili della loro vita
Maria Grazia Buletti
«Quando accolgo un bambino, sono
cosciente che gran parte della terapia si
risolverà nel momento in cui io apro la
porta del mio studio: quello è il momento decisivo per porre le basi relazionali e di fiducia della relazione terapeuta/bambino, con il quale la comunicazione si gioca maggiormente a livello
del linguaggio non verbale rispetto all’ingaggio con il cliente adulto». Con la
sua trentennale esperienza di psicologo
clinico Fsp (Federazione Svizzera delle
Psicologhe e degli Psicologi ) e psicoterapeuta Fsp, il dottor Pierre Kahn ci riceve nel suo studio di psicoterapia e
consulenza di Mendrisio. Dapprima in
ambito cantonale, e in seguito nel suo
studio privato, egli in qualità di specialista ha accolto e accoglie bambini, adolescenti e le loro famiglie che chiedono un
aiuto psicologico per i propri figli.
Kahn definisce l’approccio psicoterapico di tipo «sistemico-relazionale»
come uno strumento elettivo per accompagnare il giovane attraverso le
proprie difficoltà: «Non si lavora solo su
ciò che c’è all’interno dell’individuo, ma
anche e soprattutto sulle relazioni del
bambino nella sua famiglia e nei contesti esterni come scuola, amicizie e quan-
t’altro». Secondo il dottor Kahn, il bambino in difficoltà deve sentirsi subito accolto, metaforicamente attraverso quella porta aperta: «Egli deve comprendere
che l’adulto lo capisce e sa di cosa sta
parlando. Solo così sarà possibile capire
l’origine dei problemi e aiutarlo ad attraversarli». In pratica «l’insieme delle
problematiche che si presentano alla
mia osservazione si possono racchiudere nei due concetti di “insicurezza” e
“grado di sofferenza” del bambino».
Astrazioni che vanno individuati e
quantificati. «Ogni problematica racchiude una dose di sofferenza in rapporto alla quale devo poter aiutare il
bambino attraverso risorse disponibili
come generalmente la famiglia, e quelle
eventualmente da attivare come la
scuola, i docenti, la logopedista…».
Ci viene spiegato che il ventaglio
delle insicurezze dei nostri bambini e dei
giovani adolescenti si apre sull’affettività
e sulla relazione, come pure sulle difficoltà comportamentali e scolastiche, o
sulle incertezze per rapporto al futuro:
«Ad esempio, separazioni, divorzi e timore di perdere una figura genitoriale di
riferimento (come pure la paura del
buio, dei ladri, del rapimento di mamma
o papà) sono comprese nelle grandi insicurezze del bambino, insieme alla paura
della morte di un genitore e alla preoccupazione legata alla propria salute o a
quella di mamma o papà. E oggi, nell’ambito affettivo, ansia, stati di panico,
manie, rituali nei preadolescenti e adolescenti sono molto più palesi di una
ventina d’anni fa e possono risultare
molto invalidanti per il giovane stesso».
Chiudono il cerchio delle difficoltà
legate all’infanzia e all’adolescenza la
scarsa autostima («per la quale dobbiamo aiutare il giovane a sentirsi più competente e bravo, e a volte cercando di alleviare la delusione che egli pensa di arrecare ai propri genitori verso i quali
non si sente all’altezza»), e le difficoltà
comportamentali manifeste nel contesto famigliare come pure scolastico
(«ragazzi che non riescono a seguire le
regole, iperattività, deficit di attenzione…»). «D’altronde, sempre con un occhio all’adolescenza, le incertezze in
senso lato riflettono quelle della nostra
società odierna», afferma il dottor Kahn
il cui approccio terapeutico coinvolge,
come in una rete, famiglia e ambiti relazionali del giovane paziente: «Al primo
incontro partecipa tutta la famiglia (papà super occupato, figli piccoli e grandi
compresi) per cercare di individuare le
risorse che ci permetteranno di sbloccare la situazione. Il secondo incontro è ri-
servato a colui che apparentemente ha il
problema (bambino o adolescente),
mentre in seguito vedo i genitori per dare il mio punto di vista sulla situazione».
Professionalità, preparazione, metodologia, capacità di comprendere,
empatia sono alla base di un buon lavoro terapeutico-relazionale, qualitativamente costante nel tempo, perché quando si parla di salute mentale il tema è
spesso delicato: «Certo, ci sono bravi falegnami e falegnami incapaci, così come
ci sono bravi psicologi e no: questo dipende dalla preparazione del singolo e
non dalla categoria, anche se dobbiamo
ammettere che la salute mentale sensibilizza maggiormente i famigliari, per cui
lo psicoterapeuta deve essere consapevole che dovrà offrire loro la massima
professionalità». Un livello terapeutico
che va mantenuto nel tempo attraverso
il piacere del proprio operato: «Piacere
che è rimasto inalterato nel trentennio
dell’esercizio della mia professione, anche se oggi ho una stanchezza diversa
che è però largamente compensata con
la gioia di vedere il cambiamento nei
miei piccoli pazienti. Questo mi ripaga
malgrado l’attenzione a tutti i dettagli
necessaria per ogni singolo caso».
Il dottor Kahn è persuaso che per
ogni situazione si debba accendere la
«scintilla relazionale» tra bambino e terapeuta, a prescindere dalla capacità terapeutica di quest’ultimo, proprio per la
natura relazionale della terapia stessa.
Quella porta aperta assume quindi una
grande valenza nella comprensione
dell’aiuto che va richiesto, se necessario,
senza pregiudizi: «Credo ancora parecchio nell’affettività, nel legame e nel modello famigliare positivo. Bisogna anche
però essere coscienti che un bambino va
aiutato nelle delicate fasi della sua vita
che gli causano incertezze e angosce che
tutti possono trovarsi ad attraversare».
Egli invita dunque i genitori a chiedere
sostegno specialistico dinanzi alle difficoltà che paiono problematiche: «Poter
aiutare un bambino precocemente permette di determinare positivamente le
traiettorie per il suo futuro e, se abbiamo
fatto un buon lavoro, questo dovrebbe
rimanere negli anni a venire».
Ed è in tal modo che possiamo parlare di una buona prevenzione: «Una
guida sarà utilissima ai genitori e permetterà al bambino di vivere un equilibrio generale migliore: se starà bene
nella sua pelle, egli attraverserà con
maggiore sicurezza anche le fasi più difficili, evitando se possibile le potenziali
situazioni devianti che potrebbe trovare
sul suo cammino».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Ambiente e Benessere
A scuola di viaggio
Il viaggio
in tre frasi
Viaggiatori d’Occidente Le gite scolastiche sono spesso occasioni perdute
Bussole Gli haiku
e i versi dei lettori
di «Azione»
Claudio Visentin
Frammenti di un dialogo tra genitore e
figlio adolescente: «Che cosa fate questa
settimana a scuola?»; «Niente, il professore di italiano e latino è ammalato». Il
padre rilancia: «Allora la prossima settimana…»; «Niente, siamo in autogestione». Prima di arrendersi: «Quella dopo
almeno?»; «Niente, andiamo in gita».
Già, dimenticavo che la primavera è
la stagione delle gite scolastiche. Scriveva d’altronde il poeta inglese Geoffrey
Chaucer nei suoi Racconti di Canterbury, composti alla fine del Trecento:
«Quando aprile con le sue dolci piogge
ha penetrato fino alla radice la siccità di
marzo, impregnando ogni vena di
quell’umore che ha la virtù di dar vita ai
fiori, quando anche zeffiro col suo dolce
fiato ha rianimato per ogni bosco e per
ogni brughiera i teneri germogli, e il
nuovo sole ha percorso metà del suo
cammino in Ariete, e cantano melodiosi
gli uccelletti che dormono tutta la notte
a occhi aperti (tanto li punge in cuore la
natura), la gente allora è presa dal desiderio di mettersi in pellegrinaggio…». A
dire il vero Chaucer parlava dei pellegrini, ma il suo assunto può applicarsi altrettanto bene al mondo della scuola.
La gita scolastica è in cima ai pensieri degli studenti sin dall’inizio dell’anno e le manovre nell’ombra si moltiplicano. Per cominciare occorre individuare con largo anticipo il necessario
professore-accompagnatore, bene raro
e prezioso da sottrarre alle altre classi.
Dopo aver scelto quello adatto con fine
analisi psicologica, bisogna irretirlo a
lungo dal momento che spesso – e saggiamente – questi cerca di non farsi
coinvolgere, sino alla resa finale per eccessiva bontà d’animo.
La gita scolastica non
è una ricreazione più
lunga, ma un’occasione
di crescita personale
ed educativa
Anche la scelta della meta è di solito oggetto di accese discussioni, con gli studenti che si mostrano tutti concordi solo nel proporre mete famose per la loro
vita notturna – Barcellona! Parigi! –
delle quali con incredibile spudoratezza
si magnificano invece musei, monumenti e altre attrazioni culturali.
Dopo questo lungo e accidentato
I musei restano una tappa imprescindibile nell’educazione al viaggio. (Dalbera)
percorso arriva infine il giorno della
partenza e di norma la gita scolastica sarà poi ricordata per anni, a ogni rimpatriata di classe, soprattutto per gli
scherzi e gli eccessi di ogni tipo. In teoria nessuno dubita che il viaggio sia un
perfetto completamento di ogni educazione, eppure nella pratica le gite scolastiche da questo punto di vista sono
spesso occasioni perdute, per diverse
ragioni.
Per cominciare, c’è il pregiudizio
dell’età. Si tende a proporre uscite molto semplici, spesso di un solo giorno,
nei primi anni di scuola e gite più articolate alle superiori. In realtà gli adolescenti, concentrati sulla propria crescita
e sulle proprie insicurezze, sono spesso
dei modesti viaggiatori, specie se in
gruppo con i coetanei, mentre ragazzini
intorno ai dieci anni sono molto più
motivati, curiosi, partecipi e notevolmente resistenti alle fatiche.
Anche la scelta delle mete e delle
forme di viaggio è spesso superata. Le
grandi città e i famosi musei restano
una tappa imprescindibile nell’educazione al viaggio, ma non è detto che si
debba vederli con la scuola, specie in un
momento storico come questo, dove le
compagnie low cost hanno reso economico e facile il viaggio in Europa. Una
visita al Louvre potrebbe essere per
esempio un perfetto compito per le vacanze (facoltativo naturalmente). Senza
contare che grazie alle nuove tecnologie
molte opere d’arte possono essere
esplorate in ogni minimo dettaglio dal
proprio computer, anziché intravederle
a fatica tra la folla e la confusione di un
museo. Semmai si potrebbe proporre
l’esperienza del contesto che quelle opere ha prodotto. Per esempio in Toscana
la vivacità della vita cittadina, le contese
tra contrade o la bellezza del paesaggio
spiegano meglio di ogni storia dell’arte
la fioritura di artisti famosi.
Queste proposte di turismo scolastico sono poi spesso poco aperte alle
novità, come se nulla fosse successo in
questo campo. Per esempio – e parlo
per esperienza personale – i viaggi a piedi zaino in spalla sono una perfetta
esperienza educativa, con quel misto di
fatica fisica, lentezza profonda, apertura
agli incontri e agli imprevisti del cammino, ma soprattutto per la perfetta
adesione al paesaggio in ogni sua piega;
eppure solo raramente sono proposti da
pochi professori particolarmente moti-
vati. In Ticino la vicinanza delle valli
rende ancora più a portata di mano
questa possibilità.
I viaggi scolastici potrebbero poi
essere momenti di formazione anche
nei confronti della sostenibilità ambientale, viaggiando in forme leggere ed
ecologiche, e soprattutto un’opportunità per far conoscere il mondo del turismo responsabile: è ancora possibile
immaginare un viaggio di formazione
che non metta al centro dell’esperienza
l’incontro con la comunità che quei luoghi conosce e custodisce? Al contrario
molte gite, a volte anche per comprensibili esigenze di sicurezza e pianificazione, sono troppo vicine a un turismo di
massa anonimo e concentrato solo sui
costi. Si perde così anche un’occasione
per far conoscere questi temi alle famiglie degli studenti.
Qualche professore si è già messo
lungo questa via e va sostenuto e incoraggiato. La gita scolastica non è una ricreazione più lunga e avrà tutto il mio
sostegno e affetto chi saprà riportare il
viaggio, con le sue straordinarie potenzialità di crescita personale, là dove dovrebbe essere: al centro del percorso
educativo.
Qualche tempo fa («Azione» n° 6 del 3
febbraio 2014) vi abbiamo sfidato a raccontare un’esperienza di viaggio applicando la «Formula Fénéon»: una riga
per la descrizione del luogo visitato,
un’altra per raccontare un evento e l’ultima per l’epilogo. Un esercizio di brevità che obbliga a mettere a fuoco l’essenziale e permette di curare sin nei
dettagli il proprio testo.
La risposta è stata sorprendente,
per numero e qualità. Vi proponiamo
quindi alcuni di questi brevi componimenti.
Dei versi di Patrizia Foti Zappa si
ricorda l’apparizione finale dei candidi
animali, bianco su bianco.
Il primo: Finlandia, Kutajärvi – Il
sole è pallido. / Cammino su laghi
ghiacciati, / lepri bianche mi sorpassano.
Il secondo: Bosco Gurin sommersa
dalla neve. / Con le ciaspole si entra nel
silenzio, / il cielo nel cuore.
Adriana Rigamonti svolta con efficacia l’ultimo verso, dopo un avvio più
convenzionale:
Viaggio a Londra – Guglie e vie, riflessi di tramonto: fulvo e oro. / Di sera
camminavo lungo l’ombra di Westminster. / Un mendicante con la
scimmia cantava Shakespeare.
Quasi un haiku è la proposta di
Nando Uffer:
Frastuono di fiume. / Ricordi l’infanzia, / scende la sera, luminosa.
Veri e propri haiku, la tradizionale
forma poetica giapponese (tre versi di
cinque, sette e ancora cinque sillabe)
sono stati composti invece da Annamaria Marcacci. Il primo prende il suo
ritmo dall’enjambement tra i due versi
conclusivi, slegando nella metrica quel
che il senso della frase unisce:
Erecteion (Acropoli di Atene) –
Un vento lieve / nell’ulivo, Atena, / presente, veglia.
Nel secondo, ancora virtuosamente, la chiusa è affidata a una sinestesia,
accostando termini appartenenti a piani sensoriali diversi:
Andros, Cicladi – Di papavero / è il
cuore di Andros, / verde il vento.
La porta resta aperta per altri vostri
esercizi, nell’una o nell’altra variante.
Perché solo nel tentativo di raccontarlo, in qualunque forma, si comprende
quel che il viaggio ha davvero lasciato
in noi.
Libri per giocare e giochi da leggere
Editoria Nuovi consigli biblio-ludici
Ennio Peres
50 enigmi per sviluppare il pensiero
laterale di Charles Phillips (A.Vallardi,
2011, pp. 96, € 5,90)
Un pratico volumetto che evidenzia
come, spesso, noi percepiamo solo ciò
che siamo indotti a vedere, ma non ciò
che abbiamo effettivamente davanti.
Gli esercizi proposti si pongono
l’obiettivo di insegnare a osservare la
realtà in modo diverso, trovando soluzioni inaspettate e ragionando in maniera innovativa. L’autore è uno specialista di meccanismi cognitivi e percettivi. Le sue opere hanno incontrato
grande successo in molti paesi del
mondo. La stessa casa editrice ha pubblicato cinque altri suoi interessanti libretti, dedicati ad altrettanti diversi tipi di pensiero (creativo, tattico, logico,
veloce e visivo).
Genio di Mike Byster (A.Vallardi, 2012,
pp. 286, € 15,90)
Un ponderoso manuale di tecniche
mentali, che si propone di insegnare ad
allenare il cervello, stimolandone le zone che solitamente non vengono attivate. Oltre ai capitoli, dedicati all’esposizione dei vari esercizi proposti, il libro comprende un’appendice contenente, a titolo puramente ricreativo,
giochi di società, illusioni ottiche, trucchi di magia, alcuni dei quali di natura
matematica.
Matematica per gioco di Federico Pei-
retti (Longanesi, 2013, pp. 220, € 14,90)
Un encomiabile opera che intende dimostrare come il gioco sia la via più
semplice per superare blocchi e timori
legati all’apprendimento della Matematica. Questa disciplina, infatti, non deve
essere considerata una sterile opinione,
ma una sfida alla nostra intelligenza,
che richiede intuizione e creatività. Il
volume contiene più di 200 giochi e
rompicapi, molti dei quali ideati o analizzati da grandi matematici della nostra
storia (tra i quali, Luca Pacioli, Niccolò
Tartaglia, Girolamo Cardano, Galileo
Galilei, Gottfried Leibniz, Giuseppe
Peano, John Conway).
SuperPoker di Dario De Toffoli (Sperling & Kupfer, 2012, pp. 486, € 19,90)
Un manuale esaustivo sul gioco del Poker, messo a punto dal neo Campione
del mondo di Giochi della Mente. Nell’introduzione, l’autore si premura di
assicurare che il Poker, non solo non è
un gioco d’azzardo, ma non deve neanche essere giocato necessariamente
puntando dei soldi. A tale riguardo, afferma che la più grande poker room del
mondo, Zynga, fa giocare 35 milioni di
persone a settimana, senza mettere in
palio un dollaro. Il libro si rivolge sia ai
principianti, che accompagna in modo
chiaro e semplice alla scoperta dei principali segreti di questo gioco, sia agli
esperti, che guida verso tecniche più
avanzate, anche attraverso l’analisi di
numerose mani giocate dai più grandi
pokeristi del mondo. In definitiva, si
tratta di un testo di alto livello, raccomandabile soprattutto a coloro che
scelgono di giocare solo su Zynga...
Stop! Chi corteggia chi? di Sanha Kim
e Hanmin Kim (Editoriale Scienza,
2012, pp. 64, € 12,90)
Si tratta del nuovo titolo della collana
Stop!, che si propone di esporre ai bambini (dai 6 anni in poi) i principali concetti scientifici, in maniera semplice a
piacevole, attraverso l’accattivante linguaggio dei fumetti. L’argomento trat-
tato in questo volume riguarda gli innumerevoli espedienti a cui ricorrono gli
animali, per corteggiarsi e per riprodursi. La protagonista della storia è una
bambina speciale, che possiede le incredibili capacità di parlare con gli animali
e di bloccare il tempo per cinque minuti
(semplicemente gridando «Stop!»). In
tale intervallo, gli animali di turno hanno l’opportunità di esprimere le proprie
opinioni, come in un classico talk show.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Ambiente e Benessere
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La magia
delle erbe
Raffreddore
da
fieno?
Erste Hilfe bei Verletzungen
Fitoterapia L’uso di prodotti
di origine naturale richiede attenzione
Il bisogno di affidarsi alle cure naturali
viste come dispensatrici di vita è forte.
Cresce infatti la tendenza a rivolgersi all’antichissimo mondo delle piante e
delle erbe medicinali e a quello più recente della fitoterapia. Parallelamente
giungono da più fonti e spesso con
grande leggerezza consigli vari, suggerimenti, indicazioni. Ma il mondo delle
piante è un settore vastissimo e complesso, tanto da richiedere molta più attenzione di quanto non si faccia
abitualmente; ogni pianta ha un suo diverso meccanismo di azione e contiene
anche parti chimiche: fra tisane e decotti, tinture madri e macerati, compresse e capsule varie è davvero difficile
districarsi. Quindi, per non incorrere in
errori, come possono orientarsi le persone comuni – e sono la maggior parte
– che pur con le migliori intenzioni del
mondo sono evidentemente prive di
nozioni essenziali o di conoscenze
scientifiche? In proposito abbiamo
posto alcune domande al dottor Ario
Conti, libero docente presso la Facoltà
di biologia e medicina dell’Università di
Losanna e direttore della Fondazione
alpina per le scienze della vita di Olivone (istituto che collabora tra l’altro all’elaborazione di alcuni prodotti
Nostrani di Migros Ticino). Alla Fasv
dal 2005 si promuove la formazione per
l’ottenimento del Diploma cantonale di
Fitoterapia e trovano sede il Centro di
competenza per la chimica e la tossicologia, la Scuola Alpina e il Campus per
studenti di istituti cantonali comunali
riconosciuti dal Dipartimento Educazione del Canton Ticino.
Dottor Conti, a chi possono indirizzarsi le persone che vogliono far uso
di prodotti naturali?
Nel corso degli ultimi decenni, l’interesse della gente comune per i rimedi
naturali è in costante crescita. Questo
fenomeno è comunque foriero di
grandi preoccupazioni poiché per saper
curarsi o curare qualcuno con le erbe,
piante o prodotti di origine naturale è
necessario seguire una formazione adeguata. Per rimanere nel nostro Paese, i
professionisti che hanno ricevuto una
formazione in questo senso sono i farmacisti e alcuni medici che hanno
quindi seguito una formazione universitaria.
E nel Ticino in particolare?
Negli scorsi anni sono state formate una
ventina di persone che hanno ottenuto
il Diploma cantonale di Fitoterapista,
unico diploma di questo tipo oggi riconosciuto in Svizzera. La complessità
della materia fa sì che non sia facile reclutare persone che, senza una formazione universitaria, possano seguire
questi corsi. Da parecchi anni si stanno
cercando delle valide soluzioni e si
guarda con ottimismo al futuro. Una
cosa è certa: meglio diffidare di chi non
ha un diploma universitario o un diploma cantonale.
und Erkrankungen
Altrimenti si possono correre rischi?
La vostra farmacia Amavita
Curarsi e curare con i rimedi di origine
naturale non è un’attività esente da rischi, soprattutto se non si conosce la
materia: da una parte vi è la possibilità
di cadere in prodotti di scarsa qualità e
nei pericoli legati alle interazioni possibili fra prodotti e rimedi naturali con
farmaci di sintesi, dall’altra è esiguo il
numero di persone che conoscono a
fondo la materia e possono consigliare
con cognizione di causa. La facilità con
la quale oggi si può disporre di prodotti
di origine naturale, vedi acquisti online,
vendita presso le grandi distribuzioni,
vendita da parte di persone non competenti, rappresentano rischi con i quali
occorre fare i conti.
Anche la terminologia a volte può
confondere o non sembrare precisa,
per esempio qual è il preciso campo
di competenza dell’erborista?
%
0
–2
L’erborista è una figura professionale
che si occupa e lavora nell’ambito della
coltivazione, della raccolta, della stabilizzazione, della conservazione e del
controllo di qualità e del commercio
delle droghe che derivano dalle piante
officinali e medicinali. Nel nostro Paese
vi è una sola scuola in Svizzera interna
che forma queste figure professionali.
Che cosa distingue invece il fitoterapeuta?
Il fitoterapeuta è una figura emergente
che, grazie alla formazione acquisita e al
diploma cantonale ottenuto, può aprire
uno studio e curare le persone con rimedi di origine naturale. Nel nostro
cantone svolgono quest’attività una
ventina di persone.
E il naturopata?
È anch’essa una figura emergente che
cerca di coniugare salute, benessere e
natura proponendo uno stile di vita alternativo. Da queste figure occorre tuttavia cautelarsi perché se da un lato vi
sono persone adeguatamente preparate
presso ottime scuole, dall’altro – e sono
la maggior parte – ci si trova confrontati
con persone senza scrupoli. Nel nostro
Paese, soprattutto in Svizzera interna,
sono una decina le scuole private note
per la serietà della preparazione.
Che tipo di sicurezza abbiamo sulla
non tossicità delle erbe che troviamo in commercio? Ci sono dei
controlli?
In Svizzera vi sono controlli severi:
Swissmedic di Berna emana le disposizioni di legge e laboratori come quelli
dell’Istituto alpino di chimica e tossicologia di Olivone possono eseguire i
controlli.
La SUPER OFFERTA con il
20 % di sconto è disponibile in
155 farmacie Amavita.
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Trattamento naturale. Con 2% di ectoina naturale.
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Leggete il foglietto informativo e lasciatevi consigliare da uno specialista.
Badagnani
Eliana Bernasconi
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Ambiente e Benessere
Separati in casa
Notizie
scientifiche
Mondoanimale La convivenza tra animali, anche se consimili, può talvolta
Medicina e dintorni
Maria Grazia Buletti
Marialuigia Bagni
Lo scorso mese di dicembre avevamo
proposto un articolo che metteva in
primo piano le questioni legate all’arrivo di un cucciolo (E se proprio arriva
un cucciolo? apparso su «Azione» n° 51
del 16 dicembre 2013), il cui senso stava nel fatto che quando si accoglie un
cucciolo in casa bisogna avere bene in
chiaro le caratteristiche e i bisogni a cui
dover fare fronte. Il consiglio saliente
che chi vi scrive riportava era innanzitutto legato alla consapevolezza di una
scelta così impegnativa, visto che l’animale rimane per tutta la sua vita con
chi lo prende a carico. Dunque: l’accento veniva posto sul fatto che è importante documentarsi preventivamente sul tipo di cucciolo, sulle sue caratteristiche da adulto e sulle sue esigenze che dobbiamo essere in grado di
soddisfare e, soprattutto, che devono
poter integrarsi se non coincidere con
il nostro stile di vita.
Ciò significa, in concreto, che per
esempio non possiamo pensare di accogliere un cucciolo di Border Collie (dal
proverbiale temperamento che lo induce a un importante movimento quotidiano) se abitiamo in un appartamento
senza giardino e soprattutto se non abbiamo la possibilità di portarlo a spasso
quanto merita la sua indole. Ma i problemi che si possono manifestare non
finiscono qui: «Avevo valutato attentamente ogni aspetto, mi ero documentata accuratamente, lo avevo scelto con
cura e successo in un allevamento serio
e garante del suo stato di salute e del suo
ottimo carattere…», ci racconta la proprietaria di un cane. Ma…c’è un «ma»
abbastanza emblematico con cui si è
dovuta confrontare.
Da Zurigo: le piante da fiori
hanno 245 milioni di anni
Uno studio dell’Istituto di Paleontologia dell’Università di Zurigo ha identificato sei tipi di pollini che appartengono a piante da fiori, databili da 247 a
245 milioni di anni. Sono stati trovati a
una profondità di 900 metri durante
trivellazioni nel nord della Svizzera.
Finora i fossili più antichi di piante da
fiori risalivano a 140 milioni di anni.
Questa scoperta ci dice, invece, che le
piante fiorite sono apparse ben cento
milioni di anni prima di quanto si credesse.
rivelarsi complicata
Attenti, perché
il Chihuahua potrebbe
assumere una postura
spavalda per provocare
il Pastore tedesco
«Vivo con un sensibile e buonissimo
Pastore tedesco di 9 anni e un Jack Russel di 12 anni. Quest’ultimo è il boss a
cui il Pastore tedesco si affida di buon
grado, malgrado la differenza di mole.
Dopo un’attentissima valutazione, a di-
Una scena tratta dal film Beverly Hills Chihuahua di Walt Disney Pictures. (Cinesite)
cembre, abbiamo scelto di adottare un
Chihuahua e l’unico problema a cui
credevamo di dover far fronte era rappresentato dal temperamento del boss
– Jack Russel: lo avrebbe accettato di
buon grado? Non ci preoccupava il Pastore tedesco, ottimamente socializzato
e amico di tutti i cani che incontra». Ma
qui casca l’asino, anzi: il Chihuahua:
«Giunti a casa, abbiamo subito capito
che il vero problema, invece, era rappresentato dal Pastore tedesco che ha
subito provato a morsicare (mai successo prima!) il cucciolo, mentre il Jack
Russel lo ha preso sotto la sua ala protettrice». Che fare? Questa esperienza
riguarda una situazione concreta dinanzi alla quale chiunque si potrebbe
trovare, per dare una risposta al quesito
ci siamo fatti aiutare da due esperte: la
vicepresidente della Federazione cinofila ticinese Jsabel Balestra (esperta in
cuccioli) e la veterinaria comportamentalista Elena Stern.
«A volte è difficile trovare una soluzione», esordisce Jsabel Balestra: «Mettere il cucciolo in un box, dunque protetto, e lasciarlo nello stesso ambiente
del Pastore tedesco è una buona idea
che permette a quest’ultimo di abituarsi
al piccolo. Sicuramente il Pastore tedesco è anche un po’ incuriosito per il fatto che il nuovo arrivato sta spesso in
braccio alla sua padrona e questo lo rende ancora più interessante. Inoltre, per
un cane vecchio è spesso difficile acco-
glierne uno giovane, per il fatto che
cambiano le dinamiche di gruppo». Jsabel invita inoltre alla prudenza: «Vista la
grande differenza di mole, una zampata
o un morso potrebbero davvero causare
ferite al piccolo». E aggiunge qualche
suggerimento come portare tutti a spasso, senza forzare la situazione. Ad esempio bisogna restare prudenti perché il
cucciolo potrebbe assumere una postura spavalda che provoca il Pastore tedesco, per contro non bisogna premiare
quest’ultimo con carezze se si è comportato male con il piccolo e, infine:
«Bisogna anche accettare l’eventuale
fatto che il Chihuahua proprio non
piaccia al Pastore tedesco».
Dal canto suo, la veterinaria comportamentalista Elena Stern condivide
quanto consigliato da Jsabel Balestra, e
aggiunge che «il Pastore tedesco, se non
completamente socializzato ai cani
molto piccoli, potrebbe non riconoscere il Chihuahua come un suo consimile
data l’enorme differenza di stazza e di
comportamento, e considerare il piccolo come una preda, complice magari
l’esuberanza e lo scappare a destra e a
manca che il cucciolo potrebbe fare per
giocare». Ed ecco che il rischio di aggressione è dietro l’angolo!
Il fatto che la proprietaria del terzetto di cani abbia sgridato il Pastore tedesco (che poi ha dimostrato finalmente almeno disinteresse per il cucciolo)
non è comunque cosa confortante:
«Questo disinteresse può essere interpretato come un timore della punizione: non riconoscendo il piccolo come
un consimile, non sappiamo quanto sia
in grado di comunicare con lui e quanto
lo lasci in pace solo per fare piacere alla
padrona», aggiunge Stern che pone sul
piatto anche la senilità del Pastore tedesco: «Un cane anziano comunica meno
bene di uno giovane e si irrita più facilmente. Bisogna inoltre considerare un
eventuale calo di vista o di udito che
non lo aiutano a interagire correttamente con il nuovo piccolo (troppo piccolo) arrivato».
Con queste premesse, Elena Stern
prova a rispondere alla domanda sul
da farsi: «La proprietaria dovrebbe
provare a non catalizzare la propria attenzione sul piccolo e non dovrebbe
far trasparire l’ansia che inevitabilmente la situazione provoca in lei. In
sua presenza è poco probabile che succeda qualcosa, visto che il Pastore tedesco fa di tutto per ubbidire al suo ordine di non aggredire il Chihuahua, ma
non possiamo assicurare con certezza
che, in una situazione esterna o lasciandoli da soli, tutto possa funzionare per il meglio».
Invito alla prudenza, dunque, da
parte di tutte e due le nostre interlocutrici che ricordano entrambe come il
corso di educazione per cuccioli è determinante per ogni animale e per la sua
socializzazione futura.
Profumatissimo gelsomino
Mondoverde Lo Stephanotis è il sostituto perfetto dei classici gerani,
soprattutto quando si trova in compagnia di qualche petunia
Stanchi dei soliti gerani alla finestra?
Quest’anno vi invito a creare una vera
oasi tropicale, con lo Stephanotis, ovvero il gelsomino del Madagascar che per
tutta l’estate, fino ad ottobre, vi delizierà
con grappoli di fiori carnosi ed intensamente aromatici.
Le varietà più diffuse hanno grandi
fiori bianchi a forma di stella, dalla fragranza intensa simile a quella delle tuberose. Benché sia un rampicante, non
ha viticci propri e per ancorarsi alle superfici va legato con dello spago contro
un graticciato; non è in grado di sopportare il freddo invernale e deve essere
quindi ritirato da fine ottobre a marzo.
È quindi tempo di rimetterlo all’aperto.
Per averlo bello e rigoglioso nelle
fioriere, trapiantatelo in un vaso preferibilmente di cotto poco più grande di
quello dell’acquisto, ma più piccolo della balconetta, in modo tale da poterlo
inserire con tutto il vaso, accompagnandolo se lo desiderate ad altre piante
dalle fioriture estive.
All’arrivo dei primi freddi basterà
estrarre il gelsomino con tutto il suo vaso di terracotta e riportarlo all’interno
dell’abitazione, dove continuerà a fiorire per tutto l’inverno.
Durante l’estate va tenuto ben bagnato, offrendogli un’irrigazione quotidiana, preferibilmente al mattino, fa-
Kor
Anita Negretti
cendo attenzione a non utilizzare acqua
ricca di calcare, sostanza che provoca la
caduta dei fiori se presente in eccesso.
Per ovviare a questo inconveniente si
può utilizzare acqua piovana, quella demineralizzata o più semplicemente acqua del rubinetto con l’aggiunta di
qualche goccia di aceto.
Il segreto per ottenere una super
fioritura? Concimate ogni 3 settimane
con prodotti a base di azoto, seguendo
le dosi indicate sulle confezioni. Se già
si presentano preziosi posti da soli in
vasi decorativi, gli Stephanotis assumono ancor maggior pregio abbinati
alle petunie.
Queste ultime, insostituibili regine
dei balconi, arrivarono dal Brasile nel
lontano 1700, e oggi sono stati creati
ibridi di colori variegati e forme diversissime, tanto da trovarne di quasi ogni
sfumatura, screziate o bicolori, arrivando fino alla famosa Surfinia, creata in
Giappone e oggi molto diffusa.
La petunia è in grado di offrire fioriture continuative da aprile a ottobre;
necessita di irrigazioni costanti e regolari: bagnandola tutti i giorni, proprio
come il gelsomino bianco, si riempirà di
fiori colorati a forma di trombetta.
Importante è inoltre nutrirle con
concime per piante da fiore, intervenendo ogni 10-12 giorni da maggio fino a settembre per assicurarvi una fioritura sempre abbondante. Hanno un
unico punto debole: non amano la
pioggia battente (tipica dei temporali
estivi) che rischia di rompere i rami e
rovinarne i boccioli.
Quando i fiori appassiscono o le
piante si presentano svuotate con lunghi steli filanti per via della calura di
luglio e agosto, procedete con una potatura riparatrice: il taglio stimolerà la
formazione di nuovi boccioli e inoltre
dai rami tagliati si potranno ottenere
talee per creare nuove piantine di petunia.
Da Losanna un robot per
interventi in caso di catastrofi
Ispirato prendendo ad esempio gli insetti volanti, «Gimball», il robot sviluppato dal Politecnico di Losanna, può urtare ostacoli senza «disorientarsi», grazie a un ingegnoso sistema di stabilizzazione giroscopica. I suoi due anelli mobili e indipendenti gli consentono di
preservare l’equilibrio nonché di proteggere la traiettoria in caso di collisione. La sua scatola sferica in fibra di carbonio incassa lo choc, rimbalza e lo protegge. Gimball ha un peso record di 370
grammi per 34 centimetri di diametro.
Munito di una telecamera, può intervenire in caso di incidenti o di catastrofi
naturali, ben prima dell’arrivo dei soccorsi.
Uccelli che possono volare
200 giorni
Questi incredibili «viaggiatori» sono i
rondoni a ventre bianco (Tachymarptis melba). Gli studiosi hanno osservato tre esemplari che hanno effettuato
il periplo dall’Africa subsahariana all’Europa senza mai posare le zampe sul
suolo. Un viaggio durato all’incirca
sette mesi durante i quali i rondoni si
sono nutriti e hanno dormito in volo. È
la prima verifica della performance degli uccelli, già da tempo supposta, ma
mai provata.
Sei pesticidi accelerano
l’invecchiamento
È il risultato di uno studio di ricercatori
svizzeri. L’esposizione a certi pesticidi
(inclusi erbicidi e insetticidi) agirebbe
come un acceleratore dell’orologio biologico facendo invecchiare più rapidamente le cellule. Una forte esposizione
corrisponde a una diminuzione della
taglia dei telomeri, situati all’estremità
dei cromosomi, la regione del Dna che
si restringe a ogni nuova divisione cellulare, fino al punto che le cellule non ce
la fanno più a rinnovarsi e muoiono.
Dopo l’ictus, un guanto
per controllare il paziente
Si tratta di un sistema che viene indossato per riabilitare mano e polso e, in
generale, gli arti superiori. Studiato da
un consorzio europeo, si chiama Script
(Supervised care and rehabilitation involving personal tele robotics). Il guanto
permette di seguire a domicilio il training riabilitativo del paziente.
Un nuovo aiuto per i paralizzati
Un sistema d’avanguardia che unisce gli
impulsi cerebrali alle abilità robotiche:
ecco la nuova arma per ridare capacità
di movimento alle persone paralizzate.
Lo studio, presentato sulla rivista «Nature», è stato condotto da un’équipe
dell’Università di Houston, in Texas, e
punta a connettere le onde del cervello
all’esoscheletro di Rex Bionics, un robot
già in commercio, che permette ai paraplegici anche di salire le scale ma che
può essere usato solo se collegato a un
computer. Con la connessione al cervello, invece, il robot diventa letteralmente parte dell’essere umano.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
13
Ambiente e Benessere
I segretidi una goccia
Scienza Il prossimo 22 marzo è la giornata mondiale dell’acqua
Marco Martucci, testo e foto
La natura è prodiga di piccoli spettacoli,
poco appariscenti, che ci regalano momenti di commozione e di gioia. Proprio in quanto doni, non ci costano un
centesimo. Richiedono da parte nostra
solo che ci soffermiamo un momento.
Ne saremo lautamente ripagati. Uno di
questi spettacoli, davvero incantevole, è
dato ad esempio dalle goccioline di rugiada sulle ragnatele.
Come si sono formate
le collane di rugiada?
Perché brillano? A che
cosa è dovuta la forma
sferica delle gocce?
A seconda dell’inclinazione dei raggi solari, alla mattina, lo spettacolo può sorprenderci oppure lo possiamo anche
cercare, sotto un lampione, fra i rami
d’un cespuglio, in mezzo all’erba alta. Ci
si può perfino allenare a scoprire simili
spettacoli e a godere le emozioni che ne
nascono. Si possono semplicemente
contemplare, oppure se ne può scrivere,
si possono scattare fotografie artistiche,
dare origine a una poesia, comporre una
musica. Ma si può anche – felice connubio fra arte e scienza – ammirare la goccia d’acqua attraverso gli occhi del chimico o del fisico. Magari porgendosi,
com’è nello spirito dello scienziato, un
sacco di domande a cui rispondere attraverso il metodo scientifico, ipotesi e
verifica mediante esperimento e misurazione.
Come si sono formate le goccioline
d’acqua sulla ragnatela? Perché brillano? A cosa sarà dovuta la loro perfetta
forma sferica? L’acqua è davvero qualcosa di unico e speciale! E prezioso:
molto più di tutto l’oro del mondo e di
tutto il petrolio. Senz’acqua non si vive.
Per questo molti ci hanno messo gli occhi sopra; chi per specularci, chi per
proteggerla. Mentre ancora si disputa se
l’acqua sia un diritto o un bene di consumo, le Nazioni Unite le dedicano
grande attenzione. L’anno conclusosi
da poco era stato infatti nominato l’Anno Internazionale della cooperazione
idrica, mentre l’imminente annuale
Giornata dell’Acqua, World Water Day,
che avrà luogo il 22 marzo, si concentrerà sul tema acqua ed energia.
Prodigiosa, sorprendente, preziosa, unica, insostituibile: l’acqua. La nostra piccola gocciolina rappresenta un
momento della sua vita, del suo inesauribile ciclo. Nasce durante la notte,
quando il vapore acqueo, invisibile e
contenuto nell’aria, si raffredda e da gas
diventa liquido, condensa. Ed ecco la
ragnatela imperlata di goccioline. Sferiche, perfettamente tonde. Ma come
mai? Si potrebbe rispondere che la sfera
è la perfezione: basta guardare la forma
della Luna o di molti frutti. Ma non sarebbe una risposta scientifica. Più og-
gettivo è invece il fatto, accertato, che la
sfera è il solido con la minor superficie a
parità di volume. Vuol dire per esempio
che se volessimo risparmiare sull’imballaggio e avere il massimo di contenuto dovremmo fare contenitori sferici.
Non li si fanno, perché sono scomodi e
rotolano via.
La vita, però, che tende al risparmio, pena l’estinzione, usa spesso la sfera: permette di avere il massimo contenuto con il minimo di involucro; molti
frutti, le uova, la testa, per fare qualche
esempio, tendono alla forma sferica.
Forse anche la goccia segue questo imperativo? Sia come sia, ci si può chiedere cosa tenga insieme la goccia. Provate
a toccare delicatamente con un ago la
superficie di una stilla. La vedrete tremare, come se non volesse spezzarsi,
come se tutt’intorno avesse una protezione, la «pelle» dell’acqua. Di cosa sarà
fatta questa «membrana»? E che cosa
c’è «dentro» la goccia? Non è difficile
scoprire che, dentro e fuori, essa è fatta
d’acqua e basta.
Che cosa la tiene insieme, allora? Si
sa che i liquidi, a differenza dei solidi,
non hanno «forma propria». Si può fare
una palla di neve ma non una palla d’acqua. A meno che non sia molto, ma proprio tanto piccola, come una goccia per
l’appunto. Ma di che cosa è fatta l’acqua?
Nel 1905 Albert Einstein dimostrò,
in modo inequivocabile, ciò che i chimici, da quasi un secolo, ammettevano
correntemente e praticavano con successo. Cioè che la materia è fatta da atomi, particelle piccolissime, e che gli atomi si attaccano insieme, formando particelle più grandi, come le molecole.
Così sappiamo per certo, anche se non
lo vediamo con i nostri occhi, che l’acqua è fatta da molecole, davvero molto
molto piccole. Per fare una goccia ce ne
vogliono un numero con ventidue zeri!
Le molecole d’acqua stanno attaccate
l’una all’altra. Quando l’acqua gela si attaccano in modo ancora più forte, mentre quando l’acqua evapora o bolle, ogni
molecola va per conto suo.
Nella goccia, le molecole che stanno all’interno si attaccano con le altre,
sopra, sotto, di fianco. Quelle invece che
formano la superficie della goccia non
hanno nulla cui attaccarsi sopra di loro.
Ecco allora che si tengono strettamente
unite fra di loro, con una grande forza
che tiene la goccia tesa. Questa forza si
chiama appunto tensione superficiale.
È per la tensione superficiale che la goccia mantiene la sua forma, che dal vapore acqueo salito per evaporazione dai
mari, dai laghi, dai fiumi si riformano
goccioline di nebbia, nuvole e che infine
l’acqua ritorna come pioggia. Se le molecole d’acqua non fossero così tanto
strette fra loro, ciò che ne fa una sostanza unica, l’acqua non potrebbe esistere
allo stato liquido sul nostro pianeta. La
vita non sarebbe possibile. Piccoli insetti dalle lunghe zampe riescono a camminare sull’acqua ferma di laghi, stagni,
pozzanghere. Non galleggiano: sotto le
loro zampine l’acqua si piega, come fos-
se un tappeto elastico: così non si bagnano. Si possono perfino deporre
sull’acqua oggetti che normalmente andrebbero a fondo, come lamette di rasoio, graffette, aghi d’acciaio. Anche in
questo caso l’acqua si piega.
D’altra parte, la sua tensione superficiale può anche essere fastidiosa.
Quando vogliamo bagnare qualcosa, ad
esempio per lavare, la tensione superficiale rende molto difficile l’adesione e la
penetrazione dell’acqua dentro un tessuto. L’acqua scivola via e non toglie lo
sporco. Ecco allora che si aggiunge sapone, detersivo. Questi prodotti sono
detti anche tensioattivi perché riducono
la tensione superficiale dell’acqua che,
così, aderisce e toglie lo sporco. Nel
contempo si forma la schiuma, segno
dell’effetto lavante, perché l’aria si mescola con l’acqua. Come nelle cascate e
nelle onde, pure loro spumeggianti. Ma
le bolle d’aria in quel caso sono molto
piccole perché la tensione superficiale
dell’acqua non permette loro di cresce-
re. Con il sapone è tutta un’altra cosa. La
tensione superficiale crolla, la «pelle»
dell’acqua può dilatarsi e le bolle diventano grandissime.
Ma perché, rispetto ad altre sostanze fatte da piccole molecole, l’acqua ha
una tensione superficiale così forte, tanto da renderla l’unica sostanza che, in
natura, possiamo trovare nello stesso
momento (pensate a un lago gelato) come solido, liquido e gas? Per capirlo s’è
dovuto aspettare fino a quando si riuscì
a smontare le molecole d’acqua. Ritenuta per secoli un elemento, in realtà
l’acqua è un composto, formato da due
elementi, idrogeno e ossigeno. Il suo
nome «chimico» è dunque «ossido di
idrogeno», con la ben nota formula
H2O. Chi per primo, nel 1783, scompose l’acqua fu il francese Antoine Laurent
Lavoisier, padre della moderna scienza
chimica. Per riuscirci, fece passare vapore d’acqua all’interno di una canna di
fucile arroventata. Il ferro del fucile divenne fragile, ossidandosi, e infine ne
uscì un gas molto infiammabile, che Lavoisier chiamò «idrogeno», ovvero generatore di acqua.
Ogni molecola d’acqua è fatta da
un atomo di ossigeno legato a due atomi di idrogeno e se ne conosce anche la
forma: una «V» un po’ allargata con al
vertice l’atomo di ossigeno e due atomi
di idrogeno nelle punte. Ora, per capire
come mai queste molecole stanno tanto
attaccate, bisogna sapere che l’atomo di
ossigeno ha una leggera carica elettrica
negativa, mentre quelli di idrogeno ce
l’hanno positiva. La molecola d’acqua,
si dice, è un dipòlo elettrico. E, visto che
il più e il meno si attirano, le molecole
stanno ancor più appiccicate fra loro: è
quello che viene chiamato il «legame
idrogeno». Ebbene l’acqua è liquida e
permette la vita proprio grazie al legame idrogeno. Senza di esso, la vita sulla
Terra non si sarebbe mai sviluppata,
nemmeno la nostra. Ed è sempre per il
legame idrogeno che l’acqua, quando
gela, aumenta di volume cosicché il
ghiaccio galleggia, mentre se l’acqua più
densa va a fondo, significa che è a quattro e non a zero gradi. Il fondo dei laghi
e dei mari non gela mai, consentendo la
vita anche quando la superficie è ghiacciata. È incredibile quante cose possa
raccontarci una «banale» goccia d’acqua! E ce ne sono ancora tantissime, che
tralasciamo.
Un’ulteriore curiosità, l’ultima per
concludere, riguarda la luce. La goccia
d’acqua brilla perché riflette la luce in
tutte le direzioni e si comporta come
uno specchio convesso: guardando attentamente una goccia d’acqua, magari
con una lente, possiamo vedere tutto
quanto rimpicciolito. E non è finita qui.
La goccia d’acqua infatti è anche trasparente e, quando la luce la attraversa, si
scompone in tutti i suoi colori dando vita all’arcobaleno.
Questa settimana da Charles Vögele:
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
15
Ambiente e Benessere
Pesto di aglio orsino con pecorino e mandorle
Cucina
di Stagione
La ricetta
della settimana
Condimento
Ingredienti per circa 4 dl: 80 g d’aglio orsino · 100 g di mandorle spellate · 50 g di pecorino grattugiato · 1 dl d’olio d’oliva
· 4 cucchiai di succo di limone · 2 cucchiaini di sale · pepe al
limone.
1. Sminuzzate l’aglio orsino e passatelo nel cutter con mandorle e pecorino. Incorporate olio, succo di limone e sale.
Condite con pepe al limone.
Preparazione: 15 minuti.
Un esemplare gratuito
si può richiedere a:
tel. 0848 877 869*
fax 062 724 35 71
www.saison.ch
* tariffa normale
Contenuto per 1 dl: circa 8 g di proteine, 40 g di grassi, 5 g
di carboidrati, 1700 kJ/400 kcal.
L’abbonamento annuale
a Cucina di Stagione,
12 numeri,
costa solo 39.– franchi.
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Gran Reserva Carménère
2012, Colchagua Valley,
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Rating della clientela:
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Rating della clientela:
Rating della clientela:
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Sauvignon
Blanc
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1–2 anni
Aperitivi, formaggio a
pasta dura, carne bianca,
pesce d’acqua dolce
2d9i sc%
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Chasselas
1–3 anni
19.70
5.95
invece di 8.45*
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invece di 29.70
5.75 a bottiglia invece di 11.45
5.95 a bottiglia invece di 8.45
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rispettiva settimana promozionale / decliniamo ogni responsabilità per modifiche di annata, errori di stampa e di composizione
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Enoteca Vinarte, Centro Migros Agno
Orari d’apertura: lu–ve 9.00–18.30 /
gi 9.00–21.00 / sa 8.00–17.00
tel.: +41 91 858 21 49
Orari d’apertura: lu–ve 8.00–18.30 /
gi 8.00–21.00 / sa 8.00–17.00
tel.: +41 91 605 65 66
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
16
Ambiente e Benessere
Divertimento sulla neve
Grand Prix Migros Airolo riconferma il successo delle passate edizioni
Renato Facchetti
La stazione sciistica di Airolo Pesciüm
ha ospitato, domenica 23 febbraio, l’ottava tappa stagionale del Grand-Prix
Migros. Condizioni di neve ottimali e
uno splendido sole hanno fatto da degna cornice a questa manifestazione
che ha visto al via poco più di 500 giovanissimi sciatori giunti sia dalla Svizzera
italiana sia da oltre Gottardo e dai Grigioni.
Il buonumore generale è aleggiato
sin dalle prime ore del mattino, grazie a
una giornata «da cartolina» che, fortunatamente, per molti dei presenti contrastava con le condizioni meteo avverse
dell’edizione 2013. Anche per i volontari
dello Sci Club Airolo – che erano circa
un centinaio, tutti molto impegnati
nell’organizzazione di questa manifestazione e ai quali vanno pertanto i meritati
complimenti – il lavoro è stato certamente facilitato dal clima favorevole.
Appena scesi dalla cabina che dalla
stazione di partenza di Airolo porta a
Pesciüm, ci siamo immediatamente
trovati immersi nella tipica atmosfera
del Grand-Prix Migros. Nel «villaggio»
degli sponsor, infatti, giochi, omaggi,
concorsi hanno offerto a tutti i partecipanti l’opportunità di divertirsi grazie a
SwissSki, Migros, Carne Svizzera, Thomy, Migros Vacanze, Blizzard, Nordica
e Toko. Per molti bambini privi di particolari ambizioni agonistiche, correre
da uno stand all’altro del «villaggio» ha
rappresentato l’essenza della giornata, a
tal punto da doversi far richiamare più
volte da genitori o allenatori per la classica ricognizione del tracciato.
Singolare è stato il privilegio di osservare i serpentoni di partecipanti
scendere in scivolata fra le porte dei tre
percorsi con lo scopo di imparare a memorizzare soprattutto i passaggi più insidiosi. A questo proposito, considerato
il ruolo promozionale della manifestazione, i tecnici dello Sci Club Airolo –
con la supervisione dello staff di SwissSki capitanato dall’infaticabile Roman
Sciare con gioia. (Mario Curti)
Atleta in gara sul «canalone». (Mario Curti)
Rogenmoser – sono sempre molto attenti a dosare e differenziare il grado di
difficoltà in funzione delle varie categorie d’età a partire dalla Minirace (riservata a bambini di 6 e 7 anni). Questa gara è, infatti, andata in scena sul facile
pendio davanti al ristorante. Dai più
piccoli fino ai sedicenni, che, più navigati, si sono contesi la vittoria lungo il
mitico «canalone».
Fra le novità di questa edizione,
non è passata inosservata la voce dello
speaker Rosi Nervi, nota animatrice di
Rete Tre che è riuscita a ritmare con
energia e simpatia la manifestazione.
Tutto è funzionato per il meglio rispettando il programma e puntualmente alle ore 15 il piazzale della stazione di partenza era gremito per l’inizio della cerimonia di premiazione
Da sinistra: Mauro Terribilini, Urs Lehmann, Kuki Zamberlani. (Mario Curti)
delle 18 categorie. A valorizzare la tappa ticinese del Grand-Prix Migros
2014, è stata anche la gradita presenza
di Urs Lehmann, presidente di SwissSki e già campione del mondo di discesa libera nel ’93 a Morioka. Di ritorno
dai giochi olimpici di Sochi, Lehmann
ha premiato personalmente tutti i vincitori saliti sui tre gradini più alti del
podio di Airolo.
Partenza Minirace. (Mario Curti)
I finalisti ticinesi
Alla finale di Arosa si sono qualificati
i seguenti concorrenti ticinesi. Dell’anno 2006: 1° posto per Greta Beffa
di Airolo; 1°, Jonas Oliva di Motto
Blenio; 2°, Loris Perosa di Arbedo.
Del 2005: 1°, Gaia Schenal di Airolo;
3°, Chantal Ceresa di Olivone; 3°, Enrico Zucchini di Vacallo. Del 2003: 1°
posto per Francesco Zucchini di Vacallo). Del 2002: 1°, Annachiara Maghetti di Mendrisio; 2°, Mida Fah Jaiman di Quinto; 3°, Celeste Conceprio
di Corzoneso. Del 2000: 2° posto per
Viola Garbani di Casigliano; 1°, Mattia Ballarin di Mendrisio. Infine dell’anno 1999, 2° posto per Marina Morelli di Bellinzona.
Le classifiche complete sono consultabili su: www.gp-migros.ch
Panoramica sul villaggio. (Mario Curti)
Giochi al villaggio. (Mario Curti)
Ci congratuliamo in particolare
con i tredici giovani ticinesi qualificatisi
per la finale nazionale del Grand-Prix
Migros in programma dal 4 al 6 aprile
ad Arosa; gara della quale riferiremo
sull’edizione del prossimo 14 aprile.
Grand Prix Migros, 23 febbraio 2014
ad Airolo
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
17
Ambiente e Benessere
Cologna, Gisin e le ragazze dell’hockey
Sportivamente Un po’ di commozione, un po’ d’orgoglio e un po’ di febbre per alcuni momenti
della XXII Olimpiade Invernale
Alcide Bernasconi
Quante medaglie? Mi bastava, nelle
scorse settimane, un’occhiata alla classifica delle nazioni per capire se i nostri
atleti del freddo non deludevano le
aspettative del Comitato olimpico svizzero, ma anche della gente comune a
cui il capo delegazione Gian Gilli aveva
detto che si attendeva attorno alle dieci
medaglie. Una o due in più, andava bene lo stesso. Di meno: no! Alla fine gli
esperti ne hanno contate undici, di cui
ben sei d’oro (come quattro anni fa a
Vancouver) conquistate sui campi di
gara dei Giochi olimpici di Sochi, in riva al Mar Nero. Ora, tutto è già stato
scritto e detto e non avrei nulla da aggiungere.
Oppure sì, visto che mi si chiede –
«sportivamente» – un contributo anche riguardo alle Olimpiadi.
Allora posso confessare soltanto
ciò che ha toccato il mio cuore di vecchio tifoso. Dapprima le lacrime scese
senza permesso lungo le guance di Dario Cologna (infortunatosi seriamente
a inizio stagione), in occasione della
prima medaglia d’oro nello skiathlon;
una prestazione, la sua, che ha dato la
carica a tutti gli altri atleti che difendevano i colori rossocrociati. Cologna ha
poi conquistato un altro oro nella 15
km stile classico diventando il dominatore delle prove di fondo e nell’ultima giornata è stato lui a farci nuovamente commuovere per la dignità con
cui ha fallito la conquista di una terza
medaglia d’oro, alla quale teneva tantissimo, quella sui 50 km. Tutto, per
una caduta nel tratto finale, a poco più
di un chilometro dal traguardo: rialzatosi, ecco che un altro atleta, nel concitato finish, passandoci sopra, gli ha
spezzato uno sci. E addio sogni di gloria. Quelli della tv ci hanno messo
qualche secondo a capire che cosa era
realmente succedendo al nostro eroe,
quasi non volessero credere (o ammet-
tere) che quanto era capitato non era
una burla, bensì il solito crudele scherzo del destino.
L’altro momento di pura commozione e al tempo stesso di ammirazione
per un gesto che significa più di molte
parole, è stato quando Dominique Gisin e la slovena Tina Maze, vincitrici
della discesa libera con lo stesso identico tempo, sono salite tenendosi per
mano sul podio del dopo gara per riceve un mazzolino di fiori, aperitivo della
medaglia che si sarebbero messe al collo la sera, sul podio delle premiazioni a
Sochi.
Le montagne attorno ai tracciati
dello sci alpino e del fondo conferivano
un aspetto molto familiare allo scenario delle gare, quasi da illudersi che si
gareggiasse sulle alpi, ossia in casa delle
nostre atlete o di Sandro Villetta, vincitore a sorpresa ma con pieno merito
della super-combinata.
Citiamo anche l’oro vinto dalla
vallesana Patrizia Kummer nel gigante
parallelo e, soprattutto, quello di Iouri
Podladtchikov, moscovita di nascita
ma svizzero dall’età di tre anni. Per raggiungere il massimo livello mondiale, il
simpatico Iouri ha speso la bellezza di
mezzo milione di franchi. I quarantamila che gli spettano per questo successo sono poche briciole. Ma è quanto la
Svizzera può dare, anche se Ueli Maurer ha dichiarato che a Berna si discuterà per un incremento delle somme destinate agli sportivi d’élite, ambasciatori della nostra nazione, applauditi dal
mondo dello sport.
Ora faccio un bel salto per giungere alla finale che è valsa ai nostri la medaglia di bronzo nell’hockey femminile: l’impresa delle rossocrociate mi ha
infatti strappato dalla gola un urlo di
gioia sincero che, del resto, non ha allarmato nessuno dei vicini di casa, nel
movimentato finale contro le svedesi.
Due sole vittorie sono bastate alle elvetiche –contro però Russia e Svezia – per
Parecchi gli ori mancati, anche se compensati da medaglie inattese. (Andy Miah)
mettersi al collo un bronzo che tutti
hanno giustamente detto che «vale
oro». Una ragazzina, Lina Müller, appena quindicenne, ha realizzato il gol
partita contro le svedesi, a porta vuota e
pure con molta fortuna come ha ammesso la stessa giocatrice, tirando dal
cerchio d’ingaggio nel proprio terzo di
difesa, insomma un tentativo di liberazione eseguito però… a regola d’arte. È
stata una vittoria di squadra, ma è pur
vero che gran parte del merito spetta alla portiera Florence Schelling, autrice
di innumerevoli parate, di cui non poche spettacolari, in tutto il torneo. Sempre sorridente, al punto che il cameraman della tv la inquadrava spesso per
mettere in risalto i suoi occhi brillanti e
il sorriso che si indovinava sotto la maschera. Tra le nazionali ben quattro
giocatrici del Ladies Team dell’HC Lugano: Nicole Bullo di Claro e la giurassiana Sarah Forster in difesa, Romy Eggimann, figlia dell’ex bianconero Beat
Eggimann, e la poschiavina Evelina Ra-
selli in attacco. Della Forster è giusto
sottolineare le molte ore rubate al riposo, per lunghe trasferte in automobile a
Lugano in occasione delle partite, visto
che lavora oltre San Gottardo.
Riportato il successo delle hockeyste che si sono aggiudicate il bronzo,
l’altro se l’è messo al collo la ticinese Lara Gut, sfortunata protagonista della
discesa libera, oltre che in altre specialità in cui avrebbe voluto e potuto ottenere una giusta ricompensa per il suo
impegno. Tre medaglie d’argento, inoltre, le hanno assicurate la biathleta Selina Gasparin, Nevin Galmarini nel gigante parallelo, nonché Beat Hefti e
Alex Baumann nel bob a due.
Diverse medaglie sono state conquistate dagli svizzeri dove si sperava
forse soltanto in un diploma, mentre le
delusioni si sono registrate nel curling,
tanto fra le donne quanto fra gli uomini
(Gilli si attendeva almeno una medaglia), oltre che nello sci Freestyle e, soprattutto, nello sci-cross. In quest’ulti-
ma disciplina, dove tanto le donne
quanto gli uomini dominano in Coppa
del mondo, siamo rimasti a mani vuote. È successo però anche a molti altri di
rimare delusi. Il caso più eclatante riguarda la nazionale russa di hockey,
che puntava al titolo olimpico, ma che è
uscita dal torneo dalla porta di servizio,
senza neppure una medaglia.
Una medaglia d’oro, almeno virtuale, la meritano invece due ticinesi:
l’allenatore Mauro Pini, chiamato a
gennaio per ridare fiducia e la giusta carica alla sciatrice slovena Tina Maze,
vincitrice a Sochi dell’oro nella discesa
e nel gigante e Daniele Finzi Pasca, regista e autore del bellissimo spettacolo
della cerimonia di chiusura nel quale
ha inserito per pochissimi secondi, come una firma, l’inconfondibile figura
della statua di Spartaco, scolpita da
Vincenzo Vela, che campeggia all’entrata del Municipio, forse un gesto con
cui ha voluto rendere omaggio alla sua
Lugano.
Chiuse le Olimpiadi Invernali,
rieccoci all’hockey di casa nostra, giunto al momento cruciale dei playoff (con
entrambe le ticinesi al via) e dei playout.
E poi c’è il calcio: fa sorridere che
in una realtà ticinese – e dove è più difficile che nelle grandi città d’Oltralpe
reperire le somme necessarie per portare almeno una squadra nell’élite del calcio elvetico – si stia cercando di far nascere una nuova compagine, che rappresenti il cantone dimostrandosi la
più forte. Ancora non si sa da dove
giungeranno i soldi, né come reagirà il
pubblico ticinese: si dice che abbia
sempre una gran voglia di calcio, ma
intanto diserta gli stadi, sperando, forse, di consolarsi con la Nazionale rossocrociata ai prossimi Mondiali in Brasile, mentre appare più interessato a
quanto succede in Italia, poiché le
«sue» simpatie si dividono fra Inter,
Milan e Juve.
Giochi
Cruciverba
Tra innamorati, lui a lei:
«Il sole mi parla di te, il
mare mi parla di te,
l’universo mi parla di
te… e questo sai cosa
significa?» Trova la
risposta di lei risolvendo
il cruciverba e leggendo
nelle caselle evidenziate.
1
2
3
4
5
9
Sudoku Livello difficile
25
Completare lo
schema classico
(81 caselle,
9 blocchi, 9 righe
per 9 colonne) in
modo che ogni
colonna, ogni riga
e ogni blocco
contenga tutti i
numeri da 1 a 9,
nessuno escluso
e senza ripetizioni.
13
16
15
14
17
18
19
21
22
23
24
27
31
25. Le iniziali del capitano della Roma
26. Un quinto di five
27. Fiume del Kenya
28. Coda di somari
29. Una fibra tessile
30. Tracollo finanziario
31. Mancanza, carenza
32. Sono di chi rompe e paga
VERTICALI
1. Signorotto dell’antica Roma
2. Profeta dell’Antico Testamento
3. Pronome dimostrativo
4. Abbreviazione di ettaro
5. Tessuto epiteliale
6. Mezzo greco…
7. Lascia l’amaro in bocca
3
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7
8
9
9
6
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1
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4
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8. Seta artificiale
10. Priva di compagnia
12. Venerato dagli antichi egizi
13. Protetta da Igea
14. Privi di germi
16. Un prefisso che vuol dire voce
17. Vicine al cuore
18. Escursioni, passeggiate
19. Stato dell’Asia orientale
21. Vi abita una curiosa regina
22. Si può averla di traverso
24. La rivale della strega
25. Ha due code
27. Un ufficiale abbreviato
28. Fiume della Savoia
29. Si ripete rincuorando
30. Due di cuori
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5
30
4
2
28
29
ORIZZONTALI
8
Scopo del gioco
12
26
1. Scarse
5. La prova del fuoco…
9. Dagli Urali al Giappone
10. Antica lotta giapponese
11. Il Teocoli della TV
12. Conosciuti
13. Esprime concessione
15. Sono in mezzo alla strada
16. Le indiane sono per uno
17. Il più antico di tutti gli dei
18. Angusto passo montano
19. Ci sono quelle di fucile e di bambù
20. Sulle spalle
22. Costellazione dell’emisfero boreale
23. Otri rovesciati…
24. Pende nel pozzo
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Soluzione della settimana precedente
Forse non tutti sanno che… – Resto della frase:
…famiglia imperiale giapponese.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
19
Politica e Economia
Che cosa resta di Kiev
In Ucraina il fronte filo-russo
di Yanukovic e la variegata
opposizione combattono
per il futuro del Paese
La moderazione di Obama
Nella crisi ucraina gli Stati Uniti scelgono la via
del buon senso e della Realpolitik. Troppe sono
state le delusioni che il presidente americano
ha dovuto subire e che ora gli impongono un
atteggiamento meno entusiastico rispetto a
quello di Bush nel 2004
Trasparenza fiscale
A Sydney il G-20 impone
un’accelerazione sullo scambio
automatico di informazioni, al
quale la Svizzera dovrà adattarsi
anzitempo
pagina 22
pagina 21
Poche carte in mano
Con la trasparenza fiscale
indotta dai nuovi standard
dell’OCSE ora accettati dal
G-20, la Svizzera non ha più
carte da giocare per ottenere
qualcosa in cambio dello
scambio automatico di
informazioni
pagina 23
pagina 20
Il memoriale per
le vittime degli
scontri di Kiev.
(AFP)
Sotto lo sguardo (impotente) dell’Ue
Crisi ucraina Mentre il Paese si sta disintegrando, all’interno della troika potrebbero emergere differenze su come
continuare a impegnarsi per salvare Kiev e non perdere completamente il controllo degli avvenimenti
Lucio Caracciolo
Da quando l’Unione Sovietica si è dissolta, Occidente e Russia si contendono
l’Ucraina come terra estrema delle rispettive sfere d’influenza. Il round della
partita ucraina giocato fra dicembre e
febbraio vede la netta sconfitta della Russia. Ma questo non significa che l’Europa
abbia vinto, come spesso si sostiene. La
realtà è parecchio più complessa e richiede di incrociare i punti di vista.
Partiamo da Majdan. I manifestanti della prima ora, come dieci anni fa
quelli della «rivoluzione arancione», inneggiavano all’Unione Europea quale
famiglia naturale cui Kiev vuole aderire.
Ma le anime della piazza erano e restano piuttosto diverse. Da una parte la
consistente porzione di manifestanti
che, condannando la corrotta e inefficiente amministrazione Yanukovich,
guardavano all’insieme comunitario
come all’unica alternativa possibile.
Dall’altra gli ultranazionalisti – in particolare il Pravi Sektor di chiara impronta
neonazista, ma anche la sua versione
light (Svoboda) – coltivavano e coltivano un’altra idea di Europa, di stampo
razzista. Una famiglia europea composta di nazioni coerenti per etnia, questo
l’obiettivo strategico della piazza più
estremista, seccamente russofoba, antisemita e polonofoba. Sarà difficile trovare nella ex opposizione un punto di
equilibrio fra istanze tanto diverse.
Rovesciamo il punto di vista e assumiamo quello dei Ventotto. A parlare a
nome dell’Unione Europea sono stati in
questo caso tedeschi, polacchi e francesi. La signora Ashton ha fatto qualche
pallida apparizione, ma non ha avuto
alcun ruolo politico operativo. La troika
germano-polacco-francese (in ordine
di impegno e di impatto) ha puntato soprattutto sull’ex pugile Vitali Klitschko
come punto di riferimento della protesta, pur nell’iniziale imbarazzo di trovarsi di fronte un presidente, Viktor Yanukovich, democraticamente eletto e
considerato fino a ieri il rappresentante
politico-legale di Kiev nel mondo. Colpisce anzitutto, in questo singolare
schieramento, la sostanziale ininfluenza degli altri 25 Stati membri dell’Unione, quasi non avessero nulla da dire e da
fare in una crisi pur così fondamentale
sotto l’aspetto geopolitico – rapporto
con la Russia – ed economico – gas russo in transito dall’Ucraina.
Certo non è una novità: sembra ormai stabilita la prassi per cui di fronte a
specifiche crisi, o semplicemente a particolari dossier, in assenza di un forte
potere centralizzato e in presenza di
molti interessi incompatibili la pratica
viene affidata a chi se ne sente più coinvolto. Il risultato è un continuo sbilanciamento e ribilanciamento che rende
strutturalmente impossibile un approccio strategico europeo alle grandi questioni che ci interessano tutti.
Ma la vicenda ucraina ha visto coinvolte, non molto visibilmente ma efficacemente, anche America e Gran Bretagna. La logica prevalente a Washington
e a Londra è stata quella della guerra
fredda, sia pure nell’attuale, peculiare
versione. Si trattava di infliggere un colpo a Mosca, di bloccare le ambizioni neoimperiali di Putin tratteggiate nell’ambizioso progetto dell’Unione Euroasiatica: uno spazio imperiale esterno alla Federazione Russa imperniato soprattutto
sull’Ucraina, deposito demografico, storico e simbolico di Santa Madre Russia
in versione allargata. L’intervento an-
glo-americano è stato essenzialmente limitato al sostegno politico-finanziario
alla piazza. Né era pensabile spingersi
più in là, vista la lontananza di quella
terra di frontiera dagli interessi immediati delle due potenze sorelle.
Ora però, la partita ingaggiata da
Washington e Londra ricadrà direttamente sulle spalle degli altri europei, a
cominciare dalla stessa troika. Yanukovich è ignominiosamente caduto, Majdan ha vinto, ma la partita resta indefinita. Anzitutto, sul fronte interno: non
sappiamo ancora chi potrà rappresentare l’Ucraina e soprattutto se potrà farlo in nome dell’intero Paese o solo di
una sua parte. Il rischio di secessioni
non incruente è inevitabile nel momento in cui si crea un vuoto di potere.
Emerge infatti in questo caso l’estrema
eterogeneità politico-culturale tra le popolazioni ucraine, tuttora contenute in
uno spazio pensato all’interno dell’Unione Sovietica. Non si può quindi
escludere che la Russia faccia valere il
suo «diritto di prelazione» sulla Crimea
(«regalata» sessant’anni fa dal Cremlino
all’Ucraina sovietica), anche a spese della locale popolazione tatara. Né, d’altra
parte, si riesce a capire fino a che punto
Kiev potrà riprendere il controllo di alcuni territori occidentali oggi autogestiti dai ribelli locali, specie in Galizia.
Appare ora in tutta evidenza
l’asimmetria di potenza tra un’Unione
Europea rappresentata dalla troika e la
Federazione Russa. Se la Ashton può
mettere sul tavolo 200 milioni e il Fondo monetario sembra disposto ad allentare le condizioni di un prestito miliardario, Putin ha già concesso all’Ucraina
(di Yanukovich) tre miliardi di dollari,
ma minaccia di bloccare gli altri dodici
promessi. E fa sapere alla piazza e agli
oligarchi che volessero sostenerla, che il
regime energetico privilegiato di cui
l’Ucraina ha goduto finora – forniture
di gas russo a prezzi sovietici – è improrogabile in questo caos.
È probabile a questo punto che anche tra Francia, Germania e Polonia
possano emergere delle differenze su come continuare ad impegnarsi nella crisi
ucraina. Nella consapevolezza che se tale
crisi dovesse slittare in aperta guerra civile, l’Unione Europea avrà perso completamente il controllo di avvenimenti
che pure ha contribuito a scatenare.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
20
Politica e Economia
A Kiev la storia è da riscrivere
La seconda rivoluzione Per Mosca non è tanto la perdita di Yanukovic a impensierire, quanto capire
chi ha veramente in mano il potere e chi difenderà gli interessi russi in Ucraina
con le armate hitleriane nel ’41-’44 e
chiedendo a gran voce che Mosca difenda i russi in Ucraina – per esempio
dando loro passaporto e cittadinanza
russa, sulla scorta di quanto fatto in
Sud Ossezia e in Abkhazia, le due repubbliche autonome staccatesi dalla
Georgia con la protezione delle forze
armate di Mosca.
Astrit Dakli
Archiviato senza danni – ma diciamo
pure con un buon successo, almeno
d’immagine – il capitolo olimpico di
Sochi, il «cattivo» per eccellenza dell’Occidente Vladimir Putin non ha
avuto neanche il tempo di godersi le
prestazioni record dello squadrone
russo, che la crisi ucraina gli è precipitata addosso in forma disastrosa, mettendolo ancora una volta in grave difficoltà. Non è tanto la perdita di Viktor
Yanukovich che pesa sul leader del
Cremlino – l’uomo non gli stava per
niente simpatico, ha dimostrato chiaramente di esser personaggio di grande
doppiezza e poco valore e potendo Putin l’avrebbe probabilmente messo in
soffitta già da tempo. Del resto, nel corso degli anni il presidente russo aveva
saputo concludere buoni affari e positive intese anche con gli avversari di Yanukovich, la coppia «arancione» Viktor Yushenko-Yulia Tymoshenko (ricordiamo che proprio l’intesa con Putin sul gas ha portato Yulia in carcere).
Se ci fossero state le elezioni e il presidente ucraino fosse stato sconfitto e sostituito da uno dei leader dell’opposizione, è lecito pensare che Putin non
avrebbe perso il sonno per questo.
Che Yanukovich sia sparito dalla
scena quindi non è un problema per la
Russia. Il problema è che a questo punto non è ben chiaro né al Cremlino né a
quanto pare a nessuno chi comandi a
Kiev, dove intenda portare l’Ucraina, e
come.
La Crimea teme
la fascistizzazione
del Paese e incomincia
a rispolverare il sogno
della secessione
Uno dei primi atti
del Parlamento epurato
è stata l’abolizione
di una legge che
ammetteva il russo
come seconda lingua
ufficiale
I dirigenti russi lo hanno detto molto
chiaramente: per loro le «autorità»
provvisorie che si sono installate nella
capitale ucraina sono arrivate dove sono arrivate usando la violenza («se vogliamo chiamare governo gente mascherata che gira con il mitra in mano,
bene, allora noi abbiamo difficoltà a
trattare con un governo del genere», ha
detto il premier Dmitry Medvedev) e
dai loro primi atti è lecito temere per
gli interessi russi e per le vite dei cittadini russi che vivono in Ucraina. In effetti, uno dei primissimi atti del parlamento «epurato» dai seguaci di Yanukovich, oltre a dichiarare decaduto il
presidente in fuga, è stata l’abolizione
della legge che nelle regioni con una
forte minoranza russofona ammetteva
il russo come seconda lingua ufficiale.
Un segnale molto allarmante, una vera
e propria dichiarazione di guerra dello
schieramento nazionalista (e di estre-
Manifestazione di filo-russi con le bandiere a Sebastopoli, capoluogo della Crimea. (AFP)
ma destra) nei confronti di una parte
significativa del Paese, cioè le regioni
orientali e meridionali. Dove non a caso si sono formati dei comitati di lotta
contro il nuovo potere di Kiev e addirittura si sono raccolte le adesioni per
una mobilitazione armata.
Uno scenario abbastanza terrorizzante per Mosca, che rischierebbe di essere coinvolta suo malgrado in un conflitto dalla portata imprevedibile; eppure uno scenario oggi non più così remoto, se a Kiev dovessero continuare a prevalere gli estremisti nazionalisti, che
hanno avuto un ruolo dominante in
queste ultime settimane e che sono stati
decisivi, convergendo sulla capitale in
formazioni armate dopo aver dato l’assalto a caserme e depositi di armi a Lviv
(Leopoli), nel provocare il crollo finale
del regime di Yanukovich. I leader
dell’opposizione «moderata» e filo-occidentale infatti avevano già firmato il
patto con il presidente che gli garantiva
di restare al potere ancora per parecchi
mesi, sia pure sotto pesanti condizioni:
è stata la piazza, eccitata dalla notizia
dell’arrivo delle squadre armate, a volere la cacciata immediata di Yanukovich
e la presa dei palazzi del potere, mandando così alle ortiche, con una vera
spinta «rivoluzionaria», il lavoro di mediazione tessuto dagli inviati europei.
Ma tutto questo conferma la liceità della
domanda russa: chi è davvero al comando adesso?
Yulia Tymoshenko, liberata dalla
detenzione, si è candidata a governare,
salvo far subito marcia indietro viste le
reazioni non entusiaste della piazza e
l’aperto dissenso di alcuni gruppi militanti evidentemente di rilievo; nessuno
dei leader politici finora impegnati nella complicata gestione del movimento
che va sotto il nome di «Euromaidan»
sembra godere di un consenso abbastanza largo, mentre nelle città ribelli
dell’ovest – Lviv, Volyn, Ternopil e altre – prevalgono le teste calde e le istanze più radicali e anti-russe. E in parallelo crescono in Crimea e nell’est minerario e industriale i timori per quella
che viene chiamata senza mezzi termini la «fascistizzazione» del Paese. Il
Cremlino non sa con chi trattare e vede
soltanto pericoli, mentre l’opinione
pubblica russa e i media soffiano sul
fuoco, rievocando scenari storici che si
pensavano ormai rimossi, come il collaborazionismo dei nazionalisti ucraini
Facile prevedere che Putin almeno per
il momento non cederà a queste richieste e cercherà piuttosto di usare come
può l’unica vera arma che ha a disposizione, la leva economica: il maxi-prestito di 15 miliardi di dollari promesso
in dicembre a Yanukovich verrà certamente messo in stand-by, sfidando europei e americani a tirar fuori la stessa
cifra se davvero vogliono «salvare
l’Ucraina». Difficile che la sfida venga
accettata, peraltro: nelle prime dichiarazioni dei dirigenti dell’Unione europea e dei singoli Stati ci sono accenni
alla necessità di coinvolgere il Fondo
monetario internazionale e la generosità di Paesi terzi, dalla Cina alla Turchia all’Arabia saudita, per venire incontro alle necessità ucraine, ma di
cacciar fuori dei soldi in prima persona
nessuno parla. A Mosca resta poi sempre la possibilità di annullare la tariffa
di favore sulle vendite di gas concordata sempre in dicembre come parte del
pacchetto di aiuti, e di esigere il pagamento puntuale delle forniture.
Queste mosse renderebbero impossibile alle autorità di Kiev, qualunque esse siano, di evitare il default e continuare a pagare i salari ai dipendenti
pubblici; ma chiaramente avrebbero un
forte impatto negativo sull’immagine
della Russia, già gravemente compromessa dall’aver dato una mano a Yanukovich. Non si tratta dunque di scelte
facili: il Cremlino avrebbe in realtà bisogno della collaborazione con gli occidentali per gestire la situazione ucraina
evitando il peggio e dando spazio alle
forze più moderate; ma in questa fase al
di là delle parole generiche non sembra
che l’Occidente – e in particolar modo
Washington – abbia interesse a collaborare quanto piuttosto a sfruttare al massimo una ghiotta occasione per infliggere a Mosca una sconfitta strategica cruciale. Per ora, l’unica intesa fra Russia e
Occidente è il comune auspicio, espresso in diversi comunicati al termine dei
frenetici contatti telefonici degli scorsi
giorni, che venga preservata l’unità nazionale ucraina: ma si ha l’impressione
che con questo termine russi e occidentali intendano realtà e dinamiche politiche abbastanza diverse, per non dire
opposte.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
21
Politica e Economia
Il presidente
americano
Barack Obama
ha mandato
ripetuti
avvertimenti a
Putin per
dissuaderlo
dall’intervenire
in Ucraina. (AFP)
Obama moderato in Ucraina
La Casa Bianca Dieci anni fa, nel 2004, la Rivoluzione arancione ispirò George W. Bush
che promise di promuovere la democrazia. Oggi in America prevalgono
buonsenso e Realpolitik
Federico Rampini
La crisi dell’Ucraina può segnare l’inizio di una riscossa di Barack Obama in
politica estera, dopo una serie di sconfitte o quantomeno di delusioni e battute d’arresto. A prima vista non è così,
anzi. L’Ucraina ha le caratteristiche per
risucchiare il mondo in un remake della Guerra fredda, ad esempio nell’ipotesi di un intervento militare russo in
Crimea. Col pretesto di difendere la
minoranza russa contro presunte vessazioni da parte del nuovo governo di
Kiev; e magari in «risposta» ad appelli
di aiuto che arrivino da Sebastopoli, il
porto della Crimea che è già una base
militare russa, Vladimir Putin potrebbe essere tentato da un’operazione militare. Ha già mobilitato le sue truppe
per delle «esercitazioni» al confine russo-ucraino, proprio mentre il presidente Viktor Yanukovich in fuga da Kiev
trovava asilo a Mosca. Potremmo assistere a una sorta di bis della Georgia,
con una singolare coincidenza: ogni
volta le mini-guerre ai confini della
Russia vengono scatenate durante o
nelle vicinanze dei Giochi olimpici (in
Georgia nel 2008, Olimpiadi di Pechino). Ed è ovvio che un’invasione russa
della Crimea troverebbe l’America costretta a fare da spettatrice. Al di là delle
condanne obbligatorie, Obama non
potrebbe certo sognarsi di muovere le
truppe americane o di proporre un intervento della Nato. L’Ucraina non fa
parte della Nato (non ancora…) e dunque non ci sarebbero le condizioni per
legittimare un intervento. Si confermerebbe dunque che quell’area del mondo
resta implicitamente in una sfera egemonica della Russia, anche un quarto
di secolo dopo la dissoluzione dell’Urss. Si chiuderebbe definitivamente
ogni speranza per quelle «rivoluzioni
arancioni» che cominciarono nel 2004,
precedettero e forse ispirarono le primavere arabe.
Ma la stessa crisi si può guardare in
un’ottica completamente diversa. Ed è
quest’altra ottica che nel lungo periodo
finirà per prevalere, con ogni probabilità. In Ucraina Putin si trova, ancora una
volta, «dalla parte sbagliata della Storia». Ha appoggiato fino all’ultimo Yanukovich, un leader inefficiente, corrotto, impopolare. Mosca si è di fatto resa
complice della sanguinosa repressione
che ha ucciso quasi un centinaio di persone nelle strade di Kiev.
L’Ucraina non fa parte
della Nato e dunque
non ci sono
le condizioni per
un intervento Usa
Questo è lo stesso Putin che in Siria
puntella Assad, uno dei più feroci e sanguinari dittatori del nostro tempo. In
giro per il mondo, i regimi che godono
dell’appoggio di Mosca hanno ben poco
di attraente. L’abbraccio di Putin è quasi una «certificazione» da appestati. Soprattutto nell’area dell’Est europeo ogni
volta che le popolazioni hanno la possibilità di esprimere la loro preferenza –
com’è accaduto a Kiev negli ultimi mesi
– scendono in piazza per distanziarsi
dall’abbraccio russo. Non è un buon segno in una fase in cui Putin vorrebbe accelerare i tempi di costituzione di quella
Comunità eurasiatica con cui spera di
fare da contrappeso all’Unione europea, alla Nato, all’influenza americana.
E tutto ciò si situa in un contesto più generale dove le tendenze di lungo periodo rafforzano gli Stati Uniti e indeboliscono la Russia.
Sul piano energetico, l’America settentrionale (Usa + Canada + Messico) è
già la più grande potenza globale, supera Russia e Arabia Saudita nella produzione di petrolio e gas naturale. E il divario non fa che allargarsi, riducendo la
petro-rendita di Putin. Altrettanto vale
sul piano demografico: grazie all’immigrazione gli Stati Uniti hanno una dina-
mica positiva della natalità e la loro popolazione continua a crescere, mentre
in Russia (e soprattutto nella componente etnica dei «russi bianchi») accade
il contrario.
Questo spiega la moderazione che
Obama sta mostrando sull’Ucraina.
Qualcuno glielo ha rimproverato, naturalmente. Il repubblicano John
McCain, il solito «falco» di politica estera, ha rimproverato il presidente per
una presunta timidezza nel contrastare
Putin. Ma la posizione di McCain ha
avuto scarsa eco e non è popolare negli
Stati Uniti. Obama sta procedendo con
cautela e con tempi lunghi. Ha mandato
ripetuti avvertimenti a Putin per dissuaderlo dall’interferire in Ucraina. Ma
la Casa Bianca non ha offerto al nuovo
governo ucraino aiuti d’emergenza,
preferendo delegare la questione economica al Fondo monetario internazionale (che a sua volta procede con molta
lentezza).
Obama ha dalla sua, anzitutto, un
«fattore-disillusione». Non vi è più traccia dell’entusiasmo di George W.Bush
suscitato nel 2004 dalle «rivoluzioni
arancioni». È passata tanta acqua sotto i
ponti. Soprattutto dopo che il colore
arancione si è trasformato attraverso le
varie vicissitudini delle primavere arabe, gli Stati Uniti hanno incassato delusioni amare. L’Obama di oggi non è lo
stesso che fece lo storico discorso del
Cairo nella primavera 2009, tantomeno
quello che appoggiò i manifestanti antiMubarak di Piazza Tahrir. Questo presidente ha visto spegnersi velocemente
le ventate pro-occidentali di Tunisi e
Bengasi, sostituite da radicalismi ostili.
Ma anche nell’Europa centro-orientale,
gli americani avvertono pericoli di radicalizzazione, frange di estremismo di
destra e persino nazi-fascista, xenofobie. Nel caso che la Crimea dovesse tentare una secessione, pochi s’illudono
che questa avrebbe le stesse sembianze
della «separazione di velluto» tra Repubblica cèca e Slovacchia.
Fra i commentatori americani pre-
valgono il buonsenso e l’invito al realismo. Scorrendo le pagine degli editoriali, dal «New York Times» al «Washington Post», tutti si augurano che
l’Ucraina possa trovare un equilibrio
con la cooperazione di Stati Uniti,
Unione europea, e anche Russia. Non si
sentono qui in America nostalgia di
Guerra fredda, se non accendendo la televisione per la nuova fiction a puntate
The Americans: ma quella è fiction, per
l’appunto, ed è una serie televisiva ambientata all’epoca di Ronald Reagan.
C’è stato un periodo, ancora recente, in cui Obama sembrava un ingenuo,
costretto a prendere lezioni di Realpolitik da Putin. Fu il caso della Siria. Il presidente americano, per la verità con
molta riluttanza e sotto la pressione di
alcuni consiglieri iper-attivi sui diritti
umani (come l’ambasciatrice all’Onu
Samantha Power) si era deciso a proporre un intervento militare in Siria dopo le stragi chimiche di Assad. Proprio
perché indeciso, aveva optato per rivolgersi al Congresso prima di ordinare i
bombardamenti su Damasco. Era sul
punto di incassare una brutale sconfessione dal Congresso. Putin in quel caso
lo aveva cavato d’impiccio, e al tempo
stesso gli aveva dato una lezione. Era al
G20 di San Pietroburgo che la diplomazia russa aveva scodellato la soluzione
Onu, col disarmo chimico concordato
con Assad. In seguito l’emergere di fazioni sempre più violente (vicine ad Al
Qaeda) nell’opposizione siriana, aveva
dato quasi ragione a Putin. Col senno di
poi un intervento armato contro Assad
rischiava di produrre un esito simile a
quello della Libia, dove tuttora non esiste un vero governo e alcune aree del
Paese sono in mano a fazioni radicali.
Oggi però Obama è in una posizione diversa. È Putin che si trova in difficoltà, qualsiasi cosa faccia in Ucraina ha
solo da perderci. Un intervento militare
russo in Crimea avrebbe caratteristiche
da Guerra fredda, senza per questo rappresentare una vittoria per gli interessi
della Russia nel lungo termine.
Fra i libri di
Paolo A. Dossena
Carlo Alberto Defanti, Richard Wagner. Genio e antisemitismo, Lindau, 2013
Come in un gioco di scatole cinesi, il
presente mediorientale sembra condizionato dalla storia del XX secolo
europeo, il quale sembra a sua volta
condizionato dalle idee del XIX secolo. L’anno scorso, per esempio, l’Università di Tel Aviv avrebbe dovuto
ospitare un simposio su Richard Wagner, un evento che nei piani sarebbe
culminato in una performance musicale. Alla notizia che la musica di Wagner sarebbe stata eseguita in Israele,
un’ondata di proteste ha scosso il Paese. In realtà l’evento wagneriano non
aveva finalità politiche, ma il furore
popolare ne ha comunque provocato
la cancellazione. Il bando israeliano
alle opere di Wagner cominciò vent’anni prima della fondazione dello
Stato. Infatti, nel 1938 il movimento
sionista identificò strettamente la
musica di Richard Wagner con il nazismo di Hitler. Tuttavia, Wagner è
morto nel 1883, e Hitler (nato nel
1889), entrò in politica ben 37 anni
dopo la morte del compositore. In
ogni caso, da quel 1938 in poi, l’organizzazione che precorre l’attuale Filarmonica Israeliana bandisce l’opera
wagneriana. Il bando non ufficiale
prosegue fino ad oggi, come gli eventi
del 2012 hanno dimostrato. Oggi, a
un anno di distanza dall’ultimo boicottaggio, in tutti i Paesi dell’Occidente escono saggi storici ispirati da
questi fatti d’attualità. Un lavoro decisamente equilibrato e interessante è il
libro di Carlo Alberto Defanti, che
scrive: «Ancora oggi le opere di Wagner non vengono rappresentate nello stato di Israele e i tentativi di introdurre la sua musica in quel Paese hanno sempre suscitato polemiche accesissime. L’appropriazione di simboli
wagneriani da parte del regime nazionalsocialista, la vicinanza del cosiddetto circolo di Bayreuth al nascente
partito nazista, la passione di Hitler
per il musicista e il pesante coinvolgimento della famiglia Wagner nelle vicende del Terzo Reich hanno stimolato, dopo la Seconda guerra mondiale,
un’abbondante letteratura in cui il
musicista è presentato addirittura come un precursore di Hitler». Nel 1850
Wagner pubblica il suo saggio antisemita, L’ebraismo nella musica, che
secondo Defanti è anche il prodotto
d’invidia e risentimento verso colleghi ebrei. Wagner lo confessa in una
sua lettera a Franz Liszt. Tuttavia, ritiene Defanti, attribuire a Wagner
un’influenza diretta e decisiva sul nazismo è sbagliato. Come Fichte, Wagner considera gli ebrei come un’etnia estranea e inconciliabile con la
Germania. Rammenta tuttavia di avere amici ebrei e suggerisce che le sue
parole hanno trovato ascolto presso
alcuni di loro. Inoltre non aderisce alla petizione che chiede di restringere i
diritti degli ebrei. Questo ruolo (l’influsso diretto sul nazismo) è assegnato da Defanti a Houston Chamberlain, l’autore di I fondamenti del XIX
secolo. Chamberlain è tuttavia un
membro del circolo di Bayreuth e il
suo libro sarà molto apprezzato da
Hitler. È quindi il circolo di Bayreuth,
che ruota intorno a Wagner, la chiave
del problema. Infatti, secondo Defanti, Nietzsche aveva capito che frequentando questo gruppo «Wagner
si era attorniato di persone non degne
di lui e coinvolte nell’antisemitismo
militante». I lavori di Wagner che
avrebbero dovuto essere rappresentati in Israele includevano brani da
L’anello del Nibelungo e da La Valchiria. Una parte del pubblico israeliano
avrebbe voluto assistere a queste rappresentazioni. Infatti, oggi, in Israele
esiste (come già nella Francia sconfitta del 1940) una Società wagneriana.
Il tabù è in parte già crollato. A quando la riconciliazione?
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
22
Politica e Economia
Trasparenza fiscale: si accelera
Segreto bancario I ministri delle finanze del G-20 danno il via al piano di concretizzazione dello scambio
automatico di informazioni messo a punto dall’OCSE. La Svizzera costretta ad accorciare i tempi
Johnny Canonica
Detto, fatto. Intervistata dalla «Neue
Zürcher Zeitung», sull’edizione del 20
febbraio scorso, la consigliera federale
Eveline Widmer-Schlumpf, rispondendo a una domanda riguardante
l’applicazione dello scambio automatico delle informazioni fiscali da parte
della Svizzera, aveva affermato che
«tutto è andato più velocemente di quel
che pensassimo. E questo significa che
noi (la Svizzera) dobbiamo posizionarci velocemente». Esattamente tre giorni
più tardi, domenica 23 febbraio, i ministri delle finanze del G-20 riuniti a Sydney, in Australia, davano il via al piano
per lo scambio automatico dei dati fiscali messo a punto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico OCSE (vedi anche Ignazio
Bonoli, nella pagina accanto). Eveline
Widmer-Schlumpf non dispone verosimilmente di doti divinatorie, semplicemente era in grado di immaginare
quale potesse essere il risultato che sarebbe uscito dalla riunione di Sydney.
Fatto sta che quello che lei aveva affermato nell’intervista è poi diventato realtà. «Detto, fatto», appunto.
Quello che fino a pochi anni fa sarebbe risultato impensabile, tra poco
dovrebbe quindi diventare realtà. Lontani i tempi durante i quali gli ex consiglieri federale Kaspar Villiger e HansRudolf Merz affermavano che «il segreto bancario non è negoziabile» e che
Eveline Widmer
-Schlumpf:
«Dobbiamo
riposizionarci
velocemente».
(Keystone)
«chi vorrà forzare il segreto bancario si
romperà i denti nel granito». Dopo la
crisi finanziaria del 2008, quando molti
Stati sono dovuti correre in soccorso di
diverse banche per evitare il tracollo del
loro sistema finanziario nazionale e
una reazione a catena a livello planetario, è iniziata una guerra senza quartiere contro l’evasione fiscale. La pressione sulle piazze finanziarie che davano
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(e danno ancora) rifugio a capitali non
dichiarati alle autorità fiscali dei Paesi
di domicilio dei loro proprietari è cresciuta in maniera esponenziale, e queste piazze finanziarie corrono il serio rischio di venir messe al bando della comunità internazionale, con pesanti
conseguenze per tutta l’economia nazionale. Alcuni Paesi non si curano di
questo rischio e continuano con la loro
politica; non così la Svizzera, che già lo
scorso autunno, per la bocca del Consiglio federale, si è detta pronta a introdurre lo scambio automatico delle informazioni una volta che questo venga
definito a livello dell’OCSE (definito
quindi con il contributo elvetico, essendo la Svizzera membro dell’organizzazione) e che tutte le principali
piazze finanziarie concorrenti della
Confederazione lo abbiano adottato.
Questo non significa però la scomparsa definitiva del segreto bancario
elvetico. Come ribadito da Eveline
Widmer-Schlumpf nell’intervista alla
NZZ, «per i contribuenti elvetici non
cambia nulla. Lo scambio automatico
delle informazioni varrà solo nei rapporti con autorità estere e non riguarderà gli averi di clienti svizzeri (o di cittadini stranieri domiciliati nella Confederazione, ndr) di banche svizzere».
A questo bisogna poi aggiungere che
un comitato sta raccogliendo le firme a
sostegno dell’iniziativa popolare «Sì alla protezione della sfera privata», che
vuole iscrivere nella Costituzione la
garanzia del segreto bancario per tutte
le persone domiciliate in Svizzera. Entro la fine dell’anno le 100mila firme
necessarie alla riuscita dell’iniziativa
dovranno venir consegnate alla Cancelleria federale.
Per far capire che nella lotta contro
l’evasione fiscale non si sta scherzando,
i ministri delle finanze del G-20 hanno
anche lanciato un chiaro segnale a 14
Paesi (tra questi la Svizzera), che non
stanno applicando con sufficiente efficienza gli standard sull’assistenza amministrativa fiscale. Se questi Paesi non
dovessero, per così dire, «darsi una
mossa», contro di loro delle sanzioni
non vengono escluse. E sebbene il termine «sanzione» non sia stato chiaramente espresso (il comunicato parla di
«tougher incentives», che potremmo
tradurre con «incentivi più severi»), il
messaggio lanciato è stato sufficientemente chiaro. «Chi ha orecchie per intendere, intenda», insomma. Ma come
ammesso dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, la Svizzera
non dovrebbe preoccuparsi eccessivamente di quelle minacce. La volontà
della Confederazione a conformarsi
agli standard internazionali è stata riconosciuta, il problema è che ci vuole
del tempo per iscriverli nelle leggi.
E il fattore «tempo» è stato menzionato dalla stessa Eveline WidmerSchlumpf nell’intervista alla NZZ come
elemento di attrito dentro e fuori i confini nazionali. Perché se in Svizzera ritengono che il Consiglio federale stia
cedendo con eccessiva accondiscendenza alle pressioni internazionali, al di
fuori della Svizzera si ritiene al contrario che la Confederazione si stia muovendo troppo lentamente. «Quanto abbiamo vissuto negli ultimi cinque anni
nel settore finanziario non è mai stato
percepito con la medesima intensità in
precedenza per parecchi decenni», ha
affermato la ministra delle finanze, cercando di spiegare l’insicurezza che colpisce molte persone in Svizzera. E a chi
in Parlamento accusa il Consiglio federale di inondare continuamente le Camere con nuovi progetti riguardanti la
piazza finanziaria, risponde che «sono
gli sviluppi internazionali che rendono
necessario agire speditamente». E se si
pensa che in Svizzera sono solitamente
necessari dai due ai tre anni per vedere
concretizzata una legge, è chiaro che
questi tempi mal si sposano con la celerità richiesta sul palcoscenico internazionale, ed è per questa ragione che la
Svizzera viene a volte collocata sulle liste nere o grigie dei paradisi fiscali.
I ministri delle finanze del G20 e
l’OCSE hanno fissato il calendario per
la concretizzazione dello scambio automatico delle informazioni. «Entro settembre dovremo presentare le soluzioni tecniche che permettano lo scambio
dei dati», ha affermato Pascal SaintAmas, il direttore del Centro di politica
e amministrazione fiscale dell’OCSE.
Mentre per la fine del 2015, cioè tra poco meno di due anni, questo scambio di
informazioni di dati fiscali dovrebbe
divenire effettivo tra i G-20, con il resto
dei Paesi dell’OCSE a seguire, Svizzera
inclusa.
Difficile però dire quando (e se!)
dalla Svizzera partiranno i primi dati
verso le autorità fiscali estere, perché
oltre al «ping pong» parlamentare, che
potrebbe allungare i tempi di attuazione degli standard internazionali in
Svizzera, non è da escludere che l’ultima parola spetti al popolo. Tutt’altra
cosa quindi rispetto ad affermare «detto, fatto».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
23
Politica e Economia
Standard OCSE: Svizzera
senza più monete di scambio
Fiscalità La rapida applicazione delle decisioni prese dal G-20 a Sydney toglie alle proposte bilaterali svizzere
quasi ogni valore di scambio
Ignazio Bonoli
Come era ampiamente prevedibile, il
G-20 – il gruppo dei maggiori Paesi industrializzati al mondo – ha adottato gli
«standard» dell’OCSE per lo scambio
automatico di informazioni in materia
fiscale (vedi anche articolo nella pagina
a fianco). Riunito a Sydney a livello di
ministri delle finanze lo scorso 22/23
febbraio, ha anche deciso di inserire
nell’accordo il principio della reciprocità. Un principio al quale la Svizzera teneva molto e che poneva quale pregiudiziale per aderire all’accordo. La cosa
non era però così scontata, poiché parecchi Paesi – a cominciare dagli Stati
Uniti – volevano continuare a praticare
i loro propri sistemi, senza impegnarsi a
garantire agli altri le stesse possibilità.
Per quanto concerne i tempi d’applicazione, vi è stata una certa accelerazione, poiché il gruppo ha deciso che, in
occasione del prossimo incontro in settembre, gli aspetti tecnici delle nuove
regole dovranno essere risolti, in modo
che, entro la fine del 2015, tutti i Paesi
firmatari dovranno cominciare ad applicarle. In un primo tempo si tratterà
sicuramente dei Paesi che fanno parte
dell’OCSE (quindi anche della Svizzera)
per poi giungere a un’applicazione a livello mondiale.
Con questa decisione l’OCSE aumenta anche la pressione verso quegli
Stati che finora non utilizzano standard
di livello adeguato nelle loro procedure
di assistenza amministrativa in campo
fiscale e quindi non sono presi in considerazione nella seconda fase della valutazione dell’applicazione dell’assistenza
amministrativa stessa. Nel comunicato
sulla riunione di Sydney si precisa anzi
di voler accentuare queste pressioni.
Tra questi Paesi figura anche la Svizzera, in compagnia di Stati del Terzo
mondo o degli Emirati arabi.
Secondo gli esperti, questo linguaggio diplomatico dell’OCSE non significa altro se non l’intenzione di adottare
sanzioni. Che cosa questo atteggiamento possa significare per la Svizzera non è
ancora dato sapere. Durante una conferenza stampa, il ministro tedesco delle
finanze Wolfgang Schäuble ha però detto di non farsi troppe preoccupazioni.
In effetti, il Consiglio federale ha già
compiuto passi importanti nella direzione della seconda fase di valutazione
dell’OCSE. In ottobre ha, per esempio,
firmato la convenzione dell’OCSE e del
Consiglio d’Europa per l’assistenza giudiziaria reciproca in materia fiscale.
Questo comporta anche un’assistenza
«spontanea» in caso di sospetto delitto
fiscale. Quindi non più – come finora –
solo su richiesta motivata.
Questa evoluzione ha indotto la
consigliera federale Eveline WidmerSchlumpf, in un’intervista alla NZZ, ad
affermare che l’adesione della Svizzera
allo scambio automatico di informazioni sarà più rapida di quanto si potesse
prevedere. Questo presuppone che la
Svizzera debba riconoscere al più presto
i nuovi standard dell’OCSE. Di fronte ad
affermazioni di questo tipo, anche l’esigenza svizzera di accettare le condizioni
OCSE solo se viene garantita la reciprocità perde qualcosa della propria forza.
Riaffiora però il problema degli
Stati Uniti. In particolare i banchieri
svizzeri temono che gli Stati Uniti si siano ormai garantiti una posizione di forza all’interno della stessa OCSE e che
non si cureranno di applicare il principio della reciprocità che è esplicitamente previsto. In fondo i banchieri della
Svizzera – e anche di altri Paesi – firmando il trattato FATCA con gli Stati
Uniti hanno in pratica rinunciato a far
valere il principio della reciprocità nei
confronti degli Stati Uniti. Essi hanno,
infatti, aderito al secondo modello del
trattato, mentre la reciprocità era contenuta nel primo modello dell’accordo
FATCA, anche se solo parzialmente.
Secondo l’OCSE, il trattato FATCA è
comunque compatibile con gli standards OCSE.
VO
O
U
N
«Dimagrire
con gusto»
Foto di gruppo a Sydney dei ministri delle finanze del G-20. (Keystone)
Un aspetto importante dei rapporti finanziari internazionali discusso
a Sydney è anche l’erosione del capitale
e il trasferimento di utili da parte delle
multinazionali in Paesi più convenienti. Questo modo di fare potrebbe rientrare nelle pratiche fiscali dannose.
Anche in questo caso sarebbero prese
di mira le pratiche fiscali di alcuni cantoni svizzeri che facilitano fiscalmente
le «holding» e gli utili derivanti da licenze.
La Svizzera sta esaminando questi
aspetti soprattutto nei contatti con i
Paesi europei. Nell’ambito del G-20 si
manifestano invece interessi divergenti.
Il gruppo se ne occuperà nell’incontro
previsto per settembre, ma le intenzioni
sono quelle di trovare soluzioni univoche, in modo da evitare che ogni Stato
adotti misure proprie. Per Berna però –
dopo il voto del 9 febbraio – parecchie
cose sono cambiate. Se prima si potevano scambiare concessioni come l’accesso ai mercati finanziari nell’UE contro
concessioni nelle informazioni fiscali,
ora la moneta di scambio da un lato è la
libera circolazione delle persone e dall’altro gli «standard» OCSE ai quali in
futuro nessuno potrà più sottrarsi. In
questo senso Widmer-Schlumpf, nell’intervista citata, parla di condizioni
molto più difficili. In realtà – infatti – la
Svizzera di monete di scambio non ne
avrà praticamente più.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
25
Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi
Aumenteranno anche i disoccupati svizzeri
Gli avversari dell’iniziativa sull’immigrazione di massa non hanno mai cessato di avvisare che una sua
accettazione avrebbe potuto avere
conseguenze catastrofiche per l’economia svizzera. Ora che l’iniziativa, nonostante gli avvertimenti, è passata, e i
pericoli annunciati dovrebbero concretizzarsi, assistiamo invece a una
gara tra politici ed esperti per minimizzare le possibili conseguenze negative del voto sull’andamento della
nostra economia o, per lo meno, per
dichiarare che è ancora difficile fare
delle stesse un quadro affidabile con
importi e scadenze. La maggioranza
dei commentatori è però d’accordo
nell’affermare che la competitività
dell’economia svizzera ha ricevuto un
duro colpo e che la stessa potrebbe riceverne un altro, forse ancora peggiore, il prossimo 18 maggio, se
dovesse passare l’iniziativa sul salario
minimo. L’incertezza sulla portata
delle conseguenze negative dell’introduzione del contingentamento è giustificata dal fatto che, sino a quando
non si conoscerà il risultato delle trattative con l’Ue, è certamente rischioso
quantificarle. Abbiamo però un precedente che si può richiamare a titolo di
comparazione, anche se i sostenitori
del contingentamento si affretteranno
a dire che è come voler comparare un
piatto vegetariano a un piatto di carne.
Si tratta del contingentamento introdotto dal Consiglio federale a partire
dal 1965 per frenare crescita e inflazione. Vediamo dapprima quale influenza ebbe questa misura sui tassi di
crescita del prodotto interno lordo
reale. Nel periodo 1960-1964, ossia nei
cinque anni immediatamente precedenti l’introduzione del contingenta-
mento, il tasso di crescita annuale reale
fu, in Svizzera, pari al 6%. Nei cinque
anni successivi, ossia dal 1965 al 1969,
la velocità di crescita dell’economia
svizzera si ridusse al 3,8%, ossia di un
po’ più di un terzo. Se dovessimo considerare queste cifre come indicative
di che cosa potrebbe succedere alla
nostra economia nei prossimi cinque
anni, potremmo concludere che il suo
tasso di crescita annuale, tra il 2015 e il
2019, potrebbe scendere dallo 0,9 allo
0,6%. Ricadremmo quindi nella situazione di lunga stagnazione che aveva
caratterizzato il periodo posteriore
alla votazione del 1992 sullo Spazio
economico europeo. Vale la pena di
aggiungere che il contingentamento
degli anni Sessanta era abbastanza
all’acqua di rose (i frontalieri, per
esempio, non erano contingentati) e
che se si vogliono soddisfare le richie-
ste dei sostenitori dell’iniziativa dovrebbe essere molto più conseguente.
È quindi probabile che le ripercussioni negative in termini di riduzione
relativa del tasso di crescita saranno
anche maggiori. Per fortuna la nostra
economia viaggia oggi con un tasso di
crescita medio reale di medio termine
inferiore all’1%. Di conseguenza
anche se la perdita di crescita fosse superiore al terzo ricordato qui sopra, il
tasso di crescita annuale effettivo,
sempre nel medio termine, non sarebbe che di un decimo o forse due inferiore allo 0,6% già ricordato. Il
problema si complica però quando
consideriamo le possibili ripercussioni
sull’evoluzione dell’impiego. Se l’esperienza degli ultimi dieci anni ci ha insegnato qualcosa è che, in
un’economia dominata dal settore dei
servizi e dalle piccole aziende, la cre-
scita economica è legata a doppio filo
alla crescita dell’occupazione. Tanto
che, dopo la crisi finanziaria del 2008,
la produttività in Svizzera non si è praticamente mossa da dove era e tutta la
crescita o quasi è stata assicurata dall’espansione dell’occupazione. Secondo noi, indipendentemente da
dove si vorrà fissare, in futuro, il livello del pieno impiego, è certo che
con un tasso di crescita reale del Pil
pari a 0,6% o meno all’anno, questo
obiettivo non potrà essere raggiunto e
la disoccupazione aumenterà. Non
solo la componente straniera della
manodopera, ma anche quella svizzera registreranno un aumento del
tasso di disoccupazione. Certo che per
rilanciare la competitività potremmo
naturalmente sempre provare a impiegare più robot (possibilmente di origine svizzera, però)!
vista razionale, Renzi ha tutto contro:
un establishment che si sente scosso
nelle proprie certezze e nei propri privilegi, una maggioranza vecchia e divisa, un partito che l’ha accettato
come un male necessario, una sinistra
interna umiliata e un clan piccolo ma
compatto – quello dei lettiani – certo
non ben disposto nei suoi confronti.
Eppure una chance di successo Renzi
ce l’ha. E non la deve solo alle proprie
capacità; la deve alle caratteristiche
del suo Paese. C’è un’Italia irredimibile, che si crogiola nel conservatorismo o si agita nel ribellismo, convinta
che non si debba cambiare nulla o che
si possa uscire dall’euro, non pagare il
debito pubblico e dare mille euro a
tutti in cambio di niente. Ma c’è
un’Italia che non attende altro che
uno scossone per rimettersi in moto,
recuperare fiducia.
La biografia di Renzi è quella di un
outsider. Il più giovane presidente del
Consiglio è nato l’11 gennaio 1975 a
Rignano sull’Arno, 9 mila abitanti, 23
chilometri da piazza della Signoria. Il
padre Tiziano – piccolo imprenditore
che diventerà consigliere comunale
per la Dc – e la madre Laura Bovoli
vivono in un palazzone di via Vittorio
Veneto, con la primogenita Benedetta di tre anni (nel 1983 arriverà Samuele e nel 1984 Matilde, l’unica
impegnata nei comitati elettorali del
fratello). Dopo un mese di prima elementare, la maestra, signora Persello,
lo promuove: il bambino è sveglio,
può passare in seconda. Serve messa a
don Giovanni Sassolini, parroco di
Santa Maria Immacolata. Gioca trequartista nella Rignanese, ma riesce
meglio come arbitro e come radiocronista. (Ancora l’anno scorso, in
una partita di beneficenza, ha preteso
di tirare un rigore: parato, per giunta
dal sottosegretario Toccafondi, alfaniano). Si fa eleggere rappresentante
di classe. Entra negli scout. Guida un
gruppo in una gita in Garfagnana: si
perdono in un bosco, passano la notte
all’addiaccio.
Nel 1994, mentre l’Italia antiberlusconiana inorridisce nel vedere il padrone delle tv private entrare a
Palazzo Chigi, Renzi va nelle tv pri-
vate di Berlusconi: in cinque puntate
della «Ruota della fortuna» con Mike
Bongiorno vince 48 milioni. L’anno
dopo, a vent’anni, fonda a Rignano un
circolo in sostegno di Prodi. Nel 1999
si laurea con una tesi su «La Pira sindaco di Firenze» e sposa Agnese Landini, conosciuta agli esercizi
spirituali. Organizza la rete di strilloni
per conto dell’azienda del padre, per
distribuire «La Nazione» in strada.
Con i soldi che ha guadagnato parte
assieme agli amici scout per il Cammino di Santiago: una settimana di
pellegrinaggio a piedi. Al ritorno i
capi gli propongono di candidarsi alla
guida del partito popolare di Firenze,
che ha appena toccato il minimo storico: 2 per cento. Renzi accetta e vince
il congresso. Segretario nazionale è
Franco Marini. Che sarà una delle sue
tante vittime. La prima è Lapo Pistelli,
di cui Renzi è stato assistente parlamentare: alle primarie per il sindaco
si candida contro di lui e lo batte. L’ultima vittima è ovviamente Letta. Ora
vedremo se Renzi, oltre a distruggere,
sa anche costruire.
dividuo abbia un’attitudine omofoba».
Sui contenuti di questa specie di kit
«pro-gender» la scrittrice e giornalista
Isabella Bossi Fedrigotti ha cercato di
ironizzare prendendo lo spunto dalle
fiabe («Corriere della Sera», 15 febbraio): «Al bando Biancaneve, la Bella
addormentata, il Principe rospo e tutte
quelle storie che parlano di principi azzurri e principesse in cerca di un eroe
che ammazzi il drago, colpevoli di indurre le bambine a cercare poi – invano
– per tutta la vita un uomo che assomigli a quel perfetto prototipo e i bambini
a convincersi di dover usare spada e
coltello per far colpo sulle fidanzate».
Ma per gli autori del kit le fiabe continuano «a promuovere un solo modello,
quello della famiglia tradizionale, e impediscono identificazioni diverse» e
anche qui, dicendo di combattere il
bullismo e la discriminazione, propongono lunghi capitoli contro l’omofobia.
Lo stesso giorno (un sabato!?!) il Ministero per le Pari Opportunità italiano
sconfessa i promotori di «questa as-
surda operazione ideologica per la diffusione nelle scuole di materiale mai
approvato da chi di dovere».
Tutto bene? Forse. Resta da appurare
chi abbia voluto e potuto promuovere e
finanziare una simile campagna «transnazionale» se non proprio europea.
Tanto più che a rincarare la dose – e a
dare conferma che l’Europa non è
paese per vecchi e nemmeno per bambini – dal Belgio è giunta anche la notizia della definitiva approvazione della
proposta di legge che estende anche ai
minori in fin di vita la possibilità di
chiedere l’eutanasia. A questo punto
alla denuncia iniziale di Francesco
Forte contro la nuova etica laica illuminista, credo di poter abbinare anche
queste parole dello scrittore inglese
Gilbert K. Chesterton: «La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. Tutto verrà negato…
Accenderemo fuochi per testimoniare
che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie
sono verdi in estate».
In&outlet di Aldo Cazzullo
Renzi, la ruota gira
Perché una parte d’Italia si è innamorata di Matteo Renzi? E perché molti
non gli perdonano di essere andato al
governo in questo modo?
Matteo Renzi non è frutto delle élites.
È un politico puro. Non è figlio dell’establishment o del Partito; è un autentico leader popolare. Non ha un
curriculum d’eccellenza. È laureato in
giurisprudenza (con 109; mancò il 110
perché discutendo la tesi litigò con il
relatore), ma non ha fatto studi superiori. Parlotta l’inglese con l’accento
toscano, ma non ha fatto master all’estero. Gli italiani non vedono in lui
un marziano, ma uno di loro. Con i
suoi limiti, e con due punti di forza: il
fiuto e l’energia. Il fiuto gli ha suggerito
che l’unico modo per emergere a sinistra era andare contro la vecchia guardia, cavalcando l’insofferenza della
base per leader che non vincevano mai.
Poi ha usato contro l’intera classe politica lo stesso linguaggio e gli stessi argomenti della gente comune. Infine ha
alzato il tiro contro l’establishment,
dalle banche ai sindacati. Si è insomma
costruito contro il Palazzo.
Proprio per questo l’opinione pubblica è perplessa, ora che lui nel Palazzo entra senza passare dal voto
popolare. Ma la sua energia può imprimere uno scossone a un Paese
sprofondato in una crisi di fiducia. Se
si esamina la situazione dal punto di
Matteo Renzi durante una puntata del
quiz di Mike Bongiorno.
Zig-Zag di Ovidio Biffi
Testimoniare che due più due fa quattro
Agli inizi di febbraio la stampa italiana
si è gettata a capofitto su una notizia attribuita all’Unione Europea e rivelatasi
poi una bufala: la corruzione in Italia
ha un giro annuo di 60 miliardi di euro.
Persino il «Corriere della Sera» e uno
dei suoi più autorevoli editorialisti
(Stella) hanno rimediato una magra figura. A lisciare il pelo a tutti è giunto, il
giorno dopo, l’85.enne economista
Francesco Forte su «Il Foglio»: dopo
aver ricordato che senza fondamentali
non si va lontano, soprattutto in economia, ha spiegato che quella notizia presentava cifre talmente spropositate, e
fuori da ogni parametro, che non sarebbe mai stata pubblicata se nelle redazioni ci fosse ancora il filtro di veri
economisti.
Nella sua rampogna Forte ha volutamente sconfinato dal campo economico e proprio per questo il suo
intervento merita di essere evidenziato.
La sua osservazione più vivace si rifà al
mutamento epocale sviluppatosi dopo
la caduta del sistema comunista e l’af-
fermarsi del capitalismo praticamente
in tutto il mondo. Prendendo come
metro di giudizio l’indignazione popolare, Forte è approdato a questo fulminante parallelo: «Nella cultura
intellettualista postmoderna, il peccato
contro il denaro ha sostituito quello
contro il sesso, la famiglia e la vita della
morale cattolica tradizionale. E così
nella nuova etica laica illuminista, che
s’è liberata della moralità sessuale ereditata dall’Ottocento, gli ex peccati
contro la vita umana (come eutanasia e
aborto) sono diventati diritti di libertà
degli esseri umani. L’indignazione morale ora è riservata ai peccati economici, specie corruzione, evasione o
frode fiscale».
A fornire prove sulla validità di questa
perfetta radiografia della nostra società
e della piroetta dei diritti di libertà
giungono altre notizie. La prima concerne una manifestazione svoltasi a Parigi e a Lyon, organizzata dal
movimento «Manif pour tous», nato lo
scorso anno per contrastare «Mariage
pour tous», ovvero le rivendicazioni
omosessuali in materia di famiglia e di
adozione di figli. I manifestanti francesi
ora protestano contro alcune disposizioni che riguardano l’insegnamento:
volute dal governo per contrastare
l’omofobia, in realtà predicano una «famigliafobia».
Beghe fra destra e sinistra francesi? La
smentita giunge dall’Italia dove sono
stati distribuiti tre opuscoli scolastici
con matrice («Educare alla diversità a
scuola») e obiettivi (ce n’è per tutti!)
uguali a quelli del governo francese. Un
breve estratto spiega bene la materia
trattata: «L’età avanzata, la tendenza all’autoritarismo, il grado di religiosità,
di ideologia conservatrice, di rigidità
mentale, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel
delineare il ritratto di un individuo
omofobo. Come appare evidente, maggiore risulta il grado di ignoranza, di
conservatorismo politico e sociale, di
cieca credenza nei precetti religiosi,
maggiore sarà la probabilità che un in-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
27
Cultura e Spettacoli
La lezione di Pontiggia
Il grande scrittore e pensatore
italiano non ha mai smesso
di essere oggetto di studi
Attenti alla musica
Per gli amanti del folk e degli anni Sessanta il
più recente film dei fratelli Coen, Inside Llewys
Devine, ha in serbo ben più di una gradevole
sorpresa
pagina 30
Stranissimi strumenti
L’Auditorio di Lugano propone una serie di
concerti che prevedono un ascolto piuttosto
impegnativo, anche grazie alla stravaganza
di musicisti e strumenti…
pagina 30
pagina 28
L’arte è un fiore libero
Mostre Odilon Redon alla Fondation Beyeler di Basilea
Gianluigi Bellei
«A nera, E bianca, I rossa, U verde, O
blu: vocali». Così scriveva un giovanissimo Rimbaud dando un colore alle vocali. Un atto di coraggio, simbolico, o criptico se volete, tipico di fine Ottocento
quando da una parte l’Impressionismo
diventa arte per specialisti o tecnici e
dall’altra il Simbolismo si profila come
arte dell’élite colta. Odilon Redon è un
po’ un piccolo maestro simbolista, solitario e appartato, che dal buio scopre la
luce e il colore, dalla malattia la bellezza.
Personaggio tutt’altro che stravagante,
di sicuro non un bohémien, si fa fotografare sempre in pose ieratiche con la
lunga barba curata, la cravatta, e non
certo la trasgressiva Lavallière, i gemelli
ai polsini. Nasce nel 1840 a Bordeaux, figlio di un proprietario terriero, Bertrand
e della creola Marie-Odile. In realtà il
suo nome è Bertrand Jean, ma tutti lo
chiamano Odilon in onore alla madre.
Fin da piccolo ha delle crisi epilettiche
che lo costringono a una vita appartata.
Nel 1862 si trasferisce a Parigi, inizia a
frequentare artisti e ad andare al Louvre
per copiare Leonardo. Nei vari salotti
parigini conosce Henri Fantin-Latour,
Mallarmé, Emile Verhaeren, Paul Verlaine. Incontra Edgar Degas alla galleria
Ambroise Vollard dove nel 1898 espone. L’anno successivo partecipa a una
collettiva del gruppo Nabis alla galleria
Durand-Ruel. Nel 1901 dipinge 17
grandi nature morte parietali nella sala
da pranzo del castello del suo mecenate,
il barone de Domecy a Burgdorf. Dal
1907, dopo un’asta all’Hôtel Drouot, ottiene la sicurezza finanziaria anche grazie al sostegno di una serie di collezionisti. Per uno di questi, Gustave Fayet, realizza nella biblioteca della sua abbazia di
Fontfroide una serie di tempere di grande formato. Muore a Parigi nel 1916.
La Fondation Beyeler di Basilea gli
dedica una mostra, organizzata cronologicamente e per temi, comprendente
un’ottantina fra dipinti, pastelli, litografie e carboncini. Si inizia con il primo
periodo detto «nero». La malattia, la solitudine, lo sconforto, chissà, rendono
cupi gli anni della giovinezza e Redon
dipinge unicamente tramite il segno nero, intenso e opaco, del carboncino o
quello maggiormente granuloso della
litografia. Il suo mondo è fatto di silenzio e drammaticità come in Martyr ou
Tête de martyr sur une coupe ou Saint
Jean del 1877 dove il volto di San Giovanni Battista appare degno di una saga
misteriosa e indecifrabile: una testa
mozzata senza sangue, capelli, violenza.
Christ del 1896 gioca sull’orrore della
corona di spine, dannatamente taglienti, in contrasto col volto etereo e silente
di un Cristo trasognato e irreale. I suoi
incubi sembrano presenti e reali ma galleggiano in un vuoto indefinito come
un ricordo latente; per questo L’araignée souriante del 1881 è terribile e
morbidamente paffuto. Gli occhi sordidi del ragno si accompagnano ai denti
acuminati e le lunghe zampe sembrano
arrivarti addosso mentre la peluria ammorbidisce l’inquietudine della visione.
Dopo il matrimonio nel 1880 con
Camille Falte, Redon trova la serenità e
a seguito della nascita dei figli, soprattutto il secondo, Arï, nel 1889, scopre il
colore, vivo, lucido, arioso, vibrante.
Splendida Les Yeux clos, nelle tre versioni del 1889, 1890 e 1894, nella quale una
eterea donna androgina con gli occhi
chiusi sorge dal mare come una montagna. Probabilmente è un ritratto della
moglie Camille, che rievoca il sogno e il
mondo interiore: una figura imponente
rappresentata in una forma simile a un
marmo di Francesco Laurana. Con il ciclo di Ophélie, realizzato fra il 1900 e il
1905, i volti sfumano fino ad annientarsi in un’orgia di sensazioni nelle quali
l’umano e il vegetale si confondono e la
donna dormiente, galleggiante sull’acqua, si coniuga con un mondo onirico
pieno di suggestione. In ogni caso è l’assenza che predomina nei suoi lavori;
un’assenza di sentimenti forti e di contrasti oppure dell’uomo stesso, come in
Papillons del 1910, dove l’aria, l’acqua e
la terra gioiscono nella vibrazione della
vita. Alfred Barr nel 1936 scrive di Redon come di un precursore dell’arte
astratta non geometrica e identifica nei
suoi lavori scintille iridescenti e amorfe.
Il simbolismo in ogni caso è sempre
presente e in Le Cyclope del 1914 la bellezza eterea e pudica di Galatea nuda
contrasta con l’occhio triste e nostalgico
di un Polifemo che guarda intenerito
dall’alto delle rocce. Ma forse è Le Char
d’Apollon che riassume la sua visione
onirica nella quale la luce trionfa sulle
tenebre. Mentre l’Hommage à Léonard
de Vinci, sempre del 1914, rende omaggio a uno dei suoi grandi maestri che da
Rembrandt van Rijn passa per Eugène
Delacroix e approda appunto a Leonardo da Vinci del quale ammira da sempre la tecnica dello sfumato. Qui, prendendo spunto dal dipinto La vergine, il
bambino e Sant’Anna del Louvre, Redon immerge la figura femminile in un
mondo incantato pieno di fascino e di
vegetazione, terrestre e acquatica, fluttuante. In mostra vi sono tre versioni
provenienti dal Musée d’Orsay, dal Clemens-Sels Museum Neuss e dall’Arp
Museum Bahnhof Rolandsch; una più
bella e palpitante dell’altra. A sessant’anni scopre il nudo femminile che dipinge nell’armonia di corpi candidi e
misteriosi come in Pandora, pretesto
per immaginare un Eden nel quale non
c’è posto per l'impudicizia ma solo per
la bellezza.
Nel 1922, dopo la morte, viene
pubblicata una sua raccolta di appunti,
sotto il titolo di A soi-même, nel quale
sono racchiusi i pensieri e i diari della
vita. I suoi intendimenti possono essere
racchiusi in una frase rivelatrice: ho cercato di «far vivere umanamente degli
esseri inverosimili secondo le leggi del
verosimile e ponendo per quanto era
possibile la logica del visibile al servizio
dell’invisibile».
La mostra basilese si avvale di una
serie di prestiti internazionali di prestigio provenienti da collezioni private e
da musei quali il Museum of Modern
Art e il Metropolitan Museum of Art di
New York, il Rijksmuseum di Amsterdam e il Musée d’Orsay che ha contribuito con ben nove capolavori. Bello
l’allestimento, ottime luci, corposo il catalogo divulgativo comprendente alcuni saggi fra i quali quello del curatore
Raphäel Bouvier che indaga sull’influenza di Redon sui Nabis, i Fauves,
Matisse, Yves Klein, Picasso, Kandinsky, Mondrian, Kelly, Duchamp e il
Surrealismo.
Dove e quando
Odilon Redon.A cura di Raphäel
Bouvier. Fondation Beyeler, Basilea.
Tutti i giorni ore 10.00-18.00;
mercoledì 10.00-20.00. Fino al 18
maggio. Catalogo edizioni Hatje Cantz
Verlag, tedesco e inglese, Fr. 62.50
www.fondationbeyeler.ch
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
28
Cultura e Spettacoli
Follie
per Giacometti
Un trittico
di coreografie
Danza Di recente
la prima al Teatro
dell’Opera di Zurigo
Meridiani e paralleli Di recente
pubblicazione un libro dedicato al grande
intellettuale italiano Giuseppe Pontiggia
Giovanni Orelli
Dice Giuseppe Pontiggia, ottimo pensatore e scrittore lombardo (e vicino al
Ticino), in una citazione che lo ricorda
nel bel libro a lui dedicato post mortem
da Rossana Dedola, Giuseppe Pontiggia.
La letteratura e le cose essenziali che ci
riguardano, Avagliano editore, Roma,
2013 (e sono le prime parole del libro):
La letteratura ha un senso se si confronta
con le cose essenziali che ci riguardano.
Tutto il resto è letteratura. «Et tout le reste est littérature» diceva, tempo fa, un
francese… E alla fine di questo raccomandabile libro è ancora il caro (caro =
che ci manca, latino qui caret) il caro
Pontiggia che insiste: Il modo per evitare, parlando di uno scrittore scomparso,
di cadere nell’agiografia, è quello di pensare non a lui, ma a noi. A quello che veramente di lui ci riguarda.
Qui rispondo prima di tutto per
me. Tutto quel che Pontiggia qui dice
mi riguarda: l’ho conosciuto e molto
stimato al Bagutta (Milano) nei suoi misuratissimi pareri su scrittori da premiare e (altro non «si poteva» fare) non
premiare.
Che cosa – per tornare alla domanda di cui sopra – che cosa di lui ci riguarda? Le cose sono tante, come potrà
vedere chi, con pazienza (quella pazienza che ci vuole per scrittori «seri» e meno, molto meno, ahimè!, per gli scrittori, numerosissimi e di successo, dell’
«intrattenimento»). Ne faccio un riassuntivo (colpevole) elenco: quando invece dei riassuntini come i miei ci vorrebbero «dibattiti» su temi che premevano nella mente di Pontiggia. Spero
proprio che l’attivo e intelligente neodirettore di «Cenobio», Pietro Montorfani, con suoi collaboratori, trovi la soluzione buona .
Pontiggia, per correttamente tornare a lui, è autore che onora, avendole
studiate (non per far carriera) le «brevitas» di un Tacito, di un Cesare, di un
Machiavelli… Egli, se parla, come ne
parla, di un narratore del nostro tempo,
facciamo Italo Svevo, si veda come ne
parla. E qui cedo la parola a Rossana
Dedola, pp. 25-26, che non tergiversa
ma subito va all’essenziale del «genio visionario», Italo Svevo. Parole, eccoci,
parole di Pontiggia: «A proposito dell’abilità di Svevo tipicamente, direi stilistica, nel manovrare e addirittura manipolare la sintassi, mi viene in mente un
episodio importante della Coscienza di
Zeno in cui il protagonista decide di
confessare a sua moglie che la sta tradendo con un’altra donna».
Non è come (per un cattolico) confessarlo a Dio (e qui non ce la faccio a citare il Pettazzoni perché la Dedola è
purtroppo carente nella bibliografia):
«…lì confessare i peccati è certamente
corroborante, liberatorio». La confessione è molto più forte del peccato.
Qualcuno dice: purtroppo mogli (e viceversa i mariti) non sono come il Dio
dei preti: «Nel caso raccontato da Svevo,
Zeno racconta alla moglie che la sta tradendo, ma lo fa con una chiarezza tale
che la moglie non capisce di che cosa sta
parlando e lo lascia ritirandosi nella sua
stanza. Qui un narratore normale, nel
senso di comune, avrebbe adottato questa frase: “Io glielo avevo detto, ma lei
non aveva capito”; invece Svevo… dice… “Lei non aveva capito, ma io glielo
avevo detto”. In questo modo rovescia
la sintassi, rovescia un mondo, fa capire
l’ipocrisia particolare (…)».
I tre momenti fondamentali della
nostra vita sono nascita copula e morte.
Sulla nascita, nulla qui. Sulla copula, legittima o no, su un aspetto minimo del-
Marinella Polli
Lo scrittore italiano Giuseppe Pontiggia. (Marka)
la vicissitudine matrimoniale, la sua sostanza è infinitamente più vasta del cenno fatto qui sopra (e non per colpa di
Svevo).
E la morte? Giuseppe Pontiggia, rispondendo alla Dedola, non scappa via.
Vado alla p. 27 dove il Pontiggia vede la
morte confrontata con «l’orgoglio della
mentalità intellettuale». Anche qui devo ridurre al massimo recando danno
all’autore Pontiggia. Riparerà il lettore?:
«La morte era piuttosto la rinuncia a un
approfondimento ulteriore, vero, della
vita, la banalità, la convenzionalità dei
giudizi, delle interpretazioni (…) quando non l’orgoglio della mediocrità intellettuale».
Veda il lettore il resto. Ma per capire, per un esempio forse impertinente
mio, il folle prezzo pagato recentemente
per un Giacometti (il quale sarebbe il
primo, suppongo, a chiudere, scandalizzato, gli occhi) penso che ignoranti
pieni di denari, che conoscono, di nome, otto o dieci nomi di grandi artisti, li
comprano per comperare. Come comprare azioni del Nilo o… senza ovviamente andare a vedere il Nilo.
Un intenso trittico di coreografie lungo l’arco di una serata che è stata una
vera gioia per tutti gli amanti della
danza, e per i numerosissimi fan del
Ballett Zürich, da oltre un anno animato e diretto da Christian Spuck, sinora
capace di ottenere degli ottimi risultati
dai solisti e dagli altri membri della
formazione. Lo si è visto di nuovo, come questi ballerini siano in grado di
danzare sempre ad un notevole livello
di tecnica e – soprattutto le ballerine –
di espressività, le coreografie stilisticamente più diverse e difficili. Difficili
come A-Life, in prima mondiale, ovvero Artificial life, dell’ex ballerino dello
Stuttgarter Ballett e ora coreografo
Douglas Lee, danzata in modo impeccabile da solisti e ensemble, perfetti
nell’assecondarsi a vicenda in un continuo metamorfismo. Su musiche di
Bjarnason & Frost, Childs, Kline e
Henne (su nastro), Lee crea immagini
coreografiche di prorompente vitalità,
spesso anche inusuali, che si disegnano
e si moltiplicano rapide nella suggestiva scenografia da lui creata.
Il secondo balletto in programma è
il celebre Wings of Wax (1997) di Jiri
Kylian ispiratosi a Musée des Beaux Arts
del poeta W. H. Auden e al dipinto di
Pieter Bruegel il Vecchio La Caduta di
Icaro, e su musiche (sempre su nastro)
di H. I. F. Biber, John Cage, Philipp
Glass e Bach. Esprimono qui la loro
brillante versatilità soprattutto – siamo
al cospetto di un balletto che richiede
più espressività che forza fisica – la
splendida, carismatica cinese Yen Han
e Felipe Portugal, ma va ribadito che
tutti i partecipanti sono padroni della
scena, e ancora una volta soprattutto le
ballerine.
Il clou della serata è comunque l’atteso Forellenquintett. Creato da Martin
Schläpfer, il coreografo sangallese e direttore del Balletto del Reno Düssel-
Cinema specchio dei tempi
Filmselezione La Brianza esemplare di Virzì e i due Oscar annunciati
a Matthew McConaughey e Jared Leto
Fabio Fumagalli
*** Il capitale umano, di Paolo Virzì,
con Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Matilde
Gioli, Valeria Golino (Italia 2014)
Paolo Virzì ama i film corali, incollarsi
alla sua girandola d’attori, osservarli assieme agli ambienti che li contengono;
con un’intelligenza che ritroviamo raramente nel cinema di casa sua. Un cinema che si vuole sempre popolare, che
diverte, ma senza rinunciare a riflettere;
che fa satira ma non farsa, con una voglia di analisi sociale, d’indagine dei
comportamenti che fa probabilmente
di Il capitale umano il film italiano più
acuto dell’anno. Quanto sopra pare il
manifesto di quella che Paolo Virzì predilige da sempre, la matrice più nobile
della commedia all’italiana frequentata
dall’esordio di Ovosodo alle riuscite costanti di La prima cosa bella, Tutta la vita davanti, Caterina va in città. Eppure,
anche se per nostro indubbio piacere
questo suo ulteriore capitolo conserva
certe risonanze dei Germi, Monicelli o
Risi, il suo nuovo film è innovativo e
maturo. In parte perché cavalca il successo del romanzo americano di Stephen Amidon ambientato nel Connecticut da cui è tratto; dall’altra, poiché
sembra (quasi) abbandonare la com-
La locandina del film di Paolo Virzì.
media a favore di atmosfere più cupe da
noir se non proprio da thriller, misurandosi fuori dagli umori un po’ regionalistici della satira centromeridionale
cara al regista di Livorno.
Così, questo mix di destini brianzoli che lega la viscida ambiguità della
scalata sociale di un immobiliarista (un
Fabrizio Bentivoglio straordinario) al
finanziere cinico «mago della finanza
tossica» (Fabrizio Gifuni, determinatissimo) spalanca nuovi orizzonti. Si fa
specchio significativo del teatro spicciolo che sta a monte della crisi economica
che conosciamo; e, nel profondo di una
Brianza mai descritta con tanta baldanza, si trascina appresso le altre componenti del mosaico. Due mogli dalla interessante, contrapposta reazione psicologica e quindi esistenziale (Valeria
Bruni Tedeschi e Valeria Golino); e, so-
prattutto, il coro degli adolescenti, sul
quale finiscono per ripercuotersi con
una indubbia partecipazione emotiva le
conseguenze del meschino teatro fra
avidità e valori fasulli che li sovrasta.
Virzì rinchiude la struttura in capitoli, con continui ritorni nel tempo,
prospettive diverse a seconda dei punti
di vista. Una meccanica sperimentata,
che ha pure qualche inciampo e ovvietà.
Ma a rilanciare di continuo il film è la
forza dell’attenzione psicologica concessa ad ognuno dei personaggi, la qualità della loro interpretazione, l’acume
dello spaccato epocale.
**(*) Dallas Buyers Club, di Jean-Marc
Vallée, con Matthew McConaughey,
Jared Leto, Jennifer Garner (Stati Uniti
2013)
È stato in pratica un pettegolezzo ad avviare il cammino che sta conducendo
agli Oscar con ben sei nomination Dallas Buyers Club. Due protagonisti, Matthew McConaughey e Jared Leto, fatti
dimagrire rispettivamente di 22 e 25
chili: al fine d’interpretare la lotta per la
vita di due sieropositivi che si trasforma
– nel clima particolare che ancora circondava negli Anni Ottanta chi si ammalava di AIDS – in una battaglia nei
confronti delle lobby del potentato farmaceutico. Una lotta per la sopravvi-
venza, ma anche nei confronti di una
morale che considerava il virus
un’esclusiva per omosessuali e drogati.
Il cowboy texano letteralmente posseduto da Matthew McConaughey è
l’emblema di un machismo imperante
nell’epoca di Reagan; omofobo, sbruffoneria ed eccessi di ogni genere, alcol,
droga e sesso – ovviamente etero. Eppure, una volta superata l’incredulità nel
vedersi vittima di una sentenza che considerava riservata ad altri, la storia vera
di Ron finirà per condurlo a legarsi in
modo sempre più commovente a un
transessuale clamoroso come Rayon
(interpretato con stupefacente verità da
Jared Leto).
L’interesse del film di Jean-Marc
Vallée risiede soprattutto nella performance degli attori, nella maschera progressivamente consapevole e sofferente
di McConaughey, in quella dolorosa, assai più che derisibile, di Leto. Ma il film
ha il merito non indifferente di non essere mai pietistico, e nemmeno moralizzatore; di rimanere ruvido e pragmatico
a perfetta immagine della progressione
esistenziale vissuta dal suo protagonista.
La dura, spesso crudele strategia che
questi deve mettere in atto per aggirare il
cinismo e i diktat di un sistema sanitario
ancora inadeguato diventa allora una
lotta per la libertà di scelta di un individuo nei confronti del proprio destino.
Alcuni ballerini impegnati nel
Forellenquintett.
dorf-Duisburg, e sulla partitura di grande impatto emotivo di Schubert eseguita da musicisti della Philarmonia Zürich appena tacciono le note di Don’t be
shy del gruppo rock The Libertines, il
balletto è una sequenza di immagini coreografiche altamente plastiche, e anche
divertenti. Gli straordinari ballerini
danno forma a gestualità, stupore, conflitti, giochi ammiccanti, situazioni
quotidiane, stati d’animo di un gruppo
di trote nel loro mitico mondo sottomarino (scenografia di Keso Dekker nella
quale fanno la loro apparizione anche
un bel paio di maxi stivali di gomma),
insomma a tutto quanto fa l’incontro e
lo scontro di esseri viventi, in una caleidoscopica gamma di possibilità che solo
la danza può illustrare. Si replica fino a
giugno.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Cultura e Spettacoli
La TV? Sta solo cambiando
Personaggi televisivi Incontro con Maurizio Canetta, nuovo direttore della RSI a partire dal primo giugno
Antonella Rainoldi
La sua è la storia di una irresistibile ascesa
verso la vetta della RSI, cominciata al TG
di Zurigo nel 1980 e proseguita poi a Comano. Trentaquattro anni trascorsi in
una basculante alternanza di retroscena
e ribalta, di uffici e riflettori. Maurizio
Canetta, cinquantasettenne, giornalista,
uomo di prodotto, responsabile dell’informazione, dirigerà dal primo giugno
un’azienda di più di mille persone, duecentoquaranta milioni di budget, televisione, radio e Internet. La dirigerà in un
momento difficile. Il mondo della comunicazione è al centro di una trasformazione radicale. La tv è cambiata. La
generalista ha ancora il potere di aggregare pubblico e fare ascolti, ma la convergenza tecnologica e la frammentazione
dei consumi le attribuiscono contorni
nuovi. Incontriamo Canetta nel suo ufficio a Comano: Tex alle pareti, mobilio
vissuto. La soddisfazione gliela si legge in
volto. Lo provochiamo subito. La scelta
del successore di un uomo d’azienda illuminato come Dino Balestra non è stata
semplicissima. Replica: «Secondo me
una delle difficoltà della successione di
Balestra è il peso dell’eredità. Per due fattori. Il primo è la lucidità di lettura delle
situazioni del mondo dei media. Il secondo è la capacità di aver messo l’indipendenza della RSI, e dunque della SSR,
al centro dei suoi valori e delle sue riflessioni. Io continuerò certamente su questi
due punti». Quando gli facciamo notare
che un giornalista come lui dovrà far pesare in modo diverso il ruolo che ha esercitato, risponde: «Giornalista si diventa e
poi si resta per sempre. Non smetto di essere giornalista. Ma fare il direttore è un
altro mestiere». Partiamo da qui. A richiesta, gli diamo del tu.
Maurizio Canetta, nuovo direttore della RSI. (Stefano Spinelli)
l’affetto. Ma non mi pare il caso di rinunciare a cederlo per questo. Anzi, è quasi
più bello cederlo, se continua ad andare
bene.
Chi lo condurrà?
Maurizio, dovrai imparare a non ficcare il naso in casa d’altri.
Dovrò imparare a non mettere il naso in
qualsiasi cosa, saltando chi se ne deve occupare. Il vero ruolo del direttore è
quello di trasmettere le impressioni e i
giudizi in termini corretti. D’altra parte il
vantaggio è che tutte le persone di questa
azienda sanno che quando parleranno
con me, parleranno con uno che ha fatto.
Ci dobbiamo pensare. Sceglieremo. Ora
non mi chiedere chi prenderà il mio
posto al vertice dell’informazione.
Perché?
Perché non lo so. Non sono io a decidere.
Tu chi vedresti bene a dirigere l’informazione?
La domanda successiva?
Quando hai capito che avresti voluto
fare il giornalista?
Non più come prima. Non avrò più un
mio programma.
In prima liceo. È stata la prima fulminazione giornalistica. Con un amico avevamo scritto un giornaletto, prima
affisso all’albo e poi pubblicato.
Sei pronto per lo sforzo titanico?
Argomento affrontato?
Quale?
Avevamo preso un articolo di Umberto
Eco, che era Il televisionario, dal Diario
minimo, e avevamo applicato i suoi principi sull’analisi che lui faceva del telegiornale sui TG italiani e svizzeri. Avevamo
registrato i TG e riportato quell’analisi lì.
Come direttore sarai esposto, ma
non più alle telecamere.
Coltivare la discrezione. Da giugno è
la fine: fine della ribalta.
E questo è un sacrificio, per uno che ha
fatto il telegiornale, Falò, il Gioco del
mondo, dibattiti, speciali, dirette di papi e
di 11 settembre. Ce l’ho nel sangue, questa parte del lavoro. C’è un piacere nel
dare qualcosa ma anche nel ricevere riscontri. Però si fanno delle scelte, nella
vita.
Scusa, che cosa intendi per riscontri?
Complimenti ma anche critiche.
Accetti critiche, purché siano costruttive?
Università?
Università. Ma poi ho interrotto gli studi
per cominciare a lavorare al TG di Zurigo.
Alla RSI come ci entra il figlio di Alberto Canetta? Per diritto familiare?
No. A quell’epoca c’era la circolare Darani che impediva ai parenti stretti di essere assunti.
No, guarda. Io sostengo da sempre che
l’espressione «critica costruttiva» sia un
falso. La critica distrugge, infastidisce ma
è molto utile. Se Antonella Rainoldi
muove una critica al Gioco del mondo, e
la critica è giustificata, io mi sento in errore e quindi in difficoltà. La costruzione
comincia dopo.
Con quale astuzia hai eluso la circolare Darani?
Il Gioco del mondo chiuderà?
Rimpiango di non aver fatto la tesi di laurea, perché è comunque un banco di
prova importante, di profondità. Ho iniziato dicendo: be’, intanto faccio gli esami
e poi finisco. È andata diversamente.
Quando uno ama questo mestiere lavora,
se può, al centoventi percento. Ma comunque non è che se smetti gli studi universitari smetti di studiare.
No. Intanto uno spazio di incontri-interviste in tv è fondamentale. E poi la trasmissione è iniziata in aprile e fin da
subito ha avuto riscontri positivi. È vista
come una modalità in parte relativamente nuova di affrontare persone e personaggi.
Questo è evidente. Ma il Gioco del
mondo è Maurizio Canetta.
L’ho scritto io, l’ho elaborato io insieme a
Paolo Taggi. Il titolo è made in Dino Balestra e quindi il timbro è suo. Naturalmente ci sono legato con il cuore, con
Non ho eluso proprio niente. Nel 1980 il
TG di Zurigo era nazionale e non dipendeva dalla RSI. Sono stato assunto dalla
direzione dei programmi di Berna. Sugli
studi avrei però qualcosa da aggiungere.
Prego.
No, infatti. E forse si dovrebbe uscire
dall’equazione «titoli uguale capacità».
Quando ci sono i concorsi dico sempre:
guardiamo bene le candidature; con-
tano le persone, non i titoli. Ci sono
aziende che ignorano i titoli di studio.
Fanno i test, vedono le persone e decidono: questo ha talento, questo non ha
talento. Quindi dico che sì, si dovrebbe
uscire dall’equazione «titoli uguale capacità», ma…
Ma?
Se duecentocinquanta persone concorrono per un posto di giornalista, tu qualche paletto lo devi pur mettere. E d’altra
parte non è nemmeno giusto che chi ha
investito negli studi si veda superato da
uno che manco ha finito il liceo. Però è
anche vero che uno può giocare a calcio
da accademia, aver fatto tutte le scuole
del mondo, e poi esce Maradona dai
campetti e tu prendi sempre Maradona.
Ne sei proprio sicuro? Ci sono direttori che si comportano come certi allenatori di calcio: respingono i
talentuosi per non essere oscurati.
Subito dopo la tua nomina a direttore
RSI, tre leghisti membri del Consiglio
della Corsi si sono dichiarati ufficialmente tuoi sponsor con un pezzo lodativo sul «Mattino della domenica».
Come hai reagito?
Che domanda è? Le espressioni di stima
non possono dare fastidio.
No, ma qualcuno potrebbe pensare
che non siano gratuite. Proprio come
le protezioni.
Il problema è: se le espressioni di stima, o
gli appoggi, sono richiesti, bisogna dare
qualcosa in cambio. Se non ci sono richieste, non c’è baratto. Il peggio della
vita di un’azienda, nel nostro mestiere, è
il baratto. Ti chiedo e poi ti devo ridare.
Appunto. Com’è andata con i leghisti?
zione ha subito un cambiamento radicale. Procedere sul terreno della
cosiddetta cultura convergente non è
un po’ come avventurarsi verso
l’ignoto?
Sì. E questo da un lato è affascinante, ma
dall’altro è pericoloso perché rischi di
imboccare vie tortuose o vicoli ciechi.
Quella del mondo della comunicazione è
una realtà talmente magmatica che nulla
è codificato e descritto.
E quindi?
Quindi occorre capire le tendenze, i
nuovi linguaggi. Io sarò alla guida di un
transatlantico che è difficile da manovrare. Non puoi fare delle sterzate secche, devi girare la barra del timone piano
piano. E soprattutto una volta che l’hai
girata è difficile tornare indietro.
Sanvido, Besomi e Foletti hanno semplicemente espresso dei pareri sulla mia
carriera e sulla mia modalità di fare, e va
benissimo. L’hanno fatto in tanti da tutte
le parti, da altre correnti, da altri partiti e
gruppi di interesse. Mi sono arrivati i
complimenti dal centro, da destra e da sinistra.
Fuor di metafora?
Su quale punto?
Prego.
Altri complimenti. Fino all’altro ieri il
«Mattino della domenica» ti dava del
giornalista «rosso».
Io credo di essere stato un buon presentatore di TG, di aver conquistato negli
anni una credibilità e una forza. Però
oggi c’è gente che presenta il TG perlomeno come me, se non meglio di me. E
va benissimo. Che cosa posso aggiungere?
Sì, però a me c’è una cosa che risulta
strana. Se la RSI è in mano ai rossi, come
qualcuno dice e pensa, e se il cosiddetto
quarto potere è fondamentale per orientare l’opinione pubblica, la domanda è:
perché i partiti di sinistra e il PS hanno
dei risultati elettorali normali?
Assunzioni discutibili. Alla RSI ne
sono state fatte. Ammettilo.
Ti sembrano «normali»?
Beh, se non ammettiamo l’errore cominciamo male. Valutare i talenti è molto
difficile. Un’azienda di oltre mille persone può certamente aver sottovalutato
qualche ottimo giornalista e sbagliato
qualche assunzione. Ma quale azienda
ha il cento per cento di perfezione nei
profili assunti?
Datti una risposta.
Come direttore io mi pongo nell’ottica
secondo la quale più talenti emergono,
più ci guadagno io. E quindi ricercare e
coltivare talenti è obbligatorio. Per mia
fortuna non sono affetto da invidia o
dalla paura di essere superato. Ti faccio
l’esempio del TG.
Torniamo a te. Si dice che tu sia un
socialista con buone capacità atletiche. La sinistra è ancora la tua casa
politica?
È la mia casa da uomo, da persona che
pensa, che ha dei dubbi. Poi però faccio
un mestiere che si chiama giornalista, e
dentro questa azienda, cioè nel Servizio
pubblico, c’è un valore che li supera tutti
ed è l’indipendenza.
«Normali».
Semplicemente perché alla RSI si fa soprattutto il proprio mestiere.
Uhm. Non è bello svicolare.
Cosa ti devo dire? Questo è il mio pensiero.
Alla RSI non si commettono errori?
L’ho già detto, di errori se ne fanno.
Anche di tipo professionale. Produciamo ore e ore di programmi. L’errore si
annida dietro ogni angolo. La perfezione
non è umana. L’importante è che ci sia la
consapevolezza di aver sempre fatto il
proprio lavoro con coscienza e che se c’è
un errore si intervenga. Parlo da direttore dell’informazione.
Parla da direttore RSI. In un decennio
il sistema dei mezzi di comunica-
Se noi decidiamo di togliere una parte da
uno dei media per trasferirla sui nuovi
media, dobbiamo essere pronti comunque a tornare indietro se vediamo sviluppi diversi. Non possiamo dunque
aver messo tutto su una sola casella.
Detto ciò dobbiamo chiarirci.
Ogni tanto dicono: «la televisione sta
morendo». Non è vero. Non sarà vero.
Ma quanto sarà ridotto l’impatto della tv
in nome del nuovo modo di consumare i
programmi?
Oggi sappiamo solo che la tv sarà più
verticale e più segmentata.
Esatto. Quindi noi dobbiamo prepararci
a questo. Dobbiamo analizzare e poi
fare. Dobbiamo continuare a fornire
quello che forniamo oggi ed essere
pronti alle alternative. Credo però che
comunque, dentro a tutto questo, resta
la centralità della generalista, intesa
come generalità o generalismo di proporre contenuti.
A proposito di tv: la guardi o la fai soltanto?
Laguardo,laguardo.Guardoditutto,di
più.Informazione,cultura,sport,telefilm.
Ti piacciono le serie tv americane?
Tantissimo. Le serie americane oggi
sono la lettura del mondo.
Usi Twitter?
Ogni mattina mai senza caffè, «Gazzetta
dello Sport» e Twitter. Vado anche in Facebook. Oggi uno non può stare alla
guida della RSI se non conosce i meccanismi dei social media, no?
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
Cultura e Spettacoli
L’omaggio dei Coen
Musica Le suggestioni e le chimere della scena folk del Greenwich
Village newyorchese dei primi anni ’60 rivivono con i Coen
Oggetti misteriosi
sul palco accanto
all’orchestra
Concerti Ottimo avvio per le «Stravaganze
Benedicta Froelich
Non c’è dubbio che, negli ultimi mesi, diversi prodotti del mercato discografico
abbiano mostrato una crescente attrazione verso «l’effetto nostalgia» legato alle atmosfere e al repertorio della scena
folk-rock statunitense degli anni ’60; tanto che anche la cinematografia di grande
richiamo sembra cedere alle lusinghe di
quella magica e irripetibile stagione che
vide il quartiere newyorchese del Greenwich Village assurgere a scenario della
grande creatività musicale dell’epoca –
una creatività fortemente intrisa dell’impegno sociale e politico che era figlio dei
fermenti e delle rivoluzioni di un decennio davvero cruciale. Ecco quindi che
l’attuale stagione cinematografica vede
anche il celebre duo formato da Joel ed
Ethan Coen tentare un’operazione di
questo tipo: la quotata coppia di registi –
che già aveva omaggiato la musica folk
statunitense nel film Fratello Dove Sei,
ambientato nell’America rurale della
Grande Depressione – ha infatti dedicato il suo nuovo lavoro, A Proposito di Davis, alla libera rielaborazione della vicenda personale di una delle figure chiave
che, all’inizio degli anni ’60, animarono
la fiorente scena folk del Village. Anni in
cui, nei locali intorno a Washington
Square, si avvicendavano giovani musicisti del calibro di Bob Dylan, Harry Nilsson, Ramblin’ Jack Elliott, Tom Paxton
e innumerevoli altri – tra cui l’illustre
Dave Van Ronk, uno dei mentori di Dy-
lan, non a caso prescelto dai Coen come
protagonista e ispiratore principale della
loro opera (il titolo originale del film, Inside Llewyn Davis, è un riferimento al titolo dell’autobiografia Inside Dave Van
Ronk). Con la sua aria trasognata, i capelli ribelli e la barba scura, il personaggio di
Llewyn diventa così il perfetto alter ego
di Dave – confrontato, fin dalla scena
d’apertura del film, con il fantasma dell’inimmaginabile successo del collega
Bob Dylan, pronto a portare la musica
folk all’attenzione di pubblico e media.
Ora che A Proposito di Davis è giunto anche nelle nostre sale, la colonna sonora lo ha immediatamente seguito nei
negozi di dischi; e non poteva essere altrimenti, con un film in cui la musica ricopre un ruolo tanto fondamentale. La
soundtrack è stata infatti realizzata con
un’attenzione certosina all’autenticità,
tanto che i Coen hanno voluto fossero gli
stessi attori a cantare i vari brani, senza
nessun tipo di doppiaggio; del resto, la
presenza di un produttore come T-Bone
Burnett (già curatore di Fratello, Dove
Sei?) dimostra come l’intenzione fosse
quella di rendere un serio e professionale
omaggio ai numi del folk americano – rigorosamente acustico – dei primi anni
’60. Bisogna dire che l’album riesce appieno nel suo compito: senza voler essere
un capolavoro, Inside Llewyn Davis cattura infatti lo spirito della musica popolare USA nella sua accezione più genuina e
spontanea, tramite la scelta di una tracklist composta perlopiù da traditional del
Una scena da Inside Llewyn Davis (a sin. e in mezzo, O. Isaac e J. Timberlake).
genere. Inoltre, pur non potendo aspirare all’eccellenza di Van Ronk, l’attore
protagonista Oscar Isaac è un buon performer, in grado di donarci efficaci versioni per voce e chitarra di classici immortali quali Hang Me, Oh Hang Me e
The Death of Queen Jane. Interpretazioni
che si rivelano particolarmente efficaci
quando Isaac viene affiancato da professionisti quali i Punch Brothers (sulla delicata The Shoals of Herring) e Marcus
Mumford, con cui condivide le efficaci
armonie vocali di Fare Thee Well (Dink’s
Song), pezzo che la tracklist offre anche in
una versione eseguita dal solo Isaac.
E se stupisce non poco trovare in
quest’album anche un cantante pop di
stampo commerciale come Justin Timberlake (che nel film interpreta il folksinger Jim Berkey), bisogna ammettere che
l’esperimento funziona, poiché la vivacità del teen idol ben si presta al carattere
del personaggio, e alle sue performance:
particolarmente interessante, a questo
riguardo, la versione di Five Hundred
Miles che vede l’unione delle voci di
Timberlake, dell’attrice Carey Mulligan
(Jean nel film) e di Stark Sands in una
prova che non ha nulla da invidiare a
quella di una formazione folk professionista. Per il cultore del genere, risulta poi
davvero preziosa la presenza di nomi
storici quali John Cohen (in una versione di The Roving Gambler firmata dai
The Down Hill Strugglers) e Nancy Blake, fautrice di una svagata The Storms
Are on the Ocean.
Naturalmente, l’album non poteva
che chiudersi con i contributi dei due artisti esplicitamente omaggiati nel film – il
«vero» Van Ronk, che appare con lo
standard Green, Green Rocky Road, e
l’immancabile Bob Dylan, che firma la
breve ma intensa Farewell; il che contribuisce ulteriormente a rendere Inside
Llewyn Davis un efficace tributo al mondo perduto di Washington Square. Un
universo scomparso, che tuttavia avrebbe ancora molto da donare al pubblico,
come il successo dello stesso film dei Coen dimostra; e che fa davvero piacere veder riportato in vita dalla cinematografia
– anche a beneficio di chi, per motivi
anagrafici, non lo ha mai conosciuto.
Top10
DVD & Blu Ray
Top10
Libri
Top10
CD
1. Cattivissimo Me 2
1. Clara Sánchez
1. Laura Pausini
Animazione
2. Planes
Animazione
Le cose che sai di me, Garzanti
2. Jeff Kinney
Diario di una schiappa Guai in arrivo, Il Castoro
3. Gravity
S. Bullock, G. Clooney /novità
Greatest Hits
2. Artisti Vari
Megahits 2014
3. Artisti Vari
3. Stephen King
Bravo Hits Vol. 84
Doctor Sleep, Sperling
4. Thor 2
C. Hemsworth, N. Portman /novità
4. Eugenio Finardi
4. J. P. Sloan
Fibrillante
English da zero, Mondadori
5. Corpi da reato
S. Bullock, M. McCarthy /novità
5. Ligabue
5. Michael Connelly
Mondovisione
Il quinto testimone, Piemme /novità
6. Prisoners
H. Jackman, J. Gyllenhaal /novità
6. Artisti Vari
6. Fabio Volo
The Dome Vol. 68
La strada verso casa, Mondadori
7. Runner Runner
J. Timberlake, B. Affleck /novità
7. Modà
7. Michele Serra
Gioia… non è mai abbastanza
Gli sdraiati, Feltrinelli /novità
8. Un piano perfetto
D. Kruger, D. Boon
9. Captain Phillips
T. Hanks, M. Martini /novità
10. Gli stagisti
V. Vaughn, O. Wilson /novità
8. Zucchero
8. Luis Sepulveda
Storia di una lumaca che scoprì
l’importanza di essere lenta
Guanda /novità
9. Khaled Hosseini
E l’eco rispose, Piemme
10. Isabel Allende
Il gioco di Ripper, Feltrinelli
Una rosa blanca
9. Antony/Battiato
Dal suo veloce volo
10. Eros Ramazzotti
Noi Due
strumentali» all’Auditorio
Matthias Ziegler
posa accanto al
suo flauto
contrabbasso.
Zeno Gabaglio
Tracciare bilanci a metà di un’opera è
esercizio che espone sempre a pericoli,
se non altro di parzialità. Malgrado
questi rischi – e approfittando della
settimana di pausa nel flusso di appuntamenti iniziati il 10 gennaio e che termineranno il 18 aprile – qualche considerazione a proposito dei Concerti
dell’Auditorio 2014 è necessario spenderla.
Lo spettatore sa
che il suo ascolto
sarà molto più
impegnativo, ma i
biglietti vanno a ruba
Mantenere – con gli anni che passano e
i gusti che cambiano – una stagione sinfonica (ma non solo) che abbia un vero
legante tematico è un punto di partenza
già meritorio: tranne pochissime eccezioni tutti i concerti della stagione presentano infatti una declinazione sempre diversa del leitmotiv «Stravaganze
strumentali». Per gli organizzatori sarebbe molto più semplice non darsi temi (o scegliersene di talmente ampi da
giustificare quasi tutto), molto più agevole sarebbe anche il rapporto con le
agenzie (per trovare solisti, direttori e
programmi disponibili) e molto più facile l’ottenere il compiacimento del
pubblico con scelte sempre ammiccanti. E invece no, non è così: chi entra negli
studi RSI nei primi tre mesi dell’anno
ormai sa che rischia di essere stupito, sa
che gli verrà chiesta una disponibilità
più attiva rispetto a quella (quasi nulla)
che viene normalmente pretesa dagli
ascoltatori sinfonici. Ma non per questo
il pubblico diserta la sala: trovare un biglietto è anzi spesso impresa ardua.
Poi si entra nel merito: «Stravaganze strumentali». Una gara a chi lo fa più
strano? Un’inopportuna riscoperta del
giustamente dimenticato? Una corte
dei miracoli esibita sul palco? Dubbi legittimi, ma per fortuna sconfessati dai
fatti. Perché se la ricerca dell’insolito o
dell’esotico spesso riserva sorprese indesiderate, nel caso dei Concerti dell’Auditorio si è finora potuto godere di
scoperte veramente gustose. Perché i
solisti che si sono sin qui avvicendati accanto all’Orchestra della Svizzera italiana (in un’occasione anche accanto a I
Barocchisti) portavano in dote oltre al
loro strumento particolare (stranissimo, a volte), oltre alle loro grandi capacità tecniche, oltre alla bellezza delle
musiche scelte, anche un ulteriore contenuto di umanità e di arte. Perché nella
maggior parte dei casi la persona è lo
strumento e lo strumento è la persona,
frutti gemelli di una scelta individuale e
di una crescita simbiotica che non ha simili da nessun’altra parte. Quale altro
pianista, oltre a Roberto Prosseda, ha
scelto di convivere con un piano-pédalier, di capirne la tecnica, di studiarne la
meccanica, di indagarne il repertorio, di
portarne pionieristicamente attraverso
il mondo i risultati? Nessuno. E per
questo la sua particolarità, la sua specificità, la consapevolezza del suo porsi
non ha uguali.
A maggior ragione questo capita se
le scelte sono ancora più radicali, e su
tutti va citato il caso di Matthias Ziegler.
Scopritore di flauti non ortodossi (il
basso e il contrabbasso), estensore elettronico delle potenzialità dello strumento, propiziatore di composizioni
scritte ad hoc e con sensibilità pienamente contemporanea: dove abbiamo
mai visto un solista con computer, che
manda in loop un proprio fraseggio, e
un direttore e un’orchestra che vi si devono adeguare? Ma a colpire non è solo
il nuovo dato tecnico, bensì la figura del
musicista: finalmente artista e scopritore, che ricerca fuori dal seminato, a proprio rischio e pericolo. Non semplice ripetitore – ancorché virtuosissimo – di
consuetudini tramandate nei secoli e
difficilmente argomentabili nel senso di
una cultura che si vuole viva e attuale.
Ma questo è un altro gravoso tema: per
ora limitiamo ad ascoltare e a farci stupire dai concerti che, sempre all’Auditorio, riprenderanno il prossimo 14
marzo.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta
I casi della vita
I sessanta anni dall’inizio delle trasmissioni televisive in Italia (3 gennaio 1954)
saranno celebrati, io credo, per tutto
l’anno. Questa certezza mi deriva dal
numero di inviti a partecipare come testimone a serate presso circoli privati, o
strutture pubbliche, dedicate al tema.
Accetto volentieri anche se mi sento
come un reduce delle guerre puniche al
quale fanno sempre la medesima domanda: «Com’era, visto da vicino, Scipione l’Africano?». A me piacerebbe
invece raccontare com’erano negli anni
’60 i processi decisionali che portavano a
disegnare il palinsesto dei programmi. A
metà di quel decennio mi è capitato di
vivere una singolare esperienza, passare
in pochi mesi da un lavoro marginale
svolto nell’estrema periferia dell’impero
Rai a un incarico in direzione, nel cuore
del sistema. Nel 1965 lavoravo da tre
anni come cameraman presso il centro
di produzione Rai di Torino, impegnato
nelle riprese di programmi per ragazzi e
di gare di sport minori; tutto il mio
tempo libero, che non era poco, lo tra-
scorrevo come volontario presso il centro studi Piero Gobetti, una figura di intellettuale e di organizzatore di cultura
che era (ed è tuttora) uno dei miei miti.
Immaginatevi la mia gratificazione nel
collaborare fianco a fianco con Ada Prospero, la vedova di Piero, con suo figlio
Paolo e la nuora Carla. Quest’ultima mi
fece una proposta, eravamo a settembre
al rientro dalle vacanze: l’allora presidente del centro studi, il professor
Franco Antonicelli, traslocava da un appartamento ad un altro, sempre di Torino, e cercava un volontario disposto a
mettergli a posto la biblioteca: 40 mila
libri! Ho trascorso un mese di felicità assoluta ad aprire scatole su scatole per
scoprire i tesori che contenevano. Arrivò il giorno in cui dovevo consegnare
al professore le chiavi di casa e spiegargli
i criteri con i quali avevo ordinato i libri
negli scaffali; quella mattina, sulla bacheca dei comunicati per i dipendenti
della Rai, era apparso il bando per la partecipazione a un corso di formazione
per programmisti, aperto anche ai di-
pendenti che fossero provvisti di un diploma di laurea, che a me mancava. Con
uno spiraglio: si poteva tentare l’ammissione al corso allegando le prove di avere
svolto una qualche attività culturale.
Quando Antonicelli, dopo avere approvato il mio lavoro, mi chiese se c’era un
modo per dirmi grazie, gli parlai del
bando di concorso: poteva farmi due
righe per certificare che gli avevo messo
a posto la biblioteca? Lui non solo scrisse
su di me un panegirico imbarazzante
ma senza dirmelo, mi raccomandò
presso Marziano Bernardi, vice direttore della Rai, suo amico. Eccomi ammesso all’esame, e, una volta superato, a
frequentare un corso durante il quale
morì Sergio Pugliese, direttore dei programmi. Il responsabile del mio corso fu
chiamato, insieme ad altri, a prendere il
posto di Pugliese e decise che avrei lavorato in direzione nella sua struttura. In
quegli anni nelle varie sfaccettature del
pensiero di sinistra ferveva un animato
dibattito su quella che veniva chiamata
«industria culturale». I libri dei sociologi
e filosofi francesi e tedeschi (la scuola di
Francoforte) erano tradotti e divorati, le
riviste (I quaderni piacentini) dedicavano ampio spazio al tema. Nella sinistra era opinione condivisa che la
borghesia esercitasse il suo dominio
sulla cultura attraverso un «grande disegno». Eccomi dunque sbarcato a Roma,
nel cuore della più grande industria culturale italiana che operava ancora in regime monopolistico, pronto a cogliere
tutti i segnali del grande disegno nel suo
compiersi. Un caso fra tanti: ogni venerdì andava in onda uno spettacolo
teatrale, la cosiddetta prosa, una cinquantina di commedie e tragedie all’anno; immaginavo una riunione nella
quale venisse varato il progetto globale,
tenuto conto di tutte le variabili: che so,
quattro tragedie classiche, due Goldoni,
due Shakespeare, uno Schiller, un Ibsen,
tre Pirandello, ecc. ecc. Niente di tutto
questo, ma un navigare a vista, giorno
per giorno, modellandosi come
un’ameba sulle dinamiche della società.
Scelte fatte sovente per andare incontro
alle difficoltà di una compagnia teatrale
che dalle riprese televisive avrebbe ricavato una boccata di ossigeno. Allora, nel
mio rigore ideologico, ero deluso e scandalizzato; adesso penso che fosse un
comportamento saggio, esempio della
divaricazione fra principi teorici e comportamento pratico che ha permesso
alla società italiana di stare a galla in tutti
quegli anni. Un esempio: nel 1970 Federico Fellini accettò, dopo un lungo corteggiamento, di lavorare per la Rai e
realizzò un film per la TV, I clowns, trasmesso la sera di Natale. Nel cast non
c’era un ruolo adatto per Giulietta Masina e il grande maestro ci chiese se era
possibile impegnarla altrove. Con il mio
capo chiedemmo di incontrare la signora Masina, per manifestarle il nostro
desiderio di coinvolgerla in una nostra
produzione. Lei aveva in serbo il copione per un film, scritto per lei da Tullio Pinelli, Eleonora. Trasformato in uno
sceneggiato in cinque puntate, interpretato da lei e da Giulio Brogi, fu un successo. Nato per caso.
dei concittadini per la matrigna fece
esaltare Maria come una santa e da lì sarebbero sorte leggende poi confluite nel
testo dei Grimm. Anche non tenendo
conto delle innumerevoli parodie di
queste fiabe, dal capovolgimento dei
personaggi fino alle versioni pornografiche, anche non considerando le letture
psicanalitiche pronte a mostrare simboli di sessualità ed Edipi per ogni dove,
si comprende la censura del governo
italiano. Che insegnamento potranno
trarre i fanciulli da matrigne invidiose e
assassine, da padri assenti, da parenti
gelose per un mancato invito? Solo a ricordarle a memoria, sono evidenti le
violenze alla radice e nello svolgimento
delle fiabe: Cenerentola è schiavizzata
dalle sorellastre e dalla matrigna; Hänsel e Gretel sono abbandonati nel bosco
dai genitori che non sanno come sfamarli, per cadere tra le braccia della
strega cannibale; e Pollicino? Abbandonato da madre (vera) e padre con sei
fratelli più grandi il primo giorno con il
trucco dei sassolini, come Arianna con
il filo, ritrova la strada di casa per tutti.
Chissà che felicità, i genitori, penserete,
chissà come erano già pentiti del loro
folle gesto. Macché. Il giorno dopo, di
nuovo tutti i bambini abbandonati nel
bosco, e Pollicino aveva al posto dei
sassi solo briciole, che gli uccelli si mangiarono. Perduti tutti e sette trovano
una casa, ma poi scoprono che il padrone di casa è un Orco. Pollicino ruba
le coroncine alle sette figlie dell’orco, le
indossa con i suoi fratelli e l’orco nella
notte sgozza le sue sette figliole. Poi insegue i bambini con gli stivali delle sette
leghe, ma Pollicino uccide l’orco, gli
ruba l’oro e gli stivali, così tornano a
casa da quei delinquenti dei genitori.
Dunque, genitori che abbandonano a
morte sicura i figli, orchi, salvezza ottenuta solo con azioni cruente. Niente di
educativo. Come Platone nella Repubblica censura Omero, e propone di
espungere dai testi le scene più violente
e quelle in cui gli eroi mostrano le loro
debolezze, così, mi pare corretto, il Governo vigila sui futuri cittadini. Niente
esempi violenti e cattivi. Soddisfatta di
questo mio pensare, apro i sei libretti
pervenuti alle scuole italiane di ogni livello: non bisogna fare distinzioni di
razza o religione, giusto. Prevenire il
bullismo, soprattutto in rete. Giusto.
Non si devono più leggere o raccontare
le fiabe, ecco ci siamo. Perché presentano stereotipi di donne sottomesse e
dedite ai lavori domestici e uomini che
fanno della forza la loro principale
virtù. Ohibò, le matrigne non sembravano tanto sottomesse. E il principe in
calzamaglia azzurrina non aveva niente
del macho, né del bullo. Un bacetto, la
commozione per la bellezza in sonno, la
felicità del risveglio. Non avevo capito
niente. Gli orchi pasteggino, le streghe
avvelenino, i genitori abbandonino i
figli. L’importante è che per ogni principessa riportata in vita ci sia un maschio
salvato da femmina, e se di mestiere è
cuoco o cameriere, meglio.
didata (sconfitta) alle elezioni sarde, ha
provocato un caos di commenti indignati. Una mattina si è lasciata sfuggire
in tv che, insomma, si pentiva di essersi
svegliata alle 7.30 per sentirsi fare delle
domande tanto inutili: «Sacrifico il riposo per le cose importanti». La reazione scandalizzata degli editorialisti
politici di mezza Italia: ma quando si
sveglia questa Murgia? Possibile che le
7.30 sia un orario tanto impossibile per
una persona impegnata nella politica?
Ma siamo pazzi? Tutti increduli a ripetere la domanda di Cartesio: sogno o son
desto? Un politico che si rispetti, insomma, dovrebbe stare in piedi 24 ore
su 24, secondo alcuni politologi. L’efficientismo di Berlusconi deve aver fatto
proseliti: il Cavaliere non manca mai occasione per far sapere che dorme tre ore
e mezza per notte. Per lavorare? Non è
detto. Comunque ammirevole, anche se
qualche volta si rifà con una pennichella
nei momenti e nei luoghi più impensati,
come al Quirinale mentre parla Napoli-
tano. Una fotografia impietosa lo ritrae
seduto su una poltroncina, con la testa
rovesciata all’indietro e in totale catalessi, a Dallas durante l’inaugurazione
del museo dedicato alla presidenza di
George W. Bush. Fatto sta che il Berlusca è la dimostrazione vivente e plastica
che se il sonno della ragione genera mostri (per certi assessori locali genera mostre, ma questo è un altro discorso),
anche l’insonnia può produrre i suoi
guai. Lo stesso vale per Mussolini che si
vantava di stare a letto al massimo quattro ore. Il resto era ginnastica, parate e
discorsi da Palazzo Venezia (molto meglio se si fosse concesso qualche sonnellino in più): alla domanda «sogno o son
destro?» avrebbe saputo cosa rispondere. Il sonno, però, non conosce destra
e sinistra. Ma pure in questo Matteo
Renzi è un simpatizzante di Berlusconi,
se ama convocare le riunioni di partito
alle sei e mezza del mattino («ronfo o
son lesto»). Forse se dormisse un po’ di
più si risparmierebbe scivoloni clamo-
rosi, come quando ha scritto, nel suo
libro, che «il Rinascimento si sviluppa a
Firenze anche perché i trovatelli degli
Innocenti ricevono la stessa educazione
dei figli delle famiglie ricche». Figurarsi.
Anche se Alessandro Magno e Napoleone dormivano non più di quattro ore,
la qualità dei governanti non si misura
da quanto (poco) dormono. E neanche
quella degli scienziati, degli artisti e degli
scrittori, tant’è che tra i grandi ronfatori
della storia ci sono Leonardo da Vinci
(12 ore minuto più minuto meno), Michelangelo (10), Einstein (11), Kafka
(10). Il quale Kafka, però, con il solito
spirito autopunitivo, in una lettera a Milena diceva che «quando non si dorme
abbastanza si è più intelligenti». Del
resto, come si fa a chiudere occhio se
temi di risvegliarti scarafaggio? Ecco
una buona domanda cui potrebbero rispondere, dopo il letargo, i ricercatori
dell’Università del Surrey: quante ore di
insonnia ci vogliono per finire come il
povero Gregor Samsa?
Postille filosofiche di Maria Bettetini
Ma l’orrore dove sta?
Biancaneve dorme di un sonno infinito,
chiusa nella teca di cristallo. I nani si alternano per vegliarla e portarle fiori freschi. È sempre bellissima, pelle come la
neve, labbra del color del sangue. Clop
clop clop, arriva un giovanotto in calzamaglia, un Roberto Bolle col giustacuore celeste e la piuma sul cappello.
Togli la teca, bacia la ragazza. La bella si
risveglia, oplà, un saluto frettoloso e via
sul bianco cavallo col celeste principe,
verso un castello di cui diverrà a breve
regina e governante. Come l’altra, Aurora (Rosaspina nella versione dei fratelli Grimm): maledetta dalla fata
cattiva non invitata al battesimo, la piccina a quindici anni si pungerà con un
fuso e morirà, condanna trasformata
dalle fate madrine in cento anni di
sonno per tutti, fino al bacio di un principe. Il governo italiano ha deciso che
questi sono racconti inadatti a un pubblico giovane. Con ragione, verrebbe da
pensare, perché chi vada oltre le versioni edulcorate di Disney conosce bene
gli orrori narrati nelle fiabe. Nelle prime
versioni cinquecentesche della bella
«nel bosco addormentato» (questo il
vero titolo poi usato da Perrault, La
belle au bois dormant) non ci sono bacetti, ma stupri, subiti dalla bella anche
durante il sonno, tanto che in una versione la ragazza sarà svegliata dal suo
secondo figlio. Che dire poi di Biancaneve, la cui figura sarebbe il risultato
della trasposizione orale della storia di
Maria Sophia Margaretha Catharina
von Erthal, nata nel 1725 a Lohr, vicino
a Francoforte e figlia del principe locale,
Philipp Christoph von Erthal. Il padre,
due anni dopo essere rimasto vedovo, si
risposò con Claudia Elisabeth von Reichenstein, che lo avrebbe dominato al
punto da essere la sola ad avvantaggiarsi
della posizione sociale di lui. Maria fu
cacciata dal palazzo e si rifugiò lontano
dalla città, dove si trovavano diverse
miniere. I «nani» della storia sarebbero
identificabili nei minatori, di bassa statura per malnutrizione. L’avversione
Voti d’aria di Paolo Di Stefano
Sonno, sogni e letargo
Un’ora di sonno migliora la vita. Bella
scoperta. «Ozio de l’alme, oblio de’
mali», lo definiva Torquato Tasso, ma c’è
voluta l’Università del Surrey, in Inghilterra, e un’équipe di studio (4–: si dovrebbe impegnare di più) per scoprire
che dormire tanto fa molto meglio all’organismo che dormire poco. Vi ricordate
il famoso «filosofo» televisivo Catalano
di «Quelli della notte»? («È meglio essere
giovani e belli, ricchi e in buona salute,
piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri
e malati»). Comunque sia, il discrimine
sono le sette ore. Prendete due gruppi di
persone, ordinate ai primi di dormire sei
ore e mezza e ai secondi di prolungare di
un’ora. Non immaginereste mai qual è il
gruppo che sta meglio dopo una settimana, quello che dimostra le migliori
prestazioni fisiche e mentali. Il secondo?
Bravi (6+), come avete fatto a indovinare? Gli altri avranno conseguenze negative sul metabolismo. Già, ma chi
dorme non piglia pesci, dicevano gli antichi. È vero. Ma, punto primo: chi l’ha
detto che si debba per forza prendere
pesci. Punto secondo: chi non dorme ne
piglia ancora meno. Secondo gli studiosi
inglesi, l’insonne perde la memoria, è instabile emotivamente, ha un calo di creatività, è più predisposto alle malattie.
L’alternativa è: sogno o son pesto. Bella
scoperta. Solo Baudelaire poteva definire
il sonno «la sinistra avventura di tutte le
sere». Leopardi era più saggio, quando
sosteneva che il momento migliore della
sua «infelicissima vita» era l’attimo del
risveglio, perché ancora rimbambito dal
torpore della notte non aveva ripreso il
ricordo dei mali del vivere. Insomma, se
seguissimo l’invito di Puccini e del suo
principe Calaf («Nessun dorma, nessun
dorma»), saremmo un’umanità distrutta, butterata, rachitica, infetta e soprattutto angosciata. Ogni regola, si sa,
ha la sua eccezione: Rita Levi Montalcini,
pur dormendo non più di due ore, è
morta centenaria.
A proposito di sonno. Una frase della
povera Michela Murgia, scrittrice e can-
Uova nostrane da oltre 50 anni! «Le nostre galline sono allevate nel pieno rispetto della loro qualità di vita. Chi acquista le nostre
uova, è sicuro di mangiare un prodotto genuino, di ottima qualità in termini di gusto e valori nutrizionali».
Marco Consonni, titolare azienda «al Formicaio», Ponte Capriasca.
I nostri sapori.
I Nostrani del Ticino sono la riscoperta dei sapori locali e provengono esclusivamente da
aziende ticinesi che ne garantiscono la qualità, la freschezza e la genuinità. Essi rappresentano l’impegno concreto e coerente nel sostenere agricoltori, allevatori e produttori
alimentari della nostra regione.
dal 1933
T
er il
p
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n
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in Tic
icino
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Idee e acquisti per la settimana
shopping
Carne di vitello
a chilometro zero
Attualità Che ne direste di un bel piatto
di carne di vitello nostrano?
Stefania e Roberto Canonica con i loro vitelli di montagna. (Giovanni Barberis)
La gamma
del vitello
nostrano
a Migros Ticino:
Arrosto collo,
Costolette,
Fettine fesa,
Rognonata,
Filetto, Ossibuchi, Punta grill,
Arrosto spalla,
Spezzatino.
Ad un anno dall’introduzione nell’assortimento dei Nostrani del Ticino
della carne di vitello di montagna
(Vedill Nostràn da Montagna), abbiamo chiesto qualche impressione ai
coniugi Stefania e Roberto Canonica,
allevatori e titolari dell’azienda agricola La Lobbia di Leontica. «La collaborazione con Migros Ticino sta andando bene; questo ci rallegra e ci
sprona a continuare su questa
strada», afferma Stefania. «Siamo
inoltre particolarmente orgogliosi del
fatto che la clientela Migros abbia dimostrato di saper apprezzare un prodotto di qualità, allevato con cura e attenzione ai suoi bisogni naturali sulle
nostre montagne ticinesi».
I vitelli di montagna vengono allevati
in gruppi e sono liberi di uscire al-
l’aperto ogni volta che lo desiderano.
La loro alimentazione è composta da
latte intero dell’azienda stessa e fieno
a volontà.
La carne si distingue per il suo colore
rosato, la fibra fine e la sua tenerezza.
È facilmente digeribile in virtù dei
pochi grassi che contiene. Grazie alle
sue caratteristiche si presta perfettamente alla preparazione dei piatti più
delicati e saporiti. Voglia per esempio
di un spezzatino di vitello con spinaci?
Per 4 persone tagliare a pezzettini 200
g di carote e tritare 1 cipolla. Dimezzare 200 g di funghi shiitake. Scaldare
poco olio in una brasiera e rosolare
per 5 minuti 500 g di spezzatino di vitello nostrano. Condire con sale, pepe
e paprica. Unire carote, funghi e ci-
polla e proseguire la cottura per qualche minuto. Bagnare con 2 dl di vino
bianco e versare 6 dl di brodo. Stufare
lo spezzatino con il coperchio a fuoco
medio per ca. 1 ora. Unire dell’acqua
se si asciuga troppo. Poco prima del
termine di cottura aggiungere alla
carne 200 g di spinaci freschi finché
s’afflosciano. Condire a piacere con
sale, pepe e servire subito.
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Idee e acquisti per la settimana
La forza dell’asparago
Attualità Con l’arrivo della primavera si avvicinano anche le rassegne dedicate agli asparagi, un ortaggio tanto
apprezzato e ricercato. Gratinati, in insalata, nei risotti, nelle paste, oppure come contorno, i turioni sono un piatto
ideale. Questa settimana alla Migros gli asparagi verdi sono in offerta speciale
Turione è il nome tecnico della parte
commestibile dell’asparago, quello
stelo che spunta dai terreni con una
forza incredibile. I germogli (il termine asparago deriva dal greco
aspharagos, ossia germoglio), si sviluppano dalla radice dell’asparago e
riescono a farsi spazio tra sassi e altri
ostacoli naturali del suolo. La velocità di crescita varia secondo le condizioni climatiche e le varietà, influendo sul sapore, che risulta più
tenero e delicato con una maturazione rapida.
Una volta sul piatto, gli asparagi sono
gustosi e nutrienti, ricchi di fibre, vitamine e sali minerali. Molto poveri
in calorie, sono anche noti perché
provocano un tipico odore nelle
urine dopo averne consumato anche
piccole quantità. La particolarità è
dovuta alla presenza dell’asparagina
(un amminoacido) che nel corpo
viene rapidamente trasformata in sostanze odorose.
La differenza tra gli asparagi bianchi
e quelli verdi? Si tratta della stessa varietà, l’unica differenza è che quelli
bianchi vengono coperti con della
terra e crescono dunque al buio. L’assenza di luce non permette all’ortaggio di eseguire la fotosintesi clorofilliana e quindi di sviluppare il colore
verde.
L’asparago è un ortaggio mediamente
esigente e la coltivazione è abbastanza
semplice. La piantagione delle
«mazze» ossia dell’apparato radicale,
avviene in un campo arato e preferibilmente non compatto. Dopo due
anni, in cui si lascia tempo alla pianta
di rinforzarsi, si può cominciare con il
raccolto dei turioni. Vengono tagliati
regolarmente e una pianta produce,
per circa 15 anni, una decina di aspa-
ragi a stagione (alle nostre latitudini).
A fine raccolta si ometterà di tagliare i
germogli, che cresceranno e fioriranno, permettendo così alle radici di
rigenerarsi e prepararsi per l’inverno.
Nella seguente stagione, con temperature sopra i dieci gradi centigradi, i
turioni rispunteranno con forza dal
terreno, dando avvio a una nuova annata. / Elia Stampanoni
Festa
della Donna
Immancabili per la Festa della Donna: mimose, torta e tartelletta. (Flavia Leuenberger)
Sabato 8 marzo le donne celebrano la
propria festa! Tutti gli uomini sono invitati a omaggiare la propria moglie, compagna, amica o collega con un bel mazzetto di mimose. Questo magnifico fiore
dal colore giallo intenso, che ben rappresenta l’universo femminile grazie alla
sua solarità, forza e bellezza, proviene
principalmente dalla Riviera dei Fiori,
nei dintorni di Sanremo, dove trova il
clima ideale per la sua coltivazione. Ed è
proprio da questa regione che provengono le mimose che potrete trovare in
tutti i reparti fiori di Migros Ticino il
prossimo fine settimana. Oltre all’immancabile fiore, anche i banchi pasticceria dei maggiori supermercati propon-
gono degli speciali dolcetti dedicati alle
più golose: la torta mimosa e la tartelletta
mimosa. La prima è fatta con morbido
pan di spagna, crema alla vaniglia e
panna; quindi decorata con panna,
cocco e pan di spagna sbriciolato. La tartelletta è dal canto suo a base di pasta
frolla e sapientemente decorata con
crema alla vaniglia per richiamare i graziosi pallini della vera mimosa in fiore.
Ricordiamo che la Festa della donna
nasce nel 1909, negli Stati Uniti, per ricordare le lotte femminili in favore della
parità dei sessi, del diritto di voto e del
miglioramento delle condizioni di vita e
lavorative. In Svizzera la giornata è commemorata a partire dal 1911.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Idee e acquisti per la settimana
Quando il pesce è tutto sostenibile
Novità Nelle pescherie Migros di Serfontana, S. Antonino, Lugano e Locarno la totalità del pesce offerto
proviene esclusivamente da fonti sostenibili. Recentemente sono state introdotte cinque nuove varietà di pesce
particolarmente saporite
Chi si rivolge alle pescherie Migros
per i propri acquisti lo può fare con la
coscienza tranquilla: tutti i prodotti ittici dell’assortimento provengono infatti da pesca o allevamenti responsabili che non danneggiano le risorse
naturali del pianeta. In questo senso
Migros è il primo commerciante al
dettaglio svizzero ad offrire esclusivamente pesce sostenibile presso i propri banchi a servizio. Ma c’è di più:
entro il 2020 tutti i prodotti ittici venduti dalla Migros dovranno provenire
da fonti sostenibili.
Per i pesci proposti ai banchi, Migros
si rifà alle raccomandazioni del WWF,
il quale stabilisce che i prodotti abbiano esclusivamente origini «consigliate» o «accettabili» e che non vi
siano specie a rischio di estinzione. All’acquisto si raccomanda di prestare
attenzione ai marchi sostenibili quali
MSC (Marine Stewardship Council),
ASC
(Aquaculture
Stewardship
Council), Bio o Pesce Svizzero.
Tra le novità sostenibili appena introdotte nelle quattro pescherie Migros
del Cantone, citiamo:
Filetto di brosmio: pesce selvatico dalle
carni povere di grassi, molto tenere.
Ottimo grigliato, in padella o al forno.
Saporita alternativa al lupo di mare.
Filetto di molva: la molva possiede
una carne simile a quella del merluzzo.
Molto diffusa nei paesi scandinavi, si
gusta al meglio cotta in padella o fritta.
Scorfano: pesce dalle carni morbide,
sode e gustose, particolarmente apprezzato fritto o in zuppe di pesce.
Cernia intera o filetto: molto consumata in Oriente, si distingue per la sua
carne gustosa, compatta e ben digeribile. Eccellente in padella, al forno o
grigliata.
Scorfano saporito
Leccia stella intera o filetto: carne dall’ottima consistenza e dal sapore delicato. Al forno, grigliata oppure cotta
nella padella wok dà il meglio di sé.
Ricetta per 4 persone
Ingredienti
1 pezzetto di zenzero (ca. 0.5 cm)
2 cucchiai di pasta di curry
200 g di yogurt denso nature
4 filetti di scorfano
Sale
2 cucchiai d’olio di girasole
1 limetta
www.generazione-m.ch
Preparazione
Grattugiare lo zenzero e metterlo in una ciotola larga. Unire la pasta di curry e lo yogurt
e amalgamare bene il tutto. Aggiungere i filetti di scorfano, coprire e lasciare marinare
per trenta minuti. Togliere i filetti dalla ciotola, aggiustare di sale e pepe e cuocerli
sulla griglia o in padella per 2-3 minuti.
Parte di
Mario Cortazzo, responsabile della pescheria Migros di Serfontana, invita ad assaggiare i nuovi pesci provenienti da fonti
sostenibili. (Flavia Leuenberger)
Generazione M è il nome
del programma a favore
della sostenibilità della
Migros. La nostra promessa fino al 2020: soltanto pesce e frutti di
mare da fonti sostenibili.
Lo sapevate che…? Atelier di pittura per bambini
dal 6 all’8 marzo
«Uccelli scappati» è il nome scherzoso
di un saporito piatto molto diffuso
anche in Ticino. Sono degli involtini
di lonza di maiale o vitello, avvolti o
ripieni di pancetta, profumati alla salvia e fatti saltare nel burro per una decina di minuti infilzati su un bastoncino o spiedo, oppure anche tenuti
fermi da due stuzzichini. Chi ama i
gustosi intingoli, li spruzza a metà
cottura con del brodo o del vino
bianco.
Di origini antiche, il piatto richiama il
modo di cottura usato per gli uccel-
lini. Era un onesto surrogato di cucina
quando mancavano tordi e quaglie: se
i cacciatori ritornavano dalla caccia a
mani vuote, si decideva di supplire
alla selvaggina “scappata” con un’alternativa a base di carne. Nell’aspetto
potevano essere ritenuti simili a spiedini di uccellini. Un’altra tradizione
dice invece che il nome corretto sia
«uccelli scapati», questo per la loro somiglianza ad un uccello senza testa.
Tra i più classici contorni degli uccelli
scappati citiamo il purè di patate e i fagiolini.
Alcune opere su stoffa di Fosca Bacciarini sono esposte al reparto bambini
Micasa.
Gli artisti in erba dai 6 agli 11 anni che
desiderano dar libero sfogo alla propria
creatività non possono perdere l’appuntamento con l’atelier di pittura organizzato appositamente per loro, da
giovedì a sabato prossimi, presso il negozio Micasa del Centro S. Antonino.
Con l’aiuto della giovane artista tici-
nese Fosca Bacciarini, i piccoli partecipanti potranno creare con le proprie
mani delle vere opere d’arte da portare
a casa. Gli orari sono i seguenti: giovedì
e venerdì dalle ore 10.00 alle 18.00, sabato dalle 9.00 alle 17.00 (pausa dalle
12.00 alle 13.00). Massimo 60 minuti
per bambino.
Ricordiamo che attualmente alcune
opere su stoffa di Fosca Bacciarini sono
esposte nello stesso negozio Micasa di
S. Antonino, nel reparto bambini. La
giovane artista è titolare di un atelier a
Sementina dove crea dipinti su stoffa
personalizzabili, oltre ad altre originali
creazioni.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Idee e acquisti per la settimana
L’addetto al processo produttivo Frédéric Fournier controlla una bottiglia durante il processo d’imbottigliamento. Le bottiglie
in PET vengono soffiate ad aria compressa direttamente sul posto partendo da un pezzo di PET vergine. In laboratorio,
invece, si sviluppano nuove bevande. Anche i consumatori partecipano alla scelta dei prodotti da introdurre in assortimento.
«Controlliamo ogni singola bottiglia»
Yannick De Giorgi, ingegnere in scienza
dei materiali, lavora per l’impresa Aproz,
che risiede nell’omonima località vallesana. Insieme ai suoi colleghi, segue la
produzione della tanto apprezzata limonata Jarimba, in modo che tutto proceda
senza intoppi. In laboratorio, poi, due ingegneri alimentari sviluppano i nuovi
gusti da proporre ai consumatori.
Yannick De Giorgi, entrando in questa
sala, si viene accolti da un rumore assordante. Questo frastuono è causato
dall’imbottigliamento delle grandi
bottiglie in PET?
No, gran parte del rumore è dovuto al
soffiaggio delle bottiglie. Il PET vergine,
viene prima riscaldato, poi trattato con
aria a pressione e trasformato così in una
bottiglia dalla forma desiderata. Ogni
linea di bevande, infatti, vanta una sua
forma specifica.
E tutto questo causa così tanto rumore?
Sì, perché lavoriamo con un getto d’aria
che spazia dai 20 ai 30 bar. Si tratta di
un’operazione rapidissima. Infatti, produciamo ben 25’000 bottiglie all’ora, raggiungendo persino picchi di 28’000.
Le bottiglie in PET spesso sono prese
di mira, perché considerate poco ecologiche. In che modo si impegna
Aproz a favore dell’ambiente?
Cerchiamo di ottimizzare costantemente
la nostra produzione, riducendo al minimo l’impiego di PET, optando per bottiglie più leggere e ricorrendo in parte a
PET riciclato. Le bottiglie devono comunque proporre una certa resistenza. Il
PET è riciclabile al 100 percento. Inoltre,
il 90% della merce viene trasportata su
rotaie.
Qui possiamo osservare il suo collega
Frédéric Fournier mentre estrae delle
prove. Cosa analizza di preciso?
Eseguiamo tre test per ogni ciclo di produzione: uno all’inizio, uno a metà produzione e uno una volta concluso il ciclo
produttivo. Mettiamo da parte queste
prove come campioni. In seguito, in caso
Lo specialista di imballaggi Yannick
De Giorgi mette a confronto una bottiglia
del prodotto Jarimba finita e un pezzo
di PET vergine che aspetta di essere
trasformato in una bottiglia.
Illustrazioni Alex Buschor, Marvin Zilm
Squisiti bocconcini per l’aperitivo e snack a base di carne, golosi gelati e rinfrescanti limonate frizzanti. L’industria
Migros propone tutto l’indispensabile per una festa con i fiocchi. Le imprese Aproz Sources Minérales SA, Jowa SA,
Micarna SA e Midor SA ci permettono di dare un’occhiata dietro le quinte dei loro reparti di produzione e sviluppo
e scoprire così interessanti dettagli sui prodotti più amati
di necessità, possiamo verificare se vi
sono stati errori. Inoltre, controlliamo il
contenuto delle bottiglie più volte durante ogni ciclo produttivo. In questo
modo, ogni singola bottiglia viene sottoposta a una verifica automatica.
E in cosa consistono i test eseguiti direttamente sul nastro di produzione?
Il collega controlla il contenuto di acido e
di CO2, nonché il grado di dolcezza della
bevanda Jarimba Citron. Questo avviene
in parte tramite il valore pH e in parte tramite il refrattometro, lo stesso utilizzato
per determinare il tenore zuccherino
dell’uva.
Nel reparto di sviluppo dei prodotti
abbiamo visto tante bottiglie colorate. Di che cosa si occupano?
Offerte
della settimana
Al centro del giornale
trovate un flyer con le
attuali offerte relative
ai prodotti di marca
Migros.
In quel reparto si creano tanti nuovi
gusti. Al momento non posso svelarvi di
più.
Quanto tempo ci vuole per sviluppare
un nuovo gusto?
Dipende, a volte bastano pochi mesi per
creare un nuovo aroma.
Prova e vota
APROZ
I creaparty
L’industria Migros produce in Svizzera
numerosi prodotti molto apprezzati,
tra cui troviamo bevande rinfrescanti, gelati,
snack a base di carne e bocconcini per
l’aperitivo delle imprese Aproz, Midor,
Micarna e Jowa.
50% su tutte le bevande Jarimba in conf. da 6 da 1,5 l
dal 4 al 10.3
• Himbo Fr. 4.95 invece di 9.90
• Citron Fr. 4.35 invece di 8.70
• Arancia-Mango Fr. 4.95 invece di 9.90
Quale gusto preferisci,
mango & ananas oppure menta & fiori di
sambuco, in breve
Hugo? Prova i nuovi mitici Ice Tea, in vendita
nelle filiali Migros e decidi con noi quale varietà
conquisterà un posto
fisso nel nostro assortimento di tè freddo. Vota
il tuo gusto preferito e
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Idee e acquisti per la settimana
«I nostri bocconcini
per l’aperitivo richiedono
grande maestria»
Lars Nowak, tecnologo alimentare, lavora come assistente alla produzione
presso la Jowa SA di Gränichen, nel Canton Argovia. Grazie al suo lavoro, durante la cottura, le specialità Happy Hour
conservano tutta la loro bontà.
Lars Nowak, le tortine gourmet proposte dalla linea di surgelati Happy Hour
sono considerate una particolarità.
Che cosa le rende così speciali?
Contrariamente ai cornetti al prosciutto,
per esempio, vengono precotte.
Sono disponibili in tre varietà diverse,
che però è possibile cuocere tutte contemporaneamente…
Esatto, per tutte le varietà - quiche, spinaci e formaggio - la temperatura di cottura è identica: a 220 °C il calore
superiore, 250 °C quello inferiore. Le tortine, però, si distinguono nella quantità
del ripieno. Infatti, alcuni tipi di ripieno,
nel forno crescono di più rispetto ad altri.
Questo è un particolare che dobbiamo
osservare al momento della farcitura.
Le fettine Pork Waves vengono
ricavate da pezzi di prosciutto crudo
con l’aiuto di una lama speciale.
Torsten Raith assaggia le Pork Waves
appena tagliate, mentre Benjamin
Chollet aspetta impaziente il suo
giudizio.
Quante tortine gourmet alla volta potete cuocere qui?
Effettuiamo due turni di cottura al giorno.
Oggi, per esempio, cuociamo 14 256 confezioni da 12 tortine; ciò corrisponde a un
totale di 171 072 tortine gourmet.
Dopo la cottura, si procede immediatamente alla surgelazione delle tortine?
No, non subito. Prima devono raffreddarsi. È come quando si cuoce una torta a
casa. Una quiche non va tolta immediatamente dallo stampo. Solo una volta tiepide, le tortine vengono surgelate a
–30 °C per mezz’ora.
A casa, quindi, basta terminare la cottura delle tortine gourmet infornandole per soli 23 minuti.
Sì, si possono gustare dopo una breve
cottura. A casa, una volta infornate, si
scongelano, e riscaldandosi assumono un
leggero colore dorato. Molti clienti, infatti, vogliono prodotti pronti subito e
quindi con tempi di cottura ridotti.
Quali sono i bocconcini per l’aperitivo
più amati?
Senza dubbio i cornetti al prosciutto, seguiti a ruota dalle gustose sfogliatine per
l’aperitivo.
Nell’ambito dei bocconcini per l’aperitivo si nota una tendenza particolare?
Proviamo sempre cose nuove. Attualmente, per esempio, le salse piccanti
messicane oppure il ripieno mediterraneo al ratatouille spiccano per tendenza.
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• Pork Waves 81 g Fr. 3.90 invece di 4.90
• Chicken Chips 72 g Fr. 3.90 invece di 4.90
• Beef Chips 80 g Fr. 3.90 invece di 4.90
«La superficie ondulata si ottiene grazie a lame speciali»
Torsten Raith è macellaio e tecnico della
carne per passione. Lavora alla Micarna
SA di Courtepin FR, dove insieme al suo
collega Benjamin Chollet sviluppa tra
l’altro innovativi snack a base di carne.
Gli ultimi arrivati sono le squisite Pork
Waves.
Thorsten Raith, la Migros propone
una grande scelta di snack a base di
carne. Gran parte di loro sono definite
chips. Non però le Pork Waves. Cosa
hanno di diverso?
Le Pork Waves spiccano per la loro particolare superficie ondulata. In questo
caso, quindi, pur trattandosi di uno snack
a base di carne, la parola chips non sa-
rebbe del tutto esatta.
Da cosa si ricavano le Pork Waves?
Da pregiato prosciutto crudo.
Ciò significa che, prima della consegna, il prosciutto è stato sottoposto a
una lunga stagionatura?
In una prima fase, la carne viene salata.
Prima che il sale raggiunga il cuore del
prosciutto, trascorrono 4-5 settimane.
Dopodiché, il prosciutto viene essiccato e
pressato per quattro mesi. Ci viene consegnato in pezzi grandi, dai quali ricaviamo delle striscioline spesse quanto un
pollice.
Come si ottiene la particolare superficie ondulata?
Si ottiene grazie a speciali lame ondulate,
simili a quelle dei coltelli da cucina utilizzati per tagliare le verdure nel settore gastronomico. Della parte tecnica se n’è
occupato il mio collega Benjamin Chollet.
Qual è la più grande differenza rispetto agli altri snack a base di
carne?
Le chips sono disponibili in diverse varietà. Alcune vengono essiccate solo leggermente, altre invece persino
affumicate, per conferire loro un gusto
particolarmente accentuato.
Quanto tempo ci vuole per sviluppare
nuovi prodotti?
Prima che il prodotto finito giunga sugli
scaffali, ci vuole circa un anno.
L’addetto al processo produttivo
Hakan Topuzoglu
toglie dal forno le
tortine gourmet appena cotte.
Ogni confezione
contiene 4 pezzi
per ognuna delle
seguenti varietà:
formaggio/pancetta, spinaci e formaggio.
JOWA
20%
20 su tutti i prodotti surgelati Happy Hour dal 4 al 10.3
• Sfogliatine per l’aperitivo 420 g Fr. 3.85 invece di 4.85
• Cornetti al prosciutto 12 pezzi, 500g Fr. 4.95 invece di 6.20
• Baguette all’aglio 240 g Fr. 2.60 invece di 3.25
• Tortine gourmet 280 g Fr. 3.70 invece di 4.65
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Idee e acquisti per la settimana
«Mai mettere il gelato
nel microonde»
Per molti di noi, il gelato fa parte dei ricordi più belli legati all’infanzia. Una
passione nata da bambini, quindi, che ci
accompagna per tutta la vita. Alla
Midor SA di Meilen, sul lago di Zurigo,
il food designer e cioccolatiere Daniel
Tännler crea nuovi irresistibili gelati.
tuirne un’altra, deve poter raggiungere
gli stessi risultati di vendita; ma come
ben sappiamo, ciò vale per tutti i prodotti. Nel reparto surgelati, non c’è
posto sufficiente per tutti i gusti di gelato. Spesso, quindi, le varietà passate di
moda, devono cedere il loro posto alle
novità.
Daniel Tännler, in passato ha lavorato come cioccolatiere, oggi invece
sviluppa nuovi gelati. Le piacciono
ancora i dolci?
L’assortimento Migros non propone
varietà particolarmente esotiche...
Prima mangiavo fino a tre tavolette di
cioccolato al giorno, e confesso che ne
vado matto tuttora. In compenso consumo molto meno gelato, anche se mi
piace tantissimo. Per produrre un buon
gelato, bisogna amarlo.
Quali sono i suoi favoriti in assoluto?
Prediligo i gelati profumati al liquore.
Alla ricerca di nuove bontà per la linea
Crème d’or, eseguiamo esperimenti
davvero interessanti.
Quali caratteristiche deve presentare una nuova varietà di gelato, per
poter essere venduta alla Migros?
Il gelato dev’essere in sintonia con la
stagione, in cui viene gustato. E se si
tratta di una varietà creata per sosti-
I gusti più amati sono e rimangono la
vaniglia, il cioccolato, la fragola e la
stracciatella. Per invogliare gli amanti
del gelato ad acquistare una nuova varietà, non bisogna proporre sapori
troppo esotici. Un esempio: propongo
un sorbetto a base di un frutto sconosciuto alle nostre latitudini. Le probabilità che qualcuno lo acquisti, sono
ridotte. Se invece prendo lo stesso frutto
e lo trasformo in una salsa e la propongo insieme al gelato alla vaniglia, incuriosisco il cliente perché conosce già e
apprezza il gusto base della vaniglia.
Qual è il metodo più semplice per
ammorbidire il gelato?
Basta toglierlo dal congelatore 10 minuti prima di servirlo. Mai metterlo nel
microonde! Perché si scioglierebbe
dall’interno. / Claudia Schmidt
Il food designer
Daniel Tännler
porziona il gelato. L’ex-cioccolatiere adora
tuttora sperimentare con il
cacao e il cioccolato fondente.
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Idee e acquisti per la settimana
Inizio di giornata «fruttato»
Gli yogurt Passion, ricchi di frutta e dalla consistenza cremosa, sono prodotti utilizzando poco zucchero.
Diverse combinazioni di gusto interessanti assicurano un piacere variato
Non solo alle donne piace lo yogurt.
Anche molti uomini apprezzano già
al mattino le fruttate combinazioni di
gusto di questo popolare latticino.
Non per niente in Svizzera il consumo
medio pro-capite si attesta sui 18 kg di
yogurt all’anno. A chi ama diversità e
varietà, Migros propone la linea di yogurt Passion. Con grande passione si
sono migliorate le ricette dei differenti gusti, rendendo gli yogurt ancora più cremosi e riducendo nel contempo il contenuto di zucchero fin
anche del 5 per cento.
Ora con più frutta
Nelle varianti all’arancia sanguigna e
all’albicocca, il contenuto di frutta è
stato incrementato, portandolo al 10
per cento, in quella ai frutti di bosco al
9,9. Tale percentuale è composta da
una massa di frutta di prima qualità
con grandi pezzi di frutta. Anche gli
appassionati di yogurt che desiderano
ridurre il consumo di grassi non resteranno a mani vuote. Per loro esiste
infatti la varietà mango/frutto della
passione con lo 0,1 per cento di
grassi.
Consiglio: se arrivano visite improvvise e si ha in casa solo yogurt, si può
guadagnare punti preparando un rinfrescante shake allo yogurt e latte. È
sufficiente frullare uno yogurt Passion al mango con latte e un mango
fresco. Il successo è assicurato! /
Anette Wolffram Eugster; foto: Max
de Vree; styling Mirjam Käser
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui gli yogurt
Passion.
Passion yogurt lampone/vaniglia
180 g Fr. –.90
C’è solo l’imbarazzo della scelta
con una bella scorta di cremosi
yogurt Passion.
Passion yogurt albicocca
180 g Fr. –.90
Passion yogurt mango/frutto della
passione 0,1% grassi 180 g Fr. –.90
Passion yogurt mango
180 g Fr. –.90
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Idee e acquisti per la settimana
L’acido folico
va integrato
nell’alimentazione
quotidiana!
Il Prof. Dott. Kurt Baerlocher è membro
del foro consultivo della fondazione
«Offensiva Acido Folico Svizzera».
Kurt Baerlocher, lei è membro del foro
consultivo della fondazione «Offensiva
Acido Folico Svizzera». Qual è l’obiettivo principale di questa fondazione?
In Svizzera si è persa l’occasione più pratica
e semplice per rifornire il corpo umano di
acido folico, ovvero quella di arricchire la farina con questa preziosa vitamina. Vari
studi condotti in 75 Paesi, in cui l'aggiunta
di acido folico agli alimenti è obbligatoria,
hanno dimostrato che un'assunzione ottimale o addirittura superiore alla dose consigliata di questa vitamina comporta
numerosi vantaggi per la salute. Con questa
offensiva privata, la nostra fondazione mira
a informare la popolazione svizzera sulla
funzione vitale dell’acido folico.
Qual è la sua funzione all’interno del
foro consultivo scientifico?
L’acido folico
sostiene numerose
funzioni vitali del corpo,
e questo a qualsiasi età.
Presiedo il foro consultivo composto da medici e biochimici. Il nostro compito è quello di informare
il consiglio della fondazione sulle
ultime nozioni acquisite in merito
al folato/acido folico e di verificare
la scientificità delle informazioni e
pubblicazioni destinate al pubblico esterno. Inoltre, rispondo a
tutte le domande in ambito medico trasmesse tramite internet.
«I fumatori
necessitano
di una
maggiore
quantità di
acido folico»
Qual è il fabbisogno giornaliero di acido
folico consigliato per un adulto?
Per rimanere in forma fino in età avanzata, è importante seguire
un’alimentazione corretta. In particolar modo, è importante prestare
attenzione a un’assunzione sufficiente di acido folico
Le donne in gravidanza o che desiderano
avere un figlio ne sono a conoscenza:
prima e durante la gravidanza, l’acido folico è di vitale importanza per uno sviluppo sano del feto. Spesso si dimentica,
però, che l’acido folico favorisce la salute
di uomini e donne di qualsiasi età. Questa
vitamina, indispensabile per la divisione
cellulare nel corpo umano, svolge una
funzione importante in qualsiasi processo
di crescita fisica. Infatti, stimola anche la
formazione dei globuli rossi. Il folato, la
forma più naturale di questa vitamina presente negli alimenti, è contenuta per esem-
pio negli spinaci, nel formentino, nei fagioli, nel fegato e nei cereali integrali, e in
particolar modo nei germi di frumento.
Oltre ai folati alimentari naturali, esistono
anche acidi folici sintetici, che spesso vengono aggiunti agli alimenti oppure proposti sotto forma di preparato. Il corpo è in
grado di assorbire ben il 50% del folato assunto, nel caso dell‘acido folico sintetico
ingerito come preparato questa percentuale può avvicinarsi persino al 100%.
Gran parte dei cracker Blévita sono ricchi
di acido folico e rappresentano, perciò,
una preziosa fonte di fibre alimentari.
Dal 2005, la Migros è il partner principale
della fondazione «Offensiva Acido Folico
Svizzera» e vanta nel suo assortimento una
ricca scelta di prodotti arricchiti con questa preziosa vitamina. / Anna Bürgin
www.folsaeure.ch
Illustrazione Getty Images
La vitamina per la vita
Le raccomandazioni più recenti parlano di
un fabbisogno giornaliero di 300 microgrammi di folato, risp. di 150 microgrammi
di acido folico. In situazioni particolari, il
fabbisogno può anche essere superiore. Ad
esempio, per i fumatori, per chi consuma alcool oppure in caso di assunzione di determinati medicinali. Il fabbisogno aumenta
anche per le donne in gravidanza o che desiderano avere un bambino.
È sufficiente seguire un’alimentazione
sana per coprire il fabbisogno giornaliero?
Un’alimentazione equilibrata può bastare
per chi mangia tanta verdura e molta insalata, il tutto preparato in modo delicato
senza dispersione di vitamine. 300 microgrammi di folato corrispondono a 85
grammi di germi di frumento, 133 grammi
di fagioli bianchi oppure 370 grammi di
broccoli. In caso di dubbio, i prodotti arricchiti di acido folico rappresentano una valida alternativa.
Quali effetti ha sul nostro corpo l'assunzione regolare della dose giornaliera
consigliata?
Blévita al gruyère
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Blévita al timo e sale marino
6 porzioni, 228 g Fr. 3.55
Blévita ai 5 cereali
6 porzioni, 228 g Fr. 3.35
Blévita al timo e sale marino
295 g Fr. 3.50
Blévita al sesamo
6 porzioni, 228 g Fr. 3.35
Blévita ai semi di lino
6 porzioni, 228 g Fr. 3.35
In caso di malattie, quali demenza senile,
morbo di Alzheimer o depressioni, l’assunzione di acido folico svolge un effetto positivo. Negli uomini, può persino comportare
un netto miglioramento della qualità del liquido seminale. Inoltre, il folato favorisce
una corretta emopoiesi e il funzionamento
corretto del sistema immunitario e riduce il
fastidioso senso di spossatezza, senza dimenticare il suo ruolo importante nello sviluppo del tubo neurale dei feti. / Intervista
Anna Bürgin
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14.50 invece di 20.80 30%
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in Svizzera, affettato in vaschetta,
per 100 g 4.80 invece di 6.90 30%
Coppa, prodotta in Ticino,
affettata in vaschetta, per 100 g
3.80 invece di 4.80 20%
Spezzatino e arrosto spalla
di maiale, TerraSuisse,
Svizzera, imballato, per 100 g
1.25 invece di 1.80 30%
Filetto di cavallo, Canada, imballato,
per 100 g 4.10 invece di 5.90 30%
Galletto speziato, Svizzera,
in conf. da 2 pezzi, per 100 g
1.– invece di 1.45 30%
Merluzzo secco, MSC, Norvegia,
in vaschetta, per 100 g
2.50 invece di 3.30 20% fino all’8.3
Salame del contadino, Citterio,
prodotto in Italia, al banco a servizio,
per 100 g 4.50 invece di 6.50 30%
Filetto di tonno (pinne gialle),
Oceano Pacifico, per 100 g
3.70 invece di 5.30 30% fino all’8.3
Filetto di merluzzo salato, MSC,
Norvegia, al reparto pescheria,
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finissimo Frey, UTZ, in conf. da 10,
10 x 100 g 9.20 invece di 18.50 50%
Gomme da masticare Skai
Spearmint in conf. grande con
scatoletta in omaggio,
220 g 9.80 invece di 13.40 25%
Highlanders, Chocolate Chip
o Chocolate Chunk Biscuits
di marca Walkers in conf. da 3,
per es. Shortbread Highlanders,
3 x 200 g 9.95 invece di 13.50 25%
Tutte le stecche e le confezioni da
4 e da 6 Blévita, a partire dall’acquisto
di 2 confezioni, –.60 di riduzione
l’una, per es. al sesamo, 295 g
2.70 invece di 3.30
Caffè in capsule Boncampo
Classico, 10 pezzi 2.75
20x
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Cafino in busta, UTZ, in conf. da 2,
2 x 550 g 13.80 invece di 20.60 33%
Tutti i birchermüesli da 700–800 g,
per es. Reddy Nature, bio, 700 g
4.45 invece di 5.60 20%
Focaccia all’alsaziana
in conf. da 2, surgelata, 2 x 260 g
5.95 invece di 8.50 30%
Tutto l’assortimento di prodotti
da forno Happy Hour, surgelati,
per es. cornetti al prosciutto, 12 pezzi,
500 g 4.95 invece di 6.20 20%
Cosce di pollo Optigal,
in busta da 2 kg, surgelate
12.85 invece di 18.40 30%
Tutti i gelati M-Classic in vaschette
da 2000 ml, per es. alla vaniglia
4.70 invece di 5.90 20%
Tutto l’assortimento aha!
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Tutte le bibite dolci Jarimba
in conf. da 6 x 1,5 l, per es. Himbo
4.95 invece di 9.90 50%
Succo di mele M-Classic in conf.
da 10, 10 x 1 l 6.– invece di 12.– 50%
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per es. Wild Rice Mix, 1 kg
3.60 invece di 4.50 20%
Rösti Original in conf. da 3,
3 x 500 g 4.30 invece di 6.15 30%
Tutti i chicchi di cereali, i legumi e
la quinoa bio, per es. quinoa bianca,
400 g 3.65 invece di 4.60 20%
Chicchi di mais M-Classic in conf.
da 6, 6 x 285 g 4.55 invece di 5.70 20%
Tutto l’assortimento Subito,
per es. pasta all’arrabbiata,
2 porzioni 2.15 invece di 2.70 20%
Chips Zweifel al naturale,
alla paprica o Salt & Vinegar
in conf. XXL, per es. alla paprica,
380 g 5.95 invece di 7.60 20%
Tutti gli articoli precotti M-Classic
(non refrigerati), per es. pane del
contadino, 400 g 2.60 invece di 3.30
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refrigerate, 220 g 4.20
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Tutto l’assortimento alimentare
aha!, per es. mini-cake al
cacao, 200 g 4.50 20x PUNTI * 20x
Fagottini con ripieno alle pere,
per es. bio, 150 g 1.50 invece di 1.90
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Tortine pasquali, 2 pezzi, 150 g
2.05 invece di 2.60 20%
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da 25 cl, 50 cl e 1 l (esclusi articoli
aha!), per es. French, bio, 50 cl
4.55 invece di 5.70 20% *
Tortelloni M-Classic alla ricotta e
agli spinaci in conf. da 3, 3 x 250 g
7.70 invece di 11.10 30%
Cornatur in conf. da 2, per es.
fettine con mozzarella e pesto,
2 x 240 g 9.70 invece di 13.– 25%
NEAR FOOD / NON FOOD
Sheba con agnello e verdure
primaverili, stagionale,
vaschetta da 100 g 1.–
20x
NOVITÀ *,**
Tutti gli alimenti per gatti Selina,
per es. ragout con manzo, 100 g
–.30 invece di –.65 50%
Catsan Smart Pack, 2 x 4 l
20x
11.60 NOVITÀ *,**
Tutto l’assortimento di lettiere
per gatti Fatto, per es. Fatto Plus,
10 l 5.50 invece di 6.90 20%
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per es. Booster Fibralogy,
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30 ml 8.80 NOVITÀ **
Shampoo Fresh Energy & 2 in 1
Nivea, per es. shampoo Fresh
Energy, 250 ml 3.95 NOVITÀ ** 20x
Diversi prodotti L’Oréal Skincare,
per es. fluido micellare,
20x
200 ml 8.90 NOVITÀ **
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per es. rasoio Venus & Olaz
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multiple, per es. collutorio per la
protezione di denti e gengive,
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e Sensitive Protect Nivea,
per es. Satin Sensation Spray,
20x
150 ml 4.45 NOVITÀ **
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Nivea, per es. crema doccia
trattante, 250 ml 3.– NOVITÀ ** 20x
Burt’s Bees Lemon Butter Cuticle
Cream, 15 g 10.50
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Bio Cotton, tg. S–XL 19.80
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ALTRI ALIMENTI
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
51
Idee e acquisti per la settimana
Un caffè tutto d’oro
I caffè Caruso portano in casa la cultura italiana del caffè in un nuovo design
Desidera? Caffellatte, cappuccino,
espresso o café crème? O piuttosto un
latte macchiato? Caruso offre a tutti
gli amanti del caffè la varietà più
adatta ai loro gusti. La linea si ispira
alla cultura italiana del caffè e si caratterizza per il suo aroma pronunciato.
L’assortimento, che comprende cinque torrefazioni d’alta qualità – in
chicchi o macinato – è stato rielaborato e ora risplende tutto in un oro
brillante. Nel contempo sono state
migliorate le formule dell’Espresso e
del Ristretto. Due le nuove varietà:
Oro e Mocca.
L’Imperiale ora si chiama Imperiale
Crema
La varietà Mocca, aromatica e armoniosa, è adatta fra l’altro per la preparazione nella caffettiera. Il suo sapore
si può benissimo classificare fra il
forte Espresso e il fruttato Imperiale,
che ora porta nel nome l’aggiunta
Crema, ma incanta sempre con la sua
delicata nota di castagna. Nel nuovo
Oro si percepisce una sfumatura di
cioccolato amaro, il che si sposa bene
con l’aroma leggermente aspro di
questo caffè, molto adatto anche per il
café crème.
Tranne il Mocca, che consiste al 100
per cento di chicchi di Arabica, tutte
le varietà sono una miscela di chicchi
di Arabica e Robusta. I caffè Caruso
hanno il certificato UTZ per una coltivazione rispettosa dell’ambiente. /
Dora Horvath; foto Plainpicture
Caruso Oro macinato*
500 g Fr. 9.50
Caruso Imperiale Crema chicchi*
1 kg Fr. 14.50
Caruso Espresso chicchi*
500 g Fr. 8.–
Caruso Mocca chicchi*
500 g Fr. 9.50
* Nelle maggiori filiali
Un’aromatica tazza di caffè al mattino
dà subito tono alla giornata.
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui
l’assortimento di caffè Caruso.
52
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
53
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
Idee e acquisti per la settimana
Il benessere a
portata
di mano
Melanie K. (34), istruttrice
di yoga, rinuncia
volontariamente a prodotti
contenenti lattosio.
Sempre più persone optano di loro
spontanea volontà per prodotti senza
lattosio o glutine. Una scelta che li aiuta
a sentirsi meglio. C’è però chi soffre di
un’intolleranza alimentare e li consuma
per motivi di salute
Il marchio di qualità aha!
contrassegna prodotti ben
tollerabili anche per chi soffre di allergie e intolleranze.
digerire il lattosio contenuto nel latte e in
molti latticini. Un’altra intolleranza alimentare, che colpisce circa l'un percento
dei cittadini, è la celiachia e cioè un disturbo nell‘assorbimento del glutine,
una sostanza lipoproteica contenuta in
diversi tipi di cereali. Chi è colpito da
un’intolleranza alimentare deve seguire
delle rigide linee nutrizionali e conta su
prodotti su misura alle sue esigenze. E
alla Migros trova gli alimenti contrassegnati con il marchio aha!, creati appositamente per far fronte a questo bisogno.
L’alimentazione senza lattosio o glutine
fa tendenza Oltre a chi non sopporta determinati alimenti, sono sempre più le
persone che, pur non avendo un motivo
fisiologico, scelgono di consumare meno
lattosio e preferiscono così prodotti privi
di tale componente, senza però rinunciare ai latticini. Una scelta che li fa sen-
tire meglio. Melanie K. (34) fa parte di
questo gruppo di consumatori in costante crescita. «Sono istruttrice di yoga
e seguo uno stile di vita molto consapevole, all'insegna del movimento e dell'alimentazione a me più consoni. Scelgo
così sempre, quando possibile, latte e latticini senza lattosio». Non si sente però
limitata nella scelta, al contrario; oltre ai
prodotti speciali privi di questo elemento, trova diverse alternative, come il
latte di riso o di soia.
La Migros si impegna a estendere costantemente il suo assortimento, al fine di
proporre alimenti e cosmetici particolarmente ben tollerabili. Dal 2008 collabora
a tale scopo con la Fondazione aha!, centro allergie svizzero, al fine di contribuire
al costante tema della salute e offrire a
tutti i consumatori in Svizzera – e quindi
anche a chi soffre di un'intolleranza – un
vasto assortimento di prodotti. / AnnaKatharina Ris; foto Getty Images
Parte di
Crostata con crema al quark (senza lattosio)
Per ca. 12 fette, per 1 stampo a cerniera di 24 cm Ø
Ingredienti
4 uova
50 g di zucchero
1 cucchiaino di pasta di vaniglia
1 presa di sale
60 g di amido di mais
½ limone
½ cucchiaino di lievito in polvere
500 g di quark magro*
200 g di crème fraîche*
200 g di confettura, ad es. di lamponi
2 cucchiai di mandorle a scaglie
zucchero a velo da spolverizzare
Generazione M è il nome
del programma testimone
dell’impegno Migros a
favore della sostenibilità.
aha! offre un prezioso
contributo.
Pasta frolla:
200 g di farina
1 presa di sale
60 g di zucchero
½ limone
100 g di burro*, freddo
1 uovo piccolo
burro per lo stampo*
farina per spianare la pasta
Cottage Cheese aha!
senza lattosio 200 g Fr. 2.30
Formaggio fresco aha!
senza lattosio 150 g Fr. 3.55
Crème fraîche aha!, senza lattosio
200 g Fr. 3.–
Quark magro aha!
senza lattosio 250 g Fr. 1.35
Burro aha!
senza lattosio 100 g Fr. 2.65
Yogurt alla fragola aha!
senza lattosio 150 g Fr. 0.75
Preparazione
1. Per la pasta frolla, versate in una scodella
la farina con il sale e lo zucchero. Unite la
scorza di limone grattugiata finemente. Aggiungete il burro a pezzetti. Sfregate gli ingredienti con le dita fino a ottenere un composto
formato da tante briciole. Sbattete l’uovo, incorporatelo e impastate il tutto velocemente.
Se necessario, aggiungete un poco d’acqua
o di farina. Avvolgete la pasta nella pellicola
trasparente e lasciate riposare in frigo per ca.
30 minuti.
2. Scaldate il forno a 220 °C. Imburrate lo
stampo. Spianate la pasta su poca farina formando un disco un po’ più grande dello
stampo. Accomodate il disco di pasta nello
stampo e sistemate il bordo. Bucherellate il
fondo con una forchetta. Cuocete la torta a
vuoto in forno per ca. 20 minuti.
3. Nel frattempo, montate a spuma le uova
con lo zucchero, la pasta di vaniglia, il sale e
l’amido di mais. Unite la scorza di limone grat-
Yogurt al mango Bio Sojaline aha!
senza latte 150 g Fr. 0.80
tugiata. Incorporate il lievito, il quark e la
crème fraîche.
4. Abbassate la temperatura del forno a 160
°C. Spalmate la confettura sul fondo della
torta già cotta. Distribuite la crema al quark.
Cospargete con le mandorle a scaglie. Cuocete la torta al quark per ca. 1 ora. Sfornate,
fate raffreddare e togliete dallo stampo. Cospargete la crostata di zucchero a velo.
Tempo di preparazione
ca. 30 minuti + riposo ca. 30 minuti + cottura
ca. 1 ora
Una fetta
ca. 10 g di proteine, 16 g di grassi, 39 g di
carboidrati, 1450 kJ/ 350 kcal
* In vendita come prodotto aha
Una ricetta di
Crema da montare Bio Sojaline aha!
senza latte 5 dl Fr. 2.80
L’assortimento completo in vendita nelle maggiori filiali Migros.
Le intolleranze alimentari avanzano. Secondo le ultime stime, tra il 15 e il 20 percento della popolazione svizzera soffre di
un’intolleranza al lattosio; ciò significa
che non sono in grado o solo in parte di
54
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
Idee e acquisti per la settimana
GLOSSARIO
Buono a sapersi
Intolleranza alimentare
Questo termine
riassume allergie e
intolleranze dovute
ad alimenti.
Allergie
Le allergie sono
reazioni eccessive
del sistema immunitario, che crea
degli anticorpi nei
confronti di sostanze generalmente innocue (p.
es. noci, sedano o
latte).
Intolleranze
Il corpo perde
completamente o
in parte la capacità
di digerire una determinata sostanza.
Non forma anticorpi, ma la reazione è immediata
e si presenta sottoforma di disturbi (p.
es. intolleranza al
lattosio).
Imballaggi aha!
Chi è colpito da allergie o intolleranze, riconosce a
colpo d’occhio l‘assortimento che fa
per lui: pittogrammi
colorati informano
su quali ingredienti,
possibili causa di
allergie o intolleranze, non sono
contenuti nel rispettivo prodotto.
«Sei ciò che non mangi»
Intervista a Hanni Rützler, esperta di psicologia della salute e fisiologia alimentare, nonché ricercatrice
in ambito nutrizionale e delle tendenze
Le vendite dei cosiddetti prodotti per allergici sono notevolmente aumentate. Significa che ci sono più persone che
soffrono di allergie?
Le intolleranze alimentari sono effettivamente aumentate, ma mai come potrebbero
suggerire le cifre di vendita dei prodotti privi
di determinate sostanze. Si può quindi pensare che sempre più consumatori scelgono
volontariamente questo genere di alimenti,
pur non soffrendo di un’anomalia fisiologica.
Acquistano e consumano questi prodotti,
perché li fanno sentire meglio e danno loro la
sensazione di alimentarsi in modo più adeguato.
mezzo di auto-messa-in-scena. Con il cibo
si può comunicare e provocare. Basti pensare alla tendenza del veganismo e quindi
alle persone che non consumano alcun prodotto di origine animale. Oppure ai flessitari, che di base si nutrono in modo
vegetariano, di tanto in tanto si concedono
però della carne, rigorosamente della migliore qualità.
L’uomo è forse in difficoltà davanti all’abbondanza alimentare?
Perché si sentono meglio?
Cosa mi fa bene?
Ognuno è alla ricerca degli alimenti «giusti» e
della filosofia alimentare, che più fa al caso
suo e si scopre esperto per sé stesso, basandosi sulle proprie conoscenze, sensazioni ed
esperienze.
Al momento sembra essere una moda, riflettere e occuparsi di alimentazione e salute. Sì, è
una delle tendenze più contagiose alle nostre
latitudini. Soprattutto persone di una certa
cultura e benestanti si interessano particolarmente di questo tema. Anche i viaggi sono
fonte d’ispirazione. Ne è un ottimo esempio
Piuttosto il contrario: «Sei ciò che non
mangi.» L’alimentazione è oggi un buon
Il gusto dei prodotti per allergici aha! convince anche chi non soffre di allergie?
Certo. Questi prodotti sono anche una spinta
per il mercato alimentare a innovarsi costantemente. Trovo geniale che non tutti i tipi di
pane siano preparati con frumento o altri cereali ricorrenti; che si osi sperimentare anche
con ingredienti base completamente diversi
dall’originale. Leader in quest’ambito sono
senza dubbio gli USA, lì la scelta di prodotti
alternativi è molto più vasta.
Dopo quella «light» arriva adesso la tendenza del «senza»?
Assolutamente. Oggi è più facile scegliere a
cosa rinunciare, piuttosto che a cosa consumare. L’alimentazione è uno strumento
nella ricerca di sé stessi.
Si tratta di una sensazione relativa: spesso
rinunciando consapevolmente a qualcosa,
che si ritiene sfavorevole, ci si sente automaticamente meglio. Ciò è certo collegato
al fatto, che il tema generale dell’alimentazione e della salute è sempre più presente.
Si cucina più in casa e si dà maggior importanza a frutta e verdura.
Proprio secondo la massima «Sei ciò che
mangi»?
l’influsso che l’ayurveda, la medicina tradizionale indiana, ha nell’ambito alimentare o le filosofie nutrizionali d’ispirazione asiatica che
si diffondono anche da noi.
Hanni Rützler (51) risiede a Vienna ed
è considerata a livello europeo una delle
principali ricercatrici in materia di tendenze alimentari.
Sì, penso si possa dire così. Le tendenze
hanno però anche un lato buono, lasciano
una scia positiva dietro di sé. Da quella
«light» è nata la consapevolezza per i grassi
nascosti e la cognizione che, meno dolce,
può essere altrettanto buono. Dall’ondata
del «senza» mi aspetto uno strascico di gustosi prodotti alternativi dalle composizioni
innovative. Anche la gastronomia non
aspetta con le mani in mano. Diversi ristoranti, cucinano rinunciando consapevolmente all’impiego di determinati
ingredienti, proprio come dettato dalla tendenza del «senza». / Intervista Anna-Katharina Ris
Crema alla stracciatella
con lamponi
Dessert per 4 persone
Ingredienti
250 g di lamponi surgelati, scongelati
prima dell’uso
2 cucchiai di Grand Marnier o di succo
d'arancia
60 g di cioccolato al latte*
2,5 dl di panna intera*
250 g di quark magro*
1 bustina di zucchero vanigliato
50 g di zucchero
menta per guarnire
Preparazione
Mettete da parte alcuni lamponi. Aromatizzate gli altri con il Grand Marnier e distribuiteli nei bicchieri. Con il pelapatate riducete
in scaglie
sottili il cioccolato. Montate la panna ben
ferma. Mescolate il quark, lo zucchero vanigliato e lo zucchero fino a ottenere una
crema omogenea.
Incorporate alla crema la panna montata e
3/4 delle scaglie di cioccolato. Versate la
crema sui lamponi e guarnite con le scaglie,
i lamponi messi da parte e la menta. Te nete
i dessert in frigo fino al momento di servire.
Suggerimento
se di stagione, utilizzate lamponi freschi.
Tempo di preparazione
ca. 20 minuti
Per persona
ca. 9 g di proteine, 22 g di grassi, 24 g di
carboidrati, 1450 kJ/340 kcal
* In vendita come prodotto aha
Drink Bio Sojaline, al naturale, aha!
senza latte 1 l Fr. 1.90
Drink di riso aha!
senza latte 5 dl Fr. 1.65
Bevanda al latte aha!,
senza lattosio 500 ml Fr. 1.30
Choco Drink aha!,
senza lattosio 250 ml Fr. 1.20
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
57
Idee e acquisti per la settimana
Concorso
Come
partecipare
1
Sul sito www.iam.ch trovate
una cartolina con più
di 500 luoghi in Svizzera dove sono presenti dei cartelloni.
Cliccando su una
bandierina, appare il
luogo esatto completo di indirizzo e veduta Streetview.
Scegliete un cartellone, sul quale vorreste apporre il vostro
complimento. La
cosa migliore è scegliere un luogo che
ricorre spesso nel
vostro indirizzario.
2
Scegliete uno
sfondo. Potete
scegliere fra otto modelli.
3
Scrivete un complimento. Avete a
disposizione 80 caratteri compresi gli
spazi.
Scrivi qui il tuo
complimento
più bello
4
Inserite il nome
del destinatario.
L’assortimento di I am si presenta man
mano con un nuovo design.
• I am Hair Professional Oil Repair
Gold Elixir 100 m. Fr. 9.30
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250 ml Fr. 2.20
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del corpo globale
I am è una marca propria della Migros. L’assortimento, fabbricato dalla Mibelle SA a
Buchs/AG, comprende più di 250 prodotti
per viso, capelli, mani e piedi, dunque la cura
e la pulizia complete.
Così per ogni esigenza c’è il prodotto adatto.
Ad esempio la linea Young per la pelle giovane e la linea Young-Clear per la pelle tendente alle impurità dei giovani adulti. O la
cura Anti-Aging per le esigenze della pelle
più matura.
Inoltre I am offre un assortimento speciale
per uomini così come una linea di cosmesi
naturale con prodotti a base di sostanze vegetali naturali. Una vasta scelta di deodoranti
e prodotti per la depilazione completano il
programma.
Le confezioni dei prodotti di I am si presenteranno man mano in un nuovo design e con un
nuovo logo, più grande.
In una stazione
ferroviaria
di Zurigo sono
stati messi
a disposizione
del pubblico
alcuni cartelloni pubblicitari
per la campagna I am legata
ai complimenti.
Non bisogna essere
avari di complimenti.
Una nuova campagna
di I am si fa promotrice
di un’offensiva
del fascino.
Con la sua nuova campagna pubblicitaria, la marca I am fa propaganda per un
particolarissimo prodotto di bellezza.
Esso apre il cuore, rende felici, fa brillare
gli occhi, materializza un sorriso sul volto
e fa parlare fra loro anche perfetti sconosciuti. Si parla del complimento. La campagna invita le svizzere e gli svizzeri a
farsi più complimenti. L’idea che ci sta
dietro: i complimenti rendono più belli
dall’interno, i prodotti trattanti di I am
La Stefan-mobile a
zonzo per la Svizzera nel nuovo
spot pubblicitario
di I am.
Dal megafono risuonano complimenti.
dall’esterno. Nel contempo i prodotti si
presentano in un nuovo design, più moderno, che sottolinea con maggior forza il
carattere di marca di I am.
Gli effetti positivi che può avere la gentilezza sincera sono evidenziati dal nuovo
spot televisivo, che si può vedere anche
sul sito www.i-am.ch: gironzolando per
la Svizzera, Stefan dà avvio a un’offensiva
del fascino, distribuendo generosi complimenti. Le situazioni sono state filmate
live e con autentici passanti. Parallelamente allo spot è stato lanciato un concorso online: ogni partecipante può formulare un complimento personale, per
una persona di sua scelta. I naviganti votano cliccando col mouse quale complimento è loro piaciuto di più. Quelli che
avranno ricevuto più voti verranno stampati come cartellone e presentati in più di
500 luoghi a partire dal 31 marzo./ Dora
Horvath
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui
i prodotti di I am.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
59
Idee e acquisti per la settimana
Fresco
profumo ad
ogni contatto
A tutti noi piace che la biancheria
emani un profumo come se fosse appena stata lavata. L’innovativa tecnologia dei detersivi Elan fa sì che a ogni
contatto i capi bianchi e anche quelli
colorati profumino piacevolmente a
lungo. Il segreto? Perle di freschezza
che si fissano alle fibre dei tessuti. Il
contatto o lo sfregamento con il capo
fa scoppiare queste micro perle, liberando così il loro profumo. I detersivi
ersivi
liquidi Summer Breeze, Spring Time
me e
Flower Moments si caratterizzano per
la loro nota fresca e floreale, mentre
Pacific Dream ricorda la brezza marina. Tutti e quattro sprigionano la
loro forza pulente già alla bassissima
temperatura di 15 gradi.
Elan Flower Moments
e Elan Summer Breeze
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prodotti molto apprezzati, tra cui
i detersivi Elan.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
60
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 marzo 2014 • N. 10
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Idee e acquisti per la settimana
Cura extra per giorno
o e notte
Il Night Renewal Booster è un siero efficace per la notte, che
serve anche da base per la crema da notte. Il Day Perfect Elixir
opacizzante è leggero e penetra velocemente. Affina i pori e si
raccomanda quale cura complementare o base per il trucco.
• Zoé Effect Night Renewal Booster 30 ml Fr. 26.50
• Zoé Effect Day Perfect Elixir 30 ml Fr. 26.50
Protettiva
Anti-Aging
con la forza
delle piante
La varietà di uva Gamay Tenturier Fréaux è estremamente resistente
contro i raggi UV. Le sue cellule staminali proteggono la pelle dai radicali liberi e dall’invecchiamento cutaneo dovuto alla luce. Mantengono inoltre la vitalità delle cellule staminali della pelle.
La cosmesi ad alta tecnologia di Zoé Effect
sfrutta l’efficacia delle cellule staminali
della mela e dell’uva, che ritardano
l’invecchiamento della pelle
Un aspetto splendente non è più una
questione di età, ormai. L’innovativo
programma trattante di Zoé Effect aiuta a
ritardare visibilmente l’invecchiamento
della pelle. I prodotti della linea ad alta
tecnologia, armonizzati fra di loro in
modo ottimale, sfruttano le possibilità di
una cosmesi moderna, che punta a rigenerare la pelle. Basate sulle ultime scoperte della ricerca sulle cellule staminali
delle piante, utilizzano la tecnologia PhytoCellTecTM appositamente sviluppata.
Le sostanze attive, brevettate e premiate,
sono state sviluppate nei laboratori della
Mibelle Biochemistry. Sono ottenute da
cellule staminali della mela e dell’uva, la
cui forza rigenerativa esercita un effetto
vitalizzante sulle cellule staminali della
pelle. Test dermatologici dimostrano
l’alta efficacia di queste sostanze attive
tecnologicamente innovative.
I prodotti della linea col principio attivo
PhytoCellTecTM Malus Domestica, fornito dalle cellule staminali della mela, favoriscono la rigenerazione della pelle,
forniscono idratazione e ritardano il processo naturale di invecchiamento. I prodotti con il principio attivo PhytoCellTecTM Vitis Vinifera, che si ricava dalle
cellule staminali dell’uva, proteggono dai
radicali liberi e in particolare dall’invecchiamento della pelle dovuto alla luce: regalano all’epidermide un’idratazione a
lunga durata, riducono le rughe e incrementano l’elasticità./ Jacqueline Vinzelberg; foto Getty Image
Cura e strutturazione per la notte
Crema
ma per gli occhi
La zona occhi, particolarmente sensibile,
richiede una cura intensiva, idratante: Zoé
Effect Eye Care penetra rapidamente, fornisce alla pelle delicata attorno agli occhi
moltissima idratazione ed è così efficace
contro la formazione delle rughe.
Zoé Effect Eye Care 15 ml Fr. 20.60
Zoé Effect Night Care offre la cura per la notte leggera
e che penetra rapidamente nel pratico dispenser. Chi
preferisce qualcosa di più ricco sceglierà la crema da
notte in vasetto. Entrambi i prodotti contengono il principio at
attivo ad alta tecnologia Vitis Vinifera, forniscono
un’idratazione
a lunga durata e sono efficaci contro le
un’idrat
rughe.
• Zoé Effect
Night Care 50 ml Fr. 23.30
E
• Zoé E
Effect Advanced Night Care 50 ml Fr. 23.30
Cura intensiva
Rigenerante
Le cellule staminali della mela svizzera Uttwiler Spätlauber favoriscono
la rigenerazione della pelle e accrescono la vitalità cellulare delle cellule staminali della pelle. Il naturale processo di invecchiamento dell’epidermide viene così rallentato e la pelle ulteriormente protette.
Il tocco di bellezza intensivo per labbra e
occhi: il Flash Program Lip & Eye è un gel efficacemente trattante in sette pratiche porzioni. È facile da applicare e si può utilizzare
sia come cura settimanale sia anche come
«aiuto immediato» dopo una lunga notte.
Zoé Effect Lip & Eye Flash Program
7 x 1,2 ml Fr. 17.50
Piacevole sensazione sulla pelle
Idratazione, protezione dalla luce e effetto antirughe in due versioni: la cura leggera nel dispenser è
ideale per la stagione più calda o come base per il trucco. Una porzione extra di idratazione la fornisce la crema da giono nel vasetto. Entrambe penetrano rapidamente e procurano una piacevole
sensazione sulla pelle.
• Zoé Effect Day Care SPF 15 50 ml Fr. 22.40
• Zoé Effect Advanced Day Care SPF 15 50 ml Fr. 22.40
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui anche la
linea trattante Zoé Effect.
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