Q 98 uesta settimana il menu è da non saLtaRe analisi della legge francese sul cinema “ Ho un grande obiettivo: far giocare la Roma con una squadra come Barcellona o Bayern monaco nel Colosseo. imposteremo una pay per view, 25 dollari in tutto il mondo James Pallotta Presidente della Roma 2014 morituri te salutant Martinotti da pagina 2 PiCCoLe vuoti&Pieni aRCHitettuRe il paradiso degli alberti Stammer a pagina 5 istantanee ad aRte la stagione dei Lettristi Monaldi a pagina 6 La famigLia di CuCo si aLLaRga Riunione di famigLia a pagina 4 sangue blu Big apple, i’m coming diamo il benvenuto a due nuovi ingressi nella redazione di Cultura Commestibile, Barbara setti e gianni Biagi C DA NON SALTARE U O .com n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o 2 di francesco R. martinotti d [email protected] a trent’anni a Firenze si tiene il festival del cinema francese, un luogo privilegiato dello scambio culturale tra Francia e Italia, grazie anche alla stretta collaborazione con le istituzioni del cinema che hanno sede a Parigi. Ogni anno il festival seleziona una rosa dei migliori film francesi scegliendoli tra gli oltre 250 prodotti Oltralpe e ogni anno ci rendiamo conto che se nella patria dei fratelli Lumière c’è una continuità e una stabilità del sistema lo si deve a una legge che esiste dal 47 e che si è perfezionata nel tempo adeguandosi alle trasformazioni artistiche e tecnologiche . Essa dà a tutti gli operatori delle certezze rendendo il settore dell’audiovisivo forte e strategico per il paese. La legge è stata molto studiata e citata, ogni volta che si parla in Italia di una legge di sistema, diventa l’oggetto di dibattiti e approfondimenti. Fin dai suoi inizi quando ancora si chiamava France Cinema il festival di cinema francese di Firenze è stato non soltanto una vetrina di film, ma si è anche occupato di questioni più generali relative al cinema, organizzando seminari, dibattiti, convegni. In questa fase di rinnovamento del paese sentiamo la necessità e il dovere di tornare sul tema della legge francese per illustrarla nelle sue caratteristiche non solo nelle linee guida ma anche negli aspetti più specifici. Con questo obiettivo abbiamo organizzato a Palazzo Sacrati Strozzi il convegno Belle Toujours: la legge francese sul cinema, al quale hanno partecipato molti degli operatori e artisti presenti al festival: Jean-Louis Livi (produttore), David Kessler (consigliere dell’audiovisivo del governo francese),Benoit Jacquot (regista), Angelo Cianci (professore di Cinema alla Sorbona), Agnès de Sacy (sceneggiatrice). Abbiamo anche avuto nella Senatrice Rosa Maria Di Giorgi un’ eccellente interlocutrice che ha raccolto proficuamente i vari spunti emersi nel corso del dibattito. Tutti i sistemi industriali che producono cinema e audiovisivo necessitano di risorse pubbliche per la loro organizzazione, il loro sviluppo, il loro adeguamento tecnologico e per la diffusione dei loro prodotti sui mercati stranieri. Questo accade anche nei sistemi più liberisti come quello americano dove l’intervento passa attraverso una fortissima detassazione. Sostanzialmente le questioni legate alle risorse sono le seguenti: dove si prendono quante sono con quale continuità il settore ne può disporre. Il sistema che dà risposte più precise a queste questioni è quello francese grazie al quale l’industria cinematografica dal dopo guerra a oggi ha saputo superare le difficoltà cicliche ed è da sempre un volano dell’economia francese. L’industria dell’audiovisivo francese è l’unica a livello planetario in grado di La differenza tra noi loro e competere con quella americana (l’India merita una considerazione a parte). Il comparto dell’audiovisivo d’Oltralpe, comprensivo dei videogiochi, produce ogni anno complessivamente l’1% del PIL pari a 16,3 Miliardi di euro e impiega 340.000 addetti, che equivalgono all’1,3% dell’occupazione generale: per avere un termine di paragone, quanto l’industria automobilistica e più di quella farmaceutica e della moda. Il sistema fu pensato nel 1948 da André Malraux, il romanziere autore de La condition humaine che ricoprì il ruolo di ministro della Comunicazione nel governo provvisorio De Gaulle del periodo post-bellico. Il principio cardine prevede che tutti coloro che traggono profitto dallo sfruttamento di un’opera cinematografica debbano necessariamente reimmettere una minima parte di quel profitto nel sistema generale nel quale sono maturate C DA NON SALTARE U O .com analisi della un’ legge le condizioni per la creazione e lo sfruttamento di quell’opera. Quindi di fatto un prelievo di scopo che non costa niente all’Erario. In cosa consiste? Il meccanismo è semplice e chiaro: il 10,72% del costo del biglietto della sala, il 5,5% del fatturato delle televisioni e il 2% degli utili sulle vendite dvd e del Video On Demande costituiscono il nucleo centrale delle risorse che fanno da volano al cinema. Un totale di 750M€ annui che vengono suddivisi secondo le necessità tra lo sviluppo delle storie, la scrittura, la produzione, la distribuzione nazionale e n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o internazionale, l’esercizio, la conservazione del patrimonio, l’insegnamento del cinema nelle scuole, ma anche alle serie televisive. Attenzione! Questi soldi non sono versati all’erario, ma vanno direttamente al Centro Nazionale del Cinema e dell’Audiovisivo. Poi ci sono altri strumenti fiscali e bancari sempre previsti e coordinati dalla legge che esulano da questi 750M, come il Tax credit, un tax credit stabile e continuativo le SOFICA Società per il Finanziamento del cinema e dell’audiovisivo, e l’IFCIC Istituto per il Finanziamento del cinema e dell’industria cinematografica, che è importantissimo, perché fa da garante alle operazioni bancarie, per esempio dà la possibilità ai produttori di scontare i contratti senza impegnare la propria casa come succede da noi. A questi strumenti di finanziamento, si aggiungono ingenti risorse pari ad altri 330M € annui derivate dagli obblighi delle televisioni a investire nel cinema In particolare il 3,2% del fatturato delle reti generaliste e il 27% della rete tematica Canal+. devono essere destinate obbligatoriamente al cinema attraverso coproduzioni e pre-acquisti di film nazionali. Ma il dispositivo che per noi è fantascienza e quello che l’obbliga Orange la compagnia di telefonia mobile francese, l’ equivalente di TIM, a investire una parte del suo fatturato nel cinema (per il 2012, la somma è stata di 18,5 M€.) Il sistema francese come si può notare prevede non solo diverse forme di investimenti, ma anche una pluralità delle fonti, il che garantisce la massima libertà di espressione e di impresa. In Italia attualmente questo non accade perché gli unici veri finanziatori intorno ai quali si concentra la maggior parte della produzione cinematografica sono due: Rai e Mediaset Per concludere si può notare che il sistema che si è andato ad elaborare e a perfezionare a partire dal 1947 è molto preciso ed elaborato ed è stato armonizzato con le norme che regolano il sistema televisivo. Inoltre una particolare attenzione la Francia rivolge alle scuole e al sistema educativo nel quale sono inserite politiche di educazione dei giovani all’immagine. La materia è prima di tutto materia d’insegnamento nelle scuole. Da qui dovremmo ripartire anche noi per la formazione del pubblico di domani. francese sul 3 cinema C n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o RIUNIONE DI FAMIGLIA U O .com I CUGINI ENGELS LE SORELLE MARX sangue blu Big apple, i’m coming Ahi, ahi,ahi, si mette male per il nostro Vate archeologico, il prof. dott. pres. SE Silvano Vinceti, famoso cercatore di ossa nobili e VIPs: un comunicato stampa del 29 ottobre fa sapere urbi et orbi che l’estrazione del DNA dalle ossa ritrovate in Sant’Orsola e che lui è pronto a giocarci una tibia essere della Monna Lisa si sta rivelando “complessa, lunga e difficile”. Perché fra il mescolume di ossa ritrovate potrebbero esserci anche quelle del marito e del figlio della Monna Lisa (ma, osserviamo noi, anche di altri ben più oscuri personaggi che si trovassero lì in quel frangente). E poi le ossa son malridotte. Ma lui, lui no, non demorde. Si sperimenteranno nuove tecniche di estrazione. E poi, alle brutte, “data l’importanza dell’indagine [ovvero, di grazia?], se non riusciremo ad estrarre il Dna dai resti mortali a disposizione, sono convinto che la principessa Natalia Strozzi Guicciardini [sembra, discendente della Monna] sarà disponibile a questo prelievo”. Le due sorelle Natalia ed Irina sono state definite le “Gioconde del Terzo Millennio” e oltre ad avere i quarti di nobiltà in regola, sono le eredi della rinomata azienda vitivinicola di famiglia, che ha sede nel Tenuta di Cusona vicino a San Gimignano, attiva nella produzione di vino dal 994 d.C. Insomma, sangue blu d’annata. E certamente, noblesse oblige, ça va sans dire... Mica tanto: pare che la Natalia al buon Vinceti abbia fatto un inequivocabile gesto dell’ombrello. Trasferta di Giani Eugenio nella Grande Mela! Si sa, non c’è inaugurazione, lodevole iniziativa, che non ambisca avere come padrino (ma anche madrina, testimonial, Gran Sacerdote o Gran Visir) il Nostro. E qual è l’evento inaugurativo del secolo? Senz’altro quello che segue l’evento catastrofico che l’ha iniziato: l’attentato terroristico alle Twin Towers di New York. E così Eugenione, che ha dovuto rinunciare ai sogni di grandezza municipali, ha ormai assunto la dimensione di Inau- Registrazione del tribunale di firenze n. 5894 del 2/10/2012 direttore simone siliani redazione gianni biagi sara chiarello aldo frangioni rosaclelia ganzerli michele morrocchi barbara setti progetto grafico emiliano bacci editore nem nuovi eventi musicali viale dei mille 131, 50131 firenze contatti www.culturacommestibile.com [email protected] [email protected] www.facebook.com/ cultura.commestibile “ Con la cultura non si mangia Giulio Tremonti 4 BOBO gurista (oh, pardon, di statista) internazionale e, munito del suo spettacolare Iphone, si è scatenato in un’orgia di cinguettii americani: “World Trade Center a New York ricostruito e riaperto dopo 13 anni dal drammatico 11 settembre 2001, attentato alle torri gemelle. Storico!” Segue rinfresco (anzi, follows refreshment) avrebbe voluto scrivere il Nostro, ma i 140 caratteri erano finiti. Imprescindibile! LO ZIO DI TROTSKY La colpa di obama LE NIPOTINE DI BAKUNIN Cattedra o poltrona Non lodevole, bensì prestigiosa iniziativa, l’ultima nata dalla fronte spaziosa di Eugenio nostro Giani: resuscitare la Libera cattedra della civiltà fiorentina. S’era nel 1950 quando l’Unione Fiorentina partorì questa, allora normale, iniziativa; divenuta poi prestigiosa con una serie di illustri relatori: da Giuseppe Ungaretti a Giovanni Spadolini, da Giovanni Michelucci a Eugenio Garin. E, dunque, quale più luminosa idea se non quella di far riviver l’iniziativa riprendendo da un altro Eugenio? ma questa volta illustrissimo, perché Eugenio se la canta e se la suona: Presidente (manco a dirlo) del Comitato scientifico dell’Unione Fiorentina-Museo Casa di Dante resuscita l’iniziativa e il primo relatore sulla storia di Firenze romana chi è? Ma Eugenio Giani, of course! Grande novità! LA STORIA DI EUGENIO Alla fine più contenti dei repubblicani americani paiono essere i giornalisti italiani. A loro, non importa se di destra o di sinistra, Obama non è mai piaciuto più di tanto. Sopravvalutato, poco efficace, senza strategia, sono tra i commenti più benevoli che il Presidente ha, dopo un iniziale innamoramento, goduto qui da noi. E questo a discapito di cifre e azioni politiche che l’amministrazione USA ha snocciolato in questi anni. Sì bene l’Obamacare ma in politica estera…. Bene il ritiro dall’Iraq ma il controllo delle armi… Per cui un elezione di midterm persa, certo malamente, diventa la cartina di tornasole di anni di analisi di Obama bravo ma però. Poco importa che il presidente uscente al secondo mandato perda quasi sempre le elezioni di metà mandato. Poco importa soprattutto se il partito del Presidente ha perso queste elezioni nonostante abbia tenuto fuori il presidente da tutti i comizi importanti, da tutte le sfide cruciali. La sconfitta è di Obama non di un partito democratico che, detestando in buona parte i Clinton, non ha costruito nessun Obama, non ha costruito alcuna macchina di consenso paragonabile a quella dell’allora senatore dell’Illinois. In fondo qui da noi i presidenti repubblicani li amiamo e li detestiamo in ragione della loro politica estera, quelli democratici li consideriamo, con l’eccezione mitologica di Kennedy, o dei simpatici venditori di Noccioline (Carter) o al massimo come dei mandrilli (Clinton) a Obama è toccato il ruolo di quello bravo che non si applica. C U O .com PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ di John stammer Q uando gli operai inziarono a demolire quel muro, chiaramente posticcio che occultava l’abside della cappella, non sapevano di dare il primo colpo di piccone all’inizio di una lunga avventura culturale. Il convento di San Salvatore e Santa Brigida sorgeva alle pendici della collina dei "moccoli" in prossimità della piana di Ripoli. Era stato fondato, su volere di Antonio degli Alberti, nel 1392 e, in realtà, era composto di due conventi. Il primo, a sud ed a quota lievemente più elevata, era il convento delle monache. Più a nord verso il corso dell’Arno, sorgeva il monastero dei monaci. Quest’ultimo, in preda ad un devastante degrado, fu demolito negli anni trenta del secolo scorso e, al posto delle antiche mura conventuali, furono realizzati edifici per abitazioni degli indigenti; edifici tuttora esistenti, e visibili lungo la via del Paradiso. Il convento delle monache non aveva subìto lo stesso destino di demolizione, ma era stato ampiamente rimaneggiato nei secoli, fino al 1960 quando fu "vincolato" ai sensi delle norme sui beni storico-architettonici. A dire il vero il Ministero della Pubblica Istruzione (poi sostituito dal Ministero dei Beni Culturali) aveva anche avviato, agli inizi del 1940, le pratiche per l’acquisto del bene ma, forse anche a causa della guerra, l’acquisto non fu mai perfezionato. Il degrado del complesso era oramai talmente evidente che il comune di Firenze, con un atto di una certa "audacia urbanistica", inserì, molti anni dopo, il complesso all’interno del Piano Casa del 1987. Il Piano prevedeva la realizzazione di 24 nuovi alloggi e il recupero dell’ex convento per fini residenziali, incentivando quindi la fattibilità del recupero con l’intervento di nuova costruzione. Il progetto fu affidato a Paolo Antonio Martini che si è così trovato a gestire un intervento "doppio". Il restauro e le nuove costruzioni. Ma realizzare un nuovo intervento in un contesto pedecollinare, limitrofo ad un contesto storico di grande importanza, e sopratutto limitrofo ad una articolata edificazione degli anni settanta, non fu semplice. E non solo per le difficoltà del progetto. Gli abitanti degli edifici limitrofi si organizzarono in un comitato e chiesero all’amministrazione di non realizzare i nuovi alloggi e di ampliare gli spazi a verde pubblico. Solo nel 2000, con una nuova amministrazione, si arrivò ad una conclusione che mise la parola fine ad una questione iniziata nel 1990.. L’intervento di nuova edificazione potè essere realizzato e anche il verde pubblico fu ampliato. Nel frattempo gli interventi di restauro del complesso dell’ex convento di santa Brigida erano stati avviati e subito si rilevarono di grande interesse. La demolizione della muratura aveva riportato in luce alcune parti di affreschi del- il paradiso degli alberti n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o 5 l’antica cappella del convento, poi diventata sala capitolare. "Un episodio fra i più significativi dell’arte fiorentina di fine Trecento" lo ha definito la soprintendente Alessandra Marino. Un ciclo di affreschi che Antonio degli Alberti volle fossero realizzati da Niccolò di Pietro Gerini, che aveva affrescato a Firenze la sede della Compagnia del Bigallo. Un ciclo di affreschi che oggi è visibile grazie ad un accurato lavoro di restauro, iniziato a partire dal 1992, realizzato dell’Istituto Arte e Restauro di Palazzo Spinell, a cura e spese della proprietà. Un ciclo di affreschi che ha al suo centro ideale la "visione del Paradiso" come nella Cappella del Podestà (o Cappella della Maddalena) al Bargello di Firenze. Un ciclo di affreschi "ritrovati" che non è la sola opera di restauro eseguita sul complesso. L’intervento ha permesso infatti di recuperare le antiche "quote" del convento (eliminando gli "interramenti eseguiti nel corso dei secoli), l’integrità funzionale e architettonica del chiostro (che era stato completamente tamponato per utilizzare gli spazi, così reperiti, per residenze) e anche il giardino esterno (demolendo le superfetazioni preesistenti che lo occupavano) che inizialmente era destinato a verde pubblico, ma che studi più accurati hanno consigliato di mantenere integro, e a destinazione privata, come "hortus", non realizzando le aperture previste sulla muratura perimetrale quattrocentesca. Un intervento che ha anche realizzato quattro edifici, con tipologie a schiera terratetto -per i soci della stessa cooperativa di abitazioni che ha eseguito il restauroproprio in fronte alle case realizzate negli anni sessanta, su progetto di Sergio Sozzi, per dare una casa agli abitanti degli spazi (dichiarati inagibili per il degrado strutturale e sanitario) dell’ex convento. Una storia di bellezza e di degrado lunga oltre sei secoli. Oggi le parti monumentali dell’ex convento sono accessibili al pubblico previo appuntamento (www.paradisodeglialberti.wordpress.com) e il "paradiso degli Alberti" è tornato ad essere un patrimonio dei cittadini di Firenze. C ISTANTANEE AD ARTE U O .com di Laura monaldi o 6 Dall’alto Roland Sabatier Luspurgraphie aux références, 1989 Tecnica mista di cartoncino cm. 49,5x49,5 Maurice Lemaître Sonnet, 1963 Tecnica mista e collage su cartoncino cm 50x50 Isidore Sou La méchanique de la chasse, 1960 Tutte courtesy Collezione Carlo Palli, Prato [email protected] n ella Parigi del primo dopoguerra, dominata dalla pittura astratta e informale, i lettristi, ponendosi in continuità con le modalità espressive dei dadaisti e dei surrealisti, svilupparono un’inedita sperimentazione sul linguaggio che svincolava il significato dal significante e proponeva una nuova idea di estetica, capace di sovvertire l’idea di Arte e abbracciare ogni aspetto culturale. A partire dal Lettrismo l’artista divenne colui che dà vita a una suggestione astratta, ossia a quella pura presenza che suggerisce un nuovo atteggiamento verso l’Arte, in grado di esprimere l’idea di poesia anche attraverso il silenzio. Nelle opere dei lettristi artisticità e poeticità giungono a uno stesso livello di concettualizzazione: le particelle linguistiche vengono private di ogni possibile senso immediato e gli elementi esistono nella misura in cui è permesso al fruitore di immaginare un altro elemento inesistente o possibile. L’obiettivo del Lettrismo è quello di inventare una lingua vergine e incontaminata dai legami razionali del significato, che sia contemporaneamente udibile e visibile e che tenda alla interdisciplinarietà, in quanto costruzione e ricostruzione sensoriale del legame fra la lingua e il proprio aspetto grafico-visualesonoro-gestuale. La lettera viene percepita come l’unità primordiale del linguaggio, capace in sé di superare i limiti dell’alfabeto e costruire una nuova lingua che, svincolata dai debiti semantici, si apre alle infinite possibilità del significante. Con il Lettrismo la lettera viene percepita in una dimensione estetica inedita, generale e totalizzante, quasi performativa, poiché riconsegnata alla propria fisicità, gestualità e visività, legandosi necessariamente all’occasionalità dell’evento e della fonazione. Le opere di Isidore Isou, Maurice Lemaî- n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 L et rist t i tre e Roland Sabatier si inseriscono pienamente all’interno di un’attenta analisi del linguaggio artistico e letterario, dei suoi rapporti formali e ideologici, ritmici e metrici, che intercorrono fra significato e significante, fra il mondo e la parola referente, nella consapevolezza che l’attualità è avvolta da una tale indeterminatezza e vanità gnoseologico-esistenziale, la quale si configura come una crisi del linguaggio, la crisi di una parola che non riesce più a percepire il tempo, la Storia e il senso del Tutto. Una parola essenzializzata, ridotta alla lettera a ad altri segni linguistici ma, tuttavia, ancora capace di dar vita a nuovi messaggi e continuare la propria funzione comunicativa, grazie ad azioni e gesti artistici che travalicano il canone e hanno dato atto all’originalità delle neo-avanguardie. C SÌ, VIAGGIARE U O .com di francesco Cusa [email protected] s hangay. Con calma. Senza enfatizzare troppo. Freddamente. Nell’orrore del contemporaneo, nella brutalità dello sviluppo selvaggio, continuare a coltivare la poesia quale prassi e rito del quotidiano, ciò ad ogni oasi, laddove possibile. È ciò che abbiamo oggettivamente smarrito Con calma. Senza enfatizzare. Ma qui abbiamo amici che vengono da mesi di terapie, medicine allopatiche, antinfiammatori, osteopati, fisioterapisti...risultati zero. Si va in un centro specializzato in Shangai, e in una sola seduta ciaociao si risolve il problema. Meditare. Paradossi. I motorini a Shangai sono in buona parte elettrici. La sera viaggiano senza luci. Nessuno indossa il casco. Si va in tre tranquillamente. Padri e madri trasportano i bambini e i neonati in motorino. Non si sente il rumore. Quindi te li ritrovi ovunque. Molti vanno in controsenso o usano il marciapiede. Nel caotico traffico c’è un surreale ordine. Immagino però gli incidenti possano essere numerosi. È davvero strano questo incrocio tra tecnologia e caos. Ah! Molti hanno in dotazione un ombrellone (giuro!). Una cosa che va contro ogni principio del movimento. Un ombrellone piantato sul mini motorino. L’esperienza del nostro concerto mattutino all’università di Chongquing è stata incredibile. Ragazze e ragazzi in delirio. Dopo il concerto, un assalto stile Beatles, con tanto di urla e svenimenti delle ragazze (letteralmente). Cd polverizzati. Finiti. Ok. Analizziamo freddamente la cosa...la classica frase “l’educazione comincia dalle scuole”. Qui, fra le divise militari del training universitario dei quindici giorni, si respiravano Bellezza, Curiosità, Gioia. Non si faccia l’errore di liquidare la pratica pensando al paese ingenuo e pieno di entusiasmo. Questo è vero solo in parte. I ragazzi sono informatissimi. Qui si fa cultura. Qui c’è fame di cultura. Il direttore è una persona splendida. Tutti vogliono ca- travels n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o 7 pire. Dopo i concerti le domande. Parliamo di interi dipartimenti dedicati alle arti. Questo entusiasmo non è ingenuo, semmai poetico. Questo fermento non è proprio dei paesi emergenti. E’ semmai la naturale condizione legata all’esperienza del quotidiano, della condivisione, della partecipazione (ciò che abbiamo perso). Spero che l’orgoglio che li caratterizza possa salvare loro - e dunque il Mondo - dalla globalizzazione. Auspico che queste generazioni non facciamo il nostro medesimo errore. Essi necessitano dei fondamentali “tools”, certamente, ma questi devono poi essere funzionali ad un processo di sviluppo culturale che parta dalle loro medesime radici. Viceversa nasceranno altre colonie ed il cinismo farà la sua comparsa, deturpando la naturale bellezza di questi volti. Il Rito: alla fine del nostro concerto all’università siamo stati invitati a pranzo dal direttore e dai responsabili del dipartimento. Qui in Cina le decisioni importanti vengono prese a pranzo o a cena. In questi giorni siamo stati accompagnati in banchetti da sogno. La ricchezza, immensa, della cucina cinese, non rappresenta alcunché di commensurabile rispetto ai nostri standards del gusto (ovviamente, quando in Italia si va a mangiare “cinese” non stiamo andando affatto a mangiare cinese). Nella regione del Chongqing, ad es., i cibi sono speziati fino all’inverosimile, ma al contempo delicatissimi. Per non dire del trionfo delle decorazioni, del preziosismo dei rituali che introducono poi alla degustazione. Solo dopo un po’ si parla di “affari”, e si ascolta quanto ognuno ha da dire. Le impressioni. Le possibilità di instaurare relazioni e scambi. Affascinante il momento del commiato. Esso arriva secco, come una lama. A tagliare ogni inutile ridondanza dopo tutta l’affabulazione precedente. Tutto ciò rimanda alla repentinità del termine dell’amplesso: dopo immani corteggiamenti, la donna cede e si “consuma” l’atto, nel culmine della “petite morte” di bataillana memoria. (Continua C n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o SCENA&RETROSCENA U O .com di mariangela milone e ntrare in teatro, attraversare la soglia, penetrare la folla, sedersi, non sono che azioni di riempimento. Di tempo, di spazio, di posto. Non il posto assegnato, non il numero a cui corrispondiamo in una fila, ma il posto che abbiamo preso. Entrare, ieri sera, al Teatro Studio Krypton, è stato un moto. Prima dello spettacolo era come fuori da un bar, in una strada senza l’attrattiva dei negozi aperti: bicchieri, sigarette e un giornale di mano in mano. Quanti spazi ha un teatro? Uno per incontrare persone che conosciamo o mai viste; uno per sedersi a fumare, in attesa; uno persino per non essere visti e osservare. Questi spazi non esistono contemporaneamente per tutti. In sala palco, quinte e proscenio, non ci sono più, anche se continuiamo a percepirne forte il fantasma. Entrare in teatro è un’azione precisa. Come quando si presenta una persona nuova. Stringiamo la mano, sorridiamo in attesa di conoscerla. Al Krypton il sipario non c’è. Spesso s’incontrano gli attori seduti sul palco, che aspettano pazienti. A volte invece, ad attendere c’è una scenografia. Pensiamo mai, davanti alla televisione in casa, che le immagini sullo schermo siano estranee? Che mettano mano all’arredamento, o che i suoni di un film o di un dibattito ci trascinino fuori dalla stanza dove non abbiamo rifatto il letto o sparecchiato? Entrando in gruppo, la presenza di una scenografia nuda, non illuminata di senso, sembra un po’ un intruso tra i nostri discorsi. Di fronte qualcosa di così stranamente muto. Eppure non era muto per niente. Noi lentamente, stavamo già accumulando una storia a quelle che ci stavamo raccontando. Facevamo conoscenza con qual- Per un teatro mondo cosa e non con qualcuno. Uno spettacolo è questo, non è “di” un’altra persona, è un’altra persona. Qualcosa in più che occupa uno spazio, proprio accanto e in mezzo a noi. Abbiamo visto, quante macellerie nell’arte? Quante ne frequentiamo nella vita? Luoghi dove facciamo ogni giorno le stesse cose, fino al bisogno di evadere o alla nevrosi. Ieri sera in scena un uomo comandava, o immaginava di comandare. Nessuna nota ‘assurda’ o sorriso nero, solo il fascino del macabro di ogni giorno e che ogni giorno sopportiamo. Ormai non lo vediamo più. A teatro, ieri, lo abbiamo visto. Tanto che ci ha dato finalmente fastidio. Tanto che, volendo raccontare come si comportavano gli spettatori intorno a noi... lo sapremmo dire? Forse no. Eravamo presi dalla nostra ribellione? Finalmente. Entrambe le foto sono di Pia Salvatori di alessandro iachino s ono temi altissimi quelli che la danza contemporanea sembra voler affrontare: e lo fa sempre più spesso ibridandosi, nutrendosi di alfabeti propri ad altre discipline e coniando con essi nuove parole e nuovi significati. Libertà e sua negazione, controllo della volontà, costrizione fisica: questo il materiale su cui il gruppo CANI - fondato e diretto dal 2012 da Ramona Caia, Jacopo Jenna e Giulia Mureddu - costruisce il suggestivo “Good Vibrations”, andato in scena ieri al Teatro Studio: uno spettacolo per due performer, chiamati tuttavia a coprire anche il ruolo del concertista. E di un “concerto per Lev Theremin”, nelle parole dei coreografi, si tratta: il progetto è infatti incentrato sulla figura del celebre fisico, inventore dell’omonimo strumento, ma soprattutto straordinario esempio di esule e fuggitivo. Seduti dietro a un tavolo colmo di mixer e distorsori, Jacopo Jenna e Francesco Casciaro ricordano più tecnici del suono che danzatori; al primo - magnifico nella capacità di unire atleticità e mimica facciale - spetta il compito di trasformare il palco in una sala di registrazione, allestendolo con un tappeto e un microfono e dando vita ad una sinfonia di respiri e smorfie. Proprio il rumore del respiro di Jenna - moltiplicato e distorto da Casciaro, cui si deve la parte più prettamente musicale dello spettacolo costituisce il basso continuo su cui scrivere una melodia di movimenti inizialmente solo accennati, via via sempre più evidenti. Un processo che raggiunge il suo climax nella seconda parte della performance, dove al respiro di Jenna si unisce, come in un coro, quello di Casciaro. Se la suggestione visiva è quella dei Beach Boys, ai quali i CANI rubano il titolo di una can- 8 zone, ciò che udiamo ricorda proprio il suono di un theremin. In America l’inventore trascorse solo una breve parentesi di una vita raminga: morì nella Russia sovietica, dopo aver subito la violenza della prigionia e dei lavori forzati. Udendo un determinato suono, il cane avrà sempre una stessa reazione: e a un determinato ordine musicale, Jenna/Theremin esegue un determinato gesto. Spogliatosi dall’abito elegante che indossava nei primi due movimenti del concerto, Jenna adesso è solo un cane di Pavlov, un mero esecutore di una volontà esterna, costretto a compiere gesti assurdi e ripetitivi. Unica liberazione, possibile e paradossale, dalla gabbia che il suono del respiro ha creato è un’apnea, lunga fino a diventare fatale. La ricerca di nuove soluzioni coreografiche, il lavoro sulla respirazione, il dialogo con la musica forniscono gli strumenti su cui muovere una più ampia riflessione: il teatro sembra avere qualcosa da imparare, dalla danza vista allo Zoom Festival. Per respiro solo BIZZARRIE DEGLI OGGETTI Lanterne di terra, di mare e fanali a cura di Cristina Pucci [email protected] 3 lanterne, vecchierelle, la prima da miniera, la seconda da marina e la terza delle ferrovie dello Stato, a petrolio e con i vetri colorati. Visto che siamo nella “bizzarria” darò notizie in tal ambito... La prima da sinistra è una lampada a carburo, di simili si usavano, oltre che sotto ai carri o ai lati dei medesimi, per scendere in miniera. Il carburo di calcio, sorta di pietra grigiastra, a contatto con l'acqua, contenuta nel serbatoio di queste lampade, produceva acetilene, gas infiammabilissimo, che usciva da apposito beccuccio e che, acceso, emanava una luminosa fiamma biancastra. Una curiosità: Léon Blum presidente socialista del neo eletto Governo del Fronte Popolare assiste, nel 1946, a Parigi, alla parata del giorno della Bastiglia, tenendo in mano una lampada da minatore. La foto è di Robert Capa. La seconda è una lanterna marinara.... Lanterna si chiama il faro di Genova, suo simbolo, costruito intorno al 1100, è una torre squadrata, ma alta, elegante e sottile direi, con due terrazzamenti, la “luce”,posta alla sua sommità, ha un diametro di 4 metri, i vetri che la delimitano sono alti 4,40 metri. Ci si arriva salendo 365 scalini. La terza è un “fanale” da segnalazione delle Ferrovie dello Stato, trattasi di particolari lanterne costruite in metallo e in cui erano disposti dei vetri colorati verdi e rossi montati su telai girevoli in modo da interporre la lastra colorata alla lente e alla fonte luminosa in base ad un comando mosso manualmente o meccanicamente. La torcia, lanterna o bandiera a luce rossa segnalavano al macchinista di arrestare immediatamente il treno, in qualsiasi momento, in caso di pericolo. Non resisto e devo nominarvi le Lampisterie, piccoli edifici adiacenti alle stazioni “terminali”, de- dalla collezione di Rossano dicati alla custodia del petrolio illuminante e di altri prodotti infiammabili. Erano mini casotti in muratura, dotati di una piccola porta e una finestra, generalmente vicini o quasi a ridosso di fabbricati adibiti a magazzino di merci o a rimessa di locomotive. Nelle lampisterie, affidate agli accenditori, si deponevano i fanali, le lanterne ed i pezzi di ricambio degli apparecchi illuminanti delle locomotive o dei congegni fissi, nonché si verificava il livello dei piccoli serbatoi, gli stoppini e la pulizia dei vetri e degli ottoni,” fatta generalmente con cascame asciutto”.... Ultima bizzarra notizia, è nato da pochissimo un altro Museo della Ferrovia (ve ne sono moltissimi in Italia, anche qui a Firenze), nei locali della dismessa Stazione di Carpanè- Valstagna, ricostruisce stanza del Capostazione, sala d'attesa, ha molte immagini e documenti e pochi oggetti ancora …”sono graditi suggerimenti e donazioni...”forse Rossano può correre in suo aiuto! C VISIONARIA U O .com di simonetta Zanuccoli [email protected] L e case dove abitarono Honorè de Balzac e Victor Hugo insieme al museo della Vita romantica, un tempo casa del pittore Ary Scheffer dove George Sand soggiornò per lunghi periodi, sono oggi i tre musei letterari di Parigi con un ampia documentazione di manoscritti e prime edizioni degli scrittori. Hugo vi abito dal 1832, Balzac dal 1840 e in entrambe essi trascorsero l'ultimo periodo della loro vita. E' interessante visitarle, perché attraverso la loro ubicazione e le testimonianze custodite in spazi così intimi si percepisce quasi fisicamente come i due scrittori coetanei, Balzac nacque nel 1799, Hugo nel 1802, abbiano avuto vite tanto diverse. La maison de Victor Hugo è situata nella bellissima Place des Vosges, nel cuore del Marais, al secondo piano del prestigioso palazzo Rohan Guéménée costruito da Isaac Armaud. In questo appartamento di 280 mq Hugo vi scrisse le sue opere più conosciute: I miserabili, I lavoratori del mare e L'uomo che ride. Nonostante mille vicissitudini, la morte della figlia e del genero per annegamento, poi quella della moglie e del fratello, la pazzia dell'altra figlia, Victor Hugo nella vita non si arrese mai. Poeta, saggista, padre del Romanticismo, pari di Francia e deputato dell'Assemblea Costituente, la sua fama di letterato impegnato in politica crebbe anche negli anni dell'esilio voluto da Napoleone III. Al suo ritorno in patria il salotto di Place des Vosges si riaprì con rinnovato interesse a letterati, poeti e musicisti. Hugo muore nel 1885. La sua salma venne esposta per una notte sotto l'Arco di Trionfo vegliata da dodici poeti e tumulata al Pantheon appena inaugurato. La Maison de Victor Hugo oggi non rispetta più la disposizione originaria perché è stata organizzata in modo da ripercorrere le tre fasi principali della sua prestigiosa vita, prima, durante e dopo l'esilio a Guernsey. Sono rimasti alle pareti rivestite in ricco damasco rosso i ritratti di famiglia, è stato ricostruito l'arredamento e i decori dell'incredibile stanza cinese disegnati dallo stesso Hugo, insospettabile designer, per la casa della sua amante di sempre Juliette Drouet e la sala da pranzo di ispirazione medievale, anche questa progettata dallo scrittore, accanito collezionista di mobili antichi. La Maison de Balzac è una dimora modesta in Rue Raynouard, 47 nel quartiere di Passy, antico borgo di campagna alle porte di Parigi, vicino al Bois de Boulogne. Inseguito dai creditori, dopo aver cambiato ben undici abitazioni, lo scrittore vi si trasferì sotto il falso nome di Breugnol che era quello della governante-amante. A Balzac era piaciuto di questa casa, che lui credeva “un rifugio temporaneo”, la tranquillità, il delizioso piccolo giardino e soprattutto un splendori e miserie delle vite e delle case In alto la scrivania di Balzac, a destra la sua tomba nel Cimitero di Père-Lachaise. Sopra Victor Hugo SCAVEZZACOLLO o [email protected] Carpe Infraditum. Jeans procrastina. Piuminum postero. Pashmina in sequitur. 9 secondo ingresso sulla poco frequentata Rue Berton che gli avrebbe permesso di scappare da qualche inopportuna visita. La sua vita si era dipanata tra successi letterari, onorificenze, era stato decorato con la Legion d'Onore, imprese geniali, come aprire una casa editrice per stampare delle edizioni economiche, idea nuova per l'epoca, o fantasiose, come una coltivazione di ananas a Parigi o lo sfruttamento di certe miniere d'argento in Sardegna già abbandonate in tempi antichissimi. Progetti finanziati dalla famiglia, amici e amanti che avevano il solo risultato di essere fallimentari e di accumulare debiti. Nel suo rifugio di Rue Raynouard Balzac ha creato i suoi più bei romanzi come La cugina Bette e Splendori e miserie delle cortigiane e il suo capolavoro La commedia umana. Nella casa rimangono molte testimonianze dello scrittore. La più commovente è la sua scrivania, sulla quale scriveva per ore che “ha visto tutte le mie miserie, cancellato tutte le mie lacrime, ha conosciuto tutti i miei progetti, sentito tutti i miei pensieri”. Sposò dopo una lunghissima relazione amorosa epistolare la contessa Eva Hanska. Ma anche quel matrimonio che Balzac credeva essere la salvezza di tutti i suoi guai fu una delusione: la nobile polacca, per una serie di disavventure, non era più ricca come un tempo. Muore qualche mese dopo nel 1850 e viene tumulato al cimitero di Père Lachaise. Nell'orazione funebre che Victor Hugo fece in onore dell'amico così gli dette l'ultimo saluto: ...questo vigoroso lavoratore mai stanco, questo filosofo, questo pensatore, questo genio, ha vissuto in mezzo a noi una vita tempestosa di lotte e contese. Oggi è in pace, lascia le contestazioni e i livori.... L’APPUNTAMENTO di massimo Cavezzali L’estate di orazio n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 virginia Panichi a istambul CONTEMPORARY İSTANBUL Mete Cad. Yeni Apt. No:10/11 34437 Taksim, İstanbul, www. contemporaryistanbul.com C n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o LUCE CATTURATA U O .com L’aquila 5 anni dopo di davide virdis per ConfotogRafia www.davidevirdis.it www.confotografia.net La città interrotta frammenti di una ricerca di normalità settembre 2014 MUSICA MAESTRO di alessandro michelucci [email protected] In Italia i più noti compositori di colonne sonore sono uomini: Morricone, Piovani, Teardo, tanto per fare qualche nome. Ma se leggessimo con attenzione i titoli dei film ci renderemmo conto che in molti paesi stranieri anche le donne svolgono spesso questo ruolo. Basti pensare a compositrici come Anne Dudley (Full Monty, La moglie del soldato), Lisa Gerrard (Il gladiatore, La passione di Cristo) e Rachel Portman (Non lasciarmi, Still Life). Il loro numero cresce se consideriamo anche quelle che compongono per film non distribuiti in Italia, come la maggior parte di quelli realizzati nei paesi scandinavi. Il disco Music for Film and Theatre, che raccoglie musiche composte da Rebekka Karijord, ci offre l’occasione di colmare in parte questa lacuna. Al tempo stesso ci permette di conoscere un’artista molto particolare: contrariamente alla maggior parte di coloro che scrivono musica per film, Rebekka è anche attrice teatrale e cinematografica. Il suo approccio alla musica è quindi il frutto di un coinvolgimento totale, anche se non sempre i due ruoli convivono. Rebekka Karijord è una norvegese trentottenne nata nelle Lofoten, un arcipelago situato a nord del Circolo Polare Artico. Figlia di artisti, ha imparato a suonare il piano e il violino in tenera età. Ha cominciato a studiare recitazione e danza prima di trasferirsi a Stoccolma. Nella capitale svedese ha perfezionato queste discipline. A 17 anni ha cominciato a lavorare per un’importante casa discografica, ma ha rotto la collaborazione quando ha capito che questa voleva lanciarla come cantante pop. Quindi ha cominciato a lavorare per il cinema e per il teatro, sia come attrice che come musicista. La compositrice norvegese ha dimostrato una chiara preferenza per gli spettacoli che trattano temi di rilievo sociale. Il documentario De andre (Nowhere Home) si concentra sul problema dei rifugiati. My Name is Rachel Corrie racconta la tragedia della pacifista statunitense uccisa dall’esercito israeliano mentre manifestava contro l’occupazione dei territori palestinesi. Jag Ser Dig (I See You) descrive il travaglio interiore di una ragazza cieca dall’adolescenza all’età adulta. All’inizio del nuovo secolo l’artista ha sentito il bisogno di ampliare ulteriormente il proprio orizzonte artistico e ha cominciato a comporre musica slegata dal contesto filmico o teatrale. Neophyte (2003) è il CD che ha segnato l’inizio di questo nuovo capitolo artistico. Quindi ne ha realizzati altri tre, dopodichè arriviamo finalmente a 10 Rebekka artista totale Music for Film and Theatre. In prevalenza strumentale, il disco raccoglie musiche composte fra il 2007 e il 2013. Un’idea benvenuta, grazie alla quale possiamo conoscere composizioni che altrimenti sarebbero rimaste inaccessibili. “Madrigal” è un intreccio di voci ed effetti elettronici, mentre “Waltz for Norma” è un intermezzo pianistico con brevi interventi vocali. “Salhus” è un delicato impasto di piano, chitarra e coro. Il piano di Rebekka è protagonista anche nella melanconica “Anchor Boy”. L’intenso coro femminile di “Kjære Gud Jeg Hat Det Godt” richiama vagamente quelli del celebre Mystère des Voix Bulgares. La strumentazione è ricca, con archi, tastiere e fiati in evidenza. Rebekka suona fra l’altro piano, fisarmonica e chitarra, oltre a cantare. Un disco ben riuscito, a tratti affascinante, un artista che merita di essere seguita con attenzione. Merita un appunto, semmai, il fatto che le note siano ridotte all’essenziale, senza i titoli dei film e delle opere dai quali sono tratti i brani. C GALLERIE&PLATEE U O .com di Claudio Cosma L [email protected] a mostra si basa sullesperienza sociale e didattica dell’autore, iniziata nel 2006 in Serbia, con la costruzione di una gigantesca scultura di Pinocchio, realizzata con prodotti alimentari industriali, poi donati ad un orfanotrofio di Belgrado. Successivamente a Tokyo, presente con un Pinocchio gonfiabile alto 15 metri, realizzato con il contributo dei bambini delle scuole elementari giapponesi, che con le loro divise alla marinara si potrebbero dire usciti anacronisticamente, proprio dalle Avventure di Pinocchio. Gli stessi bambini giapponesi si sono occupati (e lo fanno periodicamente ogni anno per una certa ricorrenza) di gonfiarlo contribuendo così a dare vita “con un soffio” ad un Golem positivo, se positiva può essere considerata la figura di Pinocchio. Il terzo, quello di legno di 6 metri di altezza è costruito da frammenti di altri pinocchi che le 2 fabbriche che in Italia realizzano tali gadget in legno hanno messo da parte per l’artista su sua richiesta, sarà esposto da Sensus. Si tratta di pinocchi difettati che il Malagigi ricompone come fosse un Pinocchio tradizionale, ma avvicinandosi si nota, con effetto divisionista, che è fatto da migliaia di pinocchini o frammenti di pinocchi, questo fa riflettere sul concetto di "scarto". Questo gigante, icona della città di Firenze, non è mai stato esposto in Italia. Gli scarti della lavorazione industriale o artigianale se non addirittura casalinga, stanno su di un ambiguo argine, come sospesi in attesa di poter essere usati ancora, in maniera diversa, per altre produzioni, per esempio, in cucina le foglie di cavolo usate inizialmente per gli involtini, se difettate diventeranno ingrediente per la ribollita (tipica minestra fiorentina, partecipe col suo concetto di lesina all’atmosfera stessa del romanzo di Collodi), oppure diventare irreversibilmente rifiuti. Coi rifiuti si entra in un altro apparato sensibile che permea il fare dell’artista che dichiara: "È già un fatto che i rifiuti non esistono più. Il legno è una materia che va amata, bisogna volerle bene”, ipotizzando un mondo consapevole dove la costosa produzione di rifiuti non sia più un attanagliante problema, ma una risorsa sostenibile. Pinocchio stesso è formato da frammenti culturali e commerciali insieme, il romanzo, infatti è conosciutissimo e paradossalmente non letto se non nei suoi luoghi mitici: le bucce di pera, la Fata Turchina, il pescecane che tutti chiamano, non si sa perché, balena, Mangiafuoco, il Paese dei Balocchi e tutto il suo contorno da romanzo gotico di tristi penombre, assolutamente non compreso. Il burattino non si realizza e non si evolve mai e il suo contorno, come in un quadro di Bosch, è popolato da giudici che condannano gli innocenti, da raggiri e cattiverie, da pentole fumanti dipinte per aggirare la miseria, dal continuo bondage istituzionale praticato dai carabinieri col loro scattar di manette, da una morale opportunista dove al lavoro si preferisce metamorfosi edoardo malagigi a sensus n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o 11 piantare, come magica semenza, monete d’oro. Quindi è costituito da pezzi, come a pezzi è stato scritto il romanzo da Collodi, e fa bene il Malagigi a volerlo riassemblare in forma di colosso facendone combaciare i frammenti con una tecnica di molatura che sarebbe piaciuta a Geppetto. Le cose e gli oggetti si trasformano continuamente, quelle organiche appartenenti al mondo naturale ad opera del loro corso vitale, degli eventi atmosferici, dell’inarrestabile attività umana, tutto all’interno della capsula temporale che le accoglie. Malagigi interviene su quanto elaborato dall’uomo e sceglie dalle fasi variabili all’interno della catena produttiva industriale sempre un momento precedente a quello in cui gli oggetti, trapassando dal loro fulgore rappresentativo in termini di desiderabilità, stanno per abbandonarci, diventando rifiuti. Questa soglia, metafora del consumismo che si auto alimenta, viene mantenuta dall’artista (titolare, all’Accademia di Belle Arti di Firenze, del corso di design e responsabile delle relazioni internazionali) con l’artificio dell’arte in uno stato perdurante di vita artificiale oltre la loro data di scadenza, che ne permette un eterno stato d’uso, che travalica l’appartenenza al mondo della materia fisica per divenire puro pensiero. Dal 14 novembre 2014 al 28 febbraio 2015 a Sensus viale Gramsci 42/a Firenze, aperta al pubblico il venerdì e il sabato dalle 18 alle 20 e su appuntamento. [email protected] – www.sensusstorage.com controllate KINO&VIDEO di sara Chiarello [email protected] Torna l’approfondimento culturale all’Auditorium Stensen di Firenze (via Don Minzoni) che per l’undicesima edizione del Novembre Stenseniano continua nel suo percorso di informazione, ridefinendo alcuni concetti chiave quali Eros Filìa e Agape. Da stasera al 14 febbraio 2015 oltre venti ospiti tra psicologi, teologi, scienziati e filosofi (da Remo Bodei a Don Colzani a Aldo Stella) affronteranno il tema delle relazioni umane al giorno d’oggi, tra crisi e rivoluzioni tecnologiche, dalle nuove forme di genitorialità alle passioni sportive, dal rapporto tra sessualità e consumismo fino alla correlazione tra libido e tecnologia, corpo e pulsioni (ingresso libero). Nel primo appuntamento, Aldo Stella e Don Gianni Colzani, moderati da Sergio Givone, parleranno degli aspetti storico-filosofici della riflessione amorosa fino a comprenderne le implicazioni di natura teologica. L’amore tra genitori e figli e l’amore mistico verranno messi a confronto il 6 dicembre da Anna Oliviero Ferraris e Marco Vannini, mentre Luisella Battaglia e Duccio Canestrini presenteranno una conferenza L’amore al tempo della crisi sull’innamoramento tra generazioni e culture differenti con un focus sugli Amori selvaggi – dall’esotismo al consumismo. Fra gli incontri, anche quello con il filosofo Remo Bodei e Giuseppe Riva (Università Cattolica del Sacro Cuore) ospiti il 31 gennaio per un dibattito sull’amore per le cose e le relazioni digitali. Invece Paolo Mugeri (Università di Milano) e Simona Argentieri (Associazione Italiana di Psicoanalisi) affronteranno la controversa relazione tra libido e tecnologia (15 novembre). Dal 13 gennaio al ciclo di incontri si affiancherà una rassegna cinematografica, che cercherà di offrire una risposta alla domanda “Che forma ha l’amore oggi?”. Tra questi, Father and Son, vincitore a Cannes 2013 (Premio della Giuria), che mette in scena il contrasto tra i legami di sangue e quelli d’affetto (13 gennaio), Verso il sud, opera di Laurent Cantet sul turismo femminile legato al sesso (20 gennaio), Il caso Kerenes, Orso d’oro alla Berlinale 2013, The Sessions sul rapporto tra sessualità e disabilità, fino al paradosso tra l’amore omosessuale e l’ideologia violenta delle correnti neonaziste per Brotherwood. “Questa edizione del Novembre Stenseniano – spiega P. Ennio Brovedani sj, Presidente della Fondazione N. Stensen – si propone quale occasione e luogo di informazione e riflessione comune su alcune forme nuove e inedite di relazioni umane, tanto reali quanto virtuali, che prospettano evidenti vantaggi e benefici, ma anche il rischio di alterare esperienze, sentimenti e comportamenti consolidati da secoli, senza disporre ancora di adeguati strumenti di valutazione e previsione delle possibili conseguenze”. www.stensen.org. C LETTERE&LETTERATI U O .com di simone siliani i [email protected] niziano stasera con una Pedalata Letteraria dedicata a Dino Campana a Marradi le celebrazioni del centenario della pubblicazione dei “Canti Orfici”, il libro, l’unico,. del poeta marradese. Un programma denso che va dall'incontro con l'antropologo del paesaggio Matteo Meschiari “Una nuova melodia selvaggia. Geografie campaniane” (Chiesa di Santa Verdiana, Firenze, 18 novembre ore 17), alla mostra di manoscritti (a partire da “Il più lungo giorno”, il grado zero dei “Canti Orfici”) documenti e immagini alla Biblioteca Marucelliana di Firenze (27 novembre ore 17), dalle mostre allestite alla Fondazione “Primo Conti” a Fiesole e al Gabinetto “G.P.Vieusseux a Firenze, fino allo spettacolo “Canti Orfici #Visioni” della Compagnia Krypton al Teatro Studio di Scandicci. Ma qui vorrei soffermarmi su una piccola perla di questo centenario: la ristampa anastatica dei “Canti Orfici”, fedele e accurata, del libro stampato dalla tipografia Ravagli nel 1914, in un cofanetto che racchiude anche un quaderno critico di introduzione e nota bio-bibliografica a cura dello scrittore e studioso argentino Gabriel Cacho Millet e un CD audio con i CANTI ORFICI letti per la prima volta integralmente da Claudio Morganti. Realizzato dalle Edizioni Cronopio e voluto dall’associazione “Cometa rossa”, l'edizione anastatica si fonda sulla copia del libro di proprietà di Primo Conti e, dunque, realizzata con la collaborazione con l'omonima Fondazione di Fiesole. Un progetto editoriale realizzato senza contributi pubblici e che l'associazione “Cometa rossa” ha voluto, a proprio rischio e pericolo finanziario (esattamente come Campana 100 anni fa), per risarcire il poeta degli “oltraggi editoriali” inflitti ai “Canti Orfici” in questi cento anni e dare a Dino quel che doveva essere di Dino, ovvero una stampa “vera” (“Scrivo novelle poetiche e poesie: nessuno mi vuole stampare e io ho bisogno di essere stampato: per provarmi che esisto, per scrivere ancora ho bisogno di essere stampato. Aggiungo che io merito di essere stampato perché io sento che quel poco di poesia che so fare ha una purità di accento che è oggi poco comune da noi"). L'associazione ha lanciato una raccolta di fondi offrendo il cofanetto a tutti coloro che vorranno aderire all’associazione, versando la quota associativa di 20 euro sul ccb n.1000/00018273 presso Banca CR Firenze, Filiale Firenze 51, Piazza della Repubblica 16/R, IBAN IT45 U061 6002 8951 0000 0018 273, intestato a ‘”Cometa Rossa’”, indicando come causale “Quota associativa 2014” e riportando nella causale stessa il recapito presso cui ricevere il cofanetto. Sono i miracoli di Campana che, bruciato dalla sua passione poetica, trasmette questo fuoco sacro e folle lungo i decenni, senza accennare a spegnersi. Tenere in mano questa anastatica, rileggerne le potenti poesie impresse irregolarmente col piombo di un secolo SU DI TONO 100 anni di Canti orfici n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o 12 fa, ti fa avvertire il dolore dell'uomo negletto dalla comunità dell'accademia poetica (Papini & co.) che oggi i più hanno (giustamente) dimenticato mentre lui ancora vive perché i suoi versi sono meravigliosi, perché è elettrico, perché sta dentro – lui isolato montanaro venuto su a pane, castagne e letture eterodosse e irregolari – le grandi correnti poetiche dei “maledetti” d'Oltralpe e d'Oltreoceano. Immagini potenti, dirompenti e delicate che ancora oggi, ne abbiamo riscontri ogni giorno, infiammano giovani e meno giovani talvolta ignari della poesia, che prorompono da questo libro unico e continuano a parlarci, ad urlarci in faccia la follia del mondo che si crede normale, da quella torre barbara sui monti dell'Appennino dediche particolari e sorprendenti a cura di Lorenzo sandiford [email protected] La musica è quasi sempre dedicata a qualcuno: dall’oggetto dell’ispirazione fino al committente. Ma in certi casi la dedica è così legata al contenuto dell’opera da essere parte integrante e imprescindibile dell’opera stessa. È ciò che accade nei brani con “Dediche particolari e sorprendenti” del concerto di domenica 9 novembre a Firenze per Suoni Riflessi (ore 11 di mattina, Sala Vanni): un percorso musicale che sarà introdotto dal musicologo Alberto Batisti, direttore di Rete Toscana Classica, e che vedrà come interpreti l’ensemble Nuovo Contrappunto e Mario Ancillotti nella doppia veste di flautista e direttore, nonché il pianista Antonino Siringo nell’esecuzione di Bach. Non esisterebbe infatti il ‘Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo Bwv 992’ di Johann Sebastian Bach, prima brano in programma, se non fosse legato strettamente alla vita del giovane Bach, al suo affetto per il fratello Jakob e al rammarico per la sua partenza, invano contrastata, al seguito di re Carlo XII di Svezia, come oboista nella sua orchestra. I tempi del Capriccio descrivono amabilmente i tentativi di Johann Sebastian e degli amici di fargli cambiare idea: l’adagio è una lusinga per trattenerlo, il successivo andante una rappresentazione dei pericoli nei Paesi stranieri, l’adagissimo è un lamento generale degli amici, e così via, in un giovanile capolavoro che si può quasi definire “musica a programma”. Anche la composizione ‘Ricercare quarto per flauto e quartetto d’archi – Pappagalli verdi, cronache di un chirurgo di guerra’ di Fabrizio De Rossi Re, alla prima esecuzione assoluta, non è pensabile senza il dedicatario Gino Strada, che è non solo fonte d’ispirazione ma vera e propria materia del tessuto musicale. Come dice infatti l’autore De Rossi Re, «la dedica a Gino Strada nasce dal voler immaginare un ideale percorso sonoro all’interno dei suoi viaggi nei tanti territori martoriati: dall’Iraq al Ruanda, dal Pakistan all’Afghanistan, dalla Cambogia all’Angola, in un percorso eroico, di profonda e laica dedizione, nel cuore dell’inferno terreno». La stessa imprescindibilità della dedica sussiste nel terzo brano musicale che sarà eseguito, ‘Arioso in memory of Wolfgang Schulz’ per flauto e archi di Nishimura, uno dei più celebri compositori giapponesi viventi, che scrisse e dedicò questo commovente brano all’amico Wolfgang Schulz, magnifico flautista solista dei Wiener Philharmoniker, deceduto la primavera scorsa. Ad eseguirlo sarà Mario Ancillotti, proprio lui che dovette sostituire Schulz come flautista solista nel prestigioso Kusatsu Festival di cui Nishimura è direttore musicale. E anche nell’ultima composizione in programma, l’‘Idillio di Sigfrido’ (per 13 strumenti) di Richard Wagner, la dedica è la ragione stessa della sua esistenza. L’Idillio di Sigfrido è infatti il regalo di compleanno che Richard Wagner fece alla seconda moglie Cosima. L’esecuzione si tenne a sorpresa nella villa di famiglia, al risveglio della consorte, la mattina di Natale del 1870, nella quale lei festeggiava il suo trentatreesimo compleanno. I tredici musicisti raggiunsero la casa di Richard a Lucerna e, dopo aver accordato gli strumenti in cucina, si sistemarono nella scala che portava alla camera da letto di Cosima. Alle sette e mezza del mattino, cominciarono l’esecuzione diretti da Wagner stesso e Cosima fu svegliata dalle note di quell’Idillio. C U O .com HORROR VACUI n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o disegni di Pam testi di aldo frangioni di ni tantoella g o e r a ens amento d i ser ve p A cosa dall’attorcigl carsi altrove? e e r r i i fugg dendoci d are avanti conre vita illu utile per and si può scappa Forse èdoci che non luogo dove si vincen vita è il solo sistere. e che lantinuare ad e può co 13 C n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o RI-FLESSIONI U O .com di Paolo marini [email protected] L e uccidono il figlio e il giornalista le domanda, il giorno dopo: “Li perdona?”. Che cosa risponderà la donna? Non è ancora deposta la salma nella bara che l'incauto, l'insolente, il misero si permette di trasformare il masso in una foglia, noncurante di quella madre. E' il portato di un tempo in cui l'informazione e la comunicazione pigiano tutto in una affollata, confusa contemporaneità, oppure è solo l'ignoranza di uno pseudo-professionista? E' la pretesa implicita di impacchettare, distribuire e lasciar consumare rapidamente ogni notizia, secondo ritmi che bruciano i fatti nel margine di poche ore o è la malintesa leggerezza di un uomo che per guadagnarsi il pane ha dimenticato che anche il pane esige un impasto, una cottura, una lievitazione? Si sta parlando di un passaggio delicato della vita umana, come si intuisce dalla Bibbia, che mi piace citare avendo pur chiaro che il perdono non è prerogativa di uno spirito religioso. Nel Libro dei Proverbi (25, 2122) “se il tuo nemico ha fame, dagli pane da / mangiare, / se ha sete, dagli acqua da bere; / perché così ammasserai carboni ardenti / sul suo capo / e il Signore ti ricompenserà”, mentre nella prima lettera di Giovanni (3, 14.15) “chi non ama rimane nella il perdono ai tempi dell’ iPhone morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida”. Nondimeno sarà difficile pretendere che una persona possa riuscire a fare come Stefano, che prega per i propri carnefici mentre lo lapidano e chiede al Signore, prima di spirare, di “non imputar loro questo peccato” (Atti degli Apostoli, 7, 54.60) o come Gesù crocifisso che dice “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Luca, 23, 34). Comunque ci si accosti a queste pagine, il perdono vi è delineato come un punto di approdo necessario per l'uomo ma da nessuna parte sta scritto che sarà immediato, automatico, certo. Al contrario. I Proverbi (20, 22) ammoniscono di “non dire: “voglio ricambiare il male”, / confida nel Signore ed egli ti libererà” e nella parabola del servitore spietato (Matteo, 18, 23.35) è spiegato che “così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello”; quindi tocca al Qoelet spiegare che “c'è un 14 tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci, (…) un tempo per la guerra e un tempo per la pace”. Poche righe bastano a tratteggiare i contrasti, la sofferenza, la fatica: il perdono sarà verosimilmente l'esito di un processo tutt'altro che semplice, nient'affatto scontato. Si tratterà, per lo più, di una elaborazione o 'scoperta' lenta, progressiva, comunque intima e spontanea, fors'anche o senz'altro di una 'liberazione' (speculare e opposta a quella che la conversione procura al malvagio di turno, per esempio all'Innominato manzoniano): colui che perdona rimette a nuova vita la propria anima, seppellisce quella specie di morte che l’aveva appesantita; il perdono è uno stato di grazia che pervade l’offeso, più importante per quegli che per l’offensore. Il perdono è, in poche parole, anzitutto per se stessi. E il tempo? Per quanto si tratti di una categoria della coscienza, esso è – come sostiene Lee Smolin – qualcosa di reale; è il nostro quadro di riferimento e come tale – aggiungo non si può comprimere o tagliare. Bisogna saper rispettare il tempo di ogni cosa, il tempo di ogni uomo, compreso il tempo che gli occorrerà per giungere liberamente e incondizionatamente, al riparo da ogni intrusione, ad una stazione così piena della propria esistenza. ICON di angela Rosi [email protected] Alogo di Dimitris Chiotopoulos è la mostra, curata da Giuliano Serafini, alla Galleria La Corte Arte Contemporanea di Firenze visitabile fino al 18 novembre 2014. Sono dieci tele che fanno parte di un più ampio progetto dell’artista dal titolo “Total Art”, dieci variazioni cromatiche di una stessa icona, appunto alogo dal greco moderno cavallo, anzi due sagome di cavalli che si fronteggiano, si abbracciano e si fondono nella dispersione cromatica al limite della riconoscibilità. Sono dieci tavole come i dieci comandamenti, dieci tavole ognuna di un colore diverso, dieci icone che ci trasmettono un particolare messaggio espresso anche dai colori usati dall’artista. Le immagini sono fuori dal tempo e dallo spazio trasfigurate e lontane dalla fisicità. I corpi dei cavalli acquisiscono dissolvenza, astrazione e incorporeità, il colore diventa gioia dello spirito proprio come nelle icone. Ci smarriamo nelle figure che si disperdono in belle e corpose pennellate con un movimento verso l’alto che smaterializza le forme dipinte. La posizione delle tele richiama un cerchio, le dieci opere ci ricordano che il numero dieci è la perfezione concernente lo spazio-tempo circolare e indica il cambiamento che permette l’evoluzione e la crescita spirituale. Entrare in galleria è scoprire enormi carte dei tarocchi con le quali possiamo giocare a leggere il nostro futuro, ci sentiamo parte di un tutto che ci fa scordare il particolare per entrare in una dimensione universale e arrivare direttamente all’origine: “…in- tercettare la visione perché da quel flash emanasse l’essenza “spirituale” del cavallo, la sua anima..” scrive Giuliano Serafini. Queste tele ci aprono, inoltre, al ricordo di un antico monumento, il cerchio di pietre. La mostra di Dimitris Chiotopoulos è ricerca dell’essenza, Alogo diventa opportunità di evoluzione spirituale per abbracciare il tutto unico dove la fusione diviene conoscenza e l’essenza è l’esistenza. Alogo di Dimitris Chiotopoulos si fa, quindi, essenza stessa della vita. alogo e le sue dispersione cromatiche C LETTERE&LETTERATI U O .com di Roberto mosi [email protected] s ono molti i modi per ricordare la figura di un grande poeta come Mario Luzi - conferenze, convegni, spettacoli – a cento anni dalla sua nascita. TrekkingItalia, sezione di Firenze, associazione dedicata alla scoperta dei valori ambientali, l’ha inteso fare alla sua maniera, senza rimanere nel chiuso di una sala, percorrendo luoghi legati al suo ricordo, a pagine della sua poesia, da Castello alle porte di Firenze, al fiume Arno nella parte a monte della città, da Bellariva, alla Cupola del Brunelleschi contemplata da Villa Bardini (Fiore nostro fiorisci ancora). Sono ancora in programma prossimi trekking – poetici, si suol dire, per la parte che ha la poesia – dedicati al Bisenzio, lungo gli argini del fiume, in memoria della celebre composizione tratta da Magma, alla vista dell’Amiata e dei monti della Val d’Orcia (possibilmente in una giornata di sole …) da Montesenario, ad uno “sguardo” della città, dall’alto, da Settignano, leggendo “Il viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”: “E’ là, lei, la Gran Villa/ che brulica e formicola/ di là dal fiume. Lo tenta e lo respinge, / ostica, …” Nello zaino portiamo i libri più amati di Mario Luzi, per leggere i versi più suggestivi ad alta voce, insieme, fra compagni dell’escursione. E’ sempre una scoperta di nuove corrispondenze La strada tortuosa che da Siena conduce all’Orcia traverso il mare mosso di crete dilavate che mettono di marzo una peluria verde … Mario Luzi, “Su fondamenti invisibili” n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o 15 fra il suono delle parole, le emozioni suscitate, i paesaggi incontrati nel nostro camminare. La poesia di Mario Luzi – fuori da ogni retorica delle riunioni ufficiali – si rivela a portata di mano di tutti noi, si scioglie nell’aria, dalle voci di tutti noi, le immagini che ci propone sono davanti a noi, vere, reali, sono il tramite per rinnovare il riconoscimento e l’affetto per il “nostro” poeta. Mario Francesconi, 4 ritratti di Mario Luzi mario Luzi, all’aria aperta ODORE DI LIBRI di Letizia magnolfi letizia.magnolfi@gmail.com Conoscere la Grande Guerra nei suoi particolari significa anche studiare la storia del fumetto. O viceversa. In occasione dell’anniversario della fine della prima guerra mondiale che si è svolto lo scorso 4 novembre, nell’anno del centenario del suo inizio, il Lucca Comics ha tenuto un incontro sulla stretta relazione tra fumetto e guerra. Venerdì 31 ottobre, nella cornice suggestiva della città di Lucca, animata dai colori e la fantasia di fumetti, vivi e non, si è tenuto Bànghete – Italiani in guerra nelle strisce disegnate. All’incontro hanno partecipato i docenti Claudio Gallo e Roberto Bianchi, il giornalista Renato Pallavicini e il famoso fumettista Mino Milani. È Roberto Bianchi a spiegarci che fu proprio negli anni del conflitto che la diffusione di massa dei fumetti fece un passo in avanti. Da allora in poi, il mercato del fumetto avrebbe continuato a crescere e ancora a crescere. “Il confronto con la storia è sempre un confronto difficile – ammette Renato Pallavicini - c’è bisogno, come per ogni documentazione, di un’attenta e accurata ricerca e selezione delle fonti storiche”. Anche se poi i fumetti utilizzano La grande guerra dentro il fumetto la guerra come sfondo per racconti di avventura. È il caso di “Lilith”, fumetto di Luca Enoch che ha come protagonista una cronokiller giunta dal futuro sulla Terra, che deve vedersela, fra l’altro, con il periodo della Grande Guerra. Sullo sfondo, la trincea. Oppure si può prendere in considerazione il progetto di Jacques Tardi, “Putain de Guerre”, curato con un’ampia ricerca di documentazione e fotografie: una serie di fumetti con didascalie molto ampie e un’accurata documentazione fotografica. Scene horror, visioni apocalittiche, ambienti classici della trincea fanno da sfondo al contenuto del fumetto. Che dire allora dello stretto legame tra propaganda e guerra? È un evento che spezza in due l’Europa e cambia ra- dicalmente il rapporto tra Europa, colonie e resto del mondo. Roberto Bianchi parla del ruolo eccezionale che ebbe il “Corriere dei Piccoli” nella costruzione del consenso. Rispetto agli altri paesi in Italia la creazione di quest’ultimo risultava più difficile perché esisteva una storia di “deficit di identità nazionale”. In questo senso, il giornale “svolse un ruolo di primo piano nel tentativo di costruire consenso per la guerra e mobilitare i suoi lettori…”. Per fare questo furono arruolati i migliori autori di fumetti (tra i quali Antonio Rubino, Attilio Mussino e “Gustavino” Rosso) , che divennero creatori di storie per soldati ancora bambini. Seppure la storia del fumetto abbia registrato un’importante punto di rottura stilistico negli anni ’60 ’70, a cento anni dalla prima guerra mondiale esiste ancora una discrasia tra una rappresentazione della guerra che predilige una sua visione estetica nonché fatta di forme narrative tradizionali e la volontà di raffigurare i veri protagonisti, che sono piccoli uomini, i quali niente possono sui grandi eventi della Storia. Un esempio di questo tipo di fumetto è “Unastoria”, l’ultimo lavoro di Gipi edito da Cocoino nel 2013. C di michele Rescio g n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o ICON U O .com [email protected] iuseppe Zanini, in arte Nino Za, nasce a Milano l'11 dicembre 1906. Nel 1927 a Genova si esibisce sul palcoscenico del cinema– teatro Buenos Aires con il nome d’arte “Nino Za” improvvisando rapidissime caricature di personaggi dell’epoca. Lavora nei teatri di avanspettacolo di altre città italiane, tra cui il cinema–teatro Merulana (ora Brancaccio) e il Bernini di Roma. Nel 1930 si trasferisce a Udine presso le zie materne, iniziando l'attività di caricaturista che lo pone rapidamente tra i migliori, con caratteristiche e stile personalissimi. Ritrae alcuni volti di cittadini più famosi al caffè Contarena. Alla base di Campoformido (UD) conoscerà il pilota Guido Rossi e diventeranno amici: la sua caricatura primeggerà tra i grandi assi del momento. Qualche anno dopo disegna lo stemma per il 6° Stormo della Regia Aeronautica di Ghedi (BS): un diavolo rosso che sfreccia aggressivo in picchiata. Chino Ermacora lo presenta al direttore del “Piccolo” di Trieste con cui Nino Za avvia una collaborazione con articoli e illustrazioni. La sua fama si espande, è richiesto dai grandi alberghi di San Remo, Rimini, Venezia, Cortina d’Ampezzo e dal Grand Hotel dell’isola di Brioni, dove, oltre a realizzare numerose caricature, decora e cura l’allestimento del “Bar di notte”, organizza feste ed illustra la rivista periodica dell’albergo. Nei suoi soggiorni al Grand Hotel di Rimini il giovane Fellini, da dietro le siepi, lo guardava con ammirazione e sognava di diventare come lui. Nel 1932 l’Elicromia Zacchetti di Milano gli ordina venti caricature di divi del cinema per farne una serie di cartoline che sono diffuse con successo in tutta Europa, tanto che gli sarà richiesto di eseguirne una seconda serie. Nel 1935 l’editore tedesco Erich Zander lo invita a Berlino, con un contratto di tre anni, a eseguire caricature di attori del cinema e del teatro da pubblicare sulle copertine del settimanale umoristico “Lustige Blätter” e nelle pagine interne del mensile “das Magazin”. Nel 1939 rientra in Italia per timore di essere tagliato fuori dell’approssimarsi della guerra. Si stabilisce a Roma, dove collabora a diversi giornali; tra questi “Il Travaso” e “Film”, conosce il giovane Fellini e, nonostante la differenza di età, nasce un’amicizia che durerà tutta la vita. Nel 1942, in piena guerra, ritorna a Udine, dove continua la sua carriera di pittore e caricaturista, fa ritratti alle belle signore friulane e gli sono richiesti cartelli pubblicitari dalle più importanti aziende locali, come Morgante, Candolini… Lega il proprio nome soprattutto a immortali "ritratti" dei maggiori divi del cinema, da Greta Garbo a Clark Gable, da Federico Fellini (suo grande ammiratore) a Sergio Tofano e a Sophia Loren. Tra il 1945 e il 1948, collabora con caricature di personalità friulane al giornale umoristico “P.U.F.” (organo ufficiale del partito umoristico friulano). Nel 1952 apre in via Mercato vecchio la “Piccola Galleria” presso il ristorante “Al Monte” prima galleria d’arte privata udi- Za 16 maestro di caricature nese; il pubblico friulano non era ancora preparato a mostre d’avanguardia e Zanini durante le stagioni estive e invernali trasferiva la “Piccola Galleria” a Cortina d’Ampezzo, dove c’era un pubblico più internazionale. Nel 1955 si stabilisce con la famiglia a Roma in via Margutta e un paio d’anni dopo apre la “Galleria Zanini” in via del Babuino. Zanini, diviene uno dei più importanti mercanti d'arte attivo a livello nazionale, e collezionò, nel corso degli anni importanti opere d’arte di artisti quali de Chirico, Campigli, Guidi, Mario Sironi, Carlo Carra', Filippo de Pisis, Renato Guttuso, Giuseppe Cesetti, Ottone Rosai, Fiorenzo Tomea e Arturo Tosi. Nel 1967 l’editore Domenico Del Duca fa ricercare Nino Za, di cui non si avevano notizie dagli anni Quaranta, da un investigatore privato e rintracciatolo a Roma nella figura del gallerista Giuseppe Zanini, gli chiede di eseguire una serie di caricature di cantanti e personaggi dello spetta- colo per il settimanale “L’Intrepido”. Dagli anni Sessanta Zanini collabora con vari giornali e riviste scrivendo racconti e storie di vita vissuta. Nel 1981 è pubblicata una monografia sul caricaturista “Nino Za” che rinverdirà il successo degli anni Trenta e cui seguiranno una serie di mostre antologiche e diverse onorificenze. Nel 1996 muore a Roma l’11 marzo ed è sepolto a Reggiolo nella tomba di famiglia da lui voluta. PASQUINATE di Burchiello 2000 Le iniziative e le decisioni “epocali” si sprecano di questi tempi! Nel lessico minimalista, scautistico e un po’ populistico su cui è declinato il dibattito politico dell’ultima stagione, si scommette più sugli aggettivi che sui sostantivi. Se il “sostantivo”, infatti, serve a denominare un’entità, a darle concretezza, il più modesto “aggettivo” si accorda invece col sostantivo, qualificandolo: da cui l’aggettivo qualificativo, il dimostrativo, il possessivo, l’indefinito (questi ultimi assai più impiegati). L’impiego del sostantivo, semmai, è ora affidato al neologismo (costrutto di nuova introduzione), generalmente in inglese (fa più fino ed è meno accusabile di “barbarismo”), da cui, per esempio “jobs act” che dovrebbe essere la nuova “legge sui lavori” e non sul lavoro; dimenticando quanto questo neologismo sia contiguo al “job cut” (riduzione di posti di lavoro) o al “job loss” (per- aggettivare! aggettivare! aggettivare! dita di posti di lavoro) o altro ancora. Così, nei vigorosi cinematismi della “politica parlata” sono in progressivo disuso i sostantivi e trionfano gli aggettivi, soprattutto se superlativi, possibilmente ripetuti a raffica, così che si possano facilmente incantare gli astanti. Sembra ci sia una vera e propria officina del potere della “politica parlata” preposta ad épater les bourgeois! O ci sbagliamo ? C REBUS ISPANICO U O .com di valentina monaca [email protected] Q uesto momento arriva quasi per tutti, come l’influenza, gli esami di maturità, il dente del giudizio, e non puoi sapere esattamente quando, ma sta di fatto che all’improvviso attorno a te scoppia una specie d’epidemia… quella delle amiche neomamme. La tua vita – un bel po’ meno della loro – cambia. Puoi fartela alla larga da loro per un po’, ma difficilmente condannerai all’ostracismo una buona amica e cosi finirai anche tu per soccombere al fascino del ciuccio e del bavaglino e ad adattarti ai loro nuovi tempi e luoghi. Luoghi soprattutto. Il bagno, davanti alla vaschetta dove il piccolo sguazza con le paperelle, diventa il luogo ideale per confessioni e pettegolezzi, il parco il lacrimatoio per le pene d’amore. Poi, quando il freddo ormai è alle porte e las terrazas all’aperto non sono più praticabili, inizia il processo di selezione dei locali baby friendly. Scegliere dove andare a cena o semplicemente prendere un caffè può trasformarsi in una questione di stato. Bando ai posti raccolti e intimi, meglio optare per locali grandi, luminosi e con tetti alti, dove pianti e strepiti si disperdono più facilmente e, soprattutto, niente scale e bagni dotati di fasciatoio. Per fortuna c’è sempre qualcuno che a questo piccolo problema organizzativo ci ha pensato già e ha scritto un post o addirittura ha creato un blog. Provo dunque a googlare “bares para ir con niños Madrid” e, come volevasi dimostrare, appaiono immediatamente un’infinità di blog specializzati. Trovo una lista di 8 posti a prova e a misura di bambino dove la Bimbi e babbi beati ceramica è abolita, i bicchieri sono di plastica, dai colori vivaci e con cannuccia incorporata, e le posate di bambù. Per terra solo gomma o prato sintetico e in ognuno di loro una zona ad hoc per giochi e creatività. Le foto mostrano giochi didattici, di legno e materiali bio che vanno tanto di moda, e poi tricicli, pupazzetti di gomma, casette di legno, libri cartonati, lavagne coi gessetti, formine per il Didò... I nomi dei locali sono tutto un programma: per chi subisce il fascino dei nomi esotici c’è il Baby deli e il Little Kingdom o il Cups&Kids, e poi i più teneri come Merendina&Cioccolato, Arriva il lupo, Mamme e Papà , Il Molare... Dopo un rapido consulto decidiamo di avviarci in gruppo verso uno dei lo- cali selezionati che si trovano in centro per far merenda. Questo avverrà solo dopo che la creatura angelicale di 13 mesi che ci tiene in ostaggio avrà terminato il suo sonnellino pomeridiano. D’altronde non possiamo fare a meno di lui, e non solo perché siamo tutti pazzi di Mattia, ma perché, se non avessimo lui come trofeo, al varcare la soglia del bar, ci sentiremmo completamente fuori luogo. Sarebbe un po’ come andare a un rave party in smoking... Una volta dentro il locale, e prima ancora di gattonare verso i cuscinoni e le scatole piene di giocattoli, studiamo il menù. Sembra il solito menù, solo un po’ più colorato: tramezzini, succhi di frutta, frappè, caffè, tè, cioccolata calda, Cola Cao (il Nesquik spagnolo) n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o 17 muffin, torta al cioccolato, torta per celiaci, cookies, pane e nutella, pane e marmellata...un attimo, pane e nutella? Eh? Questo locale nel giro di 3 secondi è riuscito a piazzarsi al primo posto nella top 5 dei miei locali preferiti e finché Mattia avrà 5-6 anni almeno avrò la scusa perfetta per tornare! Dopo la pancia e il suo diletto, arriva il momento di giocare un po’ con l’angioletto... Ci sono almeno una decina di bambini nella zona giochi – non a caso situata in fondo alla sala – alcuni hanno abbandonato i genitori con il loro caffè e scorazzano indipendenti, altri socializzano tra loro in una lingua a me incomprensibile, c’è persino una bambina hippie di 15 mesi, con madre al seguito altrettanto hippie, che prova a sottrarre un triciclo a forma di coccinella a un competitor... da queste piccole scene si intuisce chi fra i due sarà il leader di domani... E poi c’è il gruppetto dei bimbi 4.0 – abbastanza numeroso, ma soprattutto aggressivo con i potenziali usurpatori della postazione – che si sono avventati sugli unici due iPad a parete e giocano con la App di Peppa Pig o sflogliano le fiabe animate. C’è persino un papà per terra che tenta un approccio più “tradizionale” e sfoglia con la figlia un libro cartonato. Il tentativo non durerà molto, la casetta di legno con cucina abitabile vince 1-0. Sarebbe ora di andare via, il momento della pappa per Mattia si avvicina, ma comincia a diluviare... No panic, omogenizzati di manzo, vitello, riso e pollo, crema di verdure, pappine alla frutta sono in bella mostra accanto ai muffin e proprio davanti alla spillatrice della birra. La combinazione è perfetta e fa tutti felici. Il bimbo è servito e il babbo beone gli sorride beato! GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI di fabrizio Pettinelli [email protected] L’8 settembre 1233, giorno della natività di Maria, sette giovani, appartenenti ad alcune delle più nobili famiglie fiorentine, si ritirarono in preghiera fuori delle mura, nel luogo in cui sarebbe sorta la basilica di Santa Croce. La fama di santità si sparse rapidamente e quelli che sarebbero diventati i Sette Santi Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria erano assediati dai fiorentini. Il vescovo Ardingo Foraboschi, per garantire la loro tranquillità, decise di donare loro un terreno di proprietà della Curia sul Monte Asinario, dove i sant’uomini costruirono una chiesetta, primo nucleo del santuario di Monte Senario. I sette si mantenevano con la questua per le strade di Firenze e spesso pernottavano in un piccolo ospizio attiguo all’antichissimo oratorio di Santa Maria del Cafaggio: il “Cafaggio”, ci informa il grande geografo Emanuele Repetti, era un termine longobardo che indicava un’ampia distesa bo- Piazza santissima annunziata sacro e profano schiva. Il cafaggio fiorentino si estendeva nell’area compresa fra le attuali Via San Gallo e Borgo Pinti e l’oratorio si trovava proprio al centro. Di pari passo con il Santuario di Monte Senario, cresceva anche l’oratorio del Cafaggio che, di lì a pochi anni, diventò una splendida basilica; nel 1252 i Servi di Maria diedero incarico a un giovane pittore, frate Bartolomeo, di dipingere un affresco dell’Annunciazione della Madonna. Il giovane si era messo al lavoro di buona lena ma, arrivato a dipingere il volto di Maria, non riusciva in alcun modo a ottenere un risultato soddisfacente. Addormentatosi dopo ore di vani tentativi, al risveglio trovò il dipinto magnificamente completato, si disse per mano di un angelo. I fiorentini gridarono al miracolo e l’afflusso di pellegrini fu subito tale che si dovette realizzare, fra la cattedrale e la chiesa del dipinto miracoloso (tuttora conservato nella cappella dell’Annunziata), una strada nuova di zecca che, in memoria dei “Santi del Cafaggio”, prese il nome di Via dei Servi. Se dunque i cittadini di Firenze potevano raggiungere in tutta tranquillità la basilica della Santissima Annunziata, non altrettanto si poteva dire per i pellegrini che arrivavano da fuori via e che dovevano attraversare parte del cafaggio; le maggiori difficoltà si verificavano la notte fra il 7 e l’8 settembre, quando arrivavano dal Mugello e dal Casentino torme di contadini intenzionati a conquistarsi un posto in prima fila per le celebrazioni della nascita di Maria e partecipare alla tradizionale fiera che si svolgeva nella Piazza della Santissima Annunziata. Il cafaggio pullulava allora delle luci delle lanterne di carta con le quali i pellegrini illuminavano il cammino. I fiorentini osservavano con aria di superiorità i “provinciali” e soprannominarono le donne “Fierucolone”, non si sa se per la partecipazione alla fiera o se per una qualche particolare intuibile caratteristica fisica. Fatto sta che da questo soprannome e dalla lanterne prese spunto la “Festa delle rificolone”. C di alessandro dini i n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o TRASH TOWN U O .com [email protected] l nostro Premier è un tantino “nervoso” sulla questione del rapporto fra lavoratore e datore di lavoro. Pare ignorare – o finge di farlo – i principi fondamentali che ordinano la nostra società. Mi riferisco alla Carta Costituzionale, niente male nei suoi contenuti fondativi. Prima di tutto non è mai esistito, almeno in Italia, il “posto fisso” così dal nostro Premier superficialmente definito. Il “posto fisso” assisteva semmai nelle cosiddette “società robotizzate”, cioè quelle impostate su due strati di Umanità: quello che con discrezionalità “controlla” chi lavora e quello che invece lavora, costi quel che costi. Sembra fantascienza, ma si tratta di una circostanza nota e ormai storicizzata. Qualora si ripresentasse, una rottamazione immediata non sarebbe sufficiente. Evidentemente. Potrebbe invece ancora esserci, e quando c'era (purtroppo devo usare l'imperfetto) era fondata sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la “garanzia del lavoro equo e dignitoso”, tutt'altra cosa oltretutto sancita dall'Art. 1 della Costituzione italiana: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro ...”. La “garanzia del lavoro equo e dignitoso” è un'azione di tutela che compete – guarda caso ‒ proprio al governo, soprattutto a quelli che escono dalle se la maggioranza assomiglia alla tirannide Finzionario di Paolo della Bella e Aldo Frangioni Tal Rolando Bartali, che si dice seguace di Roland Barthes e di Ferdinand de Saussure, un parente alla lontana del “Ginettaccio” nazionale, ha pubblicato un libretto che ha più a che vedere con la psichiatria che con la semiologia. L'estensore del saggio è molto noto nell'abitato di Ponte a Ema perché traccia geroglifici personali in piccoli foglietti che poi distribuisce all'uscita della Coop chiedendo a coloro che prendono lo strano pizzino di voler tradurre in significati quelli che lui reputa dei chiari significanti i segni da lui tracciati. Per curiosità riproduciamo un esempio di una delle cento pagine dell' oscura ed inutile pubblicazione. urne elettorali in piena libertà di espressione del consenso popolare (“... La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ibidem). Quindi, il compito del governo consiste fra gli altri, ai sensi della Costituzione, nel porre in atto quelle condizioni che, con il lavoro, permettono al popolo di poter soddisfare la Costituzione stessa. Poi, altra cosa che il nostro Premier ha clamorosamente deformato è il rapporto “rappresentatività del popolo/organi di potere”. Scriveva, ormai oltre 150 anni or sono, Alexis de Toqueville (Parigi 1805-1859): “... in democra- KINO&VIDEO di tommaso alvisi [email protected] In un’epoca dominata dall'incertezza, dalla tecnologia e dalla disumanizzazione della società,il Gruppo Cineforum dell’Arci di S.Casciano (in collaborazione con Chianti Banca e la Pro Loco di San Casciano) va in controtendenza promuovendo la socializzazione sul territorio per la settima stagione consecutiva attraverso grandi serate di cultura,arte e tanto cinema. Il nostro gruppo,composto da volontari, si è rinnovato ed è pronto a orientarVi nei meandri più oscuri della settima arte ascoltando le Vostre idee e opinioni. Avremo cult,film di grande impatto del passato e del presente e due serate in compagnia di giovani autori che ci porteranno una ventata di freschezza con alcuni dei loro lavori. Inizieremo il prossimo 14 novembre dedicando l’apertura all'importanza dell'onirico e delle passioni con un inedito Ben Stiller ne “I sogni segreti di Walter Mitty”. Seguirà l’intenso cult “Vertigo” del maestro del thriller Alfred Hitchcock. Il 28 novembre faremo una serata importante che dedicheremo a tutti gli amanti dei film tratti dalla letteratura: un sentito omaggio a Francois Truffaut e al suo “Fahreneit 451”. Seguirà un approfondimento sulle differenze e le convergenze tra libro e trasposizione cinematografica. A dicembre faremo, (solo per una volta di giovedì) il 4, il cult dei fratelli Coen ,“Il grande Lebowski” (drughi di tutto il mondo unitevi!) e prima di Natale (il 12) ci sarà spazio anche per i più piccoli e le loro fami- 18 zia, il potere della maggioranza assomiglia molto alla tirannide. Le minoranze e i dissenzienti hanno spazio relativo per far valere le loro idee e le loro esigenze. E in questo modo la democrazia, pur proclamandole, rischia di soffocare le libertà nella loro accezione sostantivante. Tuttavia, solo la democrazia può garantire la libertà di fondare enti rappresentativi – tutori della nozione plurima di libertà del pensiero e d'azione in tutte le sue espressioni – in difesa delle minoranze impossibilitate a inserirsi in modo organico nel sistema del potere esercitato dalle pur legittime maggioranze …”. È questo, se non erro, il “ritratto a parole” del Sindacato, che scrivo con la lettera maiuscola perché più che degno di rispetto e considerazione. Il Toqueville esprimeva la versione politica della nozione di libertà che ne è anche un'espressione formulata secondo ragione, praticare la quale trascende lo status libertatis per approdare all'universo delle ideologie [Cfr di A. Jardin, Alexis De Tocqueville, Jaca Book]. È questo uno dei plinti di fondazione delle grandi democrazie contemporanee. Ma il nostro Premier ignora veramente tutto ciò, quando confonde il “posto fisso” con il “diritto al lavoro equo e dignitoso” e con arroganza mette alla porta il Sindacato dopo aver rottamato l'Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori? torna il Cineforum glie con il fantastico “Wall-E” dai geniali autori della Disney Pixar. Il nostro “carrozzone” si fermerà un mese per le vacanze natalizie. Il 2015 sarà molto ricco: ricominceremo il 16 gennaio con Wes Anderson e il suo “Grand Budapest Hotel”,Spike Jonze e il suo cervellotico “Essere John Malkovich”. Il 30 gennaio interverrà il regista Paolo Santangelo che presenterà direttamente al pubblico il suo “Ritorno al mare”. A febbraio grande cinema con “The village” dal regista del “sesto senso”, M.Night Shyamalan. La serata pre-San Valentino sarà dedicata ai “piccioncini” con “Questione di tempo” di Richard Curtis (già regista di “Love Actually”). Il 20 febbraio sarà con noi il giovane artista Julien Vannucchi che presenterà un suo documentario sull'eclettico artista Clet. A seguire il cult “American Beauty” con il premio Oscar Kevin Spacey e,all'inizio di marzo, il film “Chronicle” che esplora in maniera nuova il tema dell'uso dei superpoteri. Poi un grande classico del passato con il capolavoro del cinema tedesco, “Il gabinetto del dottor Caligari” di Robert Wiene. Ma la sorpresa più bella che regaliamo al pubblico,anche quest’anno,è la serata finale: infatti sarete VOI a scegliere tra una rosa di 14 film. Il più votato sarà proiettato il 20 marzo,data scelta come termine della nostra rassegna. Il tutto al prezzo di una piccola offerta libera. C U O .com L’ULTIMA IMMAGINE n 98 PAG. sabato 8 novembre 2014 o 19 alviso, California, 1972 [email protected] dall’archivio di maurizio Berlincioni Il luoghi e la luce a picco del mezzogiorno ci restituiscono immediatamente il feeling di una cittadina di frontiera del lontano West e ci costringono ad un salto indietro nella memoria che ci porta dritti dritti alle scene dei molti films che abbiamo visto quando eravamo più giovani. Ci sono tutti gli ingredienti neces- sari e sufficienti per trasportarci di peso in quel tempo ed in quel clima arido e assolato. Abbiamo sia il grocery store/ristorante che l’immancabile e classico Post Office di ogni villaggio di frontiera che si rispetti. La luce è molto forte, e sulla strada si vedono una immancabile chiesetta bianca, una grande Station Wagon, un piccolo bastardino nero in primo piano e una giovane coppia sullo sfondo, con un altro cane nero, che sta per essere inghiottita da questa lunga strada polverosa e senza fine. Niente ci farebbe mai pensare di essere a solo poche decine di miglia in linea d’aria da San Francisco, la famosissima City-by-the-Bay.
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