A Letto con Chagall - Narrazioni in Corso 2014

A Letto
con
Chagall
Gruppo
Le sibille
Laboratorio del corso
“Colloquio e Narrazione in Psicologia Clinica”
A.A. 2014-2015
Giuseppina Benigni
Emilj Coniglio
Luana Marrocco
Paola Nichilo
Sara Ricci
Maria Anastasia Sisto
Vanessa Torcasio
Sommario
L’apparizione ..............................................................................3
La narrazione onirica come voce dell’inconscio .........................5
Tra sogno e realtà .......................................................................7
Le origini...................................................................................7
Parigi ......................................................................................10
L'amore con Bella: Bella e Marc come fiamma che brucia ....12
Ritorno in Russia .....................................................................16
Il risveglio .................................................................................20
Bibliografia/Sitografia/Filmografia .........................................21
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L’apparizione
Marc Chagall, L'apparizione, 1917-1918, olio su tela
«Improvvisamente il soffitto s’apre e una creatura alata scende tra bagliori e tuoni, riempie la
stanza di un turbine di nuvole. Un palpito di ali che battono. Io penso: è un angelo! Ma non riesco
ad aprire gli occhi, c’è troppo chiarore, troppa luce. Dopo aver frugato dappertutto, si alza di
nuovo in volo, ed esce dall’apertura nel soffitto, portandosi dietro tutta la luce e l’aria azzurra.
Cala di nuovo il buio. Mi sveglio.
Il mio quadro “L’apparizione” evoca quel sogno». (M. Chagall, 1931, p.89)
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Poeta, sognatore e anticonformista, Chagall è un pittore eclettico che è stato capace di unire il
mondo del reale con quello della fantasia attraverso uno stile narrativo onirico.
Ebreo di nascita, ha vissuto l' infanzia tra riti e favole che riecheggiano continuamente nella sua
produzione pittorica.
La sua capacità di dipingere e di narrare elementi della vita reale, stravolgendoli, proprio come
avviene nei sogni, è l’aspetto che ci ha motivate ad approfondire la sua opera pittorica e letteraria.
Una fondamentale linea guida nel nostro lavoro è la sua autobiografia, Ma vie, scritta a soli
trentacinque anni, e pubblicata nel 1931, in un’edizione francese tradotta da Bella Rosenfeld, prima
moglie di Chagall. In questo libro abbiamo cercato di rintracciare delle differenze nella modalità di
narrare la sua vita in relazione al momento storico, culturale e relazionale vissuto.
Per questa ragione, abbiamo deciso di suddividere il presente lavoro in base all’oggetto della
narrazione.
Rifacendoci all'autobiografia il nostro elaborato è stato organizzato pensando agli oggetti della
narrazione relativi a quattro momenti fondamentali della sua vita: le origini in Russia, il periodo
parigino, l’amore con Bella e il ritorno nella città natale. Questi periodi sono stati narrati da Chagall
con quel particolare stile onirico che ha caratterizzato la sua intera produzione.
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La narrazione onirica come voce dell’inconscio
Partendo dal presupposto che la narrazione non riguarda solo la pura attività linguistica, ma
qualsiasi forma d’espressione capace di dare un senso a ciò che si vive, abbiamo riflettuto su come
l’iconografia possa essere considerata una vera e propria narrazione.
L’aspetto sognante, che qualifica l’attività espressiva di Chagall, è molto vicino ad uno stile
narrativo dal taglio storico, in cui l’attenzione non è posta principalmente sul «cosa» è accaduto, ma
sul «come» è stato vissuto dal protagonista. Nell’attività onirica, nella quale non è rilevante il
contenuto del sogno ma «come» noi lo viviamo si riscontra infatti la priorità data all’emozionalità.
Le immagini che il sogno ci propone vengono espresse mediante un linguaggio analogico e per
questo sono difficilmente traducibili in parole; infatti, la produzione figurativa risulta più immediata
perché rappresenta in modo più diretto la complessità del sogno.
Chagall costruisce una rappresentazione della realtà invertendo gli assi d'orientamento spaziale (alto
e basso, destra e sinistra, lontano e vicino) e temporale (passato e presente) riproponendoli sulle tele
in modo contrario alla classica visione del mondo. Tuttavia possiamo ritrovarvi una logica
assolutamente coerente.
« La città pare spaccarsi, come le corde di un violino, e tutti gli abitanti si mettono a
camminare al disopra della terra, abbandonando i loro posti abituali. I personaggi
familiari si installano sui tetti e lì si riposano. Tutti i colori si rovesciano, si
trasformano in vino che zampilla dalle mie tele.». (Chagall, 1931, p.101)
A tal riguardo Matte Blanco parlerebbe di logica simmetrica, con un chiaro rimando al processo
primario inconscio teorizzato da Sigmund Freud. Si tratta di una modalità di funzionamento della
mente che si contrappone alla coscienza, differenziandosi da quest’ultima attraverso una serie di
caratteristiche: assenza di negazione, condensazione, spostamento, assenza di tempo, sostituzione
della realtà interna alla realtà esterna. Questi principi sono evidenti nelle opere del pittore russo, in
cui sono raffigurate scene oniriche come violinisti che suonano sui tetti, mucche che pascolano nei
cieli e città capovolte. Chagall propone nuove leggi sostitutive dell’ordine che regola le leggi del
mondo materiale, costruendo un nuovo mondo in cui ogni cosa, dalla più piccola alla più grande,
trova una propria posizione ed un suo collegamento. Tali immagini non possono essere considerate
delle fantasie, perché in esse vige una logica ben precisa, come egli stesso afferma:
«Non chiamatemi lunatico! Al contrario sono realista. Amo la terra.». (Chagall, 1931, p.115)
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Un chiaro esempio di quanto detto è rappresentato dal dipinto “Io e il villaggio” (1911), in cui il
pittore riesce a legare in un’unità logico-figurativa i motivi desunti dalle diverse sfere della realtà.
Possiamo considerare questa tela come una rinarrazione della comunità in cui è cresciuto, dove
uomini e gli animali vivono in armonia in un universo
nel quale l’illogicità combacia con la realtà.
L’artista, infatti, ha voluto raffigurare con queste
immagini polisemiche sé stesso e la sua città natale.
Secondo lo psicoanalista Franco Fornari la fonte
generatrice di tali significati coincide con la sua
definizione di inconscio, inteso come “processo di
produzione semiotica, caratterizzato dalla tendenza
primaria a rappresentare qualcosa per mezzo dei
segni” (F. Fornari in G. Montesarchio, C. Venuleo,
2009).
Marc Chagall, Io e il villaggio, 1911, olio su tela
Nel quadro in oggetto le proporzioni delle immagini rappresentate non sono fedeli alla logica
razionale; Chagall dipinge una realtà che va oltre i confini del mondo visibile e percepibile tramite
la coscienza. Vi convivono elementi contrapposti, come si evince dalla rappresentazione delle case
del villaggio che, raffigurate sottosopra, sfidano la logica di gravità.
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Tra sogno e realtà
Le origini
Marc Chagall nasce nel 1887 a Vitebsk una piccola città delle provincie russe fra Mosca e San
Pietroburgo. Il padre trasporta aringhe e la madre commercia generi alimentari. A causa dei severi
vincoli imposti dalla Russia zarista gli ebrei vivono in comunità compatte, forse oppressive per il
piccolo Chagall, il quale ama e al tempo stesso odia la ristrettezza e la soffocante chiusura del
ghetto. Nelle opere dell’artista ritorna spesso il periodo dell'infanzia felice, nonostante le difficili
condizioni in cui vivevano gli ebrei russi. I numerosi parenti, il cimitero ebraico, il ghetto, le
casupole in legno, infatti, sono i protagonisti indiscussi delle sue visioni, oltre che le origini della
sua poesia e della sua pittura.
Marc si serve di quest'ultima per rinarrare da una nuova prospettiva quel mondo, elaborando i limiti
oppressivi, i suoi sentimenti e conferendo un nuovo senso alle sue origini; lo stesso processo di rinarrazione si ritrova anche nella sua autobiografia. Del giorno della sua nascita scrive:
«La città bruciava, il quartiere dei poveri ebrei. Hanno trasportato il letto e il materasso, la
mamma col piccolo ai suoi piedi in un luogo sicuro, all’estremità opposta della città. Ma,
innanzitutto, io sono nato morto. Non ho voluto vivere. Immaginate una vescichetta bianca che non
voglia vivere. Come se si fosse rimpinzata di quadri di Chagall. L’hanno punta con spilli, l’hanno
tuffata in un secchio di acqua. Alla fine emette un fievole pigolio. In sostanza sono nato morto.
Vorrei che gli psicologi non traessero da questo conseguenze disdicevoli. Per favore!». (M.
Chagall, 1931, p.11)
Nel frattempo il villaggio era stato attaccato dai cosacchi, la casupola vicino all’argine di
Peskovatik era stata data alle fiamme, provocando gravi danni in tutto il paese.
Per quanto riguarda le narrazioni che hanno come oggetto le origini, mettiamo a confronto tre
descrizioni della sua città natale.
La prima riguarda la sua produzione fra il 1907 e il 1910, anni in cui Chagall esprime attraverso la
pittura ciò che sta vivendo.
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In “Vue de Vitebsk” (1909), quello che notiamo è la
forte presenza dell’aspetto di realtà, meno evidente
nelle successive descrizioni da noi selezionate.
Un altro elemento caratterizzante la produzione del
periodo, pur considerando l' immaturità tecnica di
Marc, è l’impiego di colori intensi, cupi e atmosfere
inquietanti, a scapito di quei colori vivaci che
caratterizzeranno le sue opere successive; Chagall
afferma, infatti, «A Vitebsk ero color patata». (M.
Chagall, 1984, p.50)
Marc Chagall, Vue de Vitebsk, 1909
La seconda descrizione è quella letteraria. Qui, nel ricordare la sua città, Marc si esprime così:
«I bastoni e i tetti, le palizzate, gli steccati e tutto ciò che c’era dietro, m’ incantavano.
E quel che c’era potete vederlo nel mio quadro Sopra la città. Oppure, posso raccontarvelo.
Una fila di gabinetti, di casette, di finestre, di porte carraie, di galline, una fabbrica chiusa, una
chiesa, una collinetta (vecchio cimitero, dove non si seppellisce più nessuno).». (M. Chagall, 1931,
p.37)
Possiamo in questo breve frammento notare lo stile onirico con la sua logica simmetrica, che
affianca elementi appartenenti a categorie differenti ma emozionalmente equivalenti.
La terza descrizione, relativa alla sua produzione parigina, rappresenta a posteriori le sue origini. Il
dipinto a cui facciamo riferimento è quello riportato da Chagall nella sua autobiografia, “Sopra la
città” (1918).
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Marc Chagall, Sopra la città, 1918, olio su tela
Qui Chagall utilizza la funzione simbolica della pittura enfatizzando la propria realtà interna e
dando meno valore a quella esterna. Quello che stupisce è la similitudine tra la narrazione pittorica
e quella letteraria: la sua autobiografia è fantastica e misteriosa, così come la produzione pittorica di
Parigi, ambedue frutto di una visione onirica.
Lo stesso Chagall, concludendo la sua autobiografia, scrive «Queste pagine hanno lo stesso senso
di una superficie dipinta.» (M. Chagall, 1931, p.181). Si tratta, infatti, di una serie di immagini
personali e piene di colore, ricche della sua fantasia visionaria.
Nelle opere giovanili (1907-1910), l’artista rappresenta quello che accade intorno a lui, ma è nel
periodo parigino che avviene un cambio di stile, come se l’artista stesse operando una sorta di rinarrazione delle sue origini. La nostalgia che prova per il Paese natio lo porta a scrivere:
«Solo la grande distanza che separa Parigi dalla mia città natale, mi ha trattenuto da tornarvi
immediatamente, o, almeno, dopo una settimana o un mese. Volevo persino inventare delle vacanze
qualsiasi solo per poter tornare.». (M. Chagall, 1931, p.105)
Questa lontananza che non è solo fisica ma anche linguistica e culturale, favorisce in lui una
maturazione ed un nuovo punto di vista che permette un rinnovato “pensiero su” la relazione con le
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sue origini. Possiamo dire, citando liberamente Montesarchio, che i suoi quadri, così come la sua
autobiografia, esprimono una “ri-narrazione generativa” la quale sembra accentuare quell’aspetto
onirico che ha reso il suo stile unico e riconoscibile anche dai profani, i suoi «critici preferiti». (M.
Chagall 1931, p.104)
Parigi
Chagall si reca a Parigi nel 1910, entra in contatto con un’atmosfera ricca di stimoli e numerosi
artisti che lo ispirano a sperimentare nuovi stili. Scrive nella sua autobiografia:
«Nessuna accademia avrebbe potuto darmi tutto ciò che ho scoperto mordendo le mostre di Parigi,
le sue vetrine, i suoi musei.». (M. Chagall, 1931, p.107)
Egli vive a la Ruche, un edificio che contiene circa quaranta atelier, trovandosi circondato dai
migliori artisti e scrittori del tempo come Matisse, Modigliani e Apollinaire, per citarne solo alcuni.
Gli incontri con i circoli intellettuali dell’avanguardia hanno un impatto determinante sulla sua
pittura, sebbene l’artista elabori quella che è la sua personale identità narrativa.
In un colloquio avuto con Léon Dégand, al suo ritorno a Parigi nel 1947, Chagall ribadisce la sua
distanza dalle altre correnti pittoriche rimarcando la sua impronta personale e dice:
«La pittura ricostruisce il mondo. Il realismo degli impressionisti era ricostruzione attraverso la
luce e l’ombra blu. Il realismo dei cubisti, una ricostruzione attraverso l’architettura. La mia
ricostruzione è di ordine psichico. Io non perseguo che un formalismo psichico. Così, se in un
quadro taglio la testa di una vacca o metto la testa al contrario se talvolta ho persino dipinto i miei
quadri al contrario, tutto ciò non è accaduto per fare della letteratura. Ma per introdurre nei miei
quadri uno choc psichico, che è sempre motivato da ragioni plastiche, una quarta dimensione in
altri termini». (AA.VV., 1984, p.12)
La permanenza a Parigi è tanto permeata dalla nostalgia del suo paese, che i primi quadri qui creati
riproducono la stessa tematica e le stesse immagini del periodo di Vitebsk. Egli, pur sentendosi
legato al suo paese, considera l’importanza che ha il vivere a Parigi, e scrive:
«Allora riconobbi che dovevo andare a Parigi. Vitebsk era la terra che aveva nutrito le radici della
mia arte, ma la mia arte aveva bisogno di Parigi così come un albero dell’acqua. Non avevo nessun
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altro motivo per abbandonare la mia patria e credo di essere sempre rimasto fedele nella mia
pittura.». (Whalter & Metzger, 2001, p.16)
Il periodo parigino rappresenta “l’attraversamento”, quella fase di passaggio maturativa verso
un’interpretazione squisitamente personale della sua arte; passaggio che lui stesso definisce: «Un
bagno espiatorio. Una rivoluzione di fondo, non soltanto di superficie.» (M. Chagall, 1931, p.115),
tanto da spingerlo a definire la sua arte: «Agguati di colore. Arte liquida fiammeggiante.» (M.
Chagall, 1931, p.115) e rappresentativo di tale momento è il quadro “Autoritratto con sette dita”
(1912-13).
La tela sembra una commistione tra lo stile cubista,
ravvisabile nella figura del pittore, e altri elementi
provenienti
dal
suo
immaginario,
come
la
raffigurazione del paese russo sulla parete.
Per capire questo quadro non è importante cogliere
il simbolo collegato alla rappresentazione della
mano con sette dita, perché anche l’artista
risponde: «Perché 7 dita? Per introdurre una
diversa costruzione, un elemento fantastico insieme
a quelli realistici. La dissonanza aumenta l’effetto
psichico.» (cit. in Evans, 1985)
Marc Chagall, Autoritratto con sette dita, 1912-13, olio su
tela
Chagall non usa simboli in modo consapevole ma li produce mentre dipinge, così come nei sogni.
Sullo sfondo ci sono la finestra, dalla quale si scorge la Tour Eiffel che colloca l’ambientazione a
Parigi, e la rappresentazione del villaggio russo sulla parete, che non rende chiaro se si tratti di un
pensiero o di un disegno.
La rappresentazione di questo quadro potrebbe esprimere il significato che Chagall attribuisce al
suo stare a Parigi: una raffigurazione di se stesso nel suo atelier di la Ruche, in cui sono presenti
due immagini simboliche che coesistono: la Tour Eiffel, Parigi, e Vitebsk, le sue origini.
Le stesse presenze si trovano nella descrizione del suo atelier nell’autobiografia, dove scrive:
«Studio zeppo di quadri, di tele che non erano del resto tele, ma piuttosto le mie tovaglie, i miei
lenzuoli, le mie camicie da notte fatte a pezzi. Le due, le tre del mattino. Il cielo è blu. Sorge il
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giorno, Laggiù, poco oltre si sgozzava il bestiame, le vacche muggivano e io dipingevo.». (M.
Chagall, 1931, p.108)
Così come nel quadro evoca le sue origini attraverso l’immagine di Vitebsk, nella sua autobiografia
è il verso delle mucche a costituire un chiaro rimando alla sua infanzia, alla descrizione della casa
del nonno: «Così, ogni giorno si uccidevano due, tre vacche e la carne fresca veniva offerta al
proprietario della tenuta e agli altri abitanti. La casa del nonno la sentivo piena dei suoni e degli
odori dell’arte.» (M. Chagall, 1931, pp. 22-23). Si tratta di quel nonno che probabilmente è stato di
ispirazione per molte figure dei suoi quadri. Di lui racconta: «Era accaduto che, dato il bel tempo, il
nonno si era arrampicato sul tetto e, seduto sulle tegole, sgranocchiava carote. Niente male come
quadro. Poco importa se i miei lettori, con gioia e sollievo, scoprono in queste innocenti avventure
dei miei parenti l’enigma dei miei quadri.». (M. Chagall, 1931, p.24)
Le descrizioni risultano simili perché, così come accade nei sogni, ricordi e frammenti di eventi
reali, accaduti nel presente o nel passato, trovano un collegamento attraverso le sensazioni e le
emozioni.
L'amore con Bella: Bella e Marc come fiamma che brucia
La nostalgia, il matrimonio della sorella, ma soprattutto il
«rivedere lei» (M. Chagall, 1931, p. 120) richiamano Chagall in
Russia, dove sarà costretto a rimanere in seguito allo scoppio
della prima guerra mondiale. La casa natale, la famiglia,
le
presenze che hanno abitato il mondo dell'artista da bambino sono
adesso i soggetti che compaiono nei suoi dipinti, riletti attraverso
l’esperienza parigina. In questo periodo nella sua produzione
pittorica prevale la figura di Bella; a tal proposito, afferma Marc
nella sua biografia:
«Tutta vestita di bianco o tutta in nero lei vola da molto tempo
attraverso le mie tele guidando la mia arte. Non finisco quadro o
incisione senza chiederle il suo ‘si’ o ‘no’.». (M. Chagall, 1931,
p. 125)
Marc Chagall, Bella con il colletto bianco,
1917, olio su tela
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I dipinti, apparentemente realistici, narrano in modo onirico un amore realizzato e una vita
domestica che irradia un’indiscussa felicità, come ci sembra evidente nel quadro “La passeggiata”.
Marc Chagall, La passeggiata, 1917-1918, olio su tela
Bella e Marc si conoscono nel 1909 a casa di un’ amica di lei, Thea. L’incontro è narrato da Marc
nella sua biografia e da Bella nel suo scritto “Il primo incontro” che, insieme all’altro “Luci
accese”, è stato corredato dai disegni del pittore.
La narrazione dell’incontro da parte di Chagall procede con un ritmo rapido, simile a pennellate di
colore: «pennellate di scrittura». Il pittore descrive l’innamoramento in maniera condensata, come
schizzi di colore sulla tela, un racconto per immagini:
«Il suo silenzio è il mio. I suoi occhi, i miei. E’ come se mi conoscesse da sempre, come se sapesse
tutto della mia infanzia, del mio presente, del mio avvenire; come se vegliasse su di me, mi capisse
perfettamente, sebbene la veda per la prima volta. Sentii che era lei la mia donna. Il suo colorito
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pallido, i suoi occhi. Come sono grandi, tondi e neri! Sono i miei occhi, la mia anima. (…) Sono
entrato in una casa nuova e non ne sono più uscito.». (M. Chagall, 1931, p. 81)
Ci sembra, quindi, di riscontrare un’analogia tra la sua modalità narrativa pittorica e quella
linguistica; nella conclusione della sua biografia lo stesso Chagall, come già citato, afferma:
«Queste pagine hanno lo stesso senso di una superficie dipinta.». (M. Chagall, 1931, p.180)
Mettendo a confronto le due narrazioni linguistiche, quella di Marc e quella di Bella, è subito
evidente come lo stile narrativo di lei sia più descrittivo, esteso ed indugi maggiormente sui
particolari. Da prospettive diverse, le loro parole testimoniano la nascita di un sentimento reciproco
ed immediato che li accomunerà per tutta la vita; la futura moglie dell’artista scrive:
«Una brezza leggera entra dalla finestra. La via, il fiume in lontananza respirano. Sto ancora
camminando sul ponte. Le mie mani non stringono un libro ma un freddo parapetto di ferro. La
testa mi gira, si stacca dalla finestra, raggiunge la nuvola, la sua nuvola … Un sogno profondo mi
abbraccia. Comincio a vivere tutta un’altra vita.». (B. Chagall, 1947, p.236 )
Tale momento è rinarrato da Chagall con questo disegno che
racchiude la leggerezza e la novità di quanto sta accadendo;
i due innamorati appaiono sollevati da terra, quasi in volo,
protesi verso un’apertura, la finestra pronta a schiudersi. Il
carattere sognante della scena è enfatizzato dalla presenza di
un animale che, quasi come un Giano bifronte, accompagna
Chagall. Le figure animali compaiono costantemente nella
sua produzione: teste di animale talvolta lo affiancano,
talvolta sostituiscono il suo stesso volto quasi a voler
rappresentare la doppia natura umana, comprendente la parte
istintuale oltre a quella razionale. Egli stesso scrive «Non
afferro se non attraverso l’istinto.». (M. Chagall, 1931,
Marc Chagall, disegno in B. Chagall, 1947
p.98)
In tutta l’opera artistica e letteraria di Chagall ricorre il tema del «volo» con amanti e animali
fluttuanti in cielo, case sospese in aria; queste figure sembrano riflettere il sollevarsi dell’artista
dalla dimensione terrena e concreta, per immergersi in se stesso e rappresentare il mondo attraverso
la lente onirica e a colori dell’inconscio. Abbiamo riscontrato un’ esemplificazione di ciò nel
celebre quadro “Il compleanno” (1915), dove l’artista si ritrae sollevato da terra; i due innamorati
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appaiono sospinti verso l’alto grazie alla forza del loro amore nonostante gli sconvolgimenti storici
del tempo.
Marc Chagall, Il compleanno, 1915, olio su cartone
Chagall rinarra nella sua autobiografia il momento del compleanno con le seguenti parole:
«Io aprivo soltanto la finestra della stanza e l’aria azzurra, l’amore e i fiori entravano con lei.
Tutta vestita di bianco o tutta in nero lei vola da molto tempo attraverso le mie tele, guidando la
mia arte.» (M. Chagall, 1931, p.125). Chagall, a distanza di anni, traspone, pressoché fedelmente, la
narrazione figurativa onirica in narrazione linguistica poetica creando un’identificazione tra
linguaggio visivo e scritto.
Bella, dal canto suo, nell'autobiografia, ricorda così il compleanno: «Ti sei gettato sulla tela che
vibra sotto la tua mano. Intingi i pennelli. Il rosso, il blu, il bianco, il nero schizzano. Mi trascini
nei fiotti di colore. Di colpo mi stacchi da terra, mentre tu prendi lo slancio con un piede, come se
ti sentissi troppo stretto in questa piccola stanza. Ti innalzi, ti stiri, al soffitto svolazzi. La tua testa
si rovescia all’indietro e fai girare la mia…Mi sfiori l’orecchio e mormori…ascolto la melodia
della tua voce dolce e grave. Persino nei tuoi occhi si sente questo canto, e tutti e due all’unisono,
lentamente, ci libriamo al di sopra della stanza abbellita e voliamo via.». (B. Chagall, 1947, p.260)
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Bella e Marc, dalle loro prospettive e con il proprio modo di narrarsi, intessono una realtà, trama e
ordito, che converge vero un comune sentire, un univoco sentire: «volare via».
Bella, musa ispiratrice di Chagall, morirà prematuramente a causa di un'infezione da virus,
lasciando un grande vuoto nella vita dell'artista, che non sarà più in grado di lavorare per molti
mesi.
Marc ricorda così il terribile giorno della sua scomparsa:
«Il tuono rimbombò, un diluvio si abbatté alle sei di sera del 2 settembre 1944 quando Bella lasciò
questo mondo. Tutto è divenuto tenebre.». (ibidem, p.389)
Ritorno in Russia
Il ritorno in Russia di Chagall non è caratterizzato soltanto dal felice matrimonio con Bella, ma
anche da una serie di vicende storiche che hanno avuto un’influenza notevole sulla sua produzione
artistica.
Il rimpatrio in Russia assume l' aspetto di una nuova
vita, arricchita, però, dall'esperienza occidentale e dalle
scelte condotte in campo artistico a Parigi. A Vitebsk,
Chagall
ritrova
caratterizzato
la
la
sua
peculiare
infanzia;
atmosfera
nei
che
suoi
ha
dipinti
ricompaiono infatti i disegni di un paese medioevale
che mostrano una forma espressiva naturalistica.
La Russia ha offerto a Chagall, sin dalla fanciullezza, lo
scenario di un Paese in armi; la figura del soldato
ricorre, infatti, in molte sue opere, anche in quelle del
periodo parigino.
Marc Chagall, Il soldato che beve, 1911-1912, olio su tela
Il conflitto del 1914 costringe Marc a non abbandonare il Paese, come era nelle sue intenzioni, e ad
effettuare il servizio militare. L'impegno presso il “Servizio dell'economia di guerra” lo costringe
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lontano da tele e cavalletto e riduce le sue chance di artista. Ciò non ha comunque impedito la
produzione di alcune tele e di disegni realizzati su carta d’ufficio, sui quali noi abbiamo voluto
porre l’attenzione. Chagall realizza tra il 1914 e il 1915 tali disegni, che appaiono pervasi da figure
di donne che singhiozzano e dal rumore degli stivali di soldati che partono per la guerra.
Il nero che prevale sembra riflettere l’oscurità dei
tempi in una corrispondenza di significato.
Sempre in questi stessi anni inizierà a scrivere la
sua autobiografia, rivivendo gran parte dei suoi
ricordi. Lo stile narrativo che Chagall adotta nel
libro,
per
rivoluzionario,
quanto
concerne
conserva
il
sempre
periodo
un
tocco
sognante e fiabesco. Tuttavia, sia nel narrare la
guerra sia la rivoluzione, il tono si fa più cupo e il
racconto più aderente agli accadimenti storici.
Marc Chagall, La partenza per la guerra, disegno
Il disegno resta, comunque, il modo privilegiato per esprimere le circostanze della vita quotidiana e
la strada, i paesaggi, prima immersi in un’atmosfera sognante, ora si impregnano di tragedia pura. E'
proprio l' orrore delle armi a spingere l' artista ad adottare un nuovo stile espressivo, una tecnica
intensa e cruda, con giochi di luce volutamente violenti. Nel 1917, con l'avvento della Rivoluzione
russa e la formazione della prima Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, Chagall diviene
un cittadino libero, non più relegato alla condizione sociale d’inferiorità in quanto ebreo.
«L’arte di oggi come quella di domani rifiuta ogni contenuto. […]. L’arte proletaria non è un’arte
per i proletari, nè arte di proletari. È l’arte del pittore proletario. In lui i doni della creazione si
uniscono alla coscienza proletaria ed egli sa perfettamente che la sua persona e il suo talento
appartengono alla collettività.». (Chagall, La rivoluzione nell’arte, 1919, cit. in Haftmann, 1976)
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Nelle opere di questo periodo, l’artista è strumento espressivo del proletariato e, di conseguenza,
nelle sue opere si riflette la realtà sociale.
Dal 1917 al 1921 i suoi disegni appaiono meno pesanti nei
tratti e nell’uso del nero, perché non esprimono più un aspro
dissenso contro la guerra.
Marc Chagall, Autoritratto con smorfia, 1917,
disegno
La rivoluzione russa ha segnato profondamente Chagall, ispirando anche a distanza di tempo uno
dei manifesti della sua pittura “La rivoluzione” (1937).
Marc Chagall, La rivoluzione, 1937, olio su tela
Così la rivoluzione viene rappresentata nelle sue diverse dimensioni: quella storica e oggettiva,
dolorosa e drammatica, e quella fantastica, sognante e sentimentale.
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Con questo quadro, Chagall cerca di esprimere il turbamento provato nei confronti della politica,
quindi l’attenzione è posta non sul cosa è accaduto ma sul come è stato vissuto. In questa tela ciò è
maggiormente evidente nella parte centrale in cui è rappresentato Lenin che miracolosamente
mantiene l'equilibrio in aria appoggiandosi a un tavolo con la mano tesa. L'immagine del leader
bolscevico capovolto è una metafora della rivoluzione vista come arte. Capovolgere il mondo
significa per Chagall accettare la realtà della favola, perché in Russia il mondo fiabesco veniva da
sempre definito «il mondo alla rovescia». Quindi la rivoluzione giusta, secondo il pittore, non era
una insurrezione popolare ma la cultura popolare al potere.
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Il risveglio
Il titolo “A letto con Chagall”, concepito all’inizio del nostro lavoro come un malizioso gioco di
parole, ha finito per incarnare e rappresentare il nostro desiderio di sbirciare i sogni dell’artista,
trascorrendo una notte con lui.
L’esperienza vissuta nel qui ed ora del laboratorio sulla narrazione ci ha permesso di creare un
legame con il là e allora vissuto da Chagall, consentendoci l’accesso alle dimensioni misteriose e
sognanti dell’artista.
Fin dall’inizio del nostro lavoro è emerso che nella creazione delle sue opere, sia pittoriche che
letterarie, egli sembra sprofondare in un universo che non rispetta la logica razionale. Marc esprime
le emozioni del là e allora nel qui ed ora del suo processo creativo, non prestando attenzione alla
dimensione temporale, tanto da dimenticarsi di annotare la data precisa delle sue creazioni
artistiche. Si sa, infatti, che molte delle sue opere sono datate a posteriori e in modo approssimativo,
proprio a causa di una sua incertezza rispetto al periodo di realizzazione.
Il contatto con la creatività dell’artista ci ha fatto rivivere, come in un sogno, il sogno di Chagall.
Una “Mise en abyme”, un processo continuo, generativo, di sensazioni ed esperienze sempre nuove,
particolari e personalissime.
Al termine di questo lavoro lasciamo la parola a Marc:
«Mia soltanto è la patria della mia anima. Vi posso entrare senza passaporto e mi sento a casa.
Essa vede la mia tristezza e la mia solitudine. Ma non vi sono case, furono distrutte durante la mia
infanzia. I loro inquilini volano ora nell’aria in cerca di una casa, vivono nella mia anima. Ci fu un
tempo in cui avevo due teste. Vi fu un tempo in cui questi due volti erano bagnati dalla rugiada
dell’amore e disciolti come profumo di rosa. Ora mi sembra che, anche quando indietreggio,
avanzo verso un’ampia porta. Oltre la porta ci sono ampie distese di pareti. Rombi di tuono
smorzati e lampi spazzati riposano. Mia soltanto è la patria della mia anima.».
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Bibliografia
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