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IDEE E QUESTIONI
La partecipazione come metodo
di attuazione del progetto
democratico: il ruolo dell’infanzia
Alessandra Valastro
Docente di Democrazia partecipativa e governance
presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia
In questo nostro tempo contrassegnato
dall’ennesimo – e forse mai così intenso
– rilancio dei temi legati alla democrazia partecipativa, dire che lo scritto di
Loris Malaguzzi è di estrema attualità è
davvero dire poco.
Le parole-chiave che ricorrono al suo
interno risuonano, infatti, come altrettanti campanelli di allarme di un
progetto democratico che non si è mai
compiutamente attuato: partecipazione,
programmazione, organizzazione, competenza, gestione sociale, metodo.
La lungimiranza dell’intuizione che
lega insieme questa manciata di parole,
attorno alle quali Malaguzzi ordisce la
trama della sua riflessione, sta nel fatto
che esse colgono e anticipano il cuore
degli interrogativi che oggi affliggono e
insieme rianimano la democrazia, indicando non solo i valori e gli obiettivi
da realizzare ma anche gli strumenti da
utilizzare e i binari sui quali muoversi.
Di seguito qualche riflessione volta a
ricontestualizzare quelle parole-chiave.
Partecipazione, programmazione,
organizzazione, competenza
Laddove afferma che “La gestione sociale
è la forma organizzativa e culturale con
cui si riassume l’insieme di quei processi
di partecipazione, di democrazia, di cor-
Folla grafica
MAGGIO 2014
Autori: bambini e bambine dai 5 ai 6 anni, Scuola dell’infanzia comunale Diana, Reggio Emilia
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responsabilizzazione, di approfondimento dei problemi e delle scelte che appartengono a ogni istituzione”, Malaguzzi
individua i tratti essenziali del modello
di democrazia sociale e sostanziale prefigurato dai Padri costituenti: una forma
di stato volta a promuovere la più ampia
socialità fra i suoi componenti e l’esercizio permanente della sovranità; un sistema democratico in cui lo svolgimento
della libertà si fonda sul costante collegamento con i principi di responsabilità
e di solidarietà; un modello di eguaglianza sostanziale in cui il godimento dei
diritti risulta di fatto condizionato dalla
disponibilità di pre-condizioni necessarie per una partecipazione effettiva.
La partecipazione è, insomma, obiettivo e strumento insieme: se per un verso
incarna uno dei valori essenziali su cui
si fondano le moderne democrazie, per
altro verso la partecipazione è lo strumento che riempie di contenuto il principio di sovranità popolare e consente la
costruzione condivisa delle scelte. Non è
un caso che, nell’art. 3, comma 2, della
Costituzione il termine partecipazione
sia accompagnato dall’aggettivo effettiva:
ciò richiama il permanente collegamento che deve esistere tra i fini e l’organizzazione, tra le garanzie delle posizioni
individuali e le garanzie legate all’assetto
organizzativo delle istituzioni e al modo
in cui le decisioni sono prese e attuate.
Ma come è noto, le vicende attuative del
principio di partecipazione non sono
andate nella direzione auspicata dal
NOSTALGIA DEL FUTURO
Zerosei, n. 6, gennaio 1982
LA GESTIONE SOCIALE
COME PROGETTO EDUCATIVO
di Loris Malaguzzi
La gestione sociale resta una questione
tra le più complesse e discusse della
riflessione pedagogica e non solo
pedagogica.
È un tema che da tempo i lettori chiedono
alla rivista.
Approfittiamo di una recente relazione
fatta dal nostro direttore Loris Malaguzzi
in occasione dei rinnovi dei consigli di
gestione dei nidi e della scuola d’infanzia
della sua città.
Da essa estraniamo una serie di appunti
che ci paiono utili per inquadrare
il problema teorico e i suoi caratteri
costitutivi.
Un discorso che inforniamo come
contributo alla riflessione.
I significati e le finalità della gestione
sociale sono parte costitutiva e unitaria
delle scelte di contenuto e di metodo del
progetto educativo: e, pertanto si inscrivono, come elemento costitutivo della
professionalità e della cultura del docente.
Connotazioni essenziali delle scelte pedagogiche e culturali che assumiamo come
disegno assiologico sono: la riflessione
costante attorno alla situazione esistenziale
del bambino e dell’infanzia; l’individuazione
di risposte ai loro bisogni di formazione e
di acculturazione storicamente emergenti,
La gestione sociale è la forma organizzativa e culturale con cui si riassume
l’insieme di quei processi di partecipazione, di democrazia, di corresponsabilizzazione, di approfondimento dei problemi
e delle scelte che appartengono a ogni
istituzione e che trovano sintesi e arricchimenti di orientamento sia nei momenti di collaborazione e interazione con i
Consigli di Circoscrizione, sia in sede di
confronto e di definizione politica più generale nell’organismo di Coordinamento
Comunale dei Consigli di Gestione che è
il massimo organo elaborativo e consultivo dell’Amministrazione della città.
Le sue finalità sono conseguibili attraverso un ampio patto di volontà e convergenza ideali e strumentali da parte delle
famiglie, degli operatori scolastici, degli
amministratori e politici che hanno competenza sull’intera iniziativa.
La gestione sociale è in effetti essa stessa
progetto attorno a un progetto educativo da precisare e far vivere avendo come
destinatari i bambini della prima e seconda infanzia.
Il concetto di progetto e progettualità è
il dato saliente della esperienza: ma è anche il contenuto valoriale più alto dell’intera operazione che mentre riconferma
tutta la opportunità di un’educazione infantile attenta e aperta ai diritti e ai bisogni
dei bambini e delle famiglie che si qualifi-
cano sempre più in una dinamica di mutamenti, dall’altra detta esplicitamente e
coerentemente gli strumenti e le richieste
del suo agire che vanno da una attitudine
alla collaborazione e alla ricerca, alla analisi e alla valutazione dei fatti, alla capacità
propositiva di trasformarli in piani pedagogici e didattici e pertinenti e di promuovere
attorno agli stessi una coinvolgente rete
di corresponsabilità protagoniste, alla Individuazione di un metodo democratico e
cooperativo delle decisioni, alla volontà di
realizzare le strategie organizzative interne più adatte, perché i processi specifici e
generali dell’esperienza gestionale si realizzino in operazioni e in operosità concrete programmate e tempestive.
L’ipotesi, appena delineata, si costruisce
attorno a tre cardini fondamentali dell’esperienza: la Partecipazione, la Programmazione, l’Organizzazione. Tre
termini che non è possibile né separare né
tanto meno gerarchizzare e che trovano
il significato più alto nella loro naturale e
permanente interazione. Niente dell’intero
progetto, si vuole ribadire, si attua nella
sua forma migliore e produttiva, se non ha
dalla sua una larga, attenta e attiva partecipazione dell’utenza (le famiglie, i gruppi
parentali) e se con essa non trova, come
abbiamo già detto, i tempi e le modalità
della programmazione educativa e dell’organizzazione del lavoro che lo sottende.
È dalla felice e positiva convergenza dei tre
momenti e solo da essa, che consegue la titolarità, la credibilità, la attualità della gestione sociale la cui legittimità culturale e politica si compie attraverso un quarto cardine.
Il quarto cardine si rifà al concetto e al valore di competenza intesa come qualità
determinante e necessaria per assicurare
che l’esperienza della gestione sia sorretta dai più alti livelli di conoscenza specifica dei problemi che collegialmente si vivono. La competenza non è un dato aprioristico ed esclusivo: è invece un processo
aperto alimentato e arricchito dai contributi derivanti dalla stessa partecipazione
e dalla riflessione comune attorno ai dati
valutativi che l’evolversi della esperienza
fa emergere. Essa è pertanto un elemento
per molti aspetti decisivo perché la procedura democratica corra più spedita, motivata e corretta in ordine agli obiettivi.
MAGGIO 2014
Appunti da una relazione di Loris Malaguzzi
risposte che abbisognano della più attiva partecipazione delle famiglie e
della più ampia solidarietà
pubblica e politica; la definizione di una programmazione pedagogica e didattica aperta e in fase continua
di aggiornamento con un
esplicito obiettivo che tende
alla unificazione dei linguaggi
cognitivi, scientifici, relazionali, espressivi, per una interezza formativa del bambino, una
più compiuta padronanza di sé
e un maggior godimento dei
processi di conoscenza attraverso la ricerca, la connessione
dei fatti, i legami tra l’azione e i linguaggi
(verbali e non verbali) tutti considerati come
forme organizzative del pensiero.
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IDEE E QUESTIONI
I caratteri della gestione
MAGGIO 2014
I caratteri più specifici che sottendono i
significati della gestione sociale sono:
– che l’educazione dei bambini è un problema della famiglia, della istituzione
educativa, della società e come tale
richiede solidarietà, risposte collettive
oltre che individuali;
– che la formazione degli individui, compresa quella dei bambini, avviene in
più luoghi e che nessuno luogo è totalizzante ed esclusivo;
– che una gestione cooperativa dell’educazione nel segno di una corresponsabilità e di una competenza che si organizzano attraverso la elaborazione
di un progetto e di un fine e l’attiva partecipazione ai processi didattici che ne
conseguono, è una risposta oltre che
opportuna, esemplare;
– che l’asilo nido e la scuola dell’infanzia
sono luoghi dove avvengono fatti importanti e partecipabili: c’è sempre da
parte della famiglia una partecipazione
“implicita” che ha tutto da guadagnare
nel farsi esplicita, pubblica, compartecipante fino ai livelli gestionali;
– che anche nelle istituzioni educative
più ricche di strumenti e di professionalità ci sono spazi occupabili solo attraverso interlocutori, confronti, scelte
coogestite;
– che la partecipazione attiva dei geni-
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L’apertura di processi di competenza che
interessano insegnanti, famiglie, tecnici e,
in particolare, gli animatori della gestione
sociale, esige l’affermarsi di una sensibilità e una effettiva capacità di trasformare
progressivamente il modello pedagogico
tradizionalmente vissuto in lontananza e
separazioni dalle parti e quindi contrassegnato da atteggiamenti, metodologie e
tecniche di professionalità inconfrontabili, in un modello che intenzionalmente
costruito attorno alla concezione di una
pedagogia e di una didattica della partecipazione ricerca nuovi valori e nuovi
strumenti di intervento, si fa quanto più
confrontabile elaborando proposte,
piani particolareggiati e soprattutto linee
esplicite di lettura, interpretazione e valutazione delle strategie didattiche e dei
modi di adattamento e di comportamento
dei bambini così da agevolare e slargare
gli stessi processi di partecipazione e di
partecipazione competente.
–
–
–
–
tori, laddove l’esperienza educativa si
promuove, è percepita e apprezzata
dal bambino che ne ricava un senso di
compiacimento e di sicurezza oltreché
incentivi e modelli per la propria socializzazione;
che la gestione sociale del fatto educativo contrasta un’immagine separata
del bambino e dell’infanzia e recupera
una dimensione di continuità col mondo adulto;
che partecipazione e gestione sociale
modificano in modo determinante l’organizzazione educativa dell’ambiente
scolastico (e parimenti di quello familiare) conducono l’educabilità del
bambino a rientrare in ipotesi, progettazioni confrontate, discusse, valutabili, verificabili che alzano, in reciprocità,
i livelli di conoscenza dei problemi;
che viene così avvalorato il concetto di progettualità educativa che è
una procedura concreta che modifica,
orientandolo, lo stile comportamentale, professionale e culturale del singolo operatore come del collettivo degli
operatori;
che irrobustisce e diffonde, con uno
sforzo comune, una più corretta e
funzionale formazione del bambino
contrastandone le disarmonie, le semplificazioni, i precocismi, gli scolastici-
La centrazione sulla specificità dell’esperienza (di nido e di scuola dell’infanzia) privilegia intenzionalmente i temi del
crescere, della formazione integrale dei
bambini e di ogni bambino, intesi come
soggetti primari dell’intero progetto gestionale. Progetto che, oltre alla elaborazione collegiale del piano di lavoro e
alla ricorrente e programmata valutazione
delle didattiche utilizzate, deve trovare
la sua connotazione più autenticamente
compiuta in una congiunzione critica con i
temi più ampi delle condizioni sociali (legislative, amministrative, culturali, politiche)
che favoriscono o ostacolano i diritti e i
bisogni dell’infanzia.
In questo senso i legami con le strutture
e le risorse culturali, sanitarie, assistenziali, ricreative del territorio costituiscono
un ampliamento immediato e naturale
dell’identità concettuale e operativa delle
pedagogie infantili e della stessa gestione
sociale.
smi aiutandone invece le congruenze,
specie quelle che intrecciano i linguaggi cognitivi con quelli espressivi e puntano al bambino intero;
– che incentiva il concetto di educazione
come un rapporto di forze che molte
volte esulano dalla sola problematica
pedagogica, ricco di condizionamenti,
di casualità, di responsabilità e errori
che vanno individuati e contrastati sia
nella cultura familiare che scolastica e
sociale;
– che favorisce la presa di coscienza collettiva della delicatezza e delle
contraddizioni dei problemi educativi
dei bambini, delle difficoltà e dei limiti dell’educazione familiare ma anche
dei compiti che ancora le competono e
degli aiuti che le possono derivare da
un’esperienza viva, solidaristicamente
interpretabile;
– che aiuta la percezione di come le assenze di una politica organica nei confronti dell’infanzia, della famiglia, delle
istituzioni educative, il permanere di
leggi arretrate e di pregiudizi, di leggi
buone irrealizzate, di anomalie e di
contraddizioni del mondo organizzato
del lavoro e dei “valori” assunti dalla
società, hanno grosse implicazioni,
visibili e invisibili, sui modi teorici e
pratici dell’educazione infantile.
Ultima peculiarità, che in linea diretta discende dal discorso fin qui fatto e che ambisce completare e caratterizzare la natura
complessa del progetto è quella che esalta
il valore della consensualità come tratto
permanente e tuttavia continuamente da
cercare e verificare col massimo rispetto del
gioco democratico, della gestione sociale.
Lo strumento metodologico più congruente
si incentra sulla comunicazione come veicolo e modalità di rapporto interpersonale
che a volte organizzato e a volte prodotto
come libero stile di comportamento passa,
amplifica, diffonde le informazioni e i dati
del lavoro collegiale, consolida e chiarisce
le questioni e i problemi, li prepara a un
più preciso e fecondo lavoro di approfondimento ma soprattutto genera abitudini e
scelte che vanno in direzione di una crescita della autocoscienza e della coscienza collettiva attorno ai valori dello sforzo e
dell’impegno solidaristico qui finalizzati alla
promozione della personalità dei bambini.
NOSTALGIA DEL FUTURO
perso della propria capacità di intermediazione fra gli individui e la società.
Ma la democrazia di prossimità è un
concetto esigente, che richiede pre-condizioni efficaci: programmazione, garanzie, formazione, competenza. Quello di
partecipazione è insomma un concetto
che deve essere contestualizzato storicamente e declinato in proposta organizzativa, ovvero in “indicazione di quale e
quanta partecipazione si voglia realizzare
e di come si voglia realizzarla1”.
Gestione sociale, metodo
Dietro quella proposta di organizzazione vi è, semplice e cruciale nel contempo, una questione di metodo: la
partecipazione non può essere valore e
obiettivo di una democrazia sostanziale matura se non è, innanzitutto, metodo di governo della complessità sociale,
quale ingranaggio stabile dei processi di
costruzione, attuazione, valutazione e
controllo delle politiche pubbliche.
Produzione di una grafica collettiva
Scuola dell’infanzia comunale e Scuola primaria statale al Centro Internazionale Loris Malaguzzi,
Reggio Emilia
Allorché Malaguzzi definisce la gestione
sociale come “parte costitutiva e unitaria delle scelte di contenuto e di metodo
del progetto educativo”, indica il tracciato di quell’unico binario entro il quale
è pensabile un governo efficace della
complessità sociale, cioè quello che si
fonda sull’interlocuzione stabile e la
collaborazione diffusa e solidale fra tutti i membri di una comunità, pubblici e
privati, istituzionali e non.
La partecipazione, afferma Malaguzzi,
non può andare disgiunta dalla programmazione e dell’organizzazione, in
quanto momenti “che trovano il significato più alto nella loro naturale e permanente interazione”.
Persino le più recenti riflessioni sulla
riforma federale dello stato stanno recuperando il significato originario del
concetto di federalismo (dal latino foedus, patto, alleanza), che lasciava sullo
sfondo la dimensione prettamente territoriale di distribuzione del potere e
indagava piuttosto le interconnessioni e
i rapporti reticolari fra i diversi soggetti
dell’ordinamento coinvolti nei processi
decisionali, secondo un modello di tipo
inclusivo e collaborativo.
Ebbene non è un caso che, così come le
riflessioni più sensibili sul federalismo
cooperativo2, anche il modello di gestione
sociale delineato da Malaguzzi si fondi
sul concetto di patto: “un patto di volontà
e convergenza” fra tutti i soggetti interessati, che abbia a oggetto sia gli ideali che
gli strumenti e che consenta la costruzione di percorsi condivisi per l’attuazione
di quei progetti educativi che altro non
sono se non le premesse di un pieno e
consapevole sviluppo della persona.
E l’infanzia?
Si viene così a un’altra parola-chiave
presente nello scritto di Malaguzzi,
apparentemente disomogenea e invece
legata alle altre da un particolarissimo
filo rosso. Il ruolo esercitato dall’in-
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Costituente. E la frattura che si è determinata tra i rappresentanti e i rappresentati ha determinato la progressiva
inadeguatezza di politiche calate dall’alto, incapaci di interloquire con i soggetti interessati per l’individuazione delle
scelte più adeguate ai bisogni reali.
Dunque, così come ai tempi in cui Malaguzzi scriveva, ancora oggi la richiesta è
la stessa: da un lato riconoscere nell’attuazione degli strumenti di democrazia
partecipativa l’oggetto e l’obiettivo di
istituzioni improntate all’ascolto e alla
prossimità; dall’altro riconoscere nella
partecipazione un carattere strumentale alla realizzazione efficiente dell’interesse generale, dal momento che il
coinvolgimento nei processi decisionali
– fornendo ai decisori informazioni sui
bisogni dei destinatari – contribuisce a
migliorare la qualità e l’efficacia delle
decisioni. E ciò non soltanto nei confronti delle istituzioni pubbliche strettamente intese, bensì anche – e tanto più
– nei confronti di quei corpi intermedi
(scuola, partiti ecc.) che tanto hanno
1
M. Nigro, Il nodo della partecipazione, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1980.
2
Elazar, Exploring Federalism, 1987.
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IDEE E QUESTIONI
Festa di fine anno
MAGGIO 2014
Scuola dell’infanzia comunale La Villetta, Reggio Emilia
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fanzia nella costruzione delle politiche
pubbliche che la riguardano può a pieno titolo essere considerata una cartina
di tornasole del livello di maturità delle
democrazie, inteso non soltanto in riferimento alle politiche di protezione e di
tutela bensì anche rispetto a quelle di
tipo inclusivo ed emancipante.
Una costituzionalista acuta e sensibile
come Lorenza Carlassare ha affermato
che “Non è facile definire la posizione dei
minori nella società politica”, sottolineando quanto varia e complessa sia “la
serie di questioni che si pongono in ordine al peso e all’estensione della loro partecipazione alla vita politica del paese”3.
Ciò appare particolarmente vero ove
si guardi alle istanze di espansione e
potenziamento del minore derivanti da
una lettura sistematica e non formalistica dei principi costituzionali contenuti
negli artt. 2 e 3: in questa prospettiva,
l’attenzione chiede di essere posta sul
godimento di libertà che, pur non traducendosi in diritti politici stricto sensu (come il diritto di voto), richiamano
comunque comportamenti destinati a
mettere anche i più piccoli nella condizione di agire nella società, di portare
il loro contributo, di esprimere scelte
autonome. Il valore della dignità umana
sotteso a quei principi non può infatti
esaurirsi nel riferimento alla soggettività astratta della persona ma deve intendersi quale sfaccettatura dell’esistenza
riferita alla concretezza della persona.
Ma nella dimensione sociale dell’individuo la dignità conosce le insidie della
diversità e della fragilità, che sovente si
tramutano in altrettante cause di diseguaglianza o di esclusione: è il tema della debolezza e delle c.d. categorie deboli
(in cui vengono generalmente ricompresi i minori), ma che qui si preferisce ricondurre al più ampio e articolato concetto di fragilità.
Ebbene, il valore della dignità messo in
relazione ai livelli di fragilità della persona implica il superamento di prospettive di mera tutela in favore di politiche
di autonomo sviluppo dei soggetti e delle loro diverse capacità.
Non v’è dubbio che la condizione personale legata alla più giovane età dia
luogo ad una forma di diversità/fragilità del tutto peculiare: diversamente
dalle altre menzionate nell’art. 3 della
Costituzione (sesso, razza, lingua ecc.),
essa rappresenta infatti una condizione transitoria, in quanto destinata ad
estinguersi naturalmente. Il rapporto
tra fragilità e pieno sviluppo appare,
in certo senso, inverso: qui lo sviluppo
della persona è il fisiologico approdo
della naturale scomparsa della diversità/fragilità legata all’età, in un rapporto
di successione temporale; negli altri casi
la prosecuzione dello sviluppo della persona deve essere garantita nonostante
la diversità, in un rapporto di sovrapposizione che mira ad eliminare gli effetti
negativi della perdurante fragilità. Non
solo, ma se per tutti gli altri soggetti il
pieno sviluppo della persona è obiettivo
permanente di un processo che continua, per i minori è pre-condizione di un
processo che comincia: nel primo caso
si tratta di non disperdere né frustrare
le capacità già acquisite dall’individuo,
mentre per i minori prevale l’esigenza di
favorire il radicamento e lo sviluppo di
capacità ancora in fieri.
Rispetto ai minori vi è, in altre parole,
un’aspettativa di maturazione civica e
di capacitazione che carica di significati
più pregnanti il discorso sulla fragilità e
sugli strumenti per governarla: occorre
perseguire un modello di democrazia
non solo includente ma anche emancipante; e ciò, tanto più, con riferimento
a persone che, come i minori, si apprestano a esplorare la propria dimensione
civica e relazionale oltre a quella strettamente individuale e familiare.
Se allora è vero che il “patto di volontà” deve coinvolgere tutti gli attori delle
scelte, oggi come allora il ripensamento
della missione educativa esige un metodo collaborativo che veda il concorrere
dei ragazzi, delle famiglie, degli insegnanti, degli amministratori e dei politici nella costruzione e gestione di una
pedagogia civica e sostenibile.
Peraltro, parlare di coinvolgimento dei
minori alle scelte che li riguardano, a
cominciare dalla scuola fino alla vita politica in senso lato, impone di sgombrare
il campo dai numerosi equivoci e dalle
diffuse ambiguità che hanno segnato in
Italia l’evoluzione del tema della partecipazione, a cominciare dal carico di
conflittualità che l’ha afflitta: così nelle
letture che l’hanno sostanzialmente sovrapposta al referendum; così nelle pratiche che ne hanno esaltato i fini negoziali e concertativi; così nelle attività che
hanno privilegiato finalità meramente
informative e propagandistiche. Dinamiche come queste sono destinate a lasciare ben poco spazio (se non nessuno)
alla partecipazione attiva dei minori, già
esclusi dall’esercizio del diritto di voto.
Ma il modello di partecipazione sotteso
all’art. 3, comma 2, Cost. era un altro, e
le vicende e riflessioni degli ultimi anni
lo stanno rievocando e reclamando con
forza: la necessità di affiancare strumenti partecipativi ulteriori al diritto di
voto, di accrescere l’efficacia delle decisioni pubbliche e la credibilità delle istituzioni, di recuperare il ruolo dei sog-
NOSTALGIA DEL FUTURO
politici e di voto, riconoscendosi – da un
lato – la necessità che i giovani possano
esercitare fin dalla minore età “un’influenza sulle decisioni e sulle attività,
e non unicamente ad uno stadio ulteriore della loro vita”, e – dall’altro – la
necessità che le politiche pubbliche non
si limitino ad informare i giovani sulla
democrazia e sul significato della cittadinanza ma offrano loro “possibilità di
farne l’esperienza in modo concreto”.
Anche a livello nazionale si assiste all’emersione di una consapevolezza sempre
più diffusa circa il ruolo che i più piccoli
possono esercitare nell’offrire indicazioni
per lo sviluppo e la riqualificazione sostenibili degli spazi del vivere quotidiano.
Se infatti è vero che la cittadinanza si
apprende e si sperimenta maggiormente
là dove si è sfidati a vivere e a decidere,
non vi è dubbio che la riqualificazione
degli spazi urbani rappresenti uno dei
terreni che con più pressante urgenza
chiamano in causa i “saperi d’uso” dei
loro protagonisti.
Non è un caso che l’ambito nel quale si
sta maggiormente diffondendo la sperimentazione di processi partecipativi
che coinvolgono i bambini sia quello degli spazi del loro vivere quotidiano, sia
all’interno della scuola che nei luoghi di
svago. La micro-progettazione partecipata risulta infatti particolarmente adeguata al coinvolgimento dei più piccoli,
perché implica valutazioni, conoscenze
e decisioni legate a realtà circoscritte e
di immediata esperienza pratica, e consente di sviluppare idee e proposte in
dialogo con i coetanei e gli adulti. È anzi
possibile constatare come la creatività e
l’immaginazione che contraddistinguono i più giovani siano spesso leve preziose nella costruzione di politiche e
interventi efficaci, non meno di quanto
lo siano qualità più tipicamente adulte
come la razionalità e il sapere esperto5.
E se è vero che sulla capacità dei bambini di comprendere le questioni che li
riguardano influiscono in modo determinante il contesto sociale, il tipo di decisione, l’esperienza propria del bambino e
il grado di sostegno offerto dagli adulti, è
altrettanto evidente la centralità del ruolo che è chiamata ad esercitare la scuola,
a partire da quella dell’infanzia.
Non è mai conveniente parlare di “ricette”, tanto più quando si ha a che fare
con l’attuazione della democrazia. Ma
è altrettanto difficile negare che in questa riflessione Loris Malaguzzi avesse
tratteggiato, con estrema semplicità,
la ricetta democratica che oggi in tanti
continuano affannosamente a cercare.
3
L. Carlassare, “Posizione costituzionale dei minori e sovranità popolare”, in M. De Cristofaro e
A. Belvedere, L’autonomia dei minori tra famiglia e
società, Giuffrè, Milano, 1980.
4
G. Lansdown, Promuovere la partecipazione dei
ragazzi per promuovere la partecipazione, Unicef,
Firenze, 2001.
5
R. Lorenzo, Futuri passati e futuri possibili: bambini e progettazione partecipata, www.cittasostenibili.it
Per le immagini che accompagnano l’articolo:
© Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune
di Reggio Emilia
Bambini, genitori, insegnanti, cittadini insieme in Sala del Tricolore
per i 50 anni della Scuola dell’infanzia comunale Robinson di Reggio Emilia
MAGGIO 2014
getti intermedi (in particolare la scuola
e i partiti), di favorire lo sviluppo delle
virtù civiche degli individui.
Se riguardato in questa prospettiva, il
riferimento ai minori favorisce la messa
a fuoco della autentica natura della partecipazione, quale valore e strumento
volto a favorire la capacitazione e maturazione civica degli individui insieme
alla maggiore efficacia delle scelte.
Si tratta, insomma, di evitare che il sistema di protezione tradizionalmente
basato sull’affidamento alle famiglie e
alle istituzioni scolastiche della responsabilità di curare gli interessi del minore non si traduca in un sacrificio delle
capacità e delle risorse che il minore
stesso possiede, e il cui alimento principale risiede in forme di non tardiva attivazione della propria dimensione sociale e della propria capacità di confronto
e di dialogo.
La sfida lanciata dal modello della democrazia partecipativa è quella di affiancare alla prospettiva della tutela e
dell’assistenza la costruzione di contesti
e strumenti che consentano ai più giovani di “fare esperienza con i processi
decisionali democratici”4: un modello
che, ben lungi dal sostituirsi al primo,
deve porsi con esso in termini di complementarietà, se è vero che lo sviluppo
della persona deve essere protetto ma anche alimentato.
Numerose e risalenti sono le sollecitazioni sovranazionali in questo senso.
A livello internazionale si pensi, ad
esempio, alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989 e ai documenti Onu e Unicef “Un mondo a misura di
bambino” e “Costruire città amiche delle
bambine e dei bambini. Nove passi per
l’azione”, il primo dei quali consiste nella predisposizione di strumenti partecipativi in favore dei bambini.
A livello europeo si pensi, ad esempio,
al Libro Bianco “Un nuovo impulso per
la gioventù europea” del 2001, al Patto
europeo per la gioventù (strategia di
Lisbona, 2005) e alla Carta per la partecipazione dei giovani alla vita locale e
regionale, riveduta nel 2003.
Il dato interessante di questi atti è il fatto che la partecipazione venga espressamente scissa dall’esercizio dei diritti
11