SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES SSFAoggi Notiziario di Medicina Farmaceutica Ottobre 2013 numero Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Fondata nel 1964 39 Lavorare in tempi di crisi Sommario: Non lavorare in questo periodo di crisi economica è purtroppo abbastanza frequente, ed è 1 certamente il male peggiore. Tuttavia, quest'editoriale è rivolto a chi, come me, il lavoro in una Pharma o CRO fortunatamente lo ha ancora. Piero Sensi 2 Fermiamoci un momento a riflettere: come si lavora oggi? Intendo dire: da qualche anno, da quando è iniziata la crisi internazionale. A mio parere si lavora male, troppa pressione, Master Bicocca 4 troppa intensità, non si ha mai il tempo di leggere, di pensare, di meditare. Siamo diventati tutti schiavi delle "deadlines", scadenze spesso non realistiche, urgenze che molto spesso Master Quality Systems 6 urgenti non sono, sollecitazioni inutili che costringono molti di noi a lavorare senza pause Alex Mescheder 8 fino a tarda sera, fine settimana spesso compresi. Ricordo una massima latina che diceva "Non multa sed multum" cioè non molte cose ma molto bene: oggi accade esattamente il XIII Congresso SSFA 9 contrario. Non approfondiamo più gli argomenti perché non c'è tempo, quello che accade la mattina è già superato la sera da molti altri impegni sopraggiunti all'ultimo minuto. Non Carlo Alberto Redi 10 c'è più tempo per fare programmi non dico nel medio termine ma neppure nei giorni a seguire. Quali sono le conseguenze? Principalmente due, a mio modo di vedere: la demoBMJ 13 tivazione e la frustrazione del personale - il patrimonio più importante delle aziende che come tale dovrebbe essere salvaguardato - e l'abbassamento della qualità a vantaggio Il regolamento europeo 14 della quantità. Mi domando a chi giovi questo stato di cose. Al profitto delle Aziende e delle CRO? Forse, nel breve-medio termine: ma, a lungo andare, credo che raccogliere The Lancet 17 ed analizzare dati clinici di scarsa qualità non possa far bene né alle aziende né agli sperimentatori, né ai pazienti. Occorre rallentare i ritmi per lavorare meglio, sapersi fermare a Dispositivi medici 18 riflettere ed a raccogliere le idee; bisogna tornare ad incontrarsi ed è necessario saper ascoltare con attenzione le opinioni degli altri. Non si può stare tutto il giorno davanti al Gennaio 2014 : elezioni SSFA 19 proprio pc, il lavoro non può essersi praticamente ridotto a questo. Oggi comunichiamo con tutto il mondo in tempo reale, ma non riusciamo più a stringere la mano a chi si trova ADR 20 a due passi da noi. A me tutto ciò sembra assurdo e paradossale. Dobbiamo attendere la ripresa economica per assistere ad un cambiamento? Quanto sta Piccoli ma cattivi…. 22 incidendo il difficile periodo che stiamo vivendo sulla nostra attività professionale cioè sul modo in cui svolgiamo le nostre attività? Master Napoli 22 Non so rispondere a queste e ad altre domande. Rimedi, purtroppo, non ne conosco ma ritengo utile richiamare la vostra attenzione di letNews on clinical trials 23 tori di SSFAoggi, perché mi farebbe piacere ricevere l'opinione di qualcuno di voi. Grazie. Seminari, Corsi e Congressi 24 Marco Romano Editoriale ESTATE QUIZ : LA SOLUZIONE Cari Soci, ecco la soluzione del Sudoku dell’estate. Ben 17 Soci hanno inviato la soluzione esatta (il numero 3 nella casella in alto a destra). I tre vincitori sono risultati Chiara Guarnieri, Audenzia Ferraro e Sandro Carducci: le loro risposte esatte sono arrivate rispettivamente il giorno 20 agosto alle ore 15,41, il 20 agosto alle ore 16,09 ed il 21 agosto alle ore 11,22. I tre soci sono stati avvisati, e riceveranno un buono da 30 euro delle librerie Feltrinelli. Visto il successo di questa iniziativa, nel prossimo numero pubblicheremo un Sudoku di Natale: sarà un po’ più difficile. Preparatevi! Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO Anno VII numero 39 Pagina 2 PIERO SENSI In un caldo giorno dello scorso agosto, in una Milano ferragostana ed assolata, in punta di piedi, quasi a non disturbare, ci ha lasciati il prof Piero Sensi. Lasciatemi dire che con la sua scomparsa si scrive la parola fine alla gloriosa epopea dell’Industria farmaceutica italiana: quell’Industria con la I maiuscola che fu capace di ritagliarsi un importante spazio internazionale. Mi riferisco alla Lepetit, alla Farmitalia, alla Carlo Erba, alla Sclavo, a tante altre realtà, a volte grandi e multinazionali, a volte di medie dimensioni, che dal dopoguerra e fino agli anni ’80 diedero lustro alla ricerca farmaceutica italiana. Piero Sensi è stato uno dei principali artefici di questo successo: il suo ruolo in Lepetit è stato determinante non solo nella scoperta della rifampicina, ma nell’organizzare i laboratori di ricerca della Bovisa, dove ho avuto la fortuna di muovere i miei primi passi nel mondo farmaceutico. Ricordo come fosse ieri il mio primo giorno in Lepetit: lunedì 8 settembre 1975. Venivo da Roma, dall’Università, e mi sentivo un po’ spaesato nell’arrivare in un ufficio e non in corsia, nell’ indossare giacca e cravatta e non il camice bianco. E ricordo che a metà mattina lui mi fece chiamare per darmi il benvenuto, e per dirmi che l’azienda si aspettava molto da me. Rimasi colpito dalla signorilità di questo gesto: il mio capo (il caro Ermanno Robotti) era infatti a Firenze, al congresso organizzato da SSFA che vide la nascita di IFAPP. Ed allora Piero Sensi si preoccupò di volermi dare il suo personale benvenuto! Capii subito di essere arrivato al posto giusto, dove i valori importanti non erano solo quelli scientifici, ma anche quelli umani. Molti sono gli aneddoti che costellano la vita dei grandi uomini, ed alcuni sono riportati nell’intervista che gli feci qualche anno fa. Ma uno mi colpì particolarmente. Quando chiesi a Piero Sensi come mai lasciò Napoli per venire a Milano, lui mi raccontò che un giorno sua madre tornò dalla spesa quotidiana, con un mazzo di verdure incartato in una pagina di giornale. Ebbene, proprio in quella pagina era pubblicato un annuncio di ricerca di personale per un chimico industriale: Piero Sensi rispose e…… La scomparsa di un grande uomo lascia un vuoto incolmabile: ho pensato che la migliore maniera per onorarlo, e ricordarlo ai lettori di SSFAoggi, fosse quella di ripubblicare l’intervista che gli feci nel 2009, pubblicata nel numero 14 di SSFAoggi. Ecco dunque cosa mi raccontò Piero Sensi ….. Domenico Criscuolo LA SCOPERTA DELLA RIFAMPICINA Cinquanta anni fa, nei laboratori Lepetit di Milano, un team di ricercatori guidato da Piero Sensi scopriva la rifampicina, un antibiotico che ha segnato una svolta nella terapia della tubercolosi. Fu una scoperta storica che non solo premiò la ricerca italiana, ma diede per alcuni decenni un impulso alla ricerca farmaceutica in Italia. Qualche settimana fa, il comune di Milano ha voluto ricordare questo evento con una manifestazione nel corso della quale Piero Sensi ha ricevuto una medaglia. SSFAoggi ha incontrato Piero Sensi, per farsi raccontare le varie tappe, alcune poco note, di questa avvincente storia. Incontriamo Piero Sensi nella sua casa di Milano, non lontana dalla sede SSFA: il suo studio è pieno di foto ricordo di eventi scientifici, di molte attestazioni al merito che provengono da tutti gli angoli del pianeta. In mezzo campeggia il brevetto della rifampicina, la scoperta che ha reso Piero Sensi e la Lepetit famosi nel mondo. piedi un importante gruppo di ricercatori. SSFAoggi : Cosa era la Lepetit di 50 anni fa? PS : La storia dell’azienda inizia nel 1868, quando Roberto Giorgio Lepetit, un chimico francese, aprì in Piemonte una fabbrica di tannino e altri coloranti. L’impresa si chiamava Ledoga (dalle iniziali dei cognomi dei tre soci fondatori) SSFAoggi : Ci piacerebbe sapere qualcosa dei suoi primi passi professionali: come è arrivato alla Lepetit? PS : Ho studiato chimica industriale all’Università di Napoli. Ma, subito dopo la laurea, ho fatto le valigie e sono arrivato a Milano: già 50 anni fa la ricerca industriale era concentrata a Milano. Ho iniziato a lavorare in Montecatini, ma dopo un anno passai alla Lepetit, interessato dalla proposta di mettere in Formula della rifampicina ed ebbe molto successo, anche grazie a nuovi procedimenti di estrazione. Il figlio Roberto allargò gli interessi aziendali ai prodotti farmacologici: il successo arrivò con la nevralteina, un analgesicoantipiretico usato per oltre mezzo secolo e che nel 1905 fu il primo prodotto italiano di sintesi chimica ad avere un brevetto negli USA. Per dare maggiore impulso alla ricerca farmacologica, nel 1929 nacque una società indipendente, la Lepetit. E’ opportuno ricordare che in quel periodo la ricerca farmaceutica non era particolarmente incentivata in Italia (e fino al 1978 una legge italiana vietava il brevetto dei farmaci!): quindi la Lepetit si occupò principalmente di sviluppo di processi. E nel 1949, con la messa a punto di una nuova ed economica sintesi del cloramfenicolo, la Lepetit divenne il primo produttore mondiale di questo Anno VII numero 39 (Continua da pagina 2) antibiotico. Visti questi successi, nei primi anni ’50 venne creato a Milano il reparto “ Fermentazione e Prodotti Naturali “, e me ne venne affidata la direzione. SSFAoggi : …e la rifampicina? PS : In laboratorio avevamo l’abitudine di portare campioni di terreno al ritorno dalle vacanze. Nel 1957, da un campione di terreno raccolto vicino a St. Raphael (Francia), venne isolato un organismo classificato inizialmente come Streptomyces mediterranei. Questo microrganismo produceva sostanze antibatteriche dotate di notevole attività: successive analisi furono in grado di identificare ben cinque diverse sostanze, chiamate “rifamicina A, B, C, D, E”. SSFAoggi : …come mai questo nome? PS : capire cosa ci fosse in quei brodi di fermentazione fu un’ impresa molto lunga e complessa. In quegli anni stava avendo molto successo un film giallo francese (Rififì), il cui finale era assolutamente imprevedibile. Ecco che nacque l’idea di trasformare il nome del film: da Rififì a Rifamicina SSFAoggi : e poi? Come siete arrivati alla rifampicina? PS : La strada fu molto lunga e complessa. Dalle cinque rifamicine venne selezionata la B che, anche se inizialmente scartata perché poco attiva, era invece facilmente purificabile e cristallizzabile, non presentava resistenza crociata con gli antibiotici noti, ed infine aveva una tossicità molto bassa. Ma la struttura chimica della rifamicina rimaneva un quiz senza soluzione! Nel 1963 Vladimir Prelog, che al politecnico di Zurigo stava facendo i primi studi con un nuovo apparecchio, lo spettrometro di massa, fu finalmente in grado di descrivere la formula chimica del prodotto. E qui mi piace ricordare un piccolo aneddoto: quando Prelog presentò i suoi risultati alla Lepetit, concluse la sua presentazione con queste parole “Piero Sensi pensa che Dio ha creato la rifamicina per il bene della Lepetit, ma io penso che essa fu creata per dimostrare l’importanza dello spettrometro di massa nella definizione di strutture chimiche complesse!” SSFAoggi : è più coinvolgente di un Pagina 3 romanzo giallo! E poi cosa successe? PS : Nacque allora l’idea di introdurre qualche modifica chimica alla struttura naturale, per migliorarne l’efficacia. Sempre nel 1963, Lepetit firmò un accordo di collaborazione con CIBA (Chemical Industries of Basel): a seguito di questo accordo, nuovo impulso venne dato alle ricerche sui derivati semisintetici, che culminarono con la selezione del candidato più promettente: la rifampicina. Chimicamente si tratta di 3-[[(4-Methyl-1piperazynil)imino]methyl]rifamycina SV : anche i non chimici possono immaginare la complessità della struttura chimica. SSFAoggi : e a cosa serve? PS : Da subito la rifampicina si fece apprezzare per le sue eccezionali proprietà terapeutiche, in particolare per la tubercolosi e la lebbra, due fra le infezioni da micobatteri più difficili da curare. SSFAoggi : La ricerca continuò in Lepetit? PS : Ma certamente! Per dirla in poche parole, dopo la rifampicina fummo in grado di sviluppare la rifapentina, un derivato con migliori proprietà farmacocinetiche che poteva permettere una terapia intermittente. E poi ci dedicammo anche ad altri filoni, scoprendo altri antibiotici di nuove classi come la ramoplanina, la teicoplanina, la dalbavancina. SSFAoggi : Oggi la Lepetit non esiste più: ci può raccontare cosa è successo? PS: Nel 1964 la famiglia Lepetit vendette la società al gigante chimico statunitense Dow. Inizialmente questo cambio di management non ebbe alcun impatto, poiché Dow non aveva alcuna competenza nel settore farmaceutico. Ma nel 1980 Dow acquisto l’azienda farmaceutica statunitense Merrell, e lentamente in centro di potere venne trasferito negli USA, a Cincinnati. Il centro di ricerche della Bovisa, che per decenni rappresentò la punta di diamante della ricerca farmaceutica italiana, venne chiuso, e solo la ricerca sugli antibiotici venne mantenuta, ma trasferendola nel centro ricerche di Gerenzano (che negli anni precedenti era stato il centro degli studi di tossicologia animale), sotto il nome di Lepetit Research Centre di Gerenzano (LRCG). Il capitolo finale venne scritto nel 1995, quando Hoechst acquisì tutta Il brevetto USA la parte farmaceutica di Dow, compreso quindi il LCRG. Poco dopo, Hoechst decise che il LCRG non era di importanza strategica. Il centro fu oggetto di un management buy-out, e cambiò nome in Biosearch Italia: con questo passaggio, in nome Lepetit sparisce definitivamente dal panorama della ricerca farmaceutica italiana: ha lasciato grandi farmaci, a testimonianza del valore delle sue ricerche e degli uomini che le hanno ideate e sviluppate. SSFAoggi: ….e, se posso aggiungere una nota personale, vorrei dire che la scomparsa del centro Ricerche Lepetit ha lasciato grandi rimpianti! Ho avuto la fortuna di lavorare il Lepetit per dieci anni, dal 1975 al 1985. Ricordo ancora l’entusiasmo, l’innovazione e la carica emotiva dei ricercatori che hanno fatto grande questa azienda. Un’atmosfera che non ho mai più ritrovato, e che fa parte dei miei ricordi più cari. Peccato aver perso questo patrimonio! A cura di Domenico Criscuolo Anno VII numero 39 Pagina 4 MASTER BICOCCA : ANALISI SUI PRIMI QUATTRO ANNI Nel corso dei primi mesi del 2013 è stata condotta un’indagine sugli studenti del Master di Secondo Livello in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci dell’Università di Milano-Bicocca, riguardo al grado di soddisfazione verso il corso di studi ed allo sviluppo professionale post-diploma. La finalità del Master è quella di fornire una completa formazione interdisciplinare su tutti gli aspetti scientifici, normativi, etici, organizzativi, promozionali dello sviluppo di un nuovo farmaco. L’indagine, promossa dal prof. Vittorio Locatelli, coordinatore del Master, e dal prof. Antonio Torsello, docente del medesimo corso di studi, è risposto in 72 (56 femmine). Il questionario era diviso in 2 sezioni: la prima ha indagato la situazione lavorativa mentre la seconda ha raccolto valutazioni sull’edizione del Master frequentata. Al momento della compilazione, l’88% ha dichiarato di stare attualmente lavorando, dei quali il 70% con contratto a tempo indeterminato o come libero professionista, con una percentuale di soddisfatti della propria situazione lavorativa compresa tra il 70% (contratti a tempo determinato) e l’80% (contratti a tempo indeterminato). La metà dei rispondenti ha indicato co- richiede di darne maggior spazio. In particolare, viene chiesto di dare più risalto ad esercitazioni riguardanti la pianificazione e gestione degli studi clinici. Al contrario, viene suggerito di ridurre parzialmente lo spazio dedicato ai primi 4 moduli riguardanti la ricerca preclinica, ritenuti importanti ma poco collegati allo sviluppo di competenze pratiche, a causa principalmente delle scarse prospettive occupazionali nel settore. Inoltre, é interessante vedere come le valutazioni degli aspetti di supporto alla didattica (quali i quiz di verifica a fine lezione, la possibilità di scaricare le diapositive e le registrazioni delle lezioni, stata condotta dal dott. Claudio Greco (ricercatore presso l’Università MilanoBicocca), insieme ai dott. Demis Basso (Libera Università di Bolzano) e Giancarlo Perrone, entrambi psicologi ed esperti nella progettazione e gestione di indagini basate su questionari, e nell’analisi dei relativi risultati. Con la somministrazione del questionario agli ex-studenti, il Consiglio Direttivo del Master ha inteso colmare la lacuna rappresentata dall’assenza di dati aggiornati riguardanti la valutazione a medio e lungo termine degli effetti lavorativi del Master sulle carriere dei partecipanti. Tale lavoro ha consentito quindi di tracciare un quadro della situazione, sia per fare il punto dopo il primo quadriennio, sia per programmare in modo più adeguato le edizioni future. Tutti i 125 partecipanti (dei quali 96 femmine) alle prime 4 edizioni del Master sono stati contattati per la partecipazione a questa indagine: via e-mail è stato spedito loro il questionario, a cui hanno me aspetto migliore del Master la notevole completezza del programma didattico, mentre in secondo luogo sono state indicate le possibilità lavorative che esso offre: un’ottima connessione con le aziende, gli stage effettuati in aziende multinazionali, e il conseguente aumento di probabilità di trovare lavoro successivamente. Tra gli aspetti da migliorare, invece, sono stati indicati i contenuti dei moduli (alcuni temi erano ridondanti, altri non collegati logicamente al modulo, altri ancora erano trattati troppo teoricamente) ed aspetti organizzativi (legati alla definizione e gestione dell’orario). Tuttavia, è indicativo riportare che i commenti sugli aspetti negativi, pur espressamente richiesti, sono stati meno della metà rispetto a quelli positivi. Rispetto all’organizzazione didattica, i moduli maggiormente apprezzati sono stati quelli legati alla gestione ed analisi di dati in studi clinici, e quelli legati agli aspetti etici, legali e regolatori: sono stati citati per la loro utilità e generalmente si ed averne svolte una parte in inglese) siano stati considerati positivamente da una percentuale mediamente superiore all’80%, confermando che gli interventi operati nel corso degli anni su questi aspetti sono stati ben accettati dai fruitori. Più della metà (65%) degli ex-studenti ha indicato che conseguire il Master è stato utile per ottenere il lavoro, ma la percentuale si alza all’88% quando si giudica l’utilità delle conoscenze acquisite. Infine, ben 36 soggetti (di cui 7 tra i 9 attualmente occupati che hanno partecipato alla prima edizione) mantengono rapporti di interazione professionale con colleghi che hanno frequentato il Master nel medesimo anno. Si può quindi affermare che il Master rappresenta anche un’occasione importante per “fare rete” nell’ambiente della ricerca clinica. Per quanto riguarda lo stage, una parte dei rispondenti (20%) ha indicato di a(Continua a pagina 5) Anno VII numero 39 (Continua da pagina 4) verlo frequentato presso l’azienda per la quale stava già lavorando, mentre il 50% dei rimanenti ha avuto bisogno di un solo colloquio per trovarlo. Indipendentemente da questo, lo stage è stato indicato da molti ex-studenti come un’esperienza sia formativa, sia utile per trovare lavoro (65%). I miglioramenti suggeriti per gli stage sono riassumibili in due categorie: incrementare l’offerta di stage all’estero ed introdurre un verifica a posteriori delle esperienze di stage degli studenti. Quest’ultima proposta essenzialmente mirerebbe a selezionare e premiare le aziende che offrono esperienze effettivamente formative. Pagina 5 stionari compilati su cui l’analisi si è basata (circa il 60% del totale degli studenti) ed il riscontro molto costruttivo dato alle domande a risposta aperta hanno consentito di ottenere informazioni qualitative e quantitative di buona qualità sulle varie questioni oggetto di indagine. Gli intervistati hanno espresso un notevole grado di soddisfazione verso gli aspetti chiave del Master. Inoltre, hanno fornito un riscontro positivo sugli ultimi cambiamenti apportati e suggerimenti dettagliati sulle iniziative che potrebbero essere intraprese per favorire un ulteriore incremento della qualità ed utilità del Master. In conclusione, il buon numero di que- Ovviamente, le informazioni presentate in questo articolo sono solo un riassunto Demis Basso è ricercatore in psicologia generale presso la Libera Università di Bolzano, e co-fondatore del Centro di Neuroscienze Cognitive Applicate (Roma). Svolge attività di ricerca su Pianificazione visuo-spaziale e Problemsolving, Memoria di lavoro, Memoria prospettica, Corteccia prefrontale e funzioni esecutive, Metodologia di ricerca e valutazione dell'apprendimento. Ha pubblicato articoli su riviste internazionali. Claudio Greco è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio e di Scienze della Terra dell’Università di Milano-Bicocca. Ha conseguito la laurea in Biotecnologie, il Dottorato di Ricerca in Scienze Chimiche ed il Master di II livello in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci presso l’Università Milano-Bicocca. E’ docente del corso di laurea in Scienze e Tecnologie Chimiche presso il medesimo Ateneo. [email protected] dei dati raccolti, al fine di comporre un quadro il più possibile chiaro ed organico della situazione del Master, e rappresentare le diverse voci che hanno voluto dare una valutazione sulla loro esperienza. Il valore conoscitivo del lavoro è molto alto soprattutto perché non offre solo una visione all’interno del Master, ma confronta sia i dati delle diverse edizioni sia i dati sull’esito della preparazione offerta sull’occupazione. Demis Basso Claudio Greco Giancarlo Perrone Giancarlo Perrone, Psicologo e Psicoterapeuta, è membro dell'Equipe Prevenzione del Dipartimento Dipendenze dell'ASL di Monza e Brianza, si occupa di prevenzione e degli aspetti emotivi legati sia al disagio che al benessere psicologico della persona. E' esperto nella progettazione e attivazione di laboratori esperienziali psicoeducativi per adulti, sulle emozioni e la genitorialità. Collabora, inoltre, con la Libera Università di Bolzano in cui è cultore della materia in psicologia clinica presso la facoltà di Scienze della Formazione. Anno VII numero 39 Pagina 6 Master on Quality Systems – GXP and ISO (second edition) The need for an exhaustive course covering all of the major quality systems with a potential to be profitably applied in life science, health and environmental protection and production activities paved the way to the first edition of the post-doc Master on Quality Systems – GXP and ISO promoted by M. M. Brunetti and S. Carioli and held in 2012. As it was well received by participants, a decision was made of organizing the second edition in 2013 adopting basically the same approach as for the first one. The implementation of fit-forpurpose quality systems is nowadays of paramount importance to attach credibility to experimental information generated in the context of whatever research, development, production and control activities. In the complex world of today, experimental data play a crucial role in the decision-making process. In turn, experimental information should be mandatorily supported by documented evidence to be valid, credible, and comparable. This is all the more true in times of fast change, when rapidity of decision and reliability of information are both of prime importance and neither of them should prevail at the expense of the other. For the time being, several quality systems have been set up, the scope of which significantly differs from each other and depends primarily on the specific needs of the organisation planning to implement one or more of such systems. Most of them were developed, established, and consolidated over the past few decades and span all possible fields of activities, from the protection of human health and the environment to the improvement of products and services. In this regard, the major quality systems available to date can be traced back to the following: i) Good Laboratory Practice (GLP), a holistic set of rules applicable to all preclinical health and environmental safety studies required by regulations for the purpose of registering or licensing new chemicals; ii) Good Clinical Practice (GCP), internationally acknowledged ethical and scientific criteria to be complied with when designing, performing, recording and reporting clinical trials on human subjects; iii) Good Clinical Laboratory Practice (GCLP), a standard intended to be primarily used by facilities where analysis and assessment of samples generated during clinical trials are carried out; iv) Good Manufacturing Practice (GMP), the purpose of which is to ensure uniformity among the various lots of substances during the production process and their compliance with the characteristics reported in the technical dossier for marketing authorization; v) Good Distribution Practice (GDP), a system worked out to warrant that pharmaceuticals are safely stored, transported, and handled under adequate conditions; vi) Good Pharmacovigilance Practice (GPvP), a system devised to prevent, detect, understand and assess adverse effects caused by the use of pharmaceuticals; vii) ISO Standards, quality norms established to govern the activities of an organisation so as to improve its efficacy and efficiency and to meet the needs of the client. In this scenario, the Principles of GLP play a key role as they were conceived more than thirty years ago and soon gave rise to a very effective quality system which greatly inspired the establishment and development of other systems as those mentioned above. No wonder, therefore, that the Principles of GLP have the lion’s share in this Master. They aim at providing safe data on new chemicals so as to allow for a sound assessment of the benefit-to-risk ratio well before their production and commercialization. Unless specifically exempted by national legislation, such principles apply to all preclinical health and environmental safety studies required by regulations on new chemicals as undertaken by Test Facilities (TFs) for the purpose of registering or licensing pharmaceuticals, pesticides, food and feed additives, cosmetic products, veterinary drug products and similar products and for the regulation of industrial chemicals. The principles of GLP can be considered a management tool addressing the responsibility of and requirements for the TF organisation and personnel and govern the conditions for establishing, running, and maintaining test systems, receipt, handling, sampling, characterization and storage of test and reference substances, Standard Operating Procedures (SOPs), performance of studies, reporting of results and storage, retention and retrieval of records and materials Four independent functions are foreseen for a TF by the Principles of GLP, namely, the TF Management (TFM), the Study Director (SD), the Quality Assurance (QA), and the Archivist. The major responsibilities of the TFM are to ensure that a sufficient number of qualified personnel, appropriate facilities, equipment, and materials are available for the timely and proper conduct of the study and that a Quality Assurance Programme (QAP) with designated personnel is in place. Furthermore, the TFM must ensure the availability of SOPs, their approval, the maintenance of historical files of all SOPs and of a master schedule, documented approval of the study plan by the SD and the availability of the study plan to the QA. In turn, the SD has the responsibility for the overall conduct of the study and for the issue of the Final Report (FR). The study plan and any amendments to the study plan must be approved by the SD by dated signature, including the delegated phases of the study (if any). The SD should also ensure that the QA receives a copy of the study plan and any amendments in a timely manner, that the current version of the study plan, amendments and SOPs are available to study personnel, that all raw data generated are fully documented and recorded and that computerized systems used in the study are validated. The SD is required to establish effective communication with the QA during the conduct of the study. (Continua a pagina 7) Anno VII numero 39 (Continua da pagina 6) Finally, after completion of the study, the SD should ensure that archiving of study plan, FR, raw data, and supporting material is duly accomplished. It must be Pagina 7 at the European Commission (EC), during the session of June 7, 2013, with a presentation entitled Good Laboratory Practice in the European Union. Mr. Schmahl obtained a Master’s Degree in Dr. Maik Schmahl informal meetings of European Union (EU) GLP Monitoring Authorities (MAs) on technical issues. The task of the EC in the area of GLP is to ensure the correct application of the two GLP Directives (Directive 2004/9/EC and Directive 2004/10/EC, both of 11 February 2004) throughout the EU, to co-ordinate the activities of the GLP MAs of the MSs, to maintain contacts between the EU GLP WG and the EU’s Receiving Authorities (RAs) and to represent the EU at the OECD. The talk of Mr. Schmahl illustrated, in particular, the history of GLP in the EU, the importance of the mutual recognition of test data in the international marketing of chemicals, the role of the European Commission (EC) inside and outside the EU and the importance of constructive contacts between GLP MAs and the relevant RAs and European Agencies. The active participation of Mr. Schmahl in the Master on Quality Systems showed the effective impact of GLP legislation not only in the EU, but also at the international level and was very well received by students. underlined that the dated signature of the FR by the SD indicates acceptance of responsibility for the validity of the data and the extent to which the study complies with the Principles of GLP. In view of the importance gained by GLP over the decades, no wonder that about one fifth of all the lectures of the Master were centred on this quality system. Its degree of implementation in the Member States (MSs) of the European Union is therefore an issue of the utmost significance. This theme was thoroughly expounded by Mr. Maik Schmahl, Team Leader for Specific Chemicals and GLP Business Administration/Economics at Cologne University (Germany) in 1991, then worked in the private sector (chemicals and press) until 1994, when he joined the EC in Brussels. Since July 2001, he has been working in the Chemicals Unit of the Enterprise and Industry Directorate General of the EC, with specific responsibilities for the drafting and management of legislation on explosives, pyrotechnic articles, detergents and GLP, as well as for environmental policy questions. He regularly organises and chairs the EU GLP Working Group (WG) meetings as well as the Maria Mercede Brunetti Sergio Caroli MARIA MERCEDE BRUNETTI holds a degree in Biological Sciences and is specialised in General Pathology. She was biologist at the Central Clinical Pathology Laboratory in the S. Camillo hospital (Rome) and at a private Clinical Pathology Laboratory. Currently she is head of the Quality Assurance & GXP Compliance at the Research Toxicology Center, RTC. She is an active member of the Italian Quality Assurance Group – GIQAR(responsible for the GLP group, Italian representative to OECD Discussion group on GLP, congress/meeting organisation). SERGIO CAROLI graduated in Chemistry in 1968 (“La Sapienza” University, Rome). Since then he was a member of the permanent staff of the National Health Institute (Istituto Superiore di Sanità, ISS). He was appointed Research Director in 1983 and retired in 2010. He was the delegate for Italy at the Working Group for Good Laboratory Practice (GLP) of the Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD); member of the National Board for GLP of the Health Ministry; member of the Scientific Committee of the ISS; National Correspondent of the International Register of Potentially Toxic Substances (IRPTC) of the United Nations Environmental Programme (UNEP); member of the National Board for Research in Antarctica; member of the Research Project on Depleted Uranium of the Defence Ministry; member of the Steering Committee of the Analytical Chemistry Division of the Italian Chemical Society; member of the Editorial Board of several national and international scientific journals. He authored about 400 scientific papers and is the editor of seven books. Anno VII numero 39 Pagina 8 Interview to Axel Mescheder, M.D. Dr. Axel Mescheder is the President of the German Association of Pharmaceutical Medicine (DGPharMed). In collaboration with IFAPP the DGPharMed organizes the 17th International Conference in Pharmaceutical Medicine, to be held in Berlin on March 20th and 21st, 2014. I contacted him for an interview to offer our readers the opportunity to get better knowledge of the German scenario, and a deeper insight into the forthcoming conference. DC: Many thanks, Axel, for your time. Could we start with some information about the German Association of Pharmaceutical Medicine? AM: The DGPharMed was founded 40 years ago by colleagues who intended to foster the close collaboration and the exchange of experience within pharmaceutical professionals. Over the years the DGPharMed has developed a strong focus on education, training, conferences and symposia which address upto-date topics of pharmaceutical medicine and drug development. Thanks to our very active members the society has been constantly growing with more than 1400 active members in 2013. We will host the 30th Annual Conference in spring 2014 in Berlin which this year will be presented together with the 17th IFAPP ICPM. DC: Considering the various aspects of drug development, the Italian associations years ago decided to operate in working groups (like Pharmaceutical Medicine, Drug Safety, Quality Assurance and so on). How do you operate in your association? AM: The DGPharMed has a structure that allows to focus on the current needs of the members as well as to attract pharmaceutical professionals to join the association. We organize national conferences on specific topics, e.g. safety, regulatory, clinical trials, ethics or audits & inspections. In addition our annual conference provides a wider overview on current topics and offers a forum to discuss with experts and colleagues. These meetings are well attended with recently > 250 participants offering an excellent opportunity to build and cultivate networks efficiently. In addition, we introduced focus groups for Drug Safety/ Pharmacovigilance and Clinical Development. We also already have more applications for additional focus groups. In case of urgent topics, e.g. implementation of a new reimbursement assessment system in the German market, we flexibly launch working groups to provide guidance for our members. On the regional level we offer meetings to address and discuss current topics with invited speakers. These meetings are open to members and potential new members. Within our executive committee we have specific areas of responsibility allocated to individual members to cover the new opportunities as well, e.g. media management & communication, training & education, national & international contacts and others. This set-up enables us to act & react highly flexible and efficiently. DC: Do you hold regular meetings with German Regulators, Clinical Investigators and Ethics Committee? Do you interact easily with them? AM: One of our main areas of interest is the close and honest communication with the various stakeholders. We strictly stay away from any commercial link or business lobbying. In our meetings we aim for fair and adequate statements and discussion by the relevant stakeholders. Obviously this helped to establish a trustful atmosphere and we therefore enjoy a high level of acceptance within the stakeholder groups. Due to long lasting fruitful joint events the open and trustworthy interaction is further growing. DC: Clinical research in Germany is doing very well. You are now the second country, after the USA, for number of clinical trials. Is there any secret in this remarkable performance? AM: I don’t know if there is a single specific secret to this success. It is our perception that we have a large group of highly qualified and motivated individuals contributing to drug development. This includes relevant groups, not only in pharmaceutical industry but also in academia, authorities, service providers, ethic (Continua a pagina 9) Anno VII numero 39 (Continua da pagina 8) committees and other stakeholders. A lot of the previous administrative hurdles have been adapted to allow a faster and more efficient launch and executing of clinical research in our country. The overall quality of data seems to be appreciated by sponsors and the costs are competitive. We at DGPharMed aim to support all these positive trends with our continuous efforts. DC: …and now, let’s talk about ICPM 2014. What do you expect from this conference? The conference title is “Smart development for better drugs”. Do you believe there is room to improve our processes? AM: We are excited to host this outstanding international conference in the vibrant city of Berlin. The Organizing and Scientific Committees are currently preparing Pagina 9 for a remarkable programme involving highly recognized individuals as speakers and chairpersons. “Smart development for better drugs” to us means addressing the challenges of a rapidly changing, globalizing environment in drug development and market conditions. Taken together with evolving new targeted therapies we belief that there is a need to gather the experts from around the world to pave the road for the development of safe, effective and commercially viable drugs. We aim for key notes talks to address the challenges of today and providing prospects for the next decade. This will be supported by presentations and discussions reflecting on recent changes in regulations and increased requirements in Drug Safety/ Pharmacovigilance. To further strengthen “smart drug development” we need to ensure professional training for young scientists and doctors and both IFAPP and DGPharMed will continue their efforts to support this goal and will present an update at the conference. DC: Dear Axel, I am sure that our readers have now a much better understanding of the German world of clinical research, and many of them will consider to join ICPM 2014. Many thanks for your time and your interest to have a dialogue with us. A cura di Domenico Criscuolo Il 31 marzo - 1 aprile 2014 si svolgerà a Roma il XIII Congresso Nazionale SSFA, nel corso del quale celebreremo il 50° anniversario della nascita di SSFA, fondata nel 1964. Il titolo del Congresso è “I 50 anni di SSFA e la ricerca in Italia” ed i temi trattati saranno: Nuovo regolamento Europeo; Immagine dell’industria farmaceutica; Crisi finanziaria e suo impatto sulla ricerca; 50 anni di SSFA; Il punto sulla sperimentazione animale; Quali prospettive di lavoro per nuove figure professionali nella ricerca clinica? Prospettive della ricerca clinica in Italia; Risk management in pratica. Segnate queste due date: vi aspettiamo numerosi! Roma, Casa dell’Architettura Anno VII numero 39 Pagina 10 SSFAoggi incontra…..il prof. Carlo Alberto Redi Incontriamo il professor Carlo Alberto Redi nel bel chiostro che ospita l’animata caffetteria dell’Università di Pavia. Il nostro interlocutore è laureato in Scienze Biologiche (1972) ed è stato professore incaricato di Embriologia a Pavia (1975). Dal 1990 è Professore Ordinario di Zoologia e dal 1994 al 1997 è stato Direttore del Dipartimento di Biologia Animale, sempre presso l’Università pavese. Altri incarichi lo hanno visto membro della Commissione Nazionale di Studio sull’Uso delle Cellule Staminali, presieduta da Renato Dulbecco (2000-2002), Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo (20062010), membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, il Bioterrorismo e le Scienze della Vita (2007-2012) e managing editor dell’European Journal of Histochemistry. Nel 2004 è tra i fondatori dell’European Centre for Law, Science and New Technologies con sede presso l’Università di Pavia. E’ Accademico dei Lincei, scienziato brillante e saggista appassionato. La sua carriera è costellata di successi a livello internazionale e testimonia un’instancabile propensione a condividere metodi e risultati del suo lavoro. Le sue più rilevanti conquiste scientifiche sono nell’ambito della genomica funzionale, nel cui contesto ha studiato composizione ed organizzazione della cromatina di spermatozoi ed oociti nei mammiferi ed i meccanismi epigenetici della regolazione del genoma nel corso delle prime fasi dello sviluppo embrionale e della riprogrammazione genetica dei nuclei somatici. Inoltre, ha dedicato particolare attenzione al rinnovo delle cellule staminali sia germinali che nell’adulto, in modelli animali di subfertilità determinata da patologie cromosomiche. E’ stato anche capo del gruppo di ricerca (“Team Yana”) che, con il prof. Ryuzo Yanagimachi (Honolulu, Hawaii), ha partecipato alla clonazione, da cellule adulte, di Cumulina, il primo topo ad essere clonato. Alcuni tra i suoi risultati più brillanti sono la determinazione dei tempi di sostituzione delle protamine nel corso della formazione del pronucleo maschile, lo sviluppo di un modello molecolare di fusione Robertsoniana (fusione, a livello dei centromeri, di due cromosomi acrocentrici) ed il ritrovamento di una nuova popolazione di topi Robertsoniani a Seveso. Il prof. Redi è un fiume in piena, passa agevolmente da problemi scientifici a tematiche di bioetica, dalla storia della scienza alle politiche di sviluppo e promozione della scienza. Nel corso della nostra intervista, il prof. Redi si destreggia abilmente tra molti concetti complessi della biologia classica e di quella più avanzata, usando termini scientifici, ma comprensibili anche ad un vasto pubblico. La nostra intervista è focalizzata, soprattutto, su temi di frontiera della ricerca biologica e biotecnologia, in particolare sulle istanze sollevate dalla sperimentazione animale, sulla sua utilità ed eticità e sulle reazioni che suscita nel contesto sociale, ma sfiora anche aspetti di politica, promozione e finanziamento della scienza. Professor Redi, che cosa pensa delle contestazioni alla sperimentazione animale in Italia? Nonostante che la vivisezione sia una pratica abbandonata da un secolo, da qualche anno gli animalisti cercano di impedire, o di interferire, in vario modo, con la sperimentazione animale. Ultimamente, i loro interventi, la loro propaganda, la loro presenza nel mondo politico-amministrativo, e persino nelle Università, hanno raggiunto livelli preoccupanti. Queste interferenze hanno già provocato seri danni alla ricerca biomedica e ne hanno fatto aumentare i costi. Sembra, quindi, che sia giunto il momento di prendere fermamente posizione al riguardo in tempi brevi e che il mondo scientifico ne informi le Autorità competenti. Professore, non pensa che le tecniche in vitro ed i sistemi informatici, che hanno avuto uno sviluppo incredibile negli ultimi decenni, potrebbero sostituirsi alla sperimentazione animale? Oltre il 50% delle conoscenze scientifiche, in base alle quali un medico può esercitare la sua professione, provengono dalla sperimentazione animale. La notevole espansione delle ricerche biomediche, a livello cellulare e di biologia molecolare, verificatesi negli ultimi decenni, non ha eliminato la necessità della sperimentazione animale. Infatti, parte delle informazioni acquisite dalla ricerca in vitro sulle colture cellulari devono essere verificate nell’organo e/o nell’animale, prima di poter accedere alla sperimentazione clinica sul volontario sano e, poi, sul malato. Inoltre, molte indicazioni sulla tossicologia di sostanze chimiche usate in medicina e nelle varie produzioni industriali, non possono essere definite senza ricorrere alla sperimentazione animale, come richiesto anche dalla legislazione vigente. Infine, la simulazione modellistica può dare utili indicazioni, ma non può sostituire la sperimentazione diretta. Ciò non riguarda soltanto lo sviluppo di nuovi farmaci, ma anche la ricerca biomedica di base. Sarebbe opportuno chiedere agli animalisti se, quando si ammalano, si rivolgono ad un medico e assumono i farmaci loro prescritti. Professor Redi, qual è la situazione legislativa italiana ed europea riguardo la sperimentazione animale? Attualmente, la legge italiana vigente è il Decreto Legislativo 116 del 27/1/1992, ma, entro il 2013, il Parlamento italiano dovrà recepire la Direttiva Europea 2010/63. Questa direttiva è stata studiata a lungo, discussa in molte sedi istituzionali, politiche e scientifiche, anche in Italia, ed il testo finale è un corretto compromesso tra la necessità della sperimentazione animale ed il rispetto dovuto agli animali. La normativa europea dovrà, quindi, essere recepita dalla legislazione italiana e si spera che ciò avverrà senza ulteriori appesantimenti e restrizioni che pongano, ancora una volta, limiti non razionali alla ricerca scientifica nel nostro Paese ed alle sue ricadute, non solo scientifiche, ma anche economiche e sociali. Siamo molto preoccupati, perché vari indizi fanno temere che la direttiva europea verrà recepita in senso restrittivo e penalizzante dal legislatore italiano, a discapito del nostro progresso scientifico. Che cosa si potrebbe fare, secondo lei, per tentare di scongiurare questa eventualità? E’ necessario combattere (Continua a pagina 11) Anno VII numero 39 (Continua da pagina 10) la propaganda animalista che cerca di fare pressione sulle Autorità, condizionandole ad una interpretazione restrittiva della legge; è necessario far conoscere la realtà ed impedire l’interpretazione faziosa delle norme da parte di certi funzionari delle Università e delle Aziende Sanitarie Locali. Mi sembra che sia utile, inoltre, ribadire che le interferenze non giustificate alla sperimentazione animale configurano il reato di interruzione di pubblico servizio, per effetto del blocco della ricerca scientifica svolta dai ricercatori delle Università e degli Enti pubblici di ricerca, per i quali la ricerca è obbligo istituzionale continuativo, come recita l’articolo 18 della Legge 382/1990. Nonostante tutto ciò, i ricercatori sembrano restii a fare quest’opera di informazione degli organi politici decisionali e dell’opinione pubblica che, a loro volta, si guardano bene dal coinvolgerli in un dialogo sereno e produttivo…Da una parte vediamo manifesti che ci invitano a rispettare gli animali e a non abbandonarli (giustissimo!), oltre a non mangiarli e a non usarli nella ricerca scientifica; dall’altra, sui giornali, leggiamo una serie di dichiarazioni che ci preoccupano - in quanto vengono da persone che hanno responsabilità a livello politico e, quindi, possono decidere del futuro del Paese - del tipo: “Alchimie inutili per il progresso della scienza” e “E’ ora di dire basta a queste inutili crudeltà: non si può giocare con la genetica” (frasi pubblicate a commento della clonazione di mammiferi). Nessuno si preoccupa di consultare la comunità scientifica per sapere come stanno veramente le cose. Inoltre, così facendo, si inducono i cittadini ad allontanarsi dai temi della ricerca, e ciò è gravissimo. Come insegna l’esperienza statunitense, solo il sostegno dell’opinione pubblica assicura buoni finanziamenti alla ricerca. Il differenziale di investimento tra USA ed EU è 2.8% Pagina 11 vs 1.9% (Italia 1.1%) del PIL e lo scarto di interesse del cittadino americano da quello europeo, per le questioni scientifiche, è 90% vs 48%. Questo è il vero spread, del quale nessuno pare preoccuparsi! Non è solo un problema di risorse, è soprattutto un problema di cultura. Un popolo intelligente investe in ricerca, perché solo un paese che investe in ricerca è in grado di promuovere occupazione e ricchezza. Purtroppo, non sembra che questo sia il caso dell’Italia…Se oggi è possibile affrontare, con terapie efficaci, tante patologie è solo grazie alla sperimentazione anima- le, e la tecnica del trasferimento nucleare, impiegata nella clonazione in zootecnia, è uno strumento indispensabile per capire come si esprimono i geni. Così torniamo alla centralità della sperimentazione animale… Tutte le conoscenze più avanzate in campo biomedico si fondano sulla sperimentazione animale, basti pensare alla fisiologia, all’anatomia, alla patologia ed al metabolismo, e questo è un dato fattuale che non può essere disconosciuto da nessuno che abbia un minimo di cultura scientifica e di onestà intellettuale. Ogni giorno si registrano 1000 insuccessi, e 1000 animali che muoiono, ed alla fine 1 solo successo, ma questo è il modo intrinseco con cui procede la ricerca, sia che si occupi di genetica, di farmacologia, di oncologia, che di cardiologia o di tossicologia. Sono stati messi a punto oltre 7500 modelli animali di patologie umane, grazie ai quali si può sperare di curare le corrispondenti patologie che affliggono l’umanità. Dovremmo rinunciare ad impiegare questi animali? Non ci sono alternative valide alla sperimentazione sull’animale: è la storia della biologia e della medicina che ce lo dice. Centinaia di migliaia di persone, che sarebbero morte, vivono oggi una vita normale grazie al progresso delle tecnologie chirurgiche che hanno reso possibile il trapianto di organi ed alla scoperta di nuovi farmaci antirigetto. Nulla di tutto ciò sarebbe possibile senza la ricerca sugli animali. Il primo ad essere preoccupato per la salute degli animali è il ricercatore stesso che vede, nel rispetto rigoroso delle procedure di stabulazione, dei protocolli sperimentali approvati dal Ministero e della famosa Regola delle “3R” (che ci dice che ci dev’essere umanità nell’uso dell’animale), la vera garanzia dell’attendibilità dei dati ottenuti. Tutti siamo convinti della necessità di ridurre l’uso dell’animale e, magari, ad arrivare a sostituirlo, ma ad oggi, non risulta ancora possibile, se davvero vogliamo salvaguardare, in primis, la salute dell’Homo sapiens. Non dimentichiamo che i ricercatori impiegano, già da tempo, tutti i metodi complementari (compresi i modelli matematici e le colture cellulari) ed alternativi disponibili all’uso dell’animale, purchè siano validati, col risultato che il ricorso all’animale va riducendosi progressivamente. La “Dichiarazione di Basilea” va in questa direzione ed effettivamente passi avanti sono stati fatti. Basti pensare che, pur essendo aumentato il numero dei ricercatori e delle loro pubblicazioni scientifiche, il numero di animali usati nella ricerca scientifica è calato del 53% dai primi anni ’50 ad oggi, grazie all’innovazione tecnologica ed alle nuove linee guida dell’International Conference on Harmonization (ICH). Ma, nello (Continua a pagina 12) Anno VII numero 39 (Continua da pagina 11) sviluppo delle conoscenze, c’è un momento in cui non si può procedere senza ricorrere alla sperimentazione animale. Come faccio a verificare se un farmaco fa sanguinare lo stomaco? C’è qualcuno che abbia il coraggio di fare la sperimentazione direttamente sull’uomo? All’uomo si ricorre nel processo di ricerca e sviluppo di un farmaco, ma solo dopo aver testato la nuova molecola su modelli animali per valutarne tollerabilità, sicurezza, tossicità ed efficacia. Se fosse coerente, chi contesta la sperimentazione animale dovrebbe rinunciare ad assumere farmaci, a cominciare dall’aspirina. Chi sta soffrendo, perché non è stato fortunato alla roulette genetica, attende terapie e messaggi responsabili dai politici competenti. Negli USA, nessun politico si sognerebbe di fare affermazioni fuori luogo sulla ricerca scientifica, anzi si batte per dimostrare ai suoi elettori chi è più abile a far giungere finanziamenti alla ricerca. Bill Clinton e Al Gore, democratici, avevano avviato un programma per raddoppiare, in 5 anni, i fondi pubblici per la ricerca biomedica; l’amministrazione Bush, repubblicana, ne ha preso atto ed ha completato il programma. Questo tipo di impegno porta consenso alla politica e progresso ad una nazione. Così, Professor Redi, siamo giunti alle ricadute economiche e strategiche dei risultati della ricerca, quella biomedica in particolare. Un semplice esame comparato dei livelli di vita dei Pagina 12 paesi ricchi e di quelli sottosviluppati mostra chiaramente quanto convenga investire in ricerca. La Spagna, in meno di un decennio, ci ha surclassati grazie agli investimenti che ha stanziato in ricerca. L’Irlanda ha fatto lo stesso, particolarmente nelle biotecnologie. Al confronto, drammatica è la situazione italiana. Nell’ordinamento giuridico attuale, la libertà di ricerca e l’obbligo della Repubblica di promuoverla sono sanciti da ben due articoli della Costituzione (art. 9 e art. 33). Ma un’amnesia collettiva e prolungata nel tempo - visto che Quintino Sella (1827-1884) è stato l’ultimo statista ad investire seriamente in spese per la ricerca - pare aver colpito i decisori politici ed i governi da allora succedutisi. L’Italia investe in ricerca meno della metà degli altri Paesi europei. Si può fermare il declino del Paese solo con investi- menti seri nella ricerca. La ricerca di base e le applicazioni tecnologiche dei saperi che ne derivano, oltre a nuove conoscenze, portano alla società benefici culturali, economici e medici e si pongono come motore dell’evoluzione sociale ed economica dei Paesi avanzati. Questa situazione è un dato fattuale incontestabile, come lo è il fatto che la ricerca finanziata pubblicamente porta diversi tipi di contributi alla crescita economica e sociale di un Paese, esattamente ciò di cui ha bisogno l’Italia per arrestare il proprio declino, in particolar modo nel difficile momento storico che stiamo vivendo. Ricordiamone alcuni: la ricerca 1) espande le opportunità scientifiche e tecnologiche, rese disponibili alla società ed alle imprese; 2) forma laureati qualificati, per la cui preparazione le imprese dovrebbero fare enormi investimenti; 3) crea nuove strumentazioni scientifiche e metodologie innovative; 4) crea reti di collaborazione scientifica e di interazione sociale; 5) promuove, con le Università che fanno da catalizzatore, la nascita e lo sviluppo di nuove imprese (start-up e spin-off), con agglomerati regionali, nei quali la collaborazione tra pubblico e privato porta allo sviluppo di settori economicamente rilevanti, come le biotecnologie, l’elettronica e le nanotecnologie; 6) contribuisce, con l’attività brevettuale, all’arricchimento culturale ed economico del Paese, affrancandolo dalla dipendenza dai paesi concorrenti. Concludendo, i fondi pubblici devono essere investiti anzitutto in ricerca, in particolare quella biomedica ed elettronica: i costi sociali delle patologie che ci affliggono sono di gran lunga superiori a quelli delle ricerche capaci di prevenirli. Possiamo solo augurarci che, al più presto, anche nel nostro Paese si capisca, finalmente, che investire nella ricerca scientifica significa risparmiare, migliorando la qualità e la durata della vita! Domenico Barone Rita Bussi Nota: L’intervista al Professore Redi è dell’8 luglio 2013. In data 31 luglio 2013, la Camera dei Deputati ha approvato una nuova legge il cui art. 13 introduce “Criteri di delega al Governo per il recepimento della direttiva 2010/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2010, sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”. Purtroppo, il testo, già licenziato dal Senato nella scorsa legislatura, recepisce nella legislazione italiana la Direttiva Europea in termini più restrittivi, nonostante che da autorevoli voci scientifiche si fosse rivolto un accorato appello a non proseguire in tal senso, non ultimo da parte dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Mentre la Direttiva Europea pone dei limiti alla ricerca sui primati non umani, se ci sono metodi alternativi, nel recepirla il Parlamento italiano legifera che si può fare, ma solo per la salute dell’uomo (?!): il significato è oscuro, nella sua ambiguità è ideale per creare seri ostacoli alla ricerca nel nostro Paese. Inoltre, è fatto espresso divieto di allevare cani, gatti e primati non umani a fini sperimentali: vuol dire che, per fare ricerca, importeremo dall’estero animali di queste specie? Sembra un po’ ipocrita…Ancora, la nuova legge italiana proibisce di fare ricerca sui tumori umani trapiantati nei roditori e di studiare le droghe negli animali da esperimento (e dove si potranno studiare? nell’uomo?). E queste sono solo alcune perle…Non resta che sperare nei decreti attuativi che saranno emanati dal Governo. Anno VII numero 39 Pagina 13 Too much medicine; too little care “Too much testing of well people and not enough care for the sick worsens health inequalities and drains professionalism, harming both those who need treatment and those who don’t.” Margaret McCartney. BMJ 2013;346:f4247 A growing frustration in clinical medicine is that we are now so busy managing the proliferation of risk factors, “incidentalomas,” and the worried well that we lack the time to care properly for those who are seriously ill. As the definitions of common conditions such as diabetes and kidney disease have expanded and the categories and boundaries of mental disorders have grown, our time and attention for the most worryingly ill, disturbed, and vulnerable patients has shrunk. Too much medicine is harming both the sick and well. Much of the growth in apparent illness has escaped public attention. One striking example is the tripling of the incidence of thyroid cancer in the United States, Australia, and elsewhere between 1975 and 2012, during which time the death rate did not change. This dramatic rise is best explained by increased testing and improved diagnostic tools, rather than a real change in cancer incidence. It has been described as an epidemic of diagnosis rather than a true epidemic. Similar “epidemics” have occurred in conditions where there has been active screening, such as breast cancer and prostate cancer. But perhaps the most important expansion in illness has been where disease definitions have changed and the dividing line between normal and abnormal has shifted. This has occurred with hypertension, diabetes, osteoporosis, high cholesterol, obesity, and cognitive impairment. Small changes in the boundaries can greatly expand the proportion of the population labelled as having disease. Of course, some newly diagnosed and treated “patients” will benefit, but others will experience the adverse effects of unneeded treatment and the anxiety and stigma caused by disease labels. Given the consequences and costs for healthcare and the impact on patients, there has been far too little discussion and debate of the pros and cons of how we detect and define disease. To further the debate, this issue of the BMJ includes the first in an intermittent series of analysis articles looking at the risks and harms of overdiagnosis in a broad range of common conditions. The article on pulmonary embolism shows how the introduction of a new diagnostic technology, computed tomography pulmonary angiography, has been associated with an 80% rise in the detection of pulmonary emboli, many of which, the authors argue, don’t need to be found. The series is part of the BMJ’s Too Much Medicine campaign. Future articles will look at chronic kidney disease, dementia, attention deficit hyperactivity disorder, chronic obstructive pulmonary disease, depression, and thyroid cancer, and we welcome suggestions for other conditions to cover. The series aims to promote understanding of how and why the apparent prevalence of disease has changed; the consequences for clinicians, patients, and policy makers; and how we might better deal with the risks and harms of overdiagnosis. Articles will also look at the limitations of the evidence for overdiagnosis and the research and policy agenda. A key question is how disease definitions are changed and by whom. Currently, there are no agreed standards for the constitution of panels that review or alter the definitions of diseases, including the mix of expertise represented and the methods to manage conflicts of interest. Nor are there clear criteria for when it is reasonable to change disease definitions. Such criteria should be sensitive to the need to balance potential health gains against the potential downsides of labelling, testing, and treating many more people. The recent controversy over the changes from DSM-IV (fourth edition of the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) to DSM-5 illustrates the case for debating internationally agreed processes. Meanwhile, what can clinicians do to minimise overdiagnosis? Besides maintaining healthy levels of scepticism about changing thresholds for defining disease and the use of “more sensitive” tests are strategies that may help. Investigation and screening should be selective and targeted. Guidelines are not diktat, and doctors should not order tests if they do not think they will aid patient management. Performance incentives can perversely encourage overtesting and overtreatment. Unexpected abnormal findings should be considered within the context of the full clinical picture, and in most cases repeated or otherwise verified before a diagnosis is made or treatment considered. The approach advocated by Allen Frances, the former chair of DSM-IV, of a stepped process of problem formulation, watchful waiting, minimal interventions, counselling, and, finally, a definitive diagnosis if needed has much merit. Unfortunately, a diagnostic label is sometimes needed for reimbursement or referral. If such a label is necessary, it should be chosen carefully and be subject to reconfirmation and later review. Use the terms “raised blood pressure” not “hypertension,” “reduced bone thickness” not “osteoporosis,” and “reduced kidney function” not “chronic kidney disease” when talking with patients. Finally, we need to get better at sharing uncertainty with patients and the public about disease definitions and boundaries, the risks and benefits of testing, and the consequences of different management and treatment options so that decision making can be shared. Although we hope that this new series will stimulate debate about the growth in unhelpful diagnosis and unnecessary treatment, more is needed. With the inexorable expansion in medical technologies, including imaging, biomarkers, genome sequencing, and the “selling of sickness” for commercial gain, action is needed on many fronts, including education and training, research, policy reform, and advocacy. With the economic crisis and the challenge of providing universal care for all, it’s time to find ways to safely and fairly wind back the harms of too much medicine. Anno VII numero 39 Pagina 14 IL REGOLAMENTO EUROPEO SUGLI STUDI CLINICI La proposta di Regolamento Europeo e del Consiglio concernente la sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la Direttiva 2001/20, ovvero: la montagna (di carta) ha partorito il topolino? Scopo di questo articolo è commentare il massiccio documento ma soprattutto stimolare interventi da parte dei soci SSFA e di tutti i lettori di SSFAoggi. Siamo infatti di fronte ad una proposta di regolamento che parte dalla premessa che la Direttiva 2001/20 (che verrebbe eliminata e sostituita dal presente Regolamento) ha certamente introdotto importanti miglioramenti in materia di sicurezza e di validità etica delle sperimentazioni cliniche nell’UE, ma ha anche sollevato critiche fondate da tutte le parti coinvolte: pazienti, industria del farmaco e ricercatori. Si riporta che il numero delle domande di autorizzazione alle sperimentazioni cliniche è diminuito del 25% tra il 2007 ed il 2011 e che i costi di conduzione delle sperimentazioni sono aumentati: il personale di cui gli sponsor industriali necessitano per gestire le procedure di autorizzazione delle sperimentazioni è più che raddoppiato (+107%) con aumenti più marcati per le imprese di minori dimensioni. Per gli sponsor non commerciali (è il caso degli studi no-profit) la maggiorazione dei costi amministrativi è stata pari al 98% ed i premi assicurativi sono aumentati dell’800% per gli sponsor industriali. Il tempo medio di attesa per avviare una sperimentazione clinica è aumentato del 90%, attestandosi a 152 giorni. Gli stessi autori del regolamento riconoscono tuttavia che sarebbe errato attribuire questi problemi soltanto alla introduzione della Direttiva 2001/20, il cui scopo è stato armonizzare nei paesi UE le procedure della sperimentazione clinica rendendo obbligatoria l’osservanza delle norme di GCP, così recependo una esigenza la cui soluzione non era rinviabile. In un mondo in cui si andavano introducendo farmaci sempre più efficaci ma sempre più costosi ed anche potenzialmente pericolosi era ovvio che si dovessero richiedere procedure certe e scientificamente corrette di valutazione e la possibilità di verifica indipendente ed accurata dei risultati. E’ chiaro che quando non esistevano GCP, monitor, e audit, quando i protocolli si riducevano ad una lettera al Chiar.mo Professore o poco più, le CRF cartacee (per non menzionare quelle elettroniche) erano ancora di là da venire e dei comitati etici neanche si sentiva parlare, i costi di una sperimentazione clinica erano molto limitati ed i tempi di esecuzione molto più rapidi. Qui sorge a mio avviso la prima perplessità: al Capitolo 3 si dice che “diversamente dalla Direttiva, il Regolamento non stabilisce quale organismo o quali organismi all’interno di uno Stato membro approvi (o no) una sperimentazione clinica. La proposta pertanto non regolamenta né armonizza nel dettaglio il funzionamento dei comitati etici né impone una cooperazione sistematica a livello operativo tra comitati etici nell’UE, né limita l’ambito della valutazione dei comitati etici agli aspetti puramente etici (scienza ed etica sono inscindibili)”. Quindi il Regolamento non si occupa della composizione e delle funzioni dei comitati etici (che infatti non vengono più menzionati nel documento) o di altri organismi di controllo ma semplicemente, poco più avanti, dice che “la proposta di regolamento dispone tuttavia che qualsiasi domanda di autorizzazione a una sperimentazione clinica vada valutata congiuntamente da un numero ragionevole di persone indipendenti, che posseggano collettivamente le qualifiche e l’esperienza necessarie in tutti i settori di interesse, includendo il punto di vista dei ”non addetti ai lavori”: Credo che definizioni più generiche e meno scientifiche non potessero essere immaginate: qual è il numero ragionevole di persone? Indipendenti da chi e da che cosa? Quali debbono essere le qualifiche e l’esperienza necessarie? Chi sono i non addetti ai lavori? Con la Direttiva, la UE ha stabilito che un protocollo debba essere sottoposto ad un comitato etico indipendente e ad una autorità competente, lasciando ai singoli stati di stabilire composizione ed operatività di queste due strutture in aderenza a quanto previsto dalle norme di GCP, cosa che ciascun stato ha fatto con appositi strumenti di legge. Perché quindi non fare riferimento alla Direttiva? Perché questa deve essere abolita? Non era opportuno ripetere quanto la Direttiva chiaramente indicava? La critica di fondo che il Regolamento porta alla Direttiva è di avere costretto le parti interessate a programmare e condurre le sperimentazioni cliniche, incluse quelle multinazionali, sulla base di un “mosaico” di 27 quadri nazionali risultanti dal recepimento nella legislazione degli Stati membri, mentre il Regolamento, non necessitando di essere recepito con apposita legge dagli Stati come le direttive, consentirebbe di fare subito riferimento ad un unico quadro normativo. In realtà, anche il Regolamento, così come era stato nel caso della Direttiva, è ben lungi dal proporre un quadro organico ma lascia ad ogni Stato membro molti compiti che non era possibile normare con un unico atto causa le differenze nelle leggi nazionali. Al cap. 3.14 il Regolamento afferma infatti che esistono diversi aspetti di carattere intrinsecamente nazionale: ad esempio “gli aspetti legati al “consenso informato” non rientrano nella cooperazione tra gli Stati membri, ma sono valutati individualmente da ciascuno Stato membro”. Ancora, “le norme per stabilire chi sia il “rappresentante legale” di un soggetto non in grado di dare il proprio consenso informato (omissis) variano notevolmente all’interno della UE a seconda delle tradizioni e delle pratiche nazionali”. Un argomento di grande importanza, considerata la grande frequenza degli studi multinazionali è quello della responsabilità civile per danni subiti da un soggetto in una sperimentazione clinica. Si afferma anche in questo caso che “tali norme (Continua a pagina 15) Anno VII numero 39 (Continua da pagina 14) sono profondamente radicate nel diritto civile nazionale sulla responsabilità civile del medico”. Questo limite è riaffermato anche al punto 3.8 dove si dice che “Le norme in materia di responsabilità civile (intesa nella accezione di responsabilità per danni arrecati al paziente) dipendono dalle leggi nazionali applicabili in materia e sono indipendenti dalla responsabilità di uno sponsor”. La conclusione è quindi che “mentre la normativa in materia di sperimentazioni cliniche e, in particolare, la revisione della direttiva 2001/20, è compatibile con il principio di sussidiarietà, vi sono limiti fissati dai trattati che devono essere presi in considerazione”. Alla base del nuovo Regolamento, come sottolineato anche dal prof. Vincenzo Salvatore al recente Seminario SSFA “Nuovi Orizzonti in Ricerca Clinica”, è il principio di proporzionalità, in base al quale la disciplina, così come l’onere assicurativo ed il contenuto dell’informazione per il paziente, saranno differenziati in rapporto al rischio della sperimentazione. Si introduce infatti il termine di “rischio aggiuntivo” che la sperimentazione può presentare rispetto al trattamento impiegato nella normale pratica clinica per dare attuazione a tale principio di proporzionalità. Nel caso che la sperimentazione presenti effettivamente (il corsivo è nel testo del documento) un rischio aggiuntivo, la proposta di regolamento impone allo sponsor di garantire il risarcimento, mediante adeguata copertura assicurativa o attraverso un meccanismo d’indennizzo. Si propone poi che gli Stati membri istituiscano un meccanismo di indennizzo nazionale operante senza scopo di lucro. Mi riesce difficile comprendere questo concetto di rischio aggiuntivo sul quale, d’altra parte, non vengono fornite altre più approfondite spiegazioni. Che nella sperimentazione clinica con nuove sostanze medicinali possano essere presenti rischi è cosa ovvia e ben presente a tutti gli attori coinvolti, tuttavia l’ipotesi di rischio (necessariamente fondata sui dati preclinici e clinici disponibili) va sempre in coppia con la presunzione del beneficio ottenibile, talché si parla infatti sempre di rapporto beneficio/ Pagina 15 rischio, mai di solo rischio, men che meno aggiuntivo. Solo qualora si presuma che il beneficio superi il rischio la sperimentazione si fa: nessuno si sognerebbe di condurre una sperimentazione in cui i potenziali rischi superino i benefici attesi e, pertanto, sarebbe più corretto parlare non di “rischio aggiuntivo” bensì di rapporto beneficio/rischio atteso superiore rispetto a quello della terapia corrente. E’ però ovvio che, specie nelle fasi iniziali di sviluppo clinico, sia difficile prevedere quale possa essere un rischio “aggiuntivo”, specie ora che si moltiplicano i farmaci biotecnologici i cui effetti indesiderati sono spesso problematici da predire nell’uomo anche perché la sperimentazione animale non offre sicurezza (vedi il celebre caso dell’incidente del Nortwick Park Hospital nel 2006, in cui 4 volontari sani furono in pericolo di vita dopo avere ricevuto un anticorpo monoclonale agonista stimolante le cellule T). Anche negli studi di Fase I in volontari sani la regola è che non debba esservi alcuna presunzione di definito rischio ma solo di quello che viene chiamato il “minimal risk” cioè quell’imponderabile possibilità di incorrere in un incidente non prevedibile in base alle intenzioni ed alle conoscenze disponibili e che è insita in ogni nostra azione quotidiana (si pensi all’incidente d’auto, alla caduta accidentale). Questo punto di vista è espresso anche dal deputato liberale greco Theodoros Skylakakis nell’emendamento da lui proposto e riportato da Peter O’Donnell, esperto giornalista di cose sanitarie in un articolo assai critico su Applied Clinical Trials di aprile. “The principle of no medicine without side-effects applies to all medicines, whether approved or bring tested. A distinction between high-risk and lowrisk trials does not hold water ("idiom" inglese per “non ha senso”) given the absence of objective assessment criteria.” Altrettanto perplessi lascia quindi al punto 46) del testo del Regolamento la seguente frase: “Nelle sperimentazioni cliniche che utilizzino medicinali in fase di sperimentazione non autorizzati, o in cui il tipo di intervento pone un rischio più che irrilevante (sic!) per la sicurezza dei soggetti, è necessario assicurare un risarcimento dei danni riconosciuti conformemente alle leggi applicabili”. Viene ovviamente da chiedersi cosa sia un rischio “più che irrilevante”: qual è la definizione di irrilevanza? Quanto più irrilevante? Chi stabilisce il grado di rilevanza o di irrilevanza che ovviamente può grandemente variare da una patologia all’altra e non essere ancora ben accertato prima della esecuzione dello studio? La mente corre alla famosa barzelletta della ragazza che a domanda risponde: “Sì, sono rimasta incinta, ma soltanto un pochino”. Credo sarà molto difficile che i comitati etici approvino un protocollo con una trascurabile copertura assicurativa o con la sola copertura relativa alla attività ospedaliera di routine solo perché il promotore dichiara che a suo giudizio lo studio non presenta effettivamente un rischio aggiuntivo. E se poi accade qualcosa di imprevisto e si verifica un danno da risarcire adeguatamente chi paga? Oppure lo sponsor dichiara che il rischio è irrilevante: irrilevante per chi? Per lo sponsor o per il paziente? Di che tipo? Di che entità? Il problema è che se il Regolamento dovesse passare nella presente versione, nelle domande di sperimentazione queste cose andranno indicate con precisione e già mi immagino i poveri sponsor alle prese con le compagnie di assicurazione che vorranno dettagliatamente descritti i rischi aggiuntivi effettivamente prevedibili! Che poi se dovesse presentarsene uno che non era stato previsto, la compagnia potrebbe anche rifiutarsi di pagare. Un discorso analogo si può fare per l’altra novità introdotta dal Regolamento: le sperimentazioni cliniche a basso livello di intervento. Si tratta di sperimentazioni che, come definito a pag. 28 del Regolamento, soddisfano le 3 seguenti condizioni: “a) i medicinali in fase di sperimentazione sono autorizzati; b) in base al protocollo della sperimentazione clinica, i medicinali in fase di sperimentazione sono utilizzati in conformità alle indicazioni contenute nell’autorizzazione all’immissione in commercio o il loro impiego rientra in un trattamento standard in qualsiasi Stato membro interessato; c) le procedure (Continua a pagina 16) Anno VII numero 39 (Continua da pagina 15) diagnostiche o di monitoraggio aggiuntive pongono solo rischi o oneri aggiuntivi minimi per la sicurezza dei soggetti rispetto alla normale pratica clinica in qualsiasi Stato membro interessato.” Si tratta in sostanza degli studi clinici di fase IV, anche se non è chiaro al punto b) cosa significhi che l’impiego del farmaco sperimentale rientra in un trattamento standard in qualsiasi Stato membro interessato. Anche se non ha l’AIC in qualcuno dei paesi partecipanti? Nello stesso regolamento si dichiara che si vuole sostenere ed incentivare gli studi No Profit gran parte dei quali sono infatti condotti con farmaci e procedure che corrispondono ai suesposti 3 criteri. Anche questa distinzione tra basso ed alto livello di intervento è stata fortemente criticata da un altro parlamentare europeo, la danese Margrete Auken: “Low intervention does not necessarily mean risk free. Unexpected adverse effects can happen and subjects must be compensated in these cases. Therefore the sponsor shall ensure that compensation is provided for all clinical trials”. L’art. 30 del Capo V si occupa delle sperimentazioni cliniche su soggetti incapaci “che non hanno dato, o non hanno rifiutato di dare, il proprio consenso informato prima che insorgesse la loro incapacità”. Anche in questo caso, tanto per cambiare, alcune condizioni che debbono essere soddisfatte suscitano forti perplessità. La b) ad esempio stabilisce che “il soggetto incapace ha ricevuto sufficienti informazioni, commisurate alla sua capacità di comprensione, in merito alla sperimentazione, ai rischi e ai benefici”. Ma se il soggetto è incapace, quali informazioni possono definirsi “sufficienti”? Se lo sono, vuol dire che il soggetto non è incapace a meno che trattisi di informazioni del tutto insufficienti ma corrispondenti all’incapacità del soggetto!. Analogamente, l’art. c) afferma che “lo sperimentatore tiene conto del desiderio esplicito di un soggetto incapace in grado di formarsi un’opinione propria e di valutare tali informazioni, al fine di rifiutare la partecipazione o ritirarsi dalla sperimentazione clinica in qualsiasi momento”. Ma se il soggetto è definito come inca- Pagina 16 pace, per definizione non è in grado di formarsi una valida opinione e di valutare in modo attendibile le informazioni ricevute, altrimenti non si vede che bisogno avrebbe di un legale rappresentante che decida per lui (art a). La maggiore novità introdotta dal Regolamento è comunque rappresentata dal Portale Unico. La domanda di autorizzazione a condurre una sperimentazione clinica, preparata in conformità ad un modello armonizzato, va presentata ad un “portale unico”, gratuito per gli sponsor, collegato alla banca dati UE e gestito dalla Commissione Europea. Verrà elaborato un meccanismo “chiaro” di designazione dello “Stato membro relatore” e si afferma che si farà una chiara distinzione tra “tra gli aspetti in relazione ai quali gli Stati membri cooperano nell’ambito della valutazione e gli aspetti di carattere intrinsecamente etico o nazionale/locale sui quali la valutazione è effettuata individualmente da ciascun Stato membro”. Frase che sembra anticipare che le cose non cambieranno rispetto alla situazione attuale: vi sarà sì (almeno si spera) una cooperazione tra stati nella valutazione scientifica dello studio ma ciascun stato potrà anche, come avviene già oggi, sollevare problemi legati a particolari aspetti di tipo etico o legale di carattere nazionale. Al Capo II vengono poi dettagliate le procedure di autorizzazione alla sperimentazione clinica attraverso il Portale. Lo sponsor propone uno Stato membro relatore ed entro 6 giorni questo notifica allo sponsor la conformità o meno della domanda al regolamento e se la sperimentazione è a basso livello di intervento ove così dichiarato dallo sponsor. Nel caso lo stato relatore riscontri incompletezze nella domanda o che la sperimentazione non rientri nel campo di applicazione del Regolamento o non sia a basso livello di intervento, lo Stato membro relatore ne informa lo sponsor attraverso il portale e stabilisce un termine massimo di 6 giorni entro cui lo sponsor può presentare le proprie osservazioni o completare la domanda. Se entro 3 giorni dalla ricezione delle osservazioni o della domanda completa lo Stato relatore proposto non dà notifica allo sponsor della avvenuta ricezione si considera che la sperimentazione clinica proposta rientra nel campo di applicazione del Regolamento ed è a basso livello di intervento. Non si specifica se trattasi di giorni lavorativi o di calendario e comunque i termini appaiono estremamente ristretti ove si consideri che in caso di sperimentazioni internazionali condotte da multinazionali è necessario sottoporre obiezioni e relative risposte alle funzioni centrali, magari localizzate in Pennsylvania o in Indiana e che anche con i potenti mezzi oggi offerti dall’elettronica potrebbe essere veramente difficile rientrare nei tempi richiesti. Lo Stato membro relatore valuta la domanda tenendo conto di tutta una serie di elementi dettagliati all’art. 6 del Capo II e prepara una relazione divisa in due parti. Qui ha inizio un’altra bigiollica di termini di risposta, di valutazioni, di chiarimenti di 3, 6, 10, 25, 30 e via così con i giorni, differenziati per basso o non basso livello di intervento che saranno croce e delizia dei comitati etici e delle autorità competenti, o come verranno chiamati questi organismi. Mi viene da dire che appare chiaro come importanti documenti vengano dati da scrivere a funzionari a Strasburgo o a Bruxelles, assisi nelle loro ben remunerate poltrone, certo espertissimi in diritto civile, penale, internazionale o societario ma che non hanno mai visto un protocollo di uno studio clinico e men che meno hanno mai avuto a che fare con una domanda di autorizzazione ad una sperimentazione internazionale e con i mille problemi che sorgono tra sponsor e comitati etici o autorità regolatorie. Vi sarebbero altri punti che meriterebbero commenti e chiarimenti, ma ciò comporterebbe di occupare un intero numero di SSFAoggi. Il testo è anche infarcito di errori di traduzione, il che dimostra ulteriormente la scarsa conoscenza del settore di chi ha allestito la versione italiana. Tra gli strafalcioni più rimarchevoli vi è “serious”, sempre tradotto come “grave” mentre anche chi ha una minima conoscenza della terminologia della sperimentazione clinica sa che “grave” corrisponde a “severe” cioè designa l’intensità dell’effetto avverso (Continua a pagina 17) Anno VII numero 39 Pagina 17 (Continua da pagina 16) mentre “serious” identifica una delle 5 evenienze che sono appunto contraddistinte da tale aggettivo (morte, pericolo di vita, ospedalizzazione, ed altro) come correttamente indicato nella versione inglese. Analogamente, SUSAR viene tradotto “sospetto grave effetto collaterale negativo inatteso” anziché “sospetta reazione avversa seria inattesa”, usando il termine “effetto collaterale”, ormai bandito dal vocabolario scientifico ed utilizzato solo sui giornali quotidiani ed anco- The Lancet ra in modo improprio l’aggettivo “grave”. Che il documento sia ampiamente da rivedere e correggere è dimostrato dall’elevato numero di emendamenti che sono stati presentati dai diversi paesi: 731, poi accorpati in 290. Anche la SSFA ha contribuito fornendo ad AIFA un elenco dei punti che necessitano di essere corretti. Tra gli emendamenti già preannunciati vi è la reintroduzione dei compiti e della composizione dei comitati etici, inspiegabilmente spariti dall’attuale testo. Insomma, una monta- Heart disease in Europe Cardiovascular disease is one of Europe's biggest killers—causing almost half of all deaths—yet a study published in the European Heart Journal provides some encouraging news: coronary heart disease mortality in the European Union (EU) has significantly decreased in nearly all countries since the early 1980s, in both men and women. Importantly, despite fears that increases in diabetes and obesity might be beginning to offset the beneficial effect of improved treatment and reduced smoking rates on coronary heart disease mortality, the study provided no evidence to suggest that the mortality rate decrease was beginning to slow or reverse across the EU. Analysis of mortality trends in younger people (aged <45 years)—an important indicator for future public health—showed that recent decreases in heart disease mortality were generally as great or greater than overall and earlier decreases. However, among the positive results are some concerning trends in individual countries. Although the UK had, alongside Denmark, Malta, the Netherlands, and Sweden, one of the largest decreases in coronary heart disease mortality between 1980 and 2009, the results suggest this decrease might be plateauing. When the sexes were assessed separately, mortality in men in Romania was shown to have significantly increased, and in several other countries the decrease in mortality gna di carta (114 pagine nella versione italiana) ha partorito un topolino? Indubbiamente, in mano a un paio di esperti della materia, il tutto poteva essere condensato in una trentina di pagine, eliminando inutili ripetizioni ed errori, lunghe frasi di significato assai incerto e chiarendo meglio molti concetti. Vedremo adesso la nuova versione emendata. Intanto, tra i lettori è aperta la caccia alle bufale (in senso figurato, mi raccomando!). Luciano M. Fuccella was small and non-significant. Coronary heart disease mortality seems to have begun to significantly increase in younger populations in Greece and Lithuania, where overall rates of major risk factors such as smoking and obesity are relatively high, possibly explaining some of the between-country disparities in mortality. The overall results largely reflect the great strides made in treatment, but, as the investigators of this study acknowledge, mortality rates alone do not provide a complete picture; the focus should also be on reduction of incidence of disease, by improvement of primary prevention and management of risk factors. The good news should serve as encouragement that research efforts have been worthwhile, but must not lead to complacency. Anno VII numero 39 Pagina 18 DISPOSITIVI MEDICI: NUOVI SCENARI NORMATIVI E RUOLO DELL’ORGANISMO NOTIFICATO Il 15 luglio 2013 si è svolto a Milano, presso l’Auditorium Bayer, il secondo seminario del Gruppo di lavoro “Dispositivi Medici”. L’incontro è stato organizzato al fine di fornire un aggiornamento sulle normative di prossima emanazione che prevedono, tra l’altro, un rafforzamento del ruolo dell’Organismo Notificato (ON). Infatti, l’Unione Europea ha ravvisato, in seguito al recente caso di frode relativo alle protesi mammarie, la necessità di adeguare e uniformare le normative che regolano il settore dei Dispositivi Medici (DM) per garantire la tutela dei pazienti e assicurare la disponibilità di DM sicuri, efficaci e innovativi. A tal proposito, il Consiglio d’Europa ha promosso la Convenzione Medicrime quale primo strumento internazionale che prevede sia la punibilità della contraffazione dei prodotti medicali (DM, farmaci, materiali, principi attivi ed eccipienti utilizzati nella fabbricazione di questi prodotti) e di reati simili al fine di proteggere la salute pubblica sia la cooperazione internazionale in materia penale tra gli Stati sottoscrittori. La prima relazione, presentata da Valentina Celada, ha riguardato il regolamento europeo in via di definizione sui DM e DMIA (Dispositivi Medici Impiantabili Attivi), sottolineando le principali novità e l’impatto che queste avranno sulle aziende. In particolare, il campo di applicazione della prossima normativa sarà ampliato andando a comprendere le cellule umane non vitali e le apparecchiature con finalità estetiche che, quindi, dovranno soddisfare i requisiti richiesti per i DM. Altra importante novità concerne i maggiori requisiti, obblighi e competenze scientifiche richiesti non solo per il fabbricante e il mandatario ma anche per l’importatore ed il distributore (figure attualmente non disciplinate). Saranno, inoltre, introdotte due nuove regole di classificazione per i DM che passeranno così da 19 a 21; verranno imposte nuove regole per la tracciabilità dei DM (Sistema UDI: Unique Devices Identification), e maggiormente dettagliati i requisiti e i compiti degli ON. Infi- ne per i dati clinici saranno richieste procedure più in linea con quelle dei farmaci e verrà istituito il portale europeo di vigilanza. Lucia Beinat ha quindi illustrato il prossimo regolamento sui Dispositivi Medico– Diagnostici in Vitro (IVD). La relatrice ha sottolineato che sul mercato sono presenti circa 40.000 IVD e che l’Italia è il terzo Paese produttore in Europa. Il regolamento presenta nuove classi di rischio per gli IVD (A: low risk, ad es. test per il colesterolo; B: medium risk, ad es. test di gravidanza; C: medium-high risk, ad es. test per la trisomia 21; D: high risk, ad es. test per HIV), prevedendo l’intervento dell’ON per l’apposizione del marchio CE in relazione alla classe di rischio (per la classe A non è richiesto). Importanti novità riguarderanno le sperimentazioni cliniche: saranno previsti, infatti, non solo studi osservazionali ma anche veri e propri studi interventistici i cui risultati saranno utilizzati per la gestione terapeutica del paziente (companion test). La terza relazione è stata presentata dal dottor Mario Gennari, Auditor consulente per l’ON DEKRA Testing and Certification, che ha illustrato, alla luce della normativa in vigore, il ruolo ed i criteri per la designazione dell’ON (indipendenza, competenza, risorse, formazione e assicurazione per la responsabilità civile). Sono stati, inoltre, descritti i compiti svolti dall’ON per la marcatura CE di un dispositivo, le procedure attuate nel corso delle verifiche e le responsabilità. In merito alle novità di prossima emanazione, è stato sottolineato che sarà rafforzato il ruolo dell’ON che potrà effettuare audit a sorpresa presso i fabbricanti e che il personale ispettivo dell’ON dovrà alter- narsi periodicamente nelle attività di verifica successive al rilascio del marchio CE. Questa relazione ha suscitato notevole interesse da parte dei partecipanti che hanno posto numerose domande al relatore. Infine, l’avvocato Claudia Raccagni, del GdL Affari Legali, ha illustrato l’impianto della Convenzione Medicrime che, alla data del seminario, era stata sottoscritta da 22 Paesi (19 appartenenti al Consiglio d’Europa) e ratificata soltanto da uno (Ucraina). La Convenzione consen- tirà l’introduzione di norme penali a seguito delle quali le forze di polizia, le autorità regolatorie e le dogane dei Paesi del Consiglio d’Europa si scambieranno informazioni e collaboreranno tramite Interpol ed Europol. La Convenzione prevede i reati di fabbricazione di prodotti medicali contraffatti, fornitura o promozione, anche via internet, e traffico di prodotti medicali contraffatti, falsificazione di documentazione cartacea o online relativa ai prodotti medicali. La convenzione entrerà in vigore quando sarà ratificata da almeno 5 Stati sottoscrittori, di cui almeno 3 appartenenti al Consiglio d'Europa. Il GdL Dispositivi Medici ringrazia Bayer che, ancora una volta, ha messo a disposizione la propria sede per ospitare il seminario e la segreteria SSFA per la preziosa assistenza fornita nell’organizzazione dell’evento. Carla Turriziani Anno VII numero 39 Pagina 19 GENNAIO 2014 ELEZIONI PER IL RINNOVO DEL CONSIGLIO SSFA Caro Socio, nel Dicembre 2013 scadrà il mandato triennale dell’attuale Consiglio SSFA. Nel Marzo 2014 si terrà l’Assemblea dei Soci, ed in tale occasione avranno anche luogo le votazioni per l’elezione dei Membri del Consiglio e dei Revisori dei Conti. I Soci che non potranno essere presenti, hanno la possibilità di esprimere le proprie preferenze con il voto postale, richiedendo in segreteria il materiale necessario per la votazione. Nel caso volessi proporre la tua candidatura, ti chiediamo di volerlo comunicare entro il 31 Ottobre 2013, specificando l’area di attività nella quale operi e se intendi candidarti come Consigliere o come Revisore dei Conti. Ti ricordo che, in base allo Statuto, possono candidarsi e partecipare alle votazioni solo i Soci in regola con il pagamento della quota associativa. Per verificare la propria posizione i Soci possono rivolgersi alla Segreteria, Lunedì Mercoledì - Venerdì dalle ore 09.00 alle ore 13.00 (mail: [email protected], tel. 02.29536444, fax. 02.89058506). Le candidature potranno essere inviate per lettera (SSFA, Viale Abruzzi 32, 20131 Milano) o per fax o per mail. Vorrei chiederti di preparare una breve presentazione di te stesso(massimo 100 parole), utilizzando il modulo presente sul nostro sito, con accenni a ciò che intendi portare alla SSFA con la tua eventuale elezione ed una foto, in modo da farti conoscere dai Soci. Cordiali saluti. Il Presidente Gianni De Crescenzo Anno VII numero 39 Pagina 20 PPI E REAZIONI DA IPERSENSIBILITA’ AI FARMACI IN PAZIENTI OSPEDALIZZATI PROTON PUMP INHIBITORS ARE ASSOCIATED WITH HYPERSENSITIVITY REACTIONS TO DRUGS IN HOSPITALIZED PATIENTS: A NESTED CASE-CONTROL IN A RETROSPECTIVE COHORT STUDY Ramírez E, Cabañas R, Laserna LS, et al. Clin Exp Allergy 2013; 43:344-52 Il rischio relativo di insorgenza di reazioni di ipersensibilità ai farmaci durante l'ospedalizzazione nei pazienti trattati con inibitori della pompa protonica rispetto a quelli non trattati nel periodo di studio è risultato significativo, anche dopo aggiustamento per fattori confondenti. CONTESTO Indagini precedenti hanno mostrato che la soppressione dell'acidità gastrica con farmaci antiacidi può promuovere reazioni allergiche alle proteine alimentari sensibili all'acidità. Non sono disponibili dati riguardanti l’ipotesi che i farmaci antiacidi possano promuovere reazioni di ipersensibilità ai farmaci. L'inibizione più potente e più durevole della secrezione gastrica è fornita dagli inibitori di pompa protonica (PPI). Si è ipotizzato che la soppressione acida gastrica con inibitori della pompa protonica possa essere causa di reazioni di ipersensibilità durante il ricovero in ospedale. OBIETTIVO Valutare il rischio di sviluppare reazioni di ipersensibilità ai farmaci durante il ricovero di pazienti trattati con inibitori della pompa protonica e identificare altri fattori connessi. METODI E’ stato condotto uno studio caso-controllo retrospettivo innestato in uno studio di coorte su pazienti ospedalizzati da settembre 2008 a dicembre 2010 (70.771 ricoveri) utilizzando il registro dei casi di interconsultazione al Dipartimento di Allergologia (161 casi confermati di reazioni di ipersensibilità ai farmaci). In totale, 318 controlli sono stati appaiati per primo farmaco sospettato di reazione di ipersensibilità, tempo di ricovero, età, sesso e reparto di ospedalizzazione. RISULTATI Il rischio relativo di insorgenza di reazioni di ipersensibilità ai farmaci durante l'ospedalizzazione dei pazienti trattati con inibitori della pompa protonica rispetto a quelli non trattati nel periodo di studio era significativo (RR 3,97; IC 95% 1,97-8,29). Dopo aver aggiustato per i fattori confondenti nel caso-controllo innestato, l'uso di inibitori della pompa protonica persisteva come fattore predisponente (OR 4,35; 2-9,45). La storia personale di allergia ai farmaci e un tempo lungo di ricovero in ospedale erano altri fattori predisponenti di reazioni di ipersensibilità. Il rischio di sviluppare una reazione di ipersensibilità ai farmaci durante il trattamento con PPI era del 3,7% al giorno. Il rischio per le reazioni immediate o accelerate era 1,706 (p=0,003) volte superiore a quello per le reazioni ritardate. CONCLUSIONI Nei pazienti ospedalizzati, l'uso di inibitori della pompa protonica è associato ad un aumento significativo del rischio di reazioni di ipersensibilità, insieme a una storia personale di allergia a farmaci e a un tempo prolungato di ricovero in ospedale. A cura di Raimondo Russo FANS COME CAUSA DI DANNO RENALE ACUTO NEI BAMBINI NONSTEROIDAL ANTI-INFLAMMATORY DRUGS ARE AN IMPORTANT CAUSE OF ACUTE KIDNEY INJURY IN CHILDREN Misurac JM, Knoderer CA, Leiser JD, et al. J Pediatr, pubblicato on line il 26 gennaio 2013 Questo è fino ad oggi il più grande studio che supporta il ruolo dei FANS come causa comune di danno renale acuto nei bambini. OBIETTIVO Caratterizzare il danno renale acuto (acute kidney injury, AKI) associato a farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) nei bambini. DISEGNO E’ stata condotta una revisione retrospettiva delle cartelle di bambini con diagnosi di AKI attraverso l'utilizzo dei codici diagnostici 584,5 o 584,9 dell’International Classification of Diseases, Ninth Revision (ICD-9) dal gennaio 1999 al giugno 2010. Le cartelle cliniche sono state riviste per confermare la diagnosi di AKI e quantificare la somministrazione di FANS. Sono stati usati i criteri RIFLE pediatrici per codificare l’AKI. I pazienti non venivano classificati come aventi un AKI associato a FANS se riportavano una diagnosi che spiegasse lo sviluppo di AKI o condizioni cliniche concomitanti che predisponessero al danno renale. RISULTATI I pazienti (n=1015) sono stati identificati attraverso la classificazione ICD-9. Ventuno bambini mostravano dati clinici, di laboratorio e radiografici che suggerivano una necrosi tubulare acuta associata a FANS e in 6 bambini i dati suggerivano una nefrite interstiziale acuta associata a FANS, rappresentando il 2,7% (27 su 1015) della coorte totale con AKI e il 6,6% se si escludono i pazienti complessi con AKI multifattoriale. I bambini con AKI associato a FANS avevano una età mediana (range) di 14,7 anni (0,5-17,7 anni); 4 pazienti (15%) avevano meno di 5 anni. Quindici (75%) dei 20 bambini per i quali erano disponibili le dosi dei FANS, avevano ricevuto i farmaci entro i limiti di dosaggio raccomandato. I pazienti al di sotto dei 5 anni avevano più probabilità di richiedere la dialisi (100% vs 0%; p<0,001), il ricovero in unità di terapia intensiva (75% vs 9%; p=0,013) e avevano un permanenza in ospedale di maggior durata (mediana 10 vs 7 giorni; p=0,037). CONCLUSIONI L’AKI associato a FANS rappresentava il 2,7% dei casi di AKI in questa popolazione pediatrica. L’AKI in genere si verificava dopo la somministrazione di FANS correttamente dosati. I bambini più piccoli con AKI associato a FANS possono mostrare un aumento della gravità della malattia. A cura di Raimondo Russo Anno VII numero 39 Pagina 21 ELEMENTI CHIAVE NEI SEGNALI DI ADR DA INTERAZIONI TRA FARMACI KEY ELEMENTS IN ADVERSE DRUG Strandell J, Norén GN, Hägg S. Drug Safety 2013; 36:63-70 INTERACTION SAFETY SIGNALS La revisione retrospettiva di tre segnali di interazione farmacologica avversa ha consentito di individuare due elementi che spesso rafforzano il sospetto che l'ADR sia dovuto ad una interazione tra farmaci, ovvero un periodo relativamente breve di tempo dall'inizio del trattamento con il farmaco precipitante l'interazione e lo sviluppo di ADR, e una risoluzione tempestiva della reazione dopo la sospensione del farmaco senza modifiche alla terapia sottostante. CONTESTO Una gran parte delle potenziali interazioni tra farmaci sono note da studi pre-autorizzazione, ma le reazioni avverse da farmaci (ADR) dovute a interazioni (interazioni avverse) sono spesso individuate per la prima volta attraverso un'attenta sorveglianza nella pratica clinica. I singoli case report di sicurezza (ICSR) sono raccolti direttamente presso ampie popolazioni di pazienti e consentono l'individuazione di gruppi di segnalazioni simili. Lo screening sistematico delle interazioni avverse da farmaco negli ICSR richiede una comprensione di quali informazioni su tali relazioni possano essere indicative di interazioni avverse. OBIETTIVO L'obiettivo dello studio era quello di identificare quali delle informazioni riportate potesse supportare l'identificazione di segnali di sicurezza in termini di interazione farmacologica nelle raccolte di ICSR. METODI Sono stati riconsiderati e valutati tre segnali di sicurezza precedentemente pubblicati di sospette interazioni avverse. A tal fine, sono state estratte dal WHO Global Database ICSR (VigiBaseTM) 137 segnalazioni relative a questi segnali e sono stati ottenuti dai centri nazionali di farmacovigilanza i corrispondenti report originali. A ciascuno di questi report sono stati applicati i criteri di un punteggio operativo per l'analisi della causalità delle interazioni farmacologiche nei casi clinici, la Drug Interaction Probability Scale (DIPS), con l'obiettivo di individuare le informazioni di supporto disponibili negli ICSR. Per tre elementi DIPS (plausibilità temporale, risoluzione della ADR dopo aver interrotto il farmaco che ha indotto l'interazione senza variazioni nella terapia farmacologica basale (dechallenge positivo) e cause alternative di reazione) sono state anche confrontate la quantità di informazioni in VigiBaseTM e nei report originali, in campi a testo libero e strutturati. RISULTATI Gli elementi DIPS più comunemente presenti nei report a supporto di un segnale di interazione farmacologica avversa erano: la plausibilità temporale (50 segnalazioni, 36%) e il dechallenge positivo (8 segnalazioni, 6%). Sono state rilevate cause alternative per la reazione avversa osservata in 72 (53%) report. Sono state trovate differenze limitate tra VigiBaseTM e le segnalazioni originali per i dati strutturati, anche se era disponibile una notevole quantità di informazioni aggiuntive in campi a testo libero nei report originali. CONCLUSIONI Le informazioni su plausibilità temporale e risoluzione della reazione avversa all’interruzione del farmaco sospettato di aver indotto l'interazione possono essere un elemento utile per identificare sospette interazioni avverse dai ICSR. Di questi, la plausibilità temporale è di gran lunga l'elemento più comunemente riportato nei tre segnali studiati qui. L’analisi ha anche dimostrato l'importanza di condividere e analizzare le informazioni disponibili nei campi a testo libero, dove spesso sono riportati i dati clinici, come quelli di cui sopra, insieme alla gravità dell'evento e a cambiamenti nel dosaggio della terapia. A cura di Raimondo Russo Performance of Pharmacovigilance Signal-Detection Algorithms for the FDA Adverse Event Reporting System. Harpaz R, Dumouchel W, Lependu P, Bauer-Mehren A, Ryan P, Shah NH Clin Pharmacol Ther Feb 2013; Abstract Signal-detection algorithms (SDAs) are recognized as vital tools in pharmacovigilance. However, their performance characteristics are generally unknown. By leveraging a unique gold standard recently made public by the Observational Medical Outcomes Partnership (OMOP) and by conducting a unique systematic evaluation, we provide new insights into the diagnostic potential and characteristics of SDAs that are routinely applied to the US Food and Drug Administration (FDA) Adverse Event Reporting System (AERS). We find that SDAs can attain reasonable predictive accuracy in signaling adverse events. Two performance classes emerge, indicating that the class of approaches that address confounding and masking effects benefits safety surveillance. Our study shows that not all events are equally detectable, suggesting that specific events might be monitored more effectively using other data sources. We provide performance guidelines for several operating scenarios to inform the trade-off between sensitivity and specificity for specific use cases. We also propose an approach and demonstrate its application in identifying optimal signaling thresholds, given specific misclassification tolerances. Clinical Pharmacology & Therapeutics (2013); advance online publication 10 April 2013. doi:10.1038/clpt.2013.24. A cura di Raimondo Russo Anno VII numero 39 Pagina 22 PICCOLI MA CATTIVI L’aspetto consueto della forma vegetativa di un lievito è una cellula rotonda od ovale solitamente con diametro di 3- 6 micron. La riproduzione asessuale dei lieviti avviene attraverso un processo detto di gemmazione, l’estrusione dal corpo della cellula madre (dopo divisione mitotica) di una piccola appendice (gemma) che, staccatasi dalla madre, dà origine ad una cellula di lievito. L’aspetto unicellulare dei lieviti si rinviene in quelle colture che si sviluppano in condizioni normali di temperatura, areazione, pressione ed umidità; in ambienti meno favorevoli, ad esempio quando c’è scarsità di ossigeno come negli strati più profondi dei terreni di coltura, i lieviti possono originare strutture specializzate chiamate pseudoife o clamidospore. Oltre alla riproduzione asessuale, alcuni lieviti possiedono anche una riproduzione sessuale che si verifica mediante fusione di due cellule distinte, divisione meiotica del nucleo, formazione di un sacculo o asco all’interno nel quale vengono prodotte e conservate le spore sessuali. Tipico esempio è quello di Saccharomyces. Il genere Candida, microrganismo appartenente al Phylum Ascomycota, ordine Saccharomycetales, famiglia delle Cryptococcaceae: contiene approssimativamente 200 specie. Tale numero però non è immutabile. Sono ubiquitarie (sono state trovate su molte piante e nella flora normale del tratto intestinale e sulle membrane cutanee degli esseri umani). Le diverse specie appartenenti al genere Candida sono i principali responsabili di infezioni fungine nell’uomo, generalmente commensali: infatti vivono nel 80% della popolazione umana senza effetti dannosi, ma possono diventare capaci di svolgere un’azione invasiva e dunque patogena qualora si indeboliscano le difese immunitarie dell’ospite, provocando varie manifestazioni cliniche che vanno dalle numerose forme superficiali, come la candidosi orale, a quelle sistemiche come la candidemia. Tutte le specie del genere Candida formano in terreno solido colonie di colore bianco e di consistenza cremosa. Lo sviluppo in forma di pseudo micelio, in terreno colturale povero ed a temperatura di incubazione di 25°C, è evidenziato dalla comparsa, nello spessore dell’agar, di un alone opaco e sfrangiato al contorno delle colonie. Molte specie di Candida, fra cui le specie patogene, si trovano normalmente presenti nelle cavità naturali dell’uomo. Trattandosi di funghi opportunisti, le Candide provocano affezioni morbose quando nei soggetti si istaurano condizioni predisponenti, in particolare di immunodeficienza. Candida albicans è la specie di più frequente isolamento clinico seguita dalla C. parapsilosis e da altre specie (C. Krusei, C. tropi- calis, C. stellatoidea, C. pseudotropicalis) di riconosciuta anche se sporadica patogenicità. Nel campo farmaceutico ed in particolare laboratoristico il genere Candida, ed in particolare la specie C.albicans, viene utilizzata, insieme a St. aureus, E. coli, P. aeruginosa, S. enteridis, A. niger, per la messa a punto dei metodi di ricerca della carica microbica per i prodotti non sterili (nei quali l’inoculo deve essere dai 10 a 100 microrganismi) e sterili, nelle prove per saggiare l’efficacia dei conservanti effettuate attraverso il test di challenge (dove ogni grammo di prodotto viene messo a contatto con 106 o 10 5 microrganismi). L’importanza di una tale conoscenza è determinata dal fatto che oltre ad essere un rischio per i prodotti farmaceutici in termini di perdita di caratteristiche chimico-fisiche, e quindi degradazione del principio attivo, rappresenta un rischio anche per gli operatori esposti ad ambienti contaminati da lieviti, poiché possono avere conseguenze sanitarie di vasta portata. Giovanni Abramo 1) Dallera M., et al. Contaminazione da miceti in ambiente ospedaliero, Pbi n.200 2) Polsinelli M., De Felice M. Et al., Microbiologia, 1993 3) Mazza P., et al., Microbiologia Farmaceutica, 1998. 4) Liguori G., et al. Metodi fenotipici e molecolari nella diagnostica delle candidosi, Biologi italiani, n4 , 2007. MASTER UNIVERSITA’ NAPOLI Siamo lieti di comunicare a tutti i Soci, ed in modo particolare a chi vive nell’Italia del Sud, che è stato pubblicato sul sito www.unina2.it, nella sessione Concorsi Gare e Bandi, il bando per il Master di II livello in "Farmacovigilanza, Farmacoepidemiologia ed Attività Regolatorie". SSFA ha dato il patrocinio a questa iniziativa, riconoscendo non solo l’ottimo livello dell’offerta formativa, ma anche le competenze del corpo dei docenti. Anno VII numero 39 Pagina 23 NEWS ON CLINICAL TRIALS INFLUENZA Sanofi Pasteur reported data from Phase II and Phase III trials for its investigational quadrivalent influenza vaccine (QIV). Three trials were conducted to evaluate the safety and the immune response to the quadrivalent influenza vaccine; a Phase II study of 570 adults 18 years of age and older, a Phase III study in an elderly population of 675 people of 65 year of age and older, and a Phase III pediatric study of 4,347 children 6 months through 8 years of age. All three studies were randomized, activecontrolled, three arms, and multicenter with participants randomized to receive investigational QIV containing strains from both B lineages or trivalent influenza vaccine (TIV). Each study vaccine contained 15 mcg influenza virus antigen per strain per 0.5 mL dose (7.5 mcg influenza virus antigen per 0.25 mL dose). Children six months through 35 months of age received the 0.25 mL dose, whereas children three years through eight years of age, adults, and elderly received 0.5 mL dose. Children six months through eight years of age received one or two doses administered four weeks apart. The objective of the studies included demonstration of non-inferiority of antibody responses to each influenza strain in QIV compared with responses to each respective strain in the TIV comparators. Additional objectives of the Phase III study were to demonstrate superiority of antibody responses to each B strain in QIV compared with antibody titers following vaccination with the TIV that did not contain the corresponding B strain. In the trials, non-inferiority criteria were met for all four strains in QIV compared with the two control TIV formulation in 35 of 36 analyses in adults, elderly and children. MULTIPLE SCLEROSIS Receptos administered its selective differentiated sphingosine-1-phosphate receptor 1 (S1P1) modulator RPC1063 to the first patient in a Phase II/III study. RPC1063 exhibits picomolar potency and is effective in rodent models of both multiple sclerosis (MS) and inflammatory bowel disease (IBD), and possesses an excellent safety profile in non-clinical toxicology studies. The Phase II portion of RPC01-201 is a randomized, double-blind comparison of two doses of RPC1063 to placebo in patients with relapsing multiple sclerosis (RMS). The primary objective is to demonstrate the clinical efficacy of RPC1063 compared to placebo by showing a reduction in the cumulative number of total gadolinium enhancing lesions by MRI from week 12 to 24 of treatment. The Phase III portion is a randomized, double-blind, double-dummy comparison of RPC1063 to an active control in patients with RMS. Patients will receive one of two doses of RPC1063 or interferon beta-1a (Avonex) 30 mcg intramuscular weekly injections for at least two years. The primary objective will be to assess whether RPC1063 is superior to IFN beta-1a in reducing the rate of relapse at 24 months in patients with RMS. More than 1,100 patients are planned to be treated in total. ALZHEIMER’S DISEASE EnVivo Pharmaceuticals presented results from its Phase IIb trial of EVP-6124, an alpha-7 agonist, in patients with Alzheimer’s disease. The six month, double-blind, placebo-controlled study enrolled 409 patients and evaluated three doses of EVP-6124 taken once per day - 0.3 mg, 1.0 mg, and 2.0 mg – against placebo. Initial results demonstrated that the 2.0 mg dose of EVP6124 met both trial primary endpoints, with positive effects on cognition (p = 0.0189), as measured with ADAS-Cog-13 and clinical function (p = 0.253) as measured by the Clinical Dementia Rating Scale Sum of Boxes. It also showed results across several secondary endpoints of other cognitive and clinical measures and was generally safe and well-tolerated over the six-month period of the trial. AMYOTROPHIC LATERAL SCLEROSIS Neuraltus Pharmaceuticals reported data from a Phase II study of NP001 in patients with amyotrophic lateral sclerosis (ALS). NP001 is a small molecule that may lower the levels of activated cytotoxic macrophages in people with ALS, reducing inflammation and further injury to the motor nerves. Study efficacy results demonstrated positive trends in slowing the rate of disease progression, ranging from 13 to 19% in multiple parameters of benefit. The multicenter, double-blind, placebo-controlled study enrolled 136 patients with ALS. Patients were randomized to receive either placebo or 1 mg/kg, or 2 mg/kg intravenous infusion of NP001 over a period of six months, followed by a six-month follow-up period. The study was designed to evaluate the change in slope of the ALS Functional Rating Score Revised (ALSFRS-R), as well as change from baseline in ALSFRS-R through six months, a joint rank analysis of change of ALSFRS-R adjusted for mortality, and changes in readily measured peripheral inflammation biomarkers. Post hoc analyses showed a dose response to NP001 having no progression of their disease during the sixmonth dosing period. This is approximately 2.5 times as compared in the placebo group. Results from the study demonstrated benefit for the 2 mg/kg cohort in the primary end-point of change in slope of ALAFRS-R, and in the secondary end-points of change from baseline in ALSFRS-R through six months and a joint rank analysis of change of ALSFRS-R adjusted for mortality. A cura di Domenico Barone Anno VII numero 39 Pagina 24 Il Gruppo di Lavoro SSFA “Farmacoeconomia & Market Access” invita tutti i Soci al prossimo seminario sul tema “ Come preparare un buon dossier HTA”. Il seminario si svolgerà a Milano il giorno 14 ottobre 2013, e sarà il primo di una nuova serie di incontri di aggiornamento. Il Gruppo di Lavoro si è infatti arricchito di nuovi Soci volenterosi, e vi inviterà a numerose prossime iniziative: tutti i dettagli sul sito SSFA. RISK BASED MONITORING & STATISTICAL AND DATA ISSUES IN REGULATORY SUBMISSIONS Il V CONGRESSO BIAS si svolgerà a Milano i giorni 24 e 25 ottobre 2013 presso l’Università Bicocca. Quest’anno le giornate saranno dedicate al “Risk-based monitoring” e alle “Statistical and Data issues in regulatory submissions”. Risk-Based è la strategia attualmente consigliata da FDA, EMA e MHRA per le attività di monitoraggio. Il monitoraggio si può focalizzare su Centri ad alto rischio individuati tramite analisi statistiche centralizzate e una revisione continua dei dati. Questo richiede una stretta e continua collaborazione tra Data Managers, Statistici e Clinical Monitors. Condividere esperienze tra aziende può ridurre il rischio di rifiuti da parte delle agenzie regolatorie durante la sottomissione per una nuova terapia. Saranno presentati diversi casi riguardanti problematiche di carattere statistico e di sottomissione dati. A nome del Comitato Scientifico, Vi invitiamo fin d'ora a considerare l'opportunità di partecipare e a promuovere l'iniziativa all'interno della vostra società. A volte ritornano…….. XV corso base sulla sperimentazione clinica Varenna, 12-14 novembre 2013 Il 20-21 marzo 2014 si svolgerà a Berlino il 17° Congresso Mondiale ICPM (International Conference on Pharmaceutical Medicine), organizzato congiuntamente da IFAPP e da DGPharMed (la SSFA tedesca, vedere intervista a pagina 8). Il motto del Congresso è “Smart development for better drugs” ed i temi trattati saranno: Globalization of high impact clinical research; The new EU regulation for clinical trials; Global scope regulations in PV; Clinical outcome assessments; Global education in pharmaceutical medicine; New collaborative models for the pharma industry; Outlook 2015 and beyond; Intellectual property around the world; Impact of health care systems on the quality of care; Hot regulatory topics: inspections. Il corso di Varenna, un classico del programma formativo SSFA, ritorna a novembre con la quindicesima edizione. Oltre trecento studenti possono confermare sia del valore del corso, sia del suo continuo aggiornamento alle regole e procedure di un mondo che cambia in continuazione. Il quindicesimo corso, diretto da Luciano M. Fuccella, è stato rivisto ed aggiornato nel programma e nei docenti. Iscrivetevi subito, oppure fate iscrivere i vostri colleghi più giovani! I posti sono solamente 30: sono previste agevolazioni per le prime iscrizioni, e per iscrizioni multiple dalla stessa azienda. Programma dettagliato ed altre informazioni sono sul sito Arrivederci a Varenna. www.icpm2014.com Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Abramo - [email protected] Domenico Barone - [email protected] Maria Mercede Brunetti - [email protected] Rita Bussi - [email protected] Sergio Caroli - [email protected] Domenico Criscuolo - [email protected] Francesco De Tomasi - [email protected] Luciano M. Fuccella - [email protected] Marco Romano - [email protected] Raimondo Russo - [email protected] Carla Turriziani - [email protected] CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente: Gianni De Crescenzo Vice—presidente: Marco Romano Segretario: Luigi Godi Tesoriere: Anna Piccolboni Consiglieri: Rossana Benetti, Salvatore Bianco, Simona Colazzo, Marco Corsi, Domenico Criscuolo, Giovanni Fiori, GiovanBattista Leproux Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo, Francesco De Tomasi, Luciano M. Fuccella, Marco Romano Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected] SSFA oggi Stampa: MEDIA PRINT, Livorno Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007 “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO” Numero progressivo 39 Periodicità: bimestrale WWW.SSFA.IT
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