Informatore Missionario - Macherio n. 51 - 14 Settembre 2014 PERIFERIE, CUORE DELLA MISSIONE La parola “periferie” ricorre frequentemente nel magistero di papa Francesco, che si è presentato come ”venuto dalla fine del mondo” e che ci spinge continuamente a “uscire”, a creare nelle comunità le condizioni per favorire l’”inclusione”. Lui stesso non poteva che richiamare tutta la Chiesa a raggiungere le “periferie esistenziali”: dimenticati, esclusi, stranieri, umanità insomma ai “margini” della nostra vita (ma possiamo considerarci “noi” centro?). Nel tema della prossima giornata missionaria mondiale è contenuta una duplice “provocazione” per le nostre Chiese locali: accogliere l’invito a uscire dal nostro modo di pensare e vivere, per essere Chiesa attratta dai “lontani della terra”, per riscoprire il “cuore” della missionarietà, che è la gioia sperimentata dal missionario mentre evangelizza, sapendo che annunciando Gesù, tutti sono arricchiti e resi testimoni della gioia del Vangelo (= lieta notizia). Soffermiamoci sul termine “periferia” per assimilare quale stile viene richiamato con questo tema: la periferia è il cuore della missione della Chiesa, è il cuore di ciò che vibra, ciò che raccoglie i desideri e le scelte dell’uomo, infatti chi pone il suo cuore nelle periferie è uno che esce continuamente dalle sue sicurezze e s’incammina verso l’altro che vive lontano da sé… Dio ci spinge a uscire da noi stessi per incontrare, nel volto dei fratelli, il suo stesso volto: “Ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Dio s’identifica coi miei fratelli… il cuore paterno di Dio vuole abitare tra gli ultimi… Andare / Uscire verso gli ultimi (poveri e peccatori) per i cristiani non vuol dire solo andare Briciole di Missione - 1 - verso i fratelli e le sorelle, ma scoprire che Dio è già qui, Lui accanto all’umanità. Se le “periferie” sono il “luogo” dove si converte la Chiesa, andare verso le periferie (e abitarvi da poveri in mezzo ai poveri) significa far risuonare l’annuncio del Regno che libera dall’attaccamento disordinato nei confronti delle ricchezze… Nella settimana di formazione di Assisi, a fine agosto 2013, meditando il passo di Atti 3,4, è stato fatto notare che la guarigione dello storpio presso la porta del Tempio, è una immagine chiara del dinamismo che qui vogliamo illustrare: Gesù ordina all’uomo storpio: “Alzati, mettiti nel mezzo” (la periferia diventa il centro della scena, mentre Gesù si colloca in secondo piano); Gesù vuole che tutti guardino con benevolenza e con misericordia quell’uomo, perché in modo fraterno si comprenda che la malattia lo ha “spinto fuori”, lo ha costretto a vivere ai margini… Potrebbe sembrare in controtendenza questo tema rispetto al titolo del prossimo Convegno Missionario Nazionale di Sacrofano: “Alzati e va’ a Ninive, la grande città”. In realtà il suggerimento è quello di vedere nella “grande città” e nella vita della “gente di Ninive” le periferie, o comunque un luogo di molteplici povertà materiali e spirituali, dove moltissimi uomini e donne “non sanno distinguere la destra dalla sinistra”. Al numero 127 dell’Evangelii Gaudium, papa Francesco scrive, parlando della predicazione (e Giona si è dimostrato profeta efficace verso quelli di Ninive): “C’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai vicini quanto agli sconosciuti. E’ la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa…” L’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (traducibile sia in “la gioia del vangelo” ma anche “la gioia di evangelizzare”) ci guiderà sicuramente neIl’itinerario di questi anni, ed i sussidi che vengono proposti da Missio, contribuiranno a sviluppare ciò che la preghiera preparata per la Giornata Missionaria Mondiale, contiene come enunciato: Il Signore ci aiuti a uscire dalle nostre certezze per incontrare chi sembra “lontano”; lo Spirito ci richiami a essere Luce del mondo alla periferia di ogni uomo, dove le tenebre impediscono ai nostri fratelli di essere pienamente uomini; il Padre ci renda misericordiosi e, commuovendoci per i fratelli più poveri, ci renda Dono per tutti. DURANTE L’OTTOBRE MISSIONARIO Il gruppo missionario vi offre un mini sussidio di meditazione e preghiera durante le cinque settimane del mese troverete il “FOGLIETTO MISSIONARIO” in fondo alla chiesa Briciole di Missione - 2 - Briciole di Parola: Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” Mt 16, 24-2 LA DIREZIONE DELLA VITA Le parole di Gesù nel Vangelo accolto dai cristiani (da tutte le comunità nei più diversi luoghi della terra, dalle nostre parrocchie fino ai cristiani perseguitati, come quelli in Iraq) ci incoraggiano a mettere da parte il nostro egoismo e camminare dietro a Lui, per vivere il nostro esodo. Pietro ha riconosciuto Gesù quale Messia ma non capisce, non accetta lo stile del Maestro. Che fatica anche per noi accettare un Dio che ci insegna a vivere con amore, offrendo noi stessi. Che sensazione di debolezza credere in Dio che piuttosto d’intervenire alla violenza degli uomini, muore lui stesso a causa della violenza, cioè paga di persona! Gesù pronuncia queste parole: “rinnega te stesso”, “prendi la tua croce”, seguimi”! Questo è vivere “dietro Lui”, mettendo la sua Parola al posto delle nostre parole! Vale la pena chiedersi se stiamo mettendo noi stessi al centro o stiamo imparando a favorire gli altri affinché siano felici, entrino nel Regno... Chi infatti vuole “salvarsi” con qualunque stratagemma, cioè provare ad allontanare la paura di morire rincorrendo l’approvazione del mondo (cioè coloro che non conoscono il Vangelo), si perderà, sciuperà il tesoro della propria esistenza. In fondo, la lezione di Cristo svela il senso più autentico del nostro essere umani: “Solo coloro che hanno il coraggio di lasciar andare possono sperare di tornare a possedere” (Meister Eckhart, mistico). TESTIMONIANZA Proponiamo un passaggio tratto da un’omelia di Oscar Romero, vescovo martire di San Salvador. Il suo esempio come vera offerta della vita a Cristo. Questa è la vera realtà assoluta del cristiano: Dio e il suo Cristo. Cristo è la ricchezza Briciole di Missione - 3 - assoluta dell’uomo. Per guadagnare Cristo si deve perdere tutto. Lo stesso ci è stato detto una di queste domeniche: “Colui che non rinuncia persino alla sua famiglia, a se stesso, per seguirmi, non è degno di me”. Tutti coloro che danno un senso di idolatria al denaro, lo stanno assolutizzando. Stanno facendosi un dio, un vitello d’oro, e davanti a lui si prostrano e fanno sacrifici. Non importa se mandano ad uccidere persone per mantenere questa situazione. L’unico valore per il cristiano è Dio, è Cristo. L’unica ricchezza per la quale vale la pena perdere tutto è colui che pagò con la sua vita il prezzo della mia redenzione. Che serve all’uomo guadagnare tutto il mondo se alla fine perde la sua vita? A che serve che abbia goduto tutti i beni della terra, estorcendoli, come ha detto il profeta Amos, se ora si lamenta come il ricco epulone finito nell’inferno a causa delle sue ricchezze mal amministrate? Per questo, fratelli, la Chiesa è presente per la salvezza di tutti, come ha detto san Paolo: questa è la volontà di Dio, la salvezza di tutti gli uomini. tratto da Oscar Romero, Omelia del 18 settembre 1977, in A. Agnelli, Il Cristo di Romero, EMI, Bologna 2010, p. 26 SPUNTI PER LA CONDIVISIONE Proviamo – partendo dalla pagina evangelica – a valutare quanto ci fa problema “seguire Cristo” e impariamo a chiedere aiuto a qualcuno nella nostra famiglia e/o parrocchia. Seguire Gesù significa avere uno sguardo nuovo sulla vita: cosa significa per noi celebrare l’Eucaristia e accogliere il Vangelo, da quando ci hanno raggiunto le notizie delle persecuzioni in atto? «ESSERE PRETE NELLA CHIESA IN DIALOGO»: una lettera inedita di Paolo Dall’Oglio Domenica 31 agosto sono ricorsi 30 anni dalla consacrazione al sacerdozio di Paolo Dall’Oglio, gesuita italiano, collaboratore fisso di Popoli, rapito in Siria il 29 luglio 2013. Per fare memoria di questa ricorrenza, la famiglia ha deciso di rendere pubblica attraverso il sito di Popoli - ampi stralci di una lettera inedita che padre Paolo scrisse in occasione della sua ordinazione diaconale, avvenuta un anno prima. Si tratta di un testo molto denso, in cui già sono contenuti i fondamenti sui quali padre Paolo (allora ventinovenne) ha costruito la sua vita e la sua missione in Siria, in particolare il percorso di consacrazione al dialogo. Il 30 ottobre sarò ordinato diacono nella Chiesa del Gesù (a Roma, ndr), alle ore 16 in punto, secondo il rito della Chiesa siriaca e spero poi di essere ordinato prete a Damasco l’estate Briciole di Missione - 4 - prossima. Il diaconato è «l’ordine del servizio ecclesiale»: si tratta del sacramento dell’ordine in questa sua prima dimensione, «il servizio». Noi sappiamo che ogni uomo ha una vocazione, ma ci pare che una persona che si occupa di stare in rapporto con Dio per aiutare i fratelli a trovarlo e che continua a spezzare per loro il Pane di Vita sulla scia di Gesù e degli Apostoli, debba essere chiamato in un modo molto chiaro. Una certa volta, in un posto e ad un’ora precisi, ho avuto la chiara coscienza che il Signore mi voleva con lui a tempo pieno e con tutto me stesso, per essere una persona a sua disposizione da mandare secondo i bisogni del Regno; il tutto accompagnato da molta gioia... Conoscevo già abbastanza i Gesuiti per intuire che in Compagnia avrei potuto realizzare quella vocazione... Ma sono meravigliato continuamente a causa di questa chiamata: la mia esperienza è che Dio non butta via nulla della persona, tutto deve essere e dovrà essere purificato e assunto per fare l’argilla con cui ci vuole plasmare. […] In questi anni, con i miei «Superiori» abbiamo portato avanti un discernimento riguardo alla mia missione nell’ambito del lavoro apostolico della Compagnia di Gesù. Questa missione è, in tre parole, quella di essere prete nella Chiesa in dialogo. In dialogo: cioè in apertura a Dio e al mondo, e qui penso che l’essere nato romano sia una grazia speciale: infatti mi pare che a Roma abbiamo una netta percezione, insieme coi limiti, anche della missione universale della Chiesa; e se non si cade nel «romacentrismo», si capisce che un servizio universale è possibile solo come apertura alla pluralità ed accoglienza della diversità. Più in particolare il mio impegno è nella Chiesa siriana antiochiana (che è parte del puzzle della Chiesa in Siria). È un atto di rispetto, di affetto e di riconoscenza per una Chiesa rimasta fedele, nonostante un mare di difficoltà, al Vangelo ricevuto dagli Apostoli, e che ha dato alla Chiesa universale uno stuolo di santi, martiri, dottori… È una Chiesa fiera del suo patrimonio culturale e che, se ama pregare in Siriaco, lingua parlata anche da Gesù e dagli Ebrei del suo tempo in Palestina, non rifiuta di esprimersi in Arabo, di pregare in Arabo, la lingua dei figli d’Ismaele, dei Musulmani, con i quali il signore l’ha messa a contatto da tanti secoli perché, nella fedeltà e nella sofferenza, si prepari il giorno del riconoscersi di tutti i figli di Abramo nell’unica Via, la Misericordia del Padre. La Chiesa siriana è attualmente divisa tra cattolici e ortodossi, ma si è fatta parecchia strada verso l’unità, e ancora se ne farà se nella Chiesa cattolica si affermerà sempre più uno stile di profondo rispetto capace di amare e valorizzare le diverse tradizioni e se in tutti prevarrà il desiderio di dare al mondo un’unica umile testimonianza. Cercherò di contribuire al dialogo islamicocristiano con la chiara coscienza che non si può efficacemente fare questo lavoro se resta monopolio clericale e non diventa una via di molti per vivere il battesimo. Questo impegno è sia dei Vescovi che, con l’aiuto del loro clero, garantiscono la continuità con Gesù, sia della chiesa tutta costituita dai Cristiani nel mondo i quali sono la continuità con Gesù. Ma se il dialogo non lo viviamo dentro, come lo predichiamo fuori? E se Chiese potenti e maggioritarie restano il modello di sviluppo, come pretenderemo che i cristiani che si trovano privi di potere o minoritari non sentano la tentazione di fare ghetto o di emigrare, come avviene in Medio Oriente? In quest’ottica l’Islam costituisce una prova, una sfida, un appello indiretto alla crescita e alla Briciole di Missione - 5 - conversione, per conoscere e imitare Gesù, sia per i cristiani medio-orientali che per la Chiesa tutta. La Chiesa di oggi è chiamata, mi pare, a vivere anche qui a Roma, proprio qui a Roma, un processo di apertura alle grandi realtà non cristiane che ci circondano e che veicolano dei valori autentici o almeno delle esigenze autentiche: se lo spirito lavora in noi, ed il nostro processo di cristificazione, come singolo e come Chiesa, è avanzato, allora, senza paura, possiamo penetrare tutte le realtà, ed a contatto con esse ci sarà insegnato cosa dire; cioè la fede si veste di, si incarna in, si esprime con la realtà incontrata, ed io stesso, insieme al fratello incontrato, faccio un’esperienza nuova della multiforme Sapienza di Dio. Questo processo è quello dell’incarnazione e si applica alla vita concreta di ciascuno: famiglia, lavoro, cultura, ideologie... Beninteso, non sono io che mi incarno, ma è la verità che, attraverso il dialogo, avviene tra noi. È spesso più un problema di metodo che di etichetta. Con un mio carissimo amico musulmano dicevamo: «Ci sono solo due partiti: quello dell’estremismo fanatico (cioè in cui io sono il metro per giudicare gli altri) e quello di Dio (cioè il contrario del primo, e quindi il cercare e trovare la bellezza del suo volto in tutte le cose)»; mi pare che c’è qui un buon criterio di giudizio e autocritica per muoverci nel mondo e nella Chiesa oggi. Il dialogo è anche il mio impegno «politico» perché porta alla pace e alla giustizia, ma allora è evidente che non deve essere un dialogo di chiacchiere ma di segni e di fatti concreti. La mia esperienza medio orientale, ma bastano le nostre esperienze italiane, mi insegna che tutti i livelli dell’esistenza sono coinvolti nel conflitto dalla religione fino all’economia ed il dialogo si deve fare a tutti i livelli nella loro interdipendenza, e c’è veramente lavoro per tutti! Concludendo, è questo servizio (diaconia) del dialogo per la pace con Dio e tra noi che vorrei fosse il senso di questa mia ordinazione diaconale; servizio sempre necessario, e parte già di quell’azione sacerdotale che è la celebrazione del mistero di Gesù nostra pace. Col Salmo 122 vi chiedo: «Domandate pace per Gerusalemme… per amore dei miei fratelli ed amici, io dico: pace a te». Con affetto, vi voglio un gran bene. Paolo Dall’Oglio «IL PADRE NOSTRO IN ARAMAICO PER I CRISTIANI PERSEGUITATI» L’idea lanciata dal cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, in visita in Iraq: preghiamo per il ritorno dei cristiani alle loro case utilizzando le loro parole In pochi giorni abbiamo imparato a conoscere la la lettera nun dell’alfabeto arabo che impressa sui muri delle case dei cristiani di Mousl per indicare i «nazareni» - è diventato il simbolo della persecuzione contro i cristiani in Iraq. In molti hanno scelto in questi giorni questo simbolo per esprimere pubblicamente la propria vicinanza ai cristiani di Mosul: è diventata una specie di logo. Dall’Iraq in queste ultime ore è giunta però anche la proposta di un altro gesto che prova a spingersi anccora un passo più avanti in questa vicinanza. A lanciarla è stato il cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, che si è recato in visita proprio ai cristiani iracheni Briciole di Missione - 6 - esuli nelle città del Kurdistan. Dopo aver ascoltato le loro sofferenze ha fatto un promessa: «D’ora in poi reciterò ogni giorno il Padre nostro in aramaico-assiro, la vostra lingua, fino a quando non sarete ritornati a Mosul», ha detto. Ieri anche l’Oeuvre d’Orient - una storica ong francese che sostiene le comunità cristiane d’Oriente - ha fatto proprio questo gesto. E ha proposto sul proprio profilo Facebook una traslitterazione del Padre nostro del messale della liturgia caldea. Questo per permettere a tutti quelli che lo desiderano di pregare con le stesse parole dei cristiani di Mosul, anche senza essere in grado di leggere i testi assiri. Rilanciamo anche noi questa stessa traslitterazione invitando chi lo desidera a unirsi a questo gesto molto bello, che non si limita a sbandierare un logo ma prova a condividere davvero anche una storia: A’oun D’ouashmaya nethqaddash shmakh téthé malkouthakh nehoué seouyanakh a’iykanna d’ouashmaya ap b’ar’a. Haoulan lahma d’sounqanan yaoumana ouashwoklan houba’in ouahtaha’in a’iykanna d’ap hnan shouaqa’in lhayaoua’in. Ou la ta’lan lnessyona ella passan men bisha mettol dilakhi malkoutha haïla outheshbota l’alam almin amen. LO SCONCERTO DELL’UOMO EUROPEO In un articolo per “Il Sole 24 Ore”, pubblicato domenica 24 agosto, il cardinale Scola sottolinea che le drammatiche situazioni in Iraq, in Siria, ma anche in Ucraina, in Afghanistan e in Libia, costituiscono per l’uomo europeo una radicale messa in questione. Le notizie e soprattutto le immagini - come il raccapricciante video della decapitazione di James Foley - hanno travolto la diga di paura mista ad indifferenza dietro cui la stanca Europa si stava difendendo, lasciando emergere un drammatico sconcerto. Scoperta dolorosa e destabilizzante, ma anche possibile punto di partenza per un sano ritorno alla realtà senza però false divisioni tra realtà e pensiero Ciò che sta succedendo sia pur con connotazioni assai diverse in Iraq, in Siria, ma anche in Ucraina, in Afghanistan ed in Libia, costituisce per l’uomo europeo una ra- dicale messa in questione. Le notizie e soprattutto le immagini - pensiamo all’osceno, raccapricciante video della decapitazione di James Foley - arrivate da quelle terre han- Briciole di Missione - 7 - no travolto la diga di paura mista ad indifferenza dietro cui la nostra stanca Europa si stava difendendo, lasciando emergere un drammatico sconcerto. Scoperta dolorosa e destabilizzante, non c’è dubbio, ma anche possibile punto di partenza per un sano ritorno alla realtà, come ritiene Galli della Loggia, senza però false divisioni tra realtà e pensiero. La riflessione europea, infatti, lo ha definitivamente chiarito: non esiste pensiero che non sia pensiero della realtà e non esiste realtà che non sia pensata. Detto questo non siamo certo al riparo dal rischio dell’astrazione, della separazione, che finisce per sostituire la realtà con una nostra immagine di essa, cadendo nell’ideologia. Ma la realtà è testarda: alla fine si impone sempre, e se ignorata lo fa spesso in modo violento. Come, allora, rendere fecondo questo sconcerto? Anzitutto non continuando a rimuovere questioni decisive con cui, invece, occorre fare i conti. L’uomo europeo non può accomodarsi nella sua finitudine gaia, ignorando il fatto che il pianeta è ormai iperconnesso e illudendosi che l’Europa abbia acquisito lo status di zona franca, non toccata dalle circostanze storiche, anche nella loro dimensione maligna ed umbratile. È una strada rischiosa, ma il rischio fa parte della libertà, e mette in conto la possibilità di dover pagare di persona. Una prima decisiva questione. Se da una parte fatichiamo a tenere insieme le diversità, dall’altra per vivere e per convivere abbiamo bisogno di un criterio unificante. Lo individua assai bene San Giovanni Paolo II nel suo magistrale e sempre attuale discorso del 2 giugno 1980 all’Unesco sulla cultura: «Genus humanum arte et ratione vivit» (cfr. San Tommaso «In Aristotelis “Post. Analyt.”», 1). Il Papa afferma che nell’interpretazione di san Tommaso la cultura è una caratteristica della vita umana come tale: «La cultura è un modo specifico dell’“esistere” e dell’“essere” dell’uomo» e determina «il carattere inter-umano e sociale dell’esistenza umana. Nell’unità della cultura, come modo proprio dell’esistenza umana, si radica nello stesso tempo la pluralità delle culture (…) In questa pluralità, l’uomo si sviluppa senza perdere tuttavia il contatto essenziale con l’unità della cultura». Se ben interpretato questo criterio non ha nulla del politicamente corretto, non intende salvare capre e cavoli, non vuole e non può strutturalmente nascondere la radicale diversità, come quella a cui ci costringe il confronto con realtà come l’Isis e tutti i fondamentalismi integralisti e, su un piano completamente diverso, con realtà tragiche come l’esplosione dell’ebola. Qui si apre la seconda questione altrettanto indifferibile e oggetto di una rimozione ancor più pericolosa. Per dirla in poche parole: Briciole di Missione - 8 - quando le domande legate al rapporto cultura-culture si fanno radicali, il principio di realtà fa inesorabilmente affiorare la dimensione, per sua natura, “religiosa” dell’umana esistenza. È impossibile sganciare la vita personale e sociale dagli interrogativi ultimi. Per altro essi si attestano quotidianamente nel bisogno-desiderio di ogni uomo di essere definitivamente amato per poter definitivamente amare, così come nell’inevitabile interrogativo sul senso del lavoro o in quello dell’importanza del riposo, ambito di educazione permanente alla prospettiva della morte e del suo superamento, per quanto possibile sereno. Fattori questi senza i quali i temi dei diritti e dei doveri, delle leggi, in una parola di una giustizia sociale fondata su libertà realizzate, diventano assai fumosi. Ogni uomo è religioso perché ogni uomo non può evadere, anche se formalmente li rifiuta, questi interrogativi. È vero che l’uomo europeo si è ormai lasciato alle spalle la teoria secolarista dell’avvento di un “mondo puramente mondano” e accoglie o perlomeno sopporta ogni forma di sacro, anche selvaggio. Tuttavia va sempre più diffondendosi la convinzione che le religioni sono nello stesso tempo tutte diverse e tutte uguali. Nata da un equivoco concetto di libertà religiosa, questa posizione tratta la religione come un genere di cui le singole religioni sarebbero una specie. E quando questa specie non resta subordinata al genere, e cioè sostanzialmente non si lascia relegare in una sorta di riserva indiana, allora essa diventerebbe violenta e pericolosa. Non a caso è sempre più diffusa la tesi che le tre grandi religioni monoteistiche, in tanto in quanto non rinunciano a porre in termini assoluti il rapporto tra verità e libertà, sarebbero per loro natura generatrici di violenza. È questo un sintomo eclatante dello smarrimento del principio di realtà, proprio perché non vede più che il rapporto diversità-unità, culture-cultura è insuperabile. Le religioni non sono specie, in fondo intercambiabili, di un unico genere, ma la modalità con cui nella storia dell’umanità si concretizza il rapporto con Dio. La loro “pretesa” di universalità passa attraverso la singolarità storica di tutte le loro espressioni. Se non si capisce questo, il dialogo tra le religioni e le diverse mondovisioni diventa impossibile. Soprattutto non si troverà mai l’antidoto contro il veleno di interpretazioni e pratiche violente ed integraliste delle stesse. Questo vale anche per l’Islam. Ma per questa stessa ragione, lungo la storia non si è riusciti ad impedire integralismi, fondamentalisti e violenti, neppure in seno al cristianesimo. È necessario riconoscere in concreto il proprio di ogni religione, non a partire da un concetto astratto e universalistico (il genere “religione”), ma accogliendo il realizzarsi, cioè il porsi e lo svilupparsi, di ogni religione nella storia. Allora, per stare all’Europa, il cristianesimo non può essere considerato una specie del genere religione. Esso realizza, nel qui ed ora della storia, l’inaudita autocomunicazione di Dio che viene incontro alla finitudine e alla povertà dell’uomo. Gesù Cristo nel dono d’amore che fa di Sé sulla croce assicura a tutti la prospettiva della Risurrezione. L’insuperabile rapporto verità-libertà secondo la fede cristiana è visibile contemplando il Crocifisso Glorioso, segnato dalle piaghe della Sua passione. Del resto questa è l’esperienza di ogni umano amore. Amando fino in fondo fedelmente, oblativamente, la singola persona che a sua volta mi dona Briciole di Missione - 9 - amore, imparo ad amare tutti: nel singolare l’universale. Ritrovare l’energia per coniugare il molteplice e l’uno riscoprendo il rapporto culture/ cultura e universale/singolare sarà di grande aiuto per affrontare la questione della pace giusta, come ha scritto Pierangelo Sequeri. Insieme a quella, ad essa strettamente lega- ta, del decisivo intervento umanitario nelle situazioni di grave conflitto. Compiti cui la famiglia umana è naturalmente orientata per il vincolo di solidarietà e di “compassione” che inesorabilmente la lega. di Angelo Card. Scola Arcivescovo di Milano BRICIOLE DI... PAPA FRANCESCO Ogni volta che rinnoviamo la nostra professione di fede recitando il “Credo”, noi affermiamo che la Chiesa è «una» e «santa». Èuna, perché ha la sua origine in Dio Trinità, mistero di unità e di comunione piena. La Chiesa poi è santa, in quanto è fondata su Gesù Cristo, animata dal suo Santo Spirito, ricolmata del suo amore e della sua salvezza. Allo stesso tempo, però, è santa e composta di peccatori, tutti Briciole di Missione - 10 - noi, peccatori, che facciamo esperienza ogni giorno delle nostre fragilità e delle nostre miserie. Allora, questa fede che professiamo ci spinge alla conversione, ad avere il coraggio di vivere quotidianamente l’unità e la santità, e se noi non siamo uniti, se non siamo santi, è perché non siamo fedeli a Gesù. Ma Lui, Gesù, non ci lascia soli, non abbandona la sua Chiesa! Lui cammina con noi, Lui ci capisce. Capisce le nostre debolezze, i nostri peccati, ci perdona, sempre che noi ci lasciamo perdonare. Lui è sempre con noi, aiutandoci a diventare meno peccatori, più santi, più uniti. «Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). La Chiesa ha cercato fin dall’inizio di realizzare questo proposito che sta tanto a cuore a Gesù. Gli Atti degli Apostoli ci ricordano che i primi cristiani si distinguevano per il fatto di avere «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32); l’apostolo Paolo, poi, esortava le sue comunità a non dimenticare che sono «un solo corpo» (1 Cor 12,13). L’esperienza, però, ci dice chesono tanti i peccati contro l’unità. E non pensiamo solo agli scismi, pensiamo a mancanze molto comuni nelle nostre comunità, a peccati “parrocchiali”, a quei peccati nelle parrocchie. A volte, infatti, le nostre parrocchie, chiamate ad essere luoghi di condivisione e di comunione, sono tristemente segnate da invidie, gelosie, antipatie… E le chiacchiere sono alla portata di tutti. Quanto si chiacchiera nelle parrocchie! Questo non è buono. Ad esempio quando uno viene eletto presidente di quella associazione, si chiacchiera contro di lui. E se quell’altra viene eletta presidente della catechesi, le altre chiacchierano contro di lei. Ma, questa non è la Chiesa. Questo non si deve fare, non dobbiamo farlo! Bisogna chiedere al Signore la grazia di non farlo. Questo succede quando puntiamo ai primi posti; quando mettiamo al centro noi stessi, con le nostre ambizioni personali e i nostri modi di vedere le cose, e giudichiamo gli altri; quando guardiamo ai difetti dei fratelli, invece che alle loro doti; quando diamo più peso a quello che ci divide, invece che a quello che ci accomuna… Cari amici, facciamo risuonare nel nostro cuore queste parole di Gesù: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Chiediamo sinceramente perdono per tutte le volte in cui siamo stati occasione di divisione o di incomprensione all’interno delle nostre comunità, ben sapendo che non si giunge alla comunione se non attraverso una continua conversione. Che cos’è la conversione? È chiedere al Signore la grazia di non sparlare, di non criticare, di non chiacchierare, di volere bene a tutti. È una grazia che il Signore ci dà. Questo è convertire il cuore. E chiediamo che il tessuto quotidiano delle nostre relazioni possa diventare un riflesso sempre più bello e gioioso del rapporto tra Gesù e il Padre. Papa Francesco Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae Briciole di Missione - 11 - LE NOSTRE SORELLE BERNARDETTA, OLGA E LUCIA UCCISE A KAMENGE LE NOSTRE SORELLE UCCISE NELLA LORO BERNARDETTA, OLGA E LUCIA CASA A KAMENGE, IN BURUNDI “Io gioisco pienamente nel Signore”, dice il ritornello del salmo della liturgia di oggi, natività di Maria. Sarebbe stato il compleanno di Lucia Pulici, il suo 75°, dopo che, il 2 luglio scorso, aveva festeggiato i 50 anni della sua professione religiosa e missionaria. Pensiamo che queste parole ci vengono dette oggi da lei, da Olga Raschietti, da Bernardetta Boggian, uccise tra il pomeriggio e la notte di ieri domenica 7 settembre 2014, nella loro casa a Kamenge, dove da alcuni anni erano presenti, dando con gioia la loro presenza e le loro ultime forze alla popolazione di questa periferia di Bujumbura, in Burundi. Ci invitano a non lasciare che il dolore abbia l’ultima parola. Una scelta d’amore Il 20 luglio 2013, a Kamenge, Olga, raccontando la sua missione, diceva: « Sono ormai sulla soglia degli ottant’anni. Nel mio ultimo rientro in Italia, le superiore erano incerte se lasciarmi ripartire. Un giorno, durante l’adorazione, pregai: “Gesù, che la tua volontà sia fatta; però tu sai che desidero ancora partire”. Mi vennero limpidissime in mente queste parole: “Olga, credi di essere tu a salvare l’Africa? L’Africa è mia. Nonostante tutto, sono però contento che parti: va’ e dona la vita!”. Da allora, non ho più dubitato. » Lucia Pulici, il 1° ottobre scorso, alla vigilia della sua partenza, raccontava: “Sto tornando in Burundi, alla mia età e con un fisico debole e, limitato, che non mi perBriciole di Missione - 12 - mette più di correre giorno e notte come prima. Interiormente però credo di poter dire che lo slancio e il desiderio di essere fedele all’amore di Gesù per me concretizzandolo nella missione è sempre vivo. La missione mi aiuta dirgli nella debolezza: “Gesù, guarda, è il gesto d’amore per te”…. Unita a Lui, al suo donarsi, anche se mi sento debole fisicamente, sento che posso essere ancora a servizio di Lui per la salvezza del mondo.” A fine agosto 2013, Bernardetta, rientrando in Burundi, diceva: “L’annuncio di Gesù e dell’amore misericordioso del Padre diventa comprensibile se accompagnato dalla testimonianza di vita. Occorre nutrire in noi uno sguardo di simpatia, rispetto, apprezzamento dei valori delle culture, delle tradizioni dei popoli che incontriamo. Questo atteggiamento, oltre che dare serenità al missionario, aiuta a trovare più facilmente il linguaggio e i gesti opportuni per comunicare il Vangelo…. Nonostante la situazione complessa e conflittuale dei Paesi dei Grandi Laghi, mi sembra di percepire la presenza di un Regno d’amore che si va costruendo, che cresce come un granello di senape, di un Gesù presente donato per tutti. A questo punto del mio cammino continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando di vivere con amore, semplicità e gioia.“ Scritto da Teresina Caffi il 8 Settembre 2014 COMUNICARE IL VANGELO: IL RESPIRO DI CARLO MARIA MARTINI A due anni dalla morte di Carlo Maria Martini (31 agosto 2012), ne celebriamo il ricordo con un contributo che mette in luce la sua abilità di comunicare il Vangelo, una capacità conquistata attraverso anni di studi che hanno educato il cardinale a saper leggere nella realtà complessa, interrogandola e interrogandosi, imparando a dare ragione della propria fede e comunicandone la straordinaria bellezza, con uno stile affascinante e chiaro, attuale e concreto. La gioia del Vangelo ……Martini, fin dai primissimi interventi a Milano, ha interpretato i testi evangelici come “manuali” di educazione alla fede cristiana. Essi sono nell’ordine progressivo il Vangelo di Marco (manuale del catecumeno), di Matteo (manuale del catechista), di Luca (manuale del testimone) e di Giovanni (manuale del cristiano maturo). Il Vangelo piu antico, Marco, e quello del catecumeno, colui che contempla dal di fuori il mistero di Cristo e vuole entrarvi dentro, giungere al momento in cui quanto vede dall’esterno gli venga svelato. Il pagano deve abbandonare la propria religiosita superstiziosa e possessiva per giungere all’esperienza di Dio che Gesu rivela. Il passo successivo e segnato da Matteo, il Vangelo del catechista. Il battezzato non ha detto solo un si a Dio e a Gesu ma si e inserito all’interno di una comunita concreta. Matteo, attraverso i suoi cinque discorsi, offre una catechesi ragionata del regno di Dio e conduce a comprendere come accoglierlo, come vivere l’etica Briciole di Missione - 13 - cristiana, la tensione missionaria, la carita e il perdono. Luca e il passo successivo, quello della testimonianza verso coloro che non credono. Il Vangelo e poi il libro degli Atti contengono indicazioni per la formazione graduale e progressiva dell’evangelizzatore. Infine Giovanni rappresenta la maturita cristiana. E la situazione di colui che, dopo aver percorso le tappe precedenti, si chiede quale sia il centro delle esperienze fatte. Il Vangelo contemplativo trova la sua sintesi nella fede e nella carita. Questa “ipotesi di lavoro” ha guidato la predicazione e l’azione pastorale di Martini; egli proponeva cinque parole fondamentali come guida irrinunciabile per la vita della comunità cristiana: il silenzio, la Parola di Dio, l’Eucaristia, la missione e la carità. Dopo quindici anni di servizio episcopale, al termine del Sinodo diocesano 47°, il cardinale sintetizzava il compito della Chiesa per mezzo del verbo “evangelizzare”. In queste vibranti parole si percepisce, sinteticamente, il credente, l’esegeta, il vescovo, il comunicatore: Che cosa e dunque l’evangelizzazione? Essa designa un duplice aspetto: negativo e positivo. In negativo, evangelizzare e salvare dal male : tirare fuori dal non senso, dalla frustrazione e dalla noia, dalla disperazione, dal disgusto della vita, dalla incapacita di amare, dalla paura del dolore e della morte. E dare risposta alle invocazioni piu profonde di ogni coscienza umana. In positivo, evangelizzare e comunicare il Vangelo , la buona notizia su Gesu: la buona notizia che Dio ci ama davvero, tutti e ciascuno, e che Gesu e morto e risorto per la nostra salvezza, per liberarci dal peccato e dal male; la buona notizia del Regno che viene in Gesu e che si realizza gradualmente nella nostra adesione a Lui, nel diventare con Lui un solo Corpo, nell’entrare nella vita della Trinita. Evangelizzare non è soltanto comunicare verbalmente la buona notizia, ma comunicare vita, collaborare con lo Spirito del risorto che attrae ogni uomo per farlo una cosa sola in Gesu col Padre. […] L’evangelizzare suppone dunque che si sia assimilata nel cuore la realta del Vangelo, la sua ricchezza, la sua gioia, la pienezza di orizzonti che esso apre, il senso della vita che esso fa scoprire al di la di tutte le delusioni e le sofferenze, al di la della morte (Martini 1995, 33-34). Matteo Crimella Pontificia Università Urbaniana (Roma) Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano) Briciole di Missione - 14 - Briciole di Missione - 15 - Io ti auguro di non stare mai in testa e neppure in coda ma che tu possa stare sempre in mezzo al popolo, come Gesù. «Gesù, allora si sedette in mezzo ai dottori, aprì la bocca e disse....». Si sedette in mezzo; Gesù che si siede in mezzo. Anche per te: siediti in mezzo alla gente, senti il sapore e il profumo del popolo, inebriati di questo grande ideale di annunciare Gesù Cristo. È splendido: dà significato alla tua vita. (Cfr TONINO BELLO). Per suor Melania AUGURI DI CUORE dal TUO Gruppo Missionario Gruppi missionari del Decanato di Lissone S. Messa di inizio anno lunedì 15 settembre 2014 Ore 21,00 c/o ORATORIO di SOVICO Briciole di Missione - 16 - Briciole di Missione - 17 - I gruppi missionari della zona V di Monza venerdì 10 OTTOBRE 2014 dalle 21,00 alle 24,00 c/o parrocchia S.Rocco di Monza Adorazione e testimonianze PREGHIERA MISSIONARIA Prossimo banchetto - EQUO COMMERCIO 12 Ottobre 2014 piazzale della Chiesa dalle ore 7.30 alle 12.30 L’epidemia mortale in Africa EBOLA, SISTEMA SANITARIO AL COLLASSO Siamo ormai a 1552 morti accertati. Il virus potrebbe colpire oltre 20 mila persone e per fermarlo servono 490 milioni di dollari nei prossimi sei mesi. Situazione aggravata dalla precarietà in cui operano gli addetti sanitari senza risorse e mezzi adeguati. L’Onu organizza gli aiuti ad Accra. Procedono i test sul vaccino. di Angelo Ferrari - (Nigrizia) Si allarga l’epidemia di Ebola in Africa occidentale, che in base a un bilancio aggiornato ha già causato 1552 morti. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha parlato del virus come dell’emergenza sanitaria “più complessa degli ultimi anni” e ha lanciato l’allarme: l’epidemia potrebbe colpire oltre 20mila persone. I casi di contagio in Guinea (nelle foto di E. Dagnino da Macenta e da Guekedou), Liberia, Sierra Leone e Nigeria sono 3069 e le autorità di Abuja hanno confermato la prima morte per Ebola al di fuori di Lagos, dove fino ad ora si sono concentraBriciole di Missione - 18 - ti i casi. Ad aggravare la situazione, in particolare in Liberia, il paese più colpito, è lo sciopero degli infermieri del più grande ospedale di Monrovia e di tutto il paese. Gli addetti sanitari chiedono migliori attrezzature contro il contagio e stipendi più alti. “Abbiamo bisogno di equipaggiamenti adeguati e di essere pagati meglio perché rischiamo la vita”, ha detto il portavoce degli scioperanti John Fitzgeral Kennedy di Monrovia. Gli infermieri non torneranno al lavoro se prima non avranno ricevuto “tute per la protezione individuale” concepite per bloccare la trasmissione del contagio. “Non le abbiamo avute e questo spiega perché tanti medici sono stati contagiati”, ha aggiunto il portavoce. Nella sola Liberia ci sono stati 1378 casi diagnosticati della malattia, con 694 morti. Per fronte alla situazione l’Oms ha deciso di inviare in Liberia una squadra di 14 medici e operatori sanitari ugandesi, con ampia esperienza nel gestire le epidemie di Ebola. “Per affrontare quest’epidemia – ha spiegato il medico ugandese Atai Omoruto – abbiamo bisogno di avere una buona gestione dei pazienti, un’efficace aerea di isolamento e tracciare i contatti nelle comunità”. L’Oms, dal canto suo, ha messo a punto un piano per combattere la diffusione del virus nei quattro paesi africani, con particolare attenzione alle zone più affollate, come le capitali, e ai porti maggiori. Il costo stimato per contenere l’epidemia nei prossimi sei mesi, secondo l’organizzazione sanitaria, è di 490 milioni di dollari, che non include le spese per assicurare i servizi essenziali nei paesi colpiti. Un progetto più ampio, guidato dall’Onu partirà entro la fine di settembre e si concentrerà su sicurezza alimentare, approvvigionamento di acqua, igiene, istruzione e sanità. Per questo l’Onu ha scelto il Ghana come centro logistico per portare avanti la battaglia contro l’epidemia in Africa occidentale. L’annuncio è stato dato dal presidente ghanese Dramani Mahama dopo un conversazione telefonica con il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Accra sarà, quindi, l’hub di tutte le forniture e gli aiuti alla regione sub sahariana. L’epidemia si sta diffondendo in un “numero notevole di località”, ha spiegato l’Oms, che ha ribadito la necessità di una risposta “potente e coordinata”. Senza, però, spiegare i ritardi e la sottovalutazione della gravità dell’epidemia, fattori che hanno portato alla situazione attuale. Intanto, sono stati accelerati i test su un vaccino contro Ebola e già questo mese il siero potrebbe essere sperimentato su volontari. I risultati avuti nella sperimentazione sui primati sono incoraggianti. La notizia è stata data dal gigante farmaceutico GlaxoSmithKline (Gsk) che sta sviluppando il vaccino insieme all’Istituto nazionale della salute statunitense. “Preghiamo TUTTI per le vittime del virus ‘ebola’ e per quanti stanno lottando per fermarlo” E’ l’invocazione di Papa Francesco Briciole di Missione - 19 - Preghiera Padre nostro che stai in mezzo a milioni di uomini affamati, che stai nella vita di tutti gli uomini assetati di giustizia, Sia santificato il tuo nome nei poveri e negli umili. Venga il tuo regno, che è libertà, verità e fraternità nell’amore. Si compia la tua volontà, che è liberazione e Vangelo da proclamare agli afflitti. Dona a tutti il pane di ogni giorno: il pane della casa, della salute, dell’istruzione, della terra. Perdonaci, o Signore, di dimenticare i nostri fratelli E liberaci da ogni male e dalla costante tentazione di servire al denaro invece che a Te. Perché tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli. Amen. Briciole di Missione - 20 -
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