STUDENT OFFICE Pre Test 2014 Ingegneria Dispense di Fisica FISICA GRANDEZZE VETTORIALI: Quando i corpi si muovono lungo traiettorie curve che stanno su un piano utilizziamo un sistema di riferimento formato da: Due assi coordinati perpendicolari tra loro con un punto in comune chiamato origine Un orologio per misurare i tempi Per ogni punto P della traiettoria di un corpo è individuato un vettore posizione che unisce l’origine O a P. CINEMATICA: Legge oraria: relazione che lega l’istante di tempo t e da posizione s del corpo a quell’istante. Velocità media: rapporto tra lo spostamento del corpo e l’intervallo di tempo v=∆s/∆t Significato della velocità media nel grafico spazio‐tempo : pendenza/coefficiente angolare. Essa è una grandezza vettoriale che ha la stessa direzione e verso dello spostamento. Velocità istantanea: valore limite a cui tende il rapporto ∆s/∆t quando ∆t tende a zero: ds/dt. Essa è sempre tangente in P alla traiettoria [Conversione tra m/s km/h ] Accelerazione media: grandezza che descrive la rapidità con cui varia la velocità. Essa è il rapporto tra va variazione di velocità ∆v del corpo e l’intervallo di tempo ∆t in cui è avvenuta; a=∆v/∆t. Accelerazione istantanea: valore limite a cui tende il rapporto ∆v/∆t quando ∆t tende a zero: dv/dt. Significato dell’accelerazione nel grafico spazio‐tempo(tangente) e velocità tempo(pendenza) VARI TIPI DI MOTO: 1) Moto rettilineo uniforme: un corpo si muove lungo una retta con velocità costante. a. La velocità media è sempre la stessa: v=∆s/∆t ∆s=v∙∆t b. La legge oraria : quando un corpo si muove lungo una retta con velocità costante ed all’istante iniziale occupa la posizione s0, al generico istante t la sua posizione è data dalla formula: s= s0 + vt. c. Il grafico spazio tempo del moto rettilineo uniforme è una retta (genericamente una correlazione lineare). 2) Moto rettilineo uniformemente accelerato: quando un corpo si sposta lungo una retta con accelerazione costante. a. L’accelerazione media del corpo è sempre la stessa a=∆v/∆t ∆v=a∙∆t. b. La legge velocità‐tempo: un corpo che all’istante iniziale ha velocità v0 e si muove con accelerazione costante a, all’istante t ha velocità: v=v0+at. c. Il grafico velocità‐tempo di moto rettilineo uniformemente accelerato è una retta. d. La velocità media di un corpo che compie uno spostamento ∆s in un intervallo di tempo ∆t è la velocità costante che il corpo dovrebbe mantenere per compiere lo stesso spostamento nello stesso intervallo di tempo; le velocità media nel grafico velocità‐tempo corrisponde all’area del sottografico. e. La legge oraria: se un corpo si muove lungo una retta con accelerazione costante a ed all’istante iniziale occupa la posizione s0 ed ha velocità v0, al generico istante t la sua posizione è data dalla formula: s=s0+v0t+1/2at2. f. Formula utile: spesso è utile conoscere la realzione che lega velocità e spostamento, ecco che otteniamo la formula: ∆s=(v2‐v02)/2a. 3) Moto di caduta libera: quando un oggetto è asciato cadere verso il basso è influenzato dalla presenza dell’aria che oppone resistenza al moto che dipende dalla forma dell’oggetto. Quando la resistenza dell’aria è trascurabile tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione di gravità: g. a. L’accelerazione a in unità g basta dividere per 9,81 m/s2. b. Chiamiamo moto di caduta libera quando il corpo è sottoposto alla sola accelerazione di gravità c. Si possono applicare le formule del moto rettilineo uniformemente accelerato scegliendo un sistema di riferimento in cui la posizione del corpo è riferita ad un asse verticale con origine a livello del terreno. 4) Composizione dei moti (vettoriale): quando compio due spostamenti successivi ∆s1 e ∆s2 lungo direzioni diverse avremmo che ∆st =∆s1+∆s2 quindi il suo spostamento totale sarà la somma vettoriale dei due spostamenti. Stessa cosa vale per la velocità. 5) Moto in due dimensioni (moto del proiettile): quando un corpo è lanciato con una velocità iniziale v0 e la resistenza dell’aria è trascurabile, il proiettile segue una traiettoria in cui l’unica accelerazione che risente è quella di gravità g=9,81m/s2. a. I moti orizzontale e verticale di un proiettile sono indipendenti: Orizzontale velocità costante Verticale accelerazione costante (g) b. Se lanciato in direzione orizzontale: x=v0∙t vx=v0 y=y0 – gt2/2 vy= ‐ gt Il tempo di volo si calcola imponendo y=0 = tvolo La gittata (distanza orizzontale fra il punto di lancio e quello di arrivo del proiettile) G=v0 ∙ tvolo L’equazione della traiettoria (relazione che lega x ed y) x=v0∙t y=y0 – gt2/2 c. Se lanciato in direzione obliqua con velocità iniziale x=v0x ∙ t vx = v0x 2 vy = v0y ‐ gt y=v0y∙t – gt /2 Il tempo di volo si calcola imponendo y=0 t=0 (istante di lancio); tv=2 v0y/g (tempo di volo) Il tempo di salita è metà del tempo di volo tv=v0y/g (punto di massima altezza) La gittata G=v0 ∙ tvolo quindi G=(2∙v0x∙ v0y)/g L’equazione della traiettoria (relazione che lega x ad y) x=v0x ∙ t y=v0y∙t – gt2/2 6) Moto circolare uniforme: quando un corpo percorre una circonferenza con velocità di modulo costante. a. Il periodo T : intervallo di tempo che un corpo impiega a fare un giro. b. La frequenza f : è il numero di giri che un corpo effettua in un secondo con f=T‐1 c. Durante il moto la velocità dal corpo cambia sempre direzione infatti la velocità istantanea è sempre tangente alla traiettoria nel punto in questione quindi è soggetto ad un’accelerazione istantanea v=2πr/T d. Accelerazione centripeta: è diretta verso il centro della circonferenza e contribuisce al costante cambiamento della velocità istantanea, ha modulo: ac=v2/r = ω∙r DINAMICA: Studia i moti dei corpi in relazione alle forze che agiscono su essi; la dinamica unisce le tre grandezze di MASSA, FORZA ed ACCELERAZIONE. La forza si manifesta negli effetti che produce essa può essere di contatto o a distanza e sono grandezze vettoriali. I tre principi della dinamica sono: 1) Principio d’inerzia: un corpo rimane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fino a quando non agisce su esso una forza totale che modifica tale stato. (sistema di riferimento inerziale e non: in un sistema accelerato rispetto ad un sistema inerziale non vale il primo principio della dinamica) 2) Principio fondamentale della dinamica: a parità di massa l’accelerazione aumenta all’aumentare della forza applicata: F=m∙a definisco in Newton come unità del SI per le forze. Esso stabilisce il legame tra le cause(forze) ed il loro effetto (accelerazione). 3) Principio di azione reazione: quando due corpi interagiscono la forza che A esercita su B è uguale ed opposta a quella che B esercita su A. PESO: di un corpo è la forza, detta appunto FORZA PESO, con cui esso è attratto dalla terra ed è una grandezza vettoriale. Possiamo calcolarlo con la 2° legge della dinamica: P=m∙g (m=massa, g=accelerazione gravitazionale) MASSA: di una corpo è una grandezza scalare ed è una proprietà intrinseca del corpo perché è indipendente dal luogo in cui viene misurata (può essere intesa come “quantità di materia”). La bilancia a bracci uguali misura sia pesi che le masse! PESO APPARENTE: è il peso che misura la bilancia su cui è posto il corpo mentre il peso del corpo è la forza con cui è attratto dalla Terra. Il peso apparente coinciderebbe con il peso se la misura con la bilancia fosse fatta in un sistema di riferimento inerziale, non accelerato (come lo è l’ascensore). Ascensore che sale : Papparente = m(g+a) Ascensore che scende : Papparente = m(g‐a) (con a=accelerazione dell’ascensore; g=accelerazione di gravità; m=massa del corpo) VINCOLO: la reazione è detta vincolare perché è esercitata da un vicolo, cioè un corpo che limita la possibilità di movimento ai corpi a contatto con esso. Uno stesso vincolo esercita diverse reazioni a seconda della forza/peso che esercita su di esso. FORZA ELASTICA: in una molla, sottoposta ad una forza che l’allunga o l’accorcia, sorge una forza uguale ed opposta che tende a riportarla alla lunghezza a riposo. Questa è detta forza elastica perché tende a far tornare la molla nella condizione iniziale legge di Hooke: F=‐k ∙∆s FORZA CENTRIPETA: quando un corpo si muove di moto circolare uniforme la direzione ed il verso della velocità cambiano sempre seppur il suo modulo rimanga costante perché agisce l’accelerazione centripeta Fcentripeta= m ∙ v2/r FORZA CENTRIFUGA (apparente): l’accelerazione di gravità cambia sempre in base alla posizione che abbiamo sulla Terra. Quando siamo in un sistema che non è inerziale risentiamo di una forza fittizia che è uguale alla forza centripeta con verso opposto LAVORO: È una grandezza scalare legata all’azione di una forza lungo uno spostamento. Una forza compie lavoro su un corpo quando si realizzano due condizioni: ‐ Il corpo si sposta sotto l’azione della forza ‐ La forza ha una componente non nulla lungo la direzione dello spostamento Il lavoro di una forza costante è definito come: una forza costante agisce su un corpo lungo uno spostamento s e se indichiamo con F// il modulo del componente della forza parallelo allo spostamento, il lavoro compiuto dalla forza è: L=+ F// ∙ s (se hanno lo stesso verso) lavoro MOTORE L=‐ F//∙s (se hanno F// se hanno verso opposto) lavoro RESISTENTE Il lavoro è il prodotto scalare tra F// ed s, quindi in realtà dovremmo scrivere Interpretazione grafica del lavoro nel piano Forza‐Spostamento (area del sottografico) Le reazioni vincolari non generano la voro (lo spostamento è nullo) LAVORO ED ENERGIA: 1) LAVORO ELASTICO: per modificare di un tratto “d” la lunghezza a riposo di una molla con costante elastica k, una forza esterna deve compiere una lavoro: Lel=kd2/2 2) ENERGIA CINETICA: si conserva durante il moto infatti K=m∙v2/2 Teorema dell’energia cinetica: è la relazione che lega il lavoro con energia cinetica e ci dice che per variare l’energia cinetica del corpo bisogna accelerarlo, ossia modificare la sua velocità tramite una forza, che mentre agisce sposta il corpo e compie un lavoro su di esso: KF‐Ki=L. 3) ENERGIA POTENZIALE: il lavoro fatto contro una forza conservativa è immagazzinato come energia potenziale che corrisponde alla posizione dei corpi sui quali la forza agisce e che può essere convertita in energia cinetica. [Una forza non conservativa non ammette energia potenziale]. L’energia potenziale dipende dall’origine a cui imposto lo zero del sistema. Il lavoro che una forza conservativa compie su un corpo che si sposta da A a B è uguale alla differenza tra valore iniziale e valore finale della corrispondente energia potenziale: L=UA‐UB 4) ENERGIA POTENZIALE GRAVITAZIONALE: U=mgh (scegliendo come Uo un punto del pavimento) 5) ENERGIA POTENZIALE ELASTICA: Uel= kx2/2 LA CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA: l’energia meccanica E di un corpo è la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale del corpo stesso U + K = E (Quando ho forze conservative lìenergia meccanica caratterizza il moto di un corpo). TEOREMA DELLA CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA: l’energia meccanica di un corpo soggetto solo a delle forze conservative, si conserva. ENERGIA MECCANICA PER FORZE NON CONSERVATIVE: la variazione di energia meccanica di un sistema isolato è uguale al lavoro compiuto dalle forze non conservative. L’energia dispersa NON viene perduta bensì si trasforma in altri tipi di energia (termica, chimica, elettrica) l’energia totale di un sistema isolato si conserva FORZE CONSERVATIVE: una forza è detta conservativa quando il lavoro che essa compie su un corpo che si sposta dal punto A al punto B non dipende dalla traiettoria percorsa ma solo dalla posizione di A e B (iniziale e finale). Lungo un qualsiasi percorso chiuso, una forza conservativa, compie una lavoro totale nullo e il lavoro che una forza conservativa compie su un percorso da A a B è l’opposto del lavoro che la forza compie da B ad A. FORZE NON CONSERVATIVE : Compie sempre un lavoro totale non nullo lungo un percorso chiuso e se una forza compie un lavoro negativo si dice che è una forza dissipativa. Come distinguere una forza CONSERVATIVA da una NON? Una forza è conservativa se compie un lavoro nullo lungo un qualsiasi percorso chiuso. POTENZA: Un dato lavoro può essere compiuto in un intervallo di tempo più o meno lungo, quindi considerando la rapidità con cui viene compiuto lavoro introduciamo la potenza. Essa è il rapporto tra P=L/∆t [W] una forza F che muove un corpo a velocità costante v per un tratto ∆s, compie un lavoro L=F∙∆s perciò possiamo esprimere la potenza come P=F∙v. QUANTITA’ DI MOTO: Grandezza fisica importante perché vale per la legge di conservazione infatti la esprimiamo con q=mv. Inserita nel secondo principio della dinamica diventa F=∆q/∆t. LA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITA’ DI MOTO: in un sistema possono agire 2 tipi di forze, ESTERNE ed INTERNE e la forza risultante è la somma di queste due ed in un sistema isolato la quantità di moto si conserva (rimane costante nel tempo) ossia la quantità di moto iniziale è uguale alla quantità di moto finale del sistema isolato. URTI: Sono delle interazioni tra corpi che vengono a contatto per un intervallo di tempo molto breve in cui la quantità di moto prima e dopo l’urto si conserva. Abbiamo due tipi di urti: 1) Urto ANELASTICO: un urto in cui non si conserva l’energia cinetica totaleproblema indeterminato 2) Urto TOTALMENTE ANELASTICO: si conserva quantità di moto e le velocità finali sono uguali in quanto i corpi rimangono uniti dopo l’urto. 3) Urto ELASTICO: un urto in cui si conserva l’energia cinetica e quantità di moto (es. bocce del biliardo) 4) In DUE DIMENSIONI: devo dividere per le componenti verticali e orizzontali le varie quantità che si conservano (quantità di moto, cinetica se elastico e velocità finali uguale se anelastico totalmente) LEGGI DI NEWTON La meccanica classica, o newtoniana, è una teoria basata sui concetti di massa e di forza e sulle leggi che collegano questi concetti fisici alle grandezze cinematiche (spostamento, velocità, accelerazione) Nella meccanica classica tutti i fenomeni possono essere descritti usando 3 leggi: LEGGE DI INERZIA Un corpo preserva il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, a meno che sia soggetto all’azione di una forza esterna, la somma vettoriale delle forze che agiscono su di esso è nulla. LEGGE DI NEWTON L’accelerazione di un corpo è inversamente proporzionale alla sua massa ed è direttamente proporzionale alla risultante delle forze esterne. F = ma PRINCIPIO DI AZIONE E REAZIONE Le forze si presentano sempre a due a due: se il corpo A esercita una forza sul corpo B, una forza uguale, ma contraria, viene esercitata dal corpo B sul corpo A. ESEMPIO Esercizio Un blocco m1 è sospeso a una corda (di massa trascurabile) che scorre senza attrito attorno a un piolo ed è collegata a un altro blocco m2, poggiato su un tavolo senza attrito. Si trovi l’accelerazione di ciascun blocco e la tensione della corda. L tensioni nella corda T1 E T2 hanno moduli uguali, perché si suppone che la corda sia senza massa e che non agiscano forze tangenti su di essa (il piolo è privo di attrito). T=T1=T2 Per il blocco rosso (m1) le forze verticali gialla e rossa hanno moduli uguali per via del vincolo rappresentato dal tavolo che rende nulla l’accelerazione verticale di m1 La seconda legge di Newton applicata alla componente orizzontale è T=m1a1 dove a1 è l’accelerazione di m1 lungo la superficie orizzontale Se si prende positiva la direzione verso l’alto abbiamo che sul blocco 2 agiscono la tensione e la forza peso, per la Legge di Newton: T‐m2g=m2a2 A questo punto sapendo che la corda on si allunga, possiamo semplificare ulteriormente i calcoli visto che a1 e a2 sono uguali in modulo (ma non in verso) a=a1=a2 a questo punto T=m1a e T‐m2g=m2a da cui m1a‐m2g=m2a ossia a=m2g/m1+m2 e T=m1m2g/m1+m2 Esercizio Sia dato un piano inclinato di 30° privo di attrito su cui poggia una massa di 6 kg. Determinare l’accelerazione con cui scende il corpo. Soluzione L’equazione che descrive il moto del corpo è la seconda legge della dinamica F = ma Dove: F rappresenta la risultante di tutte le forze attive che determinano il moto del corpo; m la massa totale dei corpi sottoposti all’azione della forza risultante F; a è l’accelerazione dei corpi. Allora F = ma Diventa considerando la forza attiva F = ma //Calcolo F// = Fp sin(α) = mg sin(α) = 6⋅ 8,9 ⋅sin(30) = 29 4, N Sostituendo allora 29 4, = 6a 9,4 2 MISURA DI UNA GRANDEZZA FISICA La misura è il procedimento attraverso il quale, usando uno strumento appropriato, si stabilisce il valore di una grandezza fisica, cioè si associano a essa un numero e una unità di misura. Ogni misuro viene effettuata per mezzo di un confronto tra 2 grandezze omogenee. Di esse una rappresenta la grandezza di riferimento e viene chiamata appunto unità di misura. Ogni unità ha due importanti caratteristiche: ‐Deve restare costante nel tempo (ogni misurazione deve dare lo stesso risultato se ripetuta) ‐Deve essere facilmente riprodotta, in moda essere utilizzata ogni volta che si rende necessario il sua uso A questo punto è indispensabile distinguere 2 tipologie di grandezze: Grandezze fondamentali: stabilite dalla scelta dei campioni di riferimento Grandezze derivata: si deducono mediante una relazione analitica da quelle fondamentali Fissare delle grandezze fondamentali e i loro campioni unitari significa fissare un sistema di misura I principali sistema di misura adoperati sono: il sistema M.K.S. (lunghezza, massa, tempo rispettivamente in metro, kilogrammo, secondo) e il sistema C.G.S. (centimetro, grammo, secondo) GRANDEZZE SCALARI E GRANDEZZE VETTORIALI ‐Le grandezze scalari sono determinate da un numero che le misura in una certa scala, cioè da numero che esprime il rapporto fra la grandezza e un’altra della stessa specie presa come unità di misura. Esempi: la lunghezza, l’area, il tempo, la temperatura… ‐Le grandezze vettoriali sono determinate da modulo, direzione e verso Esempi:la velocità, la forza, la quantità di moto… TERMODINAMICA E’ quella branca della fisica che studia gli scambi energetici che avvengono tra un sistema e l’ambiente, ossia tutto ciò che lo circonda. Un sistema termodinamico viene definito: • isolato: se non scambia ne energia ne materia con l’ambiente esterno; • chiuso: se scambia solo energia; • aperto: se scambia sia energia che materia. Per descrivere lo stato termodinamico di un sistema si utilizzano le variabili termodinamiche. Come per descrivere la POSIZIONE di un punto nello spazio abbiamo bisogno di 3 COORDINATE (x,y e z), cosi per descrivere lo STATO TERMODINAMICO di un sistema avremo bisogno di n VARIABILI TERMODINAMICHE. Ad esempio per descrivere lo stato termodinamico di un gas perfetto sono sufficienti 3 variabili termodinamiche: pressione, volume e temperatura. Questo significa che una volta che son noti pressione volume e temperatura di un gas si sa in maniera univoca quale sia il suo stato termodinamico. È detta TRASFORMAZIONE una variazione delle variabili termodinamiche, che porta il sistema a modificarsi da uno stato iniziale ad uno stato finale. Si verifica sperimentalmente che se si pone in contatto il sistema con l’ambiente, inizierà tra loro uno scambio di energia sotto forma di calore e lavoro, che comporterà una variazione delle variabili termodinamiche, cioè si andrà incontro ad una trasformazione. Questa cesserà contemporaneamente al cessare dello scambio di energia tra sistema e ambiente, cioè quando si avrà equilibrio termodinamico. Si può verificare sperimentalmente che lo stato di equilibrio è raggiunto in OGNI trasformazione. Un particolare tipo di trasformazione è quella quasistatica, ossia una trasformazione che avviene in maniera estremamente lenta, in modo che passi dallo stato iniziale a quello finale attraverso una successione infinita di stati di equilibrio. Tra le trasformazione quasitatiche si distingue quella reversibile, ossia una trasformazione che semplicemente essendo invertita è in grado di riportare sistema E ambiente nelle condizioni iniziali. Una trasformazione reversibile è quindi una quasistatica che avviene senza dissipazione di energia. Da questa definizione si ricava quella delle trasformazioni irreversibili: non è possibile riportare sistema e ambiente nelle condizioni iniziali semplicemente invertendo la trasformazioni. N.B. La trasformazione reversibile è ideale, in natura tutte le trasformazioni sono irreversibili! La termodinamica è regolata da 4 principi che ora vedremo. 1) PRINCIPIO ZERO “Dati tre sistemi A B e C, se A è in equilibrio termico con B e B è in equilibrio termico con C, allora necessariamente A è in equilibrio termico con C.” A partire da questo principio è possibile introdurre il concetto di TEMPERATURA, ossia quella variabile termodinamica che hanno in comune i sistemi in equilibrio termico tra di loro. Lo strumento di misura della temperatura si chiama termometro costituito comunemente da una piccola quantità di mercurio contenuta in un bulbo di vetro comunicante con un tubo capillare. Per tararlo è necessario stabilire due temperature fisse di riferimento, cioè due punti fissi i cui valori restino costanti. Per consuetudine le temperature assunte sono quelle del ghiaccio fondente e dei vapori d'acqua bollente a 1 atm. Esistono tre diversi tipi di scale termometriche: scala centigrada o scala di Celsius: la temperatura di fusione del ghiaccio corrisponde a 0 gradi, la temperatura di ebollizione dell’acqua corrisponde a 100 gradi. L’unità di misura o grado centigrado (°C) corrisponde alla centesima parte dell’intervallo di riferimento. scala Fahrenheit: la temperatura di fusione del ghiaccio corrisponde a 32 gradi, la temperatura di ebollizione dell’acqua corrisponde a 212 gradi. L’unità di misura o grado Fahrenheit (°F) si ottiene dividendo l’intervallo di riferimento in 180 parti uguali. Tra i valori della scala Celsius e la Fahrenheit vale la relazione scala Kelvin o scala assoluta: la temperatura di fusione del ghiaccio corrisponde a +273 gradi, la temperatura di ebollizione dell’acqua corrisponde a +373 gradi. L’unità di misura o Kelvin (K) corrisponde alla centesima parte dell’intervallo di riferimento. Lo 0 assoluto o 0 Kelvin corrisponde a –273 gradi centigradi, che è la temperatura minima raggiungibile. Quindi, possiamo dedurre che: un grado centigrado è identico a un kelvin; le due scale sono solo traslate, l'una rispetto all'altra, di 273 gradi. 2) PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Prima di enunciare il principio è utile introdurre alcuni concetti. Per prima cosa si può affermare che è possibile modificare l’energia interna di un sistema (funzione della sola temperatura) compiendo lavoro, o scambiando CALORE. Il calore è una forma di energia che può essere assorbita da un corpo o ceduta da esso. (N.B. E’ sbagliato dire che un corpo possiede calore, si può solamente affermare che un corpo cede o assorbe calore, non che ha calore! Infatti il calore è ENERGIA IN TRANSITO) L’unità di misura del calore viene detta caloria (cal) o piccola caloria, definita come la quantità di calore necessaria per innalzare da 14,5 °C a 15,5 °C la temperatura di un grammo di acqua distillata. Nella pratica si utilizza anche la chilocaloria o grande caloria (Kcal) corrispondente a 1000 piccole calorie. Essendo il calore una forma di energia, esso può essere misurato in Joule (J). La caloria e il Joule sono legati dalla seguente relazione: 1 cal = 4,186 J Dato un determinato corpo di massa m, si può verificare sperimentalmente che la quantità di calore necessaria a far variare la sua temperatura di un grado è fissa (se si lavora in intervalli di temperatura limitati). Posto ciò, è possibile definire una grandezza caratteristica del determinato corpo: CAPACITÀ TERMICA: si definisce come capacità termica (C) di un corpo di massa m la quantità di calore necessaria per innalzare di un grado la sua temperatura. Si può quindi stabilire la relazione: ∆ Il calore ceduto o assorbito dal corpo è uguale alla capacità termica moltiplicata per la conseguente variazione di temperatura. Sperimentalmente si nota che al diminuire della massa del corpo diminuisce anche la quantità di calore necessaria per ottenere una certa variazione di temperatura. Per quanto appena detto, ciò significa che al diminuire della massa del corpo la sua capacità termica diminuisce, e ciò avviene in maniera lineare. Si può quindi stabilire una nuova grandezza: CALORE SPECIFICO: si definisce come calore specifico (c) di una determinata sostanza la quantità di calore (Q) necessaria per innalzare di un grado la temperatura di un Kg di questa sostanza. Il calore specifico è quindi dato dalla seguente relazione: Il calore specifico di una determinata sostanza è uguale alla capacità termica di un corpo di massa m composto da questa sostanza fratto la sua massa m. N.B. Il calore specifico, oltre che dalla natura della sostanza presa in esame, dipende anche dall’intervallo di temperatura che si considera. Il calore specifico dell’acqua alla temperatura di 15 °C viene posto convenzionalmente uguale a 1 cal/gK secondo la definizione stessa di caloria. TRASMISSIONE DEL CALORE La trasmissione del calore da un corpo ad un altro può avvenire in tre diversi modi: 1) CONDUZIONE: è il modo caratteristico dei corpi solidi. In misura ridotta avviene anche nei fluidi, dove però essa è generalmente mascherata da altri processi concomitanti (es. convezione). Il calore si trasmette unicamente a causa di moti vibrazionali molecolari e delle collisioni tra particelle, senza spostamento di materia. Quando due corpi, con diverse t iniziali, sono messi a contatto e si scambiano calore per conduzione fino a raggiungere una temperatura di equilibrio. 2) CONVEZIONE: è il modo caratteristico delle sostanze allo stato fluido e dei gas. Questo processo si verifica quando la propagazione del calore è accompagnata dal trasporto di materia. Si origina a causa di correnti convettive, prodotte dalle differenze di densità, che si manifestano nel fluido per effetto di variazioni locali di temperatura. 3) IRRAGGIAMENTO: è un modo particolare di trasmissione del calore, l'unico che può avvenire anche nel vuoto. Il calore si trasmette per irraggiamento grazie all’emissione di onde elettroma‐gnetiche. DILATAZIONE TERMICA A seguito di una variazione di temperatura, quindi a seguito di uno scambio di calore, un corpo e soggetto ad una variazione delle proprie dimensioni. Se il corpo è lungilineo avrò una dilatazione lineare, regolata dal coefficiente di dilatazione lineare Ƥ secondo la relazione: ∆ Ƥ ∆ Stessa identica cosa accade se il corpo è in 2 o 3 dimensioni, solo che al posto del coefficiente di dilatazione lineare Ƥ, dovrò usare rispettivamente quello superficiale α o volumetrico β, e al posto di L avrò appunto S e V Ora veniamo al primo principio della termodinamica: “La variazione dell’energia interna di un sistema (che è funzione della temperatura del sistema stesso) durante una trasformazione è data dalla differenza tra il calore (assorbi‐to o ceduto) e il lavoro (compiuto o subito).” In formula: ∆ dove ∆U rappresenta la variazione dell’energia interna del sistema; essa dipende unicamente dallo stato iniziale e finale del sistema, e non dal tipo di trasformazione; quindi l'energia interna è una funzione di stato. Il calore è considerato positivo quando è assorbito dal sistema, negativo quando è ceduto. Il lavoro è considerato positivo quando è compiuto dal sistema, negativo quando è subito. Il primo principio della termodinamica esprime quindi il principio di conservazione dell’energia. 3) SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Esistono tre formulazioni equivalenti: 1) PRINCIPIO DI KELVIN: in natura è impossibile che avvengano trasformazioni il cui unico effetto sia la conversione in lavoro del calore assorbito da una sola sorgente. 2) POSTULATO DI CLAUSIUS: è impossibile una trasformazione il cui unico effetto sia il passaggio di calore da un corpo più freddo ad uno più caldo. 3) TEOREMA DI CARNOT: Definito come rendimento il rapporto tra il lavoro (compiuto o subito) e il calore scambiato da un sistema, il secondo principio della termodinamica afferma che il rendimento in una macchina reale è sempre minore del rendimento della macchina ideale di Carnot, ossia una macchina che sfrutta trasformazioni reversibili Il significato più profondo del secondo principio sta nell’affermare l’irreversibilità delle trasformazioni in natura. 4) TERZO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Definita l’entropia come quella funzione di stato che indica il grado di disordine di un sistema, il terzo principio della termodinamica afferma che: “La variazione di entropia in una trasformazione reversibile tende ad annullarsi al tendere a zero della temperatura assoluta” GAS PERFETTI Uno dei principali oggetti di studio della termodinamica è il gas perfetto che come detti prima è descritto dalle coordinate termodinamiche di pressione volume e temperatura. Parliamo di gas perfetto o ideale quando si verificano le seguenti condizioni: a) le molecole hanno dimensioni trascurabili rispetto alle loro distanze; b) le molecole interagiscono con le pareti del contenitore in modo puramente elastico; c) le molecole si muovono disordinatamente in modo casuale. Un gas perfetto può andare incontro a varie trasformazioni quali: • ADIABATICHE: quando non comportano scambi di calore; quindi per il secondo principio ∆ • ISOTERME: quando non comportano variazioni di temperatura; poiché l’energia interna è funzione della sola temperatura avrò che al variazione di energia interna è nulla, quindi avrò 0 cioè . Inoltre si avrà • ISOBARE: quando non comportano variazioni di pressione; • ISOCORE: quando non comportano variazioni di volume. Non essendoci variazioni di volume il gas non ha possibilità di compiere lavoro sull’ambiente e viceversa, quindi avrò che 0 e ∆ . All’inizio e alla fine di ogni trasformazione il gas si troverà in uno stato di equilibrio termodinamico. Nel caso in cui la trasformazione sia reversibile, e quindi quasistatica, anche durante il corso di tutto la trasformazione il gas può essere considerato in equilibrio. Nello stato di equilibrio le coordinate termodinamiche del gas perfetto assumeranno una precisa relazione detta EQUAZIONE DI STATO DEI GAS PERFETTI, espressa dall’equazione: p V e t indicano rispettivamente pressione volume e temperatura, n è il numero di moli e R è una costante (detta costante generale dei gas) il cui valore è pari a: 8,314 J/ K mole con pressione in Pascal e volume in oppure ) 0,082 l atm/K mole con pressione in atmosfere e volume in litri (o Quindi nelle situazione di equilibrio lo stato termodinamico di un gas perfetto è descritto da solo 2 coordinate termodinamiche, poiché la terza è ricavabile dall’equazione di stato. ELETTROMAGNETISMO 1. 1.1. Elettrostatica La carica elettrica Il fenomeno della carica elettrica venne osservato già ai tempi dei Greci intorno al 600 a.C, ma chi per primo attribuì la convenzione di positiva (+) e negativa (‐) alla carica elettrica fu Benjamin Franklin (1706‐ 1790). L’attribuzione di questa convenzione derivò dal fatto che il fenomeno della carica si esibiva sotto l’interazione di corpi mediante forze di tipo repulsivo e attrattivo. Tra due cariche dello stesso segno la forza è di tipo repulsivo, mentre tra due cariche di segno opposto di tipo attrattivo. Gli atomi sono rappresentati da particelle positive (protoni), negative (elettroni) e neutre (neutroni). La somma della cariche presenti in un atomo definisce quindi il tipo di carica che possiede. Da qui possiamo dire che un atomo è neutro quando la somma delle cariche delle particelle che lo compongono è nulla (caratteristica additiva della carica elettrica). L’unità di carica è definita dalla carica dell’elettrone e che vale 1.619 ∗ 10 , dove C è l’unità di misura della carica detta Coulomb. 1.2. Isolanti e conduttori Prendiamo una sfera carica. Nel caso la carica presente nella sfera non fosse libera di muoversi attraverso la sfera quest’ultima si dice essere un materiale isolante. Al contrario se la stessa quantità di carica di carica viene indotta in un materiale conduttore essa sarà libera di muoversi attraverso esso e si distribuirà in una configurazione stabile che consiste in una mutua repulsione. 1.3. Legge di conservazione della carica Pensiamo ad un volume V nel quale sia contenuta una certa quantità di carica Q nell’istante di tempo t. Q=Q(t) è la funzione che descrive il contenuto di carica all’interno del volume V nel tempo. Se Q è una funzione non costante significa che la quantità di carica contenuta all’interno del volume è una quantità variabile, per cui è lecito chiedersi dove vada la carica data dalla differenza tra due istanti di tempo diversi. Figura 1 Rappresentazione del Volume V al cui interno è contenuta la carica Q=Q(t). Le frecce nere rappresentano i flussi di corrente [C/s] che escono dalla sfera oppure entrano; la somma di tuti i flussi di corrente, ci da la variazione della carica elettrica nel tempo all’interno del volume V, da qui la legge di conservazione della carica elettrica. È possibile descrivere tale concetto mediante un bilancio di carica: Δ 0 Δ Dove il termine I determina una corrente, data dalla somma di tutti i flussi di carica [C/s]. 1.4. Legge di Coulomb Abbiamo riscontrato che le cariche esercitano azioni repulsive o attrattive le une sulle altre; il risultato che quantifica tale entità è espresso dalla legge di Coulomb; l’unità di misura di questa grandezza vettoriale è il Newton. La formula è scritta considerando un sistema composto da due cariche puntiformi poste ad una distanza r l’una dall’altra e di carica rispettivamente e . . Sebbene il risultato sia una grandezza vettoriale la formula ci conferisce un valore scalare che è il modulo della forza con cui le cariche interagiscono. / . In questa espressione la costante di proporzionalità k ha un valore pari a 8.99 ∗ 10 ∗ 1.4.1. Principio di sovrapposizione degli effetti Si consideri un sistema formato da 4 cariche puntiformi , , , , esse interagiranno tra di loro mediante effetto Coulombiano. Vediamo come procedere per quantificare l’azione che il sistema fa su una qualsiasi delle 4 cariche. q3 Il principio di sovrapposizione degli effetti esibisce l’azione risultante sulla particella 4 come somma delle azioni dovute ai singoli componenti del sistema. [N] Dove , sono le azioni che rispettivamente le particelle 1, 2 e 3 esercitano sulla 4. , Andiamo ora a definire il “campo di forza” mediante il quale si manifesta la forza di Coulomb 1.5. Il campo elettrico Immaginiamo di posizionare una carica q nell’origine di un sistema di rifermento, poi posizioniamo una carica di prova (positiva per definizione) nella punto A. In questo caso chiamiamo la forza di Coulomb che agisce sulla carica di prova posta nella posizione A; se spostiamo la carica di prova in un'altra posizione B,C, ecc.. notiamo che esiste sempre una forza di Coulomb che agisce su essa, dipendente però dalla posizione della carica. Possiamo dire che la forza elettrica percepita dalla carica di prova è: Dove chiamiamo E campo elettrico generato dalla carica q, e si misura in [N/C]. Il campo elettrico è un vettore esprimibile come forza per unità di carica. Il campo elettrico generato da una carica puntiforme è (in modulo, il campo E è una grandezza vettoriale): Figura 2 Andamento delle linee di campo E per una carica puntiforme, nel caso di carica positiva e negativa Esercizio Trova il campo elettrico prodotto da una carica di 1μ a una distanza di: ‐ 0.75 m ‐ 1.5 m N.B La somma di due campi elettrici è eseguita applicando il principio di sovrapposizione degli effetti. 1.5.1. Il dipolo elettrico Un sistema di due cariche separate e opposte da una distanza non nulla è detto dipolo elettrico. La carica totale del dipolo è zero, ma, poiché le cariche sono separate, il campo elettrico non svanisce e le linee di campo formano delle linee di campo chiuse caratteristiche dei dipoli. Figura 3 a sinistra: linee di campo di un sistema di due cariche positive, a destra: linee di campo di un dipolo elettrico. 1.5.2. Condensatore a facce piane e parallele Si immagini una distribuzione di carica uniforme su un piano, abbiamo che il campo elettrostatico è uniforme sia come direzione (perpendicolare alla superfice), sia come intensità. Esercizio Il campo elettrico fra le armature di un condensatore a facce piane e parallele è orizzontale, uniforme e ha un intensità E. Un piccolo corpo di massa 0.0250 Kg e carica ‐3.10µC è sospeso a un filo situato fra le due armature, come mostrato in figura. Il filo forma un angolo di 10.5° con la verticale. Trova: a. La tensione del filo b. L’intensità del campo elettrico 1.6. Flusso del campo elettrico Si consideri una regione di spazio in cui è presente un campo elettrico uniforme che attraversa perpendicolarmente una superfice piana di area A. Il flusso del campo elettrico Ф [N*m^2/C] è definito dal prodotto: Ф E ∗ A ∗ cos Dove φ è l’angolo compreso tra le linee di campo e la superfice attraversata. Nel caso la superfice sia parallela alle linee di campo il flusso di campo è nullo. 1.6.1. Legge di Gauss Se una carica q è contenuta all’interno di una superficie arbitraria, il flusso del campo elettrostatico attraverso questa superfice è: Ф 8.85 ∗ 10 . Dove è la costante dielettrica del vuoto, ∗ Inoltre è legata alla costante k mediante la seguente relazione. 1 4 Diamo una semplice dimostrazione della legge di Gauss. Ф 4 Legge di Gauss applicata a una distribuzione piana di cariche 4 Il flusso risulterà non nullo solamente alle superfici ai vertici del cilindro, per cui calcolando il flusso di campo otteniamo. Ф Dalla quale segue che 2 come modulo. Ed infine, supponendo la piastra piana essere un conduttore, E elettrostatico, il campo elettrico deve avere direzione ortogonale alla superfice carica. 1.7. Energia potenziale elettrica e potenziale elettrico Ora andiamo a vedere l’energia associata alla forza elettrica, cercando di applicare la definizione di lavoro che conosciamo per andare a vedere le proprietà del campo elettrico. Il lavoro esercitato dalla forza elettrica per spostare una carica di prova per una distanza d lungo una linea retta è Questa quantità W ci indica la variazione della energia potenziale a cui si trova la carica di prova e la scriviamo come: La funzione U è detta energia potenziale elettrica [J]. Da qui siamo in grado di ricavarci una grandezza fisica molto importante che ci indica la variazione di energia per unità di carica, tale grandezza si chiama potenziale elettrico [Volt] ed è definita nel seguente modo: ∆ ∆ ∆ ∆ 1 V= 1 J/C Esercizio Ottieni un campo elettrico uniforme collegando le armature di un condensatore piano a una batteria da 12 V. a. Se le armature distano tra loro 0.75cm, quale è l’intensità del campo elettrico nel condensatore? b. Una carica di 6.24µC si muove dall’armatura positiva a quella negativa. Trova la variazione dell’energia potenziale elettrica di questa carica (si trascuri la forza di gravità). 1.7.1. Conservazione dell’energia Una proprietà importante della forza elettrica è che essa è conservativa (come la forza gravitazionale), cioè il lavoro che la forza compie per spostare una carica di prova dal punto A al punto B non dipende dal percorso che si esegue per andare da A a B. Questa proprietà permette l’esistenza di una funzione, che nel nostro caso è detta energia potenziale. La differenza dell’energia potenziale calcolata in due punti diversi dello spazio, è il lavoro che la forza elettrica compie per spostare la carica di prova da un punto a un altro. L’ esistenza dell’energia potenziale permette attraverso il Teorema delle forze vive (derivato dalla meccanica) la conservazione dell’energia come segue: 1 1 2 2 La somma dell’energia cinetica più potenziale che particella ha nel punto A è uguale alla corrispondente somma di energie che ha nel punto B se esiste un campo di forza conservativo (come quello della forza elettrica). 1.8. Condensatori Il condensatore deve il suo nome alla sua capacità di immagazzinare carica elettrica ed energia. In generale il condensatore è costituito da due conduttori, chiamati armature, posti a una certa distanza. Quando queste ultime vengono collegate a una batteria, una acquista una carica +Q positiva e l’altra la stessa quantità di carica ma di segno opposto –Q; maggiore è la capacità C del condensatore più è la quantità di carica immagazzinabile al suo interno. La capacità è definita come segue C [C/V]=[F] (Farad). ∆ 1.8.1. Condensatore a facce piane e parallele Cerchiamo un'altra formulazione della capacità per un condensatore a facce piane e parallele, andando a vedere da che cosa dispende il valore della capacità. ∆ Quest’ultimo è un risultato molto importante perché evidenzia il fatto che la capacità di un condensatore dipende esclusivamente dalla geometria di quest’ultimo. MAGNETOSTATICA E CIRCUITI 2.1. La corrente elettrica Un flusso di cariche da un punto ad un altro dell0 spazio è chiamato corrente elettrica. Supponiamo che una certa carica ∆ attraversi una sezione S nell’intervallo di tempo ∆ , allora la corrente elettrica che attraversa la sezione S vale: ∆ ∆ E si misura in Ampère, [A]=[C/s]. 2.2 Resistenza e legge di Ohm Prendiamo un circuito in corrente continua (DC current), composto da un generatore di tensione e una resistenza posti in una singola maglia. Studi sperimentali ma anche analitici, hanno dimostrato che una corrente che passa attraverso un mezzo (la resistenza R nel nostro caso) è in relazione con la tensione ai capi della resistenza. Supponendo lineare la relazione tra V e I, se plottassimo in un grafico l’andamento di V in funzione di I, vedremmo che il rapporto V/I è il coefficiente angolare della retta ed è ciò che definisce la resistenza. La seguente relazione viene chiamata Legge di Ohm: N.B il verso della corrente in un circuito elettrico è il verso in cui si muoverebbe una carica di prova positiva. Quest’ultima è una convenzione. 2.2.1. Resistività È possibile calcolare la resistenza di un mezzo materiale (filo) guardando al suo valore di resistività , e alle sue dimensioni geometriche secondo la seguente relazione. ∗ 2.3 Energia e potenza nei circuiti elettrici Per calcolare la potenza dispersa o erogata da un componente elettrico occorre conoscere la corrente che lo attraversa e la differenza di potenziale posta ai suoi capi. La potenza erogata/dissipata per un generico componente elettrico è: Nel qual caso il generico componente elettrico fosse una resistenza abbiamo che sostituendo a V la legge di Ohm: Quest’ultima è la potenza dissipata da una resistenza. 2.4 Resistenze in serie e in parallelo Diciamo che due resistenze sono collegate in serie quando condividono un terminale, in questa configurazione la corrente che passa attraverso la prima resistenza è uguale a quella che passa attraverso la seconda. Diciamo che due resistenze sono collegate in parallelo quando condividono entrambi i terminali, in questa configurazione la tensione ai capi delle due resistenze è esattamente la stessa. Da queste configurazioni possiamo ricavare due relazioni che ci portano a descrivere il sistema composto da resistenze in serie o in parallelo con una sola resistenza, detta resistenza equivalente. Per la serie di n resistenze abbiamo: Per il parallelo di n resistenze abbiamo: 1 1 2.5 Leggi di Kirchhoff Kirchhoff stabili due leggi per andare a capire l’andamento delle tensioni e delle correnti all’interno dei rami dei circuiti elettrici. Queste due leggi sono la legge dei nodi (KCL) e la legge delle maglie (KVL). Legge dei nodi La somma algebrica di tutte le correnti che convergono in un nodo deve essere uguale a 0. Se su un nodo convergono n correnti allora abbiamo che queste devono sottostare alla seguente relazione: 0 Legge delle maglie La somma algebrica di tutte le differenze di potenziale lungo una maglia chiusa in un circuito è 0. Una maglia composta da n elementi ha n differenze di potenziale che devono sottostare alla seguente relazione: 0 2.6 Campo magnetico Figura 4 Campo magnetico B, notare che perché ci sia B deve esserci un dipolo Nord‐Sud. Il campo B è una grandezza vettoriale e si misura in Tesla [T]! La caratteristica principale del campo B è che esso è costituito da linee chiuse su se stesse. La direzione e il verso del campo magnetico B in un dato punto dello spazio sono determinati dalla direzione e dal verso nei quali punta il polo nord dell’ago di una bussola posta in quel punto. Le linee del campo magnetico escono dal polo nord ed entrano nel polo sud di un magnete. 2.7 Flusso di campo magnetico Prendiamo una zona di spazio in cui sia presente un campo B, a questo punto prendiamo una superfice S contenuta in questa zona di spazio. Chiamiamo flusso di campo B attraverso la superfice S il seguente prodotto: Ф ∗ cos Dove è l’angolo tra la normale alla superfice e la direzione del campo B. Se prendessimo S come superfice chiusa, ad esempio una sfera, vedremmo che il flusso di campo attraverso essa è nullo, poiché tutte le linee che entrano nella sfera escono anche da essa e viceversa. Ф 0 Quest’ultima viene chiamata Legge di Maxwell. Il flusso del campo B si misura in [T*m^2]. 2.8 Ruolo del campo B Forza di Lorentz ∗ Dove q è la carica della particella, v è la sua velocità, B è l’intensità del campo magnetico e è l’angolo compreso tra la velocità e B. Questa è la forza cui viene sottoposta una particella che si muove con velocità non nulla entro un campo magnetico, con velocità diretta non parallelamente al campo. La direzione di tale forza è ortogonale al piano formato da i vettori v e B, e il verso segue quello della legge della mano destra per il prodotto vettoriale. Notare che come appena detto la forza di Lorentz è sempre ortogonale alla velocità, indi per cui non esercita alcun lavoro sulla particella. Una particella che entra in un campo B con velocità ortogonale ad esso , prosegue nella regione di campo con moto circolare uniforme. 2.9 Campo B prodotto da un filo con corrente costante Le linee di campo si chiudono esattamente su se stesse. Seguendo la legge della mano destra è possibile capire che la corrente che passa attraverso il filo è diretta va dal basso verso l’alto. L’intensità del campo B erogato da un filo percorso da corrente può essere calcolato attraverso la relazione di Biot‐Savar. μ 2 Notare che come rappresentato in figura b) e come scritto nella formula soprastante, l’intensità di campo diminuisce con la distanza (allontanandosi dal filo) iperbolicamente.
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