Federazione Italiana Medici Medicina Generale Provincia di Treviso 116 Via Montebelluna 2 - 31100 Treviso - 0422 405095 - www.fimmgtv.org Anno XXIII N° 2 Aprile - Giugno 2014 - Aut. Trib. TV n° 878 del 29/5/92 Direttore responsabile: Dott. Brunello Gorini, Segretario provinciale Redazione: M.G. Bianchini, L. Faggian, A. Ferri, R. Gasparri, B. Gorini, C. Patera, A. Pozzi e N. Viviano Sped. in abbonamento postale DL 353/2003 (L. 46/04) art. 1 comma 2 DCB - TV Stampa: Tipografia Rimetra Noventa di Piave (Ve) Buone pratiche in Sanità: Comportamenti saggi “Choosing Wisely” è una iniziativa lanciata nel 2012 dall’American Board of Internal Medicine con l’obiettivo di ridurre l’uso eccessivo di test e procedure a favore di scelte intelligenti ed efficaci di cura. Da allora, almeno 30 società professionali hanno aderito all’iniziativa, rendendo pubblici gli elenchi delle pratiche comuni che dovrebbero essere messe in discussione dagli operatori sanitari e dai pazienti. Slow Medicine, rete di professionisti e cittadini per una cura sobria, rispettosa e giusta, in analogia con Choosing Wisely ha progettato nel dicembre 2012 “Fare di più non significa fare meglio”. Società Scientifiche e Associazioni professionali (vedi tab.) sono state invitate a individuare una lista di 5 esami diagnostici o trattamenti, di uso corrente nella pratica clinica, che secondo le conoscenze scientifiche disponibili non apportano benefici significativi ai pazienti ma possono, al contrario, esporli a rischi. Anche Keiron As.MeG. Veneto, società scientifica della FIMMG del Veneto, collabora con Slow Medicine. Riportiamo le cinque pratiche a rischio di inappropriatezza individuate dalle Società e Associazioni scientifiche italiane interpellate. Invitiamo i Colleghi medici a farle proprie e a parlarne con i propri pazienti, ponendo attenzione che queste informazioni non sostituiscono la valutazione e il giudizio del medico. Per ogni quesito in riferimento ad una specifica situazione clinica è necessario il giudizio del medico. Per la presentazione dei progetti, delle Società scientifiche partecipanti e per ulteriori informazioni si rimanda al sito: http://www.slowmedicine.it/fare-di-piu-non-significa-fare-meglio/pratiche-a-rischio-di-inappropriatezzain-italia.html ed ai siti delle singole società. Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri Associazione Italiana di Radioterapia Oncologica Cochrane Neurological Field Collegio Italiano Primari di oncologia Medica - Green Oncology Federazione Italiana Collegi Infermieri Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica Società Italiana di Medicina Generale Società Italiana di Radiologia Medica http://www.slowmedicine.it/pdf/Scheda%20ADI.pdf http://www.slowmedicine.it/pdf/scheda%20ANMCO.pdf http://www.slowmedicine.it/pdf/Scheda%20AIRO.pdf http://www.slowmedicine.it/pdf/Scheda%20CNF.pdf http://www.slowmedicine.it/pdf/Scheda%20CIPOMO%20%20Green%20Oncology.pdf http://www.slowmedicine.it/pdf/Scheda%20%20IPASVI.pdf http://www.slowmedicine.it/pdf/Scheda%20SIAIP.pdf http://www.slowmedicine.it/pdf/scheda%20SIMG.pdf http://www.slowmedicine.it/pdf/Scheda%20SIRM.pdf Cochrane Neurological Field 1. Non prescrivere la nutrizione artificiale enterale (PEG - Percutaneous Endoscopic Gastrostomy - o sonda nasogastrica) ai pazienti affetti da demenza in fase avanzata, ma contribuire a favorire l’alimentazione fisiologi- ca assistita. Nella demenza in fase avanzata gli studi clinici hanno dimostrato che PEG e sonda naso-gastrica sono associate a comparsa di ulcere da pressione, uso di mezzi di contenimento fisico e farmacologico, disagio del paziente connesso alla sonda, sovraccarico di liquidi, diarrea, dolore e complicanze locali nella sede d’inserzione della sonda, 2 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 minor interazione interpersonale e possibile incremento del rischio di polmonite ab ingestis. Il declino funzionale e la presenza di malattie intercorrenti possono indicare che è improbabile ottenere qualche beneficio significativo o a lungo termine dalla nutrizione artificiale. L’aiuto manuale nell’alimentazione fisiologica è un approccio efficace, rispetto alla nutrizione, almeno quanto l’uso della sonda. Nella fase terminale gli obiettivi della nutrizione assistita manualmente sono il benessere del paziente e il mantenimento della relazione interpersonale, piuttosto che finalità nutrizionali. 2. Non usare gli antipsicotici come farmaci di prima scelta nei disturbi comportamentali in corso di demenza, evitando di prescriverli prima di un’attenta valutazione delle cause scatenanti la cui rimozione potrebbe rendere inutile il trattamento. I disturbi comportamentali in corso di demenza comprendono agitazione, aggressività, ansia, irritabilità, depressione, apatia e psicosi. In questo contesto l’uso degli antipsicotici è frequente a fronte di un limitato beneficio e della possibilità di gravi effetti indesiderati (incremento del rischio d’ictus e di mortalità vascolare, insorgenza di parkinsonismo o altri sintomi extrapiramidali, sedazione, confusione, peggioramento delle funzioni cognitive ed aumento di peso) che possono prevalere sui potenziali vantaggi. L’obiettivo dell’uso degli antipsicotici non è sedare una generica agitazione ma trattare pazienti a rischio di danneggiare sé o gli altri oppure in condizioni di estremo malessere. La valutazione e l’identificazione delle cause del disturbo comportamentale, compresi dolore, stipsi, fattori ambientali quali il rumore o la temperatura, la messa in sicurezza, la riduzione del malessere e l’aiuto nelle comuni funzioni possono rendere inutile il trattamento farmacologico. Se tali misure, invece, non fossero efficaci, va considerato il trattamento antipsicotico col suo bilancio rischi-benefici. 3. Non usare le benzodiazepine o altri ipnotici negli anziani come prima scelta nell’insonnia. Studi su ampia scala hanno dimostrato negli anziani che assumano benzodiazepine o altri ipnotici un rischio più che raddoppiato d’incidenti nella guida di motoveicoli, di cadute e frattura d’anca che conducono a ospedalizzazione e morte. I pazienti anziani, i loro familiari e chi si occupa dell’assistenza dovrebbero essere a conoscenza di questo rischio in corso di trattamenti contro l’insonnia, l’agitazione o il delirium. Le benzodiazepine andrebbero riservate al trattamento del delirium tremens o del grave disturbo d’ansia generalizzata non responsivi ad altre terapie. 4. Non usare la PET nella diagnostica della demenza a meno che il paziente non sia stato valutato da uno specialista esperto in demenze. In assenza di una documentata diagnosi clinica di demenza, i benefici potenziali della PET è improbabile che giustifichino i costi della procedura e l’esposizione alle radiazioni. I vari tipi di demenza hanno aspetto sovrapponibile alla PET. La valutazione clinica e quella radiologica spesso forniscono informazioni aggiuntive e le varie modalità d’indagine vanno considerate globalmente per ottenere una diagnosi attendibile e pianificare il trattamento. Rispetto alla ricerca di beta-amiloide mediante la PET, non è noto cosa significhi tale riscontro in una persona cognitivamente sana: si tratta di una metodica non validata per la diagnosi predittiva individuale. 5. Non sottoporre pazienti con soggettiva percezione di ridotta prestazione mnesica, esenti da deficit funzionali, a indagini per la ricerca di biomarker liquorali e indicatori nel neuroimaging, se non in un contesto di ricerca. Il timore dell’insorgenza di una condizione di demenza da parte dell’opinione pubblica induce richieste di consultazioni specialistiche e diagnostica strumentale nella speranza di poter mettere in atto una prevenzione. Nelle demenze degenerative e in particolare nella malattia di Alzheimer, non vi sono conoscenze sufficienti per una specifica prevenzione, né una terapia che ne modifichi la storia naturale. La ricerca di biomarker e indicatori nel neuroimaging per la diagnosi precoce o addirittura predittiva non esita attualmente in possibilità terapeutiche ed è ancora circoscritta all’ambito della ricerca. La diffusione della diagnosi di condizioni di deterioramento cognitivo che possono non sfociare in demenza, induce una possibile sovradiagnosi. È noto che il controllo dell’obesità e la lotta al tabagismo sono una prevenzione non specifica ma di documentata efficacia anche contro il deterioramento cognitivo. 3 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica – Onlus Fondazione Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI) 1. Non utilizzare i cosiddetti “test di intolleranza alimentare” come strumento per la terapia dietetica dell’obesità né per diagnosticare sospette intolleranze alimentari. Queste metodiche sono state impiegate negli ultimi anni per identificare supposte intolleranze alimentari e ultimamente per giustificare l’obesità. Sono basate su presupposti teorici che non hanno trovato riscontro nella evidenza scientifica (determinazione delle IgG4, analisi del capello, test di citotossicità, test elettrodermico “Vega”). Vi è quindi unanime consenso internazionale tra i professionisti che non seguono terapie cosiddette “alternative” nel non utilizzare tali indagini, per altro di costo elevato (300-500 Euro). Tali pratiche sono, inoltre, ad alto rischio di malnutrizione e ridotto accrescimento nei bambini e negli adolescenti, a causa della marcata riduzione della tipologia dei cibi da assumere e della notevole apprensione che ingenerano nelle persone. 2. Evitare di trattare obesità e disturbi dell’alimentazione con diete prestampate e in assenza di competenze multidimensionali. Tali patologie sono complesse perché croniche e ad etiologia polifattoriale. Devono perciò essere trattate contemporaneamente su più fronti: quello cognitivocomportamentale, psicologico, nutrizionale, internistico e rieducativo motorio. Fondamentale poi il contatto professionale continuo e il couselling (approccio multidimensionale). Auspicabile il supporto di differenti specialisti in modo da affrontare a tutto tondo le problematiche biologiche, sociali, ambientali e comportamentali. 3. Non incoraggiare un uso estensivo e indiscriminato di integratori alimentari come fattori preventivi delle neoplasie e della patologia cardiovascolare. Recentemente si è molto stressata l’opinione pubblica sulla efficacia di integratori dietetici nella prevenzione delle malattie neoplastiche e cardiovascolari (acido folico, antiossidanti, calcio e Vit. D). L’Italia risulta il primo consumatore in Europa. I risultati in letteratura non sono univoci e a livello preventivo l’assunzione di alimenti che contengono i principi attivi (vegetali in primis), si è dimostrata più efficace degli integratori che li contengono. È pertanto auspicabile un uso più oculato degli integratori alimentari e solo per sopperire a condizioni di carenza documentate, anche perché non sono scevri da effetti collaterali negativi in caso di sovradosaggio. 4. Evitare in età evolutiva approcci a sovrappeso e obesità, restrittivi, di non dimostrata efficacia e non coinvolgenti la famiglia. Strategie per il controllo di sovrappeso e obesità in età evolutiva non evidence-based, quali diete fortemente ipocaloriche, diete non equilibrate o restrizioni dietetiche non associate a interventi sullo stile di vita, approcci esasperati all’attività fisica, non sufficiente coinvolgimento dell’ambito familiare, superficialità nella valutazione del tratto psicologico del giovane, inducono frequenti problemi di cronicizzazione del problema perché inefficaci nel medio e lungo termine, dato che espongono al rischio di sviluppare un disturbo alimentare (anoressia, bulimia), weight-cycling syndrome (sindrome dello yo-yo, cioè ripetute oscillazioni di peso), deficit nutrizionali e rallentamento della crescita. 5. Evitare la Nutrizione Artificiale (NA) nelle situazioni cliniche in cui un approccio evidence-based non ha dimostrato beneficio, come nei pazienti con demenza in fase avanzata o oncologici in fase terminale. In situazioni come la demenza avanzata con quadro clinico estremamente compromesso o nel paziente oncologico con malattia avanzata, dolore non controllato, aspettativa di vita inferiore a 4-6 settimane, la Nutrizione Artificiale non ha dimostrato un favorevole rapporto benefici/rischi. È invece di dimostrata efficacia promuovere una cultura di prevenzione, screening e diagnosi precoce della malnutrizione ospedaliera e territoriale. 4 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) 1. Non richiedere ecocardiografia di controllo in pazienti con valvulopatia lieve-moderata o con disfunzione ventricolare sinistra, in assenza di nuovi sintomi, segni o eventi clinici. A causa della lenta evolutività delle patologie valvolari lievi-moderate e dell’inutilità clinica di rivalutare la funzione ventricolare sinistra in pazienti clinicamente stabili, l’ecocardiografia dovrebbe essere eseguita solo in presenza di variazioni dello stato clinico. 2. Non richiedere di routine prova elettrocardiografica da sforzo di controllo in pazienti asintomatici dopo rivascolarizzazione chirurgica o percutanea. Non ci sono prove di efficacia che dimostrino la riduzione di eventi con l’esecuzione di routine di una prova da sforzo dopo rivascolarizzazione. La prova da sforzo dovrebbe essere eseguita solo per valutare rivascolarizzazioni incomplete o in presenza di variazioni dello stato clinico. 3. Non richiedere registrazione Holter in pazienti con dolore toracico da sforzo che siano in grado di eseguire prova da sforzo, a meno che non vi sia anche il sospetto di aritmie. L’Holter ha una basa sensibilità e specificità nell’evidenziare ischemia in pazienti con dolore toracico, non potendo calibrare l’entità dello sforzo. È preferibile eseguire prima una prova da sforzo. 4. Non richiedere test di imaging associato a test provocativo in fase di valutazione iniziale di sospetta cardiopatia ischemica. Il test dovrebbe essere indicato solo in presenza di importanti fattori di rischio: diabete oltre i 40 anni, arteriopatia periferica, rischio Framingham/Cuore superiore al 20%, o in presenza di alterazioni dell’ECG di base, tali da inficiare l’interpretazione della prova da sforzo. 5. Non richiedere prova elettrocardiografica da sforzo per screening di cardiopatia ischemica in pazienti asintomatici a basso rischio cardiovascolare. In pazienti asintomatici e senza fattori di rischio, la probabilità di malattia coronarica è molto bassa, per cui l’esame aumenta il rischio di falsi positivi e di indurre ulteriori test diagnostici per escludere i dubbi sollevati dal test. Associazione Italiana di Radioterapia Oncologica (AIRO) 1. Non definire un programma terapeutico che comprenda la radioterapia senza che l’oncologo radioterapista sia coinvolto fin dall’inizio (e cioè subito dopo la diagnosi della malattia) nella definizione del programma stesso. L’oncologia moderna si avvale della chirurgia, della radioterapia e della chemioterapia. L’oncologo radioterapista è specialista nell’impiego della radioterapia, da sola o in combinazione con la chemioterapia, ed è l’unico autorizzato a prescrivere un trattamento radioterapico. La maggior parte dei percorsi terapeutici prevede oggi l’impiego di più modalità terapeutiche, variamente integrate tra loro, e la radioterapia è impiegata nel trattamento del 70% circa delle neoplasie. Ne deriva che il mancato coinvolgimento dell’oncologo radioterapista, fin dall’inizio (e cioè subito dopo la diagnosi della malattia), nella definizione del programma terapeutico, può comportare errori nella indicazione alla radioterapia, nella valutazione dei possibili effetti collaterali, nella scelta della sequenza dei trattamenti. A molti di tali errori non si può ovviare in un secondo momento. 2. Non raccomandare l’impiego di tecniche od apparecchiature radioterapiche “speciali” senza un parere motivato dell’oncologo radioterapista. L’elevato livello tecnologico raggiunto dalla radioterapia rappresenta un beneficio per il malato oncologico, perché consente di ottenere, in selezionate situazioni cliniche, risultati molto validi e garantisce la sicurezza di ciascuna modalità tecnica, purché impiegata secondo corrette indicazioni. 5 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 Tale beneficio è oggi disponibile per la grande maggioranza delle apparecchiature per radioterapia; tutte le apparecchiature, anche quelle destinate a trattamenti più semplici, sono soggette a controlli di qualità che ne garantiscono la sicurezza; l’impiego delle apparecchiature e delle tecniche più complesse e costose, disponibili in un numero limitato di Centri, trova indicazione in casi particolari, che solo la professionalità dell’oncologo radioterapista è in grado di definire. 3. Non utilizzare, per quanto possibile, trattamenti radioterapici prolungati quando la finalità della radioterapia è quella sintomatico-palliativa ed in persone malate con aspettativa di vita ridotta. Numerosi studi clinici hanno documentato che, in pazienti con ridotta aspettativa di vita, cure prolungate basate sui chemioterapici e sulla radioterapia sono inefficaci in termini di aumento della sopravvivenza. La radioterapia ha viceversa un ruolo fondamentale nella gestione di complicanze legate alla diffusione di malattia e in pazienti con ridotta aspettativa di vita (es. dolore, sanguinamenti, compressione del midollo spinale, ecc..) perché caratterizzata da elevati tassi di risposta con conseguente miglioramento della qualità di vita anche nel paziente con malattia avanzata. Tuttavia, eseguire trattamenti prolungati in tali situazioni cliniche riduce il tempo di vita disponibile al di fuori delle strutture sanitarie (poiché comporta un prolungamento dell’ospedalizzazione o dell’accesso al reparto di radioterapia), creando disagio al paziente ed alla famiglia, a fronte di risultati simili ottenibili con trattamenti più brevi e di conseguenza va evitato per quanto possibile. 4. Non eseguire un trattamento radioterapico per patologie articolari degenerative (benigne), specie al di sotto dei 60 anni. L’impiego della radioterapia nel trattamento di ben selezionate patologie benigne è largamente documentato in letteratura. Le indicazioni sono limitate a casi con gravissime problematiche funzionali o addirittura con minaccia per la vita stessa. Tuttavia, i dati pubblicati non giustificano il trattamento radioterapico delle patologie articolari degenerative, specie al di sotto dei 60 anni di età, per i rischi connessi con tale pratica. 5. Al di fuori di studi clinici, non eseguire PET, TC e scintigrafia ossea per la stadiazione del tumore della prostata, in pazienti candidati a trattamento radioterapico radicale, per i quali il rischio di metastasi è minimo. Eseguire una corretta stadiazione nei pazienti affetti da una qualunque forma neoplastica è assolutamente necessario. Tuttavia TC, PET e scintigrafia ossea vengono spesso impiegate anche nella stadiazione delle forme cliniche iniziali di tumore prostatico, in cui il rischio di metastasi è minimo; le evidenze di letteratura non supportano infatti l’impiego di queste metodiche nel paziente a basso rischio di metastasi a distanza (Stadio T1c/T2a; antigene prostatico specifico - PSA - inferiore a 10 ng/ml e punteggio di Gleason minore o uguale a 6). L’impiego di tali metodiche diagnostiche, usate in modo inappropriato, può comportare costi non giustificati e un’esposizione non necessaria a radiazioni, nonché ritardare l’inizio del trattamento radioterapico. Collegio Italiano Primari di Oncologia Medica – Green Oncology 1. Non prescrivere antibiotici allo scopo di prevenire le complicanze infettive da neutropenia, in pazienti neoplastici trattati con chemioterapia a dosi standard. La complicanza più frequente della chemioterapia è la mielotossicità con particolare riferimento alla neutropenia che rappresenta una grave causa di compromissione delle difese immunitarie con rischio d’infezioni, sepsi e setticemia. Di norma gli agenti patogeni interessati sono di tipo batterico, anche se non si possono escludere infezioni virali o micotiche. Per molti anni si è ritenuto indicato un trattamento profilattico con antibiotici a largo spettro, come ad esempio i chinolonici. Oggi sappiamo che non esiste alcuna evidenza scientifica dell’utilità di tale pratica. Il trattamento con antibiotici è indicato solo nei casi di neutropenia febbrile, che nel paziente neoplastico immunocompromesso rappresenta un’evenienza molto grave, talvolta letale, e nei rari casi d’infezione clinica afebbrile. In entrambi i casi è indicato eseguire un antibiogramma allo scopo di prescrivere una terapia antibiotica mirata. Se la situazione di particolare urgenza clinica lo richiede, nell’attesa del responso dell’antibiogramma, può essere indicato un trattamento antibiotico urgente, scelto con criteri empirici di ordine clinico. 6 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 È noto che la somministrazione di antibiotici può provocare reazioni allergiche anche gravi, fino allo shock anafilattico e generare resistenza dei batteri agli antibiotici, soprattutto se impiegati in modo inappropriato (senza indicazione), con posologia sotto dosata o per un tempo troppo breve. 2. Di norma non prescrivere markers tumorali serici in corso di processo diagnostico o per la stadiazione dei tumori. I markers tumorali serici sono spesso richiesti in modo inappropriato in quanto richiedono un semplice prelievo ematico. Dato l’elevato costo di ciascun test e l’alto numero di test richiesti la prescrizione rappresenta un notevole spreco di risorse, oltre ad essere fonte di ansia per il paziente in caso di risultato falsamente positivo. Alla prescrizione inappropriata in pazienti asintomatici possono poi conseguire, in presenza di un valore del test superiore alla norma, ulteriori accertamenti diagnostici e trattamenti medici e chirurgici inappropriati. In fase diagnostica i markers possono essere presi in considerazione soltanto in ben definiti tipi di neoplasie maligne, tra l’altro non particolarmente frequenti (epatocarcinoma, tumori del testicolo, carcinoma del pancreas). I markers tumorali possono trovare indicazione solo come monitoraggio della terapia in atto e nel follow-up dei pazienti con diagnosi accertata di neoplasia, nei rari casi in cui sono previsti da specifiche linee guida. 3. Non effettuare di routine terapia antitumorale nei pazienti affetti da tumori solidi con Performance Status (PS) compromesso (3-4) o in progressione dopo 2-3 linee terapeutiche, ma privilegiare le cure palliative. I trattamenti antitumorali in genere hanno probabilità di essere inefficaci nei pazienti affetti da tumori solidi con le seguenti caratteristiche: basso performance status (3-4), non risposta a precedenti terapie evidence-based, non eleggibilità per un trial clinico, assenza di prove di efficacia di un ulteriore trattamento. Uniche eccezioni i pazienti in cui le limitazioni funzionali risultano dovute ad altre condizioni patologiche con un conseguente basso PS o pazienti con caratteristiche di malattia (ad esempio mutazioni genetiche) che suggeriscono un’alta probabilità di risposta alla terapia. La scelta di un approccio di rinuncia alle terapie antitumorali deve essere caratterizzata da appropriata terapia palliativa e di supporto (cure simultanee). 4. Non eseguire esami del sangue incluso il profilo biochimico, scansioni ossee, radiografie toraciche, ecografie epatica e pelvica, TAC, PET e marker tumorali, dopo terapia sistemica precauzionale, in pazienti operate per cancro della mammella, asintomatiche e in assenza di risultati specifici all’esame clinico. L’esame fisico (visita medica) dovrebbe essere eseguito ogni 3 - 6 mesi per i primi 3 anni, ogni 6 - 12 mesi per il quarto e quinto anno e successivamente una volta all’anno. Nelle donne sottoposte a chirurgia conservativa della mammella dovrebbe essere eseguita una mammografia bilaterale post-trattamento, un anno dopo quella iniziale e almeno 6 mesi dopo il completamento dei cicli di radioterapia. Quindi, se non indicato diversamente, dovrebbe essere eseguita una mammografia bilaterale ogni anno. 5. Non prescrivere la chemioterapia nel trattamento sistemico del carcinoma duttale in situ della mammella. La diffusione degli screening per la diagnosi precoce del tumore della mammella ha comportato la frequente identificazione di forme precoci di neoplasia, in particolare di carcinomi in situ: carcinoma lobulare in situ e più frequentemente, carcinoma duttale in situ (DCIS). Poiché tali tipi di tumore possono evolvere verso forme infiltranti, il trattamento locale e quello sistemico hanno lo scopo di prevenire l’insorgenza del carcinoma invasivo e, per quanto riguarda il trattamento sistemico, di quello nella mammella contro laterale. Il DCIS può essere trattato con chirurgia conservativa seguita da radioterapia, oppure con mastectomia semplice. Non esiste alcuna evidenza scientifica a sostegno della chemioterapia nel trattamento sistemico del DCIS, per quanto tale atteggiamento terapeutico fosse abbastanza diffuso fino a non molto tempo fa. Viceversa, studi randomizzati di fase III supportano l’impiego del Tamoxifene dopo trattamento locale (chirurgia con o senza radioterapia). 7 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 IPASVI - Federazione Italiana Collegi Infermieri 1. Non eseguire la tricotomia pre-operatoria con rasoio a lama in previsione di un intervento chirurgico I peli e i capelli possono essere fonte di infezione e ostacolare una completa visualizzazione della zona da incidere e interferire successivamente con la disinfezione della ferita. Le evidenze scientifiche più recenti sono a favore della tricotomia nei casi in cui i peli nell’area di incisione possano interferire con la procedura chirurgica. Studi prospettici randomizzati suggeriscono che l’uso del rasoio elettrico (clipper) determina un minor numero di infezioni rispetto al rasoio a lama poiché associato ad un minor traumatismo cutaneo. Nonostante sia limitata l’evidenza sulla tempistica di esecuzione della procedura, qualora si dovesse effettuare la tricotomia sarebbe preferibile eseguirla il giorno dell’intervento chirurgico. 2. Non utilizzare in modo improprio dispositivi di raccolta per stomie con placca convessa. (AIOSS) La placca convessa è indicata per l’apparecchiatura di stomie complesse o retratte. La sua applicazione non è indicata in presenza di laparocele, di stomia che deborda rispetto al piano cutaneo, di stomie estroflesse o piane. In Italia esiste un uso eccessivo della placca convessa spesso senza valida motivazione, procurando disagi e talvolta danni alla cute peristomale, con ripercussioni sulla qualità di vita del paziente. Inoltre, essendo questo presidio molto più costoso rispetto a quelli dotati di placca piana, l’utilizzo improprio, oltre a non apportare effetti benefici al paziente, comporta maggiori costi sanitari per la gestione della stomia. 3. Non utilizzare in modo improprio sostanze chimiche per la detersione del complesso stomale. (AIOSS) Nonostante l’evoluzione delle conoscenze e delle evidenze sull’azione lesiva prodotta sulla cute dalle soluzioni antisettiche, sgrassanti, disinfettanti quando utilizzate per la detersione del complesso stomale, ancora oggi queste sostanze sono frequentemente adottate dagli operatori sanitari. L’impiego di prodotti antisettici e/o disinfettanti per effettuare le pratiche quotidiane di detersione del complesso stomale è un comportamento inappropriato che può determinare alterazioni delle caratteristiche di integrità della cute (irritazioni, arrossamento, dermatiti, lesioni). È fondamentale considerare le caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da utilizzare per la detersione del complesso stomale. 4. Non utilizzare disinfettanti istiolesivi sulla cute integra nei soggetti anziani, allettati, con cute fragile e/o compromessa. (AIUC) L’utilizzo di disinfettanti e coloranti (ipocolorito di sodio, mercuriali, iodopovidone, derivati del benzene...) su cute integra è una pratica molto comune. Oltre a non avere nessun razionale clinico, l’utilizzo di questi prodotti è particolarmente dannoso, in quanto provocano secchezza della cute, allergie, dermatiti da contatto, prurito. Possono inoltre aumentare il rischio di sviluppare lesione da pressione di I e II grado. Le linee guida attuali e gli studi effettuati consigliano l’utilizzo di prodotti detergenti specificatamente formulati, con ph acido e con una formulazione senza risciacquo, per ridurre gli sfregamenti durante la pulizia. 5. Non fare ricorso alla ginnastica vescicale (chiusura ripetuta del catetere) prima della rimozione del catetere vescicale. (AIURO - ANIMO) La letteratura e le principali linee guida definiscono questa pratica inutile. Essa è basata su un razionale smentito dalla fisiologia della minzione in quanto il muscolo detrusore della vescica non esegue alcuna forma di “ginnastica” quando il catetere rimane in situ perché lo svuotamento dell’urina avviene per drenaggio e non per contrazione dello stesso muscolo. La ginnastica vescicale può invece risultare dannosa per il paziente perché se il catetere viene chiuso più volte durante la giornata, soprattutto in assenza di un circuito chiuso, si determina una stasi urinaria, che può aumentare l’incidenza di infezioni urinarie. 8 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) 1. Non richiedere di routine esami di diagnostica per immagini in caso di lombalgia senza segni o sintomi di allarme (bandierine rosse o red flag) La lombalgia è nella maggior parte dei casi benigna e a risoluzione spontanea. L’anamnesi e l’esame obiettivo, anche con ricerca di segni neurologici, permettono di escludere situazioni cliniche gravi. In tali casi le tecniche di imaging sono inappropriate, almeno per le prime 6 settimane, poiché non modificano l’approccio terapeutico. Inoltre il riscontro di reperti incidentali induce ansia e ricorso ad ulteriori inutili esami, espone a radiazioni ionizzanti e rappresenta un costo ingiustificato per la collettività. 2. Non prescrivere di routine antibiotici a pazienti affetti da infezioni acute delle vie aeree superiori. Valutarne l’opportunità nei pazienti a rischio di infezioni delle vie aeree inferiori o in caso di peggioramento del quadro clinico dopo qualche giorno. Le infezioni delle vie aeree superiori (otiti comprese) hanno per lo più origine virale e guariscono spontaneamente in pochi giorni. L’uso di routine degli antibiotici espone al rischio di sviluppare resistenze ed effetti collaterali. I pazienti a rischio di infezione delle basse vie aeree o complicanze ed i pazienti con sintomi di peggioramento vanno rivalutati perché potrebbero beneficiare di un antibiotico. Rinite protratta o tosse persistente non sono indicativi di infezione batterica. 3. Non prescrivere di routine inibitori di pompa protonica (IPP) a pazienti senza fattori di rischio per malattia ulcerosa. Nella malattia da reflusso gastroesofageo prescriverli alla più bassa dose in grado di controllare i sintomi, educando il paziente ad auspicabili periodi di sospensione. Gli IPP sono prescritti abitualmente in associazione a terapie di cui si teme un potenziale effetto gastrolesivo, accertato per i FANS (evidenza di tipo A), ma non per steroidi, anticoagulanti, antineoplastici, antibiotici. L’assunzione di IPP è probabilmente correlata ad un aumentato rischio di infezioni intestinali e polmonari già nel breve termine, e di frattura dopo un anno. Nella malattia da reflusso gastroesofageo, gli IPP sono farmaci sintomatici, da assumere quando realmente necessari (con schema “al bisogno”) e alla dose più bassa possibile. In questi casi, il principale rischio associato alla sospensione della terapia è l’intensificarsi dei sintomi, che potrebbe eventualmente richiedere una assunzione ciclica. Nell’esofago di Barrett alcuni studi hanno suggerito una possibile utilità della terapia con IPP a lungo termine nella prevenzione della degenerazione neoplastica: in questi pazienti è necessaria una particolare cautela. 4. Non prescrivere terapie con antinfiammatori non steroidei (FANS) senza valutare inizialmente e riconsiderare periodicamente la reale indicazione clinica e il rischio di effetti collaterali in quel momento e in quello specifico paziente. I FANS sono utilizzati prevalentemente in terapie croniche, spesso solo come analgesici, e sono gravati da importanti effetti collaterali, specie a livello gastrointestinale, renale e cardiovascolare. Gli studi disponibili suggeriscono prudenza da parte del medico, sia nella scelta iniziale (se, quale, quanto, come prescrivere), sia nella prosecuzione della terapia. Particolare attenzione va riservata ai pazienti con terapie concomitanti (ad es. antipertensivi, corticosteroidi, anticoagulanti) specie se anziani. 5. Non prescrivere di routine in prima istanza benzodiazepine o Z-drugs nei pazienti anziani in caso di insonnia. Raccomandarne comunque l’uso intermittente e non continuare cronicamente la terapia senza rivalutare periodicamente l’indicazione e l’eventuale comparsa di effetti indesiderati. Numerosi studi dimostrano un aumentato rischio di cadute a terra e di frattura di femore nei pazienti anziani che assumono benzodiazepine e Z-drugs (zolpidem, zaleplon e zopiclone). Tale rischio esiste anche per i protocolli terapeutici più sicuri: quelli con farmaci a bassi dosaggi, a breve emivita o per terapie a breve termine. Il rischio di cadute può essere aumentato, nell’immediato, da un ridotto stato di vigilanza al risveglio. In seguito possono intervenire fenomeni di accumulo con possibili deficit motori e cognitivi, favoriti anche dalla diversa farmacocinetica dell’anziano. 9 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP) 1. Non controindicare le vaccinazioni in caso di allergie. L’anamnesi positiva per allergie o per reazioni allergiche minori non sono controindicazioni alle vaccinazioni. Reazioni locali e sistemiche lievi (arrossamento del sito di inoculo e/o febbre) dopo la vaccinazione sono reazioni comuni e non controindicano la somministrazione di dosi di vaccino in futuro. Speciali precauzioni dovrebbero essere seguite solo in caso di soggetti che abbiano presentato reazioni sistemiche gravi con rischio della vita (dispnea grave, stridore, cianosi, alterazioni dello stato di coscienza, ipotensione). La presenza di una sensibilizzazione alle proteine dell’uovo non è una controindicazione alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia. 2. Non eseguire di routine test allergologici in bambini affetti da orticaria acuta. La diagnosi di orticaria acuta è fondamentalmente clinica e le infezioni (in particolare virali) rappresentano nel bambino la causa nettamente più frequente. Solo quando è presente uno stretto rapporto temporale tra l’ingestione dell’alimento e la comparsa dell’eruzione orticarioide è indicato procedere con test per le allergie: le indagini di laboratorio non sono indicate in prima istanza per cui è opportuno limitarsi al test cutaneo con estratto del commercio (SPT) o con alimento fresco (prick + prick). 3. Non somministrare mucolitici in bambini con asma bronchiale. Nell’asma, l’infiammazione, l’edema della mucosa e l’ipersecrezione di muco aumentano il restringimento del lume bronchiale con formazione di tappi di muco che peggiorano l’ostruzione bronchiale. Studi condotti sull’efficacia dei mucolitici nelle esacerbazioni asmatiche e nella terapia di fondo dell’asma ne hanno dimostrato l’inutilità e la possibilità di effetti collaterali pericolosi. Le più importanti linee guida (GINA, ATS, BTS) internazionali non includono i mucolitici nel “management” del bambino con asma bronchiale. I mucolitici sono inoltre controindicati sotto i due anni d’età per il rischio di un peggioramento consistente della difficoltà respiratoria da difficoltoso drenaggio bronchiale. 4. Non prescrivere di routine esami immunologici in caso di infezioni respiratorie ricorrenti. Non occorre fare indagini immunologiche e genetiche quando il bambino è affetto dalle comuni infezioni virali indifferenziate a carico delle alte vie aeree e quando non ci sia familiarità per immunodeficienze primitive o malattie polmonari ereditarie. Per decidere l’esecuzione di esami non basarsi solo sul numero d’infezioni ma piuttosto sulla gravità, presenza di germi inusuali o opportunisti, sul decorso protratto della infezione e sulla ricorrenza delle infezioni al di fuori dell’età della prima socializzazione. Emocromo con formula e dosaggio delle immunoglobuline sono considerati i test di primo livello, insieme al test del sudore nei pazienti con ricorrenza di otiti, sinusiti batteriche, broncopolmoniti o con altre infezioni invasive. 5. Non escludere un alimento dalla dieta solo per la positività di test cutaneo (prick test) e/o IgE sieriche specifiche. Per la diagnosi di allergia alimentare è fondamentale raccogliere un’approfondita e corretta storia clinica, dalla quale deve emergere un quadro compatibile con allergia alimentare e un rapporto temporale tra l’introduzione dell’ alimento e la comparsa dei sintomi. La presenza di test cutaneo (prick test) e/o di IgE sieriche specifiche positive nei confronti di alimenti indica soltanto una sensibilizzazione, condizione che può essere compatibile con l’assunzione di un alimento. Per una corretta diagnosi di allergia alimentare si deve prevedere (se l’anamnesi e il prick test/IgE sieriche specifiche non sono dirimenti) un test di provocazione orale. Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM) 1. Non eseguire Risonanza Magnetica (RM) del Rachide Lombosacrale in caso di lombalgia nelle prime sei settimane in assenza di segni/sintomi di allarme (semafori rossi o red flags). L’esame viene prescritto abitualmente al primo mal di schiena o sciatalgia, spesso in assenza di un trattamento conservativo fisico e medico. Se non sono presenti gravi sintomi di tipo neurologico o sistemico, la RM lombosacrale in caso di lombalgia e sciatalgia sia acuta sia cronica non è indicata di routine ma deve essere presa in considerazione solo in caso di 10 FIMMG TV ANNO XXIII - N. 2 sintomi resistenti a terapia fisica e medica per almeno 6 settimane. In caso di negatività non deve essere ripetuta prima di 24 mesi. In assenza di segni/sintomi di allarme per lesione o compressione midollare (semafori rossi o red flags) rilevati dalla storia clinica e/o dall’esame obiettivo, l’utilizzo di RM e di altre tecniche di diagnostica per immagini almeno nelle prime 6 settimane non modifica l’approccio terapeutico, ma può portare alla scoperta di reperti incidentali, a ulteriori esami e a interventi chirurgici non necessari, espone a radiazioni ionizzanti e rappresenta un costo elevato per la collettività. 2. Non eseguire di routine Risonanza Magnetica (RM) del ginocchio in caso di dolore acuto da trauma o di dolore cronico. L’esame è comunemente prescritto anche prima di una visita ortopedica che formuli un quesito clinico e ad ogni età, anche se dall’esame non deriva una decisione terapeutica. La maggior parte delle patologie può essere diagnosticata dalla storia clinica e/o dall’esame obiettivo ed eventualmente da una radiografia tradizionale e risponderà al trattamento conservativo fisico e medico. In assenza di segni clinici di allarme l’utilizzo di routine di RM del ginocchio, nelle prime 4-6 settimane nel dolore acuto da trauma o nei primi mesi nel dolore cronico, non modifica l’approccio terapeutico, ma può portare alla scoperta di reperti incidentali, a ulteriori esami e a interventi chirurgici non necessari e rappresenta un costo elevato per la collettività. La sua effettuazione può essere considerata solo quando volta a orientare la scelta tra efficaci alternative terapeutiche, ritenute ragionevoli in base ai dati clinici. 3. Non eseguire Risonanza Magnetica (RM) dell’encefalo per cefalea non traumatica in assenza di segni clinici di allarme. Si abusa abitualmente della RM dell’encefalo facendone uso alla prima manifestazione di cefalea non traumatica; inoltre viene di rado indicato un sospetto clinico che permetta di decidere sulla corretta conduzione dell’esame, che ha modalità molto diverse a seconda del quesito da dirimere. L’esecuzione di RM dell’encefalo (senza mezzo di contrasto - mdc e con mdc) in pazienti con cefalea senza specifici fattori di rischio per malattie strutturali non ha probabilità di modificare la gestione o migliorare gli esiti clinici; i pazienti con una probabilità significativa di malattia strutturale che richiedono immediata attenzione sono individuati dalla storia clinica e/o dall’esame obiettivo. La scoperta di reperti incidentali a seguito di RM può indurre a ulteriori esami e trattamenti aggiuntivi e dispendiosi che non migliorano il benessere del paziente. 4. Non eseguire radiografie del torace preoperatorie in assenza di sintomi e segni clinici che facciano sospettare patologie capaci di influire sull’esito dell’intervento. Eseguire di routine radiografie del torace preoperatorie non è raccomandato senza motivi specifici suggeriti dalla storia clinica e/o dall’esame obiettivo. In assenza di sintomi cardiopolmonari, la radiografia del torace preoperatoria raramente apporta cambiamenti significativi nella gestione clinica o miglioramento degli esiti clinici dei pazienti mentre espone a radiazioni ionizzanti e alla scoperta di reperti incidentali. Richiedere una radiografia del torace è ragionevole se si sospetta una malattia acuta cardiopolmonare o in presenza di una storia di malattia cronica cardiopolmonare stabile in un paziente di età superiore ai 70 anni. 5. Non eseguire di routine radiografia del cranio nel trauma cranico lieve. Il trauma cranico minore o lieve è definito come un trauma cranico senza o con una storia di perdita di coscienza, amnesia o disorientamento, giunto all’osservazione con un Glasgow Coma Score - GCS di 14 o 15 (sono esclusi i paz. con deficit neurologici focali, sospetto di frattura affondata o segni clinici di frattura della base cranica). La Radiografia del cranio può identificare fratture che sono associate a un aumentato rischio di sanguinamento intracranico, ma non identifica il sanguinamento intracranico. Pertanto non è indicata di routine nel trauma cranico lieve, mentre la Tomografia Computerizzata (TC) è considerata l’esame di riferimento per l’individuazione di lesioni di immediata importanza clinica. L’effettuazione inappropriata di radiografia cranica nel trauma cranico può ritardare l’effettuazione di TC e di altri esami urgenti ed espone inutilmente a radiazioni ionizzanti. Un punteggio GCS di 15 (paziente pienamente cosciente) e assenza di fattori di rischio e di sintomatologia tranne dolore nel punto di impatto controindicano peraltro anche la effettuazione immediata di TC.
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