Bollettino informativo non periodico della Comunità Cristiana di base di Chieri - Distribuzione gratuita - Stampato c/o Reprograf di Cocco Bruno Corso Casale 123 Torino (To) il gennaio2015 Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri n° 60 esce dal 1989 L’unico traguardo globale. P rima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare. Bertolt Brecht Siamo su una brutta china. Vi sono molti segnali inquietanti che stanno a testimoniarlo. I peggiori di tutti sono le dichiarazioni a dir poco folli di alcuni personaggi che definire “istituzionali” sarebbe gettare nel discredito totale quel poco che di accettabile resta delle nostre istituzioni. “Si tratta di parole” si dice. Ma a volte le parole sono pesanti come macigni e comunque si comincia dalle parole, espressione di pensiero e di coscienza sotterranea, per arrivare ai fatti. Sono lo specchio della propria realtà interiore. Sono comunque parole che non si dovrebbero mai pronunciare, non che pensare. Qualche esempio? Un certo sindaco di un certo paesino, commentando – a modo suo “spiritosamente” – la dichiarazione della Presidente della Camera Laura Boldrini, la quale sosteneva che “i Rom vanno valorizzati” se ne esce dicendo “I Rom vanno termovalorizzati”. Un altro sindaco della stessa pasta (e della stessa linea politica), commentando un post, scrive su un gennaio 2015 noto social network “propongo i clandestini nell’inceneritore”. Sono solo due esempi molto eloquenti del degrado mentale cui si può essere giunti. Eppure, sarebbero poco significativi se essi non riflettessero una sorta di “coscienza collettiva” sempre più diffusa, che emerge sempre più chiara e distinta e – direi anche – sfacciata attraverso i nuovi strumenti di democrazia comunicativa: commenti ad articoli di giornali, commenti a post su FB, “cinguettii” su Twitter ed altro ancora… Si leggono drastiche opinioni, informazioni date per certe, giudizi perentori, che si potrebbero, alquanto schematicamente, raggruppare nelle seguenti categorie: 1) Se in Italia non c’è lavoro, la colpa è degli “extracomunitari” che lo rubano agli indigeni. Che poi vorrei vedere quanti Italiani sarebbero disposti a fare i/le badanti a tempo pieno, con anziani spesso aggressivi, nel pieno dell’Alzheimer. Oppure i raccoglitori di pomodori a tre euro l’ora. 2) Per ottenere una casa popolare, devi farti togliere la cittadinanza italiana e risultare clandestino. 3) Ci sono folle di emigranti che arrivano sui barconi desiderosi di trascorrere un periodo di vacanze in alberghi extralusso, pagati con le tasse degli Italiani. 4) Sicuramente tutti questi migranti hanno contratto l’Ebola e adesso arrivano, dopo un lungo viaggio in mare in condizioni proibitive, freschi sani e pimpanti a infettare tutti noi. (Continua a pagina 2) Gennaio 2015 - n. 60 5) E soprattutto, il 90% sono terroristi che arrivano, armati fino ai denti, per assaltare e occupare le nostre città. 6) Dei circa sessanta milioni di abitanti che risiedono in Italia, sicuramente un buon sessanta per cento è costituito da immigrati. Salvateci! Rischiamo di diventare trascurabile minoranza. E altre sciocchezze del genere. Non si tiene conto di altre considerazioni su cui qualche dato e il buon senso dovrebbero far riflettere. 1) L’Italia non è l’unico Paese meta di immigrazione (oltre che di emigrazione). In altri Paesi, anche più poveri del nostro, gli immigrati sono molti di più. 2) Se uno ha l’Ebola, normalmente non se la sente di fare una lunga e pericolosa traversata in mare. 3) Spesso chi fugge sono proprio quelli che non vogliono fare i terroristi, magari proprio quelle m i n o r a n z e (cristiane e musulmane) oggetto di persecuzioni e di stragi, su cui poi noi spargiamo tante lacrime di coccodrillo. 4) Il “sistema accoglienza” in Italia non è certo dei migliori e sicuramente non arricchisce i migranti, spesso costretti all’accattonaggio per sopravvivere. Ma la “coscienza collettiva” di una società, preda di una crisi che morde ormai da troppo tempo, si va sempre più orientando verso la ricerca di un capro espiatorio, facile e immediato. Dal senso di disagio al giudizio affrettato e all’azione di protesta anche aggressiva i passi sono brevi come dimostrano le sollevazioni delle periferie romane (e non solo) contro le comunità Rom e i migranti in attesa di riconoscimento dello status di Rifugiato. Naturalmente, c’è chi pesca subito nel torbido, come personaggi e forze politiche che approfittano di questo malessere per ergersi a paladini delle “legittime esigenze degli Italiani dimenticati e bistrattati”. Chi siano queste forze politiche non è così difficile da intuire: quelle che intendono rinverdire una ideologia vecchia come il cucco, secondo cui il malessere sociale dipende da “corpi estranei” che non appartengono alla nostra comunità, si chiami essa Patria o Macroregione o Religione. E’ una storia già sentita nelle narrazioni C.D.B. Chieri informa 2 tragiche del secolo scorso, quelle che hanno intessuto gli orrori delle due guerre mondiali. E non a caso assistiamo oggi a un pericoloso convergere di programmi e idee che vedono schierati sullo stesso fronte la Lega Nord, i Fratelli d’Italia, Casapound e alcune frange di cattolici oltranzisti. Ma ancor più pericolosa è la diffusione di tali convincimenti anche in fasce di società civile solitamente moderate, se non addirittura “di sinistra”. Salvo poi a scoprire che questi strani personaggi che incitano alla rivolta contro i campi Rom e le strutture d’accoglienza per gli immigrati sono proprio quelli che poi, in combutta con il malaffare e con amministratori complici e compiacenti, lucrano abbondantemente proprio sui progetti del Terzo Settore con cui si cerca, in qualche modo, di arginare il disastro sociale e di venire incontro ai bisogni umani degli emarginati. Gettando così nel fango e vanificando anche tutti gli sforzi, faticosi e lodevoli, di chi con impegno e onestà dedica ad essi le proprie energie e il proprio tempo, per ridare loro un po’ di dignità e di autonomia. L’avanzata delle Destre xenofobe e razziste non è solo un problema italiano, come dimostrano i risultati elettorali di molte nazioni europee. Ed è un problema seriamente sentito anche a livello di istituzioni europee se 100 organizzazioni della società civile con sede in diversi paesi europei hanno lanciato un appello per la costituzione di un Intergruppo sull’Antirazzismo e per la Diversità al Parlamento Europeo (ARDI. Anti-racism and Diversity Intergroup). Insomma, si registra un ritorno al razzismo, alla xenofobia, al rifiuto del “diverso”, seppure ammantato da parole d’ordine nuove e da ragioni politiche attualizzate. E questa mentalità fa larga presa, a quanto mi è dato di vedere, anche tra persone “insospettabili”, non particolarmente esagitate e anzi dotate, per altri versi, anche di ragionevolezza e di buon senso. Come mai? Ecco, io non vorrei, a questo punto, lanciare un semplicistico “J’accuse” da “anima bella”. Sarebbe troppo semplice e troppo comodo. E anche ipocrita. Vorrei invece sforzarmi di capire. Non di giustificare, è ovvio, ma di capire. Molta, troppa gente ormai vive in una condizione di incertezza, di disagio, di bisogni insoddisfatti. Per esempio, il bisogno di Gennaio 2015 - n. 60 trovare un lavoro sicuro, di potersi pagare l’affitto di una casa o un mutuo, di potersi curare al meglio, se si ammala. E quando i puntelli di un agognato e fino a un dato momento assicurato welfare vengono a sgretolarsi, ci si aggrappa con tutte le forze alla piccola tavola di salvataggio consentita: i “nostri” diritti, le “nostre” tradizioni, la “nostra” cultura ecc. Sì, ma gli altri? Chi fugge dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla miseria? Eppure bisogna chiedersi: se a me venisse tolta o pesantemente ridimensionata la possibilità di vivere in sicurezza e in relativo benessere, che cosa farei? Che cosa penserei? Inoltre, bisogna anche tener conto che chi vive già nell’area del disagio ha una soglia di tolleranza molto inferiore nei confronti del degrado di chi sta peggio e chiede interventi pubblici. E anche del fatto che, ai livelli del bisogno impellente, si intrecciano e si mescolano in maniera inestricabile fenomeni di illegalità e di devianza, di cui i “diversi” non sono esenti, come esseri umani. Anche se la percezione distorta tende a isolare e a enfatizzare gli episodi di devianza “straniera”. Le forze politiche nazionalistiche, localistiche, identitarie, si nutrono di queste rabbie, di queste insicurezze, di queste paure. E la Sinistra? Ho come l’impressione che, allo stato attuale, le vere forze di sinistra siano alquanto deboli e impotenti. O succubi delle “ragioni” dei mercati. Che manchi, cioè, un progetto politico organico e coraggioso. Capace di fare presa sulle “masse” e di coinvolgerle in un percorso di affermazione e realizzazione solidale dei diritti di tutti. Perché? Qui occorrerebbe innestare un discorso articolato e complesso, su un nuovo modello di sviluppo in cui la crescita non sia solo un privilegio di alcuni a discapito di altri. In cui la produzione non sia finalizzata a una competitività aggressiva e minacciosa tesa all’incremento dei profitti più che al soddisfacimento dei bisogni. In cui il rispetto dei diritti non conosca confini e la tutela degli ecosistemi riguardi tutte le popolazioni. Occorrerebbe una visione globale e interrelata, non particolaristica e identitaria del nuovo welfare. Occorre pensare una nuova organizzazione del lavoro, al servizio della vita di tutti, non del privilegio di pochi. E forse dovremmo anche fare i conti – tutti, non solo le C.D.B. Chieri informa 3 grandi Istituzioni – con un necessario contenimento della ricchezza individuale a favore di un sostegno del reddito per tutti, soprattutto le fasce meno protette (giovani, pensionati, diversamente abili ecc). Di una diffusione e tutela dei “beni comuni”. In Europa non mancano le forze che guardano in questa direzione. Penso a “Syriza” in Grecia, al movimento “Podemos” in Spagna. Minoritarie, certo, ma significative. Ma soprattutto, a mio avviso, la vera azione politica in questo senso sarà attuata dalla miriade di piccole e grandi associazioni della società civile che ancora credono nei valori della solidarietà, dell’inclusione, del dialogo, della condivisione, della creatività operosa e intelligente a fini sociali. Tante piccole mani e volontà per rigettare indietro – se fosse possibile – i vieti spauracchi delle pseudorivoluzioni similfasciste. Vero è che la solidarietà da sola non basta a risolvere i problemi dei bisognosi se non è sostenuta da una robusta azione politica, incentrata sulla tutela dei diritti. Però è anche vero che la sola politica – intesa come azione legiferante dei rappresentanti del popolo – non è sufficiente se non è sostenuta a sua volta da una solidale consapevolezza della società civile. O almeno di quella parte di essa che ha sviluppato resistenti anticorpi al riproporsi di soluzioni aggressivamente identitarie. Ognuno deve metterci la faccia, il cuore e il cervello per contrastare l’emergere di pulsioni xenofobe e razziste di vecchia memoria. Laddove c’è grande malessere sociale la cosiddetta “guerra tra poveri” è sempre in agguato. E c’è chi ne approfitta, svendendo per nobili ragioni una chiusura e un’ostilità sempre più identitarie e securitarie. Ma, insegnava don Milani, “il problema degli altri è uguale al mio. Uscirne da soli è l’avarizia, uscirne insieme è la politica”. La politica! Questa parola che si è rivestita di mille sensi ambigui e distorti, quasi fosse sinonimo di malaffare e di corruzione. Eppure la sua radice è la “polis”, cioè l’idea di cittadinanza, rafforzata dall’idea del diritto. Che dovrebbe costituire l’unico traguardo veramente “globale”, senza esclusioni e barriere. Rita Clemente Gennaio 2015 - n. 60 STUDIARE VALE LA PENA Nella casa Circondariale Lorusso e Cutugno si attiva, nella sezione femminile, una classe del corso di Operatore dei Servizi Sociali di Elisa Lupano C i risiamo. È sempre così. Non so dire dei no e poi mi viene il panico. Il meccanismo è sempre lo stesso: una telefonata, una domanda gentile, due parole sulla bontà del progetto, e in un nanosecondo riesco a dire si, il tempo giusto di individuare che nel giorno e ora proposti c’è un pauroso vuoto di due ore, qualche impegno spostabile, qualcosa che sarebbe stato per me, e quindi può passare in secondo piano. Anche questa volta è andata così. “Ciao, abbiamo aperto una sezione di scuola superiore alle Vallette, sezione femminile, ce l’abbiamo fatta finalmente, ci sono dodici donne iscritte, hai voglia di andare a insegnare psicologia? È il martedì, dalle 14 all16.” Chissà come alcune parole passano direttamente al nostro sistema limbico, e non arrivano neanche alla corteccia associativa, o ci arrivano molto dopo, quando tutto è già partito. SEZIONE FEMMINILE, CARCERE, PSICOLOGIA, CE L’ABBIAMO FATTA. Chi sono io per fermare questo flusso di cose positive che altri hanno messo in moto? Così eccomi qui, a parcheggiare davanti alla Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, la carta d’identità in tasca, una borsa di libri e quaderni, e 12 fotocopie della mia lezione. Non è la prima volta che entro in un carcere, ma c’è sempre un filino di ansia, dettata dalla possibilità di sbagliare un procedimento al quale non riuscirò mai ad abituarmi, dal timore che qualcosa non funzioni. Come varchi la soglia di quel cancello alto 5 metri, sai che non sei completamente padrona della tua vita, che devi stare alle regole del protocollo e non te ne devi dimenticare. Nessuno ti conosce, non sei una prof, per quel po’ di considerazione che è rimasto a questo ruolo, sei una donna qualsiasi, per giunta un po’ imbranata, un po’ sorda quando ti parlano dai vetri. Primo step all’ingresso, consegna carta di identità. “Dove va?”. Questa la so: “Sezione femminile, alla scuola”. C.D.B. Chieri informa 4 “È volontario o insegnante?” “Veramente tutti e due…”. Mi danno il pass come visitatore. Secondo step, questo è più difficile. Altro vetro, altro passaggio obbligato. “COME SI CHIAMA?”. Chissà perché devono sempre urlare. Dico il cognome. Scrive. “IL NOME??”. E va bene, anche il nome. Passo dal Metal detector. Oggi quello di turno è più incarognito del solito. “Non può entrare con quella borsa”. È una borsa di tela, si vede tutto quello che c’è dentro, cerco di insistere… Niente da fare, la borsa non entra. Vado a chiedere (qui bisogna sempre chiedere) un lucchetto per un armadietto, sono quasi le 14, ho fretta. Cerco l’armadietto, la chiave funziona, mano male. Svuoto la borsa e la chiudo dentro, prendo i libri e il registro in mano, sono tanti, mi scivolano, sembro Fantozzi. Anche così vanno passati al metal detector. Sul tappeto scorrevole si sparpagliano, gli ultimi sono rimasti sotto il rullo e devo recuperarli con un po’ di contorsioni. Li rimetto in ordine sul tavolo, per poterli portare. Ora tocca a me, ma la guardia carceraria se ne è andata e io sono lì, ad aspettare. So che se facessi finta di niente forse nessuno se ne accorgerebbe, ma se non fosse così? Aspetto ancora un po’ poi lo vado a cercare, sta parlando con un collega. “Deve ancora passare il Metal su di me”. Di sicuro se ne era dimenticato, tanto ho l’aria pericolosa. Davanti, dietro, braccia larghe. Ok, tutto a posto. Con i miei libri scivolanti passo dall’ultima porta dell’accettazione, che si apre solo se la porta che la precede è chiusa, quindi non dare segni di impazienza, si sta davanti e si aspetta. Ora sono proprio dentro. Ancora una sosta alla guardiola della sezione femminile, ancora il nome, faccio vedere il numero che mi hanno dato come visitatore, ancora dico dove vado. Ce l’ho fatta, salgo al terzo piano. L’aula è una cella adibita ad aula. Ci sono dodici banchi, non ce ne starebbe uno di più. La cattedra non c’è, ovviamente, terrebbe troppo posto. Non è un problema, appoggio i libri in un angolo di un banco. C’è però una lavagna, e un televisore enorme, con lettore cassette VHS (non ne esistono più) che ad una prima ricognizione, viene definito Gennaio 2015 - n. 60 inutilizzabile: la mia tutor, un’educatrice, il primo giorno mi ha detto “l’anno scorso l’abbiamo provato, ma si è bloccato e da allora non ci abbiamo più provato”. Ok, per ora discorso chiuso sulla multimedialità. C’è una speranza: sembra che con i soldi del progetto saranno acquistati dei computer. Le ragazze sono nel corridoio, stanno facendo l’intervallo, una sigaretta, e poi rientrano. Oggi ho portato dei quaderni a righe, avevo quelli con le righe di terza che le mie nipoti non usavano più, ma vanno bene uguale. Una ragazza me li aveva chiesti. Bastano per tutte, meno male, mi accorgo che chiedono di essere trattate tutte uguali, non si può fare differenze, come con i bambini. La situazione di dipendenza in cui si trovano, fa vivere ogni piccola cosa come un’ingiustizia, anche un quaderno in meno. “E a me?, io non l’ho avuto!!” no tranquilla, ce n’è ancora uno. Il primo giorno che sono arrivata, ho chiesto loro di presentarsi, dire qualcosa sul loro nome, sul luogo dove sono nate, dire una cosa che piace e una che non piace. Sui nomi qualcuno mi dice che è il nome della nonna, un nome scelto dalla mamma, il nome dell’albergo dove papà e mamma si sono fermati una volta… Sul luogo dove sono nate dicono la provenienza (Nigeria, Romania, Moldavia, Italia), e se sono nate in una città o in un piccolo paese. Tra le cose che piacciono ci sono: ballare, cantare, leggere, ridere. Tra le cose che non piacciono ci sono l’ingiustizia, la falsità, le persone che sparlano dietro. Vivian dice: il ricatto morale. Le chiedo di spiegare meglio. Il ricatto morale è, secondo lei, quando una persona ti dà o non ti dà una cosa perché lo decide lei, perché può farlo. È quello che si vive in carcere? Si, dice “noi siamo detenute, perché abbiamo fatto una cosa sbagliata, e le guardie decidono cosa possiamo fare e cosa no”. È la colpa che toglie la libertà di decidere, e la dà a qualcun altro al posto mio. Io, in quegli occhi non riesco a vedere delle colpevoli, non ci riesco. Vedo delle donne che hanno voglia di sapere, di capire. Vedo delle donne che nella loro voglia di venire a scuola non trovano solo un’alternativa ai corsi di cucito, ma un punto per ricominciare. Donne che credono di potercela ancora fare. Per questo mi sono maestre. Io da loro ho ancora molto da imparare. Anch’io ho ripreso da grande a studiare, e lo studio è stato per me un percorso di crescita più che un conseguimento di un titolo. Per questo le sento C.D.B. Chieri informa 5 tanto vicine. Le donne di questa piccola classe in mezzo alle Vallette non sono quello che hanno commesso e che le ha portate qui, sono quello che saranno da adesso in avanti: donne che prendono in mano la loro vita, che fanno progetti, che pensano alle loro famiglie e ai figli e che per loro vogliono essere migliori. Donne che mi dicono, con la loro presenza, le loro domande, il loro interesse, la loro voglia di capire, ancora un volta, che studiare vale veramente la PENA. Contribuisci al progetto CAITH La casa famiglia fondata da Vittoria Savio a Cusco in Perù Per informazioni: Maria 349.7206529 SE CI RITENETE UTILI Questi tempi di crisi colpiscono anche il settore dell’informazione, le risorse delle famiglie e dei singoli sono sempre più scarse. Per sopravvivere e proseguire il modestissimo impegno di informazione, ricerca religiosa e sociale, abbiamo bisogno del vostro aiuto, incoraggiamento e collaborazione. Grazie e buon anno nuovo a tutti Gennaio 2015 - n. 60 L'anima dell'uomo A llora Dio plasmò l'essere umano con la polvere della terra e soffiò nelle sue narici il soffio di vita e l'uomo divenne un essere vivente. (Genesi 2,7) Da questo versetto di Genesi è fiorita la leggenda ebraica sulla creazione dell'anima che ho scelto tra le molte riportate da Louis Ginzberg nel primo volume del suo Le leggende degli ebrei. Le leggende ebraiche, dopo essere state a lungo trasmesse oralmente, sono passate alla scrittura durante i secoli che vanno dal II al XIV. Documentano le meditazioni e gli approfondimenti fatti dai maestri della Torah che li usavano nelle loro omelie; ma anche una straordinaria e feconda contaminazione con l'immaginario popolare del tempo in cui sono state elaborate. Questo è il testo: La cura con cui Dio modellò ogni dettaglio del corpo dell'uomo non è nulla in confronto alla Sua sollecitudine per l'anima umana. Essa fu creata il primo giorno: è infatti lo spirito di Dio che aleggiava sulla superficie delle acque. Perciò l'uomo, anziché essere l'ultima opera della Creazione, ne è in realtà la prima. Questo spirito, o, per chiamarlo col suo nome consueto, l'anima dell'uomo, possiede cinque diverse facoltà. Una di esse gli consente di uscire dal corpo ogni notte per salire al cielo e attingervi nuova vita per la persona. Con l'anima di Adamo vennero create le anime di tutte le generazioni umane. Esse sono custodite in uno scrigno nel settimo cielo, e di là vengono tratte ogni volta che occorrono per un corpo d'uomo. L'anima e il corpo dell'uomo si uniscono in questo modo: quando una donna concepisce, l'Angelo della Notte, Laylah, conduce il seme al cospetto di Dio, ed Egli stabilisce quale genere d'essere umano ne sortirà – se sarà maschio o femmina, forte o debole, ricco o povero, bello o brutto, grande o piccolo, grasso o magro, e tutte le altre sue caratteristiche. Solo la rettitudine e la malvagità sono affidate all'arbitrio dell'uomo. Allora Dio fa cenno all'angelo che ha cura delle anime, dicendo: «PortaMi l'anima tale, che è nascosta in paradiso e ha nome tal dei tali e forma così e così». L'angelo porta l'anima designata, che compare alla presenza di Dio, s'inchina e si pro- C.D.B. Chieri informa 6 stra al Suo cospetto. In quel momento Dio le ordina: «Entra in questo seme». L'anima apre le labbra e implora: «Signore del mondo! Sono felice di dimorare in questo mondo, dove vivo dal giorno in cui Tu mi chiamasti a essere. Perché ora mi chiedi di entrare in questo seme impuro, io che sono santa e pura e sono parte della Tua gloria?». Ma Dio la consola: «Il mondo in cui ti farò entrare è migliore di quello in cui hai vissuto sino a ora, e solo per questo ti ho creata». Così l'anima è costretta a entrare nel seme contro la sua volontà, e l'angelo la riporta nel ventre della madre. Due angeli sono incaricati di vegliare a che non l'abbandoni e non ne esca, e le viene posta sul capo una luce grazie alla quale l'anima può vedere il mondo da un capo all'altro. Al mattino un angelo la conduce al paradiso e le mostra i giusti, che vi siedono incoronati e ammantati di gloria. Egli chiede all'anima: «Sai chi sono?»; l'anima risponde di no, e l'angelo continua: «Quelli che vedi qui furono formati come te nel ventre delle loro madri. Una volta venuti al mondo hanno osservato la Torah di Dio, le Sue leggi e i Suoi dettami. Per questo godono oggi della beatitudine in cui li vedi immersi. Sappi che un giorno anche tu lascerai il mondo di sotto, e se avrai osservato la Torah del Signore sarai giudicata degna di sedere con questi giusti, altrimenti sarai condannata all'altro luogo». Alla sera l'angelo conduce l'anima all'inferno, dove le indica i peccatori che gli angeli della Distruzione percuotono con flagelli di fuoco. Essi gridano: «Ohi! Ohi!», ma nessuno ha pietà di loro. Allora l'angelo le chiede come prima: «Sai chi sono?», e come prima l'anima risponde di no. L'angelo continua: «Costoro che sono divorati dal fuoco sono stati creati come te, ma una volta venuti al mondo non hanno osservato la Torah del Signore, le Sue leggi e i Suoi dettami. Perciò sono ora condannati a queste pene ignominiose. Sappi che anche tu dovrai lasciare il mondo: sii dunque retta e non malvagia, e ti conquisterai il mondo a venire». Tra il mattino e la sera l'angelo conduce l'anima in giro e le mostra dove vivrà e dove morirà e il luogo in cui sarà sepolta, facendole percorrere il mondo intero e indicandole gli uomini retti, i peccatori e ogni altra cosa. Alla sera la ripone nel ventre della madre ed essa vi rimane per nove mesi. Quando giunge per l'anima il momento di uscire dal ventre e di venire al mondo, quello stes- Gennaio 2015 - n. 60 so angelo la chiama e le dice: «È giunto per te il momento di entrare nel mondo». L'anima obietta: «Perché vuoi farmi venire al mondo?» e l'angelo risponde: «Sappi che così come sei stata formata contro la tua volontà, contro la tua volontà nascerai, contro la tua volontà morirai e contro la tua volontà renderai conto di ciò che avrai fatto al cospetto del Re dei re, il Santo, sia Egli benedetto». Ma l'anima è restia a lasciare il suo posto. Allora l'angelo dà un buffetto sul naso al nascituro, spegne la luce sul suo capo e lo conduce nel mondo contro la sua volontà. In quel momento il bambino dimentica tutto ciò che la sua anima ha visto e appreso e viene al mondo piangendo, perché lascia un rifugio sicuro e sereno. Quando giunge per l'uomo l'ora di abbandonare questo mondo, lo stesso angelo appare e gli chiede: «Mi riconosci?» e l'uomo risponde: «Sì, ma perché vieni a me oggi e non sei mai venuto prima?». L'angelo dice: «Per portarti via dal mondo, perché il tempo della tua dipartita è venuto». […] Quali immagini di Dio può suggerire questa antica storia a un credente cristiano di oggi che conosce il primo Testamento e sa che i miti come quello di Genesi e le leggende religiose come questa non parlano di fatti realmente accaduti? Essi non possono darci lezioni di storia e neppure di teologia; spesso però manifestano archetipi religiosi esistenziali che possono ancora coinvolgerci. È un'esperienza consueta per chi ama le antiche fiabe; lo sanno i bambini, ma lo sperimentano anche i lettori adulti purché sappiano sognare. Qual è allora il Dio sognato da quelli che hanno creato questa storia? E qual è il suo progetto sulla vita dell'uomo? È un Dio creatore e signore del mondo, di cui conosce principio e fine; un Dio che tutto vede e a tutto provvede. Nel creato c'è l'uomo, il suo prediletto: l'ha fatto esistere, come emanazione di sé, il primo giorno (in disaccordo con la cronologia di Genesi 1). Questo Dio manifesta una cura amorevole per le anime che ha creato. Lo scrigno in cui vengono poste, tutte insieme all'inizio ma spinte poi nel mondo ad una ad una, sottolineando così il rapporto individuale con Dio di ognuna di loro; la luce accesa sul capo del bambino nell'utero materno; l'andirivieni degli angeli che dà al nascituro una specie di precoscienza per le scelte che dovrà fare in vita: sono tutte immagini luminose e forti. C.D.B. Chieri informa 7 Si spegne la luce e il bambino nasce. Non una parola sulla vita di quell'uomo, breve o lunga, in ricchezza o povertà, gioiosa o dolorosa; alla storia tutto questo non interessa. Interessa invece il momento finale, quello della morte. È una scelta sapiente del narratore parlare in così breve spazio della vita di un uomo, dalla nascita della sua anima alla morte: una scelta che ci fa tutti uguali. La morte, prima o poi, arriva per tutti; qui l'annuncia lo stesso angelo che ha presieduto alla nascita. Attraverso l'angelo è presente Dio, e l'uomo riprende una relazione diretta con lui, quella che l'anima aveva avuto prima di nascere, quando Dio l'ha spinta verso la vita. In un'altra leggenda, parallela a questa nel contenuto fino a questo punto, non l'angelo ma Dio stesso appare al morente e gli dice: «Metti per iscritto tutte le tue azioni perché stai per morire». L'uomo scrive tutto e firma di sua mano. Così, conclude la storia, nel giorno del giudizio ogni uomo vedrà il libro firmato da lui. Bella invenzione narrativa sul libero arbitrio e la responsabilità personale. La cura amorevole di Dio per l'uomo si manifesta anche nel dono della Torah, il grande presidio religioso della tradizione ebraica. Il bambino che nascendo ha perduto il lume acceso sul suo capo, trova nel suo mondo questo dono di Dio. Un'altra leggenda racconta che Dio, attraverso l'angelo Razi'el, ha consegnato il Libro ad Adamo che, dopo la cacciata, era confuso e smarrito. Torah a parte, nessun elemento di questo racconto si discosta dalla visione cristiana su Dio dei secoli passati. È un bell'esempio di trasmissione dall'ebraismo al cristianesimo. Per quel che mi riguarda, posso dire che la mia nonna Marietta, contadina montanara trentina nata alla fine dell'Ottocento, avrebbe condiviso con tutto il cuore l'immaginario di questa leggenda. Conosceva Genesi ed Esodo e i suoi racconti biblici hanno nutrito, sera dopo sera, la mia formazione infantile. E come i patriarchi del primo Testamento è morta piamente e serenamente, «sazia di giorni». E oggi? Intorno a me percepisco tanti modi diversi di essere cristiani ma ben poco dell'immaginario dei credenti: si ha pudore a parlarne. Giustamente si guarda alle opere: l'amore per il prossimo piace a Dio, l'individualismo proprietario è un male, importanti sono le relazioni tra gli umani. Da questo punto di vista può sembrare che manchi qualcosa in questa leggenda: non ci sono rapporti Gennaio 2015 - n. 60 degli uomini tra loro, l'individuo è isolato, l'orizzonte della salvezza è strettamente individuale. Inoltre nel suo insieme la leggenda è molto antropocentrica, più che i tre capitoli di Genesi che l'hanno generata, e che oggi possiamo interpretare in modo geocentrico, guardando agli animali, al lavoro dell'uomo, alla cura e coltivazione del suolo. A un racconto archetipico, sia esso mito, leggenda o fiaba, si può però solo chiedere conto di ciò che dice, non di ciò che non dice. L'anima dell'uomo ci parla di un Dio che ha per noi amorevole cura dall'inizio alla fine della vita, non determina le nostre scelte e ci promette eterna beatitudine. È un immaginario coerente, armonioso e rassicurante. Qualcuno potrebbe chiedermi perché do tanta importanza all'immaginario religioso dei credenti. Per me l'immaginario è parente stretto del sogno ad occhi aperti, e chi sa sognare può avere fiducia in se stesso e speranza nell'agire quotidiano. Senza un immaginario su Dio non si può pregare, sia che pensiamo a un Dio che vive in noi o a un Dio in cui siamo immersi. Non si può neppure parlare di fede. Com'è oggi il mio immaginario su Dio? Sono figlia del mio tempo e anche del mio percorso di ricerca religiosa. Guardando al passato posso dire che solo in particolari momenti di gioia intensa (quando ho partorito i miei figli) o di grande angoscia (quando ho avuto paura di morire per un cancro) la mia relazione con Dio ha avuto punti di contatto con il Dio di questa storia. Oggi nel quotidiano vivo un immaginario frammentario e mutevole; la visione solida e luminosa della mia nonna non può più appartenermi. E il vostro immaginario su Dio qual è? Tullia Chiarioni C.D.B. Chieri informa Come potete dire “Natale”? Tutti i bambini e le bambine nascono Affamati di stupori Che scoprono un mondo Fatto per loro Per le loro scoperte Una culla, una casa Un paradiso accogliente. Tutti i bambini e le bambine nascono Bisognosi di calore Di latte caldo Di teneri abbracci E poi di libertà Per correre felice Sulla terra del loro sogno. Ogni bambino e bambina È una grande promessa Un libro da scrivere Una buona novella Da annunziare con gioia. E’ un miracolo ardente. Ma voi, bambini fatti adulti, fatti mostri di pietra, fatti fantasmi di tenebra come potete impunemente spegnere questa luce divina uccidere questa speranza con la guerra e con la fame con il dolore e con la paura con l’indifferenza del cuore con il freddo nell’anima con il tradimento di voi stessi della vostra natura bambina? Come potete dire “natale”? Se un solo bambino, una sola bambina Trema nel buio, incapace di sogni Con la meraviglia degli occhi Ridotta a un vacuo terrore Come un giocattolo rotto o smarrito? Daisy T. 8 Gennaio 2015 - n. 60 C.D.B. Chieri informa 9 Da Gesù al cristianesimo Di don Franco Barbero sbobinatura e adattamento non rivisti dall’autore D a Gesù al cristianesimo c’è un passo o c’è un continente? Sono la stessa cosa o sono addirittura due cose diverse? Ecco la domanda. Per molti preti e per molti teologi, strutture ufficiali cattoliche e protestanti questa domanda potrebbe apparire scandalosa perché per essi è di un’ovvietà incontrovertibile il fatto che il cristianesimo discenda da Gesù, che lo ha fondato e voluto. Attualmente una corrente sempre più numerosa di studiosi e di teologi pone dei grandi interrogativi rispetto a questa concezione tradizionale. Noi abbiamo l’idea di Gesù fondatore del cristianesimo: ecco dove sta il grande nodo! facciamo risalire quasi automaticamente a Gesù l’attuale struttura e conformazione del cristianesimo: che esista una chiesa cristiana, dei sacramenti, un tipo di organizzazione, che esistano delle verità sulla sua figura, noi riteniamo che tutto questo lo abbia voluto Gesù, lo abbia determinato Lui. La storia ci dice che questa domanda è stata posta ormai da molti secoli, inizialmente dai movimenti pauperistici, parecchi dei quali furono perseguitati e messi al rogo. Molti si domandarono, di fronte agli scandali e alla ricchezza dell’alto clero, se la Chiesa fosse ancora sulla strada di Gesù. Era una domanda sul piano etico, che però sollevò molte inquietudini. Taluni dissero che Gesù non era mai stato dalla parte dei potenti, non avrebbe approvato i roghi, non avrebbe voluto che chiunque dissentisse venisse punito, non avrebbe fatto differenze tra uomini e donne, o diviso in “santi” e “dannati”. La chiesa ha sempre aggirato queste domande parlando della condizione generale di peccato e di fragilità umana, dicendo che Gesù aveva additato un ideale di vita, ma era difficile da attuare, solo pochi lo riuscivano a realizzare. Più tardi sono iniziati gli studi ed alcuni si domandarono le origini dei sacramenti: il battesimo e l’eucarestia sono nel Nuovo Testamento, ma gli altri quando sono nati? Lavorando sui documenti gli storici videro che erano nati nell’un-dicesimo secolo; prima furono 8, poi 14. Nel 1215 compare per la prima volta: “sono sette”. Alla fine del Concilio di Trento si dice: “sono 7, né più, né meno”. Era la prova di un processo storico che dimostrava che non tutti provenivano da Gesù. Molti, nei secoli successivi, si domandarono cosa volesse dire che Gesù è “figlio di Dio”. Vennero date risposte diverse: Gesù era un agente di Dio, un suo testimone, un profeta del regno, colui che ha ricevuto da Dio una vocazione particolare. Gli studiosi del primo Umanesimo, ai quali dobbiamo queste elaborazioni iniziali e studi dei documenti antichi, riscoprirono che nel terzo e quarto secolo la maggioranza pensava che Gesù non fosse Dio. Poi venne il concilio di Nicea, ma le differenze di valutazione sulla persona di Gesù continuarono per molto tempo; c’era un plurale di cristologie. E sull’eucarestia si domandarono: “mangiamo davvero Gesù?”. Il sinodo di Vercelli dell’XI secolo disse: “no, è un simbolo, una figura”. E la morale? Le seconde nozze sono o no lecite? Nel vangelo di Marco c’è scritto di no, nel vangelo di Matteo c’è scritto di sì, Paolo dice che si può: se i due non vanno d’accordo, meglio separarsi. Gli studiosi scoprirono che c’èra un plurale d’interpretazioni e questo implicava che probabilmente Gesù non avesse istituito i sacramenti, ma che sul suo vissuto si siano esperite, tentate, elaborate delle interpretazioni. Egli non aveva trasmesso delle norme rispetto alle celebrazioni, ai dogmi. Di fronte a tutte queste domande, voi capite l’importanza della moderna ricerca sul “Gesù storico”: essa ci testimonia che molte delle strutture ecclesiali e teologiche non hanno niente a che fare con Gesù; talvolta sono assolutamente delle creazioni storiche, altre volte sono addirittura contro di Lui. Notate che questi studi sono sorretti da due pilastri: uno è la scienza, l’altro è la fede. Questa ricerca è stata fatta da credenti e non credenti, ma in larga misura è sorretta dalla fede di molti credenti, donne e uomini, studiosi, che hanno detto: “a noi interessa davvero la figura di Gesù, è il fondamento della nostra fede; per noi è Gennaio 2015 - n. 60 importante capire il più possibile chi è stato, che cosa ha rappresentato la sua vita, quale è stata la sua fiducia in Dio, il suo insegnamento, la centralità del suo messaggio”. Questa ricerca non muove solo dalla curiosità o dalla scienza, che per la carità è fondamentale, ma è animata, in moltissimi casi, da una grande fede. La scienza ha dato un apporto straordinario alla religiosità ed alla ricerca biblica. Sono stati scoperti papiri e documenti. Che cosa è venuto fuori da Cumran, da Nag Hammadi e da tutto l’Egitto? Sono emersi libri della Bibbia, vangeli apocrifi, scritti, lettere apostoliche. Gli studiosi non finiscono mai di scoprire nuovi testi che noi non avevamo, fino a trenta/quaranta anni fa. Le scoperte che si stanno facendo in Egitto e in altri luoghi continueranno nei prossimi anni, non finiranno. Vedrete quanti altri scritti usciranno! Dopo tutte queste scoperte è un fiorire di studi, che sono per noi una grandissima ricchezza. Un’altra riflessione che volevo fare parte dal libro degli Atti, cap.11 versetto 26, dove si parla di “cristiani” ad Antiochia . “Vedete - dicono - c’erano i cristiani negli anni ’90!”. Certo che c’erano, ma erano come i Sadducei, i Farisei, gli Esseni, erano una branca dell’ebraismo, erano un “partito” religioso al suo interno. I passi polemici che ci sono in Paolo e in Matteo contro i farisei, contro gli scribi non sono contro un’altra religione, dicono gli studiosi, sono le polemiche culturali, teologiche dentro il giudaismo del tempo, quindi completamente ebraiche. Vi era una varietà incredibile di posizioni! Abbiamo usato i conflitti di Gesù con i farisei come prova che aveva fondato il cristianesimo. No! Gesù era dentro l’ebraismo, si pensava ebreo, pregava da ebreo, era veramente e interamente ebreo. Gesù non è il fondatore del cristianesimo! Era un profeta escatologico il quale pensava che tale era il male in quel momento in Israele, che Dio sarebbe intervenuto nella storia, l’avrebbe affrontato e risolto. Gesù visse e morì con la speranza di un regno di Dio imminente, credeva, cioè, che Dio non potesse più sopportare l’ingiustizia e che in qualche modo avrebbe ristabilito un’umanità nuova, a partire da Israele. Pensava di essere stato mandato per le pecore perdute d’Israele e che lì doveva dare la sua vita, per preparare il tempo della venuta del Regno, della giustizia. Questo è C.D.B. Chieri informa 10 molto importante: occorre ricollocare il Gesù storico dentro l’ebraismo. Certo non era l’unico a pensare queste cose, vi era stato il Battista: Gesù veniva dalla sua scuola; vi erano stati altri profeti itineranti ed escatologici: erano in molti a pensare che Dio non potesse più sopportare tanta oppressione, ingiustizia, povertà e che sarebbe intervenuto a favore dei più deboli! Gesù pensava che il regno di Dio fosse imminente, che sarebbe venuto durante la sua stessa vita, probabilmente. Ma questo è un dato culturale del suo tempo. A noi di Gesù interessa il messaggio, non tanto che abbia sbagliato i tempi! Egli vuole rinverdire, rinnovare la religione ebraica. Pensa che gran parte dei sacerdoti e degli scribi abbiano tradito, e allora va nella sinagoga, nei villaggi, predica questo Dio accogliente, inclusivo, che non fa differenza fra uomo e donna. Perciò non sono le regole che ci salvano, ma la fiducia nell’amore accogliente di Dio, nel suo perdono. Gesù non era solo in questa predicazione, altri profeti avevano detto cose simili, ma Lui le porta alle estreme conseguenze, rompe i confini che la religione ebraica ufficiale aveva tracciato. Dobbiamo dire che non era un caso che si riferisse sempre ad Isaia ed ai profeti. Gesù non è il fondatore di nessuna nuova religione; ha invece pensato una pratica di vita nuova. Noi cristiani ci riferiamo a Lui ed abbiamo dato vita ad una religione. Nel bene o nel male questo è un dato storico, ma una cosa è avere in Gesù il riferimento e fare di Lui il capostipite di una religione - questo è avvenuto storicamente, non possiamo saltare i secoli - altro è fare del riferimento il fondatore: sono due cose molto diverse! Gesù non aveva una volontà fondativa, non ha dato delle regole per dopo, ma ha detto: “tra di voi non sia così, siate fratelli e sorelle, non attaccatevi alle ricchezze, privilegiate gli ultimi”. Ha dato le “regole del regno”, potremmo dire, i “comportamenti” del regno. Che cosa è avvenuto quando Lui è morto? I discepoli erano rimasti impressionati soprattutto da due aspetti della personalità di Gesù: la sua estrema parzialità, sempre dalla parte dei deboli, si era messo assolutamente dalla parte della gente, diremmo noi oggi, di chi è calpestato, oppresso, squalificato moralmente, la gente perduta. L’altra Gennaio 2015 - n. 60 cosa che aveva impressionato allo stesso modo e con pari intensità era la sua fiducia totale in Dio: nei vangeli 12 volte si parla di Gesù che si ritira a pregare, a benedire Dio, nella più piena fiducia in Lui. Questa sorgente è diventata la sua “forza terapeutica”. La sua preghiera era come chi va al pozzo per attingere l’acqua della salute. Fondamentale è stata l’opera terapeutica di Gesù,del Gesù taumaturgo; il suo contatto era liberatorio e talmente pieno di Dio che lo riversava su tutti, aveva una tale fiducia in Dio che nel contatto con le persone trasmetteva questa fiducia radicale, tant’è che i discepoli diranno: “Signore insegnaci a pregare” e lui dirà “Padre nostro …”. Tutte le sue preghiere sono prese dal Primo testamento , Egli le collezionerà dando di Dio un idea sorgiva, amorosa, accogliente, includente. Gesù è sconfitto e muore sulla croce, ma i discepoli non dimenticheranno questo maestro che aveva detto loro: “Dio non mi abbandonerà”. Dopo il dolore e un primo sbandamento lo penseranno come il risvegliato da Dio, il risorto. Si organizzeranno per portare avanti il progetto di Gesù, la sua pratica di vita, la strada che aveva indicato e non possono pensarla che all’interno dell’ebraismo. Saranno un nuovo gruppo, come lo erano i Farisei, gli Scribi, gli Esseni, saranno i discepoli del Nazzareno. Ma si troveranno assolutamente impreparati: Gesù non aveva dato loro una teologia, delle regole: “quando non ci sono io sei tu che comandi, sei tu che organizzi”. Non avevano né una teologia né un’organizzazione, né un modo perentorio di risolvere alcuni problemi: “Si annuncia il vangelo solo ai giudei o anche ai pagani? Si applicano le regole del giudaismo a tutti o no?”. Giacomo, il fratello di Gesù, penserà l’annuncio del van- gelo solo all’interno del giudaismo, Paolo era invece per l’annuncio anche ai pagani, le prime comunità si domanderanno se tutti dovevano osservare i precetti della legge di Mosè (non mangiare le carni proibite, farsi circoncidere ecc.). Per Pietro la legge andava osservata, ma non imposta come un giogo. I problemi erano grandi e così fiorirà una pluralità di posizioni, di concezioni. Gesù non aveva chiarito questi problemi, aveva insegnato ad amare e ad accogliere tutti. Si raduneranno a Gerusalemme per risolverli, ma non andranno tutti C.D.B. Chieri informa 11 d’accordo! Giacomo, che è quello che presiederà, cercherà una mediazione che renderà possibile l’annuncio ai pagani. Ma per lungo tempo si confronteranno le diverse concezioni sulla figura di Gesù, per alcuni il Messia atteso, per altri un profeta d’Israele, il profeta centrale. Il cosiddetto cristianesimo era una branca interna al giudaismo, con posizioni e teologie diverse. Nella metà del II secolo, a partire dagli anni 120 / 180 avviene una novità: nelle maggiori comunità, quelle di cui abbiamo notizia dagli studi, si profila il cosiddetto “sistema religioso autonomo”, che avviene, secondo gli studiosi, quando ci si stacca dal braccio che ti ha originato e diventi una religione con i propri riti, la propria teologia e una propria identità. In quella seconda parte del II secolo nasce il cristianesimo come religione separata dall’ebraismo. I cristiani non sono più una branca dell’ebraismo, ma sono invece una religione autonoma, in cui cresce il processo di venerazione di Gesù identificato come il Messia: non più il Messia d’Israele, ma il nostro Messia. Più tardi prevarranno le categorie filosofiche greche ed avverrà l’identificazione con Dio nella concezione trinitaria. Nel II secolo si strutturano i riti e, mentre nel libro degli Atti si dice: “andavano unanimi al tempio”, nelle sinagoghe si recavano normalmente, come ci testimonia Paolo. Si separano i luoghi di culto, nasce la “casa”, la “Domus ecclesiae”. Mentre prima si radunavano nelle case per alcuni momenti, come facevano anche gli Esseni e i Farisei, però poi andavano tutti al Tempio, ora non si frequentano più le sinagoghe, avviene la separazione. Il tragico epilogo di questo processo si avrà nel III secolo quando nascerà l’accusa ai giudei di deicidio, che prenderà grande vigore nel IV e V secolo, creando le basi di quel tragico antisemitismo che sfocerà nella Shoah. tempi di fraternità donne e uomini in ricerca e confronto comunitario Fondato nel 1971 da fra Elio Taretto Gennaio 2015 - n. 60 TTIP: una minaccia alle porte dell'Europa. R aramente l'argomento TTIP fa capolino nel dibattito televisivo. È solo grazie alle numerose mobilitazioni e petizioni contro tale provvedimento che viene portato alla ribalta di forum televisivi e degli organi di stampa. Più vi è mobilitazione, più vi è crescita dell'informazione come ha sottolineato Marco Bersani di ATTAC Italia. Esattamente il TTIP non è nient'altro che il tentativo di Stati Uniti e Unione Europea di realizzare la più grande area di libero scambio e di totale libertà di investimento dell’intero pianeta. TTIP, infatti, sta per Partenariato Transatlantico su Commercio e Investimenti. Il documento è riservato e non ancora del tutto disponibile, anche se lo scorso 9 ottobre è stato diffuso ufficialmente un documento di 18 pagine dalla Unione Europea. Bisogna evidenziare che tutti i negoziati scaturiti fino a questo momento sono stati decisamente poco trasparenti e in parte hanno coinvolto numerose lobby. Infatti, gli unici ad avere avuto informazioni dettagliate sul TTIP sono stati alcuni importanti lobbisti mondiali che sono stati aggiornati con oltre 100 incontri dedicati all'argomento. Così come ogni trattato di libero scambio anche il TTIP è accompagnato da una massiccia campagna di propaganda e comunicazione, atta non a chiarire i termini del trattato, ma semplicemente ad esaltare i benefici economici e occupazionali che otterrebbero i paesi che decideranno di firmarlo. Eppure il TTIP potrebbe colpire innumerevoli settori importanti creando conseguenze sulla nostra stessa vita. Negli ultimi mesi, infatti, sono molti gli articoli scientifici che mettono in luce i possibili effetti negativi. Ad esempio sul piano economico l'agricoltura europea composta da oltre 10 milioni di piccole aziende potrebbero, senza dazi doganali, chiudere battenti, soprattutto nel momento in cui venisse liberalizzato il commercio delle colture OGM. Sul piano industriale, la concorrenza delle multinazionali sulle piccole e medio imprese creerebbe la C.D.B. Chieri informa 12 necessità di creare agglomerati sempre più grandi con una evidente preminenza degli Americani e un peggioramento delle condizioni dei lavoratori con applicazioni di normative simili al “Right to work” americano che potrebbe produrre la perdita in tutta la zona dell'Unione Europea di circa 600.000 posti di lavoro. Sul piano dei servizi (acqua, energia, salute ed educazione), invece, verrebbero esposti alla libera concorrenza in barba a tutte le battaglie sui “beni comuni” e i risultati ottenuti tramite l'istituzione dei referendum qui in Italia. Sul piano della privacy, il TTIP prevede un provvedimento simile a ACTA che fu respinto dal Parlamento Europeo nel 2012 in cui si verrebbe a limitare il libero accesso al web e dando potere per la gestione dei dati personali alle multinazionali del settore. Sul piano finanziario, tutti i servizi verrebbero liberalizzati così che gli stati nazionali non potrebbero più avanzare disposizioni per tenere sotto controllo i poteri della finanza. Tuttavia, i settori su cui interviene il TTIP sono davvero molteplici. È evidente che il trattato così come è stato strutturato ha come unico interesse il rafforzamento del predominio delle multinazionali che non potrebbe essere più regolamentato o limitato dai governi o dai parlamenti impotenti in quanto esisterebbe una normativa transatlantica. Inoltre, la parte più inquietante sta nella possibilità per le imprese multinazionali di chiamare in giudizio gli Stati sovrani che non si attengano alle prescrizioni di liberalizzazione del mercato che il trattato promuove così com'è avvenuto nel processo milionario intentato dalla Philip Morris contro l’Uruguay per il divieto del fumo. Il TTIP romperebbe così tutte le tutele che la legislazione europea offre ai cittadini in diversi ambiti che risultano inesistenti negli USA. Il disegno del TTIP è un progetto che si inserisce con forza e decisione nella linea del neoliberismo di cui si sono viste tutte le conseguenze negative negli ultimi anni. Tali provvedimenti hanno contratto e indebolito l'economia dall'89 ad oggi provocando diseguaglianze e una crisi economica di cui vediamo ancora le conseguenze. Nonostante queste conseguenze negative delle politiche neoliberiste degli ultimi anni, che sono sotto gli occhi di tutti, si continua a proporre ricette che seguono gli stessi indirizzi precedenti e questo dà l'idea della malafede dei proponenti. Errare è umano, perseverare sarebbe diabolico. Salvio Calamera Gennaio 2015 - n. 60 Fame: perché? Da istinto primario a metafora dell’incompletezza e del bisogno dell’altro. N on è agevole tirarsi su il morale quando alla situazione politica interna ed estera si aggiunge un autunno piovoso con la sua sequela di dolori reumatici sparsi, acciacchi e melanconie varie. Fortuna che da sempre mi è venuta in soccorso la lettura! Anche questa volta, quindi, ho cercato e trovato sostegno nei libri e nei loro autori. In genere faccio un gioco: vago nello studio, passo da una libreria all’altra e lascio che sia il caso a scegliere per me: mi sono, così, imbattuta in un racconto di Franz Kafka: “Un digiunatore” scritto nel 1922. Amo l’autore, ma devo ammettere di aver avuto un momento di rifiuto: mi sembrava che il labirinto kafkiano non mi sarebbe stato di grande sollievo nei confronti dei succitati fastidi dell’età, della stagione e dei tempi. Ma ogni gioco ha le proprie regole e in genere non baro con me stessa, quindi vada per “Un digiunatore.” Prima di iniziare la lettura mi è passata per la mente l’idea che fosse un invito a non lasciarmi tentare dalle leccornie e alle grasse abbuffate dell’imminente San Martino. Comunque mi sono applicata diligentemente al racconto. Vi si narra la vicenda di un uomo che dà spettacolo della propria capacità di digiunare riscotendo grande successo; il limite massimo che l’imprenditore gli ha imposto è di quaranta giorni. Tuttavia il protagonista, anche quando lo spettacolo della sua magrezza non interessa più nessuno, persiste nel digiuno fino alla morte; un attimo prima della fine, rivela che in realtà non ha avuto merito nel digiunare, poiché egli non ha mai trovato nessun cibo che lo soddisfacesse. Kafka è Kafka e obbliga a cercare un significato nascosto nei suoi racconti “assurdi”: ho ricominciato a leggere “Un digiunatore” con maggiore calma. Mi sono accorta, quindi, che le note al testo spesso rimandavano all’autore norvegese Knut Hamsen e al suo romanzo “Fame” . Ammetto di non averne mai sentito parlare, C.D.B. Chieri informa 13 ma, rapidamente da Wikipedia, ho appreso che il romanzo, pubblicato nel 1890, narra la vita di uno scrittore fallito che, non riuscendo a pubblicare i suoi lavori, deve fare i conti con la fame e con l’eccitazione e acutezza mentale che questa condizione gli procura. Per tale romanzo Hamsen aveva ricevuto il Nobel per la letteratura! Niente di meno! La presenza dello stesso tema (e quale tema!) in letterature lontane tra loro e in autori che non avevano potuto subire l’uno l’influsso dell’altro mi ha indotto ad alcune riflessioni sull’argomento: riflessioni che sono il tema del pezzo che segue. E’ evidente che la fame è un bisogno primario, concreto e reale: il primo e unico movimento di cui è capace il neonato nei confronti di una presenza esterna è la suzione come dimostra la posizione istintiva della sua testa. Ne deriverebbe una serie di considerazioni pratiche su la distribuzione del cibo, la fame nel mondo, la questione degli OGM etc., ma é altro ciò su cui intendo fermare l’attenzione perché, essendo noi animali culturali e simbolici, anche la fame non può essere circoscritta a mero bisogno biologico, ma si offre ad altre interpretazioni. Da quando l’uomo ha smesso di essere raccoglitore e cacciatore, il cibo è divenuto non soltanto mezzo di relazione con il mondo vegetale ed animale, ma anche con il lavoro umano: agricoltura, allevamento e quello che si svolge in una cucina. L’uomo non dipende più dalla natura, ma può produrre, per lo meno nel primo mondo, cibo in abbondanza. E pensare che ancora gli uomini del Medioevo, soggetti alle carestie, pregavano “ a fame , a bello, a peste, libera nos, Domine”. Tanto che l’assillo della fame- che è la condizione più prossima al non essere della morte- produsse, in quel periodo storico, miti compensatori quali il Paese di Cuccagna e il Paese di Bengodi: luoghi in cui imperava la sazietà fino all’abbuffata. Condizione immaginaria che diveniva realtà nel Carnevale quando il mondo “rovesciato” permetteva anche ai poveri di gozzovigliare. Di conseguenza i collegamenti con una miriade di discipline, storia e arte per cominciare, sarebbero molteplici, ma scelgo di soffermarmi su quelli simbolici che sono relativamente evidenti poiché la fame, in quanto espressione di un bisogno che produce desiderio, comporta la spinta all’appagamento ingerendo altro da sé. Gennaio 2015 - n. 60 Quindi la fame non è soltanto bisogno materiale, ma è metafora della ricerca della relazione con l’altro: a dire dei sociologi la caratteristica fondamentale del mondo contemporaneo consiste proprio nell’allentarsi del legame con l’altro. L’ individuo- termine esattissimo per indicare la parcellizzazione della comunità- appare come una monade- un unico autosufficiente- in grado di approfittare dell’offerta illimitata di oggetti di godimento a portata di mano o di bocca sempre a disposizione; “libero” dalle limitazioni e dalle contingenze imprevedibili che caratterizzano l’incontro con l’altro reale. Egli si trova in una sorta di esasperazione autistica che non percepisce più la dimensione transindividuale. Credo che questa analisi non abbia nulla di astruso poiché è sotto i nostri occhi, in continuazione, come il legame societario e statale siano gravemente compromessi con terribili conseguenze. La causa dell’ involuzione di ciò che già Aristotele aveva definito socialità, è un’ulteriore conseguenza, a mio avviso, dell’egemonia del capitalismo che ha imposto una nuova illusione: l’illusione che l’oggetto del godimento coincida con l’oggetto del desiderio e che il desiderio, a sua volta, coincida con quelli inventati dal mercato ed imposti attraverso scaltriti messaggi e tecniche di comunicazione. Ne scaturisce l’annullamento della reale condizione umana che, invece, è strutturalmente precaria e mancante, dipendente dall’altro; di questa incompletezza il cibo è l’indizio più tangibile, ma- ripeto- gravido di valenza simbolica. Il discorso sulla fame ed il cibo, quindi, è un modo per parlare dell’essenza dell’umanità che a me cristiana appare fortemente in contrapposizione con la mutazione antropologica che la potenza del capitalismo, il lavaggio del cervello attraverso i mass media e i ”buoni esempi” stanno tentando di sdoganare. Il capitalismo ed il mercato, infatti, hanno fomentato una sorta di superomismo di bassa lega che camuffa l’incompletezza dell’uomo e fa di tutto per negare la legge della relazione come fondante della nostra specie. Il bisogno di cibo, quindi, è un aspetto della ricerca dell’altro, è desiderio dell’altro: di relazione interpersonale autentica, fino ad anelito all’Altro: l’Assoluto, l’unico che possa saziare per sempre la “nostra fame” di un cibo che, come il digiunato- C.D.B. Chieri informa 14 re di Kafka, non siamo in grado di individuare con i sensi. Oggi l’individuo monade, nonostante le apparenze create dalla pubblicità, è di fronte ad una pienezza illusoria e ad un sostanziale vuoto. Lo dimostrano, tra l’altro, i disturbi alimentari: all’anoressica non importa eliminare il cibo, ma fare esperienza del vuoto che possa personalmente controllare; alla bulimica non interessa il cibo, ma l’azione maniacale dell’ingurgitare per riempire un vuoto, di tutt’altra natura, di cui è portatrice. Tralasciando gli aspetti patologici, anche all’individuo “normale” e “sanamente” convertito al consumismo e all’onnipotenza fittizia che questo trasmette, non interessa cosa consuma, ma l’azione del consumare fine a se stessa proprio perché l’abbondanza degli oggetti da consumare ed il godimento di essi non produce, come ho già detto, la soddisfazione e la pienezza completa, la capacità di colmare il vuoto inscritto nella nostra specie, ma una nuova insoddisfazione che genera ulteriore consumo. Procedendo nell’analisi di bisogni sempre più profondi e raffinati direi che mangiamo per non morire e mangiamo perché dobbiamo morire. In Genesi, Dio, riferendosi all’albero proibito, dice: “Non mangiate, altrimenti morrete.” E, dopo l’infrazione del divieto, usa in successione tre futuri: morirete, lavorerete, partorirete. E’ così il tempo irrompe nella vita dell’uomo attraverso le stagioni (agricoltura), attraverso la gravidanza (nove lune) e tutto diviene attesa: attesa del compimento del frutto, attesa del compimento di una nuova vita, ma, anche, attesa della morte. L’umanità ha utilizzato diverse strategie per differire la morte e l’angoscia che essa procura: una di queste è il convivio. Viene in mente la cena a casa del liberto Trimalcione, durante la decadenza dell’impero romano: in quelle pagine del Satyricon, nonostante lo sfoggio e l’abbondanza del cibo, spesso presentato in una forma trompe l’oeil, la morte è continuamente allusa o resa esplicita grazie alla descrizione che Trimalcione fa del Mausoleo che sta facendo costruire per sé. Così pure i banchetti raffigurati da Pieter Bruegel il vecchio: quella scena di nozze contadine in una stalla in cui tutti hanno un’espressione ebbra e stordita di uno stato di beatitudine che fa dimenticare Gennaio 2015 - n. 60 per qualche ora l’angoscia del bisogno o della fine. Questo tipo di angoscia non ha nulla a che fare con quella latente sotto l’abbondanza consumistica di cibo e di relazioni umane frettolose e utilitaristiche che ci rende incapaci di individuare, nella sarabanda carnevalesca in cui siamo caduti, i nostri reali bisogni; ci rende inadatti a tollerare il nostro vuoto e le frustrazioni che il negarsi dell’altro ci procura: è un’angoscia disperante che ha come “cura” perversa il consumismo stesso come ben sa il marketing! (Non è forse l’incapacità di sostenere la frustrazione nell’ambito affettivo o amoroso una delle cause dei femminicidi?) L’altra angoscia quella- ripeto- che è connaturata al nostro stato mortale, è benefica presa di coscienza dei nostri limiti; benefica perché spinge le persone- non individui- a compiere innanzi tutto il viaggio interiore della conoscenza di sé e di ciò di cui ha veramente fame, l’accettazione degli insuccessi e delle disillusioni così da formare esseri pienamente adulti che cercano la relazione con l’altro- non più cibo, ma rapporto umano- come diverso da sé, con esigenze e peculiarità da rispettare e comprendere a cui riconoscere il diritto di negarsi al nostro de- siderio. Tommaso d’Aquino pone fra i limiti umani che Gesù aveva assunto con la sua incarnazione accanto alla morte, la fame e la sete. L’Ultima Cena è la tappa conclusiva di un percorso iniziato in Genesi: conclusiva, ma anche un rovesciamento: Gesù dice. « In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me ... » (Giovanni 6:53-57 ) Sono espressioni che riprendono sia l’idea del farmaco che ci guarisce passando attraverso la bocca, sia l’idea che noi diventiamo ciò che mangiamo: la metamorfosi. Occorre a questo punto un breve excursus antropologico un po’ scandaloso: i documenti di tutte le civiltà attestano che la nostra specie è stata antropofaga. Certamente oggi per noi questa pratica è un tabù indiscusso che fa tutt’uno con il disprezzo verso le società “primitive” che ancora lo praticano. Con il tempo e la civilizzazione questa pratica è stata camuffata e trasferita nel mondo dei miti; tra questi il più inerente a quanto vado trattando riguarda il dio Dioniso fatto a pezzi e divorato dalle baccanti. Possiamo scandire, quindi, varie tappe nel nostro divenire: il cannibalismo in base a cui l’uomo è – come ogni altro animale, buono da mangiare; i miti antro- C.D.B. Chieri informa 15 pofagi trasferiti su una divinità; ma in entrambi i casi il bisogno e il desiderio non vengono soddisfatti. Infine l’ estrema metamorfosi alimentare rappresentata dalla Comunione cioè dall’incorporarsi collettivo dell’essenza della divinità. Soltanto attraverso ciò i fedeli ottengono l’immortalità, cioè la liberazione dal nesso corpo-cibo. Ciò avviene attraverso la transustanziazione che rappresenta la differenza fondamentale rispetto a ciò che accadeva nei riti pagani o in altre religioni monoteiste poiché la transustanziazione non comporta violenza e, quindi, sensi di colpa per la distruzione del dio, né il rischio della possessione da parte del dio stesso. Il banchetto di Cristo, apparentemente materiale, svela all’uomo la sua natura originaria che è divina e che non può trovare sazietà se non in ciò che le è più simile: l’essenza di Dio che è amore incondizionato e gratutità testimoniati attraverso le azioni e le parole. Lo conferma un altro testo della Sacra Scrittura: nel libro del profeta Ezechiele, Dio gli comanda di ingoiare i rotoli della Legge: “Figlio dell’uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va e parla alla casa di Israele.” Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: “Figlio dell’uomo, tu nutri il ventre e riempi le viscere con questo che ti porgo.” Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele.”( Ezechiele 3,1-3) Quindi soltanto in virtù della parola di Dio, l’uomo può salvarsi da ogni forma di cannibalismo, capovolgendo la violenza connessa all’incorporare in un atto di liberazione delle proprie forze psichiche. L’impulso primordiale e bestiale viene rovesciato in “cultura” -ovvero parola- e la voracità si trasforma in possibilità di risvegliare nei fratelli la stessa essenza. In questo caso la lingua, come organo del corpo e manifestazione dello Spirito, riflette la libertà dell’essere umano; nutrirsi dell’altro acquista il senso di amare l’altro: la propria identità coincide pacificamente con il nutrimento dell’altro e l’altro può darsi come nutrimento e nutrirsi di noi senza innescare un meccanismo distruttivo. Tale condizione è totalmente umana perché ha perduto i tratti cannibalici, perché sa relazionarsi senza dipendenza, perché vede l’altro come pari e accetta la fame di lui. Insomma alla disperazione prodotta dalla consapevolezza della propria mortalità si sostituisce la pienezza di vita che nasce dall’accettazione del confine e del limite, creando la possibilità di comunicare vs informare; empatia vs strumentalizzazione. Grazie al banchetto di Cristo possiamo dire che si realizza homo homini salus. Cettina Centonze Gennaio 2015 - n. 60 PROLOGO Dieci anni fa ho smesso di frequentare la Chiesa. Un lungo travaglio, una decisione sofferta. Da allora ho vissuto alcuni momenti di nostalgia, ripensamenti, sensi di colpa. Dopo gli ultimi eventi circa i candelabri di Bertone, le polemiche tra integralisti e progressisti circa i crocifissi sull’altare del Duomo di Chieri devo dire che mi sono del tutto rasserenato e convinto di aver preso una decisione saggia. DESERTO DI FOLLA Me ne sarei andato comunque. Ma con quanti inutili banali rimpianti. Ipnotizzato come tanti dal Libro avrei seguito il gregge, le orme del pastore fino al recinto, alla prigione finale. Perché di prigione si tratta è inutile negarlo ma scegliere la sentenza d’esilio è affare da uomo libero. C.D.B. Chieri informa cercando una strada che forse non esiste. EPILOGO Se crediamo in Dio non bestemmiamolo con le nostre giaculatorie, coi nostri rosari. Non banalizziamolo nel templi di marmo. Basta con raggi dorati, spade, cuori sanguinanti. Basta gonfaloni e stendardi. Il profumo del fiore e il tanfo del letame sono tabernacolo, il sorriso ed il pianto di un bambino sono Betlemme, ogni rantolo finale è Cristo sulla croce. Il volto dell’uomo è il volto di Dio e sovente non ha un bell’aspetto. Una pennellata di rosa nel cielo e uno schiaffo in faccia: Logos e Caos, la solita storia. La verità non è stampata su pagine di carta, nel deserto di folla il miraggio divino. Beppe Ronco Un maestro di strada un giorno mi disse: “non ripetere quello che è già stato detto, non raccontare il già conosciuto. Interroga l’ignoto, osserva la trasparenza, cerca l’invisibile. Non fidarti solo del Libro.” Di lì sono partito per il viaggio: ho smesso di guardare le figure, di ascoltare le voci, di leggere le parole. Ho cominciato a considerare gli spazi, il vuoto che separa una cosa dall’altra. Il panorama si è amplificato, è apparso un mondo nuovo: ero un uomo diverso. Dal Libro eran nate tre religioni divise sempre in lotta fra di loro: milioni di vittime. Decine di sottoreligioni con sfumature diverse, tutte con sacerdoti e discepoli convinti. Un bailamme confuso. Scritto sacro o demoniaco? Camminare nel deserto è cosa ardua: il vento sferzante, la solitudine, l’arsura. Serpenti e locuste sono la compagnia la tempesta sposta le dune, cancella tracce e sentieri, cambia continuamente il paesaggio. L’uomo solo nel deserto si sente perduto. È da qui che si può ripartire: l’unico viaggio consentito, la sola avventura possibile. A settant’anni chiudere il Libro e vagare da solo nel deserto 16 Voi che credete voi che sperate correte su tutte le strade, le piazze a svelare il grande segreto... Andate a dire ai quattro venti che la notte passa che tutto ha un senso che le guerre finiscono che la storia ha uno sbocco che l'amore alla fine vincerà l'oblio e la vita sconfiggerà la morte. Voi che l'avete intuito per grazia continuate il cammino spargete la vostra gioia continuate a dire che la speranza non ha confini David Maria Turoldo Gennaio 2015 - n. 60 I 15 peccati della Chiesa secondo Francesco di Vito Mancuso in “la Repubblica” del 23 dicembre 2014 V iva il Papa e abbasso la Curia!, verrebbe spontaneo gridare dopo il magnifico e severo discorso che papa Francesco ha rivolto ieri ai responsabili della Curia romana. Il discorso con un’analisi ammirevole e coraggiosa elenca ben quindici malattie che secondo il Papa aggrediscono l’organismo di potere vaticano, ma in realtà si tratta di un’analisi perfettamente estendibile a tutte le altre nomenclature, a tutte le corti che nel mondo si formano inevitabilmente attorno a chi detiene il potere. Ieri il Papa si è rivolto alla Curia romana, ma le sue parole colpiscono praticamente tutti gli organi di potere dell’odierna società, dalla politica all’economia, dalle università ai tribunali, in Italia e ovunque nel mondo. Tra le malattie della mente e del cuore dei burocrati vaticani e non, il Papa pone al primo posto ciò che definisce (1) la “malattia del sentirsi immortale o indispensabile”, vale a dire l’identificazione del proprio sé con il potere. Seguono (2) “la malattia dell’eccessiva operosità” e (3) “l’impietrimento mentale e spirituale”, intendendo con ciò l’atteggiamento di coloro che “perdono la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando macchine di pratiche”. Le altre malattie del potere, elencate dal Papa spesso con termini colorati, sono: (4) l’eccessiva pianificazione, (5) il cattivo coordinamento che trasforma una squadra in “un’orchestra che produce chiasso”, (6) “l’Alzheimer spirituale” che fa perdere la memoria dell’incontro con il Signore e consegna in balìa delle passioni, (7) la rivalità e la vanagloria, (8) la schizofrenia esistenziale che porta a vivere una doppia vita, di cui la seconda è all’insegna della dissolutezza, (9) le chiacchiere e i pettegolezzi che arrivano a un vero e proprio “terrorismo” delle parole, (10) la divinizzazione dei capi in funzione del carrierismo, (11) l’indifferenza verso i colleghi che priva della solidarietà e del calore umano e che anzi fa gioire delle difficoltà altrui, (12) la faccia funerea di chi è duro e arrogante e non sa che cosa siano l’umorismo e l’autoironia, (13) il desiderio di accumulare ricchezze, (14) i circoli chiusi e infine (15) l’esibizionismo. C.D.B. Chieri informa 17 Queste sono le numerose malattie che secondo il Papa aggrediscono la Curia romana e i suoi responsabili. Ma una domanda s’impone: è davvero così semplice separare il Pontefice dalla sua amministrazione? La Curia romana è una creatura dei Papi, è l’espressione di ciò che per secoli è stato il Papato, governata dagli infallibili successori di Pietro dei quali tra l’altro quasi tutti coloro che hanno regnato nel ‘900 sono stati proclamati santi o beati. Com’è quindi possibile il paradosso di papi così vicini a Dio e tuttavia incapaci di mettere ordine tra i più stretti collaboratori, scelti da loro stessi? Come si concilia lo splendore dei pontefici canonizzati con una curia che dipende da loro direttamente e che è così tanto malata? La Curia romana non è piovuta in Vaticano dal cielo, né è stata messa lì da qualche potentato straniero, ma è sorta quale logica emanazione della politica ecclesiastica papale che ha fatto del Vaticano un centro di potere assoluto, e non un organo di servizio come vorrebbe oggi papa Francesco. Se si vuole la coerenza del ragionamento, indispensabile alla coerenza della vita giustamente tanto cara a papa Francesco, occorre concludere che i mali della Curia romana non possono non essere esattamente i mali dello stesso potere pontificio. Il papato per secoli ha concepito se stesso come potere assoluto senza spazio per una minima forma di critica e meno che mai di opposizione, traducendo fisicamente questa impostazione in precisi segni di spettacolare effetto quali il bacio della pantofola, la sedia gestatoria, e la tiara pontificia detta anche triregno tempestata di pietre preziose. Chi lavorava in Curia respirava quotidianamente quest’aria e non c’è nulla da meravigliarsi se poi, nella sua vita privata, tendesse a riprodurne la logica circondandosi a sua volta di lusso e di potere. È stato così per secoli e, come fa intendere il discorso di papa Francesco, è così ancora oggi. Emblematico è il caso del cardinal Bertone, per anni a capo della Curia romana e ora autopremiatosi con un lussuoso superattico nel quale probabilmente si aggira fiero contemplando i frutti di un fedele servizio alla logica del potere. L’impietrimento mentale e spirituale denunciato da papa Francesco come malattia n. 3 non è altro che la conseguenza di come nei secoli è stata interpretata la figura del successore di Pietro. Quindi la riforma della curia non può che condurre a una riforma del papato. Avrà la forza papa Francesco per intraprendere questa strada? La volontà, di sicuro, sì. Gennaio 2015 - n. 60 L'appello L ’arrivo del Papa «venuto dalla fine del mondo» che assume il nome di Francesco presentandosi non come Pontefice Massimo, ma come Vescovo di Roma, provoca reazioni scomposte dentro la Curia vaticana che, falcidiata da scandali e corruzioni, considera il Papa come corpo «estraneo» al suo sistema consolidato di alleanze col potere mondano, alimentato da due strumenti perversi: il denaro e il sesso. Dapprima il chiacchiericcio sul «Papa strano» inizia in sordina, poi via via diventa sempre più palese davanti alle aperture di papa Francesco in fatto di famiglia, di «pastorale popolare» e di vicinanza con il Popolo di Dio per arrivare anche – scandalo degli scandali – a parlare con i non credenti e gli atei. Dopo lo sgomento di un sinodo «libero di parlare», l’attacco frontale di cinque cardinali (Müller, Burke, Brandmüller, Caffarra e De Paolis), tra cui il Prefetto della Congregazione della Fede, ha rafforzato il fronte degli avversari che vedono in Papa Francesco «un pericolo» che bisogna bloccare a tutti i costi. C.D.B. Chieri informa po congelato. I clericali e i conservatori che gli si oppongono sono gli stessi che hanno affossato il concilio e che fino a ieri erano difensori tetragoni del «primato di Pietro» e dell’«infallibilità del Papa» solo perché i Papi, incidentalmente, pensavano come loro. Noi non possiamo tacere e con forza gridiamo di stare dalla parte di Papa Francesco. Con il nostro appello alle donne e agli uomini di buona volontà, senza distinzione alcuna, vogliamo fare attorno a lui una corona di sostegno e di preghiera, di affetto e di solidarietà convinta. La «svolta di Papa Francesco» non genera dubbi, al contrario coinvolge e stimola la maggioranza dei credenti a seguirlo con stima e affetto. Il ministero del Vescovo di Roma e la sua teologia pastorale suscitano speranza e anelito di rinnovamento in tutto il Popolo di Dio e il suo messaggio è ascoltato con attenzione da molte donne e uomini di buona volontà, non credenti o di diverse fedi e convinzioni. Desideriamo dire al Papa che non è solo, ma che, rispondendo al suo incessante invito, tutta la Chiesa prega per lui (cfr. At 12,2). È la Chiesa dei semplici, delle parrocchie, dei marciapiedi, la Chiesa dei Poveri, dei senza voce, dei senza pastori, la Chiesa «del grembiule» che vive di servizio, testimonianza e generosità, attenta ai «segni dei tempi» (Matteo 16,3) e camminando coi tempi per arrivare in tempo. Rompendo una prassi di formalismo esteriore, durante gli auguri natalizi, lo stesso Papa elenca quindici «malattie» della Curia, mettendo in pubblico la sua solitudine e chiedendo coerenza e autenticità. Come risposta all’appello del Papa, il giorno dopo, il 24 dicembre 2014, Veglia di Natale, scelto non a caso, il giornalista Vittorio Messori pubblica sul Corriere della Sera «una sorta di confessione che avrei volentieri rimandata, se non mi fosse stata richiesta», dal titolo «I dubbi sulla svolta di Papa Francesco», condito dall’occhiello: «Bergoglio è imprevedibile per il cattolico medio. Suscita un interesse vasto, ma quanto sincero?». L’attacco è mirato e frontale, «richiesto», una vera dichiarazione di guerra, felpata in stile clericale, ma minacciosa nella sostanza di un avvertimento di stampo mafioso: il Papa è pericoloso, «imprevedibile per il cattolico medio». È tempo che torni a fare il Sommo Pontefice e lasci governare la Curia. L’autore non fa i nomi dei «mandanti», ma si mette al sicuro dicendo che il suo intervento gli «è stato richiesto». Ci opponiamo a queste manovre, espressione di un conservatorismo, che spesso ha impedito alla Chiesa di adempiere al suo compito «unico» di evangelizzare. Papa Francesco è pericoloso perché annuncia il Vangelo, ripartendo dal Concilio Vaticano II, per troppo tem- 18 Allo stesso modo, molti non credenti, atei o di altre religioni, uomini e donne liberi, gli esprimono pubblicamente la loro stima e la loro amicizia. La sètta di «quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re» (Luca 7,25) e non possono stare con un Papa di nome Francesco che parla il Vangelo «sine glossa». Papa Francesco, ricevi il nostro abbraccio e la nostra benedizione. Seguono le firme Chi condivide l’appello può firmare a questo link: http://firmiamo.it/fermiamo-gli-attacchi-apapa-francesco Gennaio 2015 - n. 60 C.D.B. Chieri informa 19 Anselmo Palini - Marianella Garcia Villas. “Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi” - editrice Ave, Roma 2014, pp. 270, euro 12,00 - prefazione di Raniero La Valle, postfazione di Linda Bimbi «Questo libro ripercorre, con grande partecipazione emotiva e con sapiente penetrazione di fatti e circostanze, la vicenda umana, politica e religiosa di Marianella García Villas, avvocata dei poveri e sorella degli oppressi, uccisa a 34 anni in El Salvador» (dalla prefazione di Raniero La Valle). In qualità di presidente della Commissione per i diritti umani del suo Paese, Marianella venne più volte in Italia a chiedere la solidarietà e il sostegno delle forze politiche, sindacali e sociali del nostro Paese, come pure si recò in altri Stati e alla Commissione Onu per i diritti umani. Per questa sua opera di instancabile denuncia dei massacri e delle violenze perpetrate dalla giunta militare al potere in Salvador, la voce di Marianella venne messa a tacere per sempre. Da monsignor Romero era stata confermata nella scelta della nonviolenza, della denuncia coraggiosa e intransigente ma disarmata, e come lui pagò con la vita il proprio servizio alla causa dei poveri e dei perseguitati Poche settimane dopo il suo assassinio, Marianella venne ricordata a Roma, in Campidoglio, alla presenza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini e del presidente della Camera Nilde Jotti, oltre a diversi altri esponenti del mondo politico italiano. In tale occasione le relazioni principali vennero affidate al senatore Raniero La Valle e a mons. Luigi Bettazzi. La figura di Marianella è stata presto dimenticata sia a livello internazionale che nel suo Paese e oggi è viva solamente presso alcune realtà che si interessano di diritti umani e di nonviolenza. Questo lavoro intende rappresentare un contributo affinché si possa togliere dall’oblio il sacrificio di Marianella e ravvivare la memoria di questa martire della giustizia e della pace. AGENDA CDB DI CHIERI Chi volesse inviare lettere, articoli, o collaborare al giornalino, scriva a: Silvano Leso e.mail: [email protected] - cell. 339.5723228 Segnalateci amici a cui credete possa interessare “CdB informa”, lo spediremo gratis ai loro indirizzi. - Chi vuole contribuire può farlo su c/c postale n° 40759151 intestato a Leso Silvano - causale: contributo a cdb informa La comunità cristiana di base di Chieri si ritrova ogni mercoledì alle ore 21 presso la sede a Chieri - gli incontri sono aperti a tutti L’eucarestia viene celebrata l’ultimo sabato o domenica di ogni mese Il “Perdono comunitario” due volte all’anno, prima di Natale e prima di Pasqua Lettura biblica. Una ricerca e una riflessione attraverso lo studio delle scritture ebraiche e cristiane libera da ogni condizionamento dogmatico o istituzionale: quest’anno leggiamo Genesi Per informazioni sulle serate e sulla comunità - telefonare a Maria 011.9472882 o al 339.5723228 - e.mail: [email protected] - altre informazioni su comunità ed iniziative sono presenti e aggiornate periodicamen te sul sito web: www.cdbchieri .it
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