Contenuti SINPE News 2-2014

Nutritional Therapy & Metabolism - SINPE News / Aprile-Giugno, 2014, pp. 1-7
Nutritional Therapy & Metabolism - Riassunti
La cattiva associazione: obesità, periodontopatia,
infiammazione e insulino-resistenza.
Review sistematica e dati personali
Giovanni De Pergola1, Antonia Abbinante2, Alessandro Nisio3, Marica Messa1, Claudio Pecorella1,
Mariateresa Martella2, Laura Calabrese2, Monica Caprio2, Raffaele Cagiano1
Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Scuola di Medicina, Università di Bari Aldo Moro, Bari
Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Scuola Medica di Igiene Dentale, Università di Bari Aldo Moro, Bari
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Attività Odontoiatrica Privata, Bari
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RIASSUNTO: La periodontopatia è una patologia infiammatoria cronica dei tessuti gengivali, che può
indurre degradazione dei legamenti del periodonto e riassorbimento dell’osso che li circonda. Tale
condizione è fortemente correlata con l’obesità, con un odds ratio di 1.3 nei soggetti in sovrappeso
e di 1.8 nei pazienti obesi, e la relazione tra queste due variabili è indipendente da numerosi fattori di
rischio sia per l’obesità che per la periodontopatia. Sfortunatamente, non è possibile stabilire l’ordine
temporale tra obesità e periodontopatia. Se si considera il probabile ruolo dell’obesità, questa è un
fattore di rischio per le infezioni, una disfunzione del sistema immune e una depressa risposta immunitaria cellulo-mediata. La carica batterica localizzata nel biofilm sottogengivale è maggiore nei pazienti
obesi ed è stato suggerito che i batteri del cavo orale possano essere trasferiti al tratto gastrointestinale, dove potrebbero amplificare l’assorbimento dei nutrienti e l’efficienza metabolica; inoltre, i
batteri potrebbero modificare il rapporto leptina/grelina, inducendo un incremento dell’appetito e del
consumo di cibo. Un’infiammazione sistemica di basso grado è una caratteristica comune all’obesità
e alla periodontopatia e sia l’accumulo di tessuto adiposo che la risposta infiammatoria indotta dalla
presenza a lungo termine del biofilm sottogengivale (placca dentale) sono responsabili di uno stato
infiammatorio sistemico, che rappresenta un legame tra la coppia obesità-periodontopatia e l’insulinoresistenza. Una maggiore produzione di citochine da parte del tessuto adiposo e dei tessuti sottogengivali infiammati e, in particolare, il tumor necrosis factor-α e l’interleuchina-6 sembrano esercitare
un ruolo determinante nell’infiammazione sistemica e nell’insulino-resistenza. Questa è un fattore di
rischio per il diabete nei pazienti obesi con periodontopatia e sia una dieta idonea che un incremento
del livello di attività fisica esercitano un simultaneo effetto protettivo per l’obesità e la periodontopatia.
Nostri dati preliminari ottenuti in pazienti in sovrappeso e obesi suggeriscono che l’iperinsulinemia
è un chiaro segno di una condizione orale non salutare e che il progressivo aumento della glicemia
a digiuno è un segno sfavorevole per la salute gengivale, persino nei soggetti non affetti da diabete.
(Pubblicato su Nutritional Therapy & Metabolism 2014; 32: 53-60)
Parole chiave: Infiammazione, Insulino-resistenza, Obesità, Periodontopatie
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Nutritional Therapy & Metabolism - Riassunti
Estratto del germe di grano fermentato: un integratore
alimentare con efficacia antitumorale
Seema Patel
Bioinformatics and Medical Informatics Research Center, San Diego State University, San Diego, CA - USA
RIASSUNTO: Introduzione: Negli ultimi tempi si è assistito ad un aumento senza precedenti nell’uso
di integratori alimentari a base di fitochimici per alleviare varie forme di cancro. A questo proposito,
l’estratto del germe di grano fermentato (nome commerciale Avemar o MSC) ha dimostrato la sua
efficacia.
Materiali e Metodi: Per revisionare lo stato attuale e le prospettive future dell’estratto del germe di
grano fermentato, sono stati utilizzati i database PubMed e ScienceDirect.
Risultati: Questo prodotto ritenuto estremamente salutare è ottenuto dalla fermentazione dei grani
del Triticum vulgaris con il lievito di birra Saccharomyces cerevisiae. Gli ingredienti bioattivi responsabili dell’attività antitumorale sono stati identificati come 2, 6-dimetossi-p-benzochinone e 2-metossibenzochinone. La progressione del cancro è inibita dall’immuno-modulazione e dall’anti-metastasi.
Conclusioni: Questa review si concentra sul potenziale dell’Avemar come opzione di supporto per
integrare il regime di trattamento convenzionale, sulle problematiche derivanti da questa prospettiva
e sulla possibilità di ampliare lo spettro terapeutico. (Pubblicato su Nutritional Therapy & Metabolism
2014; 32: 61-67)
Parole chiave: Estratto del germe di grano fermentato, Avemar, Benzochinone, Antitumorali,
Imunomodulazione
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Nutritional Therapy & Metabolism - Riassunti
Potenzialità antiossidanti, mitogeniche e
immunomodulanti del miele d’acacia
Muhammad Aliyu1-4, Oyeronke A. Odunola1, Ahsana D. Farooq2, Ahmed M. Mesaik3,
Muhammad I. Choudhary2,3, Mudassar Azhar2, Muhammad M. Asif3, Ochuko L. Erukainure2
Department of Biochemistry, University of Ibadan, Ibadan, Oyo State - Nigeria
H.E.J. Research Institute of Chemistry, International Center for Chemical and Biological Sciences, University of Karachi,
Karachi - Pakistan
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Dr. Panjwani Center for Molecular Medicine and Drug Research, International Center for Chemical and Biological Sciences, University of Karachi, Karachi - Pakistan
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Department of Biochemistry, Ahmadu Bello University, Zaria, Kaduna State - Nigeria
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RIASSUNTO: Introduzione: Lo studio è stato progettato principalmente per analizzare le proprietà
antiossidanti, mitogeniche e immunomodulanti del miele d’acacia.
Materiali e Metodi: Le potenzialità antiossidanti e immunomodulanti venivano valutate da saggi di
chemiluminescenza amplificata da luminolo e lucigenina, mentre le potenzialità mitogeniche venivano
valutate da saggi del micronucleo bloccato con citocalasina B e dell’indice mitotico in vitro, rispettivamente per sangue intero, neutrofili, macrofagi e linfociti periferici. L’anione superossido e l’attività antiradicalica DPPH, così come la riduzione dell’energia, venivano valutati per sottolineare ulteriormente
la proprietà antiossidante del miele d’acacia.
Risultati: Un’inibizione dose-dipendente dell’intensità della chemiluminescenza amplificata da luminolo e lucigenina (P<0.05) veniva osservata con differenti concentrazioni di miele rispetto al gruppo di
controllo con IC50 rispettivamente dello 0.75%, dello 0.2% e dello 0.24 e <0.125% (v/v) per sangue
intero, neutrofili e macrofagi. L’indice mitotico, tuttavia, diminuiva (P<0.05) solo a basse concentrazioni, ma aumentava (p<0.05) a dosi elevate rispetto al gruppo di controllo. Risultati simili venivano
ottenuti per gli indici di divisione nucleare e di proliferazione del blocco della citochinesi. L’indice di
citotossicità diminuiva (P<0.05) in relazione alla concentrazione. Inoltre, il miele d’acacia possiede una
significativa (P <0.05) inibizione dose-dipendente di DPPH (IC50 dell’1.58%) e radicali di anione superossido (IC50 del 2.15%). Il potere riducente del miele aumenta all’aumentare della concentrazione.
Conclusioni: Il nostro studio dimostra le proprietà antiossidanti, mitogeniche e immunomodulanti del
miele d’acacia. (Pubblicato su Nutritional Therapy & Metabolism 2014; 32: 68-78)
PAROLE CHIAVE: Genotossicità, Miele d’acacia, Saggio dell’indice mitotico, Saggio del micronucleo
bloccato con citocalasina, Saggio di chemiluminescenza
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Nutritional Therapy & Metabolism - Riassunti
La stimolazione dei recettori del gusto della cavità
orale può migliorare la deglutizione nei pazienti
affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica con disfagia
orofaringea
Luca Piretta1, Valentina Settipani2, Ilenia Schettino3, Maurizio Inghilleri3, Enrico Corazziari1
Gastroenterologia A, Dipartimento di Medicina Interna e Specialità mediche Sapienza, Università di Roma, Roma
UOS Riabilitazione Motoria ed Elettromiografia, Policlinico Umberto I, Roma
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Centro SLA, Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Sapienza, Università di Roma, Roma
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RIASSUNTO: Introduzione: La disfagia orofaringea è un sintomo precoce e invalidante nella Sclerosi
Laterale Amiotrofica. I recettori del gusto situati nella cavità orale possono contribuire a innescare e
a migliorare la funzione deglutitoria, ma l’impatto clinico di questa azione non è stato ancora chiarito.
Scopo del lavoro è di verificare se, modificando il gusto dell’addensante liquido nella dieta di pazienti
disfagici affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica, sia possibile migliorare la loro capacità deglutitoria e
modificare il loro peso.
Materiali e Metodi: Venti pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica che necessitano di addensante per la loro disfagia sono stati pesati e hanno compilato un questionario validato ed è stato chiesto loro di aggiungere ai liquidi della dieta un addensante standard con gusto neutro per sei settimane.
Successivamente, per un periodo analogo, i pazienti hanno utilizzato un addensante arricchito del
gusto per loro più gradevole scelto tra cinque differenti. Alla fine di questo periodo i pazienti sono stati
nuovamente pesati e hanno compilato il questionario.
Risultati: Nove pazienti hanno scelto il gusto acido, otto quello dolce e tre quello amaro. Il miglioramento soggettivo della disfagia è stato riferito da dieci pazienti, mentre quello oggettivo (misurato con
lo score del questionario) da tredici pazienti. Lo score relativo alla disfagia selettiva per i liquidi si è ridotto da 2.4±1.0 con la dieta standard a 1.9±1.0 (p<0.04) dopo 6 settimane di utilizzo dell’addensante
modificato con il gusto. Non c’è stata una variazione significativa del peso corporeo durante il periodo
di studio, sebbene non sia stato possibile distinguere tra stato di nutrizione e idratazione.
Conclusioni: L’aggiunta del gusto agli addensanti abitualmente utilizzati per la disfagia per liquidi nei
pazienti con Sclerosi Laterale Amiotrofica determina un miglioramento soggettivo e oggettivo della
loro funzione deglutitoria. (Pubblicato su Nutritional Therapy & Metabolism 2014; 32: 79-84)
PAROLE CHIAVE: Addensanti, Disfagia, Gusto, Recettori del gusto, Sclerosi Laterale Amiotrofica
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Nutritional Therapy & Metabolism - Riassunti
Effetti di una dieta isocalorica a basso carico
glicemico in pazienti affette da sindrome dell’ovaio
policistico
Annalisa Panico1, Gelsy Arianna Lupoli1, Iolanda Cioffi2, Giuseppe Zacchia2, Annarita Caldara2,
Giovanni Lupoli1, Franco Contaldo2, Fabrizio Pasanisi2
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi “Federico II”, Napoli
Centro Inter Universitario di Studi e Ricerche sull’Obesità e i Disturbi del Comportamento Alimentare, Dipartimento di
Medicina Sperimentale, Università degli Studi “Federico II”, Napoli
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RIASSUNTO: Introduzione: Scopo dello studio è stato di paragonare gli effetti di una dieta isocalorica
e isoenergetica con un basso carico glicemico (dieta A, carico glicemico = 79-105) con una dieta ad
alto carico glicemico (dieta B, carico glicemico = 123-134) sui parametri endocrini e metabolici della
Sindrome dell’Ovaio Policistico.
Materiali e Metodi: Sono state selezionate sette donne affette da Sindrome dell’Ovaio Policistico,
con indice medio di massa corporea pari a 28.7±4.9 kg/m2. Con protocollo random e cross-over sono
state assegnate una dieta di tipo A per 3 mesi e una dieta di tipo B nei 3 mesi successivi.
Risultati: In condizioni di stabilità del peso corporeo, una significativa riduzione percentuale dei livelli sierici di testosterone (p<0.026), diidroepiandrosterone (p<0.042), ormone adrenocorticotropo
(p<0.009), glicemia (p<0.011) e insulinemia 2 ore dopo la colazione (p<0.019) si è osservata solo dopo
la dieta a basso carico glicemico.
Conclusioni: Una dieta isocalorica e isoenergetica a basso carico glicemico, indipendentemente dal
peso corporeo, migliora l’insulino-resistenza e le concentrazioni degli androgeni sierici in giovani donne affette da Sindrome dell’Ovaio Policistico. (Pubblicato su Nutritional Therapy & Metabolism 2014;
32: 85-92)
PAROLE CHIAVE: Insulino-resistenza, Dieta a basso carico glicemico, Sindrome dell’ovaio policistico
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Nutritional Therapy & Metabolism - Riassunti
Principali fonti di calcio in diete patologia-specifiche
Maria Rosaria Serra, Annarita Caldara, Maurizio Marra, Giuseppe Zacchia, Lisa Di Franco,
Eufemia Silvestri, Franco Contaldo, Fabrizio Pasanisi, Lidia Santarpia
Centro Interuniversitario per l’Obesità ed i Disturbi del Comportamento Alimentare, Medicina Interna e Nutrizione Clinica,
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università Federico II, Napoli
RIASSUNTO: Introduzione: Alcune patologie croniche possono influenzare l’introito giornaliero di
calcio con conseguenze a lungo termine sull’integrità del tessuto osseo.
Materiali e Metodi: In 51 pazienti con malattia celiaca, 30 con fibrosi cistica, 41 con allergie alimentari e 9 con intolleranza al lattosio è stato somministrato un questionario di frequenza settimanale per
valutare l’introito giornaliero di calcio.
Risultati: I pazienti affetti da fibrosi cistica hanno un introito di calcio adeguato (1214±367 mg/die)
mentre quelli con malattia celiaca (769±281 mg/die), intolleranza al lattosio (725±308 mg/die) e allergie
alimentari (884±304 mg/die) assumono una quota di calcio inferiore alle dosi suggerite.
Nei pazienti con malattia celiaca le fonti di calcio sono rappresentate soprattutto da acqua potabile
(33.1%), in quelli con fibrosi cistica (26.7%), allergie alimentari (32.8%) e intolleranza al lattosio (37.3%),
dai derivati del latte. Gli alimenti confezionati rappresentano una fonte di calcio nel 2.4-10.4% dei casi.
Conclusioni: Solo i pazienti affetti da fibrosi cistica, seguiti regolarmente da personale dietistico specializzato, assumono una quota adeguata di calcio. Questa osservazione suggerisce l’importanza di
indicazioni dietetiche dettagliate e di regolari visite di controllo per questi pazienti, al fine di assumere
un’adeguata quota di nutrienti, in particolare di calcio, e salvaguardare lo stato nutrizionale. (Pubblicato su Nutritional Therapy & Metabolism 2014; 32: 93-97)
PAROLE CHIAVE: Calcio, Malassorbimento intestinale, Diete patologia-specifiche
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Nutritional Therapy & Metabolism - Riassunti
Ruolo della supplementazione endovenosa di
glutamina nella fatigue postoperatoria in chirurgia
addominale oncologica maggiore
Maria Teresa Paganelli1, Giulia Della Bina1, Chiara Santorelli1, Valentina Zavagno1, Alfredo Villa2,
Giovanni Brachelente2, Giuseppe Quintaliani3, Filippo Stefano Correnti4, Annibale Donini1
Struttura Complessa di Chirurgia Generale e d’Urgenza, Università di Perugia, Azienda Ospedaliera Santa Maria della
Misericordia di Perugia, Perugia
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Servizio di Patologia Clinica ed Ematologia, Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Perugia, Perugia
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Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi, Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Perugia, Perugia
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Struttura Complessa di Chirurgia Generale, Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Perugia , Perugia
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RIASSUNTO: Introduzione: Scopo dello studio è di valutare gli effetti della supplementazione endovenosa
di glutamina sulla percezione soggettiva della fatigue post operatoria, in seguito a interventi di chirurgia
maggiore. È stato condotto uno studio clinico controllato prospettico, quasi-randomizzato. I pazienti arruolati erano soggetti oncologici, candidati alla chirurgia elettiva maggiore.
Materiali e Metodi: Sono stati arruolati 22 pazienti oncologici, normonutriti o lievemente malnutriti, e sono
stati suddivisi in 2 gruppi. I pazienti di entrambi i gruppi hanno ricevuto una nutrizione parenterale periferica
isocalorica e protein sparing (1215 Kcal; 7.3 g N) nei primi 7 giorni post operatori. Solo il gruppo glutamina
è stato supplementato con infusione ev di glutamina (20 gr/die) nei primi 6 giorni post operatori. Sono stati
misurati parametri biochimici, clinici e antropometrici. Tra questi troviamo: prealbumina, albumina, proteina
legante il retinolo, transferrina, proteina C reattiva, linfociti, valutazione del livello di fatigue con l’utilizzo della
scala nominale Visual Analogue Scale, misurazione dell’hand grip force attraverso il dinamometro, peso,
altezza, circonferenza brachiale e plica tricipitale.
Risultati: I dati di ciascun gruppo sono stati analizzati con il test T di Student e sono stati presi in considerazione soltanto i risultati statisticamente significativi (p<0.05). Secondo tale criterio si nota una migliore risposta dei valori di transferrina e proteina legante il retinolo nel gruppo glutamina rispetto al gruppo controllo.
All’interno di ciascun gruppo è stato analizzato anche l’andamento nel tempo dei valori rilevati; per questo è
stato utilizzato il test t-paired, che mostra un andamento migliore di prealbumina, albumina e circonferenza
brachiale. Per i valori di proteina C reattiva e per il punteggio attribuito alla percezione soggettiva della fatigue ottenuto con la scala nominale Visual Analogue Scale, sono stati ottenuti risultati controversi.
Conclusioni: La supplementazione di glutamina in pazienti oncologici normonutriti o lievemente malnutriti
candidati alla chirurgia elettiva maggiore non sembra migliorare la percezione soggettiva della fatigue post
operatoria. Lo stato nutrizionale e i parametri bioumorali degli stessi pazienti subiscono, invece, un sensibile
miglioramento. (Pubblicato su Nutritional Therapy & Metabolism 2014; 32: 98-103)
PAROLE CHIAVE: Chirurgia, Glutamina, Postoperative fatigue
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Nutritional Therapy & Metabolism - SINPE News / Aprile-Giugno, 2014, pp. 8 -13
Nutritional therapy & Metabolism - Dati recenti della letteratura
Top 10 abstract in Nutrizione Artificiale
Aprile-Giugno 2014
Differenze prognostiche del Mini Nutritional Assessment nella forma ridotta e completa in relazione al
declino funzionale di 1 anno e alla mortalità negli anziani residenti nelle comunità che ricevono assistenza
domiciliare
J Am Geriatr Soc. 2014;62(3):512-7.
Kiesswetter E, Pohlhausen S, Uhlig K, R Diekmann, Lesser S, Uter W, Heseker H, P Stehle, Sieber CC, Volkert D.
Introduzione: Scopo del lavoro è di confrontare il valore prognostico della classificazione revisionata del Mini Nutritional
Assessment nella forma ridotta (MNA - SF) rispetto alla forma completa (MNA - LF) in relazione alla mortalità e al cambiamento
funzionale negli anziani residenti nelle comunità che ricevono assistenza domiciliare in Germania.
Materiali e Metodi: Studio osservazionale, prospettico, multicentrico della durata di un anno condotto su anziani (≥65) residenti
nelle comunità che ricevono assistenza domiciliare (n=309).
Lo stato nutrizionale (ben nutrito, a rischio di malnutrizione, malnutrito) veniva classificato con il MNA-SF e il MNA-LF al basale.
Lo stato funzionale veniva determinato in base all’Indice di Barthel delle attività della vita quotidiana (ADL), al basale e dopo 1
anno. Il rapporto di rischio (HR) e l’intervallo di confidenza (IC) al 95% della mortalità venivano calcolati per le categorie MNA
-SF e MNA-LF utilizzando l’analisi di regressione di Cox con selezione graduale. Misure ripetute dell’analisi della covarianza
venivano utilizzate per esaminare i cambiamenti dei valori ADL nel tempo per le categorie MNA-SF e MNA-LF.
Risultati: Il MNA-SF classificava il 15% del campione come malnutrito e il 41% come a rischio di malnutrizione, mentre il
MNA-LF classificava rispettivamente il 14% e il 58%. Durante l’anno di follow-up, il 15% dei partecipanti è deceduto. I rapporti
di rischio stimati (HR) per la mortalità a 1 anno erano più bassi per il MNA-SF rispetto alle categorie MNA-LF (a rischio di
malnutrizione: HR=2.21, intervallo di confidenza (IC) al 95%=1.02-4.75 vs HR=5.05, IC al 95%=1.53-16.58; malnutriti: HR=
3.27, IC al 95%=1.34-8.02 vs HR= 8.75, IC al 95%= 2.45-31.18). Per le categorie MNA-SF, non sono state trovate differenze
nel cambiamento funzionale. Secondo il MNA-LF, il declino delle ADL tendeva ad essere maggiore nei soggetti a rischio di
malnutrizione (7.1 ± 10.1 punti) rispetto ai ben nutriti (3.7 ± 10.1 punti) e ai malnutriti (4.9 ± 10.1 punti).
Conclusioni: In questo campione di anziani che ricevono assistenza domiciliare, il MNA-LF risultava essere migliore del MNASF nel predire la mortalità e nel differenziare il declino funzionale durante 1 anno di follow- up.
Supplementazione di simbiotici nella steatosi epatica non alcolica: uno studio pilota randomizzato, in doppio
ceco, controllato con placebo
Am J Clin Nutr. 2014;99(3):535-42.
Eslamparast T, Poustchi H, Zamani F, Sharafkhah M, Malekzadeh R, Hekmatdoost A.
Introduzione: La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è la malattia cronica del fegato più comune al mondo. La somministrazione
orale di simbiotici è stata proposta come trattamento efficace nella NAFLD grazie al suo effetto modulante sulla flora intestinale,
che può influenzare l’asse intestino-fegato. Scopo del lavoro è di valutare gli effetti della supplementazione di simbiotici sulla
fibrosi epatica, sugli enzimi epatici, e sui marker infiammatori nei pazienti con NAFLD.
Materiali e Metodi: In uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco controllato con placebo condotto come studio pilota,
una pillola di placebo o di simbiotici veniva somministrata due volte al giorno per 20 settimane a 52 pazienti con NAFLD.
Entrambi i gruppi venivano invitati a seguire una dieta per il mantenimento del bilancio energetico e a svolgere attività fisica.
Risultati: Alla fine dello studio, la concentrazione di alanina aminotransferasi (ALT) diminuiva in entrambi i gruppi; questa riduzione
era significativamente maggiore nel gruppo trattato con simbiotici. Alla fine dello studio, le seguenti differenze significative [media
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Nutritional Therapy & Metabolism - Dati recenti della letteratura
(IC al 95%)] venivano osservate rispettivamente tra i gruppi trattati con simbiotici e placebo: ALT [-25.1 (-26.2, -24) rispetto a
-7.29 (-9.5, -5.1) IU/L; P<0.001], aspartato aminotransferasi [-31.33 (-32.1, -30.5) rispetto a -7,94 (-11.1, -4.8) IU/L; P< 0.001], γ
-glutamiltransferasi [-15.08 (-15.5, -14.7) rispetto a -5.21 (-6.6, -3.9) IU/L; P<0.001], proteina C-reattiva ad alta sensibilità [-2.3 (-3,
-1.5) rispetto a -1.04 (-1.5, -0.6) mmol/L; P<0.05], fattore di necrosi tumorale α [-1.4 (-1.7, -1.1) rispetto a -0.59 (-0.8, -0.3) mmol/L;
P<0.001], fattore nucleare κ-B p65 totale [-0.016 (-0.022, -0.011) rispetto a 0.001 (-0.004, -0.007) mmol/L; P<0.001], e punteggio
per lo stadio di fibrosi come determinato dall’elastografia transitoria [-2.98 (-3.6 , -2.37) rispetto a -0.77 (-1.32, -0.22 ) kPa; P<0.001] .
Conclusioni: La supplementazione di simbiotici combinata al cambiamento dello stile di vita rispetto al solo cambiamento
dello stile di vita rappresenta un miglior trattamento per la NAFLD, in parte attraverso l’attenuazione dei marcatori infiammatori
nell’organismo. Bisogna ancora stabilire se sarà possibile ottenere questi effetti con trattamenti più lunghi.
Il fast-track migliora l’alimentazione post-operatoria e gli esiti della chirurgia del colon-retto: un studio
prospettico di un singolo centro in Cina
Asia Pac J Clin Nutr. 2014;23(1):41-7.
Li K, Li JP, Peng NH, Jiang LL, Hu YJ, Huang MJ.
Introduzione: Il fast-track (FT) ha dimostrato di migliorare il recupero post-operatorio. Lo scopo di questo studio era di
confrontare gli effetti del FT e della nutrizione tradizionale sulla riabilitazione post-operatoria, nonché di valutare l’effettiva
applicazione del FT nella gestione della nutrizione nella chirurgia colorettale.
Materiali e Metodi: Veniva eseguito uno studio prospettico, randomizzato, controllato su 464 pazienti sottoposti a chirurgia
colorettale. I pazienti venivano randomizzati in un gruppo FT e in un gruppo tradizionale.
Risultati: Il punteggio dello screening del rischio nutrizionale (NRS 2002), l’indice di recupero post-operatorio e le complicanze
chirurgiche venivano confrontate tra i gruppi FT e tradizionale. Il punteggio NRS 2002 nel gruppo FT era migliore rispetto al
gruppo tradizionale (p<0.05). Gli indicatori serici per la nutrizione (HGB, ALB, A/G) e la funzione immunitaria (tasso dei linfociti
[LYMPH%], IgA, e CD4+) nel gruppo FT erano superiori a quelli del gruppo tradizionale (p<0.05) al giorno post-operatorio 5. La
prima ripresa della canalizzazione a gas e feci, dell’assunzione orale e della deambulazione nel gruppo FT era più rapida rispetto
al gruppo tradizionale (p<0.05). L’incidenza delle complicanze era significativamente inferiore nel gruppo FT rispetto al gruppo
tradizionale (p<0.05). In particolare, il tasso di occorrenza della perdita anastomotica era più alta nel gruppo tradizionale rispetto
al gruppo FT (0.5% vs 2.8%, p<0.05).
Conclusioni: Questi dati suggeriscono che la gestione del FT può migliorare la condizione nutrizionale e gli esiti dei pazienti
chirurgici colorettali.
Studio clinico randomizzato sugli integratori di acidi grassi omega-3 perioperatori nella chirurgia elettiva del
cancro del colon-retto
Br J Surg. 2014;101(2):33-42.
Sorensen LS, Thorlacius - Ussing O, Schmidt EB, Rasmussen HH, Lundbye - Christensen S, Calder PC, Lindorff -Larsen K.
Introduzione: Gli acidi grassi omega-3 (n-3 FA) possono avere effetti clinici benefici, e i supplementi a base di n-3 FA possono
migliorare l’esito dopo l’intervento chirurgico.
Materiali e Metodi: In uno studio randomizzato, controllato con placebo in doppio cieco in un singolo centro, i pazienti selezionati
per la chirurgia elettiva del cancro colorettale ricevevano una supplementazione nutrizionale orale (ONS) arricchita da n-3 FA
(Supportan, 200 mL due volte al giorno) che fornisce 2,0 g di acido eicosapentaenoico (EPA) e 1,0 g di acido docosaesaenoico
(DHA) al giorno, o una ONS isocalorica e isonitrogena standard per 7 giorni precedenti e successivi all’intervento chirurgico. Gli
endpoints primari erano le complicanze infettive e non infettive entro 30 giorni dall’intervento. Gli endpoints secondari erano
la durata della degenza, il ricovero nell’unità di terapia intensiva, le reospedalizzazioni, e le concentrazioni di n-3 FA marini e di
acido arachidonico nelle membrane dei granulociti.
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Nutritional Therapy & Metabolism - Dati recenti della letteratura
Risultati: 148 pazienti consecutivi (68 donne, 80 uomini, età media 71 (range 41-89) anni) venivano randomizzati. Non vi era
alcuna differenza significativa tra i gruppi per le complicanze postoperatorie infettive o non infettive (P=1.000). I livelli di EPA,
DHA e acido docosapentaenoico (DPA) nei granulociti erano significativamente più alti nel gruppo trattato con supplementi
arricchiti da n-3 FA rispetto al gruppo di controllo (P < 0.001). Il livello di acido arachidonico nei granulociti era significativamente
inferiore nel gruppo trattato con supplementi arricchiti rispetto al gruppo di controllo (P<0.001).
Conclusioni: EPA, DHA e DPA venivano incorporati nei granulociti nei pazienti trattati con n-3 FA, ma questo aspetto non
veniva associato a migliori risultati postoperatori. Numero di registrazione: NCT00488904 (http://www.clinicaltrials.gov).
L’immunonutrizione preoperatoria riduce le complicanze post-operatorie, modulando la produzione di
prostaglandina E2 e la differenziazione delle cellule T nei pazienti sottoposti a pancreatoduodenectomia
Surgery. 2014;155(1):124-33.
Aida T, Furukawa K, Suzuki D, Shimizu H, Yoshidome H, Ohtsuka M, Kato A, Yoshitomi H, Miyazaki M.
Introduzione: Una dieta in grado di migliorare l’immunità veniva utilizzata per alterare la sintesi degli eicosanoidi, la produzione di
citochine, e la funzione immunitaria nel tentativo di limitare le reazioni immunitarie indesiderate in seguito a lesione da intervento
chirurgico. Scopo di questo studio prospettico è di studiare l’effetto dell’immunonutrizione preoperatoria sulle complicanze
operatorie, e la partecipazione della prostaglandina E2 (PGE2), sulla differenziazione delle cellule T nei pazienti sottoposti a un
intervento chirurgico fortemente stressante.
Materiali e Metodi: I pazienti arruolati che venivano selezionati per sottoporsi a pancreatoduodenectomia venivano randomizzati
in due gruppi. I pazienti del gruppo immunonutrizione (n=25) ricevevano una supplementazione orale contenente arginina, acidi
grassi ω-3, e RNA per 5 giorni prima dell’intervento, associata ad una riduzione del 50% della quantità di alimenti normali. I
pazienti del gruppo di controllo (n=25) non ricevevano alcun trattamento di nutrizione artificiale e venivano autorizzati a consumare
normali alimenti prima dell’intervento chirurgico. Tutti i pazienti ricevevano una infusione enterale precoce postoperatoria di una
formula standard destinata a fornire 25 Kcal/kg/giorno. L’endpoint primario era il tasso di complicanze infettive; l’endpoint
secondario era la risposta immunitaria. Questo studio veniva registrato con ClinicalTrials.gov (NCT01256034).
Risultati: Il tasso di complicanze infettive e la gravità delle complicanze (classificazione Clavien-Dindo) erano inferiori nel gruppo
di immunonutrizione rispetto al gruppo di controllo. I livelli di espressione di mRNA del T-bet erano maggiori nel gruppo di
immunonutrizione rispetto al gruppo di controllo (P<.05). I livelli serici di acido eicosapentaenoico e di acido eicosapentaenoico/
acido arachidonico erano maggiori nel gruppo di immunonutrizione rispetto al gruppo di controllo (P<.05). I livelli plasmatici di
PGE2 erano minori nel gruppo di immunonutrizione rispetto al gruppo di controllo (P<.05).
Conclusioni: L’immunonutrizione preoperatoria modula la produzione di PGE2 e la differenziazione delle cellule T e può
proteggere contro l’aggravamento delle complicanze operatorie nei pazienti sottoposti a pancreatoduodenectomia.
Maggiore apporto proteico-energetico tramite il protocollo di alimentazione per via enterale nel paziente
critico: risultati di uno studio randomizzato a cluster
Crit Care Med. 2013;41(12):2743-53.
Heyland DK, Murch L, Cahill N, McCall M, Muscedere J, Stelfox HT, Bray T, Tanguay T, Jiang X , Giorno AG..
Introduzione: Scopo del lavoro è di confrontare l’effetto del maggiore apporto proteico-energetico tramite il protocollo di
alimentazione per via enterale, combinato a un intervento educativo infermieristico sull’apporto nutrizionale, rispetto
all’assistenza usuale.
Materiali e Metodi: Veniva condotto uno studio prospettico randomizzato a cluster. Lo studio includeva diciotto Unità di Terapia
Intensiva degli Stati Uniti e del Canada con una bassa adeguatezza nutrizionale di base. Venivano valutati millecinquantanove
pazienti critici ventilati meccanicamente. Veniva attuato un nuovo protocollo di alimentazione combinato a un intervento
educativo infermieristico.
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Risultati: I due esiti di efficacia primaria erano la percentuale delle prescrizioni di proteine ​​e di energia ricevute per via enterale
dai pazienti arruolati nello studio nel corso dei primi 12 giorni in terapia intensiva. Gli esiti di sicurezza erano la prevalenza di
vomito, aspirazione assistita, e polmonite acquisita in terapia intensiva. La percentuale delle prescrizioni di proteine ed energia
fornita dalla nutrizione enterale era maggiore nei siti di intervento rispetto ai siti di controllo. La differenza media assoluta
aggiustata tra i gruppi dell’aumento di proteine ​​e di energia erano rispettivamente del 14% (IC 95%, 5-23%, p=0.005) e del 12%
(IC 95%, 5-20%, p=0.004). I siti di intervento presentavano un miglioramento nei livelli di proteine ​​e calorie, quando il trattamento
appropriato di nutrizione parenterale veniva combinato alla nutrizione enterale. L’uso della maggiore somministrazione proteicoenergetica tramite il protocollo di alimentazione per via enterale veniva associato ad una diminuzione del tempo medio di
ricovero in terapia intensiva per avviare il trattamento di nutrizione enterale rispetto al gruppo di controllo (40.7-29.7 ore vs 33.635.2 ore, p=0.10). I tassi di complicanze non erano diversi tra i due gruppi.
Conclusioni: Nelle unità di terapia intensiva con una bassa adeguatezza nutrizionale di base, l’uso della maggiore
somministrazione proteico-energetica attraverso il protocollo di alimentazione per via enterale è sicuro e provoca un aumento
modesto ma statisticamente significativo di proteine e
​​ calorie.
Nutrizione parenterale precoce nei pazienti critici con controindicazioni a breve termine alla nutrizione
enterale precoce: uno studio randomizzato controllato
JAMA. 2013 22;309(20):2130-8.
Doig GS, Simpson F, Sweetman EA, Finfer SR, Cooper DJ, Heighes PT, Davies AR, O’Leary M, Solano T, Peake S; Early
PN Investigators of the ANZICS Clinical Trials Group.
Introduzione: Le revisioni sistematiche suggeriscono che i pazienti adulti in unità di terapia intensiva (ICU) con controindicazioni
alla nutrizione enterale precoce (NE) possono beneficiare del trattamento di nutrizione parenterale (NP) avviato entro 24 ore dal
ricovero in terapia intensiva. Scopo del lavoro è di determinare se il trattamento di NP precoce nei pazienti adulti critici con
controindicazioni alla NE precoce possa alterare gli esiti.
Materiali e Metodi: Studio clinico multicentrico, randomizzato, in singolo cieco, condotto tra ottobre 2006 e giugno 2011 in
unità di terapia intensiva di 31 comunità e ospedali terziari in Australia e Nuova Zelanda. I partecipanti erano adulti critici con
controindicazioni alla NE precoce che avrebbero dovuto rimanere in terapia intensiva per più di 2 giorni. I pazienti venivano
assegnati in modo casuale al trattamento standard pragmatico o alla NP precoce. I principali risultati considerati erano la
mortalità a 60 giorni, la qualità della vita, le infezioni, e la composizione corporea.
Risultati: Un totale di 1372 pazienti veniva randomizzato (686 con terapia standard, 686 con NP precoce). Dei 682 pazienti
che ricevevano la terapia standard, 199 pazienti (29.2%) venivano inizialmente trattati con NE, 186 pazienti (27.3%) venivano
inizialmente trattati con NP, e 278 pazienti (40.8%) venivano lasciati a digiuno. La durata dei trattamenti di NE e NP nei pazienti
trattati con terapia standard era di 2.8 giorni (IC 95%, 2.3-3.4). Nei pazienti che ricevevano la NP precoce il trattamento veniva
avviato con una media di 44 minuti dopo l’arruolamento (IC 95%, 36-55). La mortalità al giorno 60 non presentava differenze
significative (22.8% per il trattamento standard vs 21.5% per la NP precoce; differenza di rischio, -1.26%, IC 95%, -6.6-4.1,
P=.60). I pazienti trattati con NP precoce presentavano al giorno 60 un valore statisticamente superiore per la qualità della
vita (RAND-36 Stato di salute generale), ma non clinicamente significativo (45.5 per il trattamento standard vs 49.8 per la NP
precoce, differenza media, 4.3, IC 95%, 0.95-7.5; P=.01). I pazienti trattati con NP precoce richiedevano un minor numero di
giorni di ventilazione invasiva (7.73 vs 7.26 giorni per 10 pazienti × giorni in terapia intensiva, differenza di rischio, -0.47, IC 95%,
da -0.82 a -0.11, P=.01) e, sulla base del Subjective Global Assessment, presentavano minore atrofia muscolare (incremento
del valore di 0.43 vs 0.27 a settimana; differenza media, -0.16, IC 95%, da -0.28 a -0.038, P=.01), e perdita di lipidi (incremento
del valore di 0.44 vs 0.31 a settimana; differenza media, -0.13, IC 95%, da -0.25 a -0.01, P=.04).
Conclusioni: La somministrazione della NP precoce nei pazienti adulti critici con controindicazioni alla NE precoce, rispetto
al trattamento standard, non ha determinato differenze relative alla mortalità al giorno 60. La strategia della NP precoce ha
determinato un numero significativamente inferiore di giorni di ventilazione invasiva, ma nessun ricovero più breve in terapia
intensiva o in ospedale.
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Risultati di un anno in pazienti con danno polmonare acuto randomizzati per ricevere alimentazione trofica o
alimentazione enterale completa iniziale: follow-up prospettico dello studio randomizzato EDEN
BMJ. 2013 19;346:f1532.
Needham DM, Dinglas VD, Bienvenu GU, Colantuoni E, Wozniak AW, Rice TW, Hopkins RO; NIH NHLBI ARDS Network.
Introduzione: Scopo del lavoro è di valutare l’effetto della sottoalimentazione permissiva a basso contenuto energetico iniziale
(“alimentazione trofica”) rispetto all’alimentazione enterale ad elevato contenuto energetico (“alimentazione completa”) sulla
funzione fisica e sugli esiti secondari nei pazienti con danno polmonare acuto. Veniva condotta una valutazione prospettica
longitudinale di follow-up della sperimentazione clinica EDEN del NHLBI ARDS Clinical Trials Network. Lo studio includeva
41 ospedali degli Stati Uniti. Venivano valutati 525 pazienti con danno polmonare acuto ai quali veniva assegnata in modo
randomizzato l’alimentazione trofica o completa per un massimo di sei giorni; successivamente, tutti i pazienti ancora sottoposti
a ventilazione meccanica ricevevano l’alimentazione completa.
Materiali e Metodi: Veniva condotta una valutazione in cieco del dominio della funzione fisica aggiustato per età e sesso per
mezzo dell’SF-36 a 12 mesi dopo la lesione polmonare acuta. Misure di esito secondario includevano la sopravvivenza; la
funzione fisica, psicologica e cognitiva; la qualità della vita; e lo stato di occupazione a 6 e 12 mesi.
Risultati: In seguito a danno polmonare acuto, i pazienti presentavano sostanziali menomazioni fisiche, psicologiche e cognitive,
ridotta qualità della vita, e ripresa alterata dell’attività lavorativa. L’alimentazione trofica iniziale rispetto all’alimentazione completa
non aveva effetti sulla funzione fisica valutata con l’SF-36 a 12 mesi (55 (SD 33) rispetto a 55 (31), P=0.54), sulla sopravvivenza
a 12 mesi (65% rispetto a 63%, P=0.63), o su quasi tutti gli esiti secondari.
Conclusioni: Nei pazienti sopravissuti al danno polmonare acuto, non vi era alcuna differenza nella funzione fisica, nella
sopravvivenza, o nei risultati secondari multipli a 6 e 12 mesi di follow-up in seguito ad alimentazione trofica iniziale o
alimentazione enterale completa.
Effetto del non controllo del volume gastrico residuo sul rischio di polmonite associata a ventilazione negli
adulti sottoposti a ventilazione meccanica e nutrizione enterale precoce: uno studio randomizzato controllato
JAMA. 2013 16;309(3):249-56.
Reignier J, Mercier E, Le Gouge A, Boulain T, Desachy A, Bellec F, M Clavel, Frat JP, Plantefeve G, Quenot JP, Lascarrou
JB; Clinical Research in Intensive Care and Sepsis (CRICS) Group.
Introduzione: Il monitoraggio del volume residuo gastrico è raccomandato per prevenire la polmonite associata a ventilazione
(VAP) nei pazienti trattati con nutrizione enterale precoce. Tuttavia, gli studi hanno messo in discussione l’affidabilità e l’efficacia
di questa misura. Scopo del lavoro è quello di verificare l’ipotesi che il rischio di VAP non aumenti in assenza del monitoraggio
del volume gastrico residuo rispetto al monitoraggio di routine del volume residuo gastrico nei pazienti sottoposti a ventilazione
meccanica invasiva e nutrizione enterale precoce.
Materiali e Metodi: Studio multicentrico randomizzato, di non inferiorità, in aperto, condotto da maggio 2010 a marzo 2011
in adulti che richiedevano ventilazione meccanica invasiva per più di 2 giorni e sottoposti a nutrizione enterale entro 36 ore
dall’intubazione, ricoverati in 9 unità di terapia intensiva francesi (ICU). 452 pazienti venivano randomizzati e 449 venivano
inclusi nell’analisi per intenzione al trattamento (3 ritiravano il consenso iniziale).
In assenza del monitoraggio del volume gastrico residuo, l’intolleranza alla nutrizione enterale era basata solo sul rigurgito e sul
vomito nel gruppo di intervento e sul volume gastrico residuo superiore a 250 mL in qualunque delle 6 misurazioni orarie e sul
rigurgito o vomito nel gruppo di controllo. I principali parametri di valutazione includevano la percentuale di pazienti con almeno
1 episodio di VAP entro 90 giorni dalla randomizzazione, valutata da una commissione di gara non nota al gruppo di pazienti. Il
margine di non-inferiorità prestata era del 10%.
Risultati: Nella popolazione con intenzione al trattamento, la VAP si verificava in 38 su 227 pazienti (16.7%) nel gruppo di
intervento e in 35 su 222 pazienti (15.8%) nel gruppo di controllo (differenza, 0.9%, IC 90%, da -4.8% a 6.7%). Non venivano
riscontrate differenze significative tra i gruppi per quanto riguarda le altre infezioni acquisite nelle ICU, la durata della ventilazione
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meccanica, la durata della degenza in terapia intensiva, o i tassi di mortalità. La percentuale di pazienti che raggiungevano il
100% dell’obiettivo calorico era maggiore nel gruppo di intervento (odds ratio, 1.77; IC 90%, 1,25-2,51, P=.008). Risultati simili
venivano ottenuti nella popolazione come da protocollo.
Conclusioni: Tra gli adulti che richiedono la ventilazione meccanica e ricevono la nutrizione enterale precoce, la mancanza di
controllo del volume gastrico non determinava minori casi di VAP rispetto al monitoraggio di routine del volume residuo gastrico.
Studio multicentrico, randomizzato controllato per confrontare la nutrizione nasodigiunale precoce e la
nutrizione nasogastrica nella malattia critica
Crit Care Med. 2012 Aug;40(8):23428.
Davies AR, Morrison SS, Bailey MJ, Bellomo R, Cooper DJ, Doig GS, Finfer SR, Heyland DK; ENTERIC Study Investigators;
ANZICS Clinical Trials Group.
Introduzione: Le attuali linee guida raccomandano la nutrizione enterale nei pazienti adulti critici; tuttavia, la scarsa motilità
gastrica spesso impedisce di soddisfare gli obiettivi nutrizionali. Abbiamo ipotizzato che la nutrizione nasodigiunale precoce
possa migliorare la somministrazione della nutrizione enterale.
Materiali e Metodi: Veniva condotto uno studio prospettico, randomizzato e controllato. Venivano incluse diciassette unità
di terapia intensiva multidisciplinari, chiuse, medico/chirurgiche dell’Australia. Venivano arruolati centottantuno adulti ventilati
meccanicamente che presentavano elevati volumi residui gastrici entro 72 ore dall’ammissione nel reparto di terapia intensiva.
I pazienti venivano assegnati in modo randomizzato alla nutrizione nasodigiunale precoce somministrata tramite un sondino
naso-digiunale a migrazione spontanea per frizione, o alla nutrizione nasogastrica continua.
Risultati: L’esito primario era la percentuale del fabbisogno energetico standard stimato fornito mediante nutrizione enterale.
Gli esiti secondari includevano l’incidenza della polmonite associata a ventilazione, dell’emorragia gastrointestinale, e del tasso
di mortalità in ospedale. 92 pazienti venivano assegnati alla nutrizione nasodigiunale precoce e 89 alla nutrizione nasogastrica
continua. Le caratteristiche basali erano simili. Il posizionamento del sondino nasodigiunale nell’intestino tenue veniva
confermato in 79 (87%) pazienti sottoposti a nutrizione nasodigiunale precoce dopo una media di 15 ore (scarto interquartile
7-32). La percentuale di energia mirata fornita dalla nutrizione enterale era del 72% per la nutrizione nasodigiunale precoce e
del 71% per il gruppo sottoposto a nutrizione nasogastrica (differenza media 1%, intervallo di confidenza 95% da -3% a 5%,
p=.66). I tassi di polmonite associata a ventilazione (20% vs 21%, p=.94), vomito, aspirazione assistita, diarrea, e mortalità
erano simili. Minore, ma non più importante, l’emorragia gastrointestinale era più comune nel gruppo sottoposto a nutrizione
nasodigiunale precoce (12 [13%] vs 3 [3%], p=.02).
Conclusioni: Nei pazienti ventilati meccanicamente con volumi residui gastrici leggermente elevati e già sottoposti a nutrizione
nasogastrica, la nutrizione nasodigiunale precoce non aumentava la fornitura di energia e non sembrava ridurre la frequenza di
polmonite. Il tasso di minore emorragia gastrointestinale aumentava. Il posizionamento di routine del sondino nasodigiunale in
questi pazienti non è raccomandato.
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Nutritional Therapy & Metabolism - SINPE News / Aprile-Giugno, 2014, p.14
Locandina Congresso con Istruzioni Stesura Abstract
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