PREPARATI PARENTERALI

PREPARATI PARENTERALI
Il termine parenterale (para enteron = al di fuori dell’intestino) si riferisce alla
somministrazione dei medicamenti per iniezione attraverso i tegumenti esterni o
direttamente nei vasi sanguigni.
Si dividono in:
• Preparazioni iniettabili;
• Liquidi perfusionali;
• Polveri per preparazioni iniettabili.
Dal punto di vista storico i primi riferimenti a tali preparazioni risalgono alla metà del
1800, tuttavia è solamente dal 1920 che vengono individuate le cause delle problematiche
associate a tale forme di dosaggio ( in particolare la presenza di sostanze pirogene) con
conseguente aggiustamento e sviluppo della formulazione/preparazione.
I parenterali compaiono per la prima volta nel formulario nazionale nel 1926.
La somministrazione di farmaci per via iniettiva (endovenosa, sottocutanea,
intramuscolare, flebo, ecc.) presenta, rispetto a quella orale, alcuni vantaggi fondamentali:
•Si evita il tratto gastro-enterico: è possibile somministrare farmaci che per via orale
sarebbero inattivati e non assorbiti.
•Azione pronta: è la via di elezione quando si richiede un’azione farmacologia rapida ed
intensa (trattamento malattie infettive, neoplasie, interventi di emergenza ospedaliera).
•Risposta terapeutica più costante: mancano le irregolarità proprie dell’assorbimento
gastro-intestinale o rettale.
•Possibilità di somministrare farmaci a persone in stato di incoscienza e, per fleboclisi,
soluzioni fisiologiche, medicate e soluzioni nutrizionali.
•Possibilità di ottenere un effetto locale evitando effetti tossici sistemici: anestetici
locali in odontoiatria.
Presentano tuttavia svantaggi notevoli che non devono essere trascurati:
•Possibilità di sensazione dolorosa talvolta prolungata.
•Maggiore pericolosità (specie i.v.).
•Scomodità di somministrazione (non si è autosufficienti).
•Richiede personale autorizzato.
•Richiede condizioni di asetticità.
•Costo industriale elevato.
PRINCIPALI VIE DI SOMMINISTRAZIONE DEI PREPARATI PARENTERALI
Volume
usuale
(ml)
Necessità
formulative
Esempi
1-2
Sol., Sosp.,
Emuls. Isotonia
preferibile
Insulina,
Vaccini
1-5
Sol., Sosp.,
Emuls. (pref,
isotoniche)
P.A.= tutte
le classi
Endovenosa
5-10
Sol. Acquose,
Emulsioni (no
sospesnsioni)
P.A.= tutte
le classi
L.V.P.
(large volume parenterals)
≥50
Sol. Acquose,
Emulsioni
P.A.= tutte
le classi
Vie
primarie
Sottocutanea
S.V.P.
(small
volume
parenterals)
Intramuscolo
Indipendentemente dalla via di somministrazione tutti gli iniettabili devono essere:
•Sterili
•Apirogeni
Via endovenosa (E.V.)
La via endovenosa, pur permettendo dosaggi accuratissimi ed
effetti immediati, è propensa più di qualsiasi altra via di
somministrazione a generare reazioni sfavorevoli ed
imprevedibili, specie se il parenterale è di largo volume. Per
questo motivo deve essere evitata a meno che vi siano motivi
particolari per preferirla (accurato dosaggio o quando è necessaria
la somministrazione di volumi elevati di farmaco, come nelle
fleboclisi).
Per endovena non possono essere somministrate sospensioni. Le
particelle insolubili potrebbero occludere i capillari.
Via sottocutanea (S.C.)
La via sottocutanea è spesso utilizzata per la somministrazione di
farmaci e garantisce un assorbimento abbastanza uniforme.
Garantisce tempi di assorbimento elevati dovuti ad una scarsa
perfusione di questo tessuto. Il ritardo nell'assorbimento potrebbe
in alcuni casi portare ad irritazione. Viene utilizzata se si desidera
un effetto non troppo elevato e protratto nel tempo.
Via intramuscolo (I.M.)
la via parenterale più frequente è indubbiamente quella
intramuscolare. Le zone muscolari del nostro corpo
interessate sono principalmente i glutei, i deltoidi della spalla
ed i muscoli della coscia.
La velocità di assorbimento del principio attivo somministrato
per via intramuscolare può dipendere dal tipo di irrorazione
del tessuto (l'assorbimento nel deltoide è più veloce rispetto a
quello nel gluteo), dal tipo di vascolarizzazione, dalla quantità
di tessuto adiposo (tanto più tessuto adiposo è presente e tanto
più lentamente il principio attivo si distribuisce), dalle
caratteristiche del farmaco e del principio attivo, dalle
proprietà della soluzione (aquosa o oleosa) e dall'utilizzo
dell'enzima ialuronidasi. Quest'ultimo, infatti, depolimerizza il
collagene riducendone la consistenza ed aumentando l'area
totale di contatto.
Le soluzioni che vengono iniettate possono essere a pH non
fisiologico o a pH fisiologico. Se il pH della soluzione non è
fisiologico ci sarà una possibile precipitazione del principio
attivo, con conseguente ritardo nel raggiungere il sito d'azione
Vie secondarie
Esempi
Intracardiaca
Intraspinale
Intratecale
(fluido
cerebrospinale)
Analgesici, anestetici
Intraarteriale
Antineoplastici
Intradermale
Diagnostici, vaccini,
antigeni
Via di somministrazione e biodisponibilità
Le diverse via di somministrazione hanno diverse caratteristiche in termini di
biodisponibilità ed rapidità di effetto:
•La via endovenosa garantisce una biodiponibilità completa
ed immediata;
•La via sottocutanea garantisce una buona biodisponibilità
ed una azione più lenta rispetto alla somministrazione
endovena. Infatti gli attivi devono penetrare nei capillari del
sistema linfatico ed ematico della regione sottocutanea.
Tale regione presenta una buona distribuzione di questi
capillari.
L’assorbimento
fisiologici.
è
fortemente
influenzato
da
fattori
La via intramuscolo presenta l’effetto terapeutico più lento,
in relazione alla limitate perfusione sanguigna muscolare
(tale perfusione può essere aumentata tramite massaggi nel
sito d’iniezione o attività fisica).
La biodisponibilità non sempre è completa (es. insulina,
digossina, ampicillina, fenitoina...)
PREPARAZIONI INIETTABILI
Sono costituite da soluzioni, emulsioni o sospensioni sterili e apirogene.
Si preparano sciogliendo, emulsionando o sospendendo i medicamenti e gli eventuali
additivi o in acqua per preparazioni iniettabili, o in un liquido non acquoso idoneo,
o in una miscela di due liquidi miscibili tra loro.
•Le soluzioni iniettabili, esaminate in condizioni ottimali di visibilità, devono essere
limpide ed esenti da particelle.
•Le emulsioni iniettabili non debbono presentare segni di separazione delle fasi e
debbono avere aspetto uniforme dopo agitazione.
•Le sospensioni iniettabili possono presentare un sedimento, ma esso si disperde
facilmente per agitazione e la sospensione resta sufficientemente stabile per permettere un
prelievo omogeneo.
Nelle preparazioni iniettabili rientrano:
•Preparazione per endovena (volume 5-10 ml)
•Preparazioni intramuscolo
•Preparazioni per via sottocutanea
POLVERI PER PREPARAZIONI INIETTABILI
Sono sostanze solide sterili, confezionate in fiale o flaconi, che mecolate con opportuni
volumi di liquido sterile indicato (acqua sterile per preparazioni iniettabili), generano
soluzioni limpide o sospensioni uniformi.
Le polveri iniettabili sono in genere preparate per liofilizzazione.
LIOFILIZZAZIONE
La liofilizzazione è un processo tecnologico che consente l'eliminazione totale dell'acqua
da materiali solidi, i quali sono poi ridotti in polveri disidratate, che per aggiunta della
giusta quantità di acqua ri-assumono le caratteristiche che avevano i prodotti prima del
trattamento.
La liofilizzazione è una forma di essiccamento sotto vuoto, effettuata su un materiale
congelato. L’essiccamento avviene poiché il solvente (acqua) sublima passando dalla
forma di solido (ghiaccio) a quella di vapore.
Poiché il processo di liofilizzazione possa avvenire è necessario che il solvente passi
direttamente dallo stato solido a quello di vapore, senza passare per lo stato liquido.
Questi concetti possono essere meglio compresi osservando il diagramma di stato dell’acqua
detto diagramma trifasico.
A parte il punto triplo dove ghiaccio, acqua e vapore coesistono in equilibrio tra loro, si può
passare da uno stato all’altro variando la temperatura e/o la pressione.
T=punto triplo
BT = curva di coesistenza delle
fasi solido-vapore; corrisponde
ai processo di sublimazionebrinamento
•
TC = curva di coesistenza delle
fasi liquido-vapore; corrisponde
ai processi di evaporazionecondensazione
•
sublimazione
TA = curva di coesistenza delle
fasi solido-liquido; corrisponde
ai
processi
di
fusionesolidificazione.
•
Il processo avviene in 3 step:
1.
Si raffredda il prodotto ben al di
sotto della sua tempeartura di
fusione.Il prodotto congela
2.
Si abbassa la pressione al di
sotto del punto triplo.
3.
Si riscalda il tutto mantenendo la
pressione molto bassa.
Step 1
Step 2
Step 3
La liofilizzazione avviene a bassissime temperature ed in condizioni di vuoto spinto.
La liofilizzazione può definirsi come un processo di disidratazione controllata di prodotti
preventivamente congelati che consente di ottenere, oltre a farmaci in polveri liofilizzate ed
alimenti conservati, con caratteristiche molto simili a quelle dei prodotti originali, diversi
vantaggi, quali:
• lungo periodo di conservazione (superiore ai due anni) anche a temperatura ambiente, se
adeguatamente confezionato;
• protezione dagli inquinamenti da parte dei microorganismi;
• ineccepibilità igienica;
• facilità di trasporto e immagazzinaggio del prodotto;
• rapida ricostituzione del prodotto non appena il liofilizzato viene posto in presenza
dell'acqua;
• conservazione delle caratteristiche del prodotto di partenza (il patrimonio proteico, il
contenuto in vitamine, gli elementi minerali ed i lipidi, la cui conservazione serve a garantire la
buona digeribilità del prodotto).
Si può affermare che la ragione principale di successo di questa tecnologia nel settore
farmaceutico è dovuta alla possibilità di ottenere preparati stabili nel tempo con sostanze che si
degradano facilmente in soluzione. La liofilizzazione è attualmente utilizzata per la produzione
di derivati del plasma, di antibiotici e di vaccini.
Il principale limite è che rappresenta un procedimento di essiccamento complesso e costoso, a
causa della necessità di mantenere bassi i valori di temperatura e di vuoto.
Impianto di liofilizzazione
La funzione che deve svolgere un impianto di liofilizzazione è quella di consentire, nel più
breve tempo possibile, la separazione per sublimazione del solvente (in genere acqua) dalla
soluzione congelata e, per desorbimento, anche delle sostanze volatili non congelabili.
Il prodotto può essere congelato sia nella camera stessa, dove le piastre termiche vengono
messe in condizione di raffreddarsi e quindi di congelare la soluzione, sia in precongelatori.
Un impianto per liofilizzazione è costituito da due camere comunicanti: l’autoclave per il
congelamento del prodotto e l’evaporazione ed il condensatore per il congelamento dei vapori
in arrivo dall’autoclave. A valle del condensatore è sistemata la pompa che produce la
depressione necessaria per la sublimazione del ghiaccio
autoclave
Condensatore
L’autoclave è un armadio metallico di forma cilindrica o parallelepipeda, progettata per
resistere ad una differenza di pressione di 1 atmosfera. All’interno dell’autoclave è posizionata
una serie di vassoi riscaldanti o piastre termiche su cui viene appoggiato il materiale da
liofilizzare già ripartito in vari flaconi. L’autoclave deve assicurare la tenuta di pressione tra
interno ed esterno, la facile agibilità per il carico e lo scarico del materiale ed infine la
possibilità di pulizia dell’impianto stesso.
Collegato all’autoclave da un breve condotto vi è il condensatore. Esso ha la funzione di
intrappolare su superfici fredde i vapori provenienti dall’autoclave. E’ generalmente di forma
cilindrica, lavora anch’esso in depressione ed è così costituito da un involucro metallico a
tenuta. Le superfici condensanti sono costituite dalla superficie esterna di tubi o da piastre
stampate e successivamente saldate in modo da formare serpentine entro cui scorre il fluido di
raffreddamento e/o riscaldamento.
Un ciclo di liofilizzazione può essere rappresentato riportando il valore di temperatura della
massa da liofilizzare in funzione del tempo.
Nella zona A è rappresentata la fase di congelamento dove il prodotto è portato alla
temperatura a cui la massa è completamente congelata.
Nella zona B si abbassa la pressione e quindi la massa congelata sublima assorbendo calore
(calore latente di sublimazione), fornito dalle piastre della camera di liofilizzazione che portano
ad una temperatura costante che nel grafico è individuata dalla zona di plateau. La temperatura
deve essere inferiore a quella a cui la massa congelata comincia a fondere. Questa fase finisce
quando la massa congelata è completamente sublimata. Si osserva, quindi, un aumento di
temperatura in quanto il calore fornito non è più compensato dal calore di sublimazione.
La fase C è la fase dell’essiccamento
secondario dove l’acqua adsorbita è
eliminata grazie alla forte depressione.
L'essiccamento secondario è, quindi,
detto anche desorbimento perché si
riferisce all'eliminazione del solvente
adsorbito
tramite
un
ulteriore
innalzamento
di
temperatura.
L'essiccamento secondario serve a ridurre
l'umidità dal 7 all'1% circa del peso secco
e ad aumentare la conservabilità del
prodotto essiccato.
Tre sono i fattori determinanti di un ciclo di liofilizzazione:
• il freddo: interviene nella fase di congelamento per portare la soluzione a valori di
temperatura inferiori a quelli del punto eutettico. Agisce anche nella fase di essiccamento per
trattenere sulle superfici refrigerate del condensatore i vapori che si sviluppano durante la
sublimazione;
• il calore: viene impiegato nella fase di essiccamento e deve corrispondere al calore latente
di sublimazione, cioè alla quantità di calore necessaria per sublimare l’unità di massa a
temperatura costante e pressione stabilita;
• il vuoto: riguarda le fasi di sublimazione e desorbimento. Assicura un’apprezzabile velocità
di sublimazione della massa congelata.
LIQUIDI PERFUSIONALI
Sono soluzioni o emulsioni acquose, sterili e apirogene, rese per quanto possibile
isotoniche con il sangue introdotte in volume notevole per via:
•Sottocutanea (ipodermiclisi)
•Endovenosa (fleboclisi)
I liquidi perfusionali sono utilizzati principalmente per:
•favorire l'eliminazione di sostanze tossiche (dialisi),
•per ripristinare la massa sanguigna circolante (almeno per la frazione liquida) in caso di
emorragie
•per compensare la perdita di acqua in caso di disidratazione e infine
•per veicolare principi nutritivi (nutrizione parenterale)
•farmaci.
Il liquidi perfusionali non devono contenere sostanze antimicrobiche, solubilizzanti,
stabilizzanti e non devono essere tamponati, salvo specificatae,mte menzioanto nelle
rispettive monografie.
Nelle emulsioni il diametro delle goccioline disperse non deve superare i 5 micron mentre
le soluzioni devono essere limpide e prive di particelle.
Il liquidi perfusionali non devono contenere sostanze antimicrobiche, solubilizzanti,
stabilizzanti e non devono essere tamponati, salvo specificatamente menzionato nelle
rispettive monografie.
Nelle soluzione glucidiche (glucosio e fruttosio) ed in quelle contenenti aminoacidi, è
consentita l’aggiunta di un antiossidante, il sodio bisolfito o metabisolfito, nella quantità
minima indispensabile e mai in concentrazione superiore ad 1 g/l.
Nelle emulsioni il diametro delle goccioline disperse non deve superare i 5 micron mentre
le soluzioni devono essere limpide e prive di particelle.
FORMULAZIONE DELLE PREPARAZIONI INIETTABILI
Le formulazioni iniettabili sono costituite da:
•Attivo;
•Veicolo (solvente/solventi);
•Additivi vari (se necessario e consentito).
VEICOLO
I veicoli costituiscono il solvente in cui l’attivo verrà disciolto, ricostituito, sospeso o
emulsionato. I veicoli costituiscono la maggior parte della formulazione e devono rispondere
a specifici requisiti:
•Non tossico, ne irritante o sensibilizzante;
•Sterilità
•Apirogenicità
•Compatibilità con il siero e con il sangue;
•Stabilità chimica e fisica;
•Inalterabile con le variazioni di pH.
L’acqua è il solvente ideale (quando il principio attivo può essere solubilizzato). Secondo la
FU l’acqua deve possedere i requisiti previsti nella monografia “Acqua per preparazioni
iniettabili” e deve essere ottenuta distillando acqua potabile o depurata.
Affinché l’acqua si mantenga apirogena va conservata in recipienti previamente lavati con
la stessa acqua, riempiti quasi totalmente, chiusi in modo da evitare qualsiasi
contaminazione batterica e tenuti a temperatura tale da non favorire lo sviluppo di
microrganismi.
Quando il volume da iniettare non supera i 10 ml, l'acqua può essere addizionata di liquidi
polari miscibili come il glicerolo, il glicole propilenico, l'etanolo, l'alcool benzilico. In
qualche caso l'aggiunta di cosolventi è consigliata dalla instabilità del soluto in un veicolo
esclusivamente acquoso, o per aumentare il potere solvente dell’acqua.
Si ricorre a veicoli non acquosi quando il farmaco non è solubile in acqua, o si idrolizza o si
vuole ottenere un’azione prolungata nel tempo.
Olii vegetali e semisintetici (arachidi,
mandorle, oliva, sesamo, oleato d’etile) si
utilizzano per farmaci liposolubili (non per
endovena). In questi casi gli oli devono alle
caratteristiche previste dalla FU “oli per
preparazioni iniettabili”.
Gli oli sono utilizzati sia per preparare
soluzioni oleose che emulsioni.
ADDITIVI
Gli additivi vengono aggiunti per conferire agli iniettabili:
•Buona stabilità chimica;
•Buona tollerabilità;
•Sterilità;
•Facilità di somministrazione.
Le Classi più diffuse sono:
•Stabilizzanti (Antiossidanti, sinergisti di antiossidanti, chelanti, tamponi);
•Solubilizzanti (Tensioattivi o materiali polimerici come il PVP);
•Conservanti antibatterici;
•Isotonizzanti;
•Anestetici locali (lidocaiona, per ridurre il dolore in caso di formulazioni acide o ipertoniche;
•Supporti di liofilizzazione;
Alcune considerazioni sugli additivi:
•Conservanti
Sono ammessi solamente nei preparati multidose, in concentrazioni tali da prevenire lo
sviluppo di microbi eventualmente introdotti al primo utilizzo. Non vanno utilizzati nei
preparati monodose ne negli iniettabili di grande volume a singola dose.
Si utilizza:
•Cloruro di benzalconio/benzetonio (0.01%)
•Fenolo o cresolo (0.5%)
•Paba (metile p-idrossi benzoato 0.18%+propile p-idrossi benzoato 0.02%)
•Alcool benzilico (0.2%)
In alcuni casi è stato osservato interazione tra i conservanti ed altri componenti (es. paba e
polisorbato 80).
•Tamponi
Servono a stabilizzare il pH di una soluzione quando l’attivo presenta un profilo di stabilità
pH-dipendente. Non devono alterare le capacità tamponanti del sangue.
Si utilizzano citrati, acetati e fosfati.
•Antiossidanti
Sono ammessi se necessari per prevenire l’ossidazione dall’attivo.
Si utilizza solitamente il sodio bisolfito allo 0.1% e, molto più raramente, anche sodio
formaldeide solfossilato e tiourea.
L’attività degli antiossidanti è spesso audiuvata dal sale sodico dell’ acido etilendiammino
tetracetico. Questa sostanza è un chelante che sottrae gli ioni metallici che potrebbero
catalizzare alcune reazioni ossidative.
Per limitare il problema delle reazioni ossidative molti parenterali sono sigillati in atmosfera
d’azoto.
•Isotonizzanti
Servono a rendere le soluzioni parenterali isotoniche con i liquidi fisiologici (anche se non
sempre è necessario)
Si utilizzano elettroliti e mono e disaccaridi.
Forme farmaceutiche
Pronte
SOLUZIONI
(acquose, oleose, in solvente organico)
Polveri
Estemporanee
Liofilizzati
SOSPENSIONI
(acquose, oleose, in solvente organico)
Pronte
Acquose
Oleose
EMULSIONI
(A/O O/A)
Pronte
Estemporanee
Pronte
Sospensioni parenterali
Nelle sospensioni parenterali l’attivo è sospeso in un opportuno veicolo.
Le ragioni sono:
•Scarsa solubilità in acqua o olio.
•Si cerca di prolungare il rilascio del farmaco
No somministrazione endovena.
Emulsioni parenterali
Anche in questo caso valgono le stesse considerazioni fatte per le sospensioni, ossia le
ragioni formulative sono:
•Scarsa solubilità in acqua;
•Si cerca di prolungare il rilascio del farmaco;
•Nutrizione parenterale (si somministrano grassi per endovena)
Nel caso delle emulsioni, quelle:
O/A possono essere utilizzate per tutte le vie,
A/O solo per intramuscolo o sottocute.
Le emulsioni per endovena dovrebbero avere una fase interna con goccioline con diametro
non superiore ai 2 mm, ossia la taglia dei chilomicromi, le goccioline di grasso presenti nel
sangue.
Sistemi a rilascio prolungato
Il prolungamento dell’azione terapeutica di una formulazione parenterale può essere ottenuta
mediante:
•Selezione della via di somministrazione
La velocità di assorbimento dell’attivo è endovena>sottocute>intramuscolo
•Selezione della forma farmaceutica
Sospensioni oleose
Sospensioni acquose
Soluzioni oleose
Emulsioni A/O
Emulsioni O/A
Soluzioni acquose
Aumento dell’effetto
ritardo
Sistemi più sofisticati prevedono l’uso di:
Gel tissotropici
Per agitazione il gel diviene liquido, viene iniettato per poi
ridivenire solido nel muscolo dopo un certo tempo (es. veicolo
oleaosi in stearato di alluminio)
Thermogel
Sistemi liquidi a bassa temperatura e gel a temperatura corporea
(es. polossameri)
Nonovettori
Sistemi dispersi in cui la fase interna a taglia inferiore agli
0.5nm, come ad esempio i liposomi, le micelle, microemulsioni
o nanoparticelle polimeriche.
•Scelta di opportuni strategie “farmacologiche”
Aggiungendo vasocostrittori si riduce l’afflusso di sangue al sito di iniezione rallentando
l’entrata in circolo dell’ attivo (metodo usato soprattutto per gli anestetici locali
•Scelta di opportuni strategie “farmacologiche”
Utilizzo di complessi, sali o profarmaci meno solubili.
REQUISITI DELLE PREPARAZIONI INIETTABILI
I parenterali devono possedere specifici requisiti che ne garantiscono la qualità, la
sicurezza, la tollerabilità. Alcuni di questi requisiti devono essere posseduti da tutti i
parenterali, mentre altri sono in relazione con la via di somministrazione ed il volume
dell’iniettabile.
•pH
•Purezza
•Isotonia
•Limpidità ed assenza di contaminazione particellare
•Assenza di pirogeni
•Sterilità
•Buona tollerabilità locale
pH
Il pH del sangue e dei fluidi interstiziali è circa 7,2-7,4. A tali valori di pH, un iniettabile avrà la
tollerabilità massima.
Non è sempre possibile rispettare questa condizione. Molti farmaci sono costituiti da sali di un
acido debole con una base forte o sali di base debole con un acido forte e quindi impartiscono
alla soluzione una reazione acida o basica. La regolazione del pH con valori vicino a 7
porterebbe ad una insolubilizzazione legata alla formazione di una base libera o di acido libero
(indissociato), che sono in genere molto poco solubili in acqua.
Per molti farmaci, alla scelta del pH, concorre il profilo pH stabilità: esistono cioè valori di pH
per i quali si ha la massima stabilità del p.a. in soluzione acquosa.
Comunque per una migliore tollerabilità è buona norma preparare soluzioni iniettabili con pH
tra 6-8.
La tollerabilità dipende anche dalla via di somministrazione:
•Per iniezioni i.m o s.c. valori < 6 o > 8 possono comportare dolorosità e irritazione dei tessuti.
Possono comunque risultare ben tollerate soluzioni con pH lontani da quello fisiologico purchè
non esplicano potere tampone. Infatti, specie se il volume iniettato è basso, i tamponi dei tessuti
riusciranno facilmente e rapidamente a riaggiustare il pH nel sito di iniezione ai valori
fisiologici.
•Per iniezioni i.v. il margine di tollerabilità è assai ampio perché man mano che la soluzione
viene iniettata, essa viene continuamente diluita dal sangue circolante, il cui potere tampone
tende a neutralizzarla.
Isotonia
Il termine isotonia indica che una soluzione ha la stessa pressione osmotica, e quindi le
stesse proprietà colligative, del plasma e degli eritrociti.
Il termine isotonico non va confuso con isoosmotico. Isotonia indica una soluzione che ha la
stessa concentrazione di specie chimiche pari al plasma, mentre il termine isoosmotico
indica due soluzioni concentrazione di specie chimiche. Così se due soluzioni sono
isotoniche allora saranno anche isoosmotiche, mentre due generiche soluzioni isoosmotiche
non è detto che siano anche isotoniche.
In questi casi la concentrazione si esprime in osmoli ed osmolarità. L'osmolarità esprime la
concentrazione di una soluzione come numero totale di molecole e ioni presenti in un litro di
soluzione. In questi casi occorre considerare il grado di dissociazione che il soluto presenta.
Ad esempio, una mole di glucosio in soluzione acquosa corrisponde ad una osmole (il
glucosio non subisce in acqua alcuna dissociazione), mentre una mole di cloruro di sodio
corrisponde a due osmoli, (il cloruro di sodio subisce dissociazione liberando uno ione
cloruro e uno ione sodio).
Gli eritrociti ed il plasma hanno una osmolarità pari a circa 290 mOsm/L. La classica
soluzione fisiologica è una soluzione isotonica di NaCl al 9% P/V (9gr/l) con osmolarità pari
a 300 mOsm/l (150 mM).
La concentrazione di specie chimiche nei parenterali può alterare la distribuzione dei liquidi
nell’organismo (in realtà solo per parenterali di largo volume). La membrana cellulare si
comporta come una membrana semipermeabile e si osserverà, quindi, una diffusione di acqua
attraverso la membrana per equilibrare la differenza di pressione osmotica.
Si possono avere tre casi:
• La soluzione ha la stessa pressione osmotica del citoplasma
Gli eritrociti mantengono inalterato il loro volume ed il loro “tono”.
• La soluzione ha una osmolarità inferiore a quella citoplasmatica (soluzioni ipotoniche)
Si avrà diffusione di acqua all’interno del citoplasma e gli eritrociti aumenteranno di
volume fino a ristabilire l’equilibrio osmotico. Se si supera la resistenza della membrana
possono anche scoppiare riversando il contenuto citoplasmatico all’esterno (emolisi).
•La soluzione ha una osmolarità superiore a quella citoplasmatica (Soluzioni
ipertoniche)
l’acqua fuoriesce dall’eritrocita, il loro volume diminuisce. Questo fenomeno viene detto
plasmolisi
Per evitare ai tessuti danni dovuti a fenomeni osmotici, gli iniettabili devono rispettare
opportune condizioni di concentrazione, i cui limiti dipendono dal tipo di somministrazione:
•Per somministrazione di piccoli volumi, specie per somministrazione lenta non si hanno
problemi rilevanti anche se non si è in condizioni isotoniche. Con soluzioni ipertoniche si
può avere irritazione vasale.
•Nei L.V.P. è sempre necessario rispettare l’isotonia, tranne nei casi in cui è
espressamente specificato. Infatti possono essere utilizzate:
•Soluzione Ipertoniche nel decorso post-operatorio per ridurre il rischio
di edema, stabilizzare la pressione e regolarizzare la diuresi.
•Nelle soluzioni intratecali va rispettata rigorosamente.
Le concentrazioni isotoniche dipendono anche
dalla diffusibilità delle sostanze (le membrane
biologiche non sono membrane semipermeabili
ideali). Infatti, se una sostanza diffonde
attraverso la membrana cellulare, si ottiene una
variazione dell’osmolarità.
Per la preparazione di soluzioni isotoniche in presenza di più sostanze si utilizza il metodo
equivalente del cloruro di sodio.
Si definisce “equivalente in cloruro di sodio” E il peso in g di NaCl che ha lo stesso effetto
osmotico di 1g della sostanza considerata.
Esempio: Morfina cloridato E=0.15
1g di morfina cloridrato in soluzione esercita una pressione osmotica equivalente a quella
esercitata da 0.15 g di NaCl.
Per rendere isotonica una soluzione di morfina cloridrato 2% (2 gr in 100 totali), dovrò quindi
aggiungere NaCl pari a 0.9-0.3=0.6g
I VALORI DI “equivalente in cloruro di sodio” sono tabulati.
Se i valori di E per un dato farmaco non sono disponibili, si può utilizzare il metodo
dell'abbassamento crioscopico. In questo caso sapendo che NaCl 0.9% da un abbassamento
criscopico di 0.52°C, si determina l’abbassamento criscopico dell’attivo e si determina
qunado NaCl è necessario per ottenere una valore totale pari a 0.52°C.
Se l’attivo ha un abbassamento crioscopico pari a 0.01°C, si dovrà aggiungere NaCl per
ottenere un abbassamento crisoscopico pari a 0.51 (0.52-0.01):
0.9:0.52=X:0.051→0.88%
Limpidità ed assenza di contaminazione particellare
La contaminazione particellare delle preparazioni iniettabili e delle infusioni endovenose e'
costituita da particelle estranee, non disciolte e mobili, diverse dalle bolle di gas,
involontariamente presenti nelle soluzioni.
Per la determinazione della contaminazione particellare vengono qui di seguito specificati
due metodi, il Metodo 1 (Saggio della conta particellare per intercettazione di un raggio
luminoso) e il Metodo 2 (Saggiodella conta particellare al microscopio).
Quando si esaminano preparazioni iniettabili ed infusioni endovenose per la ricerca di
particelle non visibili e' preferibile applicare il Metodo 1. Quando il Metodo 1 non e'
applicabile(emulsioni, preparazioni colloidali e liposomiali, preparazioni che hanno
trasparenza ridotta o viscosita‘ elevata), il saggio si effettua con il Metodo 2.
Per preparazioni per uso umano, le soluzioni per infusione o i preparati iniettabili
soddisfano non devono presentare contaminazione particellare visibile.
Nel caso di preparazioni per iniezione sottocutanea o intramuscolare, possono essere
appropriati limiti piu‘ alti.
Pirogeni
Per pirogeno si intende un agente di natura chimica o biologica che, introdotto
nell'organismo, provoca l'innalzamento della temperatura corporea.
I pirogeni endogeni (prodotti dal corpo umano) sono connessi con i meccanismi di
regolazione della temperatura corporea. I pirogeni esogeni (esterni ad esso) stimolano la
risposta pirogenica di quelli endogeni.
Chimicamente sono dei lipopolisaccaridi (endotossine) di origine batterica, largamente
diffusi in natura e generati da fonti microbiche e non microbiche, prodotti prevalentemente
dal metabolismo cellulare dei microrganismi o del disfacimento dei microrganismi morti. I
pirogeni presentano caratteristiche specifiche:
•Hanno P.M. elevato (circa 60000).
•Sono attivi in quantità piccolissime (< 1 mg).
•Sono solubili in acqua.
•Passano attraverso i filtri sterilizzanti.
•Resistono a temperature molto più elevate di quelle usate nei processi di sterilizzazione.
Perdono la loro specificità se riscaldati a 200°-250°C.
•Non sono inattivati dai battericidi.
•Non sono volatili.
Dopo 1 ora dall’iniezione producono un notevole rialzo termico, brividi, dolore, stato di
malessere, vasocostrizione cutanea, aumento pressorio.
La presenza di pirogeni in un iniettabile diventa un fattore molto serio quando il volume
dell’iniettabile è notevole per tre motivi:
•Iniettabili di grande volume contengono quantità corrispondentemente elevate di
pirogeni;
•Iniettabili di grande volume vengono di solito somministrati per endovena e, di
conseguenza, i pirogeni hanno più rapido effetto;
•I pazienti soggetti a trattamenti con liquidi perfusionali sono spesso in gravi condizioni ed
un rialzo termico può essere pericoloso.
In un iniettabile la presenza di pirogeni deriva da:
•Uso di acqua distillata non apirogena;
•Apparecchiature ed accessori non sterili;
•Processi produttivi particolarmente lenti;
•Soluto inquinato
Per la determinazione dei pirogeni la farmacopea prevede due saggi:
•iniezione nella vena marginale dell’orecchio del coniglio
Il saggio consiste nel misurare l’aumento della temperatura corporea causato nel coniglio
dall’iniezione endovenosa di una soluzione sterile della sostanza da esaminare.
• Saggio per la ricerca delle endotossine batteriche
Il saggio per le endotossine e' usato per rivelare o quantificare, mediante un lisato di
amebociti di limulo (Limulus polyphemus o Tachypleus tridentatus), le endotossine che
derivano dai batteri gram-negativi. Le endotossine prodotte da batteri gram-negativi sono la
causa piu' comune delle reazioni tossiche attribuite alla contaminazione dei prodotti
farmaceutici con pirogeni; la loro attivita' pirogena e' piu' alta di quella di molte altre sostanze
pirogene.
I pirogeni possono essere eliminati tramite depirogenazione, ottenibile con:
•Assorbimento con carbone attivo;
•Membrane microporose in nylon, caricate positivamente in superficie.
Tuttavia, la migliore garanzia per l’esclusione dei pirogeni da un preparato iniettabile è
escludere ogni possibile inquinamento durante il suo allestimento.
Sterilità
Per sterilità si intende l’assenza assoluta di microrganismi viventi, anche allo stato di
quiescenza.
Per sterilizzazione si intende il processo che porta ad ottenere la sterilità.
Il concetto di sterile è puramente teorico.
Infatti, il controllo di sterilità previsto dalla F.U. si basa su criteri statistici e non assoluti.
Manca infatti la dimostrazione pratica di aver raggiunto la certezza dell’assenza totale di
microrganismi contaminanti su tutte le unità di un lotto. Il controllo della sterilità è un
saggio distruttivo fatto su un determinato numero di campioni, scelti con criteri statistici.
L’assenza di microrganismi nel campione non garantisce l’assenza di essi negli altri campioni
non testati, ma indica solo che vi è una elevata probabilità cha anche il resto del lotto sia
sterile.
Il saggio di sterilità previsto dalla farmacopea (2.6.1) può essere effettuato usando la tecnica
della filtrazione su membrana o mediante l’inoculazione diretta dei terreni di coltura
con il prodotto da esaminare.
CONFEZIONAMENTO PER PREPARAZIONI INIETTABILI
Per le preparazioni iniettabili sono molto importanti le caratteristiche del confezionamento,
poiché devono garantire il mantenimento dei requisiti della formulazione.
Nel caso degli iniettabili (cos’ come per la maggior parte della forme farmaceutiche), si
distinguono due tipi di confezionamento:
Confezionamento primario
È un oggetto che contiene o che è destinato a contenere un prodotto con il quale è, o può
essere, a contatto diretto. La chiusura fa parte del contenitore.
Confezionamento secondario
Serve per proteggere, identificare e fornire informazioni. Consente di raggruppare i
contenitori primari unitamente al foglietto illustrativo e a eventuali oggetti sussidiari.
I contenitori del confezionamento primario devono:
•Permette che il contenuto possa essere prelevato in modo appropriato all’uso
previstodella preparazione;
•Garantire una certa protezione del prodotto contenuto in relazione ai contaminanti e, più
in generale, a stimoli esterni (luce, ossigeno, ecc.);
•Non interagisce fisicamente o chimicamente con il contenuto in modo da alterare le qualità
oltre i limiti tollerati dalle prescrizioni ufficiali.
Per ottenere queste caratteristiche i materiali adottati per la realizzazione dei contenitore per
iniettabili devono possedere i seguenti requisiti:
•Devono essere inerti (senza generare fenomeni di adsorbimento, assorbimento, permeabilità
cessione)
•Devono essere trasparenti (per permettere l’ispezione visiva del contenuto).
•Devono possedere una basso coefficiente di espansione termica (per sopportare le
variazioni di temperatura e pressione dei metodi di sterilizzazione).
•Devono proteggere l’integrità e la sterilità del contenuto.
I materiali utilizzati per il confezionamento degli iniettabili sono:
Vetro;
Materiali polimerici.
VETRO
Il vetro è un composto ottenuto per solidificazione dell’ossido di silicio. Il vetro comune è
costituito quasi esclusivamente da SiO2, (vetri silicei), a quali tuttavia possono essere
aggiunte altre sostanze per modificarne le caratteristiche. Per il confezionamento dei prodotti
farmaceutici sono disponibili diversi tipi di vetro:
Vetro di tipo I (boro-silicato, o “neutro)
Gli ossidi di boro e alluminio sono incorporati nel reticolo per aumentare la resistenza allo
shock termico e meccanico.
Vetro di tipo II
Vetro sodico-calcico trattato superficialmente in modo che la superficie a contatto risulti
“neutra”. Resistenza idrolitica aumentata, in presenza di soluzioni acide o neutre.
Vetro di tipo III (sodico-calcico)
Vetro sodico-calcico con una resistenza idrolitica media.
Vetro di tipo IV (sodico-calcico)
Vetro sodico-calcico con una bassa resistenza idrolitica.
Il vetro presenta numerosi vantaggi:
•Relativamente inerte
•Ottimo effetto barriera
•Sterilizzabile e depirogenabile
Dall’altra parte, i principali limiti sono il peso e la sua fragilità.
MATERIALI POLIMERICI
Sono materiali sviluppati successivamente per superare i problemi tipici dei vetri.
In generale, in principali vantaggi sono:
•Non risultano particolarmente fragili;
•Presentano elasticità e flessibilità;
•Sono caratterizzati da bassa densità e conseguentemente peso.
Anche i materiali polimerici non sono esenti da limitazioni. In particolare:
•Possono presentare una certa permeabilità al vapore e/o altre molecole in entrambe le
direzioni attaverso le pareti del contenitore;
•Possono rilasciare alcuni costituenti (plasticizzanti, antiossidanti) nella soluzione contenuta;
•Possono generare un certo adsorbimento e/o assorbimento di molecole sul materiale plastico;
•Richiedono un idoneo metodo di sterilizzazione;
•Non sempre garantiscono una trasparenza ottimale.
DEVICES PER LA SOMMINITRAZIONE DI
PREPARAZIONI INIETTABILI
Nello sviluppo e progettazione dei devices per la somministrazione dei parenterali
bisogna considerare molteplici aspetti:
Efficacia;
Sicurezza;
basso costo
semplice nell’utilizzo;
minimamente invasivo;
pronto all’uso;
preferibilmente indolore;
Discreto;
portatile e riutilizzabile.
Nella maggior parte dei casi i parenterali si somministrano tramite:
•Siringhe classiche
•Deflussore
•Siringhe pre-riempite
Rispetto alle classiche siringhe garantiscono:
•ridotto spreco
•aumentata “compliance” dell’utilizzatore finale
•evitato rischio di errore di dosaggio
•abbattimento dei tempi
•sicurezza di sterilita’
•Penne insuliniche
Sono particolari dispositivi farmaceutici dalle sembianze di un pennarello, per l'iniezione
sottocutanea dell'insulina. Hanno quasi totalmente sostituito - perlomeno nei diabetici di tipo
1 - l'utilizzo delle comuni siringhe.
Le penne sono costituite da un ago corto (6mm o 5 mm), una cartuccia di insulina sostituibile,
un quadrante su cui selezionare la quantità da iniettare (con scelta delle unità o in alcuni
versioni anche delle mezze unità). Esistono inoltre penne usa e getta dove la cartuccia di
insulina non è sostituibile.
•Siringhe senza ago
In ogni caso l’uso di aghi comporta il “bucare” il corpo del paziente con possibili
controindicazioni:
•dolore
•ematoma
•tessuto cicatriziale
•infezione o ascesso
•HIV o epatite
Per queste ragioni sono state sviluppati una serie di devices per la somministarzione
parenterale che non prevedono l’uso di aghi.
Dispositivo Penjet
Funzionamento simile alle pistole ad aria
compressa (Gas inerte, azoto). La pressione
vaporizza il farmaco attraverso l’epidermide
fino a raggiungere lo strato sottocutaneo.
Utilizzate principalmente in chirurgia estetica.
Dispositivo InJex
Sistema ipodermico con carica a
molla.
La pressione generata dalla molla è
sufficiente a far penetrare il farmaco
ad una profondità simile a quella di
un comune ago.
Dispositivo PowerJect
Il farmaco deve
essere formulato in
particelle di polvere essiccate. Il sistema di
rilascio è alimentato da un microcilindro di
gas appositamente progettato ed utilizza un
piccolo contenitore per introdurre il farmaco
polverizzato nel flusso gassoso. Il gas
compresso liberato rompe il contenitore del
farmaco e istantaneamente rilascia il
farmaco nel tessuto. Dopo l'uso, il
dispositivo viene gettato.
•Pompe insuliniche
Il microinfusore è uno strumento dotato di un computer programmabile, un motore di
precisione, un pistone e un serbatoio (costituito da una siringa o una cartuccia) che contiene
insulina. Con movimenti impercettibili diretti dal computer, il motore fa avanzare il pistone
che spinge lo stantuffo della siringa/cartuccia, facendo così fluire l’insulina contenuta nella
cartuccia verso un tubicino flessibile, il catetere.
Quest’ultimo termina con un’agocannula inserita nel tessuto sottocutaneo, solitamente
dell’addome o, più di rado, dei glutei (parte superiore). Seguendo le impostazioni ricevute, il
microinfusore infonde nell’organismo quantità di insulina, anche minime, centinaia di volte
al giorno (diverse volte all’ora, una ogni 3 minuti nei modelli più recenti).
•Sistemi di microiniezione
Sono sistemi (sperimentali) basati sul processo di perforazione meccanica dello strato corneo
per generare una via d’ingresso, tramite l’azione di microaghi.