Enzo Morrico LA NUOVA DISCIPLINA DEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO1 Sommario: 1. Cenni storici; 2. Ragioni giustificatrici la modifica dei contratti a tempo determinato; 3. Conformità con la direttiva della Comunità Economica Europea; 4. Percentuale; 5. Disciplina prevista dall’art. 2 D.lgs 368/2001; 6. Proroghe; 7. Regime sanzionatorio; 8. Disciplina transitoria; 9. Conclusioni Con la pubblicazione del D.L. 20.3.2014 n. 34, convertito con modificazioni in L. 16.5.2014 n. 78, si è avuta una radicale modificazione della disciplina dei contratti a tempo determinato. Come vedremo quando verrà trattato più da vicino la nuova normativa che, è bene immediatamente evidenziare, ha in parte (nella parte sostanziale) modificato —con la tecnica della novellazione- la disciplina previgente contenuta nel D.lgs 6.9.2001 n. 368 che per il resto rimane immutata, il contratto a tempo determinato ha -nel tempo- subito varie modifiche di cui quella richiamata sicuramente è l'ultima, ma altrettanto sicuramente non sarà quella definitiva. 1. CENNI STORICI Volendo fare un breve "escursus" tra le varie formulazioni intervenute nell'ambito del contratto a tempo determinato, occorre rilevare che la prima stesura è quella contenuta nella L. 18 aprile 1962 n. 230. Da rilevare immediatamente che tale legge venne pubblicata in pieno "boom economico" dell'Italia in un momento in cui vi era un maggiore sfruttamento della manodopera. Si pensi a tutte le leggi di quel periodo (v. L. 1369/1960 in materia di intermediazione ed interposizione di manodopera) che erano volte a tutelare il contraente debole del rapporto dì lavoro con la tecnica di emanare norme inderogabili generatrici di diritti indisponibili. Già da quella prima formulazione il legislatore dell'epoca aveva previsto che "il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato salvo le eccezioni appresso indicate": e seguivano le cinque fattispecie 2 (portate successivamente a sette), legittimanti il ricorso a tale previsione. 1 Il presente scritto rappresenta la rielaborazione di quanto relazionato al Convegno di AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani) tenutosi in data 19 e 20 settembre 2014 a Genova, con l’aggiunta delle note. 2 1. Quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima; 2. Quando l’assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreche nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione; 3. Quando l’assunzione abbia luogo per l’esecuzione di un‘opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale; 4. Per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell’ambito dell’azienda; 5. Nelle scritture del personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli ) che nel tempo venivano portate a sette (a. L. 25.3.86 n. 84 “Assunzione di personale a termine nelle aziende di trasporto 1 Sicuramente la scelta del legislatore fu apparentemente anomala poiché all'epoca, e sino almeno alla metà dell’anno 1966, si poteva pensare che il lavoratore che avesse avuto un contratto a tempo determinato fosse più tutelato —almeno se la durata fosse stata sufficientemente lunga- di un altro che viceversa aveva un contratto a tempo indeterminato. Infatti solo con la L. 15.7.1966 n. 604 vennero introdotti dei limiti al potere di recesso da parte del datore di lavoro, mentre prima era nel pieno diritto di quest'ultimo di poter recedere senza necessità di alcuna motivazione o causa. Dal che parte della dottrina dell'epoca3 ritenne più cautelato il lavoratore che, in forza di un contratto di durata, poteva avere una maggiore stabilità del posto di lavoro poiché nei suoi confronti il recesso avrebbe potuto avvenire solo per giusta causa ex art. 2119 c.c. (mentre per un lavoratore con contratto a tempo indeterminato il recesso sarebbe potuto avvenire "ad nutum" (cioè con un gesto) ex art. 2118 c.c.4 A ben vedere coloro che avevano avuto un contratto a termine non erano poi affatto così tutelati come si pensava poiché, non esistendo all'epoca alcuna norma che prevedesse il divieto di discriminazione5, coloro che avevano avuto un contratto a termine in realtà avevano delle provvidenze notevolmente inferiori rispetto a quelli nei confronti dei quali era stato stipulato un contratto a tempo indeterminato (si pensi che non avevano le ferie, gli scatti di anzianità, l'indennità di anzianità ecc). Certo comunque che, indipendentemente dalle maggiori o minori tutele previste per coloro che avevano stipulato un contratto a tempo determinato, per i primi otto anni (o comunque per i primi quattro) dall'introduzione della legge istitutiva il contratto a termine, vi era un contenzioso particolarmente contenuto e di altra natura rispetto a quello che da li a poco avrebbe occupato le aule giudiziarie, non avendo il lavoratore alcun interesse (sino a quel momento) per farsi riconoscere un contratto a tempo indeterminato. Interesse che prepotentemente si è manifestato una volta che il legislatore si è determinato ad istituire tutto un regime limitativo dei licenziamenti dapprima con la ricordata legge n. 604/66 e successivamente con l'art. 18 l. 20.5.1970 n. 300. Naturalmente da quel momento sino ai giorni nostri, con un crescendo esponenziale, è proliferato un contenzioso incredibile che -forse- potrà trovare una battuta di arresto solo proprio con l'ultima versione di cui mi intratterrò in prosieguo. aereo ed esercenti i servizi aeroportuali”.; b. L.23.5.1977 n.266 “assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi” 3 Corrado: La stabilità convenzionale del posto di lavoro in Mass. Giur. Lav. 1962, 82; Petraccone: Contratti di lavoro a termine e clausole di durata minima nei contratti di lavoro a tempo indeterminato in relazione alla legge 18 aprile 1962 n. 230, in Mass. Giur. Lav. 1964, 123; Prosperetti: il rapporto di lavoro con durata minima garantita in Notiz. Giur. Lav. 1965,95 4 All’epoca inoltre si ricorreva ad un contratto a tempo indeterminato con clausola di durata minima, creando delle notevoli confusioni con il contratto a tempo determinato, risolte dalla giurisprudenza in molteplici sentenze v. Cass. 9 febbraio 1965 n. 193 in Mass del Lav. 1965, 275; Cass. 27 ottobre 1966 n. 2644 in Giuris. It. 1967, I, 1272, Miglioranzi: L’apposizione di vincoli di durata al contratto di lavoro in Dir. Lav. 1964, I, 259. 5 Voluta e disciplinata dalla clausola 4 della Direttiva della Comunità Economico Europea 1999/70/CE che ha attuato l’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso in data 18 marzo 1999 fra le Organizzazioni Intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE), recepita dal D.lgs. 368/2001 all’art. 6. 2 Contenzioso, sotto la vigenza della L. 230/62, che veniva alimentato dalla estrema rigidità delle ipotesi previste e che legittimavano il ricorso al contratto a termine. (Si pensi a tutta quella giurisprudenza che ha ritenuto illegittimo il ricorso al contratto a termine per sostituire lavoratori assenti per ferie ovvero nel periodo Natalizio per la preparazione dei panettoni sul presupposto che tali ipotesi non erano previste in quella contemplata dall'art. 1 lett. c) poiché sia il Natale che le ferie non potevano considerarsi una ipotesi "straordinaria" e tantomeno "occasionale" essendo la prima festività ricorrente ogni anno ed altrettanto le ferie che -giusta previsione contenuta nell'art. 36 Cost. e 2109 c.c.- dovevano essere programmate e godute ogni anno6. Solo con l'introduzione di quanto previsto dall'art. 23 della legge del 28 febbraio 1987, n. 53 si è avuto un momento di attenuazione del contenzioso poiché si riuscì (v. proprio la ipotesi per ferie) a prevedere, in aggiunta alle tassative ipotesi contenute nella L. 230/62, anche altre "situazioni" con la mediazione delle OO.SS. Contemporaneamente in quegli anni si è affacciato nel firmamento dei contratti a tempo determinato il c.d. contratto "acausale", che pertanto non è affatto una ipotesi, come vedremo, disciplinata per la prima volta dalla legge c.d. "Fornero" e segnatamente dall’art. 1 comma 9 L. 28.6.2012 n. 92. Infatti con la L. 25/3/1986 n. 84 venne previsto che nel settore aeroportuale -in determinati periodi dell'anno -fosse possibile assumere personale senza che necessariamente ricorresse alcuna delle ipotesi limitative previste e sopra indicate7; norma quest'ultima estesa alle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste giusta previsione contenuta nell'art. I comma 558 L. 23.12.2005 n. 266. Indipendentemente da tale ultima fonte normativa citata, sicuramente acausale deve considerarsi la previsione contenuta nell'art. 8 bis della L. 23.7.1991 n. 223 nella quale il legislatore, per favorire il reinserimento delle persone poste in mobilità, ha previsto la possibilità di stipulare un contratto a tempo determinato della durata tuttavia non superiore a dodici mensilità. Superato con il D.lgs 6.9.2001 n. 368 (attuativo della Direttiva della Comunità Economica Europea n. 76/99 che ha recepito l'accodo quadro sul lavoro a Tempo determinato), la rigida elencazione prevista tassativamente dalla L. 230/62 sopra ricordata, venne introdotta la famosa norma “generale” 8 o clausola “elastica” rappresentata dal c.d. "causalone" (ovvero la possibilità di poter stipulare un contratto a tempo determinato solamente laddove esistessero "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo"). 6 Mi riferisco alla nota vicenda nella quale la più parte, se non la totalità dei lavoratori dell’UNIDAL (Unione Industrie Dolciarie e Alimentari) –che aveva incorporato Motta ed Alemagna- assunti con contratto a termine, ottennero dai Pretori Milanesi il riconoscimento dell’illegittimità della apposizione del termine e, quindi, la trasformazione del contratto a tempo indeterminato. Vittoria che fu considerata di “Pirro” in quanto da lì a poco la società venne messa in liquidazione. c'è chi in realtà ha ritenuto che le previsioni contenute nella fonte normativa da ultimo citata non rappresenti un contratto acausale, ma più semplicemente una previsione legislativa del requisito della stagionalità nel settore che ci occupa 7 8 Per una disamina completa v. Stefano Bellomo: Autonomia collettiva e clausole generali in Giornate di studio AIDLaSS 29 e 30 maggio 2014 pubblicato sul sito 3 Tali ragioni dovevano specificatamente essere inserite nella lettera di assunzione e passavano per il vaglio del Magistrato che andava a verificare minuziosamente se tali ragioni sussistessero al momento della assunzione. Tale formulazione astratta ha comportato un notevolissimo contenzioso con le decisioni più disparate.9 Infine, come sopra rilevato, con l'introduzione della L. 92/2012 è stato previsto il contratto a termine sicuramente "acausale" (non più legato quindi né al settore, né alla situazione oggettiva) che poteva essere stipulato -nella sola ipotesi di un primo rapporto di lavoro- per un periodo massimo di dodici mesi e che non prevedeva la possibilità di alcun rinnovo (divieto quest'ultimo venuto meno da quanto previsto dal D.L. 28.6.2013 n. 76, convertito in L. 99/2013, che ha previsto la possibilità di un solo rinnovo). Si è poi arrivato ai giorni d'oggi in cui il legislatore, con l'introduzione delle previsioni contenute nel D.L.. 34/2014 (convertito, replicasi, con modificazioni nella L. 78/2014) ha radicalmente sovvertito i principi sino ad oggi esistenti, costituendo un ulteriore tassello normativo in cui costruire la flessibilità in entrata. Infatti con l'ultimo provvedimento, che rappresenta a buon titolo una “rivoluzione copernichiana”, vi è una diversa modalità di assunzione (con contratto a tempo determinato) in quanto non più legato ad esigenze temporanee, ma ad una temporaneità voluta dalle parti. Pertanto con la normativa attualmente in vigore si è capovolta la situazione prevista nella legge c.d. "Fornero" in cui la "acausalità" rappresentava l'eccezione alla regola per divenire -nell'attuale regolamentazione- come regola rappresentata dal solo limite di carattere quantitativo. A ben vedere quindi è oramai errato poter qualificare le ragioni giustificatrici per la stipula dei contratti a tempo determinato quale "acausali”. Tale definizione infatti aveva un senso sino all'ultimo provvedimento poiché doveva distinguere le ipotesi normali previste, con quella eccezionale. 9 Nel frattempo è stata emanata la L.4.11.2010 n. 183, c.d. “collegato lavoro”, con le previsioni contenute nell’art. 32 –sempre da un lato per limitare il contenzioso e dall’altro per dare una maggiore certezza nelle situazioni giuridiche- che ha posto dei termini decadenziali per impugnare il contratto a termine e per iniziare l’azione (rispettivamente, nella versione originale, 60 gg dalla cessazione di ciascun contratto a tempo determinato –se più di uno- e di 270 gg. decorrenti dalla spedizione della lettera di impugnativa; per arrivare, nella disciplina attuale modificata dall’art. 1 comma 11 l.92/2012, agli attuali 120 giorni per impugnare e 180 gg. per iniziare la vertenza giudiziale. Inoltre i commi 5, 6 e 7 dopo le iniziali incertezze v. Trib. Busto Arsizio Est. Molinari G.C. / Soc. …..a .r.l. 20.11.2010 n. 528; C.A. Roma Pres. Ed Est. Torrice S. P. / P. I. S.p.A. 2.2.2012 n. 267 nelle quali venivano riconosciute in aggiunta alle indennità previste anche tutte le retribuzioni maturate dalla messa in mora sino alla lettura del dispositivo di sentenza nel caso di declaratoria di nullità del termine. Questione comunque risolta dalla interpretazione autentica effettuata dal legislatore all’art. 1 comma 13 l. 92/2012 secondo la quale l’indennità prevista nel ricordato artt. 32 commi 5, 6 e 7 l. 183/2010 ristorerebbe per intero il pregiudizio subito dal lavoratore. Norma questa passata indenne al vaglio di costituzionalità (v. le sentenze della C. Cost. 313/2011 e 155/2014) sul presupposto che quanto previsto nelle norme di cui alla citata disposizione sono integrative della garanzia prestata al lavoratore per effetto della conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato. (punto 3.3.1. della sentenza 303/2011). 4 Oggi non è più una ipotesi eccezionale, ma rappresenta la regola: in estrema sintesi è mutato il parametro di riferimento -dal “causalone” al limite di carattere quantitativo rappresentato dalla percentuale nella misura del 20%- dal ché sarebbe più corretto non definirlo tale. Parametro di riferimento che rappresenta una semplificazione notevolissima, poiché esclude le incertezze applicative previste nel "vecchio" "causalone" per rappresentare una (possibile) "quota" dell'organico aziendale. 2. RAGIONI GIUSTIFICATRICI LA MODIFICA DEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO A questo punto c’è da chiedersi quale sia stata la evoluzione ed i motivi che hanno spinto il legislatore a modificare la produzione normativa. Infatti si è passati, all'indomani del "boom economico" di fine anni '50 inizio '60 —in cui non esisteva alcun regime limitativo, con la conseguenza che il datore di lavoro poteva discrezionalmente (se non addirittura arbitrariamente) esercitare il proprio potere direttivo (si pensi alla libertà di recesso o trasferimento o demansionamento ecc.)- da una legislazione definita di “sostegno” per tutelare quello che comunemente veniva definito il “contraente debole”, a quella molto più liberista degli ultimi tempi. La tecnica usata pertanto era quella di emanare norme inderogabili (si pensi alle seguenti leggi: sull'intermediazione di manodopera 1362/60; quella —per l'appunto- sui contratti a tempo determinato L.230/62; quella sul regime limitativo dei licenziamenti; lo statuto dei lavoratori L.300/70, ecc.) per tutelare i lavoratori occupati, per arrivare gradualmente ad una inversione di rotta iniziata con i ricordati artt. 23 L. 56/87 ed 8 L.223/91, il c.d. "pacchetto Treu" (Legge 24 giugno 1997, n. 196), il D.lgs 276/03 e la L. 92/2012) a sostegno di coloro che devono essere ancora occupati. Viene da chiedersi, a questo punto, i motivi per cui il legislatore si sia determinato ad emanare tutta una serie di normative così "ampie" ed in controtendenza con lo spirito che ha sempre animato la legislazione in materia di lavoro ed in particolare nell'ultimissimo periodo. Non priva di significato ritengo debba essere attribuito alla Banca Centrale Europea nella arcinota lettera segreta, che segreta nei fatti non è stata, inviata in data 5.8.2011 dall'allora Presidente della Banca Centrale Europea Trichet e controfirmata da Draghi (che da li a poco tempo dopo avrebbe preso il posto del primo) nella quale venivano ritenute essenziali, nella situazione di profonda crisi al fine di ristabilire la fiducia degli investitori (anche esteri) adottare tutta una seri di provvedimenti che -ricordo a tutti noiprevedevano al punto 1)10 l'esigenza di riformare il sistema della contrattazione collettiva -e da li a pochi Ritengo opportuno riportarla nell'integralità per la migliore comprensione di quanto dedotto: «Caro Primo Ministro, Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea il 4 Agosto ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un'azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori. Il vertice dei capi di Stato e di governo dell'areaeuro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell'euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali». Il Consiglio direttivo ritiene che l'Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali, Il Governo italiano ha deciso di mirare al pareggio di bilancio nel 2014 e, a questo scopo, ha 5 10 giorni dopo è stata introdotta la regolamentazione prevista dall'art. 8 L. 14.9.2011 n.148 (i c.d. contratti di prossimità)-, nonché una accurata revisione delle norme che regolano la assunzione ed il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione della disoccupazione ecc., e non è affatto un caso che a meno di dieci mesi (il primo disegno di legge è di soli sei mesi11) sia stata approvato la legge sul mercato del lavoro12. di recente introdotto un pacchetto di misure. Sono passi importanti, ma non sufficienti. Nell'attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure: 1. Vediamo l'esigenza di misure significative per accrescere il potenziale di crescita. Alcune decisioni recenti prese dal Governo si muovono in questa direzione; altre misure sono in discussione con le parti sociali. Tuttavia, occorre fare di più ed é cruciale muovere in questa direzione con decisione. Le sfide principali sono l'aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servi:i pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro. a) E' necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala. b) C'é anche l'esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L'accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione. c) dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti (il sottolineato è mio), stabilendo un sistema di assicurazione della disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che sia in grado di facilitare la ricollocazione delle risorse verso aziende e verso settori più competitivi. 2. Il Governo ha l'esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche. a) Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L'obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell'I% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa. E' possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l'età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012, Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi. b) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali. c) Andrebbero messi sotto stretto controllo l'assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo. Vista la gravità dell'attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di Settembre 2011. Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio. 3. Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell'amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l'efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l'uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell'istruzione). C'é l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali. Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriale. Con la migliore considerazione, Mario Draghi, Jean-Claude Trichet. 11 il d.d.l. S. 3249. 12 non può certo sfuggire la considerazione che il tentativo di modifica dell'art. 18 S.L. ha avuto diverse fasi tutte naufragate, chi più chi meno, sul nascere. In primis si ricorda il referendum tendente alla abrogazione dell'art. 18 S.L promosso da Forza Italia, Partito Radicale e PRI del 21 maggio 2000 che non venne effettuato per mancanza del "quorum" richiesto; in seguito il governo Berlusconi, salito a Palazzo Chigi nel 2001 aveva nello stesso anno emanato un d.d.l. -1848 del 15.11.2001- che all'art. 10 aveva previsto la delega al governo per “emanare uno o più decreti legislativi per "introdurre in via sperimentale, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, misure volte a sostenere e incentivare l'occupazione regolare a tempo indeterminato, prevedendo in particolare, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, quale alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro il risarcimento. Si tratta di una sperimentazione che potrà prolungarsi non oltre quattro anni dalla emanazione dei decreti legislativi di applicazione della presente legge, così da verificare l'opportunità o meno di ulteriori e più durature modifiche dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, sostituendo al regime di stabilità reale del posto di lavoro quello della tutela obbligatoria di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. La possibilità del risarcimento in luogo della reintegrazione è tuttavia ammessa soltanto in relazione a misure di riemersione, stabilizzazione dei rapporti di lavoro sulla base di trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato, politiche di 6 Naturalmente a fronte di una maggiore flessibilità in uscita, il legislatore si è preoccupato (in una rincorsa senza fine —per il momento-) di "pareggiare il conto" con una maggiore flessibilità in entrata facendo ricorso a norme derogabilissime (a ben vedere basta l'accordo delle parti per stabilire termini e condizioni per il nuovo contratto a termine). Una legislazione quindi, come già rilevato, non volta ad una garanzia per le persone già occupate mediante l'emanazione di norme inderogabili, ma attraverso l'accordo delle parti per trovare una soluzione nei confronti delle persone inoccupate. 3. CONFORMITA’ CON LA DIRETTIVA DELLA COMUNITA’ ECONOMICA EUROPEA Naturalmente, iniziando ad affrontare più da vicino tutte le problematiche nascenti dalla nuova normativa, c'è da evidenziare immediatamente un problema che è stato già sollevato da una parte degli avvocati italiani. Mi riferisco in particolar modo ad una sollevata dedotta illegittimità13 della nuova metodologia affrontata dal legislatore nazionale in tema di contratti a tempo determinato in relazione alle prescrizioni indicate nella Direttiva della Comunità Economica n. 70/99 con particolare riguardo alle disposizioni transitorie ed ancor più in particolare con la "clausola di non regresso" prevista nella clausola 8 comma 3^ della ridetta fonte europea. Ritengo che le possibili doglianze mosse alla L.. 78/2014 con specifico riguardo al punto in esame, non siano fondate sulla base della corposa giurisprudenza emanata sul punto dalla Corte di Giustizia14. Ed invero la Corte di Giustizia nella sentenza resa nei procedimenti riuniti da C-378/07 a C380/07 (Angelidaki ed altri) ha escluso l'efficacia immediatamente esecutiva delle clausole di non regresso: "[...] il fatto che la clausola 8, n. 3, dell'accordo quadro si limiti a vietare, stando alla sua formulazione, di "ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dal [presente accordo] ", comporta che soltanto una reformatio in pejus di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in materia di contratti di lavoro a tempo determinato è idonea a ricadere nel suo ambito applicativo [...]". In particolare, al punto 21115 della sentenza Angelidaki, la Corte ha chiarito che la clausola 8, n. 3, non soddisfa i requisiti per produrre un effetto diretto con la conseguenza che al giudice nazionale è incoraggiamento della crescita dimensionale delle imprese minori, non computandosi nel numero dei dipendenti occupati le unità lavorative assunte per il primo biennio. È appena il caso di affermare che il Governo riconferma i divieti attualmente vigenti in materia di licenziamento discriminatorio a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché in relazione al licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il suo matrimonio a norma degli articoli 1 e 2 della legge 9 gennaio 1963, n. 7, oltre alle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro di cui all'articolo 2110 codice civile” 13 Un’ampia disamina è contenuta nello scritto di Filippo Aiello: Il contratto a termine acausale Renzi-Poletti è al riparo dalla clausola di non regresso prevista dalla Direttiva 1999/70/CE? in eurorights.eu consultato il 30.9.2014 in www.agilazio.it 14 Sul punto v. l’ampia disamina contenuta nello scritto di Roberto Romei in Giornale di diritto del lavoro e relazioni industriali 2014, in corso di pubblicazione 7 preclusa la possibilità di procedere ad una disapplicazione delle norme nazionali eventualmente incompatibili con la citata previsione della Direttiva, essendo lo stesso unicamente legittimato a porre in essere un'interpretazione conforme del diritto nazionale alle rilevanti previsioni dell'ordinamento comunitario16. Ne segue che la verifica dell'esistenza di una reformatio in peius ai sensi della clausola 8,n. 3, dell'accordo quadro deve effettuarsi in rapporto all'insieme delle disposizioni di diritto interno di uno Stato membro relative alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di lavoro a tempo determinato (punto 12017 della sentenza). La Corte ha inoltre precisato (come già affermato nella sentenza Mangold, punto 52 18), che una riduzione del livello di tutela dei lavoratori non è vietata dall'Accordo quadro, in quanto, per rientrare nel divieto previsto dalla clausola 8, n. 3, la riduzione in questione deve, per un verso, essere collegata con l'applicazione dell'accordo quadro, e, per l'altro verso, avere ad oggetto il «livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo determinato (punto 126 della sentenza19). Ciò comporta che la clausola 8, n. 3, dell'accordo quadro, come risulta dalla rubrica della clausola stessa, verte sulla sola attuazione di tale Accordo da parte degli Stati membri e/o delle parti sociali, obbligati a recepirlo nell'ordinamento giuridico interno, vietando loro, come è stato rilevato al punto 13320 della sentenza, di giustificare all'atto di tale recepimento una reformatio in peius del livello generale di tutela dei lavoratori mediante la necessità di applicare l'accordo quadro de quo. La Corte di Giustizia nella medesima pronuncia, confermata dalla sentenza resa nel procedimento C-98/09 (Sorge, punto 3721), ha dunque escluso la contrarietà con la clausola 8, punto 3 Sentenza Angelidaki e a., cit., punto 211: "Orbene, i singoli non potrebbero fondare sul descritto divieto un diritto dal contenuto sufficientemente chiaro, preciso e incondizionato. Ne consegue che la clausola 8, n. 3, dell'accordo quadro non soddisfa i requisiti per produrre un effetto diretto". 16 Sentenza 24 giugno 2010, Sorge, C-98!09, punto 55: "posto che la clausola 8, n. 3, dell'accordo quadro è priva di efficacia diretta, spetta al giudice del rinvio, qualora ritenesse di concludere per l'incompatibilità con il diritto dell'Unione della normativa nazionale di cui alla causa principale, non escluderne l'applicazione, bensì operarne, per quanto possibile, un'interpretazione conforme sia alla direttiva 1999/70, sia allo scopo perseguito dall'accordo quadro". 17 Sentenza Angelidaki e a., cit., punto 120: "Ne risulta che la verifica dell'esistenza di una "reformatio in peius" ai sensi della clausola 8, n. 3, dell'accordo quadro deve effettuarsi in rapporto all'insieme delle disposizioni di diritto interno di uno Stato membro relative alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di lavoro a tempo determinato". 18 Sentenza 22 novembre 2005, Mangold, C-144/04, punto 52: "Per contro, una "reformatio in peius" della protezione offerta ai lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato non è, in quanto tale, vietata dall'accordo quadro quando non è in alcun modo collegata con l'applicazione di questo". 19 Sentenza Angelidaki e a., cit., punto 126: "Ne consegue che una riduzione della tutela offerta ai lavoratori nel settore dei contratti di lavoro a tempo determinato non è, in quanto tale, vietata dall'accordo quadro, me che, per rientrare nel divieto sancito dalla clausola 8, n. 3, di esso, tale riduzione deve, da un lato, essere collegata con 1—applicazione" dell'accordo quadro, e, dall'altro, avere ad oggetto il "livello generale di tutela" dei lavoratori a tempo determinato (v. in tal senso, sentenza [...]". 20 Sentenza Angelidaki e a., cit., punto 133: "Nondimeno, una siffatta normativa non potrebbe essere considerata contraria a detta clausola nel caso in cui la reformatio in peius che essa comporta non fosse in alcun modo collegata con l'applicazione dell'accordo quadro. Ciò avverrebbe qualora detta reformatio in peius fosse giustificata non già dalla necessità di applicare l'accordo quadro, bensì da quella di promuovere un altro obiettivo, da essa distinto (v., in tal senso, sentenza Mangold, cit., punti 52 e 53". 21 Sentenza Sorge, cit., punto 37: "Per contro, spetta, se del caso, alla Corte in sede di decisione sul rinvio pregiudiziale fornire al giudice del rinvio indicazioni utili a guidarlo nella sua valutazione sul punto di appurare se detta eventuale riduzione della tutela dei lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato costituisca una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, 8 15 quando: a) la reformatio in peius non sia giustificata dalla necessità di applicare l'accordo quadro, bensì da quella di promuovere un altro obiettivo da essa distinto (punto 133 della sentenza); b) soltanto una reformatio in peius di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in materia di contratti di lavoro è idonea a ricadere nell'ambito applicativo della clausola 8, n. 3, dell'accordo quadro (punto 14022 della sentenza). Alla luce di quanto precede - a prescindere dalla efficacia diretta della clausola in esame, in ogni caso esclusa dal consolidato orientamento espresso dalla Corte - affinché possa parlarsi di violazione della clausola 8, punto 3, dovrebbe trattarsi di una modifica in grado di influenzare complessivamente la normativa nazionale sui contratti a tempo determinato. Circostanza, quest'ultima, esclusa dalla Corte di Giustizia nel caso Angelidaki, ove la misura deteriore introdotta dal legislatore greco investiva soltanto i lavoratori a termine nel settore del pubblico, e nel caso Sorge, ove la modifica peggiorativa era circoscritta all'ambito dei lavoratori assunti a termine per sostituire lavoratori assenti. 4. PERCENTUALE Per tornare alla normativa introdotta dal Dl. 34/2014 occorre rilevare che mentre è rimasto il limite dei 36 mesi quale termine massimo possibile per poter stipulare contratti a tempo determinato (limite che è posto pure nei contratti di somministrazione) , la rilevante novità –come più volte rilevatoè rappresentata dalla percentuale fissata dal legislatore quale parametro cui far riferimento per la legittimità dell’apposizione del termine. Percentuale, come riferito, che è stata stabilita nel 20% “del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione”23. A fronte di tale indicazione sorge immediatamente il primo problema -che sarebbe stato risolto dalla Circolare del Ministero del lavoro del 30 luglio 2014 n. 1824- ci si è subito chiesti se la ricordata percentuale faccia riferimento al numero di contratti stipulati a far data dal 1 gennaio dell’anno di dell'accordo quadro. A tal fine, occorre esaminare in quale misura le modifiche introdotte dalla normativa nazionale volta a recepire la direttiva 1999/70 e l'accordo quadro siano tali, da un lato, da essere considerate collegate con I '«applicazione» dell'accordo quadro, e, dall'altro, da riguardare il «livello generale di tutela» dei lavoratori ai sensi della sua clausola 8, n. 3 ( sentenza Angelidaki e a., cit., punto 130)". il Sentenza Angelidaki e a., cit., punto 140: "Per quanto concerne, in secondo luogo, la condizione secondo cui la reformatio in peius deve riguardare il «livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo determinato, essa implica che soltanto una reformatio in peius di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in materia di contratti di lavoro a tempo determinato può rientrare nell'ambito applicativo della clausola 8, n. 3, dell'accordo quadro"; cfr. anche ordinanza 24 aprile 2009, causa C519/08, Koukou, punto 119). 22 23 Del tutto indifferente che vi possa essere, per vicende societarie –ad es. scorpori, concentrazione, fusioni ecc.- un mutamento (seppure considerevole) nell’arco dell’anno, poiché la percentuale per quella determinata azienda viene fissata a data certa voluta dal legislatore senza possibilità di deroghe. 24 La circolare, come è noto, non ha affatto valore di legge e quindi potrebbe essere disattesa dai Magistrati. Infatti “Le circolari non possono derogare alle disposizioni di legge e neanche possono influire nell'interpretazione delle medesime disposizioni, e ciò anche se si tratti di atti del tipo c.d. normativo, che restano comunque atti di rilevanza interna v. per analogia Cass. civ. Sez. lav. 26.05.2005, n. 1109, cui adde, in ordine al principio che le circolari altro non sono che atti di rilevanza interna che nemmeno incidono sul comportamento dello stesso ente che l’ha emanata v. . Cass. Sez. Un. 2 novembre 2007 n. 23031; Cass. civ. Sez. lavoro, 19.4.2007, n. 9341; Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 26.05.2005, n. 1109; Cass. civ. Sez. lavoro, 27.03.2004, n. 6155) 9 riferimento ovvero al numero dei dipendenti a termine in forza al momento della stipulazione del contratto impugnato. La differenza, come è intuibile, non è di poco conto e la giurisprudenza di merito –già con riguardo alla previsione contenuta nell’art. 2 (sia primo che secondo comma) del D.lgs 368/2001 con riguardo sia al settore aeroportuale che alle Poste- si è divisa25 in due contrastanti orientamenti. Tutto nasce –per quanto concerne l’art. 2- dal sostantivo femminile contenuto nella norma ovverosia la parola “assunzioni” (“nella percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale che, al 1° gennaio dell’anno a cui le assunzioni (( il sottolineato e mio)) si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati”……) in base al quale la giurisprudenza di merito aderente alla prima surriportata soluzione fa leva per le proprie tesi ritenendo che se il legislatore avesse voluto diversamente non avrebbe parlato di assunzioni, ma più semplicemente di rapporti. Analoga, ma non identica formulazione è contenuta nel novellato art. 1 dove viene espressamente previsto che “il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati (il sottolineato è sempre mio) da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione”. Indipendentemente da quanto indicato dalla Circolare 18/201426 -che comunque rappresenta una forte, seppure non risolutiva, soluzione- l’interpretazione più corretta risulta essere, sempre a mio parere, la seconda nel senso che si deve far riferimento, all’atto dell’assunzione ( e si potrebbe anche sostenere di tutta la durata del rapporto) del soggetto con contratto a tempo determinato, se viene o meno –ai fini della liceità del contratto in quel momento- sforata la percentuale prevista legislativamente. In estrema sintesi sostenere che la volontà del legislatore sia stata quella di non permettere nell’arco dell’anno di riferimento una “quantità” di lavoratori a termine superiore al 20%, pur –per converso- facultizzare il datore di lavoro a stipulare quanti contratti di lavoro a tempo determinato voglia nell’ambito del suddetto limite percentuale previsto. Aderendo alla soluzione opposta si potrebbe –in astratto- creare una situazione aberrante: stabilito nel 20% solo il numero dei contratti “stipulabili” nell’anno, il datore di lavoro potrebbe “assumere” in un determinato anno per 36 mesi un numero di lavoratori pari al 20% a tempo determinato e così via per i due anni successivi con la conseguenza che al secondo anno avremmo una forza lavoro pari al 40% ed il terzo anno pari al 60%! Una simile evenienza si pone sicuramente in netto contrasto con la volontà del legislatore e gli interessi dei lavoratori e delle parti sociali, dal che è meglio prediligere la seconda riferita soluzione. 25 Per la prima soluzione v., da ultimo, Trib. Milano 4.9.2014, Giud. Ravazzoni Baisero /Alitalia First S.p.A.; per la seconda C. Appello di Brescia 3.4.2014. 26 V. sul punto l’ampia disamina ad opera di Eufranio Massi in Jobs Act- Chiarimenti Ministeriali in Diritto e Pratica del Lavoro 2014 1838 e seg.ti (in particolare sul punto p. 1847) 10 Naturalmente a questo punto occorrerà capire nel novero del numero dei lavoratori a tempo indeterminato chi dovrà essere ricompreso per la determinazione della percentuale. Sicuramente anche questo aspetto rappresenta un altro non indifferente problema in considerazione delle possibili sanzioni applicabili in caso di “sforamento” come ci si intratterrà tra poco allorquando si tratterà lo specifico punto. Non v’è dubbio, per espressa previsione legislativa, che le situazioni indicate nell’art. 10 7^ co del D.lgs 368/2001 non vadano ricomprese -dal che non soggiacciono al limite percentuale previsto per le assunzioni a tempo determinato- e riguardano tutti quei lavoratori assunti a tempo determinato: a) per garantire le fasi di avvio di nuove attività (per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro); b) per soddisfare la stagionalità non solo prevista dal D.P.R. n. 1525/1963, ma anche quelli definiti dai c.c.n.l. od accordo aziendale del settore merceologico; c) per specifici spettacoli o programmi radiofonici o televisivi; d) per ragioni di carattere sostitutivo 27 ; e) per le assunzioni di lavoratori ultracinquantacinquenni; ovvero 10 5bis co. stesso provvedimento legislativo f) per i contratti stipulati tra istituti pubblici di ricerca o enti privati di ricerca e lavoratori svolgenti attività esclusiva di ricerca scientifica o tecnologica; g) ovvero 10 3 co. stesso provvedimento per lavori extra nei settori del turismo e pubblici esercizi per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni, specificati dal ccnl o di secondo livello; ovvero ex art. 11 L. 68/1999 h) per l’assunzione di disabili a tempo determinato; ovvero ex art. 1 1^ co. D.lgs 167/2011 i) per l’apprendistato; art 4 5^ co. stessa legge l) per apprendistato stagionale; art 3 2^co. quater m) per apprendistato stagionale quale alternanza scuola/lavoro; ovvero ex art 8 2^ co. l. 223/91 n) per l’assunzione di lavoratori già posti in mobilità; ovvero ex art.28 D.L. 179/2012 o) per una start-up innovativa. Sempre con le dovute riserve28, la circolare del Ministero del Lavoro 18/2014 individua un’altra ipotesi rappresentata dai casi di trasferimento di azienda e/o di un suo ramo. In questi casi è pacifico che nei casi di fusione tra aziende il numero dei contratti a termine lieviteranno notevolmente poiché mentre prima, relativamente ad ogni singola azienda, poteva essere stato rispettato il limite quantitativo, con la fusione in un’unica azienda tale limite potrebbe essere “sforato”. Ritengo che anche tale previsione contemplata nella ridetta Circolare possa portare a delle criticità in sede giudiziaria tanto che riterrei preferibile –fatta salva la eventuale previsione transitoriarisolvere tutti i contratti di lavoro stipulati per ultimi e comunque tutti quelli stipulati dopo il 27 In tale previsione nasce un ulteriore problema che riguarda la necessarietà o meno di indicare nella lettera di assunzione il lavoratore da sostituire o meno. Anche in questa specifica situazione i Giud. Di merito –in particolare il Trib. Di Milano- adottano una linea più severa nel senso che ritengono indispensabile l’indicazione del sostituito nella lettera di assunzione esattamente conformandosi alla sentenza della Corte Costituzionale n. 214/2009, viceversa la Suprema Corte ha notevolmente mitigato tale rigidità (per tutti v. Cass. 26.1.2010 n. 1576 e 26.1.2010 n. 1577 nelle quali i Giudici di legittimità con dovizia di argomentazioni si discostano dalla sentenza interpretativa di rigetto del Giudice delle leggi) 28 già indicate nella nota 24 11 superamento della percentuale calcolati comparativamente tra le due aziende deducendo una giusta causa oggettiva. Per concludere sul punto e con riguardo all’art. 1 occorre porre nella dovuta evidenza che rimane l’obbligo (rectius: onere) della forma scritta dove però non dovendo più indicare le causali rappresentate dal “causalone” va solamente inserito la durata del contratto con la previsione del termine che non deve riportare necessariamente la data certa, ma basta che sia desumibile “direttamente o indirettamente” (v. art. 1 comma 2) nella lettera di assunzione che “deve essere consegnata da datore al lavoratore entro i cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione” (art. 1 comma 3). 5. DISCIPLINA PREVISTA DALL’ART. 2 D.lgs. 368/2001 Ci si chiede se la disciplina prevista dall’art. 2 del D.lgs 368/2001, che prevede la possibilità – come già rilevato- di una assunzione “acausale” nei contratti a tempo determinato in determinati periodi nell’anno limitatamente al settore del trasporto aereo e per i servizi aereoportuali nonché per le imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, possa definirsi tacitamente abrogata dalla nuova formulazione prevista dal D.l. 34/2014. Ritengo che la risposta non possa che essere decisamente negativa. Ed invero la predetta disciplina, così come indicato nel titolo dell’art. 2, deve considerarsi “aggiuntiva” rispetto ovviamente alla disciplina “normale” prevista nell’art. 1 29 e quindi si deve concludere che la percentuale del 15% prevista nella disposizione in esame, và ad aggiungersi a quella del 20% prevista nell’art. 1. 6. PROROGHE Altra importantissima novità introdotta dal D.L. 34/2014 riguarda le proroghe disciplinate dall’art. 4 del D.lgs 368/2001. Il regime delle proroghe ha avuto una tormentatissimo iter parlamentare se si consideri che nel D.L. in oggetto era disciplinato -abbandonata la previsione prevista nella legge “Fornero” che nella prima stesura le proibiva e nella seconda versione ad opera della L. 134/2012 ne ammetteva solamente una-, nella maniera che segue: ben otto proroghe per ogni singolo contratto (il che significava che per ogni rinnovo sarebbe stato possibile fare le otto proroghe previste e quindi un numero incalcolabile di proroghe seppure nell’ambito del limite “esterno” rappresentato dai 36 mesi quale termine massimo previsto (o 48 nel caso previsto nell’art. 5 comma 4 bis stessa legge, ovverosia la possibilità di una ulteriore proroga, in aggiunta ai 36 mesi, per una sola volta, “a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato”). 29 Da rilevare che già nella vigenza del D.lgs 368/2001 prima della modifica intervenuta ad opera del D.L. 34/2014 è stato più volte sostenuto che occorreva pur sempre una ragione giustificatrice –cioè il c.d. “causalone”- per legittimarne la ricorrenza, ma la giurisprudenza è stata sempre concorde nel negarla (tra le innumerevoli da ultimo la richiamata Trib. Milano 4.9.2014 12 In sede di conversione la L. 78/2014 invece ha previsto la possibilità di effettuare, nell’arco dei suddetti 36 (o 48 per le ragioni indicate) mesi, solamente cinque proroghe. Per quanto concerne però le proroghe, non pare superfluo evidenziare un’altra criticità che potrebbe verificarsi ad opera di una infelice espressione contenuta nell’art. 4 del D.lgs. 368/2001 novellato ad opera della più volte ricordata L. 78/2014. Mi riferisco in particolare alla seguente espressione: “ a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato”. Mentre quindi rimane nuovamente ribadito che non occorre alcuna motivazione e/o comunque ragione per ricorrere alle proroghe, il legislatore ha compiuto una clamorosa svista –foriera anche essa di un contenzioso probabilmente nutrito- nell’indicare tale limite quando, sempre per espressa previsione legislativa, al primo comma ha specificato, quale conseguenza necessaria della “acausalità” la possibilità di concludere tra datore di lavoro e lavoratore un contratto a tempo determinato “per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione”. Per cui si verifica questa insanabile sincrasia: la possibilità nel contratto iniziale di poter esercitare lo “ius variandi” (pacificamente vietato a pena di conversione del contratto da determinato ad indeterminato sotto la vigenza delle precedenti ragioni giustificatrici per l’apposizione del termine rappresentate dal c.d. “causalone”) e quindi mutare le mansioni in altre equivalenti durante la vigenza del contratto per poi, in sede di rinnovo, essere costretti ad assegnare le stesse mansioni originarie attribuite al momento dell’assunzione del contratto da cui trae origine il rinnovo. Certamente i primi commentatori della legge 30 hanno tentato di spiegare la incongruità della norma e quindi dare una interpretazione “estensiva” alla portata sicuramente limitatrice indicata dal chiaro tenore letterale. Personalmente condivido simili impostazioni, ma altrettanto –da operatore pratico quale io sono da lunghissimo tempo- prevedo, almeno nella fase iniziale e da parte della giurisprudenza di merito, un’applicazione restrittiva volta alla esatta osservanza della norma da un punto di vista letterale, con applicazione della sanzione della trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato nel caso di inosservanza della suddetta prescrizione. Data la pacifica differenza tra rinnovo e proroga -dove nella prima si intende un nuovo contratto a tempo determinato la cui successione tra i due deve avvenire una volta osservati i termini di separazione previsti dall’art. 5 3^ co. ( fatte salve le attività stagionali alle quali non si applica il c.d. “stop and go” per espressa previsione legislativa sopra ricordata) e cioè 10 giorni se il contratto aveva durata fino a sei mesi e 20 giorni per quelli la cui durata era superiore a sei mesi, mentre il secondo istituto prevede la continuazione del contratto originario senza soluzione di continuità-, rimane decisamente ambigua l’espressione contenuta nel già riferito art. 1 (“per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione”), sol 30 E. Massi op. cit. 13 se si consideri che il limite massimo dei 36 mesi voluto dal legislatore e ripetuto non solo nell’art. 1 ma anche nell’art. 5 4bis co., si riferisce solamente per lo svolgimento di mansioni equivalenti, con ciò volendo dire che è in facoltà del datore di lavoro stipulare più contratti a tempo determinato di durata anche superiore ai 36 mesi se si tratti di attività che comportino la non equivalenza delle mansioni (un esempio esagerato per meglio comprendere la norma: stipulo contratti a tempo determinato con più rinnovi e proroghe per lo svolgimento di attività di “autista” fino a 36 mesi e poi per altri 36 mesi –e così sino all’infinito- sempre con possibili rinnovi e proroghe per lo svolgimento di “disegnatore progettista”). Ma se così è, come è, allora come è possibile che il legislatore abbia posto il limite indicato nell’art. 4 quando: per attività non equivalenti è possibile stipulare contratti a tempo determinato senza lo sbarramento dei 36 mesi; è possibile nell’ambito dei rinnovi –con il limite dei 36 mesi- attribuire mansioni diverse purché equivalenti e poi in sede di proroga……… porre il veto rappresentato dall’attribuzione delle stesse iniziali mansioni del contratto che viene prorogato. Per superare tale pacifica incongruenza non si potrà quindi che dare una interpretazione più ampia alla espressione apparentemente limitativa riguardante la proroga, intendendosi “per stessa attività lavorativa” non solo quella iniziale, ma anche quelle via via assegnate nel corso del contratto originario (che, come detto, devono essere tra loro equivalenti).. Altra novità contenuta nel D.L. 34/2014 è quella relativa all’introduzione del diritto di precedenza previsto nell’art 5 comma 4 quater-quinquies e sexties. Infatti il legislatore attuale ha disciplinato il diritto di precedenza, prevedendo che tale previsione debba essere espressamente richiamato nell’atto scritto di cui all’art. 1 comma 2 (previsione modificata nella legge di conversione)31 7. REGIME SANZIONATORIO Con riguardo alle sanzioni c’è poco da aggiungere avendo svolto la prioritaria considerazione che le novità introdotte dalla L. 78/2014 vanno ad “incorporarsi” nel D.lgs 368/2001, dal ché ne consegue che la quasi totalità delle sanzioni rimangono inalterate rispetto alla previsione precedente (così la conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato nelle ipotesi di mancata osservanza dei divieti previsti dall’art. 3, dei termini previsti tra un rinnovo ed un altro –che devono considerarsi “liberi”- ex art. 5 3^ co.), mentre c’è da chiedersi quale sia la sanzione prevista in caso di 31 Ci si chiede cosa accade in caso di inottemperanza a tale obbligo. Secondo M. Brollo: La nuova flessibilità “semplificata” del lavoro a termine in Arg. Dir. Lav. 3/2014 pag. 584 la violazione dovrebbe comportare la conversione del contratto a tempo indeterminato, ma tale soluzione non convince affatto. Semmai in caso di mancata assunzione del soggetto al quale la eventuale precedenza avrebbe favorito, questi potrà vantare il suo diritto giudizialmente per vedersi privilegiato rispetto ad altro soggetto favorito dalla assunzione al posto del predetto. Forse la mancata indicazione nella lettera di assunzione –o comunque anche in una comunicazione a latere durante tutta la vigenza del contratto a termine- potrebbe solamente far venire meno il termine decadenziale previsto dall’art. 5 4 sexties, D.lgs 368/200. 14 inottemperanza del limite massimo previsto per la durata dei contratti a tempo determinato e cioè cosa accade nel caso di “sforamento” dei 36 mesi (o 48 se applicate le procedure) Naturalmente anche questa problema può prevedere due soluzioni: la tesi più restrittiva ed a favore dei datori di lavoro prevede che l’unica sanzione possibile (sicuramente quella voluta dal legislatore, ma non espressa nonostante le sollecitazioni di chiarezza più volte richieste nel periodo intercorrente tra la formulazione del D.L.34/2014 e la successiva conversione in L. 78/2014) sia quella esplicitata dal legislatore nell’art 5 4 septies co. e cioè una sanzione amministrativa ragguagliata alla percentuale del 20 o 50 per cento della retribuzione (quale? netta o lorda? della RAL o della RAG?) per ogni mese –o frazione di esso superiore a 15 gg- a seconda si tratti di uno o più di uno dei lavoratori assunti in eccesso alla percentuale prevista del 20% (altro problema: stessa sanzione si applica –non essendo stato previsto- nel caso di supero di una percentuale superiore individuata dalla contrattazione collettiva?); mentre l’altra soluzione che potremmo definirla –atecnicamente- più largheggiante ed a favore dei lavoratori è quella di ritenere la sanzione amministrativa non esclusiva, ma concorrente con quella che prevede la conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato. Certamente entrambe sono possibili. A favore della prima milita sicuramente la formulazione letterale della norma oltre a quella sistematica dell’intero provvedimento legislativo. Infatti non solo la chiara espressione contenuta nell’art. 5 4 septies co. sembrerebbe escludere altra sanzione oltre a quella prevista ai successivi punti a) e b) (con estrema incisività il legislatore ha detto: “si applica la sanzione amministrativa” senza utilizzare ad es. congiunzioni del tipo “anche”), inoltre poiché riguarda l’apparato sanzionatorio questo non può che essere quello previsto e non certo sotteso. Per converso si potrebbe sostenere che la violazione riguarda non semplicemente il dato percentuale, ma la stessa ragione giustificatrice l’apposizione del termine. Nel qual caso la naturale sanzione non potrebbe che essere quella (e quindi aggiuntiva a quella amministrativa) della conversione del contratto senza la necessità della specificazione. Né certo possono essere dimenticate le argomentazioni contenute nelle due sentenze della Corte Costituzionale ( n. 303/2011 e 155/2014) che con riguardo all’art. 32 5, 6 e 7 co. del collegato lavoro (l. 183/2010) hanno dichiarato la costituzionalità della norma che prevedeva in aggiunta alla conversione la penale indicata32. 8. DISCIPLINA TRANSITORIA Ultimo argomento che intendo affrontare riguarda la disciplina transitoria contenuta nell’art. 2 bis del d.l. 34/2014. 32 V. considerazioni contenute nella nota 9 15 Al primo comma il legislatore ha previsto che tutte le modifiche apportate al D.lgs 368/2001 e la più parte sopra riportate, si applicano solamente dalla dta di entrata in vigore del decreto, il che sta a significare, ragionando “a contrariis”, che tutti i contratti a tempo determinato sottoscritti prima della entrata in vigore del ridetto decreto seguiranno la disciplina previggente (ad es. non sarà possibile effettuare le cinque proroghe introdotte dal decreto in esame). Al secondo comma viene disciplinata la sopravvivenza degli eventuali limiti percentuali previsti nella contrattazione collettiva qualora dovessero essere diversi. Quanto dedotto si ricaverebbe proprio dalla espressione contenuta nell’incipit del comma 2 dove per l’appunto viene indicato che “In sede di prima applicazione” ….ecc. Naturalmente l’interpretazione della norma transitoria si complica laddove, come in diversi contratti collettivi, è prevista una percentuale unica non superabile sia per i contratti a tempo determinato che per la somministrazione. In tale caso riterrei che la eventuale percentuale cumulativa non abbia più vigore e si debba, per il limite percentuale, applicare -per la stipula dei contratti a termine- quella legale (cioé del 20% secondo la previsione contenuta nell’art. 1) mentre per la somministrazione non vi sarebbe più alcun limite atteso che, come sopra rilevato, per tale istituto non vi è alcuna limitazione percentuale prevista legislativamente e quella contrattuale sarebbe caducata per la indeterminatezza tra i due istituti. Non si può a questo punto però non rilevare un’altra incongruenza contenuta nelle nuove norme contenute nel Dl. 34/2014. Infatti abbiamo appena visto la portata della norma contenuta nella disposizione dell’art. 2 bis 2^ co., ma non è possibile non rilevare che la previsione che viene definita provvisoria e che quindi dovrebbe disciplinare una situazione che và a cessare entro un prefissato termine, in realtà così non è. Invero se si pone mente a quanto indicato dal legislatore all’art. 10 7^ co., nel quale espressamente il legislatore ha previsto che la contrattazione collettiva nazionale stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi possano derogare alla percentuale prevista dal 1^ co., ci si accorge immediatamente che la norma da transitoria potrebbe divenire applicabile “sine die”. Forse sarebbe stato opportuno un maggiore collegamento tra le due norme appena esaminate. Con riguardo al comma 3 sempre dell’art. 2 bis viene disciplinata la situazione, niente affatto inusuale, che un datore di lavoro abbia al momento dell’entrata in vigore del decreto in essere un numero di contratti a tempo determinato maggiore rispetto ai limiti quantitativi previsti dal più volte ricordato art. 1. A fronte di tale situazione distingue due ipotesi: la prima che la percentuale in eccesso non sia prevista da alcuna fonte regolamentatrice collettiva, la seconda invece che sia in ossequio ad una previsione collettiva. 16 Nell’ambito di tale differenziazione la previsione legale così –sembrerebbe- la regola: nell’ipotesi in cui il rapporto è disciplinato da un c.c.n.l. che non preveda alcun limite percentuale, il datore di lavoro dovrà assolutamente “rientrare” nel limite percentuale entro il 31.12.2014. Il che vuol dire che dovrà risolvere gli eventuali rapporti stipulati in eccedenza –risolvendo ovviamente quelli temporalmente stipulati dopo il superamento della percentuale- invocando, anche in questo caso, una giusta causa oggettiva per “factum principis”; qualora viceversa il rapporto fosse regolato da un c.c.n.l. che prevede una percentuale maggiore (ed è stata osservata dal datore di lavoro) tale limite permarrà sino alla scadenza del c.c.n.l.. Il mancato adeguamento, che sembrerebbe applicarsi solo nella prima ipotesi, però sembrerebbe che abbia come conseguenza solamente la temporanea inibizione alla stipula di nuovi contratti a termine sino a che non viene osservata la percentuale prevista. 9. CONCLUSIONI Volendo trarre delle conclusioni ed in ossequio all’argomento specifico oggetto “workshop” occorre evidenziare che le nuove forme di flessibilità nel tempo introdotte dal legislatore, rappresentano sia una sicura riposta alla “raccomandazione” da parte della BCE sia una possibile soluzione pere far ripartire l’economia Italiana. C’è però da chiedersi se tali interventi siano – da soli – bastevoli veramente per far ripartire l’economia italiana ovvero se si debba porre mano anche a tutta un'altra serie di provvedimenti che più incisivamente possono far riprendere la produzione in Italia. Da parte mia ritengo sia di prioritaria importanza intervenire per abbattere il costo del lavoro che sicuramente è la variabile più penalizzante per le nostre imprese; se ciò non dovesse avvenire sono dell’avviso che non sortiremmo gli effetti sperati. Proseguendo nella situazione attuale avremo una gran parte di lavoratori precari che, in quanto tali, rallenteranno la ripresa dell’economia che si basa, anche, nell’aumento delle spese e dei consumi che a loro volta generano nuova produzione. Inoltre, si dovrà verificare, una volta che si è certi sulla formulazione definitiva del c.d. contratto a tutele crescenti, se veramente questo possa imprimere una vera inversione di tendenza. Per quanto mi riguarda sono particolarmente scettico poiché un utilizzo oculato del ricorso ai CTD rende del tutto superfluo il ricorso alla nuova disciplina che – almeno sembrerebbe – contiene ugualmente una precarizzazione mascherata, stante la mancanza di tutele nel caso di recesso almeno per i primi tre anni. Dobbiamo, quindi, abituarci a constatare che laddove si dovesse fare un ricorso massiccio ai CTD, le nostre Imprese – almeno quelle di grandi dimensioni – articoleranno il proprio organico suddividendolo nell’80% a tempo indeterminato e il restante 20% a termine. 17 Concludo nell’augurarci che le flessibilità rappresentate, non solo il ricorso ai CTD, ma anche agli altri strumenti affrontati nel nostro “Worshop”, possano veramente rappresentare una giusta soluzione per uscire da questa crisi eccezionale in cui si trova il nostro Paese. 18
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