M. Lastretti M. Tomai C. Lai - Ordine Psicologi del Lazio

M. Lastretti M. Tomai
C. Lai
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Introduzione
Entrare in un ambulatorio di Diabetologia è un’esperienza che cambia e che trasforma.
È uno spazio, quello tra équipe e paziente con diabete, che genera un incontro
che si ripeterà nel tempo, e richiede “rispetto” per la gestione di una malattia
che apparentemente non c’è, ma che lavora da dentro, “da sotto” come racconta
un paziente.
L’idea di questo ebook nasce da noi autori per creare un ponte, o meglio una connessione tra la Psicologia e la Diabetologia, intesa come centro aggregante delle
diverse realtà che la popolano.
Partiamo dal presupposto che una disciplina possa supportare l’altra per funzionare al meglio, e che ogni professionalità, con il proprio ruolo e come fine ultimo,
possa dare, a chi afferisce all’ambulatorio, la sensazione di essere accolto, ascoltato e accompagnato in un percorso che durerà tutta la vita.
Da qui parte l’idea di costruzione di un piccolo compendio che ragioni sulla comunicazione efficace tra gli operatore sanitari (medico, infermiere, dietista, farmacista, informatore medico e psicologo) e la persona con diabete, che almeno
una volta ogni 3/6 mesi, si reca in ambulatorio per provvedere alla cura.
Un modo inedito di approccio al paziente, che gli psicologi e i professionisti della
salute per la persona diabetica possano facilmente utilizzare, rispettando le loro
esigenze cliniche e tempistiche, ma anche la cura e la prevenzione delle complicanze.
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Capitolo 1
Un fulmine a ciel sereno: la diagnosi di diabete,
come si comporta il medico?
La diagnosi di malattia cronica, e in particolare di diabete, viene definita dai pazienti come un “fulmine a ciel sereno”, uno spartiacque nella loro vita, che viene
scandita con un pre e un post diagnosi di diabete.
La comunicazione della diagnosi è quindi una tappa fondamentale, poiché segna
il vero e proprio inizio di un cambiamento.
L’impatto emotivo della diagnosi di diabete varia da persona a persona e dipenderà dalla struttura di personalità ma anche da fattori di natura psico-sociale
(Gentili et al., 2005).
Per il neo-diagnosticato, quello che farà la differenza, oltre alle sue risorse interne, sarà il poter condividere questo stato con le persone a lui più vicine.
È fondamentale, in questo momento di passaggio da “persona” a “paziente”, il
supporto da parte dell’équipe che lo accoglie.
1.1 Shock del paziente: ma ti rivolgi proprio a me?
Strategia: Programmazione della visita
La comunicazione della diagnosi è un momento delicato, in cui il medico ha un
ruolo chiave e strategico.
Per il paziente questo momento è di shock (Kubler-Ross,1998), di rottura biografica.
L’incredulità è il vissuto che frequentemente riferisce il paziente, vissuto che viene ad associarsi a un frequente rifiuto della proposta di cura.
Una buona strategia in questa fase può essere una corretta pianificazione della
visita, che deve essere ben strutturata e garantire un iter fatto di comunicazione
e di creazione di una relazione di cura.
È fondamentale, per il clinico, comprendere e individuare questa fase, rivolgendosi al paziente con una comunicazione che necessariamente deve riflettere il
vissuto emotivo del paziente.
Si tratta di una comunicazione efficace che trovi un equilibrio fra quanto il paziente può apprendere in questo momento, e la corretta selezione da parte del
clinico di informazioni da dare in questo primo incontro.
È da considerare infatti che il neo-diagnosticato è spaventato, e la sua capacità
di afferrare informazioni di cura è pari al 30% circa rispetto allo standard di altri
contesti comunicativi.
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La comunicazione efficace si articolerà in step:
•
•
•
•
•
•
Accoglienza
Comunicazione della diagnosi
Ascolto del vissuto della persona
Dare informazioni
Fissare un appuntamento nel giro di poco tempo
Inviare all’infermiere per l’educazione ai controlli glicemici
L’accoglienza, spesso sottovalutata, è in realtà fondamentale e assolutamente vitale per il paziente.
È il primo momento attraverso il quale nasce la relazione terapeutica, sono i primi passi di un percorso.
Immaginiamo quanto è importante essere accolti quando si entra in un negozio
o in un ristorante: la nostra percezione del posto, con una buona accoglienza, fa
sì che ci si possa sentire a nostro agio e ben disposti verso quello che andremo a
intraprendere.
È la stessa cosa per il paziente che arriva da noi clinici: alzare lo sguardo dal pc,
stringere la mano, invitarlo ad accomodarsi e chiedere qualcosa di lui, occupa
meno di un minuto, e favorisce nel paziente un primo e importante aggancio.
A seguito della presa visione delle analisi cliniche è importante mostrare, facendo
materialmente vedere quelli che sono i valori che definiamo “sballati” o fuori dai
range, e così accompagniamo o meglio predisponiamo il paziente verso la ricezione della diagnosi.
Il linguaggio dovrà essere semplice, fatto di piccole frasi che descrivano cosa sia
la malattia, senza virtuosismi clinici.
Immaginate di spiegarla a un bambino, chiaramente più evoluto!
A questo punto è importante sintonizzarsi con il vissuto del paziente, comprendere chi abbiamo davanti a noi.
L’empatia, ossia mettersi nei panni dell’altro, ci consentirà di percepirlo e di comprendere cosa sta provando, e sarebbe opportuno in questa fase dare al paziente
la possibilità di esprimerlo, e di chiedere cosa non capisce (Hojat et al., 2011).
Il clinico avrà nella fase del dare informazioni un ruolo fondamentale di contenimento: la scelta del modo e del tono con il quale rivolgersi al paziente sarà cruciale.
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Le informazioni, che saranno poche ma chiare, saranno contenitive di un disagio
emotivo.
In questa fase è bene rassicurare il paziente, sul fatto che lo si accompagnerà nella comprensione di quello che gli sta capitando.
Sarebbe opportuno fissare con lui appuntamento ravvicinato, nel quale si stabiliranno i primi obiettivi di cura e la visita con la figura del dietista.
Altro momento importante è l’invio all’infermiere, per la parte educativa di spiegazione dell’uso del glucometro e dei relativi controlli.
Questa parte è fondamentale, in quanto il paziente inizia a saggiare e ad addentrarsi nel mondo del diabete, un mondo che gradualmente dovrà entrare a far
parte della sua vita.
Sarà molto delicato il ruolo dell’infermiere che necessiterà anche lui di un linguaggio semplice alternato a momenti applicativi pratici.
La spiegazione sarà fatta in piccoli passaggi, poi si chiederà al paziente di ripetere
insieme, non solo per vedere se ha capito ma anche per accompagnarlo.
Immaginiamo l’ingresso in una stanza che non conosciamo: la scoperta dei particolari arriva con il tempo, inizialmente siamo colpiti da ciò che troviamo più vicino
a noi, e solo successivamente iniziamo a guardarci intorno e a notare più dettagli:
gli arredi, le luci, i quadri ecc.
Così avverrà per il paziente al suo primo incontro con l’operatore sanitario.
1.2 Perché mi dici questo?
Dall’aggressività all’ “ad-gredior” del paziente… sono in movimento!
Strategia: Ascolto attivo
Il paziente, superato il primo incontro, inizia in questa nuova fase a muoversi e a
comprendere che qualcosa sta ormai cambiando in lui.
Una modificazione che fa paura, che produce una rottura biografica: e questo fa
sì che il paziente si possa sentire arrabbiato e aggressivo nei confronti dell’operatore sanitario.
Il paziente è infatti spiazzato, ha in mano una diagnosi e le prime prescrizioni, dovrà iniziare il controllo glicemico e seguire un nuovo regime dietetico: ha quindi
davanti a sé una serie di impedimenti a quella che era fino a poco tempo prima la
sua vita “normale”.
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Alla visita l’operatore sanitario incontrerà una persona che potrà portare tutta la
sua paura, non ancora ben definita nelle sue modalità espressive.
La maggioranza delle reazioni sono di caparbietà (Gentili et al., 2005), svalutative, con tentativi di eludere la dieta e anche una vera e propria inosservanza di
molte delle richieste di cura proposte.
Il paziente, infatti, non sente come proprie tutte le sue nuove attività, non le riconosce e questo fa sì che non le comprenda, e piuttosto si fidi o di dicerie da parte
di “chi ci è già passato”, o di informazioni che prenderà dal web tentando di squalificare il lavoro del team.
È fondamentale in questa fase comprendere che questa aggressività del paziente non è indirizzata realmente verso l’operatore sanitario, ma verso la malattia e
verso sé stesso.
L’idea del senso di colpa per essersi procurati questa malattia è il vissuto emotivo
che lo segue, tutto intorno a lui cambia, lui stesso è in cambiamento.
Immaginate di fare una foto, un “primo piano”: tutto lo sfondo sarà sfocato e abbraccerà la figura centrale. Il paziente è un po’ come nella foto: in primo piano,
mentre lo sfondo è molto netto e sta cambiando: è in corso quindi un vero e proprio movimento interno, che mostra lo sforzo del paziente di adattarsi a questa
nuova condizione. L’aggressività di cui sopra può quindi essere considerata funzionale (Gentili et al.,2005).
Sarà importante quindi instaurare un buon clima basato sull’empatia, utilizzando
la tecnica dell’ascolto attivo, inteso come uno strumento che favorisca l’ apertura
e l’espressione del paziente.
Grazie all’ascolto attivo il paziente si sentirà incluso nel processo comunicativo
e in quello del suo percorso di cura, diventandone partecipe e non più spettatore
(Burla, 2014).
Immaginiamo che il paziente ci dica: «Quando ho ricevuto la diagnosi di diabete, volevo solo morire»; in una modalità di ascolto attivo potremo rispondergli
«Deve essere stato molto doloroso per lei vivere quel momento». Con queste parole gli mandiamo il messaggio di avere compreso empaticamente quello che lui
ci sta raccontando, e inoltre gli abbiamo dato uno slancio diverso.
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1.3 I primi approcci alla relazione terapeutica: Vorrei essere curato così…
Strategia: Comunicazione descrittiva
Il paziente gradualmente sta ascoltando le prime fondamentali prescrizioni che
gli vengono proposte, tenta una prima “danza” di adesione al trattamento, danza
nella quale però zoppica, perché è ancora un principiante.
In questa fase, molto spesso il paziente inizia a proporci nuovi modi di poter concepire la sua terapia basati su una propria costruzione mentale (Gentili et al.,
2005).
Questo momento può essere definito come “momento della trattativa”: il paziente prova a negoziare la sua cura (Gentili et al., 2005), e questo è associato alla sua
difficoltà ad aderire alle prescrizioni e alla sua nuova identità.
L’operatore sanitario non deve percepire questa attitudine come una sfida, bensì
come un modo per conoscere il paziente e le sue abitudini, così da poter iniziare
una terapia che possa essere “cucita addosso” al paziente, e che si basi sulle evidenze cliniche ma anche sulle esigenze di vita.
La tecnica suggerita è quella della comunicazione descrittiva, basata sulla capacità di riportare i fenomeni, le parole del racconto, così come il paziente ce le
riporta, cercando nella risposta di mantenerci dentro realtà oggettiva riferita, e
creando la possibilità di costruire insieme a lui la sua cura.
Il linguaggio dell’operatore sanitario sarà molto semplice e descrittivo, ma soprattutto si baserà sull’ assenza di giudizio e la riformulazione dei suoi contenuti.
Per esempio, il paziente ci dice: «Arrivo all’ora di cena famelico, so che dovrei controllarmi, contare i carboidrati, ma se mi hanno preparato un piatto di pasta, il
mio pensiero non va all’insulina, ma penso a mangiare, perdo il controllo!»; anziché rispondere «Così non ci siamo, lei deve…» (quindi manifestando un giudizio),
possiamo invece riformulare il contenuto della dichiarazione del paziente così:
«Se ho capito bene, lei mi sta dicendo che arriva molto affamato ai pasti, che se
li ritrova esposti ha maggiore difficoltà. Bene, troviamo una soluzione insieme
chiediamo anche al dietista»; il tono della conversazione cambia, paziente e operatore sanitario “lavorano” insieme all’obiettivo di cura.
Il paziente si sentirà compreso, non giudicato e incluso, e tale atteggiamento potrà favorire una sua migliore adesione al trattamento.
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1.4 Vedo tutto nero…. Ne uscirò?
Strategia: Riformulazione
Il paziente, successivamente a questo suo percorso di accettazione o meglio di
nuova convivenza con la malattia, alterna stati emotivi differenti. Potrà capitare
che ci racconti di sentirsi incompreso, e inizi a domandarsi perché proprio a lui,
passando così dalla negazione della patologia alla consapevolezza di essere malato.
Le visite saranno intense in questa fase, e per quanto brevi in termini di tempo,
avranno un carattere riepilogativo, comportando spesso per l’operatore sanitario l’impressione di una durata soggettiva talvolta inaccettabilmente prolungata,
sia in termini di contenuti che di implicazioni psicologiche.
È come se vi fossero due tempi: quello esterno del medico, fatto di regole, burocrazia, e di decisioni strategiche, veloce e improntato verso una soluzione comune, contrapposto al tempo interno del paziente, che invece si propone come
lento, triste e carico di vissuti di inappropriatezza.
Inoltre tali manifestazioni possono apparire per l’operatore sanitario come un
primo fallimento. Una domanda tipica potrebbe essere: «Ma come, abbiamo costruito una schema di terapia ad hoc e ci ritroviamo punto e a capo?»
In questa fase è essenziale non arrendersi, non farsi travolgere dai vissuti del paziente aggiungendo i nostri sentimenti di insoddisfazione ai suoi.
La visita si baserà sull’ascolto attivo, tendendo a riformulare i contenuti della
comunicazione del paziente.
Immaginiamoci come un eco che risuona in una scala: facciamo sentire al paziente quello che ci ripropone, verifichiamo che lo comprenda anche lui.
Per esempio, se il paziente ci dice «Non mi sento mai adeguato, penso di sbagliare
la cura», potremmo rispondere «Mi sta dicendo che ha delle difficoltà, vogliamo
rivedere insieme la sua cura?
Avremo così l’occasione di dare ascolto e voce al vissuto del paziente, e potremo
dargli una nuova chiave di lettura, che rappresenti una visione condivisa.
In questa fase sarà importante dare più informazioni, per una duplice funzione:
contenimento di un vissuto, ma anche insieme con il paziente spostamento del
focus su nuove competenze che possano alleggerire i contenuti di difficoltà da lui
proposti.
Il tutto, anche in questa fase, dovrà essere caratterizzato da assenza di giudizio, e
ci si focalizzerà sulle respons-Abilità del paziente non sulle sue criticità.
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È importante in questa fase accettare ciò che il paziente sente: questo rappresenta un ulteriore momento di crescita e di incorporamento di una nuova identità.
Per esempio: Giovanni, pensionato con la passione dei libri, ansioso e curioso, e
anche, ma non solo… Diabetico!
Capitolo 2:
Adattamento alla cronicità:
favoriamo una buona relazione con la malattia e non solo!
Strategia: Tecniche Motivazionali
Il nuovo paziente lentamente inizia ad adattarsi alla sua nuova condizione, quella
di essere una persona con “anche” il diabete, alternando le fasi descritte nel ciclo
di Kubler-Ross (1998) in maniera del tutto personale e tutta sua.
Ogni paziente ha infatti i suoi tempi di riconoscimento di sé stesso verso un progressivo adattamento alla malattia (Gentili et al., 2005).
Nonostante l’accettazione, in questa fase può accadere che il paziente, per stanchezza o per rifiuto di un controllo quotidiano rigido, tenda ad abbandonare le
prescrizioni di cura, producendo nell’operatore sanitario sentimenti di frustrazione, difficoltà e impotenza.
Quindi per l’operatore sanitario ancora una nuova sfida, sia verso il suo lavoro
che verso di sé.
Sarà importante qui verificare come sta il paziente sotto il profilo cognitivo ed
emotivo, anche attraverso l’uso di questionari come per esempio ATT 19 (Welch
et al.1994) che valuta l’adattamento psicologico al diabete.
In base alla visita e ai risultati ottenuti nel questionario, possiamo, nei casi meno
importanti, pensare di impostare la visita attraverso strategie motivazionali
che si sommino alle strategie di comunicazione efficace che abbiamo incontrato
nella parte precedente.
È stato infatti visto da studi come quelli di Smiths (1997) quanto un approccio
che includa la motivazione possa modificare l’adesione al trattamento da parte
del paziente.
La motivazione è uno stato dinamico di una disposizione o di desiderio di trasformazione che può fluttuare da un momento a un altro (Miller, 2004): potremmo affermare che essa si muove in parallelo con il cambiamento.
Il poter essere motivatori riveste nella visita un ruolo centrale, poiché ci consenPer saperne di più: www.ordinepsicologilazio.it | facebook.com/ordinepsicologilazio | twitter.com/psicologilazio
te di entrare in contatto con il paziente attraverso nuove modalità.
Al centro dell’intervento c’è il paziente in relazione con l’operatore sanitario:
questo cambio di prospettiva porta a grandi risultati, perché si passa dal cercare
la compliance del paziente ad avere la sua adherence al trattamento (Gentili et al,
2005).
Il ruolo dell’operatore sanitario è quello di essere un facilitatore, in nessun modo
autoritario, perché la responsabilità del cambiamento è lasciata al singolo (Di
Berardino et al., 2008), favorendo così nel paziente un nuovo ruolo: essere attivo
nel suo processo di cura.
Tali tecniche sono (Rollnick & Miller, 2004):
• Uso di domande aperte che mettano a proprio agio il paziente e che ne favoriscano un’apertura; ad esempio: «Come sta andando in questa nuova fase?».
• Amplificazione delle discrepanze nelle idee del paziente tra il comportamento attuale e gli obiettivi desiderabili; ad esempio: «Mi dice che non vuole misurarsi mai le glicemie… Lo capisco, è molto impegnativo: possiamo vedere insieme come muoverci?».
• Evitare dispute e discussioni: se non siamo d’accordo possiamo dirlo, ma evitiamo di metterci in cattedra per dimostrare che abbiamo ragione. Occhio alla
comunicazione non verbale!
Sarà anche qui importante fornire spiegazioni al paziente, dandogli la possibilità
di “masticarle” e “digerirle”.
Queste strategie possono favorire un cambiamento nel paziente, rendendolo in
grado di scegliere come poter favorire il ben-Essere.
Sono tecniche replicabili da tutto il team, sia dal dietista che dall’infermiere.
Sarà molto importante una condivisione nell’équipe per individuare quale sia il
migliore modo per aiutare il paziente, ma anche per facilitarsi il lavoro.
Capitolo 3:
La chiave di volta nella gestione della persona con diabete.
Strategia: Multidisciplinarietà
La malattia diabetica è molto complessa, come abbiamo visto e come spesso avete modo di sperimentare nella vostra pratica clinica.
Richiede molta cura, come una pianta di orchidea, così delicata che necessita delPer saperne di più: www.ordinepsicologilazio.it | facebook.com/ordinepsicologilazio | twitter.com/psicologilazio
la giusta luce e della giusta acqua.
Così è il nostro rapporto con il paziente, che ci consente di esplorare anche nuovi
modi di stare in relazione, ma allo stesso tempo ci impone una forte conoscenza
di noi stessi.
Abbiamo visto quanto un buon scambio di informazioni possa favorire una migliore visione del paziente stesso e quanti modi ci sono per entrarci in contatto;
possiamo comprendere quanta energia questo nuovo modo comporti!
La circolarità di buone informazioni, il sentirci parte di un team, può favorire una
migliore aderenza alla terapia del paziente da un lato, e una maggiore leggerezza
nella decisione di cura, poiché le nostre risorse saranno un bene comune per il
team.
Possiamo quindi affermare, anche basandoci sugli studi in letteratura (Adler et al,
2013), che la multidisciplinarità favorisce anche nel paziente una migliore adesione al trattamento, poiché è parte anche lui di un ingranaggio di cura.
Il lavoro di équipe garantisce:
• il raggiungimento di alti standard;
• paziente consapevole, parte attiva nella sua pianificazione.
Capitolo 4:
Nuovi scenari possibili nel diabete di tipo 2:
analisi e proposta di nuove progettualità
Il diabete di tipo 2 ha assunto ormai il ruolo di malattia sociale per via della sua
elevata prevalenza e della sempre crescente incidenza nel mondo occidentale. In
Italia colpisce il 6% della popolazione circa 3,5 milioni di persone, numero destinato ad aumentare.
L’adherence al trattamento rappresenta uno dei problemi più importanti della
pratica clinica, soprattutto nel lungo termine, ponendo spesso i professionisti della salute e i pazienti stessi in situazioni di impasse.
Il problema dell’adesione al trattamento richiede infatti un rivoluzionario lavoro
da parte delle équipe, che deve considerare il paziente non come ricettore di regole da seguire, ma come parte attiva del suo processo di cura.
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Numerose evidenze denunciano grosse difficoltà nel seguire correttamente il regime terapeutico consigliato in un rilevante numero di pazienti affetti da diabete.
La scarsa adesione determina il manifestarsi di complicanze mediche e psicologiche della malattia, peggiora la qualità di vita e porta ad un inutile dispendio di
parte delle risorse destinate all’assistenza.
Tra i fattori che inficiano l’adesione alla terapia, quelli psicosociali svolgono un
ruolo di rilievo. La preoccupazione per le proprie condizioni fisiche e aspettative
di vita favoriscono l’instaurarsi di stati depressivi, mentre le ricorrenti preoccupazioni inerenti la gestione della malattia attivano uno stato continuo di ansia.
Porre attenzione agli stati d’animo e alle dimensioni emotive diventa un elemento cruciale nella gestione della malattia.
A oggi, molti sforzi si sono concentrati sull’educazione del paziente con l’ottenimento di ottimi risultati; tuttavia, più di recente, la conoscenza della malattia è
stata riconosciuta un presupposto necessario ma non sufficiente per sostenere la
motivazione del paziente nel suo processo di cura.
Autorevoli studi internazionali denunciano un’attenzione insufficiente agli aspetti
psicosociali della malattia e sollecitano una maggiore disponibilità di attenzione e
di risorse per il supporto psicologico delle persone diabetiche e dei loro familiari.
L’Ordine degli Psicologi del Lazio, con il patrocinio e la collaborazione di AMD,
avvierà un progetto di intervento sul diabete di tipo 2 con l’intento di dare una
risposta a questo bisogno e dimostrare, al contempo, i benefici rilevanti in termini
di spesa per il SSN.
Il progetto, che ha l’intento di sensibilizzare i professionisti della sanità (farmacisti, medici di base, dietisti, diabetologi ecc.) che si interfacciano con la persona
diabetica, si articolerà in 3 obiettivi:
1. Costruire moduli di formazione gratuiti su strumenti di comunicazione efficace con pazienti affetti da diabete per sviluppare capacità di cogliere bisogni
psicologici nei propri utenti.
2. Costituire una rete di psicologi con esperienza professionale in ambito sanita
rio e diabetologico. La rete di psicologi sarà situata nelle aree di riferimento dei
professionisti della Sanità partecipanti al progetto. Ciascun operatore sanitario potrà inviare pazienti e/o loro familiari ad uno psicologo per una consulenza.
3. Avviare un progetto di ricerca di valutazione dell’efficacia dell’intervento
psicologico sulla qualità di vita del paziente, sul miglioramento di aderenza e
sull’abbattimento di costi per il Sistema Sanitario Nazionale.
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La ricerca valuterà l’efficacia di un trattamento psicologico di gruppo, nel favorire
l’accettazione della condizione di diabetico e l’aderenza al trattamento medico.
L’Ordine degli Psicologi del Lazio propone quindi un progetto di lavoro innovativo
nel quale la chiave di volta sarà l’équipe multidisciplinare che includa lo psicologo
come strumento di cura, favorendo così l’empowerment del paziente affetto da
diabete di tipo 2 e garantendo un miglioramento nell’adherence e una riduzione
importante di spesa a carico del SSN.
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Bibliografia
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Family Practice, 2013, Oct., Vol. 62, Issue 10, pp. 542-547
Burla F. , Manuale di Psicologia Clinica e Psicopatologia. Piccin, Padova, 2014
Di Berardino P., Gentili P., Bufacchi T., Agrusta M., Manuale di formazione all’intervento psicopedagogico in Diabetologia. Pacini, Pisa, 2008
Gentili P., Burla F., Di Berardino P., Di Pietro S., Manuale di formazione Psicopedagogica in Diabetologia. Pacini, Pisa, 2005
Hojat M., Louis DZ, Markham FW, Wender R., Rabinowitz C., Gonnella JS., Physicians’ empathy and clinical outcomes for diabetic patients. Acad Med. 2011,
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Kubler-Ross E., La morte e il morire, La Cittadella, Assisi, 1998
Miller WR, Rollnick S., Motivational interviewing: Preparing people to change
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