COVER STORY 34 QUANTO DONANO GLI ITALIANI? L’ABBIAMO SCOPERTO Era una domanda a cui nessuno sapeva rispondere. La generosità degli italiani è sempre stata una nebulosa dai contorni confusi. Attraverso un’inchiesta completa, incrociando tanti dati a disposizione siamo arrivati a una cifra molto vicina al dato reale. Più alta di quanto presunto. Meno alta rispetto ad altri Paesi VITA — marzo 2015 › ogni anno 4,584 miliardi donazioni individuali 2,6 miliardi offerte alle parrocchie 4,372 miliardi altre donazioni private 35 11,5 MILIARDI Il primo e il terzo dato sono tratti dal Censimento Istat 2011. Quello sulle offerte alle chiese è ricavato da Vita facendo media sui bilanci di un campione di parrocchie. Sul dato delle donazioni individuali, Istat evidenzia alcune ottime performance, come quelle della cooperazione internazionale che raccoglie 597 milioni o delle associazioni sportive che arrivano a 922 milioni (dati 2011). Questi dati, aggiornati all’inflazione, portano a presumere una cifra di 12miliardi. O pen Giving Italy 2015: quanto donano gli italiani? Di preciso non si sa, ma di sicuro abbastanza. O meglio: più di quanto dicano i sondaggi, anche se meno di quanto potrebbero. Donano infatti circa 116 euro l’anno a testa, contro i 220 degli inglesi e i 750 degli americani. In effetti, gli Stati Uniti restano il benchmark mondiale dell’altruismo, molto più generosi e infinitamente più precisi nella raccolta dei dati filantropici, mentre noi fatichiamo a tenere traccia di quanto ci esce di tasca per una buona causa. Quasi non fosse importante, quasi l’invito evangelico “non sappia la destra ciò che fa la sinistra” si applicasse solo ai conti della bontà. Vita ha comunque voluto provare ad avventurarsi nel calcolo, mettendo insieme dati stimati e numeri ufficiali, bilanci pubblicati e studi approfonditi, seguendo la traccia autorevole del rapporto Gi- ving Usa pubblicato dal Giving Institute di Chicago che ogni anno fotografa la generosità degli americani suddividendo le donazioni per fonti di provenienza: privati cittadini, aziende, fondazioni e lasciti testamentari. Tanto per avere un’idea, nel 2013 (ultimo dato disponibile), gli americani avevano scucito 335 miliardi di dollari a favore delle organizzazioni non profit, di cui il 72% proveniva da individui, marzo 2015 — VITA G I V I N G I TA LY 2 0 1 5 mentre da noi la quota di donazioni da privati cittadini sul totale dei contributi privati, calcolata in base ai dati Istat, arriva al 58%. Donazioni da individui 36 La differenza sta nel fatto che se negli Usa ragionano su certezze, noi andiamo molto più a spanne; se Oltreoceano si prendono i dati fiscali relativi alle deduzioni e detrazioni previste per le erogazioni liberali, e da lì si calcola il totale donato, da noi - per incredibile che possa sembrare - non esiste nessuna misurazione ufficiale simile, sebbene le agevolazioni fiscali per chi sostiene il non profit non manchino. La Commissione Vieri Ceriani, incaricata dal governo Monti di calcolare nel 2011 quanto lo Stato non incassa a causa dalle “norme di maggior favore” fiscale, aveva conteggiato in totale 700 vantaggi, di cui un centinaio relativi al “senza fine di lucro”, per un totale di 1,3 miliardi di minori entrate solo in questo capitolo. Vista la giungla delle regole e delle aliquote, però, questo numero non serve a dare un’idea della generosità degli italiani, anche se spiega la difficoltà e la riluttanza di tanti contribuenti ad approfittare di agevolazioni tanto numerose quanto bizantine e, in definitiva, poco incisive. Il Fisco, che ovviamente ne sa, incassa e tace. Sul tema non fornisce dati, no- nostante richieste ufficiali avanzate dal ministero del Welfare oltre un mese fa e sebbene più di un dirigente delle Entrate abbia confidato che per Sogei, la società informatica del ministero dell’Economia che tratta tutte le dichiarazioni, «basterebbe un clic». Lasciata la pista delle Finanze, rimane quella statistica, e in particolare il censimento Istat sulle Istituzioni non profit del 2011, che ha analizzato con precisione le entrate delle 300mila organizzazioni del nostro Paese. Dal volume emerge che il Terzo settore ha avuto in quell’anno entrate per 63,9 miliardi di euro, di cui quasi 36 finiti al Nord e oltre 20 al Centro. Ma quanti di questi soldi provengono da singoli cittadini? Secondo l’Istat, i proventi da «contributi, offerte, donazioni, lasciti testamentari e liberalità», cioè da individui, sono stati pari a 4,5 miliardi (di cui quasi il 40% ricevuti da organizzazioni con sede nel Centro Italia), mentre quelli catalogati come «altre entrate di fonte privata» erano pari a 4,3 miliardi. In totale, dunque, per l’Istat le donazioni private al non profit ammontavano a circa 9 miliardi, il 14% del totale. Le donazioni da individui, tuttavia, restano ferme a 4,5 miliardi. Poco? Per qualcuno sì: «In base ai nostri calcoli la quota di donazioni private al non profit è più alta, e si attesta attorno al 30%, mentre quella da individui a circa il 59% di quest’ultima percentuale», osserva Giuseppe La vocazione donativa degli italiani raccontata attraverso particolari di opere famose e non. Dall’alto in basso: Gian Martino Spanzotti, L’elemosina di san Domenico. Pietro Saltini, L’elemosina. Pasqualino Rossi, L’elemosina di Santa Lucia A sinistra: L’elemosina di San Lorenzo, capolavoro di Beato Angelico, alla Cappella Niccolina in Vaticano VITA — marzo 2015 › Offerte in chiesa 26mila parrocchie in Italia 100mila euro la raccolta media annua (escluse le 38mila chiese non parrocchiali) 2,6 MILIARDI 37 Quanto si può stimare che i fedeli donino ogni anno alle parrocchie del nostro Paese, in termini di offerte durante le celebrazioni o per cerimonie, elemosine, collette per diverse cause sociali, contributi per le attività ricreative organizzate negli oratori. Secondo un esperto contabile di una grande diocesi del Nord Italia, infatti, le entrate medie annuali da contributi di privati di una parrocchia italiana si attestano intorno ai 100mila euro, che moltiplicati per le 26mila censite dalla Cei dà l’idea di quanto gli italiani siano generosi con le chiese del territorio (molte, tra l’altro, pubblicano online i propri bilanci). Praticamente impossibile, invece, sapere quanto “incassano” le altre 38mila chiese non parrocchiali. Ambrosio di Unicredit Foundation, tra gli autori della ricerca Il valore economico del Terzo settore (2012), basata su un campione rappresentativo di oltre 2000 organizzazioni non profit, le cui entrate medie sono state calcolate in 286mila euro annui. «Fatti i debiti conteggi, si arriva a 12 miliardi totali di entrate da parte di individui. Un dato che secondo me non è sovrastimato», ragiona Ambrosio, che pur ammettendo di aver lavorato su un campione di organizzazioni molto attive nella raccolta fondi, scommette su una quota notevole di donazioni informali: «Pensiamo alle associazioni piccole e medie attive sul territorio, a cui arrivano moltissime donazioni in denaro, oppure alle tante iniziative di beneficenza di quartiere, alle cene solidali, alle vendite informali di torte o oggetti fatti in casa… questo mondo di solidarietà quotidiana esiste, ma sfugge a qualsiasi indagine». «Difficile quantificare quanto sfugge all’occhio. Ma una quota variabile tra il 20 e il 40% dei donatori utilizza solo il canale informale». Luciano Zanin L’informale Già, l’informale. Alzi la mano chi può dire di non aver mai dato neppure un euro senza pretendere una ricevuta, e di non aver mai utilizzato spiccioli e contanti per contribuire a una buona causa. «Non tutti sono a conoscenza dei van- taggi fiscali riservati ai donatori, altri invece li conoscono ma pensano non valga la pena di approfittarne, soprattutto per poche decine di euro l’anno», conferma Luciano Zanin, presidente dell’Associazione italiana fundraiser. «Quantificare quanto sfugge all’occhio, in questo caso benevolo, del fisco non è facile, ma direi che una quota variabile tra il 20 e il 40% dei donatori utilizza solo il canale informale». Una percentuale notevole, ma non irrealistica, se si pensa all’alveo solidale che raccoglie la maggior parte del contante: le offerte alle realtà religiose, parrocchie in testa. Un universo popolato da oltre 26mila realtà (a cui bisogna aggiungere secondo la Cei altre 38mila chiese non parrocchiali), che redigono e fanno approvare un bilancio in sede di Consiglio Pastorale, e che spesso utilizzano il web per rendere noto ai fedeli il proprio conto economico. marzo 2015 — VITA G I V I N G I TA LY 2 0 1 5 38 E così in rete si scopre, per esempio, che tra offerte varie, elemosine, opere di carità e contributi per attività ricreative, nel 2013 a Catanzaro la Parrocchia Mater Domini ha raccolto solo 16.800 euro, ma a Cornaredo (Milano), quella dei Santi Giacomo e Filippo ne ha “tirati su” 425mila; e se a Chioggia alla parrocchia di Sant’Ignazio sono arrivati 37.500 euro, a Sant’Angelo Lodigiano la chiesa dei Santi Antonio Abate e Francesca Cabrini ne ha ricevuti ben 540mila. «La media delle offerte raccolte in un anno da una parrocchia è di circa 100mila euro», si sbilancia un esponente di un ufficio economico diocesano del Nord Italia che chiede di non essere citato. «Senza contare i grandi santuari, che però spesso non fanno parte delle amministrazioni diocesane». Insomma, considerando solo le parrocchie la stima per difetto si ferma a 2,5 miliardi di euro l’anno, che sommati ai 4,5 dell’Istat permettono di stimare in 7 miliardi le donazioni da individui del nostro Giving Italy 2015. E pensare che in base a uno dei report più quotati, il moni- toraggio “Italiani solidali” prodotto ogni anno da Doxa intervistando un campione di oltre 1000 italiani con più di 15 anni, solo il 28% ha «sostenuto con donazioni o con offerte in denaro associazioni senza scopo di lucro o fatto una donazione in denaro per una causa di solidarietà», devolvendo in media soli 44 euro nel 2013, per un totale di 640 milioni, 10 euro a testa l’anno. Possibile? Discutibile, per lo meno, stando ad alcuni dati empirici come per esempio i bilanci delle prime 20 associazioni destinatarie del 5 per mille (tolte quelle che si occupano di intermediazione fiscale), che da sole hanno ricevuto dagli italiani qualcosa come 380 milioni nel 2013. E come dimenticare che le offerte vie sms dei quattro operatori principali ammontano a oltre 30 milioni ogni anno, e il settore del sostegno a distanza a favore dei bambini nei Paesi in via di sviluppo che muove da solo 150 milioni? Insomma, gli italiani non saranno come gli americani, ma certo donano più di 10 euro a testa l’anno. Anche se non amano dirlo in giro (soprattutto ai sondaggisti). Dall’alto in basso, Lorenzo Lotto, particolare dell’Elemosina di Sant’Antonino. Masaccio, la Carità di San Pietro alla Cappella Brancacci di Firenze Qui Usa Qui Italia Il paradiso delle agevolazioni. Si deduce il 50% dell’imponibile 4 ottobre sarà giorno del dono. Per allargare la platea S U tati Uniti, paradiso dei donatori. Nel senso di paradiso fiscale, ovviamente: negli Usa infatti è previsto un regime di agevolazioni particolarmente favorevole per chi dona alle organizzazioni del Terzo settore denaro, servizi o beni materiali. Partiamo dalle donazioni in denaro: ciascun contribuente ha diritto a dedurre qualsiasi somma elargita a una charity, a patto che non superi il 50 per cento del proprio imponibile lordo (limite che in alcuni casi si abbassa al 30 per cento, a seconda del tipo di organizzazione sostenuta). Qualunque importo donato oltre la metà dell’imponibile non è deducibile in quell’anno fiscale, ma può essere portato in deduzione l’anno successivo e per ulteriori quattro anni. In pratica, se un imprenditore americano dichiara 2 milioni di dollari di imponibile, può dedurre totalmente una donazione fino a 1 milione. Grossi vantaggi anche per chiunque metta a disposizione di un’organizzazione non profit i propri servizi professionali. Infine, chi regala a una non profit dei beni immobili, ha diritto alla deduzione totale del valore dell’immobile (per una sola annualità), mentre la charity che riceve la donazione non è tenuta a versare alcun tipo di imposta. VITA — marzo 2015 na proposta di legge per istituire il Giorno del Dono, una giornata dedicata a diffondere la cultura della donazione, potrebbe presto essere approvata in seconda lettura dal Senato e diventare legge, dopo aver già incassato l’ok della Camera. Il progetto, il cui primo firmatario è l’ex presidente della Repubblica e senatore a vita Carlo Azeglio Ciampi, è frutto tra l’altro dell’impegno dell’Istituto Italiano della donazione presieduto dall’onorevole Pd Edoardo Patriarca, che è stato relatore del provvedimento alla Camera. «In questo tempo di crisi, portare all’attenzione dell’opinione pubblica il tema del dono ha un particolare significato», dice Patriarca, perché ci permette di riscoprire il valore della gratuità, che si batte contro l’indifferenza e ricostruisce relazioni di fiducia e reciprocità». Non una “istituzionalizzazione” del dono, chiarisce l’onorevole, ma una «valorizzazione della solidarietà così diffusa tra gli italiani e un’occasione per coinvolgere non solo le organizazioni non profit, ma anche tutte le realtà produttive socialmente responsabili, le scuole, le università e le pubbliche amministrazioni». La data scelta è quella del 4 ottobre, festa di San Francesco. IL FISCALISTA Più informazioni e più tutele per il donatore di Antonio Cuonzo L ungi dal voler e poter fornire una vera e propria “ricetta” sul come incentivare le erogazioni liberali dei privati e delle aziende a favore dei soggetti del Terzo settore nelle settimane della sua Riforma, abbiamo provato qui ad esprimere delle considerazioni generali, anche de iure condendo, in merito a determinati passaggi che, ad avviso di chi scrive, potrebbero forse far compiere qualche passo in avanti nella ricerca dell’obiettivo in questione: aiutare il crescere dell’economia civile nel nostro Paese. Una prima considerazione in tal senso, ci sembra possa riguardare una diversa consapevolezza da far acquisire al donatore al momento in cui viene modificata qualche disposizione riguardante le agevolazioni fiscali relative alle erogazioni liberali. È certamente utile, ad esempio, rendere noto al donatore che le detrazioni fiscali per le erogazioni liberali a favore delle Onlus sono oggi passate dal 19% al 26% (e il tetto ampliato da 2065 euro a 30mila), ma bisognerebbe a nostro avviso rendere edotto il donatore stesso anche in merito alle finalità di simili cambiamenti e in merito agli effetti positivi che potrebbero scaturire da un suo comportamento attivo più consapevole. Al “donatore abituale”, ad esempio, andrebbe spiegato che la modifica normativa non è fatta solo e soltanto per premiare maggiormente la sua generosità ma che è proprio dall’aumento della percentuale di detrazione che potrebbero ottenersi maggiori risorse a favore delle Onlus lasciando ipoteticamente inalterato lo sforzo finanziario del donatore stesso. Occorrerebbe in tal senso spiegargli che, se con la precedente detrazione al 19% il donatore che erogava 100 euro aveva una “spesa netta” di 81 euro, oggi, con la nuova percentuale di detrazione, quello stesso donatore potrebbe mantenere inalterata quella “spesa netta” (81 euro) erogando tuttavia circa 110 euro anziché 100 euro: a fronte di simile comportamento, la sua condizione di “spesa” rimarrebbe inalterata ma le Onlus avrebbero maggiori risorse a disposizione (110 anziché 100) e lo Stato avrebbe reso efficiente la sua politica fiscale. In fin dei conti, occorrerebbe solo spiegargli, come sembra abbia funzionato con il sistema del 5 per mille, che per il “donatore abituale” che erogasse di più, la situazione potrebbe rimanere invariata ma il sociale potrebbe guadagnarci. Una seconda considerazione, poi, potrebbe riguardare la necessità di garantire al donatore, per certi versi rassicurandolo, l’accessibilità agli albi che garantiscono una preliminare verifica all’entrata sugli enti in questione (avete mai provato a cercare online l’Anagrafe delle Onlus italiane o a chiederla alle singole Direzioni regionali?). In tal senso, siamo portati a ritenere che il donatore possa sentirsi rassicurato anche e soprattutto dalla possibilità di verificare da solo, in qualsiasi momento, se chi gli chiede dei soldi e gli rappresenta l’applicabilità di agevolazioni fiscali, è realmente titolato a farlo. Sarebbe auspicabile che la tanto desiderata Riforma del Terzo settore possa anche incidere in questa direzione e non limitarsi ad ipotizzare un Albo unico se questo rimarrà difficilmente accessibile ai donatori. Ultima considerazione potrebbe riguardare infine la necessità di approntare degli strumenti idonei a tutelare il donatore in merito alla finale destinazione delle risorse erogate. In tal senso, si dovrebbe pensare, ad avviso di chi scrive, a forme di certificazione esterna degli enti che raccolgono denaro pubblicamente e alle modalità per imporre il deposito (e non solo la redazione, come avviene oggi) dei bilanci degli enti interessati. Simili funzioni, sempre ad avviso di chi scrive, potrebbero, se non essere affidate ad una nuova Authority che possa riappropriarsi delle funzioni dell’Agenzia per il Terzo settore, magari essere assunte da soggetti da questa accreditati dopo attenta valutazione. marzo 2015 — VITA G I V I N G I TA LY 2 0 1 5 › Aziende solidali 380 milioni in solidarietà 120 milioni iniziative culturali 200 circa da fondazioni di impresa 700 MILIONI Secondo il Rapporto nazionale Swg per l’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione sull’impegno sociale delle aziende italiane, ben il 73% investe in responsabilità sociale, destinando circa 1 miliardo (dati 2013). Non tutte queste risorse sono rivolte però alla filantropia: gran parte infatti viene investito per il welfare aziendale o in iniziative volte a ridurre gli sprechi e migliorare l’impatto ambientale, mentre solo il 38% va a cause di solidarietà esterne e il 24% per sostenere iniziative artistiche o culturali. La cifra per questi due ultimi obiettivi dalle aziende italiane sarebbe di circa 570 milioni, cui vanno aggiunti i circa 150-200 milioni annui investiti in solidarietà dalle Fondazioni d’impresa (dati Sodalitas-Altis-Fondazione Agnelli 2009). Aziende Con “soli” 16,7 miliardi destinati alla solidarietà, il 5% del totale, le corporations americane sono i soggetti in fondo alla lista dei buoni negli Usa. Da noi, in assenza come già sottolineato di dati fiscali e di qualsiasi indagine in materia da parte per esempio di Confindustria («Non abbiamo mai indagato il fenomeno», ci hanno risposto dal Centro Studi), risultano utili le stime del Rapporto nazionale Swg per l’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione sull’impegno sociale delle aziende italiane, in base al quale ben il 73% investe in csr o responsabilità sociale, destinando a questo scopo circa 1 miliardo (dati 2013). Non tutte queste risorse sono rivolte però alla filantropia, anzi: gran parte infatti viene investito per il welfare aziendale o ad iniziative volte a ridurre gli sprechi e migliorare l’impatto ambientale, mentre solo il 38% va a cause VITA — marzo 2015 di solidarietà esterne e il 24 a sostegno di iniziative artistiche o culturali. Risulta quindi che la cifra destinata a questi due ultimi obiettivi dalle aziende italiane sarebbe di circa 570 milioni, cui aggiungere i circa 150-200 milioni annui investiti in solidarietà dalle Fondazioni d’impresa (dati Sodalitas-Altis-Fondazione Agnelli 2009). Secondo una ricerca svolta da Cesare Rizzi per il Banco Alimentare su “Raccolta fondi dalle Aziende - Corporate fundraising” (2013), solo il 2,5% delle imprese italiane sono “donatrici”, effettuano cioè erogazioni liberali al non profit, mentre le donazioni complessive (escluse sponsorizzazioni e cause related marketing) ammontano a circa 300 milioni di euro l’anno, lo 0,022% del Pil. Briciole, soprattutto se si confrontano questi numeri con le proiezioni azzardate dall’Istituto di Ricerca Sociale nel lontano 2005 sulla base dei dati diffusi Sopra, Michele Pacher, San Lorenzo distribuisce i suoi beni › Lasciti 2004 — 2020 340mila le famiglie estinte senza eredi 105 miliardi il loro patrimonio al 2015 67 MILIARDI Una cifra enorme, ma solo potenziale. Il calcolo è stato realizzato sul valore economico dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti a istituzioni non profit nel periodo 2004-2020, valore stimato in circa 105 miliardi, con riferimento all’intero Paese, di cui circa 23 miliardi relativi alla sola Lombardia. Il tesoretto che la Fondazione Cariplo ha stimato poteva essere messo a disposizione, tra 2004 e 2015, di organizzazioni di beneficenza indicate nei testamenti delle 198mila famiglie italiane estinte senza lasciare eredi è di 67 miliardi. I valori economici complessivi si riferiscono ai patrimoni di circa 340mila famiglie senza eredi. dall’Agenzia delle Entrate relativi alle dichiarazioni dei redditi 2001 delle imprese italiane: allora, ben prima del varo della legge +dai-versi, furono 34mila (il 2,3% del totale) a effettuare erogazioni al non profit per un valore di 266 milioni; in base a queste cifre, l’Irs ipotizzava una robusta crescita sul medio e lungo periodo, arrivando a immaginare un +32% di imprese donatrici nel 2010 e addirittura +58% nel 2020. Peccato che l’Istituto, nel realizzare i propri modelli, avesse considerato una crescita del Pil italiano tra l’1,4 e l’1,7% l’anno fino al 2050… sappiamo come è andata finora, ed ecco spiegato perché dal 2005 a oggi la quota di aziende generose è rimasta sostanzialmente stabile, su livelli complessivamente bassi. Non hanno sfondato, infine, le norme che avrebbero dovuto incentivare le erogazioni corporate alla cultura, deducibili al 100%: secondo i dati del Mibac, nel Nel 2013 le fondazioni di origine bancaria hanno sostenuto il non profit con erogazioni pari a 884 milioni. Nel 2012 avevano fatto meglio, finanziando con oltre 965 milioni. 2007 c’è stato il picco di imprese che ne hanno approfittato (furono 1085), per poi scendere a meno di 900 l’anno; nel 2010 il ministero ha raggranellato da questo canale solo 32,2 milioni, e ha pure festeggiato perché l’anno prima erano stati il 9% in meno. Fondazioni Non si deve ricorrere a cifre datate e a calcoli di stima nel caso delle fondazioni bancarie, attentissime e trasparenti nel rendicontare il loro operato euro per euro. Nel 2013 hanno sostenuto il non profit con erogazioni pari a 884 milioni, distribuiti in buona parte per arte, attività e beni culturali (30%), volontariato, filantropia e beneficenza (20%), ricerca scientifica e tecnologica (14,5%) ed educazione, istruzione e formazione (circa 11%). Nel 2012 avevano fatto meglio, finanziando con oltre 965 milioni 22mila interventi; per l’anno successivo le azioni sono rimaste stabili, mentre si è ridotto l’importo medio erogato. Negli Stati Uniti le erogazioni da parte delle fondazioni costituiscono il 15% della torta; da noi è complicato calcolare quanto pesino i contributi delle fondazioni grant making (anche le bancarie) sul totale delle entrate da fonte privata del non profit. marzo 2015 — VITA G I V I N G I TA LY 2 0 1 5 › Quanto donano gli altri 753 dollari donazione media individuale negli Usa 162 sterline donazione media individuale in UK 116 euro donazione media individuale in Italia = Negli Stati Uniti la somma delle donazioni individuali annue è di 241 miliardi di dollari. Divisi per una popolazione di 320 milioni si arriva alla somma individuale, convertita in euro, corrispondente a 663 euro. Una cifra che si spiega con il fatto che negli Usa è previsto un regime di agevolazioni particolarmente favorevole per chi dona alle organizzazioni del Terzo settore denaro, servizi o beni materiali. In Gran Bretagna la somma complessiva delle donazioni tocca i 10,4 miliardi di sterline, che tradotti in moneta europea, corrispondono 220 euro per individuo. Sicuramente possiamo però tenere a mente che il contributo delle fondazioni bancarie e di quelle di impresa ammonta a circa 1 miliardo di euro l’anno. In generale, aziende e fondazioni bancarie e d’impresa contribuiscono per circa 1,5 miliardi ai 4,3 miliardi di contributi da «altre fonti private» censite dall’Istat; il resto della partita la giocano le fondazioni di erogazione, anche straniere, e quelli di tutte le altre organizzazioni che hanno come mission il sostegno a progetti di solidarietà. Lasciti Da anni le organizzazioni non profit stanno cercando di far capire agli italiani che non solo fare testamento non porta male, ma anzi allunga la vita: una ricerca inglese attesta addirittura che chi muore prima dei 70 anni non ha fatto testamento, chi fa testamento campa fino a 75 anni e chi destina una somma al non profit vive in media 82 anni. VITA — marzo 2015 In Italia va dal notaio solo l’8% della popolazione, e di questi previdenti solo il 15% si ricorda di chi è meno fortunato. Eppure la ricchezza che si potrebbe incanalare verso obiettivi di bene comune è enorme: la Fondazione Cariplo ha calcolato il valore dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti a istituzioni non profit (perché provenienti da famiglie che si estinguono senza eredi) nel periodo 2004-2020. Si tratta di un tesoretto di circa 105 miliardi al 2020, che nel 2015 tocca quota 67 miliardi e che si troverebbe nei testamenti delle 198mila famiglie che si sono estinte dal 2004, chiaramente se tutte loro fossero andate dal notaio prima della dipartita. Da questo punto di vista, sono gli inglesi che ci insegnano qualcosa: nel Regno Unito la quota di testamenti registrati che includono un lascito benefico è arrivata al 14,4% nel 2012, e tra il 1988 e il 2012 il loro numero totale è passato da 68mila a 104mila. Maestro dell’Osservanza, L’elemosina di Sant’Antonio. La tavola è conservata alla National Gallery di Washington UNA RIFLESSIONE SUI DATI L’Italia paese di donatori di prossimità intervista a Luigi Bobba L a prima novità è già un dato di fatto. Con la Legge di stabilità il tetto delle somme detraibili per aver fatto una donazione ad una Onlus è salito da 2065 a 30mila. Un atto sostanzialmente dovuto, per portare le onlus sui livelli delle agevolazioni concesse per le donazioni ai partiti. Sino a ieri infatti il limite massimo oggi in vigore era quindici volte più basso di quello concesso ai partiti politici… Se ieri donando 10mila euro ad una onlus si poteva avere un bonus fiscale massimo di 536 euro, oggi quella stessa donazione garantisce al contribuente un bonus di 2600 euro. Ancora meglio va per chi dona per la cultura: grazie all’Art Bonus voluto dal ministro Franceschini. 10mila euro donati per il restauro di un monumento pubblico, garantiscono un credito d’imposta di 6500 euro, distribuiti però su tre rate annuali. Luigi Bobba, sottosegretario al Welfare, e punto di riferimento nel cantiere della grande Riforma del Terzo settore quindi parte dicendosi abbastanza soddisfatto. «Anche se i tecnici del Tesoro hanno detto che la modifica delle detrazioni verrà utilizzata da una platea di 11/12mila soggetti. Mi auguro che si sbaglino». Sulla cifra messa fuoco dall’inchiesta di Vita non si dice sorpreso più di tanto. «Gli italiani ogni volta che c’è una “chiamata” sono sempre pronti a rispondere. Il 5 per mille, che evidentemente non è una donazione, è comunque un sintomo: le firme sin dal primo anno sono state molte più del previsto». —— Perché allora c’è questa idea diffusa che gli italiani donano poco? Ci sono tanti motivi. Se ci si parametra sugli obiettivi dei grandi soggetti internazionali che da qualche anno sono arrivati in Italia per farne terreno di raccolta fondi, si può pensare ad una minore propensione al dono dei nostri connazionali rispetto ad altri contesti. Ma non può esser l’unico punto di vista». —— In che senso? In Italia vale moltissimo la solidarietà di prossimità. È nella natura del nostro Paese. È un tipo di donazione che viene fatto senza neanche valutare la possibilità di avere qualche agevolazione fiscale. Per fare un esempio, l’aiuto al missionario, è aiuto per sua natura informale e totalmente disinteressato. Anche le reti di volontariato sono spesso reti di prossimità, che lavorano nel quotidiano e raccolgono sostegni in modo informale. In Italia il modello top down non è maggioritario. Anche se le cose stanno cambiando. —— Crescono i soggetti forti? Sì. E sono anche fattore di stimolo per migliorare le strategie di raccolta fondi, a fare del fund raising una settore strutturale della propria attività. Ma credo che sia necessario qualche elemento di regolazione. Ci deve essere un vincolo tra fondi investiti nelle campagne e risorse raccolte. Non può essere che comunicazioni faraoniche schiaccino le realtà piccole. Bisogna in qualche modo regolare questa sproporzione tra mezzi impiegati e somme raccolte. —— Come far crescere la cultura donativa degli italiani? Credo che il primo obiettivo sia quello di allargare la platea. Da questo punto di vista raccolte via sms e raccolte online sono strumenti importanti. Che hanno margini di crescita grande. Ma si deve stare attenti alla trasparenza e alla rendicontazione. Perché il sospetto fa presto a crescere. Per questo gli italiani preferiscono la donazione di prossimità. Ci si fida di più della propria parrocchia che non del messaggio lanciato per una campagna via sms. Quindi l’obiettivo è quello di costruire un sistema semplificato che garantisca la più grande trasparenza, che permetta ai donatori di potersi fidare, così come ci si fida nelle donazioni di prossimità. marzo 2015 — VITA
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