Quanto donano gli italiani

COVER STORY
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QUANTO
DONANO
GLI
ITALIANI?
L’ABBIAMO
SCOPERTO
Era una domanda a cui nessuno sapeva rispondere. La generosità degli italiani
è sempre stata una nebulosa dai contorni confusi. Attraverso un’inchiesta
completa, incrociando tanti dati a disposizione siamo arrivati a una cifra molto
vicina al dato reale. Più alta di quanto presunto. Meno alta rispetto ad altri Paesi
VITA — marzo 2015
› ogni anno
4,584 miliardi donazioni individuali
2,6 miliardi offerte alle parrocchie
4,372 miliardi altre donazioni private
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11,5 MILIARDI
Il primo e il terzo dato sono tratti dal Censimento Istat 2011. Quello sulle offerte
alle chiese è ricavato da Vita facendo media sui bilanci di un campione di parrocchie.
Sul dato delle donazioni individuali, Istat evidenzia alcune ottime performance,
come quelle della cooperazione internazionale che raccoglie 597 milioni o delle
associazioni sportive che arrivano a 922 milioni (dati 2011).
Questi dati, aggiornati all’inflazione, portano a presumere una cifra di 12miliardi.
O
pen Giving Italy 2015: quanto donano gli italiani? Di preciso non
si sa, ma di sicuro abbastanza. O
meglio: più di quanto dicano i sondaggi, anche se meno di quanto potrebbero. Donano infatti circa 116 euro l’anno
a testa, contro i 220 degli inglesi e i 750
degli americani. In effetti, gli Stati Uniti
restano il benchmark mondiale dell’altruismo, molto più generosi e infinitamente più precisi nella raccolta dei dati
filantropici, mentre noi fatichiamo a tenere traccia di quanto ci esce di tasca per
una buona causa. Quasi non fosse importante, quasi l’invito evangelico “non sappia la destra ciò che fa la sinistra” si applicasse solo ai conti della bontà.
Vita ha comunque voluto provare ad
avventurarsi nel calcolo, mettendo insieme dati stimati e numeri ufficiali, bilanci
pubblicati e studi approfonditi, seguendo la traccia autorevole del rapporto Gi-
ving Usa pubblicato dal Giving Institute
di Chicago che ogni anno fotografa la generosità degli americani suddividendo le
donazioni per fonti di provenienza: privati cittadini, aziende, fondazioni e lasciti testamentari.
Tanto per avere un’idea, nel 2013 (ultimo dato disponibile), gli americani
avevano scucito 335 miliardi di dollari
a favore delle organizzazioni non profit, di cui il 72% proveniva da individui,
marzo 2015 — VITA
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mentre da noi la quota di donazioni da
privati cittadini sul totale dei contributi privati, calcolata in base ai dati Istat,
arriva al 58%.
Donazioni da individui
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La differenza sta nel fatto che se negli
Usa ragionano su certezze, noi andiamo molto più a spanne; se Oltreoceano
si prendono i dati fiscali relativi alle deduzioni e detrazioni previste per le erogazioni liberali, e da lì si calcola il totale
donato, da noi - per incredibile che possa sembrare - non esiste nessuna misurazione ufficiale simile, sebbene le agevolazioni fiscali per chi sostiene il non
profit non manchino.
La Commissione Vieri Ceriani, incaricata dal governo Monti di calcolare nel
2011 quanto lo Stato non incassa a causa
dalle “norme di maggior favore” fiscale,
aveva conteggiato in totale 700 vantaggi, di cui un centinaio relativi al “senza
fine di lucro”, per un totale di 1,3 miliardi di minori entrate solo in questo capitolo. Vista la giungla delle regole e delle
aliquote, però, questo numero non serve
a dare un’idea della generosità degli italiani, anche se spiega la difficoltà e la riluttanza di tanti contribuenti ad approfittare di agevolazioni tanto numerose
quanto bizantine e, in definitiva, poco
incisive.
Il Fisco, che ovviamente ne sa, incassa e tace. Sul tema non fornisce dati, no-
nostante richieste ufficiali avanzate dal
ministero del Welfare oltre un mese fa e
sebbene più di un dirigente delle Entrate
abbia confidato che per Sogei, la società
informatica del ministero dell’Economia
che tratta tutte le dichiarazioni, «basterebbe un clic».
Lasciata la pista delle Finanze, rimane
quella statistica, e in particolare il censimento Istat sulle Istituzioni non profit
del 2011, che ha analizzato con precisione le entrate delle 300mila organizzazioni del nostro Paese. Dal volume emerge
che il Terzo settore ha avuto in quell’anno entrate per 63,9 miliardi di euro, di cui
quasi 36 finiti al Nord e oltre 20 al Centro.
Ma quanti di questi soldi provengono da singoli cittadini? Secondo l’Istat, i
proventi da «contributi, offerte, donazioni, lasciti testamentari e liberalità», cioè
da individui, sono stati pari a 4,5 miliardi
(di cui quasi il 40% ricevuti da organizzazioni con sede nel Centro Italia), mentre quelli catalogati come «altre entrate
di fonte privata» erano pari a 4,3 miliardi.
In totale, dunque, per l’Istat le donazioni private al non profit ammontavano a circa 9 miliardi, il 14% del totale. Le
donazioni da individui, tuttavia, restano
ferme a 4,5 miliardi. Poco? Per qualcuno
sì: «In base ai nostri calcoli la quota di donazioni private al non profit è più alta, e
si attesta attorno al 30%, mentre quella da individui a circa il 59% di quest’ultima percentuale», osserva Giuseppe
La vocazione donativa degli italiani raccontata
attraverso particolari di opere famose e non.
Dall’alto in basso: Gian Martino
Spanzotti, L’elemosina di san Domenico.
Pietro Saltini, L’elemosina. Pasqualino
Rossi, L’elemosina di Santa Lucia
A sinistra: L’elemosina di San Lorenzo,
capolavoro di Beato Angelico, alla
Cappella Niccolina in Vaticano
VITA — marzo 2015
› Offerte in chiesa
26mila parrocchie in Italia
100mila euro la raccolta media annua
(escluse le 38mila chiese non parrocchiali)
2,6 MILIARDI
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Quanto si può stimare che i fedeli donino ogni anno alle parrocchie del nostro Paese, in termini di
offerte durante le celebrazioni o per cerimonie, elemosine, collette per diverse cause sociali, contributi
per le attività ricreative organizzate negli oratori. Secondo un esperto contabile di una grande diocesi
del Nord Italia, infatti, le entrate medie annuali da contributi di privati di una parrocchia italiana si
attestano intorno ai 100mila euro, che moltiplicati per le 26mila censite dalla Cei dà l’idea di quanto gli
italiani siano generosi con le chiese del territorio (molte, tra l’altro, pubblicano online i propri bilanci).
Praticamente impossibile, invece, sapere quanto “incassano” le altre 38mila chiese non parrocchiali.
Ambrosio di Unicredit Foundation, tra
gli autori della ricerca Il valore economico del Terzo settore (2012), basata su un
campione rappresentativo di oltre 2000
organizzazioni non profit, le cui entrate medie sono state calcolate in 286mila euro annui.
«Fatti i debiti conteggi, si arriva a 12
miliardi totali di entrate da parte di individui. Un dato che secondo me non è
sovrastimato», ragiona Ambrosio, che
pur ammettendo di aver lavorato su un
campione di organizzazioni molto attive
nella raccolta fondi, scommette su una
quota notevole di donazioni informali: «Pensiamo alle associazioni piccole e
medie attive sul territorio, a cui arrivano
moltissime donazioni in denaro, oppure alle tante iniziative di beneficenza di
quartiere, alle cene solidali, alle vendite
informali di torte o oggetti fatti in casa…
questo mondo di solidarietà quotidiana
esiste, ma sfugge a qualsiasi indagine».
«Difficile quantificare
quanto sfugge all’occhio.
Ma una quota variabile tra il 20 e il 40% dei
donatori utilizza solo il
canale informale».
Luciano Zanin
L’informale
Già, l’informale. Alzi la mano chi può dire di non aver mai dato neppure un euro senza pretendere una ricevuta, e di
non aver mai utilizzato spiccioli e contanti per contribuire a una buona causa.
«Non tutti sono a conoscenza dei van-
taggi fiscali riservati ai donatori, altri invece li conoscono ma pensano non valga
la pena di approfittarne, soprattutto per
poche decine di euro l’anno», conferma
Luciano Zanin, presidente dell’Associazione italiana fundraiser. «Quantificare
quanto sfugge all’occhio, in questo caso benevolo, del fisco non è facile, ma
direi che una quota variabile tra il 20 e
il 40% dei donatori utilizza solo il canale informale».
Una percentuale notevole, ma non irrealistica, se si pensa all’alveo solidale
che raccoglie la maggior parte del contante: le offerte alle realtà religiose, parrocchie in testa. Un universo popolato da
oltre 26mila realtà (a cui bisogna aggiungere secondo la Cei altre 38mila chiese
non parrocchiali), che redigono e fanno
approvare un bilancio in sede di Consiglio Pastorale, e che spesso utilizzano il
web per rendere noto ai fedeli il proprio
conto economico.
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E così in rete si scopre, per esempio, che
tra offerte varie, elemosine, opere di carità e contributi per attività ricreative,
nel 2013 a Catanzaro la Parrocchia Mater Domini ha raccolto solo 16.800 euro, ma a Cornaredo (Milano), quella dei
Santi Giacomo e Filippo ne ha “tirati su”
425mila; e se a Chioggia alla parrocchia
di Sant’Ignazio sono arrivati 37.500 euro, a Sant’Angelo Lodigiano la chiesa dei
Santi Antonio Abate e Francesca Cabrini
ne ha ricevuti ben 540mila.
«La media delle offerte raccolte in un
anno da una parrocchia è di circa 100mila euro», si sbilancia un esponente di un
ufficio economico diocesano del Nord
Italia che chiede di non essere citato.
«Senza contare i grandi santuari, che
però spesso non fanno parte delle amministrazioni diocesane».
Insomma, considerando solo le parrocchie la stima per difetto si ferma a 2,5
miliardi di euro l’anno, che sommati ai
4,5 dell’Istat permettono di stimare in 7
miliardi le donazioni da individui del nostro Giving Italy 2015. E pensare che in
base a uno dei report più quotati, il moni-
toraggio “Italiani solidali” prodotto ogni
anno da Doxa intervistando un campione di oltre 1000 italiani con più di 15 anni, solo il 28% ha «sostenuto con donazioni o con offerte in denaro associazioni
senza scopo di lucro o fatto una donazione in denaro per una causa di solidarietà», devolvendo in media soli 44 euro
nel 2013, per un totale di 640 milioni, 10
euro a testa l’anno.
Possibile? Discutibile, per lo meno,
stando ad alcuni dati empirici come per
esempio i bilanci delle prime 20 associazioni destinatarie del 5 per mille (tolte
quelle che si occupano di intermediazione fiscale), che da sole hanno ricevuto
dagli italiani qualcosa come 380 milioni
nel 2013. E come dimenticare che le offerte vie sms dei quattro operatori principali ammontano a oltre 30 milioni ogni
anno, e il settore del sostegno a distanza a favore dei bambini nei Paesi in via di
sviluppo che muove da solo 150 milioni?
Insomma, gli italiani non saranno come
gli americani, ma certo donano più di 10
euro a testa l’anno. Anche se non amano
dirlo in giro (soprattutto ai sondaggisti).
Dall’alto in basso, Lorenzo Lotto,
particolare dell’Elemosina di Sant’Antonino.
Masaccio, la Carità di San Pietro alla
Cappella Brancacci di Firenze
Qui Usa
Qui Italia
Il paradiso delle agevolazioni.
Si deduce il 50% dell’imponibile
4 ottobre sarà giorno del dono.
Per allargare la platea
S
U
tati Uniti, paradiso dei donatori. Nel senso di
paradiso fiscale, ovviamente: negli Usa infatti è
previsto un regime di agevolazioni particolarmente
favorevole per chi dona alle organizzazioni del Terzo
settore denaro, servizi o beni materiali. Partiamo dalle
donazioni in denaro: ciascun contribuente ha diritto a
dedurre qualsiasi somma elargita a una charity, a
patto che non superi il 50 per cento del proprio
imponibile lordo (limite che in alcuni casi si abbassa al
30 per cento, a seconda del tipo di organizzazione
sostenuta). Qualunque importo donato oltre la metà
dell’imponibile non è deducibile in quell’anno fiscale,
ma può essere portato in deduzione l’anno successivo
e per ulteriori quattro anni. In pratica, se un
imprenditore americano dichiara 2 milioni di dollari di
imponibile, può dedurre totalmente una donazione
fino a 1 milione. Grossi vantaggi anche per chiunque
metta a disposizione di un’organizzazione non profit i
propri servizi professionali. Infine, chi regala a una
non profit dei beni immobili, ha diritto alla deduzione
totale del valore dell’immobile (per una sola
annualità), mentre la charity che riceve la donazione
non è tenuta a versare alcun tipo di imposta.
VITA — marzo 2015
na proposta di legge per istituire il Giorno del
Dono, una giornata dedicata a diffondere la cultura
della donazione, potrebbe presto essere approvata in
seconda lettura dal Senato e diventare legge, dopo
aver già incassato l’ok della Camera. Il progetto, il cui
primo firmatario è l’ex presidente della Repubblica e
senatore a vita Carlo Azeglio Ciampi, è frutto tra
l’altro dell’impegno dell’Istituto Italiano della
donazione presieduto dall’onorevole Pd Edoardo
Patriarca, che è stato relatore del provvedimento alla
Camera. «In questo tempo di crisi, portare
all’attenzione dell’opinione pubblica il tema del dono
ha un particolare significato», dice Patriarca, perché ci
permette di riscoprire il valore della gratuità, che si
batte contro l’indifferenza e ricostruisce relazioni di
fiducia e reciprocità». Non una “istituzionalizzazione”
del dono, chiarisce l’onorevole, ma una
«valorizzazione della solidarietà così diffusa tra gli
italiani e un’occasione per coinvolgere non solo le
organizazioni non profit, ma anche tutte le realtà
produttive socialmente responsabili, le scuole, le
università e le pubbliche amministrazioni». La data
scelta è quella del 4 ottobre, festa di San Francesco.
IL FISCALISTA
Più informazioni e più tutele per il donatore
di Antonio Cuonzo
L
ungi dal voler e poter fornire una vera e
propria “ricetta” sul come incentivare le
erogazioni liberali dei privati e delle aziende a
favore dei soggetti del Terzo settore nelle
settimane della sua Riforma, abbiamo provato qui
ad esprimere delle considerazioni generali, anche
de iure condendo, in merito a determinati passaggi
che, ad avviso di chi scrive, potrebbero forse far
compiere qualche passo in avanti nella ricerca
dell’obiettivo in questione: aiutare il crescere
dell’economia civile nel nostro Paese.
Una prima considerazione in tal senso, ci sembra
possa riguardare una diversa consapevolezza da
far acquisire al donatore al momento in cui viene
modificata qualche disposizione riguardante le
agevolazioni fiscali relative alle erogazioni liberali.
È certamente utile, ad esempio, rendere noto al
donatore che le detrazioni fiscali per le erogazioni
liberali a favore delle Onlus sono oggi passate dal
19% al 26% (e il tetto ampliato da 2065 euro a
30mila), ma bisognerebbe a nostro avviso rendere
edotto il donatore stesso anche in merito alle
finalità di simili cambiamenti e in merito agli
effetti positivi che potrebbero scaturire da un suo
comportamento attivo più consapevole.
Al “donatore abituale”, ad esempio, andrebbe
spiegato che la modifica normativa non è fatta
solo e soltanto per premiare maggiormente la sua
generosità ma che è proprio dall’aumento della
percentuale di detrazione che potrebbero
ottenersi maggiori risorse a favore delle Onlus
lasciando ipoteticamente inalterato lo sforzo
finanziario del donatore stesso.
Occorrerebbe in tal senso spiegargli che, se con la
precedente detrazione al 19% il donatore che
erogava 100 euro aveva una “spesa netta” di 81
euro, oggi, con la nuova percentuale di detrazione,
quello stesso donatore potrebbe mantenere
inalterata quella “spesa netta” (81 euro) erogando
tuttavia circa 110 euro anziché 100 euro: a fronte
di simile comportamento, la sua condizione di
“spesa” rimarrebbe inalterata ma le Onlus
avrebbero maggiori risorse a disposizione (110
anziché 100) e lo Stato avrebbe reso efficiente la
sua politica fiscale.
In fin dei conti, occorrerebbe solo spiegargli, come
sembra abbia funzionato con il sistema del 5 per
mille, che per il “donatore abituale” che erogasse
di più, la situazione potrebbe rimanere invariata
ma il sociale potrebbe guadagnarci.
Una seconda considerazione, poi, potrebbe
riguardare la necessità di garantire al donatore,
per certi versi rassicurandolo, l’accessibilità agli
albi che garantiscono una preliminare verifica
all’entrata sugli enti in questione (avete mai
provato a cercare online l’Anagrafe delle Onlus
italiane o a chiederla alle singole Direzioni
regionali?).
In tal senso, siamo portati a ritenere che il
donatore possa sentirsi rassicurato anche e
soprattutto dalla possibilità di verificare da solo, in
qualsiasi momento, se chi gli chiede dei soldi e gli
rappresenta l’applicabilità di agevolazioni fiscali, è
realmente titolato a farlo.
Sarebbe auspicabile che la tanto desiderata
Riforma del Terzo settore possa anche incidere in
questa direzione e non limitarsi ad ipotizzare un
Albo unico se questo rimarrà difficilmente
accessibile ai donatori.
Ultima considerazione potrebbe riguardare infine
la necessità di approntare degli strumenti idonei a
tutelare il donatore in merito alla finale
destinazione delle risorse erogate.
In tal senso, si dovrebbe pensare, ad avviso di chi
scrive, a forme di certificazione esterna degli enti
che raccolgono denaro pubblicamente e alle
modalità per imporre il deposito (e non solo la
redazione, come avviene oggi) dei bilanci degli
enti interessati.
Simili funzioni, sempre ad avviso di chi scrive,
potrebbero, se non essere affidate ad una nuova
Authority che possa riappropriarsi delle funzioni
dell’Agenzia per il Terzo settore, magari essere
assunte da soggetti da questa accreditati dopo
attenta valutazione.
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› Aziende solidali
380 milioni in solidarietà
120 milioni iniziative culturali
200 circa da fondazioni di impresa
700 MILIONI
Secondo il Rapporto nazionale Swg per l’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione sull’impegno sociale
delle aziende italiane, ben il 73% investe in responsabilità sociale, destinando circa 1 miliardo (dati 2013).
Non tutte queste risorse sono rivolte però alla filantropia: gran parte infatti viene investito per il welfare
aziendale o in iniziative volte a ridurre gli sprechi e migliorare l’impatto ambientale, mentre solo il 38% va a
cause di solidarietà esterne e il 24% per sostenere iniziative artistiche o culturali. La cifra per questi due
ultimi obiettivi dalle aziende italiane sarebbe di circa 570 milioni, cui vanno aggiunti i circa 150-200 milioni
annui investiti in solidarietà dalle Fondazioni d’impresa (dati Sodalitas-Altis-Fondazione Agnelli 2009).
Aziende
Con “soli” 16,7 miliardi destinati alla solidarietà, il 5% del totale, le corporations
americane sono i soggetti in fondo alla lista dei buoni negli Usa. Da noi, in assenza come già sottolineato di dati fiscali e
di qualsiasi indagine in materia da parte per esempio di Confindustria («Non
abbiamo mai indagato il fenomeno», ci
hanno risposto dal Centro Studi), risultano utili le stime del Rapporto nazionale Swg per l’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione sull’impegno sociale
delle aziende italiane, in base al quale
ben il 73% investe in csr o responsabilità sociale, destinando a questo scopo
circa 1 miliardo (dati 2013).
Non tutte queste risorse sono rivolte però alla filantropia, anzi: gran parte infatti viene investito per il welfare
aziendale o ad iniziative volte a ridurre gli sprechi e migliorare l’impatto ambientale, mentre solo il 38% va a cause
VITA — marzo 2015
di solidarietà esterne e il 24 a sostegno
di iniziative artistiche o culturali. Risulta
quindi che la cifra destinata a questi due
ultimi obiettivi dalle aziende italiane sarebbe di circa 570 milioni, cui aggiungere i circa 150-200 milioni annui investiti
in solidarietà dalle Fondazioni d’impresa
(dati Sodalitas-Altis-Fondazione Agnelli 2009).
Secondo una ricerca svolta da Cesare Rizzi per il Banco Alimentare su
“Raccolta fondi dalle Aziende - Corporate fundraising” (2013), solo il 2,5% delle imprese italiane sono “donatrici”, effettuano cioè erogazioni liberali al non
profit, mentre le donazioni complessive
(escluse sponsorizzazioni e cause related marketing) ammontano a circa 300
milioni di euro l’anno, lo 0,022% del Pil.
Briciole, soprattutto se si confrontano questi numeri con le proiezioni azzardate dall’Istituto di Ricerca Sociale nel
lontano 2005 sulla base dei dati diffusi
Sopra, Michele Pacher, San Lorenzo
distribuisce i suoi beni
› Lasciti
2004 — 2020
340mila le famiglie estinte senza eredi
105 miliardi il loro patrimonio
al 2015 67 MILIARDI
Una cifra enorme, ma solo potenziale. Il calcolo è stato realizzato sul valore economico
dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti a istituzioni non profit nel periodo
2004-2020, valore stimato in circa 105 miliardi, con riferimento all’intero Paese, di cui circa
23 miliardi relativi alla sola Lombardia. Il tesoretto che la Fondazione Cariplo ha stimato poteva
essere messo a disposizione, tra 2004 e 2015, di organizzazioni di beneficenza indicate nei
testamenti delle 198mila famiglie italiane estinte senza lasciare eredi è di 67 miliardi.
I valori economici complessivi si riferiscono ai patrimoni di circa 340mila famiglie senza eredi.
dall’Agenzia delle Entrate relativi alle dichiarazioni dei redditi 2001 delle imprese italiane: allora, ben prima del varo della legge +dai-versi, furono 34mila (il 2,3%
del totale) a effettuare erogazioni al non
profit per un valore di 266 milioni; in base a queste cifre, l’Irs ipotizzava una robusta crescita sul medio e lungo periodo, arrivando a immaginare un +32% di
imprese donatrici nel 2010 e addirittura
+58% nel 2020.
Peccato che l’Istituto, nel realizzare i
propri modelli, avesse considerato una
crescita del Pil italiano tra l’1,4 e l’1,7%
l’anno fino al 2050… sappiamo come è
andata finora, ed ecco spiegato perché
dal 2005 a oggi la quota di aziende generose è rimasta sostanzialmente stabile,
su livelli complessivamente bassi.
Non hanno sfondato, infine, le norme
che avrebbero dovuto incentivare le erogazioni corporate alla cultura, deducibili al 100%: secondo i dati del Mibac, nel
Nel 2013 le fondazioni di
origine bancaria hanno
sostenuto il non profit con
erogazioni pari a 884
milioni. Nel 2012 avevano
fatto meglio, finanziando
con oltre 965 milioni.
2007 c’è stato il picco di imprese che ne
hanno approfittato (furono 1085), per poi
scendere a meno di 900 l’anno; nel 2010
il ministero ha raggranellato da questo
canale solo 32,2 milioni, e ha pure festeggiato perché l’anno prima erano stati il
9% in meno.
Fondazioni
Non si deve ricorrere a cifre datate e a
calcoli di stima nel caso delle fondazioni
bancarie, attentissime e trasparenti nel
rendicontare il loro operato euro per euro. Nel 2013 hanno sostenuto il non profit con erogazioni pari a 884 milioni, distribuiti in buona parte per arte, attività e
beni culturali (30%), volontariato, filantropia e beneficenza (20%), ricerca scientifica e tecnologica (14,5%) ed educazione, istruzione e formazione (circa 11%).
Nel 2012 avevano fatto meglio, finanziando con oltre 965 milioni 22mila interventi; per l’anno successivo le azioni
sono rimaste stabili, mentre si è ridotto l’importo medio erogato. Negli Stati
Uniti le erogazioni da parte delle fondazioni costituiscono il 15% della torta; da
noi è complicato calcolare quanto pesino i contributi delle fondazioni grant making (anche le bancarie) sul totale delle
entrate da fonte privata del non profit.
marzo 2015 — VITA
G I V I N G I TA LY 2 0 1 5
› Quanto donano gli altri
753 dollari donazione media individuale negli Usa
162 sterline donazione media individuale in UK
116 euro donazione media individuale in Italia
=
Negli Stati Uniti la somma delle donazioni individuali annue è di 241 miliardi di dollari. Divisi per
una popolazione di 320 milioni si arriva alla somma individuale, convertita in euro, corrispondente
a 663 euro. Una cifra che si spiega con il fatto che negli Usa è previsto un regime di agevolazioni
particolarmente favorevole per chi dona alle organizzazioni del Terzo settore denaro, servizi
o beni materiali. In Gran Bretagna la somma complessiva delle donazioni tocca i 10,4 miliardi
di sterline, che tradotti in moneta europea, corrispondono 220 euro per individuo.
Sicuramente possiamo però tenere a
mente che il contributo delle fondazioni bancarie e di quelle di impresa ammonta a circa 1 miliardo di euro l’anno.
In generale, aziende e fondazioni bancarie e d’impresa contribuiscono per circa
1,5 miliardi ai 4,3 miliardi di contributi da
«altre fonti private» censite dall’Istat; il
resto della partita la giocano le fondazioni di erogazione, anche straniere, e quelli
di tutte le altre organizzazioni che hanno come mission il sostegno a progetti
di solidarietà.
Lasciti
Da anni le organizzazioni non profit stanno cercando di far capire agli italiani che
non solo fare testamento non porta male, ma anzi allunga la vita: una ricerca inglese attesta addirittura che chi muore
prima dei 70 anni non ha fatto testamento, chi fa testamento campa fino a 75 anni e chi destina una somma al non profit
vive in media 82 anni.
VITA — marzo 2015
In Italia va dal notaio solo l’8% della
popolazione, e di questi previdenti solo
il 15% si ricorda di chi è meno fortunato.
Eppure la ricchezza che si potrebbe incanalare verso obiettivi di bene comune è enorme: la Fondazione Cariplo ha
calcolato il valore dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti a istituzioni non profit (perché provenienti da famiglie che si estinguono senza eredi) nel
periodo 2004-2020. Si tratta di un tesoretto di circa 105 miliardi al 2020, che nel
2015 tocca quota 67 miliardi e che si troverebbe nei testamenti delle 198mila famiglie che si sono estinte dal 2004, chiaramente se tutte loro fossero andate dal
notaio prima della dipartita.
Da questo punto di vista, sono gli inglesi che ci insegnano qualcosa: nel Regno Unito la quota di testamenti registrati che includono un lascito benefico
è arrivata al 14,4% nel 2012, e tra il 1988
e il 2012 il loro numero totale è passato
da 68mila a 104mila.
Maestro dell’Osservanza, L’elemosina
di Sant’Antonio. La tavola è conservata
alla National Gallery di Washington
UNA RIFLESSIONE SUI DATI
L’Italia paese di donatori
di prossimità
intervista a Luigi Bobba
L
a prima novità è già un dato di fatto. Con
la Legge di stabilità il tetto delle somme
detraibili per aver fatto una donazione ad
una Onlus è salito da 2065 a 30mila. Un atto
sostanzialmente dovuto, per portare le onlus
sui livelli delle agevolazioni concesse per le
donazioni ai partiti. Sino a ieri infatti il limite
massimo oggi in vigore era quindici volte più
basso di quello concesso ai partiti politici… Se
ieri donando 10mila euro ad una onlus si
poteva avere un bonus fiscale massimo di 536
euro, oggi quella stessa donazione garantisce
al contribuente un bonus di 2600 euro.
Ancora meglio va per chi dona per la cultura:
grazie all’Art Bonus voluto dal ministro
Franceschini. 10mila euro donati per il
restauro di un monumento pubblico,
garantiscono un credito d’imposta di 6500
euro, distribuiti però su tre rate annuali.
Luigi Bobba, sottosegretario al Welfare, e
punto di riferimento nel cantiere della grande
Riforma del Terzo settore quindi parte
dicendosi abbastanza soddisfatto. «Anche se i
tecnici del Tesoro hanno detto che la modifica
delle detrazioni verrà utilizzata da una platea
di 11/12mila soggetti. Mi auguro che si
sbaglino».
Sulla cifra messa fuoco dall’inchiesta di Vita
non si dice sorpreso più di tanto. «Gli italiani
ogni volta che c’è una “chiamata” sono sempre
pronti a rispondere. Il 5 per mille, che
evidentemente non è una donazione, è
comunque un sintomo: le firme sin dal primo
anno sono state molte più del previsto».
—— Perché allora c’è questa idea diffusa che
gli italiani donano poco?
Ci sono tanti motivi. Se ci si parametra sugli
obiettivi dei grandi soggetti internazionali che
da qualche anno sono arrivati in Italia per
farne terreno di raccolta fondi, si può pensare
ad una minore propensione al dono dei nostri
connazionali rispetto ad altri contesti. Ma non
può esser l’unico punto di vista».
—— In che senso?
In Italia vale moltissimo la solidarietà di
prossimità. È nella natura del nostro Paese. È
un tipo di donazione che viene fatto senza
neanche valutare la possibilità di avere
qualche agevolazione fiscale. Per fare un
esempio, l’aiuto al missionario, è aiuto per sua
natura informale e totalmente disinteressato.
Anche le reti di volontariato sono spesso reti
di prossimità, che lavorano nel quotidiano e
raccolgono sostegni in modo informale. In
Italia il modello top down non è
maggioritario. Anche se le cose stanno
cambiando.
—— Crescono i soggetti forti?
Sì. E sono anche fattore di stimolo per
migliorare le strategie di raccolta fondi, a fare
del fund raising una settore strutturale della
propria attività. Ma credo che sia necessario
qualche elemento di regolazione. Ci deve
essere un vincolo tra fondi investiti nelle
campagne e risorse raccolte. Non può essere
che comunicazioni faraoniche schiaccino le
realtà piccole. Bisogna in qualche modo
regolare questa sproporzione tra mezzi
impiegati e somme raccolte.
—— Come far crescere la cultura donativa
degli italiani?
Credo che il primo obiettivo sia quello di
allargare la platea. Da questo punto di vista
raccolte via sms e raccolte online sono
strumenti importanti.
Che hanno margini di crescita grande. Ma si
deve stare attenti alla trasparenza e alla
rendicontazione. Perché il sospetto fa presto a
crescere. Per questo gli italiani preferiscono la
donazione di prossimità. Ci si fida di più della
propria parrocchia che non del messaggio
lanciato per una campagna via sms. Quindi
l’obiettivo è quello di costruire un sistema
semplificato che garantisca la più grande
trasparenza, che permetta ai donatori di
potersi fidare, così come ci si fida nelle
donazioni di prossimità.
marzo 2015 — VITA