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Il business della cultura
Il Pil della poesia
ecco perché i versi
valgono un tesoro
Dall’ermo colle di Leopardi ai cipressi di Carducci
uno studio monetizza il peso dei brand letterari
IRENE MARIA SCALISE
ROMA. Italiani popolo di poeti, soprattut-
MONUMENTI
NEL MONDO
434 mld
TOUR EIFFEL
La Tour Eiffel di Parigi
vale 434 miliardi
91 mld
COLOSSEO
Il valore del Colosseo
supera i 91 miliardi
90 mld
SAGRADA FAMILIA
La Sagrada Familia si
attesta a 90 miliardi
82 mld
DUOMO DI MILANO
Oltre 80 miliardi, tanto
vale il Duomo
70 mld
TORRE DI LONDRA
Raggiunge 70 miliardi
la Torre di Londra
to se poesia fa rima con l’anglofono
“brand”. Il segreto è tutto lì: abbinare
quella parolina inglese, traducibile con
qualcosa a cavallo tra marchio e riconoscibilità, a piccoli paesi e autori celeberrimi. L’equazione matematica trasforma
borghi, altrimenti ignoti, in luoghi di
grande bellezza. I Colli dell’Infinito fanno
triplicare la riconoscibilità di Recanati e
La montagna incantata quella di Tenno.
Aci-Trezza risplende con I Malavoglia.
Bolgheri furoreggia per I Cipressi. Sirmione rivive le vacanze di Catullo e Longone quelle di Gadda. E così, l’italica prospettiva di sconfiggere la crisi, per una
volta è slegata da pizza e mandolini. Centri minori, grazie ai letterati che in quei siti sono nati, hanno soggiornato o sono andati in vacanza, diventano famosi in tutto il mondo.
Mentre infuria la polemica sulla profana ipotesi, assai malvista dal ministro
Franceschini, di far sorgere una “country
house” sui luoghi dell’infinito di Leopardi, l’Ufficio Studi della Camera di Commercio di Monza fornisce una mappatura
del business della poesia. «Il marchio va
oltre l’indotto», spiega Renato Mattioni,
segretario generale della Camera di Commercio, «si tratta di un valore economico
intangibile che comprende l’indice di reputazione, la vivacità economica, il valore del territorio e la conoscibilità dei luoghi». Il risultato? Stupefacente. Recanati,
grazie a Leopardi, ha un aumento di valore di 1,4 miliardi di euro. I Malavoglia donano ad Aci Trezza 826 milioni. Catullo arricchisce Sirmione di 577 milioni. Levi regala ad Eboli 500 milioni e Collodi 389 alla sua città. E così via per più di venti località. Storceranno il naso i paesi vicini (ad
esempio Corridonia distante da Recanati
solo 24 chilometri), guardando località
gemelle per clima, stile e attitudini, che
valgono cento volte in più. Pazienza, succede in tutto il mondo, c’è chi ha maggior
fortuna degli altri. La Torre Eiffel di Parigi vale 434 miliardi di euro, il Colosseo 91
miliardi e la Sagrada Familia 90 miliardi.
«Rivalutare la storia e i territori mentre tutti guardiamo alla tecnologia», suggerisce il sociologo Aldo Bonomi autore
del libro Dalla smart city alla smart land,
«è una rivoluzione che fa capire quanto
può essere un valore la nostra cultura pur
se lontana dalla modernità». Per Bonomi
vince la tradizione: «La Fondazione Mar-
Molti centri minori rivivono
grazie alla memoria degli
scrittori che vi sono nati
o vi hanno soggiornato
che ha finanziato un film sulla vita di Giacomo Leopardi, realizzando un investimento sul territorio. Pensiamo a cosa sarebbe Sansepolcro senza Piero della
Francesca o la Sicilia senza Sciascia». La
macchina del turismo è la prima a rallegrarsi della possibilità di riaccendere le
braci del marketing territoriale. Spiega
Cristina Tasselli direttore BIT: «La storia
è fondamentale, ma non basta ci vuole la
reputazione. Il Canada ha conquistato il
primo posto, seguito da Svezia e Svizzera,
nel Reputation Institute». Un’occasione
perduta per l’Italia? Sembrerebbe, sentenziano da New York: «C’è una stretta
correlazione tra la reputazione di un Paese e la decisione di visitarlo. La reputazione è denaro che alimenta l’economia».
MA LE RIME
NON SONO
UN PIACERE
CONDIVISO
PATRIZIA VALDUGA
M
PORTO RECANATI
Il brand della città
di Leopardi vale
un miliardo e mezzo
1.438.989.000 (aumento del brand)
65.742.000
Giacomo Leopardi
Cesare Pavese
(Recanati, MC)
(Santo Stefano Belbo, CN)
826.613.000
Giovanni Verga
63.040.000
Grazia Deledda
(Aci Trezza, CT)
(Galtelli, NU)
577.043.000
Catullo
52.856.000
Guido Gozzano
(Sirmione, BS)
(Agliè, TO)
500.077.000
Carlo Levi
46.918.000
Orazio
(Eboli, SA)
(Venosa, PZ)
389.745.000
Carlo Collodi
44.747.000
Andrea Camilleri
(Collodi, PT)
(Punta Secca, RG)
348.845.000
Giovanni Boccaccio
42.503.000
Francesco Petrarca
(Certaldo, FI)
(Arquà Petrarca, PD)
175.918.000
Ovidio
30.897.000
Horace Walpole
(Sulmona, AQ)
(Otranto, LE)
173.679.000
Carlo Emilio Gadda
30.882.000
Giuseppe Parini
(Longone al Segrino, CO)
(Bosisio Parini, LC)
113.134.000
Giosuè Carducci
27.969.000
Eugenio Montale
(Bolgheri, LI)
(Monterosso al Mare, SP)
95.331.000
Thomas Mann
4.158.000
Antonio Fogazzaro
(Tenno, TN)
(Valsolda, CO)
91.857.000
Pier Paolo Pasolini
1.899.000
Leonardo Sciascia
(Casarsa della Delizia, PN)
(Racalmuto, AG)
87.163.000
Gabriele D’Annunzio
435.000
Salvatore
Quasimodo
(Gardone Riviera, BS)
(Roccalumera, ME)
OLTI la scrivono, pochi la leggono e pochissimi sanno che
cos’è: no, la poesia non è,
non è mai stata, e non sarà
mai un piacere condiviso
dai più. Per i più, i poeti sono i cantautori, esattamente come ai tempi di
Domiziano, quando Marziale scappava da Roma e
andava a Imola dicendo:
“Poeta / exierat, veniet
cum Cytharedus erit” (me
ne andai poeta, tornerò
quando sarò citaredo) visto che «grazie, onori e premi» toccavano solo ai musici. E se succede che un
poeta raggiunga quella
forma di notorietà detta
“successo”, succede sempre per ragioni estrinseche alla sua opera: perché
ha la gobba, perché è mezzo matto, perché si è suici-
Se un cantore raggiunge
il successo, avviene
perché ha la gobba
o è mezzo matto
dato, perché è morto ammazzato.
La poesia è sempre stata
un piacere per pochi perché, come diceva Foscolo, i
lettori di poesia sono
«creati dalla natura». E la
natura li crea con un’ipersensibilità dell’udito, con
un vero amore per la lingua, per un uso non utilitario della lingua; soggetti,
insomma, a quella che si
potrebbe chiamare settima funzione — se si può aggiungerne un’altra alle sei
di Jakobson — la funzione
erogena. Il loro numero è
fisso e immutabile, come
quello degli schizofrenici.
Non voglio che si pensi che
io penso a un’élite di anime
sublimi: questi pochi non
sono eletti, anzi sono quasi
sempre disperati. E la penso come Chiabrera, che diceva: «la poesia è il diletto
degli uomini, i poeti ne sono la noia», o come Paolo
Tinti: «che per loro natura
i poeti / sono bugiardi poveri e tediosi», quando non
siano «caca-pepe, bbigliosi e ffumantini» (Belli). Se
non si sa fare l’unica cosa
che si può fare per loro,
cioè leggerli, lasciamoli in
pace. Ma chiudo con Eraclito: “Che intelletto essi
hanno? e hanno senno?
Credono ai cantori di piazza e prendono per maestro
il volgo, non sapendo che i
molti sono nulla e solo i pochi hanno valore”.