1 21/10/2014 Capitolo 3 – Sistemi di cambio fissi e loro sostenibilità1 Indice 3.1. Squilibri commerciali e regime di cambio 3.1.1. Cambi flessibili 3.1.2. Cambi fissi 3.2. Il problema del paese n-esimo in un sistema di cambi fissi 3.2.1. Soluzione asimmetrica (egemonica) 3.2.2. Soluzione simmetrica (cooperativa). 3.3. Vantaggi/svantaggi dell’asimmetria 3.4. Le triadi impossibili dei cambi fissi 3.5. Le triadi inquietanti Sistemi di cambio fissi possono essere favoriti perché: (a) possono avere un beneficio per il commercio internazionale evitando guerre commerciali basate su svalutazioni competitive; essi lasciano però aperta la questione di come riequilibrare eventuali squilibri commerciali fra paesi;2 (b) essi possono costituire un forte elemento disciplinante per i sindacati in quanto un paese vincolato da un accordo di cambio dovrà attestare la propria inflazione in linea con quella del paese più virtuoso. Questo è in genere ritenuto un obiettivo conservatore ma, come s’è visto nel capitolo precedente, esso trova il sostegno nell’analisi economica dominante. Conosciamo diversi sistemi di cambio fissi. Il gold standard adottato dai maggiori paesi fra a cavallo fra XIX° e XX° secolo; il sistema di Bretton Woods (BW); il Sistema Monetario Europeo (SME o European Exchange Rate Mechanism ERM) ; il currency board; l’unificazione monetaria (che ne è la forma estrema). Una differenza di rilievo, su cui torneremo, fra il sistema di BW e lo Sme è che il primo prevedeva il controllo dei movimenti di capitale, liberalizzati invece nel secondo. 1 Chi lo ritenga utile veda anche il capitolo 5 di De Grauwe (2013). Le famose proposte di Keynes alla conferenza di Bretton Woods nel 1944 erano indirizzate proprio a cercare di risolvere questo problema. 2 2 21/10/2014 La questione aperta è la sostenibilità dei sistemi di cambio fisso. Una causa importante della sostenibilità è dovuta all’atteggiamento cooperativo o meno del paese virtuoso, quello che è in genere l’architrave del sistema. 3.1. Squilibri commerciali e regime di cambio (da Colombo-Lossani cap. 2) Ricordiamo che la variazione delle riserve ufficiali è pari al saldo della bilancia dei pagamenti: RU = BP. 3.1.1. Cambi flessibili Supponiamo per cominciare cambi flessibili. La figura D mostra il mercato valutario dove si incontrano domanda e offerta di valuta estera (per esempio $) in funzione del tasso di cambio nominale S (che misura, per esempio, lire per 1$). Le funzioni di domanda IG e offerta XG sono funzioni derivate dalla domanda di importazioni e dall’offerta di esportazioni. Le importazioni aumentano quando il cambio S si rivaluta (cioè diamo meno moneta nazionale in cambio di una unità di valuta estera per cui S diminuisce) e aumenta così la domanda di valuta straniera. Le esportazioni aumentano quando il cambio si svaluta (S aumenta) sicché aumenta l’offerta di valuta straniera (provento delle esportazioni). Quindi quando il cambio si rivaluta si accresce la domanda di valuta estera per finanziare le maggiori importazioni (funzione IG) e diminuisce l’offerta di valuta estera che proviene dalle esportazioni (funzione XG). Supponiamo un equilibrio commerciale in E dove in corrispondenza a S0 si abbia RU = BP = 0. In questo caso il canale estero non influenza la creazione di moneta. Supponiamo ora uno shock sfavorevole alle nostre importazioni, per cui a parità di S si importa di più e la IG si sposta verso destra. C’è un nuovo equilibrio in E’ (la maggiore domanda di valuta estera determina una svalutazione del cambio) e al nuovo tasso di cambio S1 abbiamo di nuovo l’equilibrio esterno, senza ricorrere alle riserve ufficiali. Concludiamo che con tassi di cambio flessibili, le variazioni del cambio si assumono il compito di mantenere l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, lasciando dunque invariate le RU e così lo stock di moneta: 3 21/10/2014 In un regime di tassi di cambio flessibili il saldo globale di bilancia dei pagamenti è sempre nullo: l’offerta di moneta non è influenzata dal canale estero di creazione della base monetaria. S IG’ XG (offerta valuta) IG (domanda di valuta) S1 E’ S0 E 0 XG, IG ( per memoria: S che aumenta: svalutazione; S che diminuisce: rivalutazione) Figura D 3.1.2. Cambi fissi Supponiamo ora invece che il paese aderisca a un accordo di cambi fissi e che vi sia un equilibrio iniziale di BP al tasso di cambio S0 (Figura F). Supponiamo poi uno shock sfavorevole sulle nostre importazioni che sposta la IG verso destra portando l’economia nel punto E’. Lì la domanda di valuta OB è superiore all’offerta OA e per mantenere la parità cambiaria la banca centrale dovrà andare incontro all’eccesso di domanda di valuta estera cedendo RU (es. lire contro DM). In tal modo si riduce l’offerta di moneta domestica (ripasseremo nel cap. 6 che le riserve ufficiali costituiscono una componente esogena dell’offerta di moneta). Le RU sono però limitate, per cui il paese si può trovare costretto ad aumentare il tasso di interesse per attirare capitali che finanzino il disavanzo di BP. Il paese perde dunque il controllo della politica monetaria in quanto lo strumento del tasso di interesse deve essere utilizzato per mantenere l’accordo di cambio e finanziare il disavanzo della BP e non per sostenere output e occupazione interni. Con cambi flessibili, invece, 3dell’equilibrio esterno si occupa lo strumento della variazione del tasso di cambio sì da lasciare libero il tasso di interesse come strumento per gli obiettivi interni. In una visione un po’ monetarista, la variazione del tasso dell’interesse nel processo di aggiustamento ha carattere semi-automatico in maniera analoga a quanto accade nel gold standard. Il paese che, ad esempio, vede contrarsi la BM a seguito di uno squilibrio di BP e cessione di 3 Si osservi come stiamo applicando la regola di politica economica per cui a ogni obiettivo va associato uno strumento. 4 21/10/2014 riserve, vede aumentare il tasso dell’interesse (la liquidità si fa più scarsa), ciò porta a una contrazione della domanda aggregata interna e a un aggiustamento della BP (nella figura la IG torna un po’ indietro verso la posizione originaria). Quindi abbiamo due effetti dell’aumento del tasso di interesse: da un lato esso favorisce l’afflusso di capitali necessari a finanziare il disavanzo esterno e, dall’altro, esso induce una contrazione della domanda aggregata che riduce il disavanzo esterno. Questo non solo perché il calo del reddito (o una minore crescita) fa diminuire direttamente le esportazioni, ma anche perché se salari e prezzi sono flessibili, la loro diminuzione (o la riduzione del tassi di inflazione) fa guadagnare competitività esterna. Simmetricamente nel paese in surplus l’aumento di RU implica un aumento della BM, un minore saggio dell’interesse e un aumento della AD domestica; questo implica una riduzione dell’avanzo della BP. Questo per le ragioni simmetriche a quelle viste sopra per il caso del paese in disavanzo: aumentano le importazioni e l’aumento dei prezzi fa perdere competitività. In entrambi i casi, ciascuno dei due paesi potrebbe “sterilizzare” la variazione della BM indotta dallo squilibrio della BP. Nel caso del paese in disavanzo, la banca centrale potrebbe accrescere l’offerta di moneta in maniera tale da lasciare tasso di interesse e AD immutati (per esempio per salvaguardare l’occupazione). Tuttavia ciò impedisce la rimozione dello squilibrio della BP. Alla lunga il paese non potrà fronteggiare tale squilibrio cedendo RU, destinate a esaurirsi e dovrà o lasciar contrarre la domanda interna e/o indebitarsi con l’estero, cosa alla lunga insostenibile, o abbandonare la parità di cambio. La BC del paese in surplus potrà sterilizzare l’aumento della BM con operazioni di mercato aperto volte a drenare liquidità. In tal modo, tuttavia, il paese in avanzo non aiuta l’aggiustamento del paese in disavanzo su cui ricade tutto il peso del riequilibrio. 5 21/10/2014 S IG’ XG (offerta valuta) IG (domanda di valuta) S0 0 E A E’ B XG, IG Figura F Un paese aderente a un sistema di cambi fissi (S0) colpito da uno shock asimmetrico sarà dunque costretto ad adottare politiche deflazionistiche che sono in parte automatiche per la riduzione delle riserve ufficiali e, conseguentemente, di base monetaria. L’aumento del tasso di interesse conduce a una caduta della domanda interna, del reddito e, di conseguenza, delle importazioni. Questo riporta la IG verso la posizione originaria E. L’aggiustamento può essere agevolato da uno spostamento della XG verso destra se la minore inflazione domestica fa deprezzare il tasso di cambio reale e stimola le esportazioni e scoraggia le importazioni (nella figura P la XG muove verso destra in XG’ mentre la IG torna un po’ indietro in IG’’). Il paese troverà un suo equilibrio in E’’ senza dover ridurre le importazioni attraverso una riduzione del reddito al fine di collocarsi in E. Come s’è detto, l’aggiustamento sarà anche meno doloroso se esso è simmetrico, ovvero se nel paese che subisce uno shock positivo l’aumento delle riserve e della base monetaria si traduce in un minor tasso di interesse, crescita della domanda aggregata e un tasso di inflazione più elevato e, da un lato, in un aumento delle importazioni e, dall’altro in una diminuzione delle esportazioni. Naturalmente questo paese non deve sterilizzare l’aumento di base monetaria. Anche questo sosterrà le esportazioni del paese in disavanzo (lo spostamento verso destra della XG). 6 21/10/2014 S IG’ IG S0 0 XG XG’ IG’’ E A E’’ E’ B XG, IG Figura P Quella descritta è una logica un po’ monetarista per cui il paese in disavanzo perde riserve ufficiali, ciò implica una contrazione della base monetaria e un aumento del tasso del’interesse, e un calo di reddito, prezzi e salari che fa aggiustare lo squilibrio esterno. A meno di una sterilizzazione, un processo simmetrico accade del paese in surplus in cui l’aumento delle riserve ufficiali implica un aumento della base monetaria e una di munizione del tasso di interesse, un aumento del reddito, di prezzi e salari e una riduzione del surplus esterno. Questi mutamenti della base monetaria in seguito alla variazione delle riserve trovano però un limite nel paese in disavanzo proprio nella limitatezza delle riserve ufficiali. Peraltro nessun paese le lascerà esaurire completamente. Inoltre deflazioni di prezzi e salari sono difficili e dolorose. Si deve perciò ritenere che i paesi in disavanzo agiranno deliberatamente - cioè senza dar corso agli automatismi di tipo monetarista – per ridurre il disavanzo esterno attraverso politiche fiscali e monetarie restrittive. Simmetricamente, un sistema di cambi fissi sostenibile implicherebbe che i paesi in surplus espandano la loro domanda interna attraverso opportune politiche fiscali e monetarie per riassorbire i propri avanzi non lasciando l’onere dell’aggiustamento sui soli paesi in disavanzo. Riassumendo, un paese che il sistema di cambi fissi incorra in disavanzi esterni può - ricorrere fin che può alle riserve valutarie - indebitarsi con l’estero - affidarsi ai meccanismi monetaristi di aggiustamento a là gold standard. - più plausibilmente ricorrere a politiche fiscali e monetarie restrittive. 7 21/10/2014 L’onere dell’aggiustamento sarà in tutti i casi più grande se il paese in surplus non cerca di espandere la propria economia. Questo ci introduce alla prossima sezione. 3.2. Il problema del paese n-esimo in un sistema di cambi fissi4 Il problema che un sistema di cambi fissi deve risolvere è quello cosiddetto del Paese nesimo. Il paese leader rispetto alla cui valuta gli altri n – 1 paesi fissano il proprio tasso di cambio può liberamente decidere la propria politica monetaria e, ci si potrebbe attendere, lo farà badando ai propri obiettivi interni senza curarsi di quelli dei partner. Se n-1 paesi decidono di fissare il proprio tasso di cambio con l’ennesimo paese, questo non deve dunque far nulla ovvero il paese ennesimo ha completa libertà di fissare la propria politica monetaria nel senso che saranno gli altri n-1 paesi ad adeguare la propria allo scopo di stabilizzare il cambio. Il disinteresse potenziale del paese leader per i paesi follower crea situazioni spiacevoli. Il paese follower, se colpito da una recessione, non potrebbe diminuire il proprio tasso di interesse per contrastarla. Se subisse uno shock negativo sui propri prodotti e vedesse, ad esempio aumentare le proprie importazioni (come nell’esempio fornito all’inizio del capitolo), l’aggiustamento ricadrebbe tutto sul paese periferico costretto a una recessione volta a diminuire le importazioni. Gli economisti più conservatori vedono un vantaggio in un sistema asimmetrico in quanto esso impone disciplina sul paese B il quale, sulla base dei ragionamenti svolti nel capitolo 2, può essersi legato le mani proprio per acquistare credibilità negli obiettivi di moderare il tasso di inflazione. Nella figura L la curva decrescente è la curva di domanda di moneta. La funzione verticale è l’offerta di moneta. Supponendo che i mercati non si attendano variazioni del tasso di cambio, tale stabilità è compatibile con differenti tassi di interesse. Nella figura L, i due paesi possono scegliere diversi tassi di interesse, per esempio r1 o r2. Tuttavia tale scelta può o meno essere cooperativa (decisa assieme). Il paese periferico (o follower) è comunque costretto a fissare il medesimo tasso di interesse del paese leader. In un sistema di cambi fissi senza controllo dei movimenti di capitale un paese “piccolo” (periferico o follower) deve adeguare sistematicamente i propri tassi di interesse a quelli del paese leader, pena entrate o uscite di capitali che determinerebbero variazioni indesiderate del tasso di cambio. Con libertà di movimenti di capitale e cambi fissi si perde la politica monetaria. 4 Mi avvalgo di elementi da De Grauwe (ed. 2010) e Colombo & Lossani (cit). 8 21/10/2014 rA rB r1 r2 MA Paese leader MB Paese periferico (follower) Figura L Se poi si generano aspettative di variazione del cambio, la difesa della parità comporterà un differenziale nei tassi di interesse fissati dal paese follower rispetto al paese leader (che invece non li varia non avendo un cambio da difendere). Assumiamo perfetta mobilità dei capitali. La parità scoperta dei tassi di interesse è: rA rB s e Dove s e è il tasso di deprezzamento atteso della valuta del paese A. Se s e = 0, cioè il regime di cambi fissi è affidabile al 100%, ovviamente rA rB . Se ci si attende una svalutazione della moneta del paese B, s e rappresenta la remunerazione del rischio di cambio. Esempio. Supponiamo di acquistare con 100 euro un titolo a un anno denominato in $ quando il cambio è 1E = 1$ ed i = 2%. Se l’attesa a un anno è di una svalutazione del dollaro del 5%, cioè se il cambio atteso a un anno è 1E = 1,05$, comprerò il titolo solo se offre un atsso di rendimento pari a 7%. Il differenziale fra i tassi dei due paesi se c’è attesa di svalutazione sarà tanto maggiore quanto meno cooperativo è il comportamento del paese leader. Se per esempio, se l’attesa di svalutazione è dovuta a un disavanzo del paese A, il paese B potrebbe espandere la propria economia per agevolare il rientro del disavanzo del paese A. 9 21/10/2014 3.2.1. Soluzione asimmetrica (egemonica) rA rB r3 r1 r2 MA Paese leader MB Paese periferico Figura F Supponiamo si verifichi un’aspettativa di svalutazione della moneta del paese B. La condizione della parità scoperta dei tassi di interesse impone un aumento del tasso di interesse nel paese B. Oltre che come decisione delle autorità di politica monetaria questo avviene anche per i fatto che gli speculatori finanziari venderanno valuta del paese B disfacendosi di titoli denominati in quella moneta in loro possesso e domandando valuta del paese A. Per difendere il cambio la banca centrale del paese B dovrà cedere riserve ufficiali nella valuta A acquistando la propria valuta. Questo ha un effetto sull’offerta di moneta che diminuisce in B e aumenta in A, col risultato che il tasso di interesse diminuisce ad r2 in A (dove c’è un’attesa di rivalutazione) e aumenta in B. A meno che il paese A non sterilizzi l’aumento della quantità di moneta, nel qual caso l’aggiustamento ricade tutto sul paese B che sarà costretto a lasciar aumentare il tasso di interesse oltre r3. Se il paese (n-esimo ) A sterilizza le variazioni dello stock di moneta, il proprio livello dei tassi di interesse non risultano influenzato da quanto accade sul suo mercato monetario. 3.2.2. Soluzione simmetrica (cooperativa). Supponiamo che si generino aspettative di svalutazione della moneta del paese B. Sappiamo che per mantenere un tasso di cambio fisso in presenza di aspettative di deprezzamento s e del tasso di cambio si richiede che nel mercato si venga a produrre un differenziale nei tassi di interesse pari a: rB rA s e Se il sistema di cambio fisso funzionasse simmetricamente, tale differenziale di tasso verrebbe ottenuto mediante un aumento del tasso di interesse nel paese B e una riduzione nel paese A. Il deflusso di capitali da B verso A che segue l’aspettativa di deprezzamento genera una 10 21/10/2014 diminuzione del valore dei titoli nel paese B e un apprezzamento del loro valore nel paese A per cui i tassi si muovono esattamente in questo modo. In termini di offerta di moneta ciò che si determina nel paese B è una cessione di RU (denominate nella valuta del paese A) da parte della BC che va incontro all’eccesso di domanda di valuta A da parte degli speculatori che intendono trasferire i propri capitali nel paese A.5 In tal modo la BC del paese B contribuisce a stabilizzare il cambio. La BC del paese A, simmetricamente, potrà acquistare valuta B, contribuendo anch’essa a stabilizzare le aspettative di cambio (o come accadeva nello SME, sostenere l’intervento della BCB concedendo l’ammontare necessario di valuta per l’intervento mediante finanziamenti a breve). In ogni caso la BC del paese A lascia che il proprio tasso di interesse scenda (data la domanda di moneta per transazioni, la maggiore offerta di valuta A si rivolge al mercato dei titoli del paese A e rA diminuisce). Dunque non sterilizza. Nei termini della figura D: nel paese B l’offerta di moneta si contrae - poiché le RU si contraggono in seguito all’uscita di capitali - e il tasso di interesse sale; in A l’offerta di moneta si espande e il tasso di interesse si riduce. rA rB rB1 r0 rA1 M 0A M 1A MA M 1B M B0 MB Figura D Se tuttavia il paese A sterilizza l’aumento della quantità di moneta - ovvero BCA effettua operazioni di mercato aperto vendendo titoli -, essa impedisce il rialzo del prezzo dei titoli che avrebbe seguito l’afflusso di capitali e impedisce la diminuzione del tasso dell’interesse. Il carico della difesa del cambio ricade dunque tutta sul paese B dove l’offerta di moneta si contrae e il tasso 5 Nello SME il paese B poteva ottenere l’ammontare necessario di valuta per l’intervento mediante finanziamenti a breve delle altre BC. 11 21/10/2014 di interesse sale oltre il livello a cui sarebbe salito con un comportamento cooperativo di BCA, cioè rB2 > rB1 , come mostrato nella figura V: 12 21/10/2014 rA rB rB2 r0 M 0A MA M 1B M B0 MB Figura V I regimi di cambio fissi caratterizzati da comportamento asimmetrico incontrano notevoli difficoltà che emergono dai conflitti fra la conduzione della politica monetaria da parte dell’n-esimo paese e gli altri n-1 partecipanti. La credibilità del sistema ne viene dunque a soffrire a meno che gli n-1 membri del regime non intendano sostenere di costi molto elevati. E’ questo un motivo che può aver spinto gli n-1 paesi partecipanti allo Sme a passare a una unificazione monetaria che avrebbe dovuto rispecchiare preferenze e obiettivi comuni per tutti i partecipanti (Vianello 2005). BOX 1. Si noti anche che in un sistema di cambi fissi cooperativo c’è (idealmente) un aggiustamento simile a quello del gold standard. I più bassi tassi nel paese A determinano un’espansione della AD e, dunque, maggiori importazioni da B e maggiore inflazione (che nuoce alla competitività di A); e simmetricamente i maggiori tassi di interesse in B determinano minori importazioni da A e una minore inflazione che fa recuperare competitività. Keynes che propugnò nella conferenza di Bretton Woods nel 1944 un sistema di cambi fissi riteneva che, infatti, gli aggiustamenti dovessero essere simmetrici e non lasciati a mere forze di mercato. Egli riteneva, inoltre, che per evitare deflazioni troppo forti nel paese in disavanzo (B nel nostro esempio) il sistema monetario dovesse essere congeniato in maniera che i surplus commerciali dei paesi in avanzo andassero a finanziare i disavanzi degli altri paesi, dando loro tempo per un aggiustamento non socialmente doloroso. Al di fuori di queste soluzioni, il peso degli aggiustamenti è tutto sui paesi deficitari, e da ultimo anche le esportazioni di A ne verranno a soffrire. Nello SME il comportamento della Germania fu non-cooperativo (v. le pagine di Vianello nel cap. 2). Questa fu una ragione che spinse i partner a 13 21/10/2014 perseguire un’unione monetaria nell’aspettativa che in quest’ultima avrebbero avuto più voce in capitolo sulla politica monetaria. BOX 2. Un’anticipazione. Nella maggior parte dei libri di testo lo stock di moneta è descritto come esogenamente determinato dalla banca centrale. Lo stock di moneta è in verità endogeno. Le autorità di politica monetaria decidono il tasso dell’interesse e, data la funzione di domanda di moneta, resta determinata l’offerta di moneta. Per esempio, dato il tasso di interesse, il settore privato decide quanto credito desidera. Il settore bancario (valutata l’affidabilità individuale dei richiedenti) crea un corrispondente ammontare di depositi. La BC passivamente crea il necessario ammontare di riserve (il suo ruolo attivo la BC l’ha già svolto decidendo il tasso di interesse al quale concede le riserve). In questo senso si dice che la “moneta è endogena” e che “i prestiti creano i depositi, e questi ultimi creano le riserve”. La teoria che vi hanno insegnato che l’ammontare di depositi dipende dallo stock di moneta creato dalla BC e dal “moltiplicatore dei depositi bancari” (che dipende dal coefficiente di riserva obbligatoria e dalla percentuale di base monetaria detenuta dal pubblico) è sfacciatamente sbagliata, come ogni banchiere centrale sa. Questa sequenza di eventi è riconosciuta nel cosiddetto modello IS-LM-senza-LM, ora parte della macroeconomia, in cui in luogo della LM (che è tracciata per un dato stock di moneta) v’è una retta orizzontale corrispondente al tasso di interesse deciso dalle autorità di politica monetaria. Dunque l’elemento “disciplinante” del regime a cambi fissi va visto nell’impossibilità di disallineare il tasso di interesse nazionale rispetto a quello del paese leader, e non nella libertà o meno di fissare lo stock di moneta. Questa libertà non c’è mai essendo lo stock di moneta endogeno. Attenzione però, la componente estera dello stock di moneta è esogena - per cui nei grafici precedenti era lecito che l’offerta di moneta si spostasse a seguito di movimenti speculativi di capitale. Tuttavia, quei movimenti esogeni possono, come s’è visto, essere sterilizzati. Per saperne di più: http://keynesblog.com/2013/05/21/inflazione-e-moneta-endogena-il-pdf/ in particolare la sezione 5. 3.3. Vantaggi/svantaggi dell’asimmetria Come s’è detto, un vantaggio dell’asimmetria propugnato dagli economisti conservatori è la disciplina imposta sui paesi follower. 14 21/10/2014 Lo svantaggio è l’impossibilità per il paese follower di reagire a shock asimmetrici - per esempio una recessione - proprio perché, come si è detto, i paesi n-1-esimi perdono la politica monetaria. rA rB r0 rB1 M 0A MA M 1B M B0 MB Figura R Nella figura R il paese B è colpito da recessione per cui la sua domanda di moneta (che dipende dal reddito oltre che da r) si sposta verso sinistra. Il paese avrebbe bisogno di un più basso tasso di interesse rB1 che si produrrebbe se le autorità di politica monetaria mantenessero l’offerta di moneta M B0 . Il regime cambiario impone però una riduzione dello stock a M 1B in modo da non violare la parità dei tassi in regime di libertà di movimento dei capitali. In altri termini, in seguito alla recessione le autorità di politica monetaria potrebbero desiderare un nuovo tasso rB1 e di conseguenza preservare lo stock di moneta M B0 . La necessità di mantenere il cambio fisso in regime di liberta di movimenti di capitale impone tuttavia che esse non modifichino il tasso iniziale r 0 - infatti a un tasso più basso i capitali fuggirebbero determinando un deprezzamento del cambio -, ragione per cui la BC riduce lo stock di moneta domandato a M 1B . Come si vede lo stock di moneta è determinato endogenamente dati tasso di interesse e domanda di moneta. Se invece vi fosse un’espansione della domanda aggregata nel paese B, la domanda di moneta si sposterebbe verso destra determinando un aumento del tasso di interesse, ciò che attirerebbe capitali e un apprezzamento del cambio in violazione del regime di cambi fissi. Allora la banca centrale è costretta ad accrescere l’offerta di moneta per stabilizzare il tasso di interesse al valore di partenza. 15 21/10/2014 La conclusione è che in un regime di cambi fissi un paese (n-1)-esimo perde la possibilità di controllare il ciclo economico attraverso la politica monetaria - e anche la politica fiscale ne soffre in quanto in una recessione bassi tassi di interesse rendono meno costoso l’indebitamento pubblico e dunque misure di sostegno della domanda aggregata. 3.4. Le triadi impossibili dei cambi fissi Come s’è visto, in un regime di cambi fissi la banca centrale di una piccola economia aperta - o paese follower come per esempio l’Italia ai tempi della lira - si impegna a mantenere la ”parità ufficiale” del cambio attraverso gli intervento di acquisto o vendita della divisa estera sul mercato valutario. Il criterio a cui si ispirano tali interventi è quello di stabilizzare il tasso di cambio nominale tramite il soddisfacimento continuativo dell’eccesso di domanda di valuta (che può essere di valuta domestica o di valuta estera); tale eccesso di domanda è determinato dal saldo delle partite correnti (PC). Se questo si trova in avanzo, si riscontra un eccesso della domanda di valuta nazionale sull’offerta; la BC deve intervenire sul mercato valutario per evitare che il tasso di cambio nominale si apprezzi, vendendo valuta nazionale e acquistando in maniera compensativa valuta estera. In questo caso, l’offerta di moneta nazionale aumenta e la BC accumula riserve ufficiali. Se la BC vuole evitare un eccesso di creazione di moneta via canale estero, perché timorosa di creare un eccesso di domanda interno, dovrà vendere titoli e sterilizzare la moneta creata. I paesi in surplus commerciale e che accumulano riserve non le tengono in genere oziose, ma le “riprestano” ai paesi in disavanzo finanziando il loro squilibrio di PC. Il caso di scuola è fra Cina e USA. Il contrario vale se il saldo estero si trova in disavanzo; in questa circostanza il mantenimento dell’accordo di cambio comporta una riduzione dell’offerta di moneta e una decumulazione delle riserve ufficiali. Se un paese ha un disavanzo persistente delle PC, le RU possono esaurirsi nella difesa del cambio. Solo un ingresso di capitali può impedire una svalutazione della moneta e la BC dovrà fissare il tasso dell’interesse in maniera da generare un flusso di capitali che, finanziando il saldo negativo delle PC, stabilizzi il cambio. Il vantaggio del regime di cambi fissi è nell’impedire le svalutazioni competitive che alla fine nuocciono al commercio internazionale. Tuttavia tale regime vincola assai l’autonomia della politica economica di un paese Per questo si dice che coi cambi fissi un paese “perde la politica monetaria”. Prendiamo un piccolo paese in tendenziale equilibrio di PC. Esso dovrà mantenere un tasso di interesse non inferiore a quello degli altri paesi, in particolari a quelli delle grandi economie, e se questi accrescessero il loro, di conserva il paese in oggetto dovrà accrescere il proprio (pena la fuoriuscita 16 21/10/2014 di capitali e il deprezzamento della valuta). Alti tassi di interesse possono andare a detrimento dell’obiettivo del sostegno della domanda interna e dell’occupazione. Per contro, se il piccolo paese volesse fissare tassi più alti di quelli internazionali vedrebbe affluire capitali indesiderati che farebbero apprezzare la sua valuta in maniera indesiderata (l’apprezzamento potrebbe determinare uno squilibrio commerciale e la necessità di politiche restrittive a detrimento dell’occupazione). In un regime di cambi fissi un paese in disavanzo di PC non potrà fare affidamento sulla svalutazione della propria moneta per aggiustare la bilancia commerciale. Esso sarà dunque costretto o (a) adottare misure restrittive atte a riequilibrare la bilancia commerciale, ovvero (b) ad attirare capitali attraverso elevati tassi di interesse. Essendo un paese a rischio di svalutazione, esso potrà anche facilmente assistere a “fughe di capitali”. Se v’è un’attesa di deprezzamento della moneta nazionale, sarà infatti conveniente per un possessore di capitali detenuti in valuta nazionale cambiare questi capitali in valuta estera, azione che a sua volta accelera la svalutazione, e ricomprare a più buon prezzo la moneta nazionale una volta che la svalutazione abbia avuto luogo. Il tasso di interesse deve dunque essere tale da compensare il rischio di perdita (o di mancato guadagno) che si incorre nel mantenere i propri capitali in valuta nazionale. Sostenere disavanzi della bilancia commerciale attraverso ingresso di capitali è tuttavia pericoloso in quanto: (a) il perdurare del cambio non competitivo può determinare deindustrializzazione, dunque perdita definitiva di capacità produttiva in particolare nel settore manifatturiero ed esportatore; (b) la crescita progressiva del debito estero sui cui si pagano, per giunta, tassi di interesse elevati. Casi di scuola sono l’Italia nello SME, soprattutto nel periodo 1987-1992, l’Argentina degli anni 1990 nel currency board (si svolga da soli una piccola ricerca su Wikipedia), ma in fondo, anche, la situazione che è maturata nell’Unione monetaria europea (UME) essendo una unificazione monetaria un caso estremo di cambi fissi. Una maniera per evitare, almeno parzialmente, la perdita di autonomia nella politica monetaria è nel controllo dei movimenti di capitale. In questo caso i movimenti di capitale sia in uscita che in ingresso sono soggetti a un regime di autorizzazioni. In tal modo un paese può decidere il livello del tasso di interesse più consono senza veder fuggire (se fissa i troppo basso) o affluire (se fissa i troppo alto) capitali. Il problema, si dice, è che i controlli di capitale sono difficili. Per esempio, una impresa che volesse esportare clandestinamente capitali sotto-fatturerebbe le proprie vendite all’estero oppure sovrafatturerebbe i propri acquisti. In sintesi gli economisti parlano di triade impossibile: cambi fissi, autonomia della politica monetaria (liberta di fissare i) e libertà dei movimenti di capitale: solo due dei tre corni sono compatibili. 17 21/10/2014 Tassi di cambio fissi Gold standard Sme, Ume Bretton Woods Mobilità dei capitali Politica Tassi di cambio flessibili monetaria indipendente 3.5. Le triadi inquietanti Oltre alla classica triade presentata in un precedente box, sono almeno altre 3 le triadi impossibili. 1. Classica macroeconomica: tassi di cambio fissi, libertà movimento dei capitali, politica monetaria autonoma. Questa triade abbiamo già esaminato. 2. Settore finanziario: tassi di cambio fissi, libertà movimento dei capitali, stabilità finanziaria. Questa triade esamineremo in verità nel prossimo capitolo in cui vedremo che sistemi di cambio fissi generano flussi di capitale fra paesi alla lunga finanziariamente destabilizzanti. 3. Relazioni internazionali: tassi di cambio fissi, libertà movimento dei capitali, indipendenza politica nazionale. La perdita della sovranità monetaria riduce lo spazio di manovra indipendente dei singoli Stati. 4. Politica: tassi di cambio fissi, libertà movimento dei capitali, democrazia (Rodrik 2007). Questa è la triade più inquietante. Le politiche restrittive che possono seguire sistemi di cambio fissi possono condurre a proteste popolari e dunque alla necessità di restrizioni democratiche per sedare tali proteste. Un paper di due eminenti economisti americani, Bordo e James, che trae le implicazioni di queste triadi per l’UME, tracciando le similarità fra quest’ultima e il gold standard, è riassunto in questo articolo dell’Economist (A trio of trilemmas - The gold standard holds worrying lessons for the single currency, July 6th 2013, http://www.economist.com/news/finance-andeconomics/21580452-gold-standard-holds-worrying-lessons-single-currency-trio). “European leaders have enjoyed a period of respite from financial turmoil since last summer. But the euro remains vulnerable. Portuguese bond yields soared this week as the ruling coalition fractured. Ireland’s economy has contracted for three quarters in a row. A proper banking union is a long way off. The euro’s fragility is underlined by a new study by Michael Bordo of 18 21/10/2014 Rutgers University and Harold James of Princeton University. The two economic historians look at the flaws in another supposedly impregnable international monetary regime, the gold standard, and find reasons to fret about the single currency. The parallels between the euro and the gold standard are not exact. The single currency is a monetary union with the European Central Bank (ECB) at its apex; the gold standard had no such institution. The euro floats against other currencies such as the dollar, and the ECB is obliged to maintain price stability rather than convertibility into gold. But for the 17 states that now share the single currency, it represents a new gold standard in that their exchange rates with each other are fixed. That observation is not new, but the authors’ analysis of the tensions that eventually scuppered the gold standard is fresh. Those tensions, they argue, emerged from a trio of “trilemmas”, each a set of three choices of which any two options together are feasible but not all three. One of the three trilemmas is familiar to economists: the “impossible trinity” of fixed rates, free movement of capital and an independent monetary policy. This means that when currencies are locked and capital can flow freely, countries surrender their ability to conduct their own monetary policy. But Messrs Bordo and James reckon that countries in regimes like the euro and the gold standard may not just be sacrificing their ability to set interest rates; they may also be forsaking financial stability and even undermining democracy. 1) Start with monetary independence. By throwing away the key of exchange rates, countries must alter their relative domestic prices and wages when they become misaligned. In its heyday before the first world war the gold standard worked well. It generated pressures on both surplus and deficit countries when they respectively gained or lost competitiveness. States with surpluses acquired gold, pushing up the money supply, raising prices and making them less competitive. States with deficits lost gold, which caused the money supply to shrink, pushing prices down and sharpening their edge against rivals. Unfortunately the euro resembles the flawed interwar version of the gold standard rather than the classical pre-war model. After the gold standard was restored in the 1920s, central banks in surplus states like France (which had rejoined it at an undervalued exchange rate) sterilised the monetary effects of gold inflows so that prices did not rise. That put all the pressure to adjust on countries like Britain, which rejoined the gold standard in 1925 at an overvalued rate. A similarly harsh deflationary process is now under way in peripheral euro-zone countries like Greece. Their adjustment would be much less draconian if the core states were prepared to tolerate considerably higher inflation than the euro-zone average. But Germany fiercely resists this. 19 21/10/2014 2) The second of the authors’ trilemmas is the incompatibility of fixed exchange rates and capital mobility with financial stability. When countries joined the gold standard, it bestowed a seal of approval that prompted a big influx of foreign money. That pumped up credit, driving an expansion of domestic banks that often ended in grief. Under the gold standard a strong state could support wobbly banks and investors; in pre-war Russia, for example, the central bank was called the “Red Cross of the bourse”. But a weak state could easily forfeit investors’ confidence, as happened to Argentina in its 1890 debt-and-banking crisis. That same story has been repeated in the brief history of the euro. Money cascaded into peripheral Europe, causing banking booms and housing bubbles. In the bust that followed, the task of recapitalising banks has caused both the Irish and Spanish states to buckle. 3) The third trilemma is the most worrying: the potential incompatibility of fixed exchange rates and free movement of capital with democracy. Germany was able to rejoin the gold standard after the first world war thanks to the confidence-boosting Dawes Plan in 1924 dealing with reparation payments. But the harsh fiscal medicine administered during the Depression in its effort to stay on gold contributed to the rise of the Nazis. Britain left gold in 1931, presaging the end of the gold standard, because the austerity it required had become unbearable. Demos and the demos The potential for a similar backlash against the economic and fiscal requirements of Europe’s monetary union is clear. Although southern Europeans still want to keep the euro, not least because the cost of exit is harsher than that of leaving the gold standard, disenchantment grows. Italian voters said basta to austerity in February; Portugal’s government is fraying in the face of public hostility to tax rises and spending cuts. Northern Europeans are also unhappy. Popular opposition to paying for euro-zone rescues constrains Angela Merkel, the German chancellor, from spelling out the sacrifices voters must make to sustain the euro. None of this means an explosion is imminent. Political pressures can simmer for a long time before they boil over. The euro-zone recession has to end at some point. Progress towards institutional reform may accelerate after the German election in September. But if the long-term viability of the single currency is secured, the Europeans will be bucking history.” * “The European Crisis in the Context of the History of Previous Financial Crises”, NBER Working Paper 19112, June 2013, http://www.nber.org/papers/w19112.pdf.
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