G It Diabetol Metab 2014;34:64-71 Rassegna Ruolo del diabetologo alla luce delle nuove linee guida per la retinopatia diabetica RIASSUNTO La retinopatia diabetica (RD) è la più comune complicanza microvascolare del diabete e, tuttora, la principale causa di cecità in età lavorativa nei Paesi industrializzati. Lo stadio pre-proliferante è spesso asintomatico e ciò ritarda diagnosi e trattamento delle forme a rischio, retinopatia proliferante ed edema maculare diabetico. Attualmente, le strategie più efficaci nel prevenire e trattare la retinopatia diabetica includono il controllo ottimale di glicemia e pressione arteriosa e lo screening delle lesioni retiniche ad alto rischio (sebbene ancora asintomatiche). I risultati di alcuni trial clinici suggeriscono inoltre un ruolo per i bloccanti del sistema renina-angiotensina-aldosterone e per il fenofibrato. Oltre al trattamento fotocoagulativo, capace di prevenire il deficit visivo, la somministrazione intravitreale di antagonisti del fattore di crescita endoteliale (VEGF) riduce la perdita dell’acuità visiva negli stadi più avanzati della RD, soprattutto nell’edema maculare diabetico. Queste evidenze suggeriscono la crescente necessità di una gestione integrata di tale complicanza, fondata sulla collaborazione tra specialista diabetologo e oculista, come sottolineato nelle Linee guida per lo screening, la diagnostica e il trattamento della retinopatia diabetica redatte dalla Società Italiana di Diabetologia nel 2013. SUMMARY The diabetologist’s role in diabetic retinopathy in line with the new Italian guidelines Diabetic retinopathy (DR) is the commonest microvascular complication of diabetes and the main cause of visual loss in workingage people in industrialized countries. It evolves from nonproliferative to proliferative stages (mild, moderate or severe). Since the pre-proliferative stages are often asymptomatic, delay in diagnosis and treatment is frequent, so early detection of sightthreatening DR is recommended. Optimised control of blood glucose and blood pressure and systematic retinal screening programs are currently the best approaches to prevent or treat visual impairment due to DR. In addition, recent clinical trials suggest the efficacy of renin-angiotensin system blockers and fenofibrate in reducing progression and/or inducing regression of M. Porta, A.V. Taulaigo, A. Orsello Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino, Torino Corrispondenza: prof. Massimo Porta, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino, corso AM Dogliotti 14, 10126 Torino e-mail: [email protected] G It Diabetol Metab 2014;34:64-71 Pervenuto in Redazione il 12-03-2014 Accettato per la pubblicazione il 24-03-2014 Parole chiave: retinopatia diabetica, screening, linee guida, farmaci anti-VEGF Key words: diabetic retinopathy, screening, guidelines, anti-VEGF agents Ruolo del diabetologo alla luce delle nuove linee guida per la retinopatia diabetica mild to moderate non-proliferative DR. In more advanced cases, besides laser photocoagulation, intravitreal injections of antiVEGF agents help reduce visual loss. These findings suggest the increasing need for integrated management of this complication, based on collaboration between diabetes and eye specialists, as outlined in the Guidelines for Screening, Diagnosis and Treatment of Diabetic Retinopathy, issued by the Italian Society of Diabetology in 2013. Introduzione Recentemente è uscito l’aggiornamento delle linee guida italiane per lo screening, la prevenzione e il trattamento della retinopatia diabetica (RD), consultabili sul sito della Società Italiana di Diabetologia(1). Sebbene tale opera di aggiornamento sia rivolta soprattutto alla necessità di dare indicazioni riguardo alla diagnostica e al trattamento dell’edema maculare diabetico in un momento di grandi cambiamenti legati all’introduzione delle nuove terapie intravitreali(2), il documento ripropone con forza l’imprescindibilità di una stretta collaborazione fra diabetologi e oculisti nel procrastinare la comparsa della RD, rallentarne il decorso e prevenirne l’esito in cecità o menomazione visiva. In questa rassegna ripercorreremo i dati epidemiologici e fisiopatologici fondamentali ed esamineremo le opzioni a disposizione del diabetologo e le opportunità di interazione con i colleghi oftalmologi. Epidemiologia e fattori di rischio per la RD Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità(3) a gennaio 2011 più di 220 milioni di persone in tutto il mondo erano affette da diabete e la prevalenza aumenterà a 366 milioni entro il 2030. I fattori che concorrono a questo incremento sono la maggiore longevità e un rapido aumento di prevalenza dell’obesità, rendendo il diabete un problema rilevante in sanità pubblica perché un aumento della sua prevalenza porterà verosimilmente a un aumento delle complicanze a esso associate. La RD è la più comune complicanza microvascolare del diabete e tuttora rappresenta un’importante causa di deficit visivo in età lavorativa nei Paesi industrializzati. Inoltre, può raggiungere gli stadi più avanzati in assenza quasi totale di sintomi. La prevalenza di tale complicanza, in accordo con i dati ricavati da una recente metanalisi condotta su studi internazionali di prevalenza, si attesta al 34,6% dei pazienti diabetici (intervallo di confidenza, IC al 95% 34,5-34,8), la forma proliferante è presente nel 6,96% (6,87-7,04) dei pazienti e l’edema maculare diabetico (diabetic macular edema, DME) nel 6,81% (6,74-6,89)(4). I principali fattori di rischio associati sono rappresentati dalla durata del diabete, dai livelli di emoglobina glicata, dalla pressione arteriosa e dall’essere affetti da diabete di tipo 1 piuttosto che di tipo 2, infatti la quasi totalità dei pazienti con diabete 65 di tipo 1 sviluppa la retinopatia a 20 anni dalla diagnosi, nella metà dei casi in forma proliferante. In uno studio recente condotto dall’Unione Italiana Ciechi su una popolazione di 15.725 soggetti ciechi totali e ipovedenti, la retinopatia diabetica era responsabile dell’8,23% dei casi di grave deficit visivo(5). D’altro canto, gli importanti progressi nella gestione del diabete che hanno avuto luogo negli ultimi 30 anni si sono associati a una diminuzione dell’incidenza e della prevalenza di RD e deficit visivo in pazienti con diabete di tipo 1(6). Storia naturale e classificazione La storia naturale della retinopatia diabetica distingue due stadi: la forma non proliferante e proliferante; in entrambe sono presenti alterazioni dei capillari retinici, ma mentre nella prima le lesioni sono limitate al tessuto retinico nella seconda si estendono al corpo vitreo. Tale distinzione ha importanti risvolti sia sul piano terapeutico sia su quello prognostico. La retinopatia non proliferante evolve da uno stadio lieve, in cui le alterazioni capillari predominanti sono microaneurismi e rare emorragie, a una forma moderata in cui l’iper-permeabilità vasale determina passaggio di siero e lipoproteine nella neuroretina, con formazione di edema e dei cosiddetti “essudati duri”, mentre dalle occlusioni vascolari originano i “noduli cotonosi”, aree di ischemia a margini sfumati. La forma grave è infine caratterizzata dall’aumento numerico di tali lesioni, dalla presenza di numerose emorragie retiniche profonde e di anomalie microvascolari intraretiniche (intraretinal microvascular abnormalities, IRMA)(1). Le aree di ischemia retinica inducono la liberazione di vascular endotelial growth factor (VEGF) e altre sostanze con proprietà angiogeniche(7) agendo così da primum movens verso l’evoluzione nella forma di retinopatia proliferante, ad alto rischio di perdita del visus. Le lesioni che caratterizzano la forma proliferante (RDP) sono i capillari neoformati, particolarmente fragili in quanto la loro parete è costituita da solo endotelio, che si estendono dalla papilla ottica e dalla retina alla cavità vitreale fino talvolta alla camera anteriore. Le inserzioni dell’impalcatura fibrosa di tali neovasi possono determinare distacco di retina secondario e l’impegno della camera anteriore, il cosiddetto glaucoma neovascolare. Si definisce ad alto rischio una forma in cui le neovascolarizzazioni coinvolgono più di un terzo dell’area papillare e si associano a sanguinamento pre-retinico. Esiste inoltre una forma a elevato rischio di perdita del visus che può insorgere come complicanza sia della forma non proliferante sia di quella proliferante: il DME(2) in cui la macula, porzione centrale della retina, è coinvolta da un danno edematoso e ischemico con grave deficit dell’acuità visiva e della percezione dei colori. Il DME colpisce più frequentemente i pazienti con diabete di tipo 2, costituendo la principale causa di deficit visivo secondario al diabete(1). La retinopatia diabetica è considerata una complicanza microangiopatica, ma recenti evidenze sottolineano che la degenerazione della neuroretina, con apoptosi delle cellule 66 M. Porta et al. ganglionari e attivazione gliale, potrebbe essere un evento molto precoce che anticipa e/o contribuisce al danno vascolare(8). Tale danno si può manifestare con la perdita della capacità di discriminare i colori e della sensibilità al contrasto, così come dimostrato da studi elettrofisiologici in pazienti diabetici con breve storia di malattia(9) e un ritardato tempo implicito all’elettroretinografia multifocale potrebbe predire lo sviluppo precoce di microangiopatia(10). La degenerazione della neuroretina e la microangiopatia condividerebbero almeno in parte i meccanismi fisiopatologici sottesi a tali complicanze e descritti di seguito. Meccanismi fisiopatologici I meccanismi fisiopatologici che sottendono al danno vascolare indotto dal glucosio sono oggetto di studio in quanto la loro conoscenza potrebbe fornire potenziali bersagli terapeutici mirati. Attualmente quattro meccanismi sono ritenuti partecipare alla produzione del danno: 1) l’aumentato flusso attraverso la via dei polioli; 2) l’aumentata produzione di AGE; 3) l’attivazione della proteina kinasi C (PKC); 4) l’aumentato flusso attraverso la via delle esosamine. Brownlee e collaboratori hanno ipotizzato che il possibile denominatore comune (“meccanismo unificante”) di queste vie biochimiche apparentemente indipendenti sia l’eccessiva produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) indotta dall’iperglicemia. Questi si formerebbero a livello dell’endotelio nella catena mitocondriale di trasporto degli elettroni come risultato di un aumentato flusso a livello del ciclo di Krebs(11). La benfotiamina, un derivato della tiamina somministrabile oralmente, blocca tutte le vie metaboliche coinvolte nella patogenesi della retinopatia diabetica e si è dimostrata efficace nel prevenire la RD a livello sperimentale(12). Tuttavia, mancano al momento trial clinici che ne dimostrino l’efficacia nell’uomo. Il ruolo del diabetologo Il compito del diabetologo consiste da un lato nell’opera di prevenzione primaria della RD, perseguendo il miglior controllo metabolico e pressorio possibili, anche scegliendo principi attivi con dimostrata efficacia sulla RD, e dall’altro nella prevenzione dei danni visivi attraverso un’opera sistematica di screening per l’individuazione delle lesioni a rischio. Controllo glicemico Il controllo ottimizzato della glicemia e della pressione arteriosa rappresenta l’opzione principale per perseguire i suddetti obiettivi. Il raggiungimento e il mantenimento di un adeguato compenso metabolico, ottenuto il più precocemente possibile dopo la diagnosi di diabete, porta a un rallentamento nella progressione della RD(13). A sostegno di ciò il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) aveva dimostrato che il trattamento insulinico intensivo di pazienti con diabete di tipo 1 diminuisce l’incidenza di retinopatia del 76%, la progressione di RD non proliferante da lieve a moderata del 54% e la necessità di ricorrere a fotocoagulazione laser del 56%(14). Analogamente lo UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) aveva evidenziato come un buon controllo dei valori glicemici in pazienti con diabete di tipo 2, portasse, nell’arco di 12 anni, a una riduzione della progressione della RD del 21% e della necessità di intervento chirurgico su cataratta del 24%(15). Tali dati sono stati confermati dai follow-up post trial di entrambi gli studi(16). In particolare, in 30 anni di follow-up nella coorte dello studio DCCT/EDIC(16) l’incidenza cumulativa di RDP è stata del 50% nei pazienti in trattamento standard rispetto al 21% di quelli sotto trattamento intensivo. Tuttavia, tali dati sembrano indicare che la progressione della RD viene solo rallentata ma non arrestata. Infatti, estrapolando i dati del DCCT all’intera durata di vita, si può calcolare che il trattamento insulinico intensivo porterebbe a un aumento del periodo libero da RDP di 14,7 anni, da DME di 8,2 anni e da cecità di 7,7 anni(17) e non a una loro diminuzione in termini assoluti e permanenti. Un’ulteriore considerazione deve essere fatta a proposito della presenza di alcuni fattori, non ancora identificati ma verosimilmente genetici, che possono predisporre o proteggere dalla RD. Sempre nel DCCT il 10% dei pazienti nel quintile più basso di HbA1c (< 6,87%) aveva comunque sviluppato retinopatia mentre il 43% dei pazienti nel quintile più alto (HbA1c > 9,49%) non aveva sviluppato lesioni nel corso del trial(18). Tuttavia, nonostante numerosi studi sulle possibili associazioni, particolarmente con i geni che codificano per il VEGF, l’aldoso reduttasi e i recettori per gli AGE, non è stato possibile stabilire alcuna associazione consistente e riproducibile in diverse popolazioni(15). Infine, ad aggiungere incertezza, una recente metanalisi condotta sui 13 studi clinici più importanti condotti nei pazienti con diabete di tipo 2 ha confermato che il trattamento ipoglicemizzante intensivo previene la comparsa della RD e ne rallenta la progressione quando essa è presente in forma lieve, ma non determina differenze significative per quanto riguarda endpoint più importanti, quali la necessità di fotocoagulazione laser, il deterioramento visivo e lo sviluppo di cecità rispetto al trattamento standard. I pazienti sottoposti a trattamento intensivo avevano invece un rischio di ipoglicemia grave più che raddoppiato (+233%)(19). Attualmente le linee guida suggeriscono di raggiungere e mantenere valori di HbA1c al di sotto del 7% (53 mmol/mol) e valori pressori inferiori a 130/80 mmHg. Il raggiungimento e il mantenimento di questi obiettivi è tuttavia assai difficile: dati raccolti in Italia(20), Regno Unito(21) e Stati Uniti(22) suggeriscono che solo da metà a un terzo dei pazienti raggiunge il controllo glicemico e pressorio ottimali. Una bassa aderenza alle prescrizioni mediche, scorrette abitudini di vita e inadeguatezza delle opzioni terapeutiche contribuiscono a spiegare questo fenomeno. L’approccio educativo strutturato può contribuire a ridurre i livelli di HbA1c, come descritto da Trento et al.(23) nel trial multicentrico Rethink Organization to iMprove Education and Outcomes (ROMEO), che ha dimostrato come incontrare ed educare i pazienti con diabete di tipo 2 in gruppi di 9 o 10 componenti ogni 3 mesi determini un effetto positivo statisticamente significativo sul controllo metabolico. Andrebbe infine ricordato che, pur se il controllo metabolico Ruolo del diabetologo alla luce delle nuove linee guida per la retinopatia diabetica ottimizzato previene la comparsa della RD e ne rallenta la progressione, un rapido miglioramento del controllo glicemico può essere seguito, nel breve termine, da un peggioramento della RD, almeno quando già presente in forma moderata o severa. Il diabetologo dovrà quindi porre particolare attenzione alle alterazioni del fondo dell’occhio quando tratta questi pazienti(24). Controllo della pressione arteriosa Come si può evincere dal Wisconsin Epidemiology Study of Diabetic Retinopathy (WESDR), nel quale la progressione della RD era associata a valori pressori diastolici più elevati, la pressione arteriosa è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di RD(25). Lo studio UKPDS aveva inoltre osservato che un calo della pressione arteriosa (da 154/87 a 144/82 durante 8 anni) si associava a una riduzione del 34% della progressione della RD e del 47% del rischio di peggioramento dell’acuità visiva. Tale ultimo effetto potrebbe essere ricondotto alla riduzione dell’incidenza di edema maculare diabetico(26). I più recenti studi ADVANCE(27) e ACCORD(28) non confermano tali dati. Tuttavia bisogna considerare che in entrambi gli studi i valori pressori basali, la diminuzione della pressione stessa e il follow-up, erano inferiori rispetto a quelli dell’UKPDS. Queste considerazioni suggeriscono che siano necessari followup più lunghi e soprattutto esista una sorta di curva a “J” in base alla quale il controllo pressorio è efficace nei pazienti con ipertensione non controllata mentre un abbattimento sotto i valori raccomandati potrebbe non risultare clinicamente utile(19). Altri farmaci: antagonisti del sistema reninaangiotensina e fenofibrato I risultati dello studio EUCLID(29) suggeriscono che il trattamento con lisinopril 10 mg/die (aumentato a 20 mg/die in caso di pressione diastolica superiore a 75 mmHg a 3 mesi) in pazienti normotesi con diabete di tipo 1 porti a un rallentamento della progressione della RD e a una riduzione dell’incidenza della forma proliferante. Tuttavia, non era chiaro se tali benefici fossero frutto del blocco specifico del sistema reninaangiotensina (RAS) o più genericamente della riduzione pressoria(30). Bisogna inoltre considerare che gli effetti sulla RD non rientravano fra gli endpoint primari dello studio e che lo stesso appariva statisticamente sottodimensionato. Altri dati provengono dallo studio RASS(31) in cui l’uso di enalapril 20 mg/die e losartan 100 mg/die ha portato a una riduzione della probabilità di progressione della RD rispettivamente del 65% e del 70% rispetto al placebo in pazienti con diabete di tipo 1 normotesi. Gli studi DIRECT (Prevent1, Protect1 e Protect2) hanno valutato l’uso di candesartan 32 mg in pazienti con diabete di tipo 1 normotesi e 2 (27% normotesi e gli altri trattati con farmaci antipertensivi che non agivano sul sistema RAS) nella prevenzione della RD(32,33). Nel DIRECT Prevent1 il candesartan riduceva il rischio di comparsa di RD del 35%(32). Nel Protect2 si è vista una riduzione del 13%, non statisticamente significativa, del rischio di progressione e un impor- 67 tante aumento del 34% nella probabilità di regressione della RD in pazienti con diabete di tipo 2(33). I risultati del DIRECTProtect2 rappresentano il primo caso in letteratura di regressione farmaco-indotta della RD. Nonostante le conclusioni dei sopracitati studi suffraghino l’uso di sartani e ACE-inibitori negli stadi iniziali della RD, a oggi il loro uso non può essere formalmente raccomandato in pazienti con RD se non in presenza di ipertensione e/o microalbuminuria. Alcuni studi dimostrano invece un effetto protettivo sulla RD esercitato dal fenofibrato. Nello studio FIELD, l’uso di fenofibrato 200 mg/die era associato a riduzione superiore al 30% della progressione della RD e della necessità di laser terapia per RDP e DME(34). Tali risultati sono stati confermati dallo studio ACCORD-Eye(28), nel quale si descrive riduzione nella progressione della RD in pazienti con diabete di tipo 2 trattati con fenofibrato e statine rispetto a quelli trattati con placebo e statine. L’effetto protettivo era sovrapponibile a quello ottenuto intensificando il controllo glicemico ma senza i rischi di ipoglicemia e di eccesso di mortalità che, come noto, hanno portato alla sospensione anticipata del trial(35). I meccanismi con cui il fenofibrato esercita i suoi effetti protettivi sono indipendenti dall’effetto ipolipemizzante o metabolico e sono attualmente oggetto di intense ricerche. Screening della retinopatia diabetica Scopo di un programma di screening è identificare, mediante una procedura diagnostica semplice, affidabile, accettabile ed eseguita all’interno di una popolazione a rischio, una particolare condizione morbosa suscettibile di terapia precoce e risolutiva. La RD rappresenta un’emergenza sociosanitaria la cui storia naturale è ben nota, caratterizzata dall’assenza di sintomi, o quasi, fino agli stadi più avanzati. I test di screening attualmente disponibili sono economici, sensibili, specifici e ripetibili e i trattamenti, estremamente efficaci soprattutto negli stadi in cui l’acuità visiva non è ancora compromessa(36). Queste caratteristiche rendono lo screening della RD una procedura con un ottimo rapporto costo-efficacia(37). Dati ottenuti nei Paesi in cui lo screening della RD è già stato applicato alla popolazione(38,39) confermano una netta riduzione dell’incidenza di cecità secondaria a diabete. Retinopatia proliferante, segni e/o sintomi di edema maculare diabetico, lesioni caratteristiche di RD non proliferante grave (rischio di evoluzione a proliferante del 50% a 12 mesi) sono le lesioni che lo screening deve riconoscere in quanto rappresentano condizioni da trattare con urgenza per prevenire il deficit visivo. Anche il riconoscimento delle forme più lievi di RD appare di notevole importanza, in quanto serve a individuare una classe di pazienti che richiederanno un follow-up più stretto, come viene sintetizzato nella tabella 1. Lo screening della RD dovrebbe essere eseguito mediante oftalmoscopia, biomicroscopia con lampada a fessura o fotografie del fondo oculare. Va sottolineato come tali procedure, nell’ambito di un programma di screening, non rappresentino un percorso diagnostico dettagliato, ma piuttosto un metodo per identificare i pazienti che necessiteranno di indagini più approfondite. 68 M. Porta et al. Tabella 1 Classificazione delle lesioni della retinopatia diabetica e indicazioni alla tempistica dello screening. Sintomi e segni Diagnosi presuntiva Azione – Assenza di disturbi visivi Assenza di RD Rivedere in sede di screening – Nessuna lesione a 24 mesi – Assenza di disturbi visivi RD non proliferante lieve Rivedere in sede di screening – Microaneurismi isolati a 12 mesi – Assenza di disturbi visivi RD non proliferante moderata Rivedere in sede di screening – Emorragie isolate e/o microaneurismi a 6-12 mesi e/o essudati duri isolati e a più di un terzo di diametro papillare dal centro della macula – Noduli cotonosi non associati ad altri segni di retinopatia non proliferante grave – Assenza o presenza di disturbi visivi RD non proliferante moderata Approfondire entro 3-6 mesi in – Essudati duri a circinnata o a placca, con possibile DME ambiente specialistico all’interno delle arcate vascolari temporali – Qualsiasi altro reperto che l’osservatore non si senta in grado di interpretare con sicurezza – Segni di pregressa fotocoagulazione se il paziente non risulta seguito regolarmente da un oculista – Assenza o presenza di disturbi visivi RD non proliferante grave Approfondire entro 3 mesi in – Irregolarità venose (a corona di rosario, (pre-proliferante) ambiente specialistico formazione di anse, sdoppiamenti) e/o – emorragie multiple e/o – noduli cotonosi multipli e/o – anomalie microvascolari intra-retiniche (IRMA) – Riduzione dell’acuità visiva non correggibile Edema maculare clinicamente Approfondire con urgenza in mediante foro stenopeico significativo ambiente specialistico – Emorragie e/o essudati duri entro un terzo o di diametro papillare dalla macula maculopatia ischemica – Neovasi della papilla ottica e/o della retina RD proliferante Approfondire con urgenza in – Emorragie preretiniche ambiente specialistico – Neovasi di grandi dimensioni RD proliferante ad alto rischio Approfondire con urgenza in (> 1/3 dell’area papillare) o neovasi ambiente specialistico associati a emorragie preretiniche – Tessuto fibrovascolare retino-vitreale Oftalmopatia diabetica Approfondire con urgenza in o papillo-vitreale avanzata ambiente specialistico – Distacco di retina – Rubeosi dell’iride Ruolo dell’oculista Diagnostica Compito dell’oculista è diagnosticare e caratterizzare la presenza di RD e delle sue lesioni. La diagnosi di RD si avvale di una visita oculistica completa. Inoltre, in base alle lesioni riscontrate, l’oculista potrà ritenere opportuno eseguire ulteriori accertamenti diagnostici. In particolare la tomografia a coerenza ottica (optical coherence tomography, OCT) e la fluorangiografia si rendono necessarie in previsione di un trattamento laser, per meglio definire le zone retiniche ischemiche r in tutti i casi in cui le lesioni necessitino di un’interpretazione patogenetica(1). Ruolo del diabetologo alla luce delle nuove linee guida per la retinopatia diabetica Terapia della retinopatia diabetica Fotocoagulazione A oggi, il principale strumento terapeutico per prevenire il deficit visivo dovuto alla RD è la fotocoagulazione mediante laser, in grado di ridurre l’incidenza di cecità da RDP del 95% e la perdita di acuità visiva dovuta a DME diabetico del 50%(36). Nello studio ETDRS si poteva infatti vedere come, in pazienti con RD non proliferante severa o con RDP iniziale, la percentuale di grave deficit visivo a 5 anni venisse ridotta di più del 90%(36). La terapia laser agisce mediante la riduzione dell’edema e della neoangiogenesi retinica con meccanismi non ancora del tutto chiari. La distruzione di cellule produttrici di citochine pro-angiogeniche come il VEGF, la fotocoagulazione di aree di iper-permeabilità come i microaneurismi e la riduzione delle citochine infiammatorie all’interno del microambiente retinico sembrano essere possibili meccanismi d’azione(40). I principali effetti collaterali possono essere la perdita di contrasto visivo o l’insorgenza di scotomi permanenti, dovuti al danno termico dei tessuti sani circostanti l’epitelio pigmentato irradiato, quali la neuroretina e la coroide, che nel tempo può produrre atrofia corio-retinica. Alcuni studi recenti sottolineano la superiorità del trattamento laser micropulsato sottosoglia rispetto a quello standard(41) che, utilizzando temperature inferiori e impatti di dimensioni minori, porterebbe al risparmio dei tessuti sani circostanti e a una riduzione degli effetti collaterali. Farmaci intravitreali Recentemente si è affermato per il trattamento dell’edema maculare diabetico (DME) l’uso di farmaci iniettati direttamente in camera vitrea, aumentandone così la concentrazione laddove ce n’è più bisogno e minimizzando gli effetti 69 sistemici(2,42). I principi attivi maggiormente utilizzati sono i corticosteroidi e i più recenti anti-angiogenici biologici. L’utilizzo di corticosteroidi è motivato dalle loro proprietà antinfiammatorie e antiedemigene e stabilizzanti l’acuità visiva. Causano tuttavia complicanze quali cataratta e glaucoma. L’uso di steroidi a lento rilascio è oggetto di sperimentazioni cliniche ormai in stadio avanzato(42). Meccanismo d’azione dei farmaci antiangiogenici è inibire la funzione del VEGF, principale mediatore dell’angiogenesi e della rottura della barriera ematoretinica, con iperpermeabilità capillare. Gli antagonisti del VEGF vengono impiegati per il trattamento del DME in cui il VEGF è appunto iperespresso(7). Numerose molecole (Tab. 2) con diverse sfumature nei rispettivi meccanismi d’azione sono state sintetizzate, tutte accomunate dalla loro interazione con il VEGF. Recenti studi hanno dimostrato che mediante iniezioni ripetute di questi farmaci si ottiene un miglioramento del visus, a differenza dal trattamento laser che ha il solo risultato di preservare l’acuità visiva(43,44). In particolare lo studio RESTORE documenta la superiorità del trattamento intravitreale con ranibizumab rispetto al laser, in un tempo di osservazione di 3 anni(45). Anche lo studio DAVINCI ha messo in evidenza un significativo miglioramento dell’acuità visiva nei pazienti trattati con aflibercept a partire dalla 24esima settimana di trattamento(43). L’uso degli antagonisti del VEGF è stato inoltre recentemente proposto anche per trattare l’edema maculare associato al trattamento laser panretinico e in preparazione alla vitrectomia(1). Vitrectomia Alcuni studi hanno dimostrato che la vitrectomia può migliorare il deficit visivo purché venga eseguita quando l’integrità dell’area maculare è relativamente conservata. Attualmente le linee guida raccomandano l’intervento di vitrectomia nei seguenti casi(1): grave emorragia endooculare non risolta entro tre mesi, persistenza di RDP dopo trattamento laser, distacco retinico o maculare trazionali, rubeosi dell’iride con emorragia vitreale. Tabella 2 Principali caratteristiche e indicazioni dei farmaci intravitreali. Nome Meccanismo d’azione Indicazioni Pegaptanib Molecola a singolo filamento di RNA – Degenerazione maculare legata all’età di che lega l’isoforma 165 del VEGF tipo neovascolare(46) – Studi di fase I e II nel DME(47) Ranibizumab Anticorpo monoclonale, lega VEGF-A – Degenerazione maculare legata all’età di tipo neovascolare(48) – Edema maculare secondario a occlusione retinica e DME(45) Bevacizumab Anticorpo monoclonale, lega VEGF, – Degenerazione maculare legata all’età di tutte le isoforme tipo neovascolare(49) – Edema maculare post-occlusivo e del DME(50) (43) Aflibercept Proteina ricombinante, lega VEGF, tutte le isoforme 70 M. Porta et al. Approccio multidisciplinare diabetologo/oculista nei pazienti con retinopatia diabetica Controllo glicemico e pressorio ottimali e screening della retinopatia a rischio sono attualmente la migliore strategia adottabile nella prevenzione della cecità secondaria al diabete(13,38,39). Allo stesso modo, la laser terapia(36) e l’utilizzo dei farmaci intravitreali(42) sono i migliori strumenti a disposizione dell’oculista per il suo trattamento. È comunque necessario un approccio interdisciplinare nella gestione della RD: in particolare, l’implementazione di un efficace sistema di screening non può prescindere dalla stretta collaborazione fra strutture di diabetologia e oculistiche. Compito del diabetologo (e del medico di medicina generale) sarà di capillarizzare lo screening e facilitare l’accesso di tutti i pazienti a tale procedura. Informazioni sull’importanza, sulle finalità e sulla periodicità dello screening dovranno essere fornite a tutti i pazienti diabetici seguiti. I centri di diabetologia dovranno dotarsi delle strutture, attrezzature e personale necessari per eseguire lo screening dei pazienti (sia quelli inviati dai medici di medicina generale in un’ottica di gestione integrata sia quelli a essi direttamente afferenti). Una volta identificato, un paziente a rischio dovrà essere rapidamente preso in carico da una struttura oculistica attrezzata per la diagnosi e il trattamento della RD. Un sistema di comunicazione efficace e un alto grado di collaborazione fra strutture diabetologiche e oculistiche sono quindi indispensabili per gestire diagnosi e terapia dei pazienti sottoposti a screening. Un ruolo importante gioca l’informazione della popolazione e l’educazione strutturata dei pazienti, che devono essere consapevoli dei rischi legati alla RD, ma anche delle reali possibilità di prevenzione e terapia. In particolare, i pazienti potrebbero avere un ruolo attivo nel ricordare ai propri curanti le scadenze per le prime e/o successive visite di screening (Tab. 1). Lo screening delle RD può trovare la massima efficienza nella creazione di Centri Retinopatia Diabetica attrezzati per eseguire screening, diagnosi e terapia nello stesso contesto clinico. Tali strutture potrebbero in particolare evitare i casi di deficit visivo dovuti alle attese prolungate e agli ostacoli amministrativo-burocratici che spesso rallentano il percorso dei pazienti dall’identificazione della RD a rischio alle ulteriori indagini diagnostiche e alla terapia. Conflitto di interessi MP ha ricevuto compensi da Novartis e Abbott per relazioni a convegni e partecipazione a board di consulenza relativi all’argomento oggetto della presente rassegna. Bibliografia 1. Gruppo di Studio Complicanze Oculari della Società Italiana di Diabetologia. Linee guida per lo screening, la diagnostica e il trattamento della retinopatia diabetica in Italia. Revisione e aggiornamento a cura del Gruppo di Studio Complicanze Oculari della Società Italiana di Diabetologia. 2013. http://www.siditalia.it/ linee-guida.html [Ultimo accesso 6 marzo, 2014]. 2. Bandello F, Lattanzio R, Zucchiatti I, Del Turco C. Pathophysiology and treatment of diabetic retinopathy. 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