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G It Diabetol Metab 2014;34:22-31
Rassegna
Fisiopatologia clinica
del piede diabetico
RIASSUNTO
Il piede diabetico è una grave complicanza del diabete mellito,
che può interessare fino al 25% dei pazienti nel corso della loro
vita con importanti effetti sulla sopravvivenza, sulla qualità della
vita, sull’incidenza di ospedalizzazione, sulla possibile perdita di
autonomia. La sua insorgenza è determinata dall’interazione delle
complicanze croniche del diabete sia micro- sia macroangiopatiche, con un ruolo molto rilevante della neuropatia. In questo articolo vengono rivisti i meccanismi fisiopatologici implicati nella
genesi di tale complicanza, le scelte terapeutiche da mettere in
atto sia per la sua cura sia, soprattutto, per la sua prevenzione.
F. Gallo, B. Salani, C. Mazzucchelli,
C. Bordone, L. Fontana, D. Maggi,
R. Cordera
SUMMARY
G It Diabetol Metab 2014;34:22-31
The clinical pathophysiology of diabetic foot
Diabetic foot is a severe complication of diabetes mellitus that
may affect up to 25% of patients in the course of their lifetime,
with far-reaching effects on their quality of life, incidence of hospitalization, loss of independence, and even survival. It results
from the interaction of the chronic micro- and macroangiopathic
complications of diabetes, with a substantial role of neuropathy.
This article reviews the pathophysiological mechanisms triggering
these complications, how they interact and eventually lead to diabetic foot, and the therapeutic prospects – starting from prevention.
Introduzione
La definizione di piede diabetico comprende l’insieme delle
manifestazioni patologiche direttamente correlate alle complicanze della malattia diabetica che coinvolgono le strutture
anatomiche del piede.
Per l’importante ruolo funzionale svolto e per la sua peculiare
localizzazione anatomica, posto alla periferia del sistema nervoso e vascolare, il piede del soggetto diabetico è particolarmente suscettibile agli effetti delle complicanze conseguenti
alla neuropatia periferica, alle alterazioni vascolari e ai processi
DiMI, Università degli Studi di Genova, Genova
Corrispondenza: dott. Davide Maggi, DiMI,
Università degli Studi di Genova, viale Benedetto XV 6,
16132 Genova
Pervenuto in Redazione il 20-05-2013
Accettato per la pubblicazione il 09-09-2013
Parole chiave: piede diabetico, neuropatia,
macroangiopatia diabetica, ulcerazione, arteriopatia
periferica
Key words: diabetic foot, neuropathy, diabetic
macroangiopathy, ulcer, peripheral artery disease
Fisiopatologia clinica del piede diabetico
infettivi; fra tutte le complicanze della malattia diabetica le lesioni ulcerative del piede sono tra le più frequenti, potendo interessare fino al 25% dei pazienti nel corso della loro vita, e
rappresentano la comune conseguenza della neuropatia periferica, condizione che aumenta la soglia di percezione degli
eventi microtraumatici(1) e della vasculopatia, condizione che,
riducendo il flusso ematico oltre a facilitare l’insorgenza di lesioni ulcerative, rende più difficile la guarigione delle stesse.
È importante a questo proposito ricordare che l’apporto di
sangue necessario per la guarigione di un’ulcera è maggiore
di quello per mantenere la cute integra e che la riduzione del
flusso ematico ostacola la distribuzione dei farmaci antibiotici
nella sede della lesione(2).
Anche la morbilità postoperatoria, soprattutto in termini di patologie cardiovascolari, rappresenta un’evenienza frequente;
Fearon et al. hanno riportato un’incidenza di complicanze locali del 18% e sistemiche del 36%, tra le quali assumevano un
particolare rilievo le emorragie gastrointestinali, l’infarto del
miocardio, lo scompenso cardiocircolatorio(3). La prognosi a
lungo termine nei soggetti amputati non ha presentato un significativo miglioramento negli ultimi decenni; infatti, circa il
40% di soggetti sottoposti ad amputazione dovrà essere sottoposto a un ulteriore intervento di amputazione nel volgere di
3 anni e il 55% circa dopo 5 anni(4).
Meccanismi fisiopatogenetici
della neuropatia diabetica
Patogenesi
La neuropatia diabetica è una tra le più comuni e frequenti fra
le complicanze specifiche della malattia diabetica, interessando
oltre il 50% dei pazienti; le manifestazioni dipendenti dalla sua
evoluzione, come per esempio il piede diabetico e la neuroartropatia di Charcot, rappresentano un’importante causa di morbilità e talora anche di mortalità. La polineuropatia simmetrica
distale rappresenta la forma di più comune osservazione; considerando che il nervo è costituito da assoni sensitivi, motori e
autonomici, è facile comprendere la molteplicità delle manifestazioni secondarie a questa patologia(5). La frequente associazione fra retinopatia, neuropatia periferica e nefropatia depone
per l’intervento di fattori patogenetici comuni rappresentati dagli
effetti dell’iperglicemia cronica sul microcircolo che determinano
“microangiopatia”(6); questa è caratterizzata da ispessimento
della membrana basale dei vasi di piccolo calibro secondaria
all’aumentata espressione del collageno di tipo I, IV e V, della laminina, di molecole proteiche modificate e immobilizzate dai
processi di glicazione non enzimatica e dalla riduzione dell’eparansolfato; questi processi evidenti anche nel fisiologico invecchiamento tessutale, assumono nel diabetico una particolare
anticipazione e accelerazione. A ciò consegue alterazione dell’elasticità microvasale, perdita della selettività del trasporto molecolare transparietale e aumento della permeabilità.
Le cellule endoteliali sembrano essere le vittime precoci dell’iperglicemia; in condizioni di iperglicemia, sia acuta sia cronica, sono state infatti rilevate un’aumentata espressione di
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molecole di adesione nei confronti dei leucociti, una ridotta
sintesi di NO conseguente alla diminuita attività della NO sintetasi, un’aumentata apoptosi associata a una diminuita mobilizzazione dei precursori a livello midollare e alla loro
incorporazione nell’ambito del rivestimento endoteliale(7-9).
Alla patogenesi della polineuropatia diabetica concorrono
anche alterazioni anatomofunzionali molteplici sostenute dall’iperglicemia che alterano il flusso neuronale sia anterogrado
sia retrogrado; infatti, in condizioni fisiologiche vi è un flusso
di sostanze nutritive, molecole strutturali e fattori trofici che,
sintetizzate dal pirenoforo, raggiungono le estremità più distali
dell’assone. A questo trasporto anterogrado “centrifugo” si
associa quello centripeto di neurotrofine, cioè fattori di crescita che, prodotti dai tessuti bersaglio, influenzano la proliferazione e la differenziazione di particolari popolazioni
neuronali. In questa neuropatia metabolica (dying-back) le alterazioni mieliniche e assonali procedono in maniera sincrona
in senso distale-prossimale(10). Il prevalere nelle fasi iniziali delle
manifestazioni sensitive potrebbe essere secondario al fatto
che, essendo la barriera tra strutture vascolari e nervose incompleta a livello delle radici posteriori, i loro gangli possono
essere maggiormente esposti all’iperglicemia.
Meccanismi cellulari della neuropatia diabetica
Per quanto riguarda gli aspetti biologico-molecolari sia della
microangiopatia sia della neuropatia, sono state prospettate
ipotesi diverse tra le quali:
– attivazione della via metabolica dei polioli;
– aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno
(reactive oxygen species, ROS);
– conseguenze dipendenti dall’aumentata glicazione non
enzimatica delle proteine (Fig. 1);
– attivazione della proteina chinasi C e del metabolismo
delle esosammine.
La via metabolica dei polioli
L’elevata concentrazione del glucosio a livello endocellulare induce la sintesi dell’enzima aldoso reduttasi, proteina ubiquitaria
normalmente presente nei tessuti in concentrazioni ridotte che
opera la riduzione del glucosio a sorbitolo utilizzando come cofattore il NADPH. Ne consegue una sua ridotta disponibilità per
la conservazione del patrimonio intracellulare di GSH (glutatione
ridotto) a livelli adeguati per contrastare gli effetti dello stress ossidativo. Il sorbitolo rappresenta un metabolita non perturbante,
una molecola dotata cioè di scarsa attività metabolica, ma di
importante potere osmotico che potrebbe, alterando l’equilibrio
idrico-elettrolitico cellulare, assumere rilevanza nella patogenesi
di alcune complicanze della malattia diabetica. Secondo alcuni
autori (Brownlee, King) le concentrazioni rilevate a livello del tessuto nervoso e vascolare non sarebbero tali da compromettere
l’equilibrio osmotico; secondo questa ipotesi l’effetto dannoso
dell’aldoso reduttasi è da ricondurre all’ossidazione a fruttosio
del sorbitolo da parte della sorbitolo deidrogenasi (SDH), reazione che comporta la trasformazione del NAD+ in NADH. L’aumento del rapporto NADH/NAD+ determina importanti effetti di
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F. Gallo et al.
Concentrazione endocellulare glucosio
Legame con gruppi NH2 proteine
AR
Formazione basi di Schiff
Glucosio
Stress osmotico
Sorbitolo
NADPH
NADP
GSSG
GSH
SDH
NAD
NADH
Fruttosio
GAPDH
Piruvato
Triosofosfati endocellulari
Lattato
DAG
Prodotti di Amadori
Aldeide piruvica
Via ossidativa
Via non ossidativa
AGE
Gliossale
Glicazione
Figura 1 Formazione degli AGE. AR: aldoso reduttasi; SDH: sorbitolo deidrogenasi; GSSG: glutatione ossidato; GSH: glutatione ridotto; DAG: diacilglicerolo.
ordine biochimico e metabolico: conversione del piruvato in lattato; inibizione dell’enzima gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi
che comporta aumentata disponibilità di triosofosfati (gliceraldeide-3-fosfato e diidrossiacetonfosfato). Dal metabolismo di
queste molecole deriva il metilgliossale, precursore che sostiene
la glicazione proteica non enzimatica e il diacilglicerolo (DAG) attivatore delle isoforme della proteina chinasi C(11).
L’aumentata concentrazione endocellulare del glucosio nei tessuti insulino-indipendenti eleva l’attività metabolica cellulare; ne
consegue che l’aumentato gradiente elettrochimico a livello
della membrana mitocondriale interna determinato dal maggiore trasporto di protoni nello spazio intermembrana inibisce il
flusso di elettroni lungo i componenti la catena respiratoria mitocondriale con conseguente “fuga” di elettroni, riduzione monoelettronica dell’O2 e formazione di anione superossido (O2–).
La validità di questa ipotesi è sostenuta dai rilievi ottenuti da indagini sperimentali nel corso delle quali inducendo l’espressione di proteine disaccoppianti la fosforilazione ossidativa è
stata osservata ridotta formazione di ROS e prevenzione della
morte di cellule neuronali poste in coltura(12).
Ruolo dello stress ossidativo
La sopravvivenza degli organismi aerobi in un ambiente ricco
di O2 è la risultante di un complesso e delicato equilibrio fra
composti chimici altamente reattivi, i radicali liberi, intermedi
metabolici derivati dall’intervento dell’O2 molecolare e l’abilità
degli organismi stessi a neutralizzarli. La prevenzione dell’insulto ossidativo è infatti affidata all’intervento di attività enzimatiche (superossido dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi)
volte a prevenire la formazione del radicale idrossile (·OH), iniziatore della perossidazione lipidica, e di molecole antiossidanti sia idrosolubili (acido ascorbico, GSH) sia liposolubili
(alfa-tocoferolo, ubichinone) fra le quali si instaurano importanti interazioni (Fig. 2). Un’importante funzione difensiva nei
confronti della perossidazione lipidica è svolta dalla vitamina E,
che rappresenta circa il 90% dei tocoferoli presenti a livello
cellulare, che inserendosi per la sua liposolubilità nell’ambito
delle membrane biologiche si trova in una posizione privilegiata per svolgere una particolare azione difensiva, considerata anche la sua elevata velocità di reazione con i radicali
perossilici(13).
Le specie reattive dell’O2 possono svolgere la loro azione dannosa (stress ossidativo) soltanto quando vengono prodotte a
una velocità e in quantità tali da superare le capacità difensive
della cellula. In tali circostanze il perossido di idrogeno interagisce con il Fe2+ con conseguente liberazione di un radicale
idrossile (·OH) iniziatore della perossidazione lipidica, processo
che comporta il deterioramento ossidativo di lipidi contenenti
alcuni doppi legami C=C. Infatti, la reazione con l’H di un
atomo di C metilenico determina la formazione di un radicale
lipidico centrato sul C (R·) che per effetto dell’O2 si trasforma
Fisiopatologia clinica del piede diabetico
in radicale perossile (ROO·). Si tratta di un processo autocatalitico e l’autocatalisi è determinata dall’ingresso dell’O2 nella
reazione(14) (Fig. 3).
Gli effetti della perossidazione lipidica a livello delle membrane
biologiche sono rappresentate dalla compromissione di atti-
α-tocoferolo + radicale perossile
radicale tocoperossile
2 GSSG
2 GSH
α-tocoferolo
Radicale tocoperossile
Radicale ascorbile
Acido ascorbico
NADPH2
NADP
Figura 2 Barriera antiossidante.
-
-
O2 + O2 + 2H
SOD
+
Catalasi
H2O2 + H2O2
H2O2 + O2
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vità enzimatiche a esse correlate e in particolare di quelle coinvolte nella regolazione dell’equilibrio ionico, da alterazioni della
permeabilità e di funzioni recettoriali. Inoltre, dal catabolismo
degli idroperossidi si formano aldeidi complesse che, essendo
relativamente stabili, tendono ad accumularsi all’interno delle
cellule determinando importanti alterazioni funzionali e strutturali. Esse, infatti, reagendo con gruppi -SH ed -NH2 delle
proteine inattivano numerose attività enzimatiche che rivestono un’importanza strategica nell’economia cellulare.
A livello endoteliale l’O2– non solo riduce la sintesi di NO, ma
reagendo con esso lo inattiva e determina la formazione di
perossinitrito, potente ossidante, che promuove l’adesione
dei leucociti all’endotelio e ne altera la funzione di barriera(12,15).
La presenza di uno stress ossidativo nel corso della malattia
diabetica è sostenuto dal riscontro di una ridotta disponibilità
di molecole antiossidanti (vitamina E, GSH) e dall’aumentata
eliminazione urinaria di isoprostani(12,14).
Va inoltre considerato che i mitocondri sono dotati di un proprio
DNA il quale specifica parte del “macchinario” indispensabile
alla loro attività. L’iperglicemia potrebbe perturbarne il funzionamento determinando alterazioni a carico dei componenti la
catena di trasporto elettronico con conseguente aumentata
produzione di ROS anche quando la concentrazione media del
glucosio ematico è compresa nei limiti della norma. Alcuni autori ritengono infatti che brevi periodi di iperglicemia postprandiale non tali da determinare una significativa produzione di AGE
(advanced glycosylation end products) o una induzione della
aldoso reduttasi potrebbero, attraverso la produzione di ROS,
sostenere l’insorgenza di una polineuropatia.
2 H2O + O2
Ruolo degli AGE
H2O2 + 2 GSH
GSH perossidasi
Fe1+ + -OH + HO•
H2O2 + Fe2+
H
H
–C=C–C–
H
H
2 H2O + GS-SG
–C=C–C–
H
H
HO•
ROOH
R
(R•)
H
H2O
R•
O2
ROO•
ROOH + Fe2+
RO•
Figura 3 Reazioni ossidanti.
R•: radicale lipidico centrato sul carbonio; ROO•: radicale perossile; ROOH: idroperossido; RO•: radicale alcossile; SOD:
superossido dismutasi; O2-: anione superossido; HO•: radicale idrossile.
Il glucosio e generalmente tutti gli idrati di carbonio dotati di
attività riducente, siano essi aldosi o chetosi, possono stabilire legami covalenti, reversibili nelle fasi iniziali, con gruppi aminici primari o secondari delle proteine (reazione di Maillard)
con formazione di derivati glucosamminici (basi di Schiff).
Questi, attraverso processi di riarrangiamento, si trasformano
in molecole dotate di maggiore stabilità, i prodotti di Amadori.
Con il trascorrere del tempo attraverso complesse reazioni di
ossidazione, condensazione e disidratazione i prodotti di
Amadori sono convertiti in AGE. Fra le proteine extracellulari
soltanto quelle dotate di una vita media maggiore, come i collageni, sono in grado di determinare una significativa formazione di AGE (a questo proposito è stata riferita un’alterata
mobilità sia delle piccole sia delle articolazioni maggiori conseguente a modificazioni strutturali del collageno per effetto
dei processi di glicazione non enzimatica)(16). Essi tendono a
formare legami covalenti con le proteine e pertanto i loro livelli
tessutali permangono stabili o tendono ad accrescersi se il
controllo metabolico risulta inadeguato. Attualmente si ritiene
che la loro formazione sia a livello intra-, che extracellulare sia
principalmente secondaria all’autossidazione del fruttosio3P e alla trasformazione dei triosofosfati con formazione
rispettivamente di desossiglucosone, gliossale e aldeide piruvica. Queste molecole possono alterare non solo la struttura
e la funzione di proteine intracellulari, ma determinare importanti modificazioni di costituenti la matrice interstiziale che,
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F. Gallo et al.
interagendo con gli AGE e con altri costituenti della stessa,
favorisce la costituzione di complessi macromolecolari stabili.
I processi di glicazione non enzimatica possono verificarsi
anche a carico delle lipoproteine circolanti e delle LDL in particolare, assumendo pertanto un rilievo non trascurabile nell’insorgenza delle lesioni aterosclerotiche.
Le alterazioni riscontrate a livello delle membrane basali vascolari sono caratterizzate da ridotta elasticità, deformabilità,
selettività e aumentata permeabilità(7,11,12). Inoltre gli AGE e le
proteine plasmatiche modificate dalla glicazione non enzimatica, legandosi a specifici recettori (RAGE) posti sui macrofagi,
inducono l’attivazione di NF-kB con conseguente liberazione
di citokine proinfiammatorie (IL-1, TNF); l’interazione a livello
endoteliale con i RAGE aumenta l’espressione del fattore tessutale, di molecole di adesione e della permeabilità vascolare.
Attraverso modalità recettore-mediate gli AGE attivano inoltre
una famiglia di potenti ossidasi NADPH dipendenti(12,15); si tratta
di complessi enzimatici che, normalmente inattivi, e suddivisi
in subunità, in occasione dell’attivazione cellulare sono rapidamente assemblati e agiscono convertendo l’O2 molecolare
in O2–. A carico dell’endotelio lo stress ossidativo determina
inattivazione di NO e aumentata espressione di molecole di
adesione nei confronti dei polinucleati neutrofili, la loro marginazione e attivazione, effetti che amplificano il danno a carico
delle strutture vascolari.
NF-kB
Gliceraldeide 3P
Iperglicemia
intracellulare
Il legame degli AGE con i recettori cellulari e l’aumentata concentrazione citosolica di diacilglicerolo (DAG) conseguente
all’accresciuta disponibilità di diidrossiacetonfosfato determinano l’attivazione di nove isoforme della famiglia della proteina chinasi C; gli effetti sono rappresentati dalla ridotta
espressione della NO sintetasi, dall’aumentata produzione di
endotelina, di PAI-I e dall’attivazione di NF-kB.
In condizioni di iperglicemia endocellulare il fruttosio-6P è
convertito dalla glucosammina-6P amidotransferasi in glucosammina-6P che fornisce substrati per la sintesi di glucosamminoglicani e proteine O-glicosilate (Fig. 4).
Le alterazioni anatomo-funzionali con le modalità precedentemente descritte a carico del pirenoforo, che rappresenta la
struttura centrale deputata alla sintesi di proteine di membrana, di componenti il citoscheletro (actina, tubulina), di calmodulina e di enzimi glicolitici, compromettono il flusso
anterogrado di molecole nutritizie e pertanto il trofismo dei
prolungamenti neuronali periferici. Inoltre, la microangiopatia
dei vasa nervorum e gli effetti determinati dai ROS a livello
delle cellule di Shwann ne compromettono la capacità di sintetizzare la struttura mielinica e alterano i livelli energetici intracellulari indispensabili per gli scambi ionici che sono alla
base della conduzione dell’impulso nervoso. La ridotta produzione di molecole ad azione trofica e la riduzione del trasporto assonale realizzano un complesso di manifestazioni
DiidroacetonP
Produzione citochine
e fattori di crescita
proinfiammatori
Aldoso
reduttasi
DAG
Glucosio
NADPH
NADP
GSSG
GSH
PKC
Sorbitolo
NADPH
ossidasi
O2-
ROS
RAGE
AGE
NAD+
NADH
Ciclo
di Krebs
H2O2
Sintesi
NO
Fruttosio
Aumentato
NADH/NAD+
+Fe2H+
Alterato
trasporto
elettroni
Piruvato
OH-
Perossidazione
lipidica
Alterazione
fosfolipidi
di membrana
GAPDH
Lattato
Metilgliossale
Gliossale glucosone aldeide
piruvica AGE
Danno mtDNA
Alterazione equilibrio Ca2+
intracellulare
Caspasi
Calpaine
Apoptosi
Figura 4 Meccanismi
biochimici della neuropatia.
Fisiopatologia clinica del piede diabetico
che analogamente a quanto accade in agricoltura può essere
definito come “sindrome dei prati lontani”; le alterazioni si rendono dapprima evidenti nelle zone maggiormente distanti
dalle fonti di approvvigionamento energetico.
Diagnosi della neuropatia
Il danno sensitivo dipendente dall’interessamento delle fibre di
calibro minore insorge nelle sedi più distali, progredisce prossimalmente con una distribuzione a calza e, riducendo la sensibilità termo-dolorifica fino anche a determinare anestesia
completa di piede e gamba, tende a eliminare le reazioni di difesa nei confronti dei diversi stimoli nocicettivi.
La diagnosi di neuropatia può essere posta attraverso gli studi
di conduzione nervosa, ma questi, oltre a essere costosi e
non disponibili in ambulatorio, sono meno utili nello screening
dei pazienti con perdita della sensibilità protettiva (cioè quel
grado di neuropatia oltre il quale il rischio di ulcerazione del
piede è considerevolmente aumentato)(17); essi dovrebbero
quindi essere riservati ai casi con caratteristiche cliniche atipiche che possono fare sospettare un’altra eziologia del
danno(18).
Lo strumento più frequentemente utilizzato per identificare la
perdita di sensibilità protettiva è il monofilamento di SemmesWenstein: l’incapacità di percepire la forza di 10 grammi applicata da un monofilamento 5,07 è associata con un danno
clinicamente significativo delle fibre nervose (sensibilità 6691%, specificità 34-86%)(17). L’esecuzione di questo test consiste nell’appoggiare la punta del monofilamento applicando
una forza tale da causarne la flessione su 8-10 punti del piede
del paziente, il quale, senza potere vedere, deve rispondere
affermativamente quando percepisce il tocco; può essere sufficiente anche esaminare solamente quattro punti (l’alluce e le
teste del primo, terzo e quinto metatarso) considerando la
sensibilità protettiva carente nel caso di mancata percezione
in uno o più punti(17).
La sensibilità vibratoria può essere valutata mediante l’utilizzo di un biotesiometro oppure, in modo più semplice ed
economico, di un diapason, considerando la sensibilità patologica se il paziente non percepisce più la vibrazione
quando l’esaminatore la sente ancora; la relazione con il rischio di ulcerazione è però minore di quella del test con monofilamento(17).
Lo screening per la polineuropatia simmetrica distale dovrebbe essere effettuato con cadenza annuale mediante l’utilizzo del monofilamento, del diapason o la valutazione dei
riflessi achillei (che però non sono predittivi per la comparsa
di ulcere); l’utilizzo di più di un test aumenta la sensibilità(18).
Possibilità terapeutiche
Il trattamento farmacologico delle varie forme di neuropatia
diabetica è a oggi un punto problematico: se infatti sono presenti alcuni farmaci sintomatici per combattere il dolore neuropatico, quali gli antidepressivi triciclici, gli inibitori selettivi
della ricaptazione della serotonina, gli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, i modulatori dei
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canali per il calcio, i bloccanti i canali del sodio, la capsaicina
topica, gli oppioidi o la lacosamide. Tutti questi spesso non
garantiscono un risultato soddisfacente e possono essere
gravati da effetti collaterali; inoltre non tutti i pazienti con dolore neuropatico ricevono cure adeguate(19).
Per quanto riguarda la riduzione o perdita della sensibilità, la
situazione terapeutica è ancora più critica, in quanto non esistono farmaci in grado di migliorare il deficit, a parte alcuni
tentativi con l’acido α-lipoico che potrebbe agire sulla patogenesi riducendo lo stress ossidativo(19). Il miglioramento stabile del compenso glicemico si è dimostrato essere un
efficace mezzo per rallentare la progressione del danno neuropatico(20,21).
L’adozione di idonee ortesi volte a ridurre il carico pressorio sui
punti “a rischio” del piede, la chirurgia ortopedica finalizzata
alla correzione di alterazioni morfostrutturali del piede (alluce
valgo, dita en griffe) contribuiscono efficacemente alla prevenzione delle ulcerazioni.
L’utilizzo di questi presidi si è dimostrato utile nel ridurre l’iperpressione plantare e l’incidenza di ulcerazioni, ma la scarsità
di studi coinvolgenti un ampio numero di pazienti rende difficile determinare quale tipo di plantare e in quale materiale sia
migliore nei diversi casi, restando la decisione al personale
sanitario esperto in questo campo(22).
Lo scarico della pressione si è dimostrato efficace anche nell’accelerare la guarigione delle ulcere neuropatiche plantari attraverso l’utilizzo di gambaletti gessati non rimovibili(1).
Vasculopatia diabetica
La malattia diabetica come è noto rappresenta un importante
fattore di rischio per l’insorgenza di alterazioni vascolari periferiche di tipo sia macroangiopatico sia microangiopatico.
L’arteriopatia a livello degli arti inferiori si manifesta più precocemente e con maggiore gravità rispetto alla popolazione generale, eleva da 10 a 20 volte la probabilità di un intervento di
amputazione ed è fattore di rischio per morbilità e mortalità
coronarica.
L’aterosclerosi è la condizione che sottende la macroangiopatia e può essere definita come una malattia infiammatoria
nella quale i meccanismi immunitari interagiscono con i vari
fattori di rischio metabolici nell’insorgenza, crescita e attivazione delle lesioni delle arterie(23,24).
Meccanismi patogenetici
Il ruolo dell’iperglicemia nella patogenesi della macroangiopatia è ancora controverso(24,25), recentemente studi coinvolgenti soggetti con DM2 da lungo tempo hanno evidenziato
un beneficio derivante da un controllo glicemico aggressivo
soltanto nei confronti delle complicanze microangiopatiche(26)
(studio ADVANCE) o hanno addirittura mostrato un aumento
della mortalità(27) (studio ACCORD), mentre sembrerebbero
esserci dei vantaggi se il controllo intensivo viene attuato fin
dagli inizi della storia di malattia, prima che si sviluppino lesioni avanzate, in quanto l’iperglicemia potrebbe essere mag-
28
F. Gallo et al.
giormente associata con la comparsa della placca aterosclerotica che con la sua evoluzione(24).
Per quanto riguarda la dislipidemia, il profilo lipidico è più frequentemente alterato nei soggetti affetti da DM2 che DM1, in
particolare è frequente un aumento dei trigliceridi accompagnato da una riduzione dei livelli di colesterolo HDL, mentre,
anche se i livelli di LDL sono simili a quelli del resto della popolazione, queste lipoproteine sono più piccole e dense, e
quindi più aterogene(24).
Le LDL esercitano un ruolo chiave nello sviluppo dell’aterosclerosi: infiltrano la parete arteriosa e vengono trattenute
nell’intima, soprattutto nei punti di maggiore stress emodinamico; le modificazioni ossidative ed enzimatiche portano al rilascio di lipidi infiammatori che inducono l’espressione di
molecole di adesione per i leucociti da parte dell’endotelio (tipicamente VCAM-1 è up-regolata in risposta all’ipercolesterolemia, quindi le cellule con recettori per questa molecola,
come linfociti e monociti, aderiscono di preferenza a questi
siti) e i macrofagi, attraverso i loro recettori scavenger, fagocitano le LDL modificate trasformandosi quindi in cellule schiumose(28).
La produzione di AGE, quali per esempio 2-(2-furoil)-4(5)furanil-1H-imidazolo (FFI), 1-alchil-2-formil-3,4-diglicosil pirroli, N-εcarbossi-metil-lisina (CML), pirralina, pentosidina, si
verifica sia nel diabete mellito sia, generalmente, nell’infiammazione, e può contribuire all’aterosclerosi accelerata attraverso l’ossidazione delle LDL e alterazioni del collagene
dell’intima dei vasi(29).
Gli AGE possono promuovere l’aterogenesi attraverso meccanismi non recettoriali, quali azioni sulla matrice extracellulare
(formazione di legami crociati nel collagene e aumentata resistenza all’azione delle collagenasi, aumentata sintesi di componenti della matrice, inibizione del NO dagli AGE legati al
collagene) e modificazioni delle lipoproteine (ridotto riconoscimento da parte del recettore delle LDL legate ad AGE e
maggiore suscettibilità delle LDL ad alterazioni ossidative) e
meccanismi recettoriali con azioni sulla fagocitosi, le cellule
muscolari lisce e le cellule endoteliali (Fig. 5).
Disfunzione endoteliale
L’endotelio è uno dei maggiori bersagli dei fattori di rischio
cardiovascolare i quali lo danneggiano riducendone la funzione di barriera, aumentandone la permeabilità e di conseguenza l’accumulo nell’intima di lipidi e leucociti; può inoltre
avere un ruolo attivo nell’ossidazione delle LDL, produzione di
fattori di crescita e chemochine e molecole di adesione per i
leucociti(9).
La disfunzione endoteliale, identificata come un’alterata risposta della vasodilatazione endotelio-dipendente, è presente
sia nei soggetti diabetici di tipo 1 e 2 sia negli insulino-resistenti non diabetici(24).
La diminuita vasodilatazione in risposta a NO e prostacicline
nei vasi di resistenza contribuisce a peggiorare l’ipertensione,
il vasospasmo e l’ischemia e quindi ad aumentare l’aterogenesi nel DM2; a ciò può aggiungersi l’effetto di sostanze vasocostrittrici rilasciate dall’endotelio come la PGH2, il
trombossano A2, l’anione superossido e l’endotelina-1 in risposta all’iperglicemia e l’iperinsulinemia(9).
L’insulina stessa stimola inoltre la produzione di NO da parte
dell’endotelio; ciò porta a un reclutamento dei capillari, vasodilatazione e a un aumento del flusso e quindi maggiore disponibilità di glucosio nei tessuti insulino-dipendenti(30), ma
questa capacità è diminuita nell’insulino-resistenza (insulinoresistenza vascolare)(9).
La disfunzione endoteliale, oltre a essere una conseguenza
dell’insulino-resistenza sistemica, potrebbe anche contribuire
ad aumentarla: infatti, la mancata vasodilatazione in vasi metabolicamente importanti come la arteriole del muscolo scheletrico può ridurre l’incremento postprandiale del flusso
ematico nei tessuti insulino-dipendenti, che è considerato importante nell’utilizzo del glucosio(9).
Ruolo dell’infiammazione
L’infiammazione non solo contribuisce agli eventi cardiovascolari acuti, ma ha anche un ruolo chiave nell’insorgenza e
Macrofago
Endotelio
Fattore tessutale
NF-kB
IL-1
TNF-α
NADPH ossidasi
RAGE
AGE
RAGE
Produzione
molecole
di adesione
O2
NO
NO2-
O2perossinitrito
-OH
Marginazione
Neutrofili
Migrazione
Danno vascolare
Figura 5 Interazione tra
macrofagi, AGE, endotelio
nella patonegesi del danno
vascolare.
Fisiopatologia clinica del piede diabetico
progressione delle lesioni aterosclerotiche, nelle quali è possibile identificare molti marker infiammatori, come citochine e
fattori di crescita rilasciati dai macrofagi attivati, la maggiore
componente cellulare delle lesioni insieme ai linfociti T(28).
Il processo infiammatorio può portare all’incremento dei livelli
ematici delle citochine pro-infiammatorie e di altri mediatori di
fase acuta, per esempio è stato dimostrato che la proteina
C-reattiva e l’IL-6 aumentano nei pazienti con angina instabile
e infarto miocardico, e si può ritenere che l’attivazione della risposta immune infiammatoria abbia un ruolo nell’insorgenza
delle sindromi coronariche acute(28).
La progressione dell’aterosclerosi è controllata dal bilancio tra
l’attività pro- e antinfiammatoria, e su questo possono incidere i fattori metabolici in molti modi(28):
– contribuiscono alla deposizione di lipidi nella parete arteriosa, e di conseguenza al reclutamento di cellule del sistema immunitario;
– il tessuto adiposo dei pazienti affetti da sindrome metabolica e obesità produce citochine pro-infiammatorie, soprattutto TNF e IL-6;
– le adipochine prodotte dal tessuto adiposo, quali la leptina
e l’adiponectina, possono influenzare la risposta infiammatoria sistemica;
– le molecole generatesi durante la perossidazione lipidica
nella malattia aterosclerotica possono indurre reazioni sia
protettive sia infiammatorie, per esempio legandosi ai recettori nucleari che controllano i geni dell’infiammazione.
Un altro punto di contatto tra l’infiammazione e il metabolismo lipidico può essere evidenziato nelle proprietà farmacologiche delle statine, tra i cui più importanti effetti pleiotropici
si possono identificare soprattutto quelli antinfiammatori; ciò
è dovuto probabilmente all’inibizione della formazione di acido
mevalonico, da cui derivano, oltre che il colesterolo, anche
vari intermedi utilizzati dai lipidi per interagire con molte molecole che regolano il segnale intracellulare(28).
Calcificazione vascolare
Uno degli aspetti peculiari dell’arteriopatia diabetica è la calcificazione vascolare, che rappresenta un sito patologico di
ossificazione secondaria o di deposizione distrofica di calcio,
essenzialmente in risposta a stimoli lesivi, come i fattori metabolici e i radicali reattivi dell’ossigeno associati al diabete
mellito, con il coinvolgimento di mediatori e marker infiammatori quali il TNF-α, l’IL-1, l’IL-6 o la proteina C-reattiva(31).
La calcificazione può riguardare due siti distinti della parete
arteriosa, l’intima o la tonaca media:
– la calcificazione intimale si verifica in corrispondenza delle
placche aterosclerotiche, ha una morfologia diffusa e puntata e appare come un aggregato di cristalli di calcio, fino
a poter raggiungere la caratteristiche dell’osso vero e proprio; la deposizione di calcio si verifica probabilmente nel
contesto di vescicole di matrice e corpi apoptotici che non
vengono fagocitati dai macrofagi a causa della presenza
nella placca di lipidi ossidati che competono per il legame
ai fagociti; le cellule muscolari lisce esprimono inoltre proteine regolanti la calcificazione che hanno la proprietà di legare il calcio e l’apatite(32);
29
–
la calcificazione della media si può verificare indipendentemente da quella intimale e dall’aterosclerosi; inizialmente
si manifesta con depositi lineari lungo le lamelle elastiche,
progredisce con l’età e nelle forme più severe forma una
densa lamina circonferenziale di cristalli di calcio nel centro della tonaca media, legata su entrambi i lati da cellule
muscolari lisce e spesso contenente trabecole ossee e
osteociti. Si verifica comunemente nelle arterie degli arti
inferiori di soggetti anziani senza altre patologie (sclerosi di
Monckeberg), evidenziabile come un’immagine a binario
nelle radiografie, o in soggetti più giovani affetti da diabete
mellito o insufficienza renale cronica(32).
Nel diabetico la calcificazione della media può essere favorita
dalla mancata fagocitosi dei corpi apoptotici derivanti dalle
cellule muscolari lisce la cui morte potrebbe essere una conseguenza della microangiopatia e della neuropatia(32).
Tra gli altri fattori di rischio per lo sviluppo di questa condizione si possono identificare una ridotta sensibilità vibratoria,
una lunga durata di malattia, elevati livelli glicemici, di omocisteina, di proteina C-reattiva, di acido urico e la presenza di
microalbuminuria(31).
Nei soggetti diabetici la calcificazione della media sembra essere un forte predittore indipendente di mortalità cardiovascolare e si verifica prevalentemente in quelli con neuropatia;
la rigidità della parete arteriosa correla in modo indipendente
con la calcificazione dell’aorta e questo potrebbe portare a
un incremento del lavoro cardiaco e della pressione arteriosa,
che è a sua volta un importante fattore di rischio per l’infarto
del miocardio e il decesso per cause cardiovascolari(32).
Possibilità terapeutiche
Modificazione dei fattori di rischio
Gli eventi cardiovascolari sono la principale causa di morte
nei pazienti con arteriopatia periferica; è quindi importante impostare una terapia antipertensiva, ipoglicemizzante e ipolipemizzante tale da permettere di raggiungere un adeguato
controllo pressorio e glicometabolico(33); sono inoltre importanti l’abolizione del fumo e l’attività fisica che, se costante,
permette di incrementare l’intervallo libero in caso di claudicatio intermittens(33).
È da segnalare, inoltre, come il raggiungimento di un buon
controllo glicemico all’esordio della malattia si sia dimostrato
correlato a una ridotta incidenza di arteriopatia (“memoria metabolica”)(20,21) e come la correzione di fattori di rischio come
pressione arteriosa e dislipidemia abbia prodotto una riduzione significativa degli outcome legati alla microangiopatia(34).
Terapia antiaggregante e altri farmaci
La terapia antiaggregante piastrinica con acido acetilsalicilico
riduce il rischio di morte per cause cardiovascolari, infarto del
miocardio e ictus del 25% nei soggetti arteriopatici, ed è
quindi indicata in questi pazienti; i farmaci tienopiridinici non
determinano particolari vantaggi e sono quindi da riservare ai
casi di intolleranza all’acido acetilsalicilico(33).
30
F. Gallo et al.
Il cilostazolo è un inibitore della fosfodiesterasi 3 con effetto
vasodilatatore e lievi proprietà antiaggreganti che si è dimostrato in grado di aumentare l’intervallo libero da claudicatio
di circa il 50%; i più comuni effetti avversi comprendono cefalea, diarrea, palpitazioni e vertigini ed è controindicato nei
soggetti con scompenso cardiaco; la pentoxifillina, un derivato della metilxantina, presenta minori evidenze favorevoli(33).
Trattamento endovascolare
La bassa morbilità e mortalità di procedure come l’angioplastica transluminale percutanea lo rendono il trattamento
di scelta nel caso di patologia limitata, come le stenosi e occlusioni fino ai 10 centimetri di lunghezza, con percentuali di
successo nella ricanalizzazione delle stenosi femoro-poplitee
del 95%; per quanto riguarda l’arteria femorale superficiale
migliori risultati sono invece ottenuti con la terapia chirurgica(35).
La terapia medica dopo l’angioplastica e il posizionamento di
stent è raccomandata per prevenire fallimenti precoci legati
alla trombosi nel sito di intervento; la terapia standard consiste nell’utilizzo di eparina durante l’intervento seguita poi da
terapia antiaggregante piastrinica da proseguire indefinitamente, anche per la prevenzione degli eventi cardiovascolari(35).
Per quanto riguarda le lesioni sotto-poplitee, l’angioplastica
di brevi stenosi delle arterie tibiali può essere eseguita contestualmente a quella femorale o poplitea; questa tecnica può
essere raccomandata nei soggetti con ischemia critica e occlusioni di arterie sotto-poplitee se può essere ripristinato il
flusso ematico al piede e in presenza di comorbilità mediche;
la rivascolarizzazione viene ottenuta nel 90% dei casi con successo clinico in circa il 70%(35).
Predicono un esito positivo una minore lunghezza delle occlusioni e un numero minore di vasi trattati; un fallimento dell’angioplastica non preclude future procedure chirurgiche(35).
Trattamento chirurgico: il bypass
Il principio base di questa tecnica consiste nell´inserimento di
una protesi che collega “a ponte” (bypass) due distretti vascolari situati prossimamente e distalmente rispetto al tratto
ostruito; le zone prescelte per le anastomosi devono essere il
più possibile indenni da lesioni.
Le protesi più frequentemente utilizzate negli interventi sull’arto inferiore sono la vena grande safena (previa devalvulazione) oppure elementi in materiale sintetico come il
politetrafluoroetilene (PTFE).
Gli svantaggi sono legati alle complicanze che possono derivare dall’intervento chirurgico ed eventualmente dall´impiego
di materiali sintetici: infezioni, pseudoaneurismi anastomotici,
trombosi.
A seconda della topografia delle ostruzioni, può essere utilizzato in modo complementare al trattamento endovascolare,
in modo da consentire un adeguato ripristino del flusso ematico(35).
Come prevenire l’ulcerazione
nel paziente diabetico?
In tutti i pazienti diabetici bisognerebbe effettuare un esame
dei piedi almeno una volta all’anno, prendendo in considerazione i diversi fattori che possono favorire l’ulcerazione(36):
– anamnesi: pregresse ulcerazioni, amputazioni, neuroartropatia, interventi di chirurgia vascolare o angioplastiche,
fumo, sintomi di neuropatia o di vascolopatia, altre complicanze del diabete;
– esame obiettivo dei piedi, con attenzione alle condizioni
della cute e agli eventuali segni di neuropatia autonomica,
ricerca di infezioni fungine, zone ipercheratosiche o ulcere non avvertite dal paziente, rilevazione di deformità
muscolo-scheletriche o ipotrofia muscolare, studio della
sensibilità mediante monofilamento (consigliabile in aggiunta anche l’esame della sensibilità vibratoria e dei riflessi achillei), valutazione vascolare (palpazione dei polsi
e misurazione dell’indice pressorio).
L’insieme delle varie condizioni valutate permette di stratificare i pazienti in base al rischio di ulcerazione e quindi di prevedere la cadenza delle visite di controllo(36):
– classe 0 (assenza di neuropatia, vasculopatia o alterazioni
muscolo-scheletriche): esame annuale, fornendo al paziente adeguate indicazioni per l’automonitoraggio e le
corrette procedure igienico-sanitarie di prevenzione (toilette del piede, caratteristiche delle calzature ecc.);
– classe 1 (presenza di neuropatia, con o senza alterazioni
muscolo-scheletriche): esame ogni 3-6 mesi, valutando
se sono necessari plantari o calzature apposite;
– classe 2 (presenza di vasculopatia, con o senza neuropatia): esame ogni 2-3 mesi, valutando la necessità di consulenza vascolare, plantari o calzature;
– classe 3 (anamnesi positiva per ulcerazione o amputazione pregressa): esame ogni 1-2 mesi, valutando la necessità di consulenza vascolare, plantari o calzature.
Fonti di finanziamento
PRIN 2010JS3PMZ_009 del MIUR (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università
e della Ricerca).
Conflitto di interessi
Nessuno.
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