10 DIBATTITI 28 gen.-3 feb. 2014 Il disegno di legge Manconi riaccende le polemiche mai sopite sull’utilizzo terapeutico La cannabis della discordia Spazio alla semplificazione per i malati - Le falle del proibizionismo roppi tabù fanno male alla salute. Lo dimostra la war on drugs, la crociata contro le droghe nella sua versione più irrazionale e ideologica che ha finito per accanirsi soprattutto contro la cannabis, penalizzando quei pazienti che avrebbero potuto beneficiare dei suoi noti effetti terapeutici e palliativi. Parte da qui il disegno di legge depositato il 15 gennaio al Senato da Luigi Manconi (Pd): sei articoli che puntano, come ha spiegato il senatore, a «semplificare e rendere T accessibile ai pazienti il ricorso a quei farmaci a base cannabinoide, che nell’esperienza scientifica hanno dimostrato di avere una notevole efficacia». Nel mirino i lacci e lacciuoli che ostacolano in Italia il ricorso ai preparati a base di cannabis. Per Manconi bisogna superare il «solidissimo tabù culturale» che ancora persiste su queste terapie e facilitarne l’uso per la nobile battaglia di «ridurre il dolore superfluo». Sulla sua strada il senatore ha trovato il sostegno inaspettato di col- leghi come Roberto Formigoni, la disponibilità dei Cinque Stelle, di Sel e di parte della Lega e, soprattutto, una ormai lunga serie di amministrazioni locali che si stanno muovendo per rendere più facile l’accesso ai farmaci. Ultima la Puglia, dove una proposta in tal senso è appena stata approvata dalla commissione consiliare competente ed è prossima ad approdare all’assemblea del Consiglio regionale. Ma non è soltanto l’Italia a muoversi in questa direzione: negli Usa sono già 21 gli Stati che consentono l’uso terapeutico dei derivati della cannabis. E a sdoganarla è stato persino il presidente Obama: «Non è più pericolosa dell’alcol». Il vento sta cambiando? Forse. Prova ne sia che gli esperti che abbiamo interpellato in queste pagine, nonostante la diversità di posizioni, convergano sulla necessità di semplificare la vita dei malati che potrebbero beneficiare dei prodotti a base di cannabis. Ma la distanza resta siderale. Si profilano ulteriori aperture, come la possibilità - prevista espressamente dal Ddl Manconi VIDMER SCAIOLI VIDMER SCAIOLI * l disegno di legge (Ddl) proposto su iniziativa del senatore Luigi Manconi si prefigge di regolamentare l’utilizzazione della cannabis terapeutica, nelle sue varie formulazioni farmacologiche, e la legalizzazione della coltivazione di questa sostanza a scopo terapeutico per il soddisfacimento dei bisogni terapeutici dei singoli pazienti. Del resto, i farmaci cannabinoidi sono reperibili in Italia solo dal 2013, limitatamente a un singolo farmaco, e sono prescrivibili solo ai pazienti affetti da sclerosi multipla con determinate caratteristiche. Le proprietà farmacologiche e l’efficacia terapeutica della cannabis sono conosciute da tempo e già in antichi testi della medicina cinese e nella farmacopea galenica della medicina europea del XIX secolo erano citate per le loro proprietà analgesiche, antiemetiche, antispastiche e anticonvulsivanti. Dagli inizi degli anni Ottanta i cannabinoidi hanno trovato ampio impiego in oncologia clinica per le loro proprietà antiemetiche, utili a contrastare la nausea indotta da chemioterapici, analgesiche per il controllo del dolore neoplastico di grado lieve-moderato e per il controllo del dolore neuropatico conseguente a chemioterapia. I Rosanna Magnano Manuela Perrone © RIPRODUZIONE RISERVATA GIOVANNI SERPELLONI «Stop ai paletti che danneggiano i pazienti» DI - di coltivare in casa marijuana per uso terapeutico personale. Per il neurologo Vidmer Scaioli, che è stato il consigliere scientifico di Manconi per la stesura del testo, una legalizzazione dovuta. Per Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento per le Politiche antidroga della presidenza del Consiglio, un «rituale medievale» che non è permesso per alcuna categoria di farmaci. Per le sue proprietà antispastiche e miorilassanti è stata successivamente utilizzata nei pazienti affetti da rigidità muscolare, spasmi e crampi muscolari conseguenti a mielolesioni di varia natura o a patologie neurodegenerative e infiammatorie del sistema nervoso. Più recentemente si è utilizzata la cannabis per stimolare l’appetito e il controllo del dolore neuropatico nei malati di Aids. Se si interrogano i motori di ricerca scientifici è possibile capire la varietà dei settori in cui se ne stanno studiando l’uso e le principali prospettive di applicazioni cliniche. E sempre attraverso questo strumento è possibile rilevare che i contributi italiani sono al momento limitati nel numero, salvo alcune recensioni di natura sperimentale e sporadiche di tipo clinico, evidenziando così un gap scientifico e culturale che isola l’Italia dal conteso internazionale: non risultano infatti contributi italiani negli ultimi cento lavori recensiti su Pub-Med. Questo lo scenario su cui interviene il Ddl. Ma quali modifiche si propone di apportare? In primo luogo vi sono, come elementi qualificanti del disegno stesso, l’impegno all’emanazione di linee guida e di indirizzo per la utilizzazione clinica della cannabis e di un registro nazionale della cannabis terapeutica. La stesura delle linee guida si prefigge lo scopo di armonizzare le leggi e i regolamenti regionali per garantire sul territorio nazionale il più omogeneo e ampio accesso alle cure, la definizione delle condizioni cliniche e i criteri per utilizzare la cannabis, inclusa l’istituzione di orti botanici sotto controllo delle autorità locali e sanitarie per la distribuzione e coltivazione finalizzata alla autosomministrazione dei prodotti della pianta, e infine la identificazione di Centri sanitari di riferimento regionali. Il Registro nazionale si prefigge diverse finalità: di tipo osservazionale ed epidemiologico attraverso l’organizzazione di una banca dati clinico-sanitaria per fornire indizi utili per l’avvio di trial clinici e la revisione periodica degli effetti clinici delle categorie di pazienti che accedono alla terapia e la registrazione degli effetti collaterali indesiderati; la valutazione di carattere econometrico dei costi/benefici per classi omogenee di patologie; in sintesi, dispositivi di indirizzo, vigilanza e controllo. Il Ddl, in ultima analisi, non mira a una liberalizzazione ampia e indiscriminata della cannabis terapeutica, bensì ad ampliare l’offerta farmacologica per quelle categorie di pazienti che ne possono trovare beneficio. Ciò rappresenta un’alternativa per molti ma anche l’unica strada percorribile per altri. Costituisce, inoltre, il soddisfacimento di “fame di cure” da parte di pazienti e la riaffermazione del diritto alle cure e a essere curati e auspicabilmente l’avvio di più sistematiche ricerche cliniche e sperimentali per colmare il gap culturale e scientifico che, nello specifico, separa l’Italia dagli altri Paesi. * Istituto Neurologico Besta © RIPRODUZIONE RISERVATA «Non sia pretesto per avallare l’uso voluttuario» DI GIOVANNI SERPELLONI * on devono esserci pregiudizi ideologici nell’usare farmaci a base di cannabis nelle patologie per le quali sono provate efficacia e sicurezza. Ma non è condivisibile il processo in atto da parte di organizzazioni non scientifiche né mediche di “beatificazione della cannabis” per finalità ricreative/voluttuarie sulla base dei possibili usi medici, per accreditarne e legittimare anche altri usi. È un’operazione scorretta e inaccettabile, ma non deve farci desistere dal creare condizioni di più facile accesso a questi farmaci da parte di chi ne ha veramente bisogno. Vanno quindi ben distinti due piani: quello dell’uso medico e quello dell’uso voluttuario/ricreazionale. C’è sicuramente la necessità di semplificare le procedure di acquisizione dei farmaci da parte dei pazienti, ma anche di rendere gratuite queste cure, come alcune Regioni hanno già fatto, anche attraverso la promozione di una produzione nazionale (controllata attraverso strutture e istituti farmaceutici in grado di garantire sicurezza e stabilità del prodotto, al pari di tutti gli altri farmaci), che permetta di ridurre i costi per lo Stato e i pazienti. Non vi devono essere preclusioni, dunque, ma neppure facili entusiasmi. Sarebbe importante incentivare la ricerca scientifica creando un piano nazionale coordinato (su cui stiamo già lavorando con il ministero della Salute), che permetta di valorizzare quanto in Italia da qualche anno si sta tentando di fare sia per comprendere le proprietà positive e i reali campi di applicazione di questi farmaci sia la loro tossicità e i danni neuro-cognitivi che possono produrre. Non bisogna creare false illusioni: va riconosciuto, a esempio, che i farmaci a base N SPORT&SALUTE Oncologi contro il dolore: la partita si gioca su un campo di basket DI GIAMPIERO PORZIO * lla fine la palla va messa nella canestra». Così sentenziava Otello Formigli, padre nobile del basket livornese, quando le discussioni su tattiche e schemi si facevano stucchevoli. Era la fine degli anni Settanta e mi era toccato in sorte il dono più bello che un coach di vent’anni potesse ricevere: allenare la squadra della sua città. Vivevo a Roseto degli Abruzzi, una delle “basket city” italiane, sede del torneo estivo più «A antico d’Europa e, forse, del mondo. In quel tempo confuso e sbandato, la palla a spicchi viveva un’epoca di transizione: non era più pallacanestro e non era ancora diventata basket. Valerio Bianchini, il Vate, predicava basket, importando dagli States un nuovo modo di interpretare il gioco e di allenare e, su questi temi, si scatenavano infinite discussioni. Tutto vero, tutto giusto ma, sentenziava il pragmatico Otello, «alla fine la palla va messa nella canestra». Sono passati tanti anni, ora sono un oncologo che si occupa di cure palliative, ma il detto di Otello mi torna spesso in mente. Mi torna in mente durante quei convegni sulle cure palliative o la terapia del dolore, che iniziano con ipnotiche sessioni sulla legge 38 e proseguono con interventi sul ruolo del medico di medicina generale, dell’oncologo, del palliativista, dell’infermiere e via dicendo. Rivendicazioni di ruolo che, spesso, nascondono il vuoto dei contenuti scientifici e alle quali sconsiglio di partecipare. Spesso, alla fine di queste schermaglie dialettiche, i ragazzi più giovani mi chiedono cosa fare, nella pratica quotidiana, per trattare efficacemente il dolore. Ancora una volta, «alla fine la palla va messa nella canestra». Decine di esperienze di questo tipo mi hanno convinto che la liturgia dei congressi con i moderatori, i relatori, le diapositive, il «se non ci sono domande, ne faccio una io per rompere il ghiaccio» ha fatto il suo tempo. È il momento di sperimentare nuovi modi di fare formazione, che vedano i giovani medici parte attiva di un processo e non semplici, spesso attoniti, spettatori. DIBATTITI 28 gen.-3 feb. 2014 11 UNO SGUARDO ALLA STORIA Dalla canapa al vino alla coca storie di farmaci e veleni DI «M di cannabis possono ridurre i sintomi di spasticità della sclerosi multipla ma non possono curare la malattia di base. Un atteggiamento prudente e bilanciato è quello raccomandato, lontano dalle superficiali derive di liberalizzazione o legalizzazione dell’uso voluttuario. Sono infatti ampiamente dimostrati i danni e gli abusi anche dell’uso medico di questa sostanza, soprattutto in adolescenza: può dare effetti neurotossici in grado di compromettere memorizzazione, attenzione, concentrazione, apprendimento; può produrre perdita di quoziente intellettivo, delle capacità di giudizio e decisione, di poter guidare autoveicoli in sicurezza; in persone vulnerabili, può incentivare la comparsa o la slatentizzazione di patologie psichiatriche importanti. È dimostrato inoltre che la sensibilizzazione cerebrale che si può produrre in giovani vulnerabili può incrementare percorsi evolutivi verso eroina e cocaina. Non siamo all’anno zero. Attualmente sono disponibili vari tipi di prodotti: il Sativex, medicinale registrato in Italia, a base di estratti di cannabis standardizzati. è prescrivibile solo dallo specialista neurologo, quindi su ricetta limitativa, ed è indicato come coadiuvante nella riduzione della spasticità nella sclerosi multipla. I prodotti Bedrobinol, Bedrocan, Bediol, importati dall’Olanda, sono materie prime da impiegare in preparazioni magistrali da parte dei farmacisti, su ricetta non ripetibile del medico. Non sono registrati, ma esportati dall’Office for Medicinal Cannabis del ministero della Salute olandese. È possibile importare dagli Usa, dove è registrato, anche il Marinol, a base di dronabinol (Thc di sintesi). Il Sativex è disponibile per i pazienti nei normali canali di distribuzione, dietro ricetta limitativa. Da queste considerazioni, è nata l’idea di un corso sul dolore da fare su un campo di basket. La squadra degli oncologi contro quella del dolore. Tutto inizierà nello spogliatoio, luogo sacro, dove si costruisce il destino di una squadra. Lo staff parlerà dell’avversario, dei suoi punti deboli e dei suoi punti forti. Sul campo, esercizi e schemi facili saranno metafora di tutti gli aspetti della terapia del dolore, dalla titolazione degli oppioidi alla prevenzione degli effetti collaterali. Niente letture “magistrali”, Anche Bedrobinol, Bedrocan, Bediol sono disponibili alle farmacie per le preparazioni magistrali ma il costo è molto alto (un mese di terapia può superare i 600 euro) e a carico del paziente. Un’altra modalità di approvvigionamento è tramite la Asl competente per territorio che ne fa richiesta all’Ufficio centrale stupefacenti del ministero della Salute. I tempi sono più lunghi, ma i costi sono inferiori. Solo le Regioni che hanno legiferato o deliberato per la rimborsabilità forniscono tali cure gratuitamente (Puglia, Toscana, Liguria, Friuli, Veneto, Marche e sta per passare la legge in Abruzzo) altrimenti il medicinale viene interamente pagato dal paziente. Su queste scelte però dovrebbe pesare una attenta analisi comparativa costo-efficacia e costo-beneficio anche con altri farmaci, che a oggi manca. Un altro importante aspetto è la coltivazione domestica della pianta di cannabis. Contrariamente a quanto si sente, non ci sono Stati in Europa che l’hanno autorizzata per i malati (con autoproduzione e autosomministrazione). Ben 18 società scientifiche in Italia l’hanno esclusa e riconosciuta come impropria. Proprio per le caratteristiche farmacologiche psicoattive e l’alto rischio di abuso, si ritiene che questi farmaci debbano essere usati rigorosamente sotto controllo medico, e non lasciati alla libera iniziativa dei pazienti, permettendone addirittura la coltivazione in autonomia, rituale che non si ritrova in nessuna altra condizione medica, da considerare francamente medievale e da evitare. * capo Dipartimento Politiche antidroga Presidenza del Consiglio dei ministri niente «a te la parola», ma una palla che passa tra tante mani. Soprattutto, niente chiacchiere. Concentrazione massima per raggiungere l’obiettivo: valutare e trattare correttamente il dolore. «Alla fine la palla va messa nella canestra». Al posto delle diapositive, una lavagnetta e pochi tratti di pennarello. Come una squadra intorno al coach, nel momento decisivo della partita, quando mancano pochi secondi alla fine e c’è tempo per un solo tiro. Poi, ancora nello spogliatoio, per ragionare sul ben fatto e sul migliorabile. Match a Bologna il 3 febbraio © RIPRODUZIONE RISERVATA Avremo, come compagni di squadra, alcuni vecchi amici: Ettore Messina, il coach del CSKA Mosca, Luigi Lamonica, l’arbitro europeo più titolato, e tre grandissimi giocatori: Roberto Brunamonti, Claudio Bonaccorsi e Charlie Yelverton. Questo è “Against the pain”, corso accreditato Ecm, che si terrà a Bologna il 3 febbraio, con il contributo di Prostrakan. Poi, si andrà in trasferta verso altre “basket city”: Livorno, Roseto, Venezia. Con un paio di scarpette e una palla che «alla fine va messa nella canestra». * oncologo medico Università dell’Aquila © RIPRODUZIONE RISERVATA DONATELLA LIPPI * argherita spiccò un salto e rimase sospesa nell’aria, ad una certa distanza dal tappeto, finché si sentì lentamente attirare verso il basso e ridiscese. “Ah, che crema! Ah, che crema!” gridò lasciandosi cadere sulla poltrona». (C. Bulgakov) Vola la bella Margherita sopra i tetti di Mosca. Vola, cercando il suo amatissimo perduto Maestro. E lo fa, dopo essersi spalmata sul corpo una crema, la stessa che, per secoli, ha predisposto le donne al volo notturno, trasformandole in streghe. L’unguentum populeum, risultato di antichi medicamenti per calmare il dolore delle donne, regalava «sogni dilettevoli», che soddisfacevano «bramosie di sensazioni morbose». (G. B. Della Porta, 1558) Le sigarette allo stramonio, il vino alla coca, i clisteri col tabacco... Farmaco o veleno? Nella sfuggente definizione della vox media, in queste definizioni prive di colore, si nasconde l’anima prima di sostanze i cui effetti assecondano la scoperta di nuovi orizzonti. E come il pomodoro passò dal vaso di fiori, sulla finestra della nonna di L’Arlesienne di A. Daudet, alla coltivazione nel giardino del signor Roumanille, ex-soldato dell’impero diventato agricoltore, un analogo destino coinvolge, in questa ancipite percezione, anche «il caffè, il tè, cioccolatte, il mate, e il guaranà [...]i cinque alimenti nervosi caffeici meglio noti [...] amici del pensiero ed eccitanti della sensibilità; ma nessuno ha l’azione dell’altro. Ognuno di essi riscalda certa regione del cervello, e ogni cervello trova nell’uno o nell’altro di essi uno stimolo più efficace e durevole». Così, l’antropologo Paolo Mantegazza, nel 1871. In un’Europa tormentata dalla fame, il desiderio di droghe forti ed efficaci si era diffuso rapidamente, incrementandone i traffici, ma se l’Europa cristiana non poteva ammettere la cultura di evasione e la ricerca dell’euforia, si faceva appello alle ragioni della salute, creando un «alibi intellettuale... per aprire la porta al desiderio». I medici ne furono il mezzo. «Ma chere petite Maman, (...) Dopo la lettera di ieri, ho avuto un attacco d’asma e continuo flusso dal naso, che mi ha obbligato a cercare le sigarette anti-asma da ogni tabaccaio (...) e ciò che è peggio, non son riuscito ad andare a letto prima di mezzanotte, dopo interminabili suffumigi». La sera del 31 agosto 1901, Marcel Proust scriveva alla madre: sofferente di asma sin dall’infanzia, aveva sperimentato tutti i possibili trattamenti. Oppio, caffeina, morfina, le polveri Legras e le sigarette Espic. Paradosso farmacologico, le sigarette di stramonio, belladonna e giusquiamo gli regalavano frammenti di sollievo. Usato fra i nativi americani per modificare lo stato di coscienza, anche il tabacco veniva masticato o sniffato, per i suoi presunti poteri terapeutici. «Erba della regina», aveva curato l’emicrania di Caterina de’ Medici. Il medico olandese Cornelius Dekker (1647-1685) lo considerava una vera e propria panacea: «Si potrebbe scrivere un grosso libro sulle virtù del tabacco, ma basti il dire che il fumare la preziosa foglia è la migliore medicina contro lo scorbuto (...). Il fumare è anche un rimedio che può adoperarsi sempre, dacché noi possiamo godere di questa erba della Virginia dall’alba alla sera. Come l’aria vitale, noi possiamo respirarlo in ogni tempo, posto, condizione e compagnia». L’erba Nicoziana pareva dotata di straordinarie virtù e il fumo, somministrato sotto forma di clistere, diventava strategia rianimatoria, inducendo la distensione del diaframma e lo stimolo della parete intestinale: «Tuttavìa i clisteri di fumo di tabacco sono costantemente reputati migliori. Pare che questo soccorso siaci venuto in Europa dall’America; ed infatti i popoli selvaggi dell’Acadia (...) riempivano le vesciche di fumo di tabacco, e colla compressione lo spingevano nell’ano de’ sommersi, e ne traeano effetti maravigliosi». (P. Manni, 1835). Prima che l’Anatomia patologica ne rivelasse i danni, in nome del tabacco le donne si unirono nell’Ordine della Tabacchiera e l’uomo indossò lo smoking. “De usu et abusu”: è tra XVIII e XIX secolo che nasce un diverso paradigma per intendere i comportamenti viziati, in un processo di confluenza di mutamenti morali e nuovi modelli medici, all’interno di una più generale tendenza alla medicalizzazione dei costumi eticamente problematici o devianti. «Morfina lo avevano chiamato, questo rozzo sostituto chimico dello stoicismo antico, della rassegnazione cristiana». (G. Tomasi di Lampedusa) Il concetto di dipendenza come malattia ha storia recente: l’inizio della produzione industriale e del consumo di massa dei distillati di alcol e dei preparati a base di oppio; l’inserimento di medicina e farmacia nell’economia di mercato; il crepuscolo dell’etica liberale e del liberalismo politico disegnarono la dipendenza come malattia. Necessità e compulsione venivano a sostituire scelta e abitudine, definendo una drammatica patologia della volontà. E se Benjamin Rush aveva accusato l’alcolismo, Thomas Trotter estendeva questo modello all’abuso di oppio e cannabis. Farmaco o veleno? Gli Antichi rispondevano guardando alle mani del medico, dalla cui purezza sarebbe dipeso l’esito della cura. Ma prima che Freud studiasse gli effetti della cocaina, 60 grammi delle migliori foglie di coca del Perù, lasciate macerare per 10 ore in un litro di vino Bordeaux, generavano il celebre Vino Mariani (1863) che, consumato dal Pontefice, da re e regine, curava dolori, dispepsia e altri malanni comuni. Fino al 1900 inoltrato, prima di raggiungere gli altri stupefacenti nella lista delle “droghe proibite”, anche la canapa era impiegata come sedativo e antispasmodico: hashish in arabo significa “erba”, l’erba per antonomasia, quasi che le qualità psicotrope della canapa sillogizzassero la natura stessa del regno vegetale. Se si può solo ipotizzare che fosse usata nei santuari di Asclepio o nei siti oracolari, compare forse nel pharmakon nepente, offerto dalla figlia di Zeus e Leda: «Intanto altro pensò Elena, figlia di Zeus. Buttò improvvisa nel vino, di cui bevevano, un farmaco che l’ira e il dolore calmava, oblio di tutte le pene» (Od. IV, 218-221). È un rimedio che lenisce il tormento, placa la collera e dissipa i mali, come il Pantagruelion di Rabelais, nato per corde, stoffe e vele. E, nella spongia somnifera della Scuola Medica Salernitana, insieme a oppio, giusquiamo e mandragora, si veste del ruolo più alto: «Divinum opus est sedare dolorem». * Storia della Medicina - Università di Firenze © RIPRODUZIONE RISERVATA
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