CONSIGLIO DI PRESIDENZA POLITICHE DI CONTRASTO ALLA CORRUZIONE: IL RUOLO DELLA CORTE DEI CONTI TRA PREVENZIONE E REPRESSIONE Roma 2-3 luglio 2014 Sergio Auriemma Il Piano Triennale per la prevenzione della corruzione (P.T.P.C.) 2014-2016 e il Piano Triennale per la trasparenza e l’integrità (P.T.T.I.) 2014-2016 approvati dall’A.N.A.C. il 31 gennaio 2014 SOMMARIO : 1. Riflessioni in premessa: un “Sistema” per il contrasto alle illegalità 2. La “rete normativa” di riferimento - 3. Il Piano Triennale per la prevenzione della corruzione (P.T.P.C.) - 4. Il Piano Triennale per la trasparenza e l’integrità (P.T.T.I.) - 5. I collegamenti con il Sistema di valutazione della performance - 6. La logica della Compliance - 7. La Corte dei conti : controlli e giurisdizione di responsabilità - 8. Prospettive in tema di incidenza dei deficit organizzativi 1. Riflessioni in premessa : un “Sistema” per il contrasto alle illegalità. Analisi e studi incentivati anche dalle crisi recessive che hanno progressivamente coinvolto le economie industriali più avanzate, nonché regolazioni convenzionali di livello internazionale alle quali ha aderito l’Italia 1 , hanno rafforzato la consapevolezza dell’indispensabilità di approcci olistici al tema della lotta alla corruzione. 1 Con legge 3 agosto 2009, n. 116, entrata in vigore il 15 agosto 2009, l’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea Generale con la Risoluzione n. 58/4 del 31 ottobre 2003 e aperta alla firma a Merida dal 9 all'11 dicembre 2003. Il Preambolo della Convenzione enuncia che la corruzione costituisce “una minaccia per la stabilità e la sicurezza delle società”, che essa “mina le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromette lo sviluppo sostenibile e lo Stato di diritto”. Il Preambolo evidenzia i nessi esistenti tra la corruzione ed altre forme di criminalità, in particolare la criminalità organizzata e la criminalità economica, compreso il riciclaggio di denaro; che la corruzione “non è più una questione locale, ma un fenomeno transnazionale che colpisce tutte le società e tutte le economie, rendendo la cooperazione internazionale essenziale per prevenirla e stroncarla”; che “è necessario un approccio globale e multidisciplinare per prevenire e combattere efficacemente la corruzione”. La legge n. 116/2009 ha designato quale Autorità nazionale (ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione) il soggetto al quale sono state trasferite le funzioni dell'Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 68, comma 6-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, cui sono assicurate autonomia ed indipendenza nell'attività, nonché quale Autorità centrale (ai sensi dell'articolo 46, paragrafo 13, della Convenzione) il Ministro della giustizia. 1 La sollecita ratifica delle Convenzioni internazionali, la pronta esecuzione attuativa di norme comunitarie poste a tutela della libera concorrenza di mercato, la definizione di una disciplina normativa penale meglio idonea al contrasto di comportamenti delittuosi, l’introduzione nel settore delle pubbliche amministrazioni di disposizioni meglio calibrate sulla formazione del personale dipendente, sulla rotazione negli incarichi delle figure professionali e operative più esposte al rischio di corruzione, sulla maggiore trasparenza delle posizioni patrimoniali soggettive, su regole più stringenti in tema di conferimento e assolvimento di incarichi extraistituzionali anche da parte di magistrati, su di un più incisivo sistema di responsabilità disciplinare costituiscono soltanto alcuni dei tratti poliedrici che hanno dato un “corpo materiale” all’idea della globalità di approccio. Il fenomeno della corruzione, sia nella sua dimensione quantitativa, sia nella percezione che si condensa presso le collettività e che talvolta, quasi per paradosso, fa sedimentare effetti non desiderati di assuefazione o di calo di attenzione, se non di vera e propria emulazione, è oggetto di indagini statistiche periodicamente messe a disposizione di autorità e soggetti che affrontano il tema. La dinamica delle infiltrazioni criminogene nella realtà politico-amministrativa ed economica, interna e internazionale, che ne alterano l’ordinato funzionamento in osservanza della legge e con libero innesco delle “sane” regole di mercato, è multiforme. Risultano perpetrati illeciti nell’area del rischio di impresa o degli apparati organizzativi delle persone giuridiche (es. reati contro l’ambiente, la sicurezza sul lavoro, ecc.), che creano situazioni di indebito vantaggio concorrenziale sul fronte di costi inferiori, quindi più vantaggiosi, da sostenere per la produzione e lo scambio imprenditoriale e commerciale. Si sviluppano comportamenti delittuosi volti alla ricerca di profitti indebiti, che direttamente distorcono i meccanismi della concorrenza, ad esempio con l’accesso a percezione indebita di contributi e di risorse finanziarie collettive. A fronte di ciò, persino i malfunzionamenti giustiziali (anche quelli puramente applicativi od interpretativi, nonché quelli che possono verificarsi nel contrasto giudiziale alla corruzione) fanno deflettere la propensione ad investire, disincentivano la crescita dimensionale delle imprese, ostacolano l’andamento dei mercati finanziari, possono alterare o distorcere le scelte di finanziamento. Tutto questo non riguarda soltanto la giustizia civile ed il cd. enforcement giudiziario (cioè il funzionamento del processo esecutivo, con la tempestiva 2 riscuotibilità di pagamenti e crediti), ma interessa e investe la tutela giustiziale in tutte le sue molteplici espressioni (comprese quella penale e contabile), sempre che si condivida il convincimento che l’effettiva tutela della legalità è uno dei presupposti essenziali per preservare il bene collettivo e non è un ostacolo od un intralcio allo sviluppo del Paese. 2 Vi è, inoltre, da considerare che la “tutela della concorrenza”, secondo la ritessitura esegetica compiuta dalla Corte costituzionale alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione e di quanto oggi statuisce l’art. 117, secondo comma, lettera e), è materia che – nella dimensione dell’intervento statuale macroeconomico, non escludente quindi interventi di carattere localistico o microsettoriale a valenza marginalmente pro-competitiva - va intesa non in un’unica accezione tra tutte le sue possibili declinazioni di significato. L’avere la riforma costituzionale del 2001 accorpato, nel medesimo titolo di competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e la tutela della concorrenza “…rende palese che quest’ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali”. 3 Da tutto questo è quasi banale desumere che una strategia che intenda indirizzarsi a perseguire, con reale efficacia, l’obiettivo di una lotta “integrata” ai fenomeni corruttivi debba poter contare anche sull’allestimento di misure prevenzionali, indipendenti dall’esercizio dell’azione penale o dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile. Alle azioni giustiziali l’Ordinamento, invero, assegna un compito importante di presidio nel Sistema della legalità: accertare e reprimere condotte individuali illecite o dannose quando le violazioni siano state fattivamente consumate. Tuttavia, l’utilità sostanziale e finale che davvero si aspetta il Paese - sia nel suo essere promotore dell’imprenditorialità privata, sia nel suo essere erogatore 2 In tema v. Bianco, M. e Giacomelli S., Efficienza della giustizia e imprenditorialità: il caso italiano, in Economia e Politica industriale, 2004; Marchesi D., L'inefficienza della giustizia civile fra domanda e offerta, in il Mulino, n. 5 2008, pp. 854 ss. - Stella P., L’enforcement nei mercati finanziari, Giuffrè, Milano, 2008. 3 Si vedano, tra molte, le sentenze della Corte costituzionale n. 14 del 2004, n. 401 del 2007, n. 430 del 2007, n. 288 del 2010. 3 di denaro pubblico nelle realtà territoriali, sia infine nel suo essere membro dell’Unione Europea e, perciò, partecipe nella contribuzione a fondi comunitari che parzialmente rifluiscono a finanziare iniziative di sviluppo industriale o sociale da attuarsi nei territori italiani – risiede nel fatto che “a monte” non si verifichi l’illecita dispersione di risorse, piuttosto che solo ex post ed “a valle” si individuino e si puniscano gli agenti dissipatori. I detrimenti lesivi che i fenomeni corruttivi iniettano nel tessuto-Paese hanno effetti innegabili in termini di competitività, sia interna, sia internazionale. Si innesca un meccanismo latamente assimilabile alla tendenza, nota alla storia del monetarismo, che va sotto il nome di “legge di Gresham”, quando negli antichi sistemi bimetallici la moneta “debole” o “cattiva” sapeva progressivamente scacciare dal mercato la moneta “forte” o buona”, trovando gli operatori più inclini a fondere moneta aurea per ricavarne materia prima di valore economico più apprezzato. Con disperante similitudine e in un contesto come quello odierno, sovraesposto ai fenomeni corruttivi, l’agire amministrativo o imprenditoriale illecito, ogniqualvolta raggiunge il suo scopo e resta immune da conseguenze penalizzanti, tende a svilire e soppiantare l’agire virtuoso e corretto, perché lucra esternalità utilitaristiche vantaggiose e accattivanti (arricchimenti personali imponenti, disponibilità di ingenti somme per investimenti, elusioni ed evasioni fiscali, aggiramento di norme contributive, favoritismi nei reclutamenti di personale, lavoro nero, ecc.). La corruzione, in tal maniera, può sostanziarsi in una infiltrazione tentacolare nei meccanismi dell’agire pubblico e dell’economia legale, rendendo molto più difficile qualsiasi intervento per la sua escissione. Di recente, è stato osservato che “la corruzione oggi pare ancora più radicata, diffusa, subdola, orientata al micro interesse personale o di gruppi ristretti, e perciò forse ancora più sfuggente rispetto al passato”. 4 4 Ne ha parlato il Presidente dell’A.N.A.C. nel corso della riunione del gruppo di lavoro anticorruzione ACWG G20 e della Conferenza G20/OCSE sull’anticorruzione svoltasi a Roma dal 9 al 12 giugno. In detta occasione è stato osservato che la “dazione” è costituita prevalentemente da incarichi e servizi fittizi o concessi senza che ce ne sia necessità, da artifici di finanza creativa, dall’agire di cosiddetti “comitati di affari” in grado di controllare e condizionare in modo seriale e intrecciato una molteplicità di appalti, contratti, investimenti. Se ne è desunto che le politiche per la prevenzione, il contrasto e la repressione della corruzione non possono essere mosse da “logiche emergenziali”, che non serve una “attenzione intermittente”, ma occorre presidiare costantemente il tema, intercettandone i cambiamenti per capirli e contrastarli, che la lotta ai fenomeni corruttivi non può passare solo attraverso azioni di contrasto “reattive” e secondo logiche di intervento occasionale connesse alla casualità dell’emersione. Anche la “trasparenza” deve mutare volto, poiché deve essere vera e fruibile e non fatta di una “bulimia di informazioni inintelligibili”. 4 Nel primo Report che la Commissione UE ha dedicato allo stato dell’arte in tema di anti-corruzione nei 28 Paesi Membri 5 , dopo aver dato atto che la legge n. 190/2012 delinea uno spartiacque ("un cambio di mentalità") rispetto alla politica normativa nazionale che, in precedenza, affidava la strategia del contrasto al solo strumento repressivo dell'azione penale e che oggi, invece, insiste sul principio di responsabilità della PA (accountability), si è constatato che “nonostante il profondo impegno profuso dalla Corte dei conti, dagli organi di contrasto, dalle procure e dai giudici, la corruzione in Italia rimane un problema serio. La nuova ondata di scandali di corruzione, che hanno coinvolto una serie di cariche elettive regionali, ha fatto luce sul finanziamento illecito dei partiti politici e delle campagne elettorali e ha rivelato infiltrazioni mafiose, anche se sono tuttora rari i casi in cui sanzioni dissuasive vengono realmente comminate a pubblici ufficiali di alto rango. Il regime restrittivo della prescrizione continua a ostacolare l’accertamento nel merito dei casi di corruzione. La disciplina sul conflitto di interessi e sui finanziamenti ai partiti politici è sotto certi aspetti insoddisfacente. Gli appalti pubblici e il settore privato continuano a essere settori a rischio, malgrado le misure fin qui adottate. In generale occorrono ulteriori sforzi per garantire un’applicazione e un monitoraggio efficaci del quadro legislativo anticorruzione, compresi i decreti legislativi, in modo da garantire un impatto sostenibile sul campo”. Da qui - e nella prospettiva di un’evoluzione futura - i suggerimenti delineati dalla Commissione UE sono nel senso di una maggiore attenzione da dedicare: al rafforzamento del regime di integrità per le cariche elettive e di governo nazionali, regionali e locali, anche con codici di comportamento completi, strumenti adeguati di rendicontazione e sanzioni dissuasive in caso di violazione al superamento delle lacune della disciplina della prescrizione, come richiesto dalle raccomandazioni rivolte all’Italia a luglio 2013 nel quadro del semestre europeo all’allestimento di un quadro uniforme per i controlli interni, all’affidamento della revisione contabile della spesa pubblica a controllori esterni indipendenti a livello regionale e locale, soprattutto in materia di appalti pubblici, nonché alla creazione di un sistema uniforme, indipendente e sistematico di verifica del conflitto di interessi e delle dichiarazioni patrimoniali dei pubblici ufficiali, con relative sanzioni deterrenti al potenziamento della trasparenza degli appalti pubblici, prima e dopo l’aggiudicazione, come richiesto dalle raccomandazioni rivolte all’Italia a luglio 2013 5 V. Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione, Bruxelles, 3 febbraio 2014. 5 nel quadro del semestre europeo, ponendo l’obbligo per tutte le strutture amministrative di pubblicare on-line conti e bilanci annuali, insieme alla ripartizione dei costi per i contratti pubblici di opere, forniture e servizi, in linea con la normativa anticorruzione, considerando di conferire alla Corte dei conti il potere di effettuare controlli senza preavviso, nonché garantendo il pieno recepimento e l’attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato. In sintesi, nell’ambito della strategia orientata anche sul versante prevenzionale, che da qualche anno ha positivamente conquistato spazi di condivisione, un accento nuovo e più specifico può essere colto nella sottolineatura del principio della maggiore e reale “effettività” degli strumenti che l’Amministrazione deve mettere in campo per assicurare l'efficienza e la trasparenza del suo agire. Del resto, solo l’effettività dei meccanismi di monitoraggio e di controllo, interni ed anche esterni alla pubblica amministrazione, a livello sia centrale che locale, nel dare conto di risultati concreti raggiunti (e non soltanto programmati), potrà attestare il “successo” delle logiche prevenzionali organiche rispetto agli esiti, indubbiamente più puntiformi e meno soddisfacenti in chiave e dimensione sistemica, del contrasto repressivo e deterrente offerto dalle azioni penali o di responsabilità amministrativa, le quali puniscono gli autori, ma non affrontano in radice i fenomeni. 2. La “rete normativa” di riferimento. Il tema affidatomi, pur se nominalmente ben circoscritto agli strumenti di pianificazione che devono allestire le pubbliche amministrazioni per avversare in via programmatica le illegalità e la corruzione, in realtà si imbatte in un sottostante impianto normativo estremamente articolato, frastagliato, complesso. Gli elementi descrittori e regolatori da prendere a riferimento per l’analisi si desumono, principalmente, dai seguenti atti : la legge 4 marzo 2009, n. 15 e succ. modificazioni, recante “Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti” 6 il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e succ. modificazioni, recante “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni” la legge 6 novembre 2012, n. 190 e succ. modificazioni, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione" il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e succ. modificazioni, recante "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni" il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 e succ. modificazioni, recante "Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190" Al reticolo delle norme primarie si affianca un insieme di atti di indirizzo politico amministrativo o comunque di disciplina che riguardano: il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) le tecniche di redazione dei Piani triennali per la prevenzione della corruzione (PTPC) le tecniche di redazione dei Piani triennali per la trasparenza e l’integrità (PTTI) le tecniche di redazione dei Piani per la valutazione della performance (PP) le numerose deliberazioni in proposito emanate dalla Civit (ora ANAC) Occorre, peraltro, notare che la disciplina anticorruzione ha molteplici punti di contatto o di intersezione anche solo logico-giuridica con quelle concernenti la trasparenza, la responsabilità delle persone giuridiche ex d.lgs. 231/2001, la tutela dei dati personali. Ciò risalta sol che si osservi come la “trasparenza” sia aspetto propedeutico ad un'efficace azione anticorruttiva, il Piano anticorruzione sia costruibile sulla base di un archetipo similare al “modello di gestione e controllo” delineato nel citato decreto 231 e, infine, l’attuazione di una politica anticrimine nelle organizzazioni debba necessariamente tenere in considerazione anche i principi e le regole sulla tutela dei dati personali utilizzati per tali finalità. Va aggiunto e considerato un ulteriore dato storico. Nell’ultimo quinquennio, numerosi altri complessi normativi sono intervenuti a delineare un reinnesco dei sistemi di controllo interni, una ridefinizione (parzialmente 7 riespansiva) dei controlli di legittimità e di regolarità affidati alla Corte dei conti ed alle Ragionerie dello Stato, il rafforzamento dei controlli successivi sulla gestione finanziaria anche nei confronti delle Autonomie territoriali. 6 Tutto questo è stato certamente indotto da necessità di contenimento delle spese, imposte dalla persistente e sfavorevole congiuntura economica nazionale ed internazionale. Non sembra, però, essere rimasto estraneo alle finalità di legge l’intensificarsi, in Italia, di vicende anche gravi di abuso di risorse e di danaro pubblico, tanto da spingere il legislatore a rafforzare gli obblighi di informazione, di verifica dell’attendibilità dei bilanci pubblici, di rimozione delle irregolarità gestionali, di previsione ed irrogazione di nuove sanzioni. Le sinergie e gli intrecci, talvolta problematici, tra le discipline normative in tal modo costruite e l’influenza e l’impatto che, nel loro insieme, le stesse potrebbero avere sull’azione di contrasto alle illegalità ed alla corruzione esulano, in ogni caso, dai confini tematici della presente trattazione e saranno, pertanto, ratione materiae meglio analizzate dagli altri relatori. 3. Il Piano Triennale per la prevenzione della corruzione (PTPC) Il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica e sottoposto all'approvazione della CIVIT sulla base delle linee guida del Comitato interministeriale, contiene indicazioni per procedere all'elaborazione dei Piani triennali di prevenzione (PTPC) da parte delle singole amministrazioni, la cui adozione è prevista dall'art. 1, comma 8, della legge n. 190. Tale disposizione stabilisce che l'organo di indirizzo politico, su proposta del responsabile, adotta il PTPC curandone la trasmissione al Dipartimento della funzione pubblica. 6 V. principalmente: D.L. n. 78/2009 recante “Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini”; D.L. n. 225/2010 recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie”; L. n. 266/2005 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)”; L. n. 196/2009 (Legge di contabilità e finanza pubblica); D.Lgs. n. 123/2011 recante “Riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e potenziamento dell'attività di analisi e valutazione della spesa, a norma dell'articolo 49 della legge 31 dicembre 2009, n. 196”; D.L. 174/2012 recante “Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012”; D.L. 91/2014 recante “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea”. 8 In fase di prima applicazione, il termine di adozione del PTPC è stato differito. 7 Per quanto riguarda il campo di azione della legge, in assenza di una definizione esplicita, ai fini della redazione del Piano viene dato per presupposto un concetto di “corruzione” da intendersi in senso lato. La concezione “allargata” - da tempo in uso e nota in ambito internazionale ed anche europeo - racchiude in sé varie situazioni in cui, nel corso dell'attività amministrativa, si riscontri l'abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. Le situazioni rilevanti ai fini della legge 190, pertanto, sono ben più ampie delle fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 318, 319 e 319 ter del codice penale e sono tali da comprendere non solo l'intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del codice, ma anche altre situazioni in cui - a prescindere dalla rilevanza penale - venga in evidenza un malfunzionamento dell'amministrazione a causa dell'uso a fini privati delle funzioni attribuite. 8 Una puntuale conferma di questo allargamento concettuale la si rinviene in quella parte del PNA in cui, a proposito degli enti pubblici economici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale o regionale/locale, si precisa che essi “…sono tenuti ad introdurre e ad implementare adeguate misure organizzative e gestionali. Per evitare inutili ridondanze qualora questi enti adottino già modelli di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d.lgs. n. 231 del 2001 nella propria azione di prevenzione della corruzione possono fare perno su essi, ma estendendone l'ambito di applicazione non solo ai reati contro la pubblica amministrazione previsti dalla l. n. 231 del 2001 ma anche a tutti quelli considerati nella l. n. 190 del 2012 , dal lato attivo e passivo, anche in relazione al tipo di attività svolto dall'ente (società strumentali/società di interesse generale). Tali parti dei modelli di organizzazione e gestione, integrate ai sensi della l. n. 190 del 2012 e denominate Piani di prevenzione della corruzione, debbono essere trasmessi alle amministrazioni pubbliche vigilanti ed essere pubblicati sul sito istituzionale”.. In sostanza, il PNA riconosce la validità dei modelli di organizzazione e gestione di cui all'art. 6 del d.lgs. 231/2001 ed evita inutili ridondanze degli oneri di conformità, ma impone un percorso di "integrazione" che giunga fino a comprendere non soltanto i reati presenti nel catalogo dei “reati presupposti” di cui agli articoli da 7 V. art. 34 bis, comma 4, d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito con modif. da L. 17.12.2012, n. 221. V. circolare PCM 25.01.2013, n. 1: Legge n. 190 del 2012 - Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione (pubbl. in G.U. 26.04.2013, n. 97). 8 9 24 a 26 del d.lgs. n. 231/2001, ma anche a tutti quelli considerati nella legge n. 190 del 2012 “…dal lato attivo e passivo, anche in relazione al tipo di attività svolto dall'ente (società strumentali/società di interesse generale)”. La legge 190 (art. 1, comma 12) prevede una generale forma di responsabilità dirigenziale (ex art. 21 d. lgs. n. 165/2001), disciplinare ed amministrativa a carico del Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC), oltre che (ed eventualmente) per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione. La responsabilità può configurarsi in caso di condanna in via definitiva all'interno dell'amministrazione per un reato di corruzione (nel senso lato anzidetto), a meno che il RPC non provi tutte le seguenti circostanze (cumulative, quindi, e non alternative): a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano, osservando le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo; b) di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del piano Il successivo comma 13 stabilisce che la sanzione disciplinare irrogabile al RCP non può essere inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi. Il comma 14 disciplina, infine, un'ulteriore fattispecie di illecito per responsabilità dirigenziale, che sussiste "in caso di ripetute violazioni del piano", nonché, in presenza delle medesime circostanze, una fattispecie di illecito disciplinare "per omesso controllo". E’ appena il caso di notare - ma l’analisi sul punto meriterebbe una più estesa trattazione ermeneutica - come la responsabilità amministrativa-erariale eventualmente imputabile al RCP ai sensi del citato comma 12, qualora all’interno dell’amministrazione sia commesso e sanzionato un reato di “corruzione”, non deriva certo da una “partecipazione diretta” alla commissione del reato tipico di corruzione. Siffatta partecipazione, infatti, configurerebbe un’ipotesi di concorso nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p. e, pertanto, il RPC ne risponderebbe, più semplicemente, in quanto agente concorrente, senza potersi neppure avvalere delle esimenti indicate nella legge 190. Piuttosto, è proprio l’accezione in senso lato del vocabolo “corruzione” che aiuta a comprendere come la responsabilità erariale (per danno patrimoniale od anche all’immagine) a carico del RPC possa restare integrata a fronte della commissione, da parti di altro soggetto, di un qualsiasi delitto contro la PA (si 10 pensi, ad esempio, ad un reato di abuso d'ufficio ex art. 323 c.p. o di rifiuto di atti d'ufficio od omissione ex art. 328 c.p.) rispetto al quale la regolare attivazione, il regolare funzionamento ed il monitoraggio sull’osservanza del Piano/Modello organizzativo avrebbero potuto interporre specifiche misure prevenzionali. Naturalmente il cuore della problematica giudiziale dell’accertamento circa una responsabilità erariale imputabile al RPC - di non facile ricostruzione - sarà quello concernente il nesso di causalità. Trattandosi di causalità cosiddetta omissiva (o normativa, o ipotetica) il giudice, in forza di un ragionamento controfattuale e partendo dalla condotta del (presunto) responsabile connotata dalla colposa inadempienza, dovrà svolgere una inferenza probabilistica (che rappresenta indubbiamente una complicazione nella formulazione del giudizio causale, ma) che non può essere pretermessa, formulando un giudizio che pervenga - senza affrettate approssimazioni e senza salti logici - alla conclusione, positiva o negativa, della sussistenza di un legame causale tra la condotta esaminata e l’evento (per questo concetto si veda quanto si avrà modo di segnalare di qui a poco) che si è verificato all’interno dell’amministrazione. Servirà, dunque, che il pubblico ministero contabile attore, prima di formulare una ipotesi di addebito di responsabilità a carico del RPC, accerti nel dettaglio gli elementi che integrano la “prova liberatoria” di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 190/2012 (- avere il RPC predisposto, prima della commissione del fatto, il piano secondo le regole di redazione; - avere il RCP vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del piano). Passando ai contenuti dell’attività di pianificazione, è essenziale tenere presenti alcuni concetti fondamentali, illustrati o comunque enunciati nel PNA. Per “rischio”, va inteso l’effetto dell’incertezza sul corretto perseguimento dell’interesse pubblico e, quindi, sull’obiettivo istituzionale dell’ente, dovuto alla possibilità che si verifichi un dato evento. Per “evento” , si intende il verificarsi o il modificarsi di un insieme di circostanze che si frappongono o si oppongono al perseguimento dell’obiettivo istituzionale dell’ente. Per “gestione del rischio” , si intendono le strategie necessarie per individuare, stimarne i livelli e governare in maniera proattiva e tramite apposite misure correttive e di miglioramento i rischi cui sono esposte le varie attività procedurali svolte nell’ambito della specifica struttura amministrativa organizzata che redige il Piano. 11 Quanto ai contenuti ed alle indicazioni sulla gestione del rischio, lo stesso PNA precisa che sono stati tenuti presenti i principi e linee guida “Gestione del rischio” UNI ISO 31000 2010 (edizione italiana della norma internazionale ISO 31000), riconsiderati in maniera semplificata. 9 La legge n. 190 ha direttamente individuato alcune aree di rischio comuni a tutte le amministrazioni. Dette aree sono elencate nell’art. 1, comma 16, della legge e si riferiscono ai procedimenti di: a) autorizzazione o concessione; b) scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al d.lgs. n. 163 del 2006; c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; d) concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera (articolo 24 del citato decreto legislativo n. 150 del 2009. Ciascun PTPC, oltre ad analizzare e declinare nel dettaglio i contenuti dei rischi afferenti le anzidette aree e le correlate misure di prevenzione, dovrà analizzare e declinare i contenuti di cd. aree di rischio ulteriori, le quali rispecchiano le specificità funzionali e di contesto. L’analisi dei rischi va effettuata per ciascuna area (generale o ulteriore) con riferimento a tutti i processi lavorativi che nella stessa di realizzano. Per ciascun processo lavorativo, quindi, dovranno essere verificati la nonché l’impatto o gli effetti che lo stesso probabilità dell’evento, potrebbe avere all’interno dell’organizzazione. Sarà poi necessaria la misurazione/ponderazione dei rischi, che comporta la necessità di valutare l’intensità del singolo rischio, anche comparandola con altri rischi ed individuando le priorità. Infine, vanno elaborate le misure di prevenzione dei rischi, cioè tutte le azioni o gli interventi che si intende mettere in opera ( e che nel concreto vengono messe in opera) per neutralizzare oppure per ridurre la probabilità che i rischi si verifichino. Le misure di prevenzione, da esplicitare per ciascuna area di rischio, sono state fondamentalmente classificate in due tipologie : 9 V. All. n. 6 al PNA. 12 misure obbligatorie, la cui applicazione discende obbligatoriamente dalla legge o da altre fonti normative. Tra le stesse si annoverano le cd. misure di carattere trasversale quali la trasparenza, l’informatizzazione dei processi, l’accesso telematico a dati, documenti e procedimenti e il riutilizzo dei dati, documenti e procedimenti, il monitoraggio sul rispetto dei termini procedimentali misure ulteriori che, pur non essendo obbligatorie per legge, vengono rese obbligatorie dal loro stesso inserimento nel PTPC. 10 Infine, per ciascuna misura dovrà essere individuato il responsabile ed il termine per la sua attuazione, stabilendosi in tal maniera il collegamento con il ciclo delle performance e con il PP. 4. Il Piano Triennale per la trasparenza e l’integrità (PTTI) Il programma triennale per la trasparenza e l’Integrità (PTTI), come previsto dall’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 11 , costituisce una sezione del Piano di prevenzione della corruzione (PTPC). Il collegamento fra il Piano triennale di prevenzione della corruzione e il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità viene assicurato dal Responsabile della trasparenza le cui funzioni, secondo quanto previsto dall'art. 43, c. 1, del d.lgs. n. 33/2013, sono svolte, di norma, dal Responsabile per la prevenzione della corruzione, di cui all'art. 1, c. 7, della legge n. 190/2012. Il PTTI indica le iniziative previste per garantire: a) un adeguato livello di trasparenza, anche sulla base delle linee guida elaborate dalla Commissione di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150; b) la legalità e lo sviluppo della cultura dell'integrità. Lo stesso decreto legislativo 33 sancisce espressamente che : gli obiettivi indicati nel Programma sono da formulare in collegamento con la programmazione strategica e operativa dell'amministrazione, definita in via generale nel Piano della performance e negli analoghi strumenti di programmazione previsti negli enti locali 10 V. in particolare l’ All. 4 al PNA approvato il 31 gennaio 2014, rubricato “Elenco esemplificativo delle misure ulteriori”, che contiene un’elencazione esemplificativa di misure ulteriori. 11 Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e succ. modificazioni, recante "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni" 13 le misure incluse nel Programma sono collegate, sotto l'indirizzo del responsabile, con le misure e gli interventi previsti dal Piano di prevenzione della corruzione Vale la pena stringatamente e in premessa rammentare che la legge n. 15/2009 ha dettato nuove disposizioni sul principio della trasparenza nelle amministrazioni pubbliche. L'art. 4, comma 6, estendendo e rafforzando la previsione già presente nella legge n. 241/1990, ha stabilito che la trasparenza costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Nei successivi commi 7 e 8 è stato precisato che la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta in proposito dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei princìpi di buon andamento e imparzialità. Le amministrazioni pubbliche adottano ogni iniziativa utile a promuovere la massima trasparenza nella propria organizzazione e nella propria attività. Il concetto della accessibilità totale determina il passaggio, in ulteriore prospettiva, dal cd. open government al cd. open data, cioè alla messa a disposizione dei cittadini delle informazioni di interesse generale; ciò in linea con i moniti provenienti dall’ordinamento europeo e dalle più importanti organizzazioni globali (Onu, Ocse, Consiglio d’Europa), nella prospettiva di un avvicinamento ai modelli di trasparenza esistenti in altre realtà nazionali. Un riepilogo succinto e denso di quasi tutti i concetti sin qui esposti si può leggere nella sentenza della Corte costituzionale n. 104 del 2006. In essa si afferma che la pubblicità dell'azione amministrativa ha assunto, specie dopo l'entrata in vigore della legge n. 241/1990 il valore di un principio generale, che attua sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti dell'amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.). 14 Tra i criteri dell'azione amministrativa, l'art. 1 della legge 241 contempla, infatti, espressamente (accanto a quelli di economicità, di efficacia e di trasparenza) la pubblicità, mentre le disposizioni contenute nel capo V della medesima legge ne disciplinano taluni aspetti applicativi, quale, in primo luogo, l'accesso ai documenti amministrativi. Manifestazione fra le più rilevanti della regola di pubblicità è l'obbligo di comunicazione dei provvedimenti amministrativi, oggi sancito dall'art. 21-bis della legge n. 241, il quale stabilisce che «il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata». Questa norma ha reso esplicita una regola desumibile dal testo originario della citata legge n. 241 del 1990 (l'obbligo di concludere il procedimento, entro un termine stabilito, con un provvedimento espresso). Infine, la pubblicità del procedimento amministrativo è un principio appartenente al patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei; principio stabilito, tra l'altro, dall'art. 253 del Trattato istitutivo delle Comunità europee, che impone l'obbligo di motivazione degli atti comunitari (sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 2 aprile 1998 in causa C-367/95). Riconducibile al principio della trasparenza è anche l'art. 21, comma 1, della legge n. 69/2009, recante "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile", che obbliga le amministrazioni a pubblicare, sui siti Internet di ciascun ente od organismo, i curricula vitae dei dirigenti, i dati relativi al trattamento economico, oltre alle informazioni inerenti i tassi di assenza e di presenza del personale di ciascun ufficio dirigenziale. Infine, è da ricordare che gli articoli 4 della legge n. 15/2009 ed 11 del decreto n. 150/2009 hanno ritenuto di ridefinire il principio della trasparenza, già formalmente enunciato nell’art. 1 della legge n. 241/1990 e succ. mod. sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti amministrativi (quindi riferibile sia all’organizzazione, sia all’attività), rivisitandolo e riguardandolo anche sotto un altro profilo, detto della "integrità". L’integrità costituisce principio di nuova concezione, maturato essenzialmente in ambito penalistico-aziendale alla luce del decreto legislativo n. 231 del 2001, che ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ed ha modificato la 15 previgente regola penalistica in base alla quale “societas delinquere non potest”. L’innovazione si è mossa nel senso di prevedere una responsabilità, di natura sostanzialmente penale (anche se denominata "amministrativa"), per gli Enti che non adottino e facciano effettivamente funzionare al loro interno “modelli” predefiniti (i cd. compliance programs), sia organizzativi sia di controllo, che siano capaci di disincentivare ed ostacolare le illegalità e la commissione di reati particolarmente gravi da parte di propri amministratori e dipendenti. In somma sintesi, il principio e la cultura della integrità puntano a favorire il formarsi di un costume “etico” (donde il vocabolo), sia organizzativo sia comportamentale, che aiuti a contrastare fenomeni di illegalità e di corruzione. La Commissione CIVIT - in tema di PTTI - inizialmente ha emanato la delibera n. 6/2010, recante “Prime linee di intervento per la trasparenza e l’integrità”, in essa richiamando ed elencando una serie di obblighi che devono essere adempiuti dalle pubbliche amministrazioni. Più di recente, con la delibera n. 50/2013 è stato ulteriormente sottolineato che il Programma triennale è innanzitutto uno strumento rivolto ai cittadini e alle imprese con cui le amministrazioni rendono noti gli impegni in materia di trasparenza. 12 Ne consegue l'importanza che nella redazione del documento sia privilegiata la chiarezza espositiva e la comprensibilità dei contenuti anche per chi non è uno specialista del settore. Inoltre, viene ricordato che in coerenza con il principio della “accessibilità totale” le amministrazioni, nell'esercizio della propria discrezionalità e in relazione all'attività istituzionale espletata, devono sentirsi impegnate a pubblicare sui propri siti istituzionali dati “ulteriori” oltre a quelli espressamente indicati e richiesti da specifiche norme di legge 13 , posto che il d.lgs. n. 33/2013, all'art. 1, c. 1, nell'esplicitare il principio generale di trasparenza e nel fare riferimento alle informazioni concernenti “l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche” offre un criterio di discrezionalità 12 La delibera CiVIT 04.07.2013, n. 50, recante le Linee guida per l'aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità 2014-2016, rende disponibili, in particolare, Allegati riferiti a : elenco degli obblighi di pubblicazione attualmente vigenti per le amministrazioni pubbliche con l'individuazione dei rispettivi ambiti soggettivi di applicazione (allegato 1); nota esplicativa dell'elenco degli obblighi di pubblicazione (allegato 1.1) ; documento tecnico sui criteri di qualità dei dati da pubblicare (allegato 2); scheda standard per la compilazione del Programma triennale sul Portale della trasparenza da parte delle amministrazioni statali e degli enti pubblici non economici nazionali (allegato 3); scheda di monitoraggio dell'OIV sull'avvio ciclo della trasparenza per le amministrazioni statali e gli enti pubblici non economici nazionali (allegato 4). 13 La pubblicazione di “dati ulteriori” è prevista anche dalla legge n. 190/2012 come contenuto dei Piani Triennali di prevenzione della corruzione (art. 1, c. 9, lett. f) e dallo stesso d.lgs. n. 33/2013 (art. 4, c. 3). 16 molto ampio, da leggere in una logica di piena apertura dell'amministrazione verso l'esterno e da declinare in forme che non siamo di mero adempimento burocratico delle norme sugli obblighi di pubblicazione. In questa ottica, i dati ulteriori sono quelli che ogni amministrazione, in ragione delle proprie caratteristiche strutturali e funzionali, dovrebbe individuare a partire dalle richieste di conoscenza dei propri portatori di interesse. 5. I collegamenti con il Sistema di valutazione della performance. I vari documenti che hanno accompagnato l’elaborazione delle suddescritte attività di pianificazione da parte delle pubbliche amministrazioni (specie di quelle centrali) contengono espliciti riferimenti ed indicazioni operative che si soffermano sui collegamenti od intersezioni tra il Piano anticorruzione (PTPC) ed il Piano (PP) relativo al cd. “ciclo della valutazione della performance” disciplinato dal d.lgs. n. 150/2009. 14 E’ stato osservato che il decreto 150 del 2009, quanto all’attivazione del “ciclo” valutativo, ha previsto che questo debba essere sviluppato dalle amministrazioni in maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della programmazione finanziaria e del bilancio. 15 Le norme hanno offerto un quadro di azione che realizza il passaggio dalla cultura dei mezzi (input) a quella dei risultati (output e outcome), già auspicato dalle riforme precedenti. Il nuovo sistema di valutazione è stato delineato dal d. lgs. n. 150 soltanto nei suoi tratti generali, dovendo poi essere regolato più analiticamente dai soggetti che ne sono a vario titolo i gestori. In particolare, il Governo ha affidato alla Commissione per la valutazione (la Civit) il compito di indirizzare, di coordinare e di sovrintendere le concrete funzioni di valutazione degli Organismi indipendenti di valutazione della performance (OIV), istituiti in seno ad ogni amministrazione per garantire dall’interno la definizione e l’implementazione dei sistemi di valutazione, nel rispetto dei modelli definiti dalla Commissione. 14 Il Titolo II del decreto legislativo (articoli da 1 a 16) è interamente dedicato alla “Misurazione, valutazione e trasparenza della performance”. 15 V. Corte di Cassazione - Ufficio del massimario e del ruolo – Relazione tematica n. 41 del 12 aprile 2010. 17 La strategia fondata sulla valutazione delle performance è stata strettamente interconnessa con l’adozione del principio meritocratico come criterio gestionale essenziale. Il legislatore delegato, infatti, ai risultati della valutazione delle performance individuali, nonché delle strutture di appartenenza, ha collegato la corresponsione ai singoli dipendenti, compresi i dirigenti, di quote di retribuzione incentivante e di premi, stabilendo altresì l’incidenza di tali risultati sulle progressioni economiche e di carriera, nonché la loro rilevanza in materia disciplinare. Centralità assoluta in proposito assumono anche le previsioni di legge in materia di cd. poteri dirigenziali. Infatti, tra gli obiettivi del d.lgs. n. 150 del 2009 si colloca il riconoscimento, in capo al dirigente amministrativo, di una maggiore autonomia nei confronti tanto della politica quanto del contropotere sindacale ed un rafforzamento delle sue prerogative manageriali. Tutto ciò è stato attuato, da un lato, ampliando l’intervento legislativo in tema di organizzazione e di rapporto di lavoro a scapito dei contratti e, dall’altro lato, rinforzando la tutela dei dirigenti nel momento cruciale della nomina e della revoca dell’incarico. Le deliberazioni Civit n. 6 del 2013 e n. 50 del 2013 – rispettivamente recanti le “Linee guida relative al ciclo di gestione della performance per l'annualità 2013” e le “Linee guida per l'aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità 2014-2016” - hanno descritto ed evidenziato i punti di interazione o confluenza tra gli elementi (segnatamente : obiettivi ed indicatori) da includere nei due diversi documenti di pianificazione (PTPC e PP) . Il Piano Nazionale Anticorruzione, tramite un apposito Allegato 16 , ha precisato l’importanza di stabilire collegamenti con il ciclo della performance, da configurare quali integrazioni “reali” e non meri richiami/rinvii tra i due strumenti di pianificazione (PTPC e PP). Il carattere “integrato” del ciclo della performance previsto per legge esige infatti che il Piano della Performance (PP) comprenda gli ambiti relativi: alla performance ed agli standard di qualità dei servizi (articoli 7 e 10 del d.lgs. n. 150 del 2009) alla trasparenza ed alla integrità 16 V. in particolare l’ All. 1 al PNA approvato il 31 gennaio 2014 - punto B.1.1.4 - rubricato “Individuazione per ciascuna misura del responsabile e del termine per l’attuazione, stabilendo il collegamento con il ciclo delle performance”. 18 al piano delle misure in tema di contrasto alla corruzione (PTPC) Se l’attività rivolta alla prevenzione della corruzione deve assumere una concreta ed effettiva rilevanza strategica all’interno dell’organizzazione e deve riguardare tutte le risorse professionali nella stessa operanti, è intuitivamente indispensabile che l’attività posta in essere per attuare la legge n. 190/2012 sia inserita nella programmazione strategica ed operativa definita in via generale nel P.P. (e negli analoghi strumenti di programmazione previsti nell’ambito delle amministrazioni regionali e locali). Ciò dovrà avvenire sotto forma di “obiettivi e di indicatori per la prevenzione del fenomeno della corruzione” riferiti a tutti i processi ed attività lavorative, specie quelle “sensibili”. Detti obiettivi – di tipo strategico e di tipo operativo - devono essere adeguatamente e idoneamente declinati sul duplice versante : della performance organizzativa (art. 8 d.lgs. n. 150 del 2009) della performance individuale (art. 9 d.lgs. n. 150 del 2009) Gli obiettivi di carattere strategico sono dimensionati su orizzonti temporali pluriennali e presentano un elevato grado di rilevanza (non risultano, per tale caratteristica, facilmente modificabili nel breve periodo), richiedendo uno sforzo di pianificazione per lo meno di medio periodo. Gli obiettivi di carattere operativo declinano, invece, l’orizzonte strategico per singoli esercizi (breve periodo). La performance individuale esprime il contributo fornito da un individuo, in termini di risultato e di modalità di raggiungimento degli obiettivi. La performance organizzativa esprime il risultato che l’'intera organizzazione, con le sue singole articolazioni, consegue ai fini del raggiungimento di determinati obiettivi e, in ultima istanza, della soddisfazione dei bisogni dei cittadini. Occorre notare che tra le disposizioni di legge non risulta inclusa una definizione normativa esplicita e contenutistica della cd. “performance”. Il vocabolo straniero (il cui significato letterale è: prestazione o esecuzione o prova), nell’ambito dell’economia aziendale è solitamente adoperato in un’accezione che tende ad identificare essenzialmente un “processo gestionale”, oppure un insieme di processi, metodologie, criteri di misurazione e sistemi diretti a valutare e gestire le prestazioni di un'organizzazione in vista di obiettivi di soddisfazione dell’utenza. 19 Una definizione enunciata da una parte della dottrina di settore qualifica la performance come “il contributo (risultato e modalità di raggiungimento dello stesso) che una entità (individuo, gruppi di individui, unità organizzativa, intero ente, programma o politica pubblica) apporta attraverso la propria azione al raggiungimento della finalità e degli obiettivi, ed in ultima istanza alla soddisfazione dei bisogni per i quali l’organizzazione è stata costituita”. Se si abbandonano le accezioni solo dottrinarie (che mai sono univoche o considerabili incontroverse) e si preferisce procedere attraverso l’esegesi delle norme, non si può fare a meno di notare che: l’art. 9 del decreto legislativo n. 150/2009 parla di “raggiungimento di specifici obiettivi di gruppo o individuali” e di “qualità del contributo assicurato alla performance dell'unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate ed ai comportamenti professionali e organizzativi”, precisando altresì che “nella valutazione di performance individuale non sono considerati i periodi di congedo di maternità, di paternità e parentale” l’art. 10, comma 1, del decreto parla di “risultati individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti” In definitiva, la "performance individuale" sembra sostanziarsi nel grado di raggiungimento o di scostamento rispetto ad obiettivi programmati (ed ovviamente esigibili) cui attinge la prestazione professionale del singolo lavoratore, in ragione delle risorse messe a disposizione. Circa, invece, la “performance organizzativa”, l’analisi del significato contenutistico della locuzione si complica non poco, atteso che: il concetto è da rapportare alla prestazione di servizio complessiva che l’intera organizzazione (l’Amministrazione) rende ai cittadini l’unico dato normativo oggettivamente disponibile in proposito (art. 45 del d.lgs. n. 165/2001) non fa altro che ripetere l’evidenza lessicale quando afferma che la performance organizzativa si riferisce “all'amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l'amministrazione”. Meglio comprensibile è la ragione per cui si rende indispensabile la integrazione tra il Piano anticorruzione (PTPC) e il Piano della performance (PP). Una volta, infatti, che attraverso il ciclo valutativo della performance sarà stato misurato - da parte del personale dirigenziale, del responsabile della prevenzione della corruzione, dei dirigenti apicali in base alle attività che svolgono ai sensi dell’art. 20 16, commi 1, lett.l) bis, ter, quater, d.lgs. n. 165 del 2001, dei referenti del responsabile della corruzione (qualora siano individuati tra il personale con qualifica dirigenziale) - l'effettivo grado di attuazione degli obiettivi, nel diligente rispetto delle fasi e dei tempi previsti (art. 8, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150 del 2009), i risultati stessi potranno far rifluire la loro valenza nella pianificazione anticorruttiva. In altre parole, la Relazione della performance (art. 10, d.lgs. n. 150 del 2009), che a consuntivo e con riferimento all'anno precedente verifica i risultati organizzativi ed individuali raggiunti rispetto ai singoli e specifici obiettivi programmati quanto al contrasto alla corruzione e rileva gli eventuali scostamenti, renderà possibile l’individuazione delle misure correttive (obbligatorie o cd. “ulteriori”) destinate a migliorare e ad implementare il PTPC. Appaiono doverose, sul tema, almeno due riflessioni. Da un lato, vi è da dire che poco confortanti sono le risultanze enunciate dalla CIVIT nella Relazione sulla performance resa ai sensi dell’art. 13, comma 6, lettera n) del d. lgs. n. 150/2009. 17 Frequenti criticità (65% delle amministrazioni) sono segnalate in ordine alla non adeguata definizione degli obiettivi, degli indicatori e dei target, alla carenza di sistemi informativi a supporto della misurazione della performance (42% delle amministrazioni), alla implementazione del sistema di misurazione ed alla necessità di un suo adeguamento (33% delle amministrazioni). Praticamente non disponibili sono i dati relativi ad un collegamento fra la nuova impostazione normativa delle valutazioni individuali e le forme di incentivo retributivo ad esse correlabili (il collegamento che è stato dichiarato si riferisce a sistemi di misurazione e valutazione antecedenti il d.lgs. n. 150/2009). Dall’altro lato, la situazione di sostanziale inattuazione in cui versa l’intero sistema premiante-incentivante e di valorizzazione del merito sin dal suo varo (ipotizzato nel decreto n. 150/2009) riflette un consistente cono d’ombra su quello che è stato definito essere “L’asse portante della riforma … dato dal binomio incentivi/disincentivi, così da premiare i capaci ed i meritevoli, incoraggiare l’impegno sul lavoro e scoraggiare comportamenti di segno opposto, il tutto valorizzando la cultura della valutazione alla cui carenza vengono addebitate le attuali criticità delle amministrazioni pubbliche”. 18 17 18 Relazione sulla performance delle amministrazioni centrali - anno 2012. Vedi Relazione della Corte di Cassazione citata in nota n. 8. 21 6. La logica della Compliance. In tutti gli Enti collettivi, di frequente aventi una strutturazione complessa, gli accadimenti delittuosi che possono riconnettersi a deficienze organizzative interne comportano talune difficoltà nell’individuazione delle responsabilità soggettive. Le attività dell’ente, infatti, fanno capo ad un soggetto metaindividuale, né il preposto o responsabile legale, formalmente intestatario di molti degli obblighi gravanti sull’ente, è in grado di adempiervi personalmente. Istituti giuridici come la posizione di garanzia (nelle due figure, di protezione o di controllo) e la delega di funzioni facilitano, in campo penalistico e non solo, l’individuazione dei criteri di propagazione della colpevolezza e di imputazione soggettiva delle responsabilità. Un istituto normativo che, invece, per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano ha configurato una responsabilità direttamente imputabile all’Ente (Societas), in relazione a reati commessi dalle persone fisiche in esso operanti, è quello introdotto dal decreto legislativo n. 231/2001, concernente la cd. “responsabilità amministrativa per illecito dipendente da reato”. La bibliografia sull’argomento è ampia e numerosi sono i contributi scientifici al riguardo. 19 Naturalmente interessa qui richiamare soltanto alcuni aspetti salienti della tematica, allo scopo di sollecitare l’attenzione sul fatto che è proprio il decreto 231/2001 ad avere ispirato la logica pianificatoria messa oggi a base della normativa prevenzionale dettata per le pubbliche amministrazioni. Il decreto n. 231/2001 ha dato attuazione alla legge n. 300/2000, attuativa di direttiva europea. Esso ha preso in considerazione, come è dato leggere nella relazione di accompagnamento del provvedimento, un “ente collettivo inteso quale 19 Per un’esauriente ricostruzione del tema v. : Astrologo A., Brevi note sui requisiti dell'interesse e del vantaggio nel d. lgs. 231/2001, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 1/ 2006. D’Arcangelo F., La responsabilità da reato degli enti per gli infortuni sul lavoro, relazione tenuta in occasione dell’incontro di studio CSM, Roma, 2008 - Epidendio T.E., L’applicazione del decreto legislativo n.231/2001: esame casi pratici., relazione ad incontro di studio CSM, Roma, 2007 - Fiandaca G. - Musco E., Diritto penaleParte Generale-Quarta Ediz., Zanichelli, 2004, pp. 143 ss. - Giarda A., Azione civile di risarcimento e responsabilità punitiva degli enti, in Il Corriere del Merito, n. 5/2005, pp. 579 ss. - Giarda A., Mancuso E.M., Spangher G., Varraso G., Responsabilità penale delle persone giuridiche, Ipsoa, 2007 - Ielo P., Compliance Programs: natura e funzione nel sistema della responsabilità degli Enti. Modelli organizzativi e d. lgs. 231/2001, in La Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 1/2006, pp. 99 ss. – Ielo P., Responsabilità delle persone giuridiche: il bilancio di un’esperienza, relazione tenuta all’incontro di Studio CSM, Catania, 2008 - Marini L., L’analisi penalistica delle organizzazioni complesse, relazione tenuta all’incontro di studio CSM, Roma, 2007 Paliero C.E., Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in Corriere Giuridico, n. 7/2001, pp. 845 ss. - Paliero C.E., I criteri di imputazione ed i modelli di organizzazione nelle società, sintesi della relazione del convegno svoltosi il 10 ottobre 2003 a Milano sul tema "Il processo alle società" - Pulitanò D., La responsabilità da reato degli enti. Problemi di inquadramento e di applicazione, relazione tenuta all’ incontro di studio CSM, Roma, 2007 - Vignoli F., La responsabilità da reato dell’ente collettivo fra rischio d’impresa e colpevolezza, in La Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 2/2006, pp. 103 ss. 22 autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di varia natura, e matrice di decisioni e attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell’interesse dell’ente”. L’Ente può essere ritenuto responsabile per reati commessi, nel suo interesse od a suo vantaggio, da un soggetto che abbia funzione di rappresentanza, amministrazione e direzione, da una persona che eserciti anche di fatto la gestione e il controllo e da dipendenti in posizione subordinata sottoposti a direzione e vigilanza. Il legislatore, nel larghissimo bacino delle condotte penalmente rilevanti previste dall’ordinamento, ha inizialmente enucleato una gamma di fattispecie per le quali ha ritenuto opportuno ascrivere una responsabilità “personale” all’Ente collettivo, ulteriore ed autonoma rispetto a quella personale dell’imputato. Il cd. catalogo dei reati presupposto (artt. 24 a 26 d. lgs. 231), nominativo e tassativo (nel rispetto del principio di legalità ribadito dall’art. 2 del decreto 231), è stato progressivamente ampliato nel corso degli anni successivi. Un punto di spiccato interesse per le assonanze con il tema in trattazione in questa sede è quello riguardante l’adozione ed il regolare funzionamento dei cosiddetti modelli di organizzazione. Ipotizzati dal decreto n. 231 sulla falsariga del cd. compliance program (in senso letterale l’anglicismo può essere tradotto in : programma di conformità a regole prestabilite) conosciuto nell’esperienza nordamericana, si tratta di protocolli di organizzazione, di gestione e di controllo interno che, attivati e funzionanti in Ente collettivo, permettono di prevenire o almeno di minimizzare e contrastare il rischio della reiterazione di commissione di illeciti, sino a farlo rientrare nel cosiddetto “rischio consentito”, che può esonerare da responsabilità. Efficacia, effettività di funzionamento, specificità (rispetto al tipo di attività svolte dall’Ente) e costante attualizzazione del protocollo di organizzazione, i cui contenuti risultano tratteggiati negli articoli 6 e 7 del decreto n. 231, sono gli elementi giuridici indispensabili affinché lo stesso possa dirsi esistente e fungere da attenuazione o esclusione dell’imputazione di responsabilità (rispettivamente per le diverse ipotesi e soggetti di cui agli articoli 6 e 7 del decreto). Il contenuto minimo del compliance program è costituito dalla selezione delle attività maggiormente esposte a rischio-reato (art. 6, comma secondo, lett. a), dalla regolazione della formazione ed attuazione delle decisioni in tali aree (art. 6, comma secondo, lett. b), dalla individuazione delle modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di reati (art. 6, comma secondo, lett. 23 c), dalla trasmissione delle informazioni (art. 6, comma secondo, lett. d), dalla previsione di un organismo di vigilanza (art. 6, comma primo, lett. b) e di un sistema disciplinare (art. 6, comma secondo, lett. e). Al decreto 231 del 2001 ha fatto seguito il DM 26 giugno 2003, il cui articolo 5, rubricato “Comunicazione dei codici di comportamento”, tenendo conto della varietà di morfologia degli enti destinatari della normativa, ha disposto che “In attuazione dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 231 del 2001, le associazioni rappresentative degli enti, comunicano al Ministero della giustizia, presso la Direzione generale della giustizia penale, Ufficio I, i codici di comportamento contenenti indicazioni specifiche (e concrete) di settore per l'adozione e per l'attuazione dei modelli di organizzazione e di gestione previsti dal medesimo articolo 6 del d.lgs. Al riguardo può essere utile ricordare succintamente che : l’esonero della responsabilità penale dell’ente (cd. efficacia liberatoria) passa attraverso il giudizio di idoneità del sistema interno di organizzazione e controlli dell’ente stesso, che l’inquirente ed il giudice penale sono chiamati a verificare l’esistenza del compliance program è anche un criterio di attenuazione delle conseguenze giuridiche ed economiche conseguenti alla responsabilità dell’ente. Nel caso di irrogazione di sanzioni pecuniarie, l’adozione e l’efficacia applicativa, post factum, del modello, determina una riduzione delle medesime in una misura complessiva tra un terzo e la metà, e nel caso di risarcimento del danno la riduzione è compresa tra la metà e i due terzi il sostrato valutativo della validità del modello non è ex post (perché l’avvenuta consumazione del reato, con tutta evidenza, dimostra che il modello non ne ha idoneamente contrastato la commissione), ma si snoda secondo la tecnica della prognosi postuma o ex ante, facendo riferimento al momento in cui è venuto in essere il fatto e dovendosi tener conto delle circostanze concrete di tempo e di luogo in cui il reato presupposto è stato commesso l’adozione delle misure organizzative costituisce per l’ente collettivo solo un onere e non già un obbligo (non essendo comminabile alcuna sanzione in proposito), ma la mancata adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo certamente espone l’ente (e per esso i suoi vertici) alla responsabilità amministrativa da reato, non consentendo di beneficiare di esimenti e di benefici premiali. E’ evidente che la responsabilità regolata dal decreto legislativo n. 231 non si radica nella circostanza data dal fatto di non avere impedito la commissione di un 24 reato (ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2). Né si potrebbe sostenere che, essendo stato il reato commesso, allora è certo che il modello organizzativo costruito dall’Ente, per definizione, è inadeguato, in tal maniera applicandosi una regola di giudizio come quella prevista, ad esempio, per il delitto colposo di cui all'art. 57 c.p. In altri termini, non si tratta di accertare e di imputare ai vertici organizzativi ed ai funzionari apicali una nuova figura di profilo psicologico improntato a colpa (una sorta di culpa in vigilando), ma di valutare in concreto la adeguatezza del modello organizzativo, che deve essere approntato per impedire che determinati soggetti commettano determinati reati. Il giudice penale, quando valuta l’idoneità del modello, non è chiamato a scandagliare una condotta umana, ma solo il "frutto" di tale condotta, vale a dire l'apparato normativo prodotto in ambito aziendale. Il giudizio, cioè, prescinde da qualsiasi apprezzamento di atteggiamenti psicologici (peraltro impossibile in riferimento alla volontà di un ente giuridico), nel mentre si sostanzia in una valutazione del modello concretamente adottato dall'azienda, in un'ottica di conformità/adeguatezza dello stesso rispetto agli scopi che esso si proponeva di raggiungere. 20 Orbene, attraverso le previsioni dapprima recate dalla legge n. 15/2009 e da ultimo dettate dalla legge n. 190/2012 anche per le pubbliche amministrazioni è ora prevista l’adozione di un modello organizzativo anticorruzione, fondata su alcuni pilastri operativi, quali : l’adozione di un Codice di comportamento da parte di ciascuna amministrazione ad integrazione di quello emanato dal Governo per i dipendenti pubblici (approvato con d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62) la nomina di un Responsabile della prevenzione della corruzione, scelto tra i dirigenti amministrativi, e di altri Referenti l'adozione di un Piano triennale di prevenzione (PTPC), da aggiornare secondo un processo ciclico e nel quale, sulla base di indicazioni presenti nel PNA, l'amministrazione "effettua l'analisi e valutazione dei rischi specifici di corruzione e conseguentemente indica gli interventi organizzativi volti a prevenirli" la definizione di procedure selettive e formative per i dipendenti particolarmente esposti alla corruzione e per la divulgazione dei codici di comportamento. 20 V. Cass. Sez. 5, sentenza n. 4677 del 2014. 25 L’assetto prevenzionale è completato dalla disciplina riferibile al conflitto di interesse ed ai casi di incompatibilità, da regole sulla rotazione del personale, dalla tutela del soggetto denunciante (whistleblower). L'art. 1, comma 51, della legge n. 190/2012 ha introdotto, infatti, anche una forma di tutela nei confronti del dipendente pubblico che segnali illeciti, prevedendo che "fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia". Segnalazioni e comunicazioni potranno essere fatte pervenire anche direttamente al RPC in qualsiasi forma, che ne dovrà assicurare la conservazione garantendo l’anonimato dei segnalanti Ciò detto in generale circa la logica di fondo dei modelli di organizzazione, è naturale che ogniqualvolta si parli di “documenti” di pianificazione o di programmazione, l’inclusione tra le azioni delle pubbliche amministrazioni della logica della “compliance” e della stesura di protocolli di conformità possa far sorgere il timore di un “formalismo” espressivo di scarsa attenzione alla cd. anticorruzione sostanziale, intesa invece come disciplina regolativa di più intenso contrasto sanzionatorio interponibile avverso diffusi fenomeni di spreco delle risorse pubbliche. 21 Non si può affermare che il temuto rischio del formalismo costituisca un’eventualità assolutamente remota od un’ipotesi solo pessimistica. Tuttavia, è anche doveroso osservare che l’enunciazione di paventabili patologie attuative, da parte sua, non offre motivazioni bastevoli per non 21 V. Albo G. - “Anticorruzione Formale e Anticorruzione Sostanziale”, relazione al Convegno su “Controlli, legalità e trasparenza per una reale riforma della pubblica amministrazione”, Palermo, 23 settembre 2013. L’autore osserva l’incalzante inclusione, specie nelle annuali manovre finanziarie e di stabilizzazione, di fattispecie plurime ed eterogenee riferite a condotte descritte quali causative di “danno erariale”, di “responsabilità erariale“, di “responsabilità a titolo di danno erariale”, attraverso norme anticorruzione “meramente suggestive”, non applicabili autonomamente e comunque tutte dipendenti dalla ricorrenza dei presupposti della clausola generale della responsabilità amministrativa. Nella stessa legge 190 del 2012, nonostante il più intenso radicamento nel tessuto normativo di taluni principi (trasparenza, pubblicità degli atti, prevenzione delle situazioni procedimentali di conflitto di interesse, controllo serrato di segmenti “sensibili” dell’azione amministrativa perché più esposti a situazioni di inceppo della legalità), può essere colto qualche profilo di approccio prevalentemente formale, come ad esempio nel caso della concentrazione legale di competenze in capo ad un unico dirigente, quale soggetto responsabile, sia della prevenzione della corruzione (comma 7 art. 1 l.190/2012), sia della trasparenza (art. 43 D.lgs. 33/2013), sia delle incompatibilitàinconferibilità (art. 15 D.lgs. 39/2013). 26 intraprendere la strada di un vaglio più puntuale dell’efficacia dissuasiva che può esplicare l’adozione di un modello di organizzazione, ove lo stesso sia costruito in maniera adeguata, congrua ed idonea. E detto vaglio, a sua volta, non potrà trascurare il fatto che l’emersione di deficit organizzativi - in sede di accurata verifica istruttoria e giudiziale dell’esistenza e del regolare funzionamento di modelli organizzativi interni - potrebbe assumere importanza e rilievo giuridico decisivi, anche ai fini dell’accertamento di responsabilità individuali e della comminatoria di conseguenti sanzioni (anche solo risarcitorie). 7. La Corte dei conti : controlli e giurisdizione di responsabilità. Le regolazioni convenzionali assunte a livello internazionale alle quali ha aderito l’Italia, come osservato sub 1. , nel corso del fluire degli anni hanno agevolato la consapevolezza circa l’indispensabilità dell’approccio globale ai fenomeni di corruzione. D’altronde, globale e multiforme nelle sue radici è la stessa dinamica delle illiceità e delle infiltrazioni criminogene, che si insinuano nella realtà politico- amministrativa ed economica alterandone l’ordinato funzionamento. La filosofia di fondo rintracciabile negli orientamenti normativi più recenti si è mossa praticando un percorso logico che dà il giusto rilievo ad azioni di prevenzione, senza nel contempo trascurare l’allestimento di misure di contrasto attivabili nei casi in cui lo sbarramento prevenzionale, come sovente purtroppo accade nella realtà dei fatti, venga penetrato e travolto dalla callidità che connota le azioni delittuose e dannose. Proprio al cospetto di siffatta e più efficiente logica binomiale, che tende a coniugare tra di loro, nel punto del migliore equilibrio anche democratico e proprio dei moderni Stati di diritto, “prevenzione” e “repressione”, si impone e si staglia una riflessione che riguarda, più da vicino, la Corte dei conti. Esiste ed è normativamente individuabile, per la Corte dei conti e sin dal varo della Costituzione repubblicana, un “circuito costituzionale-ordinamentale” costruito su due funzioni, il controllo e la giurisdizione. 27 Entrambe le funzioni manifestano il ruolo speciale assolto da Organo terzo al servizio della Repubblica e deputato a garantire il rispetto dell'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva. 22 Dentro questo anello ordinamentale unitario, l’azione di responsabilità promossa dal Pubblico Ministero contabile accerta l’osservanza agenti pubblici intesi in senso lato - – da parte degli dei canoni di correttezza sanciti nell’art. 97 della Costituzione e interviene come rimedio in funzione di contrasto repressivo, quindi collocato sul punto esterno del perimetro. L’azione di responsabilità amministrativa svolge il precipuo compito di sanzionare (in via risarcitoria e talvolta anche sanzionatoria in senso stretto) condotte individuali dannose. Nel contempo, l’azione reimmette nel Sistema prevenzione dissuasiva, atteso che le condanne valgono anche ulteriori impulsi di eventualmente pronunciate come ammonimento indirizzato agli agenti pubblici e volto a scongiurare il ripetersi delle violazioni, così potendo reinnestare e favorire funzionamenti più virtuosi dell’intero circuito. E’ stato acutamente osservato 23 che “…non è compito della Corte dei Conti andare a scoprire singoli episodi di corruzione, svolgere il ruolo di poliziotto della corruzione in concorrenza e in antagonismo con i magistrati penali che hanno il compito specifico di perseguire singoli episodi di corruzione, quando scoperti”. Il compito della funzione terza e neutrale prevista in Costituzione, piuttosto, è quello “…di mettere ordine nel sistema della spesa, di assicurare il controllo sull’equilibrio tra entrate e uscite e sul modo con cui le entrate, le risorse pubbliche vengono utilizzate da chi maneggia il denaro pubblico, qualunque sia il suo berretto (pubblico o privato)”. L’osservazione ha certamente il pregio di focalizzare l’attenzione sul fatto che “…la maladministration è un qualcosa che lambisce pericolosamente la corruzione ed è il terreno di base su cui si innestano gli episodi specifici di essa” , nonché valorizza ancor più il fatto che la legge n. 190/2012, in linea con elaborazioni 22 Nell’audizione al Parlamento della Corte dei conti sul DDL anticorruzione svoltasi il 27 luglio 2010 viene ricordato che nel 2009, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Presidente Lazzaro evidenziava come “il primo effetto di ogni attività di controllo della Corte è, e deve essere, l’assicurare trasparenza e chiarezza dell’azione della Pubblica Amministrazione”. E ciò al fine di evitare quel “cono d’ombra entro il quale trovano spazio i fatti di corruzione e concussione che determinano l’intervento del giudice penale e che genera, come effetto non voluto, la creazione di un clima di sospetto, una nebbia mefitica che sembra tutto avvolgere e genera sfiducia da parte dei cittadini onesti”. 23 Flick G.M. - Politica e amministrazione della spesa pubblica : controlli, trasparenza e lotta alla corruzione Relazione di Sintesi al 59° Convegno di Studi Amministrativi, Varenna, 20 settembre 2013. 28 sopranazionali, abbia inteso occuparsi del fenomeno movendo da una delimitazione concettuale della corruzione più ampia di quella penalistica in senso stretto. Ciò naturalmente non trascura, esclude o nega l’autonomo rilievo che assume la funzione di contrasto realizzata dalla giurisdizione di responsabilità, chiamata dall’Ordinamento giuridico a presidiare in maniera incisiva la tutela di beni e valori quando gli stessi vengano in concreto aggrediti ed ingiustamente lesi o depauperati da condotte individuali illecite e trasgressive di obblighi di servizio. 8. Prospettive in tema di incidenza dei deficit organizzativi E’ noto che i disfunzionamenti “interni” segnalanti l’esistenza di anomalie operanti sul piano dell’organizzazione amministrativa hanno dato luogo all’elaborazione di una figura di responsabilità patrimoniale che è stata denominata “danno da disservizio”. Per una corretta ricostruzione di questa particolare tipologia di danno erariale e di responsabilità va osservato che : si tratta di figura delineata in base ad una costruzione concettuale di origine esclusivamente pretoria; nella maggior parte dei casi trattati, il giudice contabile ha preso in esame prospettazioni attoree riguardanti lesioni patrimoniali scaturenti da fatti illeciti penalmente rilevanti, spesso configurate in aggiunta a poste risarcitorie per cd. “danno all’immagine” la locuzione “disservizio”, che a tutta prima farebbe immaginare un’acclarata ed imputabile colpevolezza di tipo organizzativo, in realtà è stata dalla giurisprudenza riferita unicamente alle conseguenze derivate dalla condotta dell’agente danneggiatore, piuttosto che agli assetti organizzativi in cui è maturata la condotta lesiva. In altre parole, il nocumento è stato ritenuto concretizzatosi in uno spreco di risorse causato dal comportamento illecito del dipendente oppure da prestazioni lavorative devianti, per quantità o qualità, rispetto ai fini istituzionali perseguiti dell’amministrazione di appartenenza nella totalità dei casi esaminati, ogniqualvolta si è pervenuti a condanna, la quantificazione del nocumento è avvenuta alla stregua di un giudizio di liquidazione di tipo equitativo (ex art. 1226 c.c.), avendo il giudice ritenuto sempre impossibile o comunque difficoltoso il raggiungimento di prova certa sul quantum. 29 Il panorama giurisprudenziale riferibile al danno da disservizio, in quanto ampio, non rende praticabile in questa sede una descrizione minuziosa del paradigma di responsabilità ipotizzato al riguardo, se non per direttrici di massima. 24 La costruzione della figura, in generale, muove essenzialmente dal principio che il disservizio indica un servizio esistente solo formalmente, quale servizio apparente e “desostanziato delle sue caratteristiche essenziali di pubblica utilità” ovvero “privo dei necessari requisiti essenziali e, quindi, scadente”. Il fenomeno è stato ragguagliato agli schemi giusprivatistici dell' aliud pro alio, escludendosi la possibilità di riferire all'Amministrazione l'esercizio “egoistico di pubbliche funzioni”, con conseguente rottura del rapporto sinallagmatico per ciò che attiene alla retribuzione corrisposta al dipendente infedele, allorquando la potestà esercitata si sia piegata “a fini diversi e, come nel caso della corruzione propria, contrari a quelle ai quali la potestà stessa è funzionalizzata”. Un siffatto, anomalo esercizio di funzione amministrativa si è ritenuto finisca per perseguire non più gli interessi generali dell'Amministrazione, ma quelli privati, particolari e propri del soggetto che ha agito, così che l'attività realizzata dal medesimo può dirsi appartenere a quest'ultimo e non all’Amministrazione, che tuttavia ne ha sopportato i costi, sia con riferimento allo stipendio pagato al dipendente infedele, sia con riferimento ai mezzi ed ai beni utilizzati nella resa del servizio pubblico, sia infine avuto riguardo alla retribuzione di chi, incolpevole delle reali finalità perseguite e degli effettivi interessi soddisfatti, abbia collaborato con l’agente infedele, con dispendio di energie e di risorse. Le fattispecie vagliate in sede giudiziale hanno riguardato casi di “disservizio da illecito esercizio di pubbliche funzioni”, o di “disservizio da mancata resa del servizio” o di “disservizio da mancata resa della prestazione dovuta” o di “uso distorto delle pubbliche funzioni, esercitate per scopi personali ed illeciti, con grave allontanamento dalle finalità istituzionali, e del conseguente grave dispendio di tempo e risorse” da dedicare all’espletamento dei compiti d’ufficio, con maggiore utilità per l’amministrazione. 24 In tema di danno da disservizio si vedano, tra molte altre : Corte dei conti, Sez. I centrale, sent. n. 331 del 2000, sent. n. 2 del 2006, sent. 126 del 2006, sent. n. 149 del 2006, sent. n. 263 del 2008; sentt. n. 76, 187, 253, 390, 406, 641 del 2014; Sez. II centrale, sent. n. 125 del 2000; n. 134 del 2000; n. 338 del 2002, sentt. nn. 5, 7, 38 del 2014; Sez. III centrale, sent. n. 25 del 2008, sent. n. 241 del 2013, sentt. n. 95, 116, 169, 201, 203, 255 del 2014; Sez. Umbria, sent. n. 152 del 1996, sent. n. 1 del 1997, sent. n. 252 del 1998, sent. n. 501 del 1998, sent. n. 831 del 1998, sent. n. 582 del 1999, sent. n. 27 del 2000, sent. n. 424 del 2000, sent. n. 371 del 2004, sent. n. 511 del 2001; Sez. Molise, sent. n. 29 del 2000; Sez. Veneto sent. n. 238 del 2002, Sez. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 113 del 2006; Sez. Piemonte, sent. n. 7 del 2013; Sez. Lombardia, sent. n. 120 del 2013; Sez. Emilia, sent. n. 210 del 2012; Sez. Puglia, sent. n. 952 del 2013. 30 E’ stato affermato che nelle organizzazioni pubbliche, caratterizzate da investimenti e costi di gestione giustificati dalle attese di utilità dei previsti corrispondenti benefici, il mancato raggiungimento delle utilità rapportabili alla quantità di risorse investite si traduce “in maggiori costi dovuti a spreco di risorse economiche o nella mancata utilità ritraibile dalle somme spese, a ragione della disorganizzazione del servizio”. In definitiva e in sostanza, tratto comune ed unificante delle varie situazioni di lesione patrimoniale da disservizio è stato giudizialmente individuato in un dannoso effetto causato alla regolarità di organizzazione e di svolgimento dell'attività amministrativa di una Pubblica Amministrazione - cui il dipendente e l'amministratore era tenuto in ragione del proprio rapporto di servizio, di ufficio o di lavoro - con minore produttività dei fattori economici e produttivi attinti dal Bilancio della medesima Amministrazione. Il decremento o scadimento della produttività è stato ravvisato sia nel mancato conseguimento della attesa legalità dell'azione e dell'attività pubblica, sia nella inefficacia o inefficienza di tale azione ed attività. Il nocumento è stato colto, quindi, nel mancato conseguimento della legalità, della efficienza, della efficacia, della economicità e della produttività dell'azione e della attività della Pubblica Amministrazione, causato dall'amministratore o dal dipendente pubblico - a ragione della disorganizzazione del servizio - con una condotta commissiva o omissiva connotata da dolo o da colpa grave. Al cospetto della surriferita costruzione giurisprudenziale va osservato, sempre in linea di massima e inevitabilmente prescindendo dalle singole fattispecie sottoposte al vaglio giudiziale, che il disfunzionamento preso in considerazione ha sempre assunto le caratteristiche di un “effetto” provocato dalla condotta dell’agente responsabile, più che quelle di un’accertata difettosità eziologicamente operante a monte del modello strutturale-organizzativo dentro il quale ha trovato esplicazione la condotta lesiva, anche in termini di normale e regolare funzionamento di meccanismi e cautele “di controllo” o “di contrasto” approntate ovvero efficacemente approntabili nella struttura organizzata. Nei casi riconducibili a fattispecie aventi un contestuale ed acclarato rilievo penalistico, lo squilibrio sinallagmatico tra retribuzioni e prestazioni lavorative (in parte non corrisposte ovvero corrisposte nel perseguimento di fini contrari ai doveri di ufficio) è risultato evidente e provato. In altri termini, in ragione della corposità dell'attività illecita posta in essere dall'agente infedele, la mancata realizzazione dei 31 risultati che, in ragione delle risorse umane e strumentali impiegate, l'Amministrazione si attendeva ragionevolmente di conseguire dall'attività del responsabile, ha più che palesemente integrato un conseguente spreco di risorse finanziarie pubbliche. Qualche perplessità potrebbero, invece, destare quei casi in cui, ferma restando l’esistenza di nocumento patrimoniale direttamente provocato dalla condotta del responsabile, ad esso è stata aggiunta una posta di danno ulteriore, individuato in un generico effetto di “disorganizzazione” non sempre adeguatamente sorretto da elementi di prova certa addotti in causa. Si è già avuto modo di segnalare, peraltro, che l’elaborazione giurisprudenziale della figura non è sinora pervenuta ad identificare parametri oggettivi per procedere a minuziosa valutazione del cd. “disservizio”. E’ assente, cioè, la costruzione di criteri capaci di misurare, attraverso appositi e calibrati indicatori, l’avvenuto peggioramento degli standard prestazionali di servizio amministrativo da rendere agli utenti. Tutte le sentenze dedicate al tema, più indistintamente, hanno affermato trattarsi di un pregiudizio economico di difficile valutazione monetaria, che non si presta per sua natura ad una semplice operazione matematica, perché il danno é “diffuso”, in quanto inerisce non solo alla non giustificata retribuzione, indennità o analoghi emolumenti percepiti dal colpevole, ma a tutti i tipi di spese generali di gestione dello specifico Servizio nel momento storico dato. Aggiungasi che altre pronunce, pur dichiarando di volersi discostare dal descritto modello paradigmatico, nel fare riferimento a prestazioni lavorative esplicate nell’ambito di un servizio pubblico essenziale (in fattispecie: servizio istruzione e prestazioni lavorative di insegnante ripetutamente assentatosi per motivi di salute) e, dunque, inserite in un particolare modello organizzativo dell’amministrazione pubblica (modello, tra l’altro, ben misurabile, almeno secondo il criterio dei cd. servizi minimi essenziali), parimenti hanno ipotizzato la configurazione di un’autonoma voce di responsabilità patrimoniale a carico del dipendente e l’hanno qualificata come genericamente derivante da “minore qualità del servizio prestato”. 25 Anche in questo caso, pertanto, non risulta adoperato alcun criterio oggettivo di misurazione dell’asserito scadimento qualitativo ed il computo della posta di danno è avvenuto unicamente per via equitativa ed in maniera forfetaria. 25 V. Corte dei conti, Sez. Lombardia, sent. n. 209 del 21 marzo 2008. 32 Nella totalità delle decisioni, inoltre, allo scopo di valutare correttamente l’imputazione soggettiva degli eventuali disservizi non risulta enunciato o affrontato il tema della distinzione tra atti di macro-organizzazione ed atti di microorganizzazione, tema invece ben scandagliato, sia pure ad altri fini, in altre sedi giudiziali Va tenuto presente, in proposito, che nell’ambito delle pubbliche amministrazioni e sulla base della molteplicità di fonti normative regolatrici (talune di derivazione pattizia, almeno per il personale dipendente cd. privatizzato) è possibile distinguere tra atti che procedono a fissazione delle linee e dei principi fondamentali delle organizzazioni degli uffici (aventi natura provvedimentale ed incidenti sul profilo esterno del servizio pubblico) ed atti assunti con i poteri e le capacità del datore di lavoro privato, anche se con effetti riflessi sul piano della organizzazione. 26 Quanto alle posizioni dottrinarie manifestatesi a proposito del danno da disservizio, vi è da dire che appaiono essere differenziate e non coincidenti. Alcune tesi, pur ritenendo “impeccabile” l’elaborazione pretoria dell’ipotesi in discorso, ammettono un’oggettiva difficoltà di inquadramento sistematico della figura di responsabilità, nonché il rischio incombente di fare confusione con le poste di perdita patrimoniale in primis causalmente e direttamente provocate dalla condotta attiva od omissiva dell’agente responsabile. 27 Altre tesi, preferiscono procedere lungo i binari di una lettura quasi sociologica, affermando che il caos organizzativo riversato sui cittadini-utenti del servizio troverebbe esclusiva scaturigine nella “distorta visione delle funzioni dirigenziali” e che l’unica matrice di siffatto danno sarebbe rinvenibile in capo a coloro (dirigenza) che hanno “in mano le leve organizzative”. 28 Si è già fatto diffuso cenno (sub. 6) al meccanismo in base al quale l’attivazione e il regolare funzionamento dei modelli di organizzazione (compliance program) serva al giudice penale, nel giudicare sulla responsabilità amministrativa da reato, per ascrivere od escludere una responsabilità risalente a carico dell’ente collettivo. All’opposto, nel caso della responsabilità contabile e per come comunemente operano le prospettazioni attoree ed il giudizio valutativo in sede contabile, l’assenza oppure l’errato ed inadeguato funzionamento di assetti organizzativi interni (segnatamente riferibili all’attivazione e funzionamento degli organi di controllo, all’esercizio di poteri che fungano da efficace contrasto alla commissione di fatti 26 Sul punto si veda Cass. SS. UU. ord. n. 15904 del 13 luglio 2006, nonché Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 3065 del 19 giugno 2008. 27 Tomassini E., Il danno da disservizio, in Rivista della Corte dei conti, n. 3/2005, pp. 334 ss. 28 Ieva L., La responsabilità erariale del dirigente per disorganizzazione amministrativa, in Rivista della Corte dei conti, n. 3/2006, pp. 334 ss. 33 illeciti, all’adozione di modelli prevenzionali) non assumono i caratteri di elementi fattuali decisivi per una eventuale imputazione soggettiva della responsabilità nei confronti dei titolari dei poteri organizzativi medesimi (semmai a titolo di concorso nella seriazione causale del danno), ma normalmente sono visti e vengono fatti operare come scriminanti o attenuanti della responsabilità individuale, sotto il profilo soggettivo (cioè ai fini della verifica del non attingimento alla gravità di colpa) oppure sul piano della quantificazione del nocumento risarcibile addossabile all’agente responsabile (attraverso la cd. riduzione dell’addebito). Emblematico, in tal senso, è quanto desumibile dalla una decisione che, a fronte dell’avvenuta chiamata in giudizio di dirigente responsabile di una società privata, ritenendolo soggetto “non dotato di strumenti di cogente intervento sul modulo organizzativo, tipici della struttura delle pubbliche amministrazioni” lo ha assolto dalla domanda per insussistenza di gravità di colpa. In definitiva, la logica seguita in casi latamente assimilabili a quelli dei quali ai sensi del decreto n. 231/2001 si occupano il PM ed il Giudice penale e che sono annoverabili tra fattispecie di cd. “colpa in organizzazione”, per il momento, non sembra condurre all’individuazione di un “disordine organizzativo” quale componente costitutiva della responsabilità apicale, ma all’apprezzamento del disordine medesimo come fattore esterno alla condotta oggetto del vaglio giudiziale, capace quindi di attenuare o addirittura di escludere l’imputabilità soggettiva del riscontrato nocumento erariale. Con il che tornano in risalto le problematiche concernenti l’avvenuta adozione di modelli di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche ed il rilievo giuridico che il funzionamento degli stessi assume per il configurarsi di una responsabilità organizzativa-aziendale. Notoriamente, nelle amministrazioni pubbliche in senso stretto, i modelli di organizzazione ricevono una disciplina fondamentalmente dettata per legge (secondo la riserva relativa di cui all’art. 97. Cost.), nonché una disciplina di dettaglio rimessa ad atti di organizzazione che, assunti secondo i rispettivi ordinamenti, se non strettamente attinenti ai rapporti di lavoro (nel qual caso si parla di atti paritetici) hanno le caratteristiche degli atti amministrativi, al pari degli atti di indirizzo politicoamministrativo (cfr. art. 2, comma 1, decreto legislativo n. 165/2001). Si tratta di uno schema basato sulla distinzione tra atti di macro-organizzazione ed atti di micro-organizzazione che, restringendo la riserva di legge di cui all’art. 97, accosta tra di loro, pur senza assimilarle, l’area organizzativa del “pubblico” e del 34 “privato”, come aveva lucidamente precisato la Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 309 del 1997. Il giudice delle leggi, con detta pronuncia e nel respingere per la seconda volta, dopo la sentenza 313 del 1996, il dubbio che la trasformazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti risultasse lesiva dell'art. 97 Cost. per asserita incompatibilità tra il pubblico impiego, in quanto vòlto al perseguimento di finalità d'interesse generale, ed il modulo strutturale del lavoro subordinato privato, improntato a logiche di mercato, aveva infatti legittimato quello che è stato autorevolmente definito il “passaggio dalla logica della legittimità a quella dell’efficienza”, osservando che il rapporto di pubblico impiego “privatizzato” sempre più si va configurando nella sua propria essenza di erogazione di energie lavorative, che, assunta tra le diverse componenti necessarie dell'organizzazione della pubblica amministrazione, deve essere funzionalizzata al raggiungimento delle finalità istituzionali di questa. Dal canto suo, il giudice della nomofilachia, come già detto, ha precisato che in virtù della previsione normativa di cui all’art. 1 della legge n. 241/1990 i criteri di efficienza ed efficacia, che costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall'art. 97, primo comma, Cost., hanno acquistato "dignità normativa" ed hanno assunto la rilevanza di canoni organizzativi operanti sul piano della legittimità (non della mera opportunità) dell'azione amministrativa. Ciò comporta l’esperibilità di un sindacato giudiziale che investa anche le scelte discrezionali in materia organizzativa, ogniqualvolta le stesse manifestino profili di irragionevolezza oppure, in casi limite, neppure esistano in quanto tali, perché nello specifico della fattispecie si constata essere inesistente una discrezionalità in senso proprio ed una facoltà di scelta elettiva fra più comportamenti tutti di pari valore giuridico, oppure tra più opzioni organizzatorie e procedimentali tutte astrattamente consentite dalla legge. 29 Orbene, in questi casi, le difettosità o le inadeguatezze del modello organizzativo, al pari di quanto accade secondo le statuizioni di cui al decreto legislativo n. 231/2001, dovrebbero rilevare per l’imputazione di una responsabilità e di una correlata colpa “in organizzazione” . D’altro canto, sarebbe inspiegabile e resterebbe inspiegato cosiddetta esclusività e specialità della giurisdizione contabile - nonostante la - che eclatanti inadeguatezze organizzative possano rappresentare, nella sede penale, occasione di addebito per responsabilità amministrativa da reato a carico di una società privata 29 V. Cass. SS.UU. n. 74024 del 28.3.2006. 35 assoggettabile a giurisdizione contabile (con conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie o interdittive) e, di contro e all’opposto, nella sede contabile, le stesse inadeguatezze non integrino alcun rilievo per il configurarsi di una responsabilità per danno erariale a carico di amministratori o dipendenti della medesima società privata, qualora la stessa sia funzionalmente in rapporto con una pubblica amministrazione e gli amministratori e dipendenti abbiano causato un nocumento erariale. In altre parole, si verserebbe al cospetto di due contrapposte tipologie di “disorganizzazione”, diversamente apprezzate in sede giudiziale: quella privatistica (ex decreto n. 231/2007), rimessa alla cd. autonormazione, ma molto più rigorosa e suscettiva di dare corso ad imputazioni di responsabilità penali anche nei confronti dei vertici aziendali quella pubblicistica, affidata a normative eterodettate e presidiate persino da canoni costituzionali (art. 97 Cost.) e, ciononostante, molto meno cogente, perché idonea soltanto a fungere da scriminante oppure da attenuante delle responsabilità erariali soggettive, come tale capace di condurre a rideterminazioni in diminuzione della colpevolezza e dell’addebito La differenza tipologica potrebbe indurre una dequotazione dell’idea di un Giudice, come quello contabile, che in quanto professionalmente meglio attrezzato nel valutare e misurare efficienza ed efficacia degli assetti organizzativi e procedimentali delle pubbliche amministrazioni, meglio sa giudicare sul detrimento che la disorganizzazione - quando presente dentro un apparato funzionalmente dedito alla resa di un servizio pubblico, in caso di commissione di illeciti e se non adeguatamente rimossa - di per sé può causare agli interessi della collettività ed alle pubbliche finanze. Un’ultima riflessione può essere maturata in proposito, considerando la struttura penalistica dei fatti corruttivi (bilaterale e chiusa), osservando che l’agente pubblico non necessariamente si inserisce direttamente nella stessa e, infine, rammentando la pacifica differenza tra i fenomeni del concorso e della connivenza. 30 Il concorso dell'extraneus è pienamente configurabile nei delitti di corruzione, a tipica struttura bilaterale, in base agli ordinari criteri di imputazione della responsabilità concorsuale di cui all'art. 110 cod. pen.. Essa, però, implica uno specifico grado di coinvolgimento nella fase dell'ideazione (sotto forma di determinazione o suggerimento fornito all'uno o all'altro 30 In tema vedi anche quanto in precedenza esposto al punto sub. 3. 36 dei concorrenti necessari) ovvero della preparazione (si pensi alla classica figura dell'intermediario) ovvero della realizzazione di una delle condotte tipiche (stipula del pactum scelerìs tra corrotto e corruttore e ricezione di denaro o altre utilità) od ancora della successiva attuazione concreta dell'accordo. 31 La condotta esterna al patto, per assumere rilievo giuridico incriminabile deve rivelarsi tale da avere contribuito alla stipula dell'accordo criminoso finalizzato al baratto dell'attività funzionale svolta dal pubblico agente ovvero a favorire la realizzazione dell'accordo medesimo, deve cioè assumere le connotazioni della cd. incidenza attiva. Di contro, la mera consapevolezza dell'esistenza del patto criminoso, quand'anche in forza della stessa l'estraneo abbia tenuto comportamenti genericamente connessi all’accordo e che non si pongano in un rapporto strettamente funzionale rispetto alla realizzazione di una delle condotte tipiche del reato, può dare luogo unicamente alla cd. “connivenza non punibile”, il cui connotato essenziale è rappresentato da un atteggiamento meramente passivo rispetto al fatto tipico (Cass. Pen. Sez. 6, n. 1108 del 1996 e n. 579 del 1993). Roma, 3 luglio 2014 31 V. Cass. Pen. - Sez. 6 - sentenza 13450/20134. 37
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