antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Y26EM FI antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Percorsi Lavoro degli stranieri Colf e badanti: aspetti economici e previdenziali D. Morena Massaini ........................................................................................ 1685 Approfondimenti Bonus lavoratori: nuove modalita` per il recupero del credito Maria Rosa Gheido e Alfredo Casotti .................................................................. 1691 Tempo determinato e apprendistato: indirizzi applicativi Giuseppe Buscema ........................................................................................... 1697 Somministrazione a termine tra novita` e dubbi interpretativi Mauro Sferrazza e Francesco Gramuglia .............................................................. 1701 Quadri e impiegati con funzioni direttive e orario di lavoro Stefano Malandrini .......................................................................................... 1709 Sgravi contributivi e incentivi per lavoro autonomo e imprese Alberto Giordano ............................................................................................. 1715 Inserto La giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di lavoro a cura di Anna Fenoglio e Francesca Savino Interpelli Aziende straniere - Autorizzazione preventiva per l’assunzione di italiani all’estero Min. lav., 26 giugno 2014, n. 13 con nota di M.R. Gheido e A. Casotti ................................................................. 1719 Edilizia - Indennita` di disoccupazione nelle aree in stato di grave crisi Min. lav., 26 giugno 2014, n. 14 con nota di M.R. Gheido ................................................................................... 1721 Aziende sanitarie - Enpam e certificazione della regolarita` contributiva Min. lav., 26 giugno 2014, n. 15 con nota di G. Rocco ........................................................................................ 1723 Presunzione di collaborazione - Fisioterapisti titolari di partita Iva Min. lav., 26 giugno 2014, n. 16 con nota di A. Casotti ...................................................................................... 1726 Nei numeri di agosto Jobs Act di Emiliana Dal Bon n. 31 2 agosto 2014 n. 32/33 9 agosto 2014 Tempo determinato Acausalita` e limiti Somministrazione Aspetti operativi DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Sommario Rassegna interpelli 1683 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza Rassegna della Cassazione Violenza sessuale e licenziamento per giusta causa Cass. sez. lav. n. 16098 del 26 giugno 2013 ........................................................... 1728 Tempestivita` del licenziamento Cass. sez. lav. n. 16227 del 27 giugno 2013 ........................................................... 1728 Tentativo di conciliazione e interruzione della prescrizione Cass. sez. lav. n. 16452 del 18 luglio 2013 ............................................................. Sommario SETTIMANALE DI AMMINISTRAZIONE, GESTIONE DEL PERSONALE, RELAZIONI INDUSTRIALI E CONSULENZA DEL LAVORO 1684 EDITRICE Wolters Kluwer Italia S.r.l. Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) INDIRIZZO INTERNET: Compresa nel prezzo dell’abbonamento l’estensione on line della Rivista, consultabile all’indirizzo www.edicolaprofessionale.com DIRETTORE RESPONSABILE Giulietta Lemmi COMITATO SCIENTIFICO Alfredo Casotti, Maria Rosa Gheido, Eufranio Massi, Pierluigi Rausei, Francesco Rotondi, Angelo Sica, Gianluca Spolverato REDAZIONE Antonella Carrara, Massimo Mutti, Laura Roveda REALIZZAZIONE GRAFICA a cura di: Ipsoa - Gruppo Wolters Kluwer FOTOCOMPOSIZIONE Sinergie Grafiche Srl Viale Italia, 12 - 20094 Corsico (MI) Tel. 02/57789422 STAMPA GECA S.r.l. – Via Monferrato, 54 20098 San Giuliano Milanese (MI) Tel. 02/99952 PUBBLICITA`: db Consulting srl Event & Advertising via Leopoldo Gasparotto 168 - 21100 Varese tel. 0332/282160 - fax 0332/282483 e-mail: [email protected] www.db-consult.it DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 1729 REDAZIONE Per informazioni in merito a contributi, articoli ed argomenti trattati AMMINISTRAZIONE Per informazioni su gestione abbonamenti, numeri arretrati, cambi d’indirizzo, ecc. scrivere o telefonare a: scrivere o telefonare a: IPSOA Redazione Casella Postale 12055 - 20120 Milano telefono 02.82476.550 telefax 02.82476.436 Autorizzazione Tribunale di Milano n. 578 del 24 dicembre 1983 Tariffa R.O.C.: Poste Italiane Spa – Spedizione in abbonamento Postate – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27 febbraio 2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano Iscritta nel Registro Nazionale della Stampa con il n. 3353 vol. 34 foglio 417 in data 31 luglio 1991 Iscrizione al R.O.C. n. 1702 ABBONAMENTI Gli abbonamenti hanno durata annuale, solare: gennaio-dicembre; rolling: 12 mesi dalla data di sottoscrizione, e si intendono rinnovati, in assenza di disdetta da comunicarsi entro 60 gg. prima della data di scadenza a mezzo raccomandata A.R. da inviare a Wolters Kluwer Italia S.r.l. 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I Suoi recapiti postali e il Suo indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi dell’art. 130, comma 4, del D.Lgs. n. 196/2003, anche a fini di vendita diretta di prodotti o servizi analoghi a quelli oggetto della presente vendita. Lei potra` in ogni momento esercitare i diritti di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 196/2003, fra cui il diritto di accedere ai Suoi dati e ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di opporsi al trattamento dei Suoi dati ai fini di invio di materiale pubblicitario, vendita diretta e comunicazioni commerciali e di richiedere l’elenco aggiornato dei responsabili del trattamento, mediante comunicazione scritta da inviarsi a: Wolters Kluwer Italia S.r.l. - PRIVACY - Centro Direzionale Milanofiori Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), o inviando un Fax al numero: 02.82476.403. antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Lavoratori stranieri Colf e badanti: aspetti economici e previdenziali «L’Italia e` tra i tre piu` grandi mercati di lavoro domestico in Europa, ed e` costituito da lavoratori immigrati in prevalenza, (il 77,3% del totale) rispetto a quelli italiani (22,7%); donne, l’82,4% del totale, rispetto agli uomini (17,6%); per il 92,8% dei lavoratori il lavoro domestico e` l’attivita` principale. Un mercato che crescera` ancora di piu` nei prossimi anni: se nel 2001 erano 1.083.000 i lavoratori domestici, gia` nel 2013 l’offerta ne conta 1.655.000, pari a +53%, con una domanda familiare che, pero`, ne richiede 2.600.000. E, per il 2030, l’offerta raggiungerebbe quota 2.151,000, con un +98% totale (Dati Censis)» (1). L’elencazione di questi dati fa da sfondo al convegno «Il lavoro domestico una realta` sociale ed economica Fenomeno di welfare familiare autogestito: problemi, soluzioni e sviluppo», organizzato da Assindatcolf con il patrocinio della Camera dei Deputati (tenutosi lo scorso novembre 2013 e gia` richiamato nel precedente contributo di questo percorso) e costituisce un buon punto di partenza per affrontare anche l’aspetto economico del fenomeno. Come anticipato, infatti, la gestione del personale domestico si presenta come particolarmente onerosa per le famiglie. Oneroso per quanto attiene la comprensione e la corretta applicazione del contratto, oneroso anche per il costo che per una famiglia - datore di lavoro - rappresenta il collaboratore alle dipendenze. Collaboratore del quale, spesso, non si puo` fare a meno neppure di notte e/o durante il periodo di vacanze laddove l’impegno assunto nei confronti di persone anziane, disabili o comunque particolarmente bisognose non viene mai meno. Impegno economico costante al quale si aggiungono anche i costi per la sostituzione del personale assente e i costi per affidarsi a terzi nella gestione amministrativa del rapporto. Il fenomeno diventa vieppiu` rilevante e coinvolgente se i dati preconizzati dal Censis si riveleranno esatti laddove si consideri, ancora una volta, che i datori di lavoro in questione sono le famiglie. L’autogestione per la famiglia diventa sempre piu` gravosa. E proprio in occasione del Convegno il vice Presidente di Assindatcolf segnala «... una domanda concreta di aiuto che le famiglie datrici di lavoro incessantemente ci segnalano: la gravosita` dell’assistenza ai familiari non autosufficienti. Sia per il tempo che per la spesa che i singoli nuclei debbono sostenere». E a questo riguardo assumono una sfumatura importante le parole del prof. Luigi Gol- zio (Unimore) che ricorda proprio come «la regolamentazione del lavoro domestico equipara la famiglia all’impresa, entrambi datori di lavoro, che stipulano il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con il lavoratore e sostengono il costo del lavoro con le stesse componenti (paga base + contributi). La discriminazione consiste nel non permettere al datore la detrazione del costo del lavoro domestico dal proprio reddito, ad eccezione del caso, limitato, dell’assistenza per anziani non autosufficienti e della deduzione parziale dei contributi previdenziali. Ma e` insita anche nel mancato riconoscimento da parte dello Stato della convenienza dell’assistenza sociale e sanitaria gestita dalla famiglia rispetto a quella gestita dalle strutture pubbliche». Da qui e` partita la proposta di Assindatcolf di intervenire sull’attuale sistema di deduzioni parziali dei contributi Inps e di detrazione del costo per gli anziani non autosufficienti: nuove regole utilizzabili anche come leva (efficace) contro il lavoro sommerso (fenomeno non trascurabile, dalle dimensioni importanti, ma di cui non si trattera` in questo contributo). Nota: Percorsi D. Morena Massaini - Consulente del lavoro (1) Comunicato stampa Assindatcolf del 28 novembre 2013. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 1685 Percorsi antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1686 La proposta risiede nel rendere interamente deducibile il costo dei contributi previdenziali versati per le badanti. «Se si riconosce valenza sociale a tale fenomeno, non si puo` negare il dovere dello Stato di sostenere i soggetti che si fanno carico dei costi economici e sociali di tale forma di sostentamento, cioe` le famiglie. Assindatcolf propone, pertanto, di rendere totalmente deducibili dal reddito del datore di lavoro i contributi previdenziali versati, senza previsione di alcun massimale, nonche´ dell’intero costo del lavoro quanto meno per i rapporti che coinvolgono gli addetti all’assistenza (livelli di inquadramento contrattuale BS, CS, DS), tanto piu` osservando che tali forme di reddito, essendo il datore di lavoro nel 99% dei casi persona fisica, deriva in maggior parte da lavoro o da pensione e quindi gia` tassato», cosı` Alessandro Lupi, Responsabile Ufficio Studi Assindatcolf. La questione posta sul tavolo da Assindatcolf non e` di poco conto e non va trascurata se si pensa ancora una volta ai numeri richiamati in apertura. Da qui l’opportunita` di una summa delle principali norme che hanno un importante impatto economico sulla gestione del personale domestico per cercare di tracciare un quadro piu` completo dei costi che gravano sulle famiglie. Malattia Per quanto concerne le norme che regolano l’assenza per malattia, l’art. 26 del Ccnl prevede precise norme per il comporto (periodo durante il quale il lavoratore gode della tutela del posto di lavoro): 1) per anzianita` fino a 6 me- si, superato il periodo di prova: 10 giorni di calendario; 2) per anzianita` da piu` di 6 mesi a 2 anni: 45 giorni di calendario; 3) per anzianita` oltre i 2 anni: 180 giorni di calendario. I periodi relativi alla conservazione del posto di lavoro si calcolano nell’anno solare, intendendosi per tale il periodo di 365 giorni decorrenti dall’evento. Cio` premesso, importanti sono le regole che presiedono il trattamento economico spettante al lavoratore in malattia: decorre, infatti, la retribuzione globale di fatto per un massimo di 8, 10, 15 giorni complessivi nell’anno per le anzianita` di cui ai punti 1, 2, 3 che precedono, nella seguente misura: fino al 3º giorno consecutivo, il 50% della retribuzione globale di fatto; dal 4º giorno in poi, il 100% della retribuzione globale di fatto. Da sottolineare che l’onere economico della malattia e` a carico del datore di lavoro; l’Inps non eroga alcuna indennita`. Inoltre, l’aggiunta della quota convenzionale sostitutiva di vitto e alloggio, per il personale che ne usufruisca normalmente, e` dovuta solo nel caso in cui il lavoratore ammalato non sia degente in ospedale o presso il domicilio del datore di lavoro. Da considerare, infine, che la tredicesima mensilita` matura anche durante le assenze per malattia nei limiti del periodo di conservazione del posto e per la parte non liquidata dagli enti preposti. Maternita` In caso di assenza dal lavoro per maternita`, il Ccnl (art. 24) rimanda alla applicazione delle norme di legge; altrettanto vale per l’applicazione DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 delle norme di legge sulla tutela della paternita` nonche´ sulle adozioni e sugli affidamenti preadottivi. Regolato, dunque, secondo il Testo Unico sulla maternita` l’assenza pre e post partum. Interviene nel caso di maternita`, per quanto concerne il trattamento economico, l’Inps che eroga un’indennita` nella misura dell’80% della retribuzione media giornaliera, incluso il rateo di tredicesima mensilita`, del periodo di paga antecedente a quello in cui ha avuto inizio l’astensione. Il datore di lavoro non ha l’onere di integrare il trattamento economico Inps; non sono altresı` previste norme sul congedo facoltativo a favore del genitore. Da evidenziare che la tredicesima mensilita` matura anche durante le assenze per maternita` nei limiti del periodo di conservazione del posto e per la parte non liquidata dagli enti preposti. Si evidenzia, tuttavia, come in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale, le parti sociali si sono riservate di modificare le dichiarazioni a verbale in calce all’art. 24 sulla maternita` con espresso riferimento alla convenzione ILO n. 189/2011 sul lavoro domestico dignitoso. Le citate dichiarazioni riguardano la parificazione delle tutele in ordine all’obbligo di convalida da parte della Direzione territoriale del lavoro delle dimissioni della collaboratrice familiare in maternita`. Infortunio e malattia professionale Il Ccnl (art. 27) disciplina il caso di assenza dal lavoro per infortunio o malattia professionale: spetta al lavoratore, convivente o non convivente, la conservazione del posto per i seguenti periodi: 1) per anzianita` fino a 6 me- si, superato il periodo di prova 10 giorni di calendario; 2) per anzianita` da piu` di 6 mesi a due anni: 45 giorni di calendario; 3) per anzianita` oltre i 2 anni: 180 giorni di calendario. Competono al lavoratore, nel caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale, le prestazioni previste dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, erogate dall’Inail. Per quanto concerne il trattamento economico spettante al lavoratore, egli ha diritto alla retribuzione globale di fatto per i primi 3 giorni di assenza per infortunio o malattia professionale. L’aggiunta della quota convenzionale sostitutiva di vitto e alloggio, per il personale che ne usufruisca normalmente, e` dovuta solo nel caso in cui il lavoratore non sia degente in ospedale o presso il domicilio del datore di lavoro. La tredicesima mensilita`, infine, matura anche durante le assenze per infortunio sul lavoro nei limiti del periodo di conservazione del posto e per la parte non liquidata dagli enti preposti. Trattamento economico Per quanto concerne il trattamento economico, ai sensi dell’art. 33 del Ccnl lavoro domestico la retribuzione del lavoratore e` composta dalle seguenti voci: a) retribuzione minima contrattuale come da tabelle A, B, C, D, E allegate al Ccnl e annualmente rivalutate comprensiva per i livelli D e D super di uno specifico elemento denominato indennita` di funzione; b) eventuali scatti di anzianita`; c) eventuale compenso sostitutivo di vitto e alloggio; d) eventuale superminimo. La retribuzione cosı` stabilita si configura quale retribuzione adeguata in relazione alla quantita` e qualita` della prestazione svolta. L’art. 36 Cost., e` stato affermato in giurisprudenza, e` applicabile anche al lavoro domestico (Cass. civ., sez. lav., 10 febbraio 1989, n. 834). L’art. 35 del Ccnl prevede altresı` che il vitto dovuto al lavoratore deve assicurargli una alimentazione sana e sufficiente; l’ambiente di lavoro non deve essere nocivo all’integrita` fisica e morale dello stesso. Il datore di lavoro deve fornire al lavoratore convivente un alloggio idoneo a salvaguardarne la dignita` e la riservatezza. I valori convenzionali del vitto e dell’alloggio sono fissati nella tabella F allegata al contratto e sono stati rivalutati annualmente anche per il corrente anno 2014. Al lavoratore spetta, inoltre, per ogni biennio di servizio presso lo stesso datore di lavoro, un aumento del 4% sulla retribuzione minima contrattuale. Il medesimo art. 36 del Ccnl prescrive che gli scatti - previsti in un numero massimo di 7 - non sono assorbibili dall’eventuale superminimo. A completamento di quanto sopra, per quanto concerne nello specifico l’anno 2014, si ricorda che in sede di sottoscrizione del Verbale di accordo sottoscritto il 6 febbraio 2014 presso il Ministero del lavoro, la Commissione nazionale per l’aggiornamento retributivo (2) ha determinato i nuovi minimi retributivi e i valori convenzionali del vitto e dell’alloggio applicabili al lavoratore domestico - derivanti dalla variazione del costo della vita, cosı` come prescritto dall’art. 37 del Ccnl Lavoro domestico. L’aggiornamento retributivo segue le variazioni del costo della vita per le famiglie di impiegati ed operai rilevate dall’Istat al 30 novembre di ogni anno: l’aggiornamento si e` basato sul dato Istat rilevato a novembre 2013 (0,6%). Le retribuzioni minime contrattuali ed i valori convenzionali del vitto e dell’alloggio hanno decorrenza dal 1º gennaio di ciascun anno (se non diversamente stabilito dalle Parti) e sono valide fino a dicembre del corrente anno. Pertanto, con decorrenza 1º gennaio 2014 sono state aggiornate le tabelle: A (lavoratori conviventi); B (lavoratori di cui all’art. 15, c. 2); C (lavoratori non conviventi); D (assistenza notturna per autosufficienti e non autosufficienti); F (indennita` - valori giornalieri - per pranzo e/o colazione, cena, alloggio); G (copertura riposi). Le tabelle sono comprensive dei valori convenzionali di vitto e alloggio. Si evidenzia che in sede contrattuale le Parti sociali hanno previsto l’aggiornamento dei minimi retributivi in misura di euro 7,00 con decorrenza dal 1º gennaio 2014, euro 6,00 con decorrenza dal 1º gennaio 2015 ed euro 6,00 con decorrenza dal 1º gennaio 2016 per i lavoratori conviventi inquadrati nel liNota: (2) La Commissione nazionale e` costituita a norma dell’art. 44 del Ccnl Lavoro domestico (del 16 luglio 2013) presso il Ministero del lavoro ed e` composta dai rappresentanti delle Organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle Associazioni dei datori di lavoro stipulanti il Ccnl (rappresentanti delle associazioni di categoria Fidaldo, Domina, Federcolf e delle organizzazioni sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil). Fra i compiti attribuiti alla Commissione vi e` quello appunto di procedere alla revisione dei minimi retributivi e dei i valori convenzionali del vitto e dell’alloggio (cosı` come dispone l’art. 37 del Ccnl Lavoro domestico). DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Percorsi antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1687 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. vello BS della tabella A, ed in misura proporzionale per gli altri livelli/tabelle. L’aggiornamento retributivo di cui all’articolo 37 (aggiornamento in base al dato Istat) viene effettuato sui minimi retributivi comprensivi degli aumenti pattuiti, come da Accordo. Di seguito si riportano, con riferimento ad un lavoratore non convivente, gli importi contrattualmente stabiliti (valori orari) per il 2014: livello A: euro 4,47 livello AS: euro 5,27 livello B: euro 5,59 livello BS: euro 5,93 livello C: euro 6,26 livello CS: euro 6,58 livello D: euro 7,60 livello DS: euro 7,93. Percorsi Trattamento di fine rapporto 1688 Occorre infine tenere presente che il Ccnl - in aderenza a quanto previsto dalla legge, l’art. 39 prevede la corresponsione, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, del trattamento di fine rapporto (Tfr) determinato sull’ammontare delle retribuzioni percepite nell’anno, comprensive del valore convenzionale di vitto e alloggio. E` possibile che i datori di lavoro anticipino, a richiesta del lavoratore e per non piu` di una volta all’anno, il Tfr nella misura massima del 70% di quanto maturato. Il Trf spetta altresı` unitamente all’indennita` di preavviso nel caso di decesso del lavoratore. Le corrispondenti somme sono devolute al coniuge, ai figli o, se vivevano a carico del lavoratore, ai parenti entro il 3º grado e agli affini entro il 2º grado. La ripartizione delle indennita` e del Tfr, se non vi e` accordo fra gli aventi diritto, deve farsi secondo le norme di legge. In mancanza dei superstiti sopra indicati, le indennita` sono attribuite secondo le norme della successione testamentaria e legittima. Contribuzione 2014 L’Inps (circ. n. 23/2014) ha elaborato e diffuso con circolare n. 23 le nuove tabelle valide per il 2014 recanti i valori della contribuzione dovuta all’Istituto. L’Istat ha infatti comunicato, nella misura dell’1,10%, la variazione percentuale verificatasi nell’indice dei prezzi al consumo, per le famiglie degli operai e degli impiegati, tra il periodo gennaio 2012 - dicembre 2012 ed il periodo gennaio 2013 - dicembre 2013. Conseguentemente sono state determinate le nuove fasce di retribuzione su cui calcolare i contributi dovuti per l’anno 2014 per i lavoratori domestici. Al fine di fornire indicazioni utili a chiarire numerosi quesiti in merito al contributo Cuaf, l’Inps ha precisato che il contributo (Cassa unica assegni familiari) e` dovuto per tutti i rapporti di lavoro domestico salvo il caso di rapporto fra coniugi (ammesso soltanto se il datore di lavoro coniuge e` titolare di indennita` di accompagnamento) e rapporto tra parenti o affini entro il terzo grado conviventi, ove riconosciuto ai sensi di legge (art. 1 del D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1403). Restano in vigore gli esoneri previsti dall’art. 120 legge 23 dicembre 2000, n. 388, con decorrenza 1º febbraio 2001, nonche´ gli esoneri istituiti ai sensi dell’art. 1 comma 361 e 362 legge 23 dicembre 2005, n. 266, con decorrenza 1º gennaio 2006 - come indicato nella circolare n. 19 dell’8 febbraio 2006. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Si conferma, pertanto, la minore aliquota contributiva dovuta per l’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) dai datori di lavoro soggetti al contributo Cuaf che, ovviamente, incide sull’aliquota complessiva. Si precisa, inoltre, che, per il rapporto di lavoro a tempo determinato, ai sensi dell’art. 2, comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92 continua ad essere applicato il contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, previsto pari all’1,40% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali (retribuzione convenzionale). Tale contributo non si applica ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti. Dal 1º gennaio 2014, tuttavia, in riferimento alle trasformazioni di contratto da tempo determinato a tempo indeterminato decorrenti dalla predetta data, ai sensi dell’art. 1, comma 135, della legge 27 dicembre 2013 (Legge di stabilita` 2014), non e` piu` previsto il limite delle ultime sei mensilita` per la restituzione al datore di lavoro del contributo addizionale di cui all’articolo 2, comma 30, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero). La restituzione avviene anche nel caso in cui il datore di lavoro riassuma con contratto di lavoro a tempo indeterminato il lavoratore entro sei mesi dalla cessazione del contratto a termine, con una riduzione del rimborso corrispondente ai mesi che intercorrono tra la scadenza e l’assunzione a tempo indeterminato. Per il rimborso del contributo addizionale il datore di lavoro dovra` presentare domanda in via telematica. I contributi dei lavoratori domestici, versati trimestralmente all’Inps a cura del da- antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. tore di lavoro, sono riuniti in due tabelle contributive distinte tra rapporti di lavoro a tempo indeterminato e rapporti a tempo determinato, salvo i casi di lavoratori assunti con contratto a termine in sostituzione di lavoratori assenti (per esempio, in caso di maternita`). Cas.Sa Colf In ottemperanza a quanto stabilito dal Ccnl sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico, stipulato da Fidaldo (costituita da Nuova Collaborazione, da Assindatcolf, da A.D.L.D. e da A.D.L.C.), da Domina, da Filcams-Cgil, da Fisascat-Cisl, da UiltucsUil e da Federcolf e` stata istituita la Cas.Sa.Colf (Cassa sanitaria Colf o cassa malattia colf) che gestisce i trattamenti assistenziali ed assicurativi, integrativi aggiuntivi e/o sostitutivi delle prestazioni sociali pubbliche obbligatorie a favore dei dipendenti collaboratori familiari nonche´ servizi e prestazioni a favore dei datori di lavoro domestici. Sono iscritti obbligatoriamente alla Cassa tutti i dipendenti ed i datori di lavoro domestico in regola con i contributi di assistenza contrattuale, nei confronti dei quali viene applicato il Ccnl che sono cosı` beneficiari delle prestazioni erogate dalla Cassa (e/o i loro aventi causa). Per avere diritto alle prestazioni, e` necessario che successivamente alla prima iscrizione, i contributi di assistenza contrattuale siano versati in modo regolare e continuativo. La misura dei contributi da versare trimestralmente all’Inps (che cura la riscossione dei contributi in forza di specifica convenzione), a cu- Contributi per lavoro domestico anno 2014 Senza contributo addizionale (comma 28, art. 2, L. 92/2012) Importo contributo orario Con quota assegni familiari Senza quota assegni familiari Fino a euro 7,86 E 1,39 (0,35)* E 1,40 (0,35)** Oltre E 7,86 e fino a E 9,57 E 1,57 (0,39)* E 1,58 (0,39)** Oltre E 9,57 E 1,91 (0,48)* E 1,92 (0,48)** Lavoro superiore a 24 ore settimanali*** E 1,01 (0,25)* E 1,02 (0,25)** * La cifra tra parentesi e` la quota a carico del lavoratore. ** Il contributo senza la quota degli assegni familiari e` dovuto quando il lavoratore e` coniuge del datore di lavoro oppure e` parente o affine entro il terzo grado e convive con il datore di lavoro. *** Gli importi contributivi della quarta fascia sono indipendenti dalla retribuzione oraria corrisposta, si riferiscono ai servizi domestici effettuati presso uno stesso datore di lavoro con un minimo di 25 ore settimanali e vanno applicati sin dalla prima delle ore lavorate nel corso della settimana. Contributi per lavoro domestico anno 2014 Comprensivo contributo addizionale (comma 28, art. 2 L. 92/2012) da applicare ai rapporti di lavoro a tempo determinato eccetto sostituzioni di lavoratori assenti Importo contributo orario Retribuzione effettiva oraria Con quota assegni familiari Senza quota assegni familiari Fino a euro 7,86 E 1,49 (0,35)* E 1,50 (0,35)** Oltre E 7,86 e fino a E 9,57 E 1,68 (0,39)* E 1,69 (0,39)** Oltre E 9,57 E 2,04 (0,48)* E 2,06 (0,48)** Lavoro superiore a 24 ore settimanali*** E 1,08 (0,25)* E 1,09 (0,25)** * La cifra tra parentesi e` la quota a carico del lavoratore. ** Il contributo senza la quota degli assegni familiari e` dovuto quando il lavoratore e` coniuge del datore di lavoro oppure e` parente o affine entro il terzo grado e convive con il datore di lavoro. *** Gli importi contributivi della quarta fascia sono indipendenti dalla retribuzione oraria corrisposta, si riferiscono ai servizi domestici effettuati presso uno stesso datore di lavoro con un minimo di 25 ore settimanali e vanno applicati sin dalla prima delle ore lavorate nel corso della settimana. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Percorsi Retribuzione effettiva oraria 1689 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. dente avra` a prestazioni quali l’indennita` giornaliera di ricovero e di eventuale convalescenza ovvero prestazioni di alta specializzazione, erogate a richiesta del dipendente inoltrata alla Cassa nei termini e nei modi specificati dalla Cassa. Se sono stati versati contributi contrattuali per 4 trimestri consecutivi e raggiunta la soglia minima di versamenti pari a E 25, la Cassa prevede anche a favore del datore di lavoro alcune prestazioni quali: Percorsi ra del datore di lavoro, e` la seguente (a carico del datore di lavoro e del lavoratore): misura minima oraria complessiva di E 0,03 come stabilito dal Ccnl, dei quali E 0,01 a carico del lavoratore. Il nuovo Regolamento prevede la possibilita` di versare quote integrative ai 0,03 euro per raggiungere la soglia minima di E 25. Se sono stati versati contributi contrattuali per 4 trimestri consecutivi e raggiunta la soglia minima di versamenti pari a E 25, il dipen- 1690 DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 nel caso di decesso o invalidita` permanente del dipendente a causa di infortunio per il quale sia stata attivata la rivalsa Inail: polizza assicurativa per la responsabilita` civile del datore di lavoro con un massimale annuo pari a E 50.000; nel massimale annuo rientrano anche le spese legali e peritorie che potranno essere messe a disposizione dall’assicurazione nel contenzioso con l’Istituto. antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Conversione in legge Bonus lavoratori: nuove modalita` per il recupero del credito Il testo definitivo dell’articolo 1 del D.L. n. 66 del 24 aprile 2014 (1) ha deluso le aspettative di chi riteneva che il credito dovesse essere esteso ai possessori di redditi al di sotto della soglia di imponibilita` e alle famiglie numerose e monoreddito, cosı` come da piu` parti si riteneva che solo la messa a regime del credito potesse, effettivamente, produrre effetti di sostegno all’economia. La norma si limita, invece, ad una enunciazione di principio ed il credito d’imposta mantiene le caratteristiche originarie «in attesa dell’intervento normativo strutturale da attuare con la legge di stabilita` per l’anno 2015, nel quale saranno prioritariamente previsti interventi di natura fiscale che privilegino, con misure appropriate, il carico di famiglia e, in particolare, le famiglie monoreddito con almeno due o piu` figli a carico». A questo fine e per mandare un segnale della volonta` di stabilizzare la misura, l’articolo 50, comma 6, dello stesso D.L. n. 66/2014, istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un apposito fondo denominato «Fondo destinato alla concessione di benefici economici a favore dei lavoratori dipendenti», con una dotazione di 1.930 milioni di euro in termini di saldo netto da finanziare e di fabbisogno e di 2.685 milioni di euro in termini di indebitamento netto per l’anno 2015, di 4.680 milioni di euro per l’anno 2016, di 4.135 milioni di euro per l’anno 2017 e di 1.990 milioni di euro a decorrere dall’anno 2018. Pertanto, per il solo anno 2014, «al fine di ridurre nell’immediato la pressione fiscale e contributiva sul lavoro e nella prospettiva di una complessiva revisione del prelievo finalizzata alla riduzione strutturale del cuneo fiscale, finanziata con una riduzione e riqualificazione strutturale e selettiva della spesa pubblica» la legge n. 89/2014 di conversione del D.L. n. 66/ 2014, conferma l’erogazione, da parte dei sostituti di imposta di un credito di 640 euro ai lavoratori subordinati ed ai percettori di alcune tipologie di redditi assimilati, a condizione che il reddito complessivo del beneficiario, nel 2014, non superi i 24.000 euro. Se il reddito complessivo e` superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro, il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro. Per il calcolo del credito mensile spettante, riconosciuto dai sostituti di imposta a partire dal mese di maggio 2014, prassi e dottrina convergono nel ritenere opportuna l’adozione del metodo applicato per il calcolo delle detrazioni per lavoro subordinato, nel cui contesto (artico- lo 13 del Tuir) e` comunque inserito il comma 1-bis che disciplina l’erogazione del credito d’imposta in esame. La disposizione si applica, oltre che nei confronti dei lavoratori dipendenti, anche quando alla determinazione dell’imposta lorda concorrono alcuni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, e precisamente quelli di cui all’articolo 50, comma 1 del Tuir, indicati nelle seguenti lettere: a) compensi percepiti dai soci lavoratori delle cooperative; b) indennita` e compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualita`; c) somme corrisposte a titolo di borsa di studio, premio o sussidio per fini di studio o addestramento professionale; c-bis) redditi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative; d) remunerazioni dei sacerdoti; h-bis) prestazioni pensionistiche erogate da forme di previdenza complementare; l) compensi percepiti per lavori socialmente utili. Altre condizioni per il riconoscimento del credito, che non concorre alla formazione del reddito, sono le seguenti: Nota: (1) D.L. 24 aprile 2014, n. 66, «Misure urgenti per la competitivita` e la giustizia sociale» (G.U. n. 95 del 24 aprile 2014) convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 (G.U. 23 giugno 2014, n. 143). DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti Maria Rosa Gheido e Alfredo Casotti - Consulenti del lavoro 1691 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1692 l’imposta lorda determinata sui redditi suindicati deve essere di importo superiore a quello della detrazione per lavoro dipendente di cui all’articolo 13, primo comma, del Tuir; al riguardo la circolare n. 8/E del 28 aprile 2014 dell’Agenzia delle entrate chiarisce che non rileva la circostanza che l’imposta lorda del contribuente generata dai redditi di lavoro dipendente e assimilati sia ridotta o azzerata da detrazioni diverse da quelle indicate, quali ad esempio le detrazioni per carichi di famiglia di cui all’articolo 12 del Tuir; il reddito complessivo, assunto al netto del reddito dell’unita` immobiliare adibita ad abitazione principale e relative pertinenze, deve essere non superiore a 26.000 euro. Al ricorrere di dette condizioni il credito, da rapportare al periodo di lavoro nell’anno 2014, e` quindi pari a 640 euro (per il solo anno 2014), se il reddito complessivo non e` superiore a 24.000 euro; se invece il reddito complessivo e` superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro, il credito di 640 euro annui spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro. Esempio Lavoratore dipendente con reddito complessivo 25.150 euro. Periodo di lavoro nel 2014: 365 giorni. Credito d’imposta spettante = 640 euro 6 (26.000 25.150) : 2.000 = 640 euro 6 0,43 = 275 euro. Il credito spettante viene riconosciuto autonomamente dal sostituto d’imposta che ne ripartisce l’importo tra le retribuzioni erogate successivamente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 66/2014 (quindi dal 24 aprile 2014), a partire dal primo periodo di paga utile e quindi, a partire dallo scorso mese di maggio. L’importo del credito riconosciuto sara` indicato nel modello Cud 2015, mentre l’operato del sostituto sara` rappresentato nel modello 770/2015. La legge di conversione ha soppresso il riferimento all’elencazione dei sostituti di imposta fatta dalle disposizioni in materia di accertamento (artt. 23 e 29 del D.P.R. n. 600/1973), pertanto sono soggetti obbligati tutti i sostituti d’imposta anche se non espressamente richiamati nelle citate disposizioni. Non sono, invece, soggetti all’obbligo i datori di lavoro che non rivestono detta qualifica, quali i datori di lavoro domestico i cui dipendenti hanno sı` diritto al bonus, ma debbono richiederlo con la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2014. Pertanto, i lavoratori in possesso dei requisiti per fruire del bonus ma privi di un sostituto d’imposta, potranno comunque richiederlo nella dichiarazione dei redditi per il 2014. In particolare, i soggetti titolari nel corso dell’anno 2014 di redditi di lavoro dipendente, le cui remunerazioni sono erogate da un soggetto che non e` sostituto di imposta quali i collaboratori domestici dovranno presentare la dichiarazione dei redditi se vorranno percepire il bonus. Prestazioni previdenziali Fra i beneficiari del credito sono compresi anche i percettori di prestazioni previdenziali e assistenziali, con la sola esclusione dei titolari di trattamenti pensionistici. Sono altresı` escluse, precisa l’Inps con la circolare n. 67 del 29 maggio 2014, le pre- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 stazioni soggette a tassazione separata, quali il Tfr posto a carico del Fondo di garanzia, nonche´ gli interventi a favore dei lavoratori autonomi e le somme che perdono la natura di sostegno al reddito diventando, invece, un supporto all’avviamento di attivita` di lavoro autonomo come nel caso dell’anticipo in unica soluzione dei trattamenti di mobilita`, ASpI, ecc. chiesti dal beneficiario a tale scopo. Peraltro, il diritto alle prestazioni di sostegno al reddito sorge al verificarsi di eventi temporanei ed imprevedibili nella durata, che possono manifestarsi durante il rapporto di lavoro oppure alla cessazione dello stesso. L’Inps, in quanto sostituto di imposta, entra in gioco ed e` tenuto ad erogare il credito d’imposta per la natura reddituale di tali prestazioni che, secondo l’articolo 6 del Tuir, hanno la stessa natura dei redditi sostituiti. Tant’e` che i percettori di prestazioni a sostegno del reddito fruiscono delle detrazioni di cui al comma 1 dell’articolo 13 del Tuir, le quali competono nell’anno in cui i redditi vengono erogati e sono assoggettati a tassazione corrente. Come sottolineato dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 9/E/2014, questo fa sı` che anche i percettori di queste prestazioni abbiano diritto al credito che verra`, pertanto, erogato dall’Inps sulla base dei dati in suo possesso. Qualora pero` la prestazione sia anticipata dal datore di lavoro e conguagliata dallo stesso con i contributi dovuti all’Istituto, sostituto di imposta e` comunque il datore di lavoro che dovra` riconoscere anche l’eventuale credito spettante. Peraltro l’Inps non e` sempre in grado di conoscere la potenziale durata della prestazione e di determinare il reddito annuo pre- sunto su base previsionale. Di regola questo e` possibile in alcuni casi, quali: indennita` di disoccupazione ASpI e MiniASpI; indennita` di mobilita`; trattamenti di disoccupazione speciali per l’edilizia; sussidi per lavoratori socialmente utili; le ultime tre mensilita` di retribuzione poste a carico del Fondo di garanzia in caso di insolvenza del datore di lavoro; indennita` di maternita` per congedo obbligatorio; congedo obbligatorio del padre. Vi sono invece casi in cui la durata (almeno teorica) e l’importo della prestazione non sono prevedibili, come nel caso di Cigo, Cigs, Cigd, indennita` di malattia, congedo parentale, ecc., pertanto secondo quanto comunica l’Inps nella citata circolare n. 67/2014, il credito sara` corrisposto in base ai singoli pagamenti mensilmente effettuati. L’Inps sottolinea altresı` che il credito sara` calcolato «in relazione alla durata, eventualmente inferiore all’anno, del rapporto di lavoro considerando il numero di giorni lavorati nell’anno». Pertanto, per le indennita` dallo stesso erogate, l’Inps terra` conto dei giorni di erogazione della prestazione. Comunicazioni dei beneficiari Si e` detto che, essendovene i presupposti oggettivi e soggettivi, i sostituti di imposta erogano il credito autonomamente senza necessita` che il potenziale beneficiario debba avanzare richiesta alcuna. Tuttavia, non sono pochi i casi in cui e` interesse del lavoratore segnalare al sostituto d’imposta situazioni personali che possono incidere sul diritto al bonus o sulla sua misura. Nulla dice a questo proposito la norma di legge, mentre sia l’Agenzia delle entrate (2) che l’Inps (3) chiaramente pongono la questione in termini pressoche´ obbligatori. Per l’Agenzia delle entrate, i lavoratori che non hanno i presupposti per il riconoscimento del beneficio in quanto, per esempio, possessori di altri redditi o titolari di piu` rapporti di lavoro contestuali, sono tenuti a darne comunicazione al sostituto d’imposta il quale potra` recuperare il credito eventualmente erogato dagli emolumenti corrisposti nei periodi di paga successivi a quello nel quale e` resa la comunicazione e, comunque, entro i termini di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno o di fine rapporto. L’Inps compie un ulteriore passaggio e, in allegato al messaggio n. 5661/2014 fornisce il mod. SR150 che il percettore di prestazioni previdenziali e` tenuto a presentare all’Istituto per comunicare dati che possono condizionare il diritto al credito e/o la sua misura. Con questo modello (in calce) il beneficiario comunica all’Inps, assumendosene la responsabilita` e consapevole delle conseguenze anche penali derivanti dalle false dichiarazioni, l’importo di eventuali altri redditi posseduti o di non avere i presupposti per il riconoscimento del credito. Con lo stesso modello il beneficiario puo` comunicare all’Inps che, pur avendo diritto al credito, questo verra` erogato da altro sostituto di imposta. Pertanto, parafrasando le istruzioni fornite dall’Inps e riferendole ai sostituti d’imposta si puo` affermare che: coloro che non sono in possesso dei presupposti per il riconoscimento del beneficio sono tenuti a darne comunicazione al sostituto d’im- posta, che provvedera` a recuperare le somme eventualmente gia` erogate dai pagamenti successivi e, comunque, entro i termini di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno; coloro che, oltre ad essere titolari del reddito erogato dal sostituto d’imposta sono altresı` titolari di altri redditi da lavoro dipendente o ad essi assimilati, i cui importi singolarmente considerati darebbero diritto al credito, ma complessivamente considerati eccedano la soglia massima prevista dal comma 1-bis dell’articolo 13 del Tuir, sono tenuti a darne comunicazione al sostituto stesso, che non riconoscera` il credito o agira` come sopra evidenziato; coloro che sono titolari contestualmente di piu` redditi da lavoro dipendente o assimilati o derivanti da prestazioni previdenziali, i cui importi complessivamente considerati non eccedano la soglia massima prevista dal comma 1-bis dell’articolo 13 del Tuir, sono tenuti a chiedere ad uno o piu` dei sostituti di imposta di non riconoscere il credito in modo che lo stesso sia erogato da un solo sostituto. L’esigenza di effettuare le opportune comunicazioni ` puo verificarsi anche in caso di rapporti di lavoro iniziati o cessati in corso e preceduti, o seguiti, da altri rapporti di lavoro o dall’erogazione di misure a sostegno del reddito. Il beneficiario del credito che, antecedentemente al rapporto di lavoro (o alla prestazione previdenziale) abbia intrattenuto nel corso del 2014 un altro rapporto di lavoro, ha interesse a produrre Note: (2) Circolari n. 8/E del 28 aprile 2014 e n. 9/E del 14 maggio 2014. Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. (3) Inps, messaggio n. 5661 del 27 giugno 2014. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 1693 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1694 al sostituto d’imposta la relativa certificazione fiscale (mod. Cud) relativa ai redditi da lavoro dipendente al fine di consentire l’esatta determinazione del diritto al beneficio e del relativo importo. In tale caso il sostituto terra` conto anche dei dati esposti nella certificazione fiscale prodotta. Precisa l’Inps che in assenza di detta certificazione, la determinazione della spettanza del credito e del relativo importo sara` effettuata in base ai soli dati reddituali direttamente gestiti, circostanza questa che ben puo` valere anche per gli altri sostituti. In ogni caso il contribuente, che abbia comunque percepito somme di cui al comma 1bis dell’articolo 13 del Tuir in tutto o in parte non spettante, e` tenuto alla restituzione dello stesso in sede di dichiarazione dei redditi. Recupero del credito: cosa cambia La legge di conversione del D.L. n. 66/2014 ha profondamente modificato le modalita` con cui i sostituti d’imposta possono recuperare i crediti mensilmente erogati ai beneficiari. Come gia` anticipato dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 9/E/2014, i datori di lavoro del settore privato possono esclusivamente compensare l’importo a loro credito tramite il modello di pagamento unificato F24. A tal fine con la risoluzione n. 48/ E l’Agenzia ha istituito il codice tributo «1655» denominato «Recupero da parte dei sostituti d’imposta delle somme erogate ai sensi dell’articolo 1 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66» (4). In sede di compilazione del modello di versamento F24 il codice tributo e` esposto nella sezione «Erario» in cor- rispondenza delle somme indicate nella colonna «importi a credito compensati», con l’indicazione nel campo «rateazione/regione/prov./mese rif.» e nel campo «anno di riferimento», del mese e dell’anno in cui e` avvenuta l’erogazione del beneficio fiscale, rispettivamente nel formato «00MM» e «AAAA». La modifica rispetto al testo previgente che prevedeva, invece, la compensazione c.d. ‘‘interna’’ con il monte ritenute disponibili nel mese e con gli eventuali contributi dovuti per lo stesso periodo, risolve i dubbi che erano sorti fra gli operatori, tuttavia non appaiono del tutto risolti alcuni dubbi posti anche sulla compensazione con il mod. F24. L’Agenzia delle entrate ha avuto modo di precisare che, per le finalita` delle norma in commento, «alla compensazione non si applica il limite di cui all’articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388», vale a dire che il recupero del credito non rileva ai fini della soglia di 700.000 euro utilizzabili in compensazione (circolare n. 9/E/2014). Nulla e` stato detto, invece, circa il divieto di compensazione, nel mod. F24, di crediti per imposte erariali fino a concorrenza dell’importo dei debiti verso l’erario, iscritti a ruolo per un ammontare superiore a 1.500 euro e per i quali e` scaduto il temine di pagamento (articolo 31, D.L. n. 78/2010). Parte della dottrina considera il recupero del credito anticipato ai lavoratori incluso in tale divieto, intendendo che lo stesso si riferisca a qualsivoglia credito di imposta erariale. Tuttavia, non sembra trascurabile che la norma richiamata e` intesa ad impedire che il contribuente compensi crediti per imposte anticipate senza aver prima assolto i propri debiti insoluti verso l’Erario. La nor- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 ma appare, quindi, volta ad evitare comportamenti elusivi. Appare, pertanto, condivisibile il diverso orientamento espresso dalla Fondazione Studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro con la circolare n. 14 del 20 giugno 2014 di cui riportiamo il seguente passaggio: «Appare evidente che sia la finalita` della disposizione, sia la natura del credito riconosciuto, in nessun modo possono essere ricondotti ad una definizione di «credito derivante da imposta erariale». E` bene evidenziare che il credito in esame nasce da un atto legislativo e quindi al di fuori dell’ambito delle imposizioni erariali o dalle tradizionali modalita` di riconoscimento di «crediti di imposta». La circostanza che l’importo sia concesso anche per il tramite dei sostituti di imposta non altera la natura sopra descritta. Ne consegue che il sostituto di imposta puo` (anzi deve) corrispondere il bonus ai lavoratori interessati e legittimamente puo` compensare tale credito anche in presenza di debiti iscritti a ruolo di ammontare superiore a 1.500 euro». Ad analoga conclusione giunge la Fondazione sul dubbio da alcuni sollevato in ordine alla necessita` di rispettare la previsione dell’articolo 1, comma 574 della legge n. 147/2013, secondo cui, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, i contribuenti che ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 utilizzano in compensazione i crediti relativi alle imNota: (4) Risoluzione n. 48 del 7 maggio 2014 «Istituzione del codice tributo per il recupero da parte dei sostituti d’imposta delle somme erogate ai sensi dell’articolo 1 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, mediante il modello di pagamento F24». antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. visione ha una finalita` meramente antielusiva, che nulla ha a che vedere con il ruolo assegnato al sostituto d’imposta per l’erogazione del bonus in esame, e che pertanto appare del tutto estranea alla compensazione del credito che ne deriva anche se di misura superiore ai 15.000 euro. Il comma 1-bis dell’articolo 13 del Tuir afferma espressamente che il credito in argomento «non concorre alla for- mazione del reddito». Ne consegue che dette somme non rilevano ad alcun titolo nei confronti del percettore. Inoltre le stesse, non costituendo retribuzione per il percettore, nemmeno rilevano ai fini dell’Irap per il soggetto erogatore. E` buona norma, quindi, contabilizzare l’importo dei crediti separatamente da quello delle retribuzioni al fine di consentirne la deduzione dalla base imponibile per il calcolo dell’Irap. Approfondimenti poste sui redditi e alle relative addizionali, alle ritenute alla fonte di cui all’articolo 3 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, alle imposte sostitutive delle imposte sul reddito e all’imposta regionale sulle attivita` produttive, per importi superiori a 15.000 euro annui, hanno l’obbligo di richiedere l’apposizione del visto di conformita`. E` di tutta evidenza, a parere di chi scrive, che questa pre- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 1695 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1696 DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Jobs Act e Fondazione Studi Tempo determinato e apprendistato: indirizzi applicativi Il 20 maggio scorso e` entrata in vigore la legge 16 maggio 2014, n. 78, che ha convertito con modificazioni il D.L. 20 marzo 2014, n. 34. Numerosi gli aspetti modificati rispetto al testo originario, ma molti i dubbi che chi quotidianamente deve applicare le nuove regole si trova di fronte. Infatti, se alcuni punti di criticita` del testo ante conversione hanno trovato puntualizzazione nella legge n. 78/2014, sono rimasti irrisolti molti aspetti che costituiscono un fattore di rischio con conseguente latente contenzioso che si puo` innescare proprio a causa dei dubbi interpretativi. Peraltro, le modifiche hanno riguardato in misura significativa due istituti molto utilizzati e cioe` il contratto a tempo determinato e quello di apprendistato. A fornire importanti indicazioni e` intervenuta la Fondazione Studi del Consiglio nazionale dei Consulenti del lavoro con la circolare n. 13 del 12 giugno scorso. Un corposo documento che, come si dira`, interviene sui diversi aspetti toccati dal legislatore. Va ricordato, a tal fine, che il provvedimento, dopo la conversione, ha innanzitutto introdotto un triplice regime per le modifiche ai contratti di lavoro a tempo determinato e di apprendistato. In particolare, le differenti regole riguardano: 1) contratti stipulati prima del 20 marzo 2014; 2) regime applicabile a quelli stipulati dal 20 maggio 2014; 3) applicazione delle norme previste dal D.L. n. 34/2014 nel periodo di vigenza (dal 21 marzo al 19 maggio 2014). Le differenti regole sono frutto dell’introduzione dell’articolo 2-bis che regola il regime transitorio, nel testo originario non previsto. Il testo di tale articolo introduce il principio che le nuove norme si applicano esclusivamente ai contratti stipulati dal 20 maggio 2014. Di conseguenza, per quelli conclusi precedentemente, occorre osservare le disposizioni previgenti. Tuttavia, vengono fatti salvi gli effetti prodottisi in vigenza del D.L. n. 34/2014. Una precisazione importante, perche´ va ricordato che, prima della conversione, non era previsto uno specifico regime transitorio e conseguentemente le regole introdotte dal D.L. n. 34/2014 erano pienamente vigenti anche per i contratti in corso. L’organo scientifico del Consiglio nazionale dei consulenti fornisce indirizzi applicativi soprattutto sui contratti a termine e di apprendistato dopo l’entrata in vigore della legge 16 maggio 2014, n. 78 di conversione del D.L. 20 marzo 2014, n. 34. Contratto a tempo determinato Certamente l’eliminazione del c.d. ‘‘causalone’’ col quale si e` convissuto dal 2001, data in cui e` entrato in vigore il D.Lgs. n. 368/2001 che regola il contratto a tempo determinato recependo la direttiva comunitaria in materia, rappresenta non solo una rilevante novita` ma soprattutto una effettiva e tangibile semplificazione soprattutto in ottica di prevenzione del contenzioso tra le parti. Durata Ora il nuovo comma 1 dell’articolo 1 di tale decreto fissa la regola che la stipula e` legata esclusivamente alla durata che e` stabilita in 36 mesi, e non piu` alle esigenze organizzative, tecniche, produttive o sostitutive che costituivano la regola previgente. La circolare dei consulenti del lavoro sottolinea a tal proposito che le conseguenze di tale previsione sono l’introduzione di una durata massima del contratto sin dalla stipulazione, salvo poche eccezioni e cioe`: contratti avviati tra istituti pubblici o enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attivita` di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica e direzione alla stessa. In tal caso, la durata e` pari a quella del progetto di ricerca cui si riferisce; nel settore stagionale stante la confermata previsione contenuta nell’articolo 5 comma 4-ter del D.Lgs. n. 368/2001. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti Giuseppe Buscema - Consulente del lavoro 1697 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Approfondimenti Naturalmente, le regole non riguardano tutti i casi di esclusione dalla disciplina del citato decreto (es. dirigenti). In precedenza, invece, il limite massimo riguardava la durata complessiva di occupazione soltanto in caso di successione di contratti (articolo 5 comma 4-bis) e questo consentiva di poter avviare il primo contratto a temine anche per un perdo superiore a 36 mesi. 1698 Limiti A fare da contrappeso a tale liberalizzazione, e` stata prevista la fissazione di precisi limiti legali al numero di contratti stipulabili da parte dei datori di lavoro, peraltro con alcune deroghe (v. infra). Prevede la seconda parte del comma 1 dell’articolo 1, infatti, che i contratti a termine non potranno superare il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell’anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti e` sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato. E` senza dubbio questo l’aspetto che piu` di altri rappresenta maggiori criticita`, non solo da un punto di vista oggettivo per quanto concerne il numero dei contratti stipulabili, ma soprattutto per le modalita` applicative che - come vedremo - sono tutt’altro che agevoli. La Fondazione Studi sottolinea intanto che il limite numerico va verificato tempo per tempo nel corso dell’anno; questo significa che ad ogni avvio di contratto a termine va rispettata la percentuale di rapporto rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato esistenti al 1º gennaio talche´ durante il corso del- l’anno non potranno essere contemporaneamente presenti un numero complessivo di contratti superiore al limite. Per la Fondazione, dunque, il numero di contratti massimo stipulabili non va effettuato progressivamente nell’anno. E` una presa di posizione importante perche´ le interpretazioni possibili sono due: 1) quella della Fondazione i cui effetti pratici comportano che al momento di assunzione non rilevano i contratti a termine gia` scaduti in precedenza; 2) l’altra secondo la quale rilevano invece tutti i contratti stipulati nel corso dell’anno interessato a prescindere dalla durata. Una sorta di contatore annuo. Le differenze sono significative: immaginiamo, ad esempio, che un datore di lavoro al 1º gennaio 2014 occupava 20 lavoratori a tempo indeterminato. Sara` pari a 4 il limite massimo di contratti a tempo determinato per tutto il 2014. Se tale datore di lavoro il 1º giugno ha assunto 4 lavoratori con durata di 3 mesi, la seconda interpretazione comporterebbe che per tutto l’anno non potra` stipulare piu` alcun contratto. Applicando il criterio della circolare della Fondazione, invece, a settembre il datore di lavoro potra` sottoscrivere nuovi contratti perche´ non occupava piu` lavoratori a termine in quanto quelli stipulati precedentemente erano gia` scaduti. Altro aspetto riguarda le tipologie di contratti su cui va effettuato il calcolo del 20%. Secondo la Fondazione si computano anche gli apprendisti e i lavoratori assunti con contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato con diritto all’indennita` di disponibilita` (secondo i criteri di cui all’articolo 39 del D.Lgs. n. 276/2003); al con- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 trario non devono essere considerati i lavoratori accessori, i contratti di collaborazione anche a progetto, ed i lavoratori intermittenti a tempo indeterminato senza indennita` di disponibilita` (questa esclusione deriva dalla valutazione che gli stessi non rappresentano una forza stabile in azienda). Anche in questo caso si tratta di una presa di posizione su un punto dubbio: anche se gli apprendisti sono considerati lavoratori a tempo indeterminato (in quanto cosı` espressamente definiti dal D.Lgs. n. 167/2011, articolo 1), l’articolo 7, comma 3 del D.Lgs. n. 167/2011 li esclude dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti, fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo. Dunque, non essendo previste deroghe, l’altra lettura e` che gli apprendisti non siano computabili. Sempre relativamente al conteggio e` importante la questione riguardante i lavoratori con contratto a tempo parziale. Il legislatore, sottolinea la Fondazione, non fornisce una indicazione se il conteggio debba essere eseguito ‘‘per teste’’ oppure valorizzando tale numero in termini di ‘‘full-time equivalenti’’. Nel silenzio della norma (che richiede di verificare «il numero dei lavoratori a tempo indeterminato»), ma richiamando il principio generale stabilito dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 61/2000 a mente del quale «in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all’orario antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. gio dei lavoratori sia per l’individuazione del momento o dell’arco temporale da prendere a riferimento). In materia di deroghe, oltre all’applicabilita` espressamente prevista che rinvia alle ipotesi di cui all’articolo 10 comma 7 del D.Lgs. n. 368/2001, per la Fondazione si puo` ricorrere anche alla sottoscrizione di un contratto aziendale ex articolo 8 del D.L. n. 138/2011 che in questi casi possa derogare, per ragioni di competitivita` aziendale, al 20% stabilito dalla legge. La circolare infatti puntualizza che per sopperire a picchi di produttivita` per i quali in passato non era prevista alcun limite quantitativo e che ora per effetto della legge n. 78/2014 sono costrette ad applicare il limite del 20% ragionare sull’avvio di contratti di prossimita` puo` essere un utile strumento risolutivo. Tenuto conto che anche prima della riforma apportata dal D.L. n. 34/2014 attraverso la stipula di un contratto di prossimita` era possibile procedere ad una autonoma regolamentazione del contratto a termine (potenzialmente incidente anche nei limiti quantitativi), infatti, tali contratti applicabili in azienda continueranno ad essere la fonte regolamentatrice dei rapporti a termine, compresi quelli avviati dal 21 marzo 2014. La circolare della Fondazione si sofferma anche sul problema delle acquisizioni di aziende o cambi di appalto in cui trova piena applicazione l’articolo 2112 c.c. in cui sono presenti rapporti a tempo determinato. In questo caso, viene sottolineato che non appare possibile l’applicazione dei limiti quantitativi legali e contrattuali poiche´ sarebbe un contratto con un legittimo interesse economico dell’imprenditore cessionario o appaltatore. Violazione dei limiti Una delle novita` previste in sede di conversione del D.L. n. 34/2014 e` rappresentata dalla previsione di una sanzione amministrativa nel caso di violazione dei limiti percentuali di contratti a tempo determinato stipulabili. E` previsto dal comma 4-septies inserito all’articolo 5 del D.Lgs. n. 368/2001 che si applica una sanzione pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti i violazione al limite non sia superiore ad uno. Se si supera tale soglia, la sanzione sale al 50%. La Fondazione Studi ritiene che la sanzione amministrativa prevista dal 20 maggio 2014 esclude la conversione del rapporto a tempo indeterminato. Sul punto la circolare afferma infatti che la conseguenza della conversione del rapporto era stata in precedenza individuata dalla giurisprudenza in mancanza di una specifica previsione in tal senso (c.d. sanzione giurisprudenziale). La scelta del legislatore di sanzionare il superamento del limite solo con una sanzione amministrativa porta alla inevitabile conseguenza di escludere la conversione del rapporto. Una volta sanzionata la violazione del limite, la circolare sottolinea che il contratto prosegue fino alla scadenza. Inoltre, lo stesso datore di lavoro non dovrebbe essere esposto a successive sanzioni in caso di nuovi accessi ispettivi. Questo perche´ la norma mira a sanzionare ‘‘la condotta’’ irregolare (costituita dall’aver avviato il rapporto in violazione del limite) e non l’impiego del lavoratore nel singolo mese. Per quanto attiene alla quan- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti svolto, rapportato al tempo pieno», la circolare n. 13 indica che debba essere utilizzato il criterio del riproporzionamento rispetto ai lavoratori full-time. Cosı` ragionando il datore di lavoro che al 1º gennaio conta un organico di 30 lavoratori a tempo indeterminato (di cui 10 part-time al 50%) ha in forza n. 25 lavoratori a tempo indeterminato e, pertanto, potra` assumere n. 5 lavoratori a termine nel corso dell’anno 2014. Quanto al numero di lavoratori invece che e` possibile assumere, la circolare chiarisce che, se ad esempio il datore di lavoro con 32 lavoratori a tempo indeterminato full-time puo` assumere fino al limite di 6,4 contratti a termine, il criterio da applicare in questo caso e` quello di consentire l’assunzione di n. 6 lavoratori a termine full-time ed una unita` a termine part-time al 40% (per coprire il decimale dello 0,4). Non rileva invece la durata del contratto a termine che si intende avviare, per cui una volta stabilita la soglia di capienza il datore di lavoro puo` decidere se far durare quel contratto un mese piuttosto che 36 mesi. Quanto fin qui descritto riguarda i limiti c.d. legali, ma il citato articolo1 comma 1, fa salvo «quanto disposto dall’articolo 10, comma 7». Si tratta delle competenze della contrattazione collettiva nazionale, nonche´ delle ipotesi derogatorie dei limiti applicabili. La circolare n. 13/2014 sottolinea che la contrattazione collettiva puo` regolare diversi elementi della disciplina del contingentamento dei contratti a termine: dalla percentuale applicabile (superiore, inferiore o uguale a quella legale), alla base di computo cui riferire il limite stesso (sia nelle modalita` di conteg- 1699 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1700 tificazione della retribuzione cui commisurare la sanzione amministrativa, la stessa va calcolata tenendo conto di quella prevista dal contratto di assunzione a termine senza eventuali aumenti retributivi riconosciuti nel corso del rapporto. Va ricordato che la disciplina sanzionatoria non si applica ai datori di lavoro che al 20 maggio 2014, data di entrata in vigore della legge n. 78/ 2014, gia` occupavano un numero di lavoratori a tempo determinato in eccedenza rispetto alla disciplina dei limiti. L’articolo 2-bis del D.L. n. 34/2014, introdotto dalla legge di conversione, prevede che tali datori di lavoro possono rientrare nei limiti entro il 2014. La sanzione in caso di mancato rispetto dei limiti oltre tale data e` l’impossibilita` di stipula di nuovi contratti fino al momento del rientro nel limite percentuale. Su tali aspetti, sottolinea la Fondazione, puo` assumere un ruolo importante la contrattazione collettiva anche aziendale che potrebbe, ad esempio, prevedere un limite di rientro piu` ampio ovvero un limite quantitativo meno restrittivo. Proroghe e rinnovi La Fondazione Studi interviene anche sul tetto delle proroghe ritenendo che il limite di 5 non si riferisce al singolo contratto a termine stipulato tra le parti ma all’intero periodo di tempo (36 mesi) indicato dalla norma. Conseguentemente, se le parti utilizzano le 5 proroghe nel primo contratto a termine (ad esempio, di durata annuale comprese le proroghe), saranno libere di stipulare altri contratti a termine sino al tetto dei 36 mesi (articolo 5, comma 4-bis) ma non potranno piu` utilizzare l’istituto della proroga. Viene ricordato che rimane la necessita` che la proroga si riferisca alla stessa attivita` lavorativa per la quale il contratto e` stipulato. Nessuna novita` invece in materia di rinnovi e dunque rimane l’obbligo di rispettare gli intervalli temporali previsti dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 368/2001 nonche´ il limite massimo di occupazione di 36 mesi peraltro per analoghe mansioni o equivalenti, compresi i periodi di occupazione con contratto di somministrazione di lavoro. Sul periodo massimo di occupazione, per la Fondazione in sede di avvio di una somministrazione di lavoro non deve essere verificato se in precedenza sono stati avviati rapporti di lavoro a termine che concorrono al raggiungimento del tetto di 36 mesi. In tal senso viene citata anche la posizione espressa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in risposta all’interpello n. 32/2012 in cui e` stato chiarito che «si ritiene dunque che un datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo di 36 mesi, possa impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo determinato». Apprendistato In materia di apprendistato, e` oggetto di interpretazione la reintroduzione, con modifiche, della clausola di stabilizzazione che originariamente il D.L. n. 34/2014 aveva soppresso. Per la Fondazione la contrattazione collettiva nazionale ha la facolta` di individuare limiti diversi dal summenzionato 20% ma non potra` modificare il limite dimensionale dei 50 dipendenti per il DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 quale si rende applicabile la disciplina. Dunque, i datori di lavoro che si collocano al di sotto di tale limite non saranno soggetti a tale onere. Un altro aspetto trattato dalla circolare n. 13/2014 ha riguardato la formazione di base e trasversale per il contratto di tipo professionalizzante e di mestiere. A tal proposito, va ricordato che l’articolo 4, comma 3, del D.Lgs. n. 167/2011 ha puntualizzato che «Si intende per disponibile un’offerta formativa formalmente approvata e finanziata dalla pubblica amministrazione competente, che consenta all’impresa l’iscrizione all’offerta medesima affinche´ le attivita` formative possano essere avviate entro 6 mesi dalla data di assunzione dell’apprendista». Tale previsione va coordinata con quanto previsto dalle vigenti linee guida introdotte dalla riforma Giovannini (D.L. n. 76/2014). Si tratta, va ricordato, delle Linee guida approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome il 20 febbraio scorso e che e` previsto siano recepite dalle singole Regioni entro il prossimo 20 agosto. Il combinato disposto delle due disposizioni, secondo la Fondazione, porta alla conclusione operativa che le aziende in caso di mancata comunicazione da parte delle Regioni entro i 45 giorni successivi all’instaurazione del rapporto di lavoro sono facoltizzate ad effettuare la formazione pubblica; qualora, tale comunicazione non dovesse essere notificata nei successivi 6 mesi (vale il giorno di notifica e non di spedizione) allora le stesse aziende sono esonerate definitivamente dalla erogazione della formazione pubblica per tutta la durata del rapporto di apprendistato. antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Jobs Act e legge di conversione Somministrazione a termine tra novita` e dubbi interpretativi Il D.L. 20 marzo 2014, n. 34, come convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 78, apporta rilevanti modifiche alla disciplina del contratto a termine e dell’apprendistato, ma e` intervenuto anche in materia di somministrazione di lavoro a termine incidendo, in parte, direttamente sul D.Lgs. n. 276/2003. Cio` ha fatto passare in secondo piano le altre novita` del recente intervento legislativo in materia, ad esempio, di dichiarazione di disponibilita` dei soggetti in cerca di occupazione, di semplificazione del Documento unico di regolarita` contributiva (Durc), di contratti di solidarieta` per le imprese che rientrano nel campo di applicazione della Cig (1). Altrettanto sotto traccia, pero`, sono rimasti, a nostro avviso, gli effetti della novella sul contratto di somministrazione a termine, essendosi l’attenzione della dottrina incentrata sulla nuova disciplina del contratto a tempo determinato. Muovendo da siffatta considerazione intendiamo, dunque, con queste brevi note, esaminare, seppur rapidamente e con il ‘‘limite’’ proprio dei primi commenti ‘‘a caldo’’, le ripercussioni del suddetto nuovo impianto normativo, sulla disciplina della somministrazione di lavoro. Peraltro, l’entrata in vigore della legge di conversione n. 78/2014 offre, nel contem- po, lo spunto per richiamare il quadro giurisprudenziale in materia di apposizione del termine al contratto di somministrazione di lavoro, anche considerato che il nuovo impianto legislativo non si applica ai contratti di lavoro stipulati prima del 21 marzo 2014 che, pertanto, rimangono soggetti alle precedenti regole, come interpretate dalla giurisprudenza. Somministrazione di lavoro a termine La configurazione nel nostro ordinamento giuridico della somministrazione di lavoro si inserisce nella tendenza alla ‘‘flessibilizzazione’’ rinvenibile in molti Paesi comunitari (2). Con l’apertura alla somministrazione di lavoro, infatti, «si realizza una forma di forte flessibilizzazione del mercato del lavoro: basti pensare che, a fronte di un contratto di somministrazione di lavoro temporaneo, e` sempre possibile stipulare contratti di lavoro a termine, sia pure nel rispetto della normativa collettiva di riferimento» (3). Siffatto schema negoziale sviluppa l’idea di fondo sul quale si basava la disciplina di cui alla legge n. 196/1997 sul lavoro temporaneo, l’assunto, cioe`, «secondo cui nel tessuto produttivo e nel mercato del lavoro attuali chi fornisce professionalmente un servizio di reperimento e gestione della forza lavoro puo` svolgere una funzione economica positiva, e non socialmente pericolosa, nonostante che la natura imprenditoriale della sua attivita` si manifesti nella fase preparatoria della prestazione (somministrazione di lavoro), invece che nella fase di esecuzione (come accade nell’appalto di servizio)» (4). La somministrazione di lavoro puo` essere, come noto, a tempo indeterminato (c.d. staff leasing) o a termine. Il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterNote: (*) Il presente studio e` interamente ed esclusivamente riferibile ad entrambi gli Autori e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza. (1) Cfr. E. Massi in Dir. prat. lav., 2014, 16. (2) Una analisi delle principali legislazioni europee sul punto in M. Tiraboschi, S. Spattini, Staff leasing e somministrazione professionale di manodopera in Europa: un quadro comparato, in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma del collocamento e i nuovi servizi per l’impiego, Giuffre`, Milano, 2003, spec. 207 ss. (3) Coppola, Somministrazione e direttiva 2008/ 104/CE: il (non) adeguamento dell’ordinamento interno, in Lav. giur., 2013, 10, 879. (4) Ichino, La somministrazione di lavoro, in Il nuovo mercato del lavoro, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Commentario, Zanichelli, Bologna, 2004, 296 ss. Si rammenta che per la disciplina dettata dalla legge n. 1369/1960 era irrilevante il fatto che i prestatori di lavoro fossero organizzati e diretti dal fornitore piuttosto che dal committente, atteso che l’esercizio di quel potere non rappresentava un elemento sufficiente per attribuire natura imprenditoriale alla prestazione promessa e svolta dal primo in favore del secondo. Sul tema v. O. Bonardi, L’utilizzazione indiretta dei lavoratori, Franco Angeli, Milano, 2001, 37 ss.; G. Benedetti, Profili civilistici dell’interposizione nel rapporto di lavoro subordinato, in Rivista trimestrale diritto procedura civile, 1965, 1512 ss. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti Mauro Sferrazza e Francesco Gramuglia - Avvocati Inps (*) 1701 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1702 minato rappresenta il modello di riferimento e risponde ad esigenze di stabilita` dell’occupazione: «viceversa il contratto a termine e la somministrazione di lavoro a termine, in deroga al precedente, devono ricondursi alla categoria della temporaneita`, intesa come limite temporale alla ragione obiettiva addotta» (5). La somministrazione di lavoro a tempo determinato e` sempre stata ammessa in presenza di esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, pur riferibili all’ordinaria attivita` dell’utilizzatore. Tali ragioni possono, dunque, riguardare «non solo eventi alternativi del normale assetto organizzativo e produttivo, aventi carattere di occasionalita` e straordinarieta`, ed esigenze di carattere temporaneo, ma anche carenze di organico legate al normale ciclo produttivo dell’azienda» (6). Il Ministero del lavoro (circolare n. 7/2005) ha a suo tempo chiarito che «il termine costituisce la dimensione in cui deve essere misurata la ragionevolezza delle esigenze tecniche, organizzative, produttive o sostitutive» e che «si potra`, pertanto, fare ricorso alla somministrazione a tempo determinato in tutte le circostanze, individuate dall’utilizzatore sulla base di criteri di normalita` tecnicoorganizzativa ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali non si potra` esigere, necessariamente, l’assunzione diretta dei lavoratori alle dipendenze dell’utilizzatore e nelle quali, quindi, il ricorso alla somministrazione di lavoro non assume la finalita` di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo». Il c.d. ‘‘causalone’’ consente allora di utilizzare questo strumento di ‘‘esternalizzazione’’ a fronte di qualsiasi motivazione, occasione, bisogno ecc., riferibile all’attivita` dell’utilizzatore. Proprio in considerazione di tale indeterminata ampiezza, una parte della dottrina ha da subito messo in evidenza la tendenziale natura ‘‘a-causale’’ del contratto di somministrazione a termine, nel senso che lo stesso e` svincolato «da esigenze tipiche e precostituite - in funzione limitativa - dalla legge, coincidendo quelle indicate nel comma 3 dell’articolo 20 con ognuna delle infinite ragioni non arbitrarie ne´ illecite ispirate all’interesse d’impresa e alla libera interpretazione che dello stesso ne da` l’imprenditore» (7). La legge n. 92/2012 ha, poi, introdotto una ipotesi di c.d. a-causalita` vera e propria sia per il contratto a termine, sia per la somministrazione di lavoro a termine. A tal proposito la dottrina ha osservato come «la successione abbastanza convulsa, nel giro di un triennio circa, delle ipotesi di legge in cui e` consentito ricorrere ad un contratto di somministrazione a termine prescindendo dalla indicazione della ragione che ne e` alla base non rappresenta solo una semplificazione dal punto di vista dei requisiti formali del contratto, ma ha anche un corposo significato dal punto di vista sostanziale» (8). Novita` sull’apposizione del termine Orbene, su questo assetto normativo di riferimento interviene oggi la novella di cui al D.L. n. 34/2014, convertito, come detto, con modificazioni, dalla legge n. 78/2014, che, per quanto qui interessa, estende la possibilita` di ricorso al contratto di lavoro a termine c.d. a- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 causale. Premesso, nel ‘‘preambolo’’, di muovere dalla considerazione della «perdurante crisi occupazionale» e dall’incertezza «dell’attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare», il legislatore sancisce la regola del possibile triennio iniziale di non piena stabilita` del rapporto di lavoro (per ora nella forma del contratto a termine, domani, probabilmente, anche in quella del contratto a tempo indeterminato c.d. a protezione crescente, oggi al centro del dibattito politico e dottrinale). Infatti, l’originaria previsione dell’articolo 1 del D.Lgs. n. 368/2001, come modificato dalla riforma Fornero di cui alla legge n. 92/2012 (che prevedeva la possibilita` di stipulare un contratto a termine a-causale nell’ambito del primo rapporto di lavoro subordinato e nel limite temporale massimo di dodici mesi), e` stata modificata nel senso che e` oggi possibile stipulare contratti a tempo determinato, anche nella forma della somministrazione, fino a trentasei mesi complessivi, senza necessita` di indicazione della relativa causale (9). Note: (5) L. Ratti, Somministrazione di lavoro e temporaneita` delle esigenze dell’impresa, in Lav. giur., 2010, 7, 705. Cfr. anche V. Speziale, Il contratto commerciale di somministrazione di lavoro, in Dir. rel. ind., 2004, 295 ss. (6) E. Vitiello, I nuovi rapporti di lavoro, Cedam, Padova, 2004, 19. (7) Chieco, Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore del terzo, Wp Csdle «Massimo D’Antona», n. 10/ 2004, 3, 14. (8) R. Romei, La somministrazione di lavoro dopo le recenti riforme, in Dir. rel. ind., 2012, 4, 971. (9) Peraltro, la vigente disciplina come introdotta dal legislatore del 2014, prevede ora anche la possibilita` che i contratti di lavoro a termine possano essere prorogati fino ad un numero massimo di cinque volte, «indipendentemente dal numero dei rinnovi», fermo restando il limite complessivo di durata dei trentasei mesi. Cosı`, in particolare, e` stata modificata la disposizione di cui all’articolo 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001: «E` consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato (10) di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 10, comma 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non puo` eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell’anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti e` sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato». Contestualmente, viene abrogato il comma 1-bis (11), mentre l’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 368/2001, come riformulato, precisa che «l’apposizione del termine di cui al comma 1 e` priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto». In difetto di forma scritta, pertanto, l’apposizione del termine resta priva di validita` ed efficacia ed il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. L’apposizione del termine, dunque, e` stata ‘‘liberalizzata’’ in modo rilevante, muovendo, tuttavia, dalla richiesta di specifica indicazione della data di termine del contratto. In altri termini, oggi il ricorso all’a-causalita` e` consentita fino a trentasei mesi e non piu`, dunque, circoscritta al primo rapporto di lavoro a tempo determinato di durata non superiore a dodici mesi, sia nella forma del contratto a tempo determinato, che in quella della missione nell’ambito di un contratto di somministrazione a termine. La nuova previsione, che sostanzialmente generalizza la disciplina della c.d. a-causalita`, viene, infatti, come detto, estesa anche al contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato. Non serve piu`, dunque, la causale per utilizzare un lavoratore con contratto di somministrazione a tempo determinato. Nel computo del periodo massimo di durata del contratto a tempo determinato, pari a trentasei mesi, si tiene altresı` conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi dell’articolo 20 del D.Lgs. n. 276/2003, relativamente, appunto, alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. Cosı`, infatti, sotto tale profilo, recita l’articolo 5, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 368/2001, come oggi riscritto: «Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente piu` rappresentative sul piano nazionale qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi com- prensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2; ai fini del suddetto computo del periodo massimo di durata del contratto a tempo determinato, pari a trentasei mesi, si tiene altresı` conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi dell’articolo 20 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato». Alla prima lettura del nuovo impianto legislativo residua il dubbio se le nuove norme (e, soprattutto, le limitazioni) dettate adesso per il contratto a tempo determinato siano o meno applicabili anche alla somministrazione di lavoro. Il predetto dubbio e` alimentato dal fatto che, ancora Note: (10) Le parole «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attivita` del datore di lavoro» sono state eliminate. (11) «1-bis. Il requisito di cui al comma 1 non e` richiesto: a) nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi comprensiva di eventuale proroga, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276; b) in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente piu` rappresentative sul piano nazionale. 2. L’apposizione del termine e` priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 1-bis relativamente alla non operativita` del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo». DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1703 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1704 una volta, il legislatore interviene con una serie di disposizioni che hanno come possibile destinataria tanto la disciplina sul contratto a termine, quanto quella della somministrazione a termine, generando, cosı`, confusione e alimentando difficolta` interpretative. Sul punto, e` possibile osservare come una complessiva lettura, specie sistematica, del riformulato quadro normativo non faccia trasparire una chiara volonta` legislativa di riferire le novita` di cui trattasi anche al contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato. In questa prospettiva e`, peraltro, possibile dare conto di un ordine del giorno del 5 maggio 2014 del Senato, accolto dal Governo, che impegna quest’ultimo ad operare, appunto, «in sede di interpretazione e applicazione dell’articolo 1 del D.L. nella sua nuova formulazione, confermando che i limiti di cui all’articolo 1, comma 1, e all’articolo 5, comma 4bis, secondo periodo, del D.Lgs. n. 368/2001, (...) sono esclusivamente riferibili al contratto a tempo determinato e non al lavoro somministrato tramite agenzia». Peraltro, l’autonomia dei due istituti non sembra essere intaccata dalla nuove disposizioni: si tratta di due istituti che rimangono, comunque, distinti sul piano concettuale, essendo il contratto a termine stipulato tra datore di lavoro e lavoratore, laddove quello di somministrazione intercorre tra agenzia per il lavoro e utilizzatore. I due schemi negoziali, del resto, hanno origini e finalita` diverse: da qui, a nostro avviso, l’errore nel tentativo di ‘‘trattare’’ gli stessi in maniera simbiotica, anche laddove si consideri che dalla disciplina comunitaria si evince una differente indicazione, come dimo- stra l’adozione di due distinte direttive (1999/70 per il contratto a termine, 2008/104 per la somministrazione). Conferma questa conclusione anche la Corte di giustizia europea secondo cui la direttiva (1999/70) sul contratto a tempo determinato non e` applicabile al rapporto di lavoro a tempo determinato tra lavoratore e agenzia di lavoro (12). Il dubbio, tuttavia, rimane e dunque, allo stato, riteniamo non sia possibile affermare con certezza che la somministrazione di lavoro a tempo determinato possa oggi essere stipulata sulla base del nuovo dettato normativo di cui all’articolo 1 del D.Lgs. n. 368/2001 senza subire i limiti propri dettati dalla predetta disciplina per il contratto a termine e, in particolare, il tetto del venti per cento, rispetto allo stabile organico, introdotto nella disciplina del contratto a termine. Il limite massimo di durata dei trentasei mesi non dovrebbe applicarsi all’azienda che utilizza il lavoratore somministrato. La durata massima e` illimitata per cio` che riguarda il contratto (commerciale) di somministrazione (quello, cioe`, sottoscritto tra utilizzatore e somministratore), mentre nessun limite (di legge) e` rinvenibile in ordine al numero di missioni che un lavoratore puo` svolgere presso il medesimo utilizzatore, rimanendo, dunque, il rapporto del lavoratore con l’agenzia regolato dal Ccnl Agenzie. Per cio` che concerne le proroghe vigono solo i limiti previsti dal predetto contratto (attualmente, sei proroghe nell’arco dei trentasei mesi), mentre non sussiste l’obbligo di pausa tra una missione e quella successiva, come, invece, previsto per i contratti a termine (c.d. stop and go). DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Infine, non e` previsto, per il lavoratore utilizzato con contratto di somministrazione, alcun diritto di precedenza e, soprattutto, come detto, non dovrebbe (il condizionale e` d’obbligo) essere applicabile il tetto del venti per cento, rispetto allo stabile organico, introdotto nella disciplina del contratto a termine, limiti, pero`, che possono essere previsti nel Ccnl dell’utilizzatore. Resta fermo che e` sempre possibile fare ricorso alla somministrazione a termine, salvi, ovviamente, i divieti di legge validi anche per il contratto a termine (ossia, sostituzione dei lavoratori in sciopero, omessa valutazione dei rischi, utilizzo nelle medesime mansioni dei lavoratori licenziati o sospesi nei sei mesi precedenti). Giurisprudenza sull’apposizione del termine L’articolo 2-bis della legge n. 78/2014 di conversione del D.L. n. 34/2014 precisa che «le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Sono fatti salvi gli effetti gia` prodotti dalle disposizioni introdotte dal presente decreto». Pertanto, i contratti stipulati prima del 21 marzo 2014 restano soggetti alla precedente disciplina, ragione per cui riteniamo opportuno riepilogare rapidamente quelli che sono gli arresti della giurisprudenza in materia di apposizione del termine al contratto di somministrazione di lavoro. Sappiamo che il contratto di Nota: (12) Corte di giustizia europea, 11 aprile 2013, causa C-290/12, Della Rocca c. Poste italiane Spa. antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. le, altrimenti privo di parametri certi ed oggettivi» (17). Insomma, l’obbligo di indicare le ragioni di ricorso alla somministrazione e` stato introdotto allo scopo di renderne possibile la verifica ed evitare comportamenti fraudolenti ed abusivi. L’indicazione di cui trattasi, pertanto, «non puo` consistere nel mero richiamo alla previsione generale di legge, occorrendo invece che le motivazioni siano espresse con riferimento alla concreta situazione di fatto che induce l’impresa utilizzatrice a far ricorso alla manodopera avventizia» (18). Sotto questo profilo la giurisprudenza ha precisato che «la clausola riportata nel contratto collettivo e` chiaramente una clausola generale, che richiede di essere specificata in relazione al singolo contratto di fornitura, con deduzione della situazione che lo giustifica. Ed e` altresı` evidente che la mera ripetizione della clausola contrattuale ovvero l’uso di formule lessicali che per la loro genericita` risultano prive di qualsiasi capacita` descrittiva delle ragioni del ricorso al lavoro temporaneo non e` sufficiente a sancirne la sua legittimita`» (19). La clausola appositiva del termine deve, dunque, ritenersi legittima qualora la stessa enunci per iscritto la concreta causa specifica della ragione giustificativa, «con dettagliata descrizione del perche´ si assume a termine e non a tempo indeterminato, non essendo sufficiente il mero richiamo alla causale astratta o la generica descrizione dell’esigenza produttiva» (20). L’apposizione del termine al contratto di lavoro deve, dunque, essere accompagnata, entro la data di invio del lavoratore presso l’utilizzatore, «dalla specificazione delle ragioni cioe` dalla loro indicazione in modo sufficientemente specifico, al fine di consentire il controllo ex ante ed ex post delle parti compreso il lavoratore - e del giudice in ordine all’effettiva ricorrenza delle ragioni imprenditoriali e alla coerente esecuzione del programma negoziale (...) in caso di difetto di specifica indicazione l’apposizione del termine e` nulla e quindi priva di effetto ex articolo 1 Note: (13) Tribunale Roma, 30 novembre 2010, n. 18986; Tribunale Roma, 25 novembre 2010; Tribunale Roma, 17 giugno 2010, inedite, a quanto consta. (14) Cfr. Tribunale Milano, 4 luglio 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, 4, 1089. Secondo il predetto Tribunale la richiesta specificazione e` giustificata da ragioni di trasparenza, nel senso che: «la specifica individuazione ex ante delle motivazioni del ricorso a un siffatto schema giuridico» consente «al lavoratore di conoscere le ragioni per cui e` stato assunto a termine e assicurare a questi e al giudice la controllabilita` della loro reale esistenza». (15) Cassazione, 3 aprile 2013, n. 8120, in Foro it., 2013, 6, I, 1923, nonche´ in Riv. it. dir. lav., 2013, 4, II, 827 (s.m.). (16) Cfr. Corte d’Appello Milano, 12 gennaio 2009, in Riv. critica dir. lav., 2009, 1, 138 (s.m.). (17) G. Cordedda, Le ragioni che legittimano il ricorso alla somministrazione di lavoro a termine: onere probatorio del soggetto utilizzatore e poteri di accertamento del giudice (nota a Tribunale Milano, 9 dicembre 2006), in Riv. critica dir. lav., 2007, 129 ss. Onere di specificazione che si spiegherebbe anche alla luce di ragioni di trasparenza ed al fine di assicurare la immodificabilita` delle esigenze che hanno indotto l’imprenditore ad avvalersi della somministrazione di lavoro, onde consentire, in un secondo momento, la verifica della corrispondenza tra l’esigenza dichiarata e quella effettiva (cfr. Corte d’Appello Bari, 26 gennaio 2012 e Tribunale Bergamo, 10 marzo 2011, inedite, a quanto consta). (18) Tribunale Parma, 7 agosto 2013, n. 290, inedita, a quanto consta. (19) Tribunale Bologna, 8 febbraio 2008, in Lav. giur., 2009, 1, 69, con nota di M.D. Ferrara, Indicazione delle ragioni giustificative nel contratto di somministrazione a termine, nonche´ in Riv. giur. lav., 2008, II, 946. Cfr. anche Tribunale Milano, 25 maggio 2010, in Riv. critica dir. lav., 2010, 4, 1084 (s.m.). (20) Corte d’Appello Firenze, 13 dicembre 2011, in Riv. critica dir. lav., 2012, 2, 452 ss. In senso conforme Tribunale Firenze, 14 febbraio 2012, ivi. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti somministrazione a tempo determinato deve (ossia doveva, per quanto appena sopra detto) prevedere per iscritto le concrete ragioni che giustificano il ricorso al contratto a termine. Le ragioni che inducono l’imprenditore ad utilizzare prestazioni di lavoro a tempo determinato devono, cioe`, essere «cristallizzate nel contratto di lavoro (...) ovvero nel contratto di somministrazione» (13). La legittimita` del contratto di somministrazione a tempo determinato e`, cioe`, subordinata alla specifica indicazione scritta, da parte del somministratore e dell’utilizzatore, delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che nel caso concreto e specifico hanno determinato l’esigenza dell’assunzione di cui si tratta (14). Tali ragioni devono non solo essere indicate per iscritto nel contratto, ma anche descritte, «in quella sede, con un grado di specificazione tale da consentire di verificare se rientrino nella tipologia di ragioni cui e` legata la legittimita` del contratto e da rendere possibile la verifica della loro effettivita`. L’indicazione, pertanto, non puo` essere tautologica, ne´ puo` essere generica. Non puo` risolversi in una parafrasi della norma, ma deve esplicitare il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta» (15). Peraltro, per esigenze di certezza del diritto e per consentire il controllo sull’effettiva sussistenza delle ragioni, le stesse devono non solo risultare per iscritto, ma anche essere comunicate (per iscritto) al lavoratore, assieme agli altri elementi del contratto di somministrazione (16). La specificazione delle ragioni, insomma, diviene «un prezioso ‘‘canone ermeneutico’’ per il controllo giurisdiziona- 1705 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1706 comma 2 del D.Lgs n. 368/ 2001» (21). La ragione di questo orientamento deve rinvenirsi nel fatto che il vincolo formale viene posto a presidio della «certezza del diritto» e del principio di «trasparenza» (22), per consentire al giudice il controllo sulla causale e, segnatamente, se questa, come indicata in contratto, sia «concretamente esistente e soprattutto se giustifichi una determinata durata del contratto piuttosto che una durata diversa» (23). In conclusione, il contratto di somministrazione privo dell’indicazione scritta relativa alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano il ricorso alla somministrazione a tempo determinato e` nullo (24). In questa prospettiva, la giurisprudenza riconosce alla indicazione scritta delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo un senso specifico ed una rilevanza proprio «(perche´ altrimenti si tratterebbe di una enunciazione di un requisito formale sostanzialmente privo di contenuto e rilevanza) se tali casi e ragioni sono specificati in contratto e, quindi, fin dal momento per cosı` dire genetico della fattispecie somministrazione di lavoro a tempo determinato» (25). Assenza di una specifica causale: conseguenze In caso di carente specificazione delle cause giustificative nel contratto di lavoro somministrato a termine trova (oggi per i soli contratti stipulati sotto il vigore della precedente disciplina normativa, come detto) direttamente applicazione la sanzione di cui all’articolo 27 del D.Lgs. n. 276/2003 e, cioe`, la costi- tuzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore, con effetto dall’inizio della somministrazione, anche considerato che ove le ragioni giustificative del contratto di somministrazione a termine non siano state specificate o siano state indicate in modo insufficiente, la clausola contenente il termine resta invalida per carenza di un suo elemento essenziale di carattere formale (26). Nel caso in cui la causale del contratto di somministrazione sia del tutto indeterminata, infatti, la stessa e` «inidonea a consentire il controllo delle parti e del giudice in ordine all’effettiva ricorrenza delle ragioni imprenditoriali e alla coerente esecuzione del programma negoziale» (27). Una parte della dottrina ritiene che l’orientamento giurisprudenziale prima indicato si traduca in una «intransigente reazione dei giudici di primo grado nei confronti della diffusa prassi di ripetere nel contratto di somministrazione a termine le formule generiche mutuate dal testo legislativo o dalla fonte collettiva» (28). Numerose, in effetti, le pronunce in tal senso (29). Secondo altra parte della giurisprudenza, invece, l’obbligo di specificazione delle causali deve essere sottoposto, nel contratto di somministrazione di lavoro, ad una meno rigorosa verifica rispetto a quella della fattispecie del contratto a termine: infatti, se sono identici i presupposti della somministrazione di lavoro e del contratto di lavoro a tempo determinato, soltanto per quest’ultimo la disciplina normativa prescrive la «specificazione» delle predette ragioni e da cio` non puo` che desumersene che nel contratto di sommini- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 strazione a termine sia richiesto qualcosa meno che nel contratto a termine (30). In qualche sentenza si legge anNote: (21) Corte d’Appello Brescia, 17 maggio 2012, n. 270, inedita, a quanto consta. (22) Corte d’Appello Milano, 12 gennaio 2009, in Riv. critica dir. lav., 2009, 145. (23) Tribunale Milano, 10 aprile 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, 421. (24) Cfr. Tribunale Milano, 13 marzo 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, 2, 413 (s.m.) (25) Corte d’Appello Bologna, 26 luglio 2011, inedita, a quanto consta. (26) Cfr. Tribunale Ascoli Piceno, 17 dicembre 2010, in Dir. lav. Marche, 2011, 1, 160. (27) Tribunale Bergamo, 15 giugno 2010, n. 500, in Lav. giur., 2011, 4, 402, secondo cui, nella fattispecie sottoposta a giudizio, «l’indicazione delle ragioni imprenditoriali (ricavabili, per relationem, dal contratto di assunzione ex articolo 21, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003) non risulta sufficientemente specifica e idonea a consentire il controllo, ex ante ed ex post, della loro effettivita`». Con particolare riferimento al difetto di contenuto forma delle ragioni giustificatrici v. Tribunale Milano, 10 aprile 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, 1, 413 ss., con nota di A. Beretta. (28) Cfr. M.D. Ferrara, Indicazione delle ragioni giustificative nel contratto di somministrazione a termine, in Lav. giur., 2009, 1, 71. (29) Si ricordano, a titolo esemplificativo, Tribunale Milano, 13 marzo 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, n. 2, 413 (s.m.); Tribunale Milano, 14 febbraio 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, n. 2, 413 (s.m.); Tribunale Milano, 9 dicembre 2006, cit. 1, 126. Contra, pero`, Tribunale Milano, 12 ottobre 2006, in Riv. critica dir. lav., 2007, n. 2, 414; Tribunale Monza, 22 novembre 2005, in Riv. critica dir. lav., 2006, n. 1, 327. (30) Si iscrivono a siffatto orientamento, ad esempio, Tribunale Treviso, 27 luglio 2011, inedita, a quanto consta; Tribunale Vicenza, 17 febbraio 2011, n. 1378, in Dir. rel. ind., 2011, 4, 1136. In tal ottica, e` stato evidenziato che, «nell’interpretazione della legge, le esigenze temporanee possano essere individuate con formulazioni generiche nell’ambito delle quali sono sussumibili diverse fattispecie concrete», cio` che risponderebbe all’intenzione del legislatore di «fornire all’imprenditore uno strumento di flessibilita` molto piu` significativo» (Tribunale Milano, 21 marzo 2006, in Lav. giur., 2006, 1136). Nello stesso senso in altra decisione si afferma che «la causale inserita nel contratto di natura commerciale che intercorre tra la societa` fornitrice ed il lavoratore non puo` essere tacciata di genericita`, essendo al contrario sufficientemente specifica e dettagliata, qualora essa faccia riferimento alla necessita` dell’utilizzatore di coprire un fabbisogno di personale a fronte di una situazione non ancora stabilizzata» (Tribunale Milano, 26 novembre 2008, in Or. giur. lav., 2008, 944). lavo-30-ins.indd 1 Tariffa R.O.C.: Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano Anno XXXI, 26 luglio 2014, n. 30 - Direzione e Redazione: Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (Mi) - Diritto & Pratica del Lavoro n. 30 del 26 luglio 2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 30 2014 Inserto La giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di lavoro a cura di A. Fenoglio e F. Savino 15/07/14 09:54 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Sommario 1. Libera circolazione dei lavoratori ............................................................................................. 1.1. Lavoratori extracomunitari: accordi con Stati terzi 2. Sicurezza sociale dei lavoratori migranti ..................................................................... VI ..................................................................................... VI ........................................................ VIII ........................................................................... VIII ............................................................................................. XI ................................................................................................................. XII 3. Formazione professionale e riconoscimento di titoli e diplomi 4. Parita` di trattamento fra lavoratori e lavoratrici 4.1. Discriminazioni non di genere 5. Lavoro a termine 6. Licenziamenti collettivi .......................................................................................................... XIV ........................................................................................................ XIV .................................................................................................................. XV 7. Trasferimento d’impresa 8. Diritto sindacale III MILANOFIORI ASSAGO, Strada 1, Palazzo F6, Tel. 02.82476.090 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. La giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di lavoro Rassegna delle decisioni del primo quadrimestre 2014 a cura di Anna Fenoglio - Ricercatore nell’Universita` di Torino e Francesca Savino - Dottore di ricerca nell’Universita` di Genova 1. Libera circolazione dei lavoratori Corte di giustizia 16 gennaio 2014, causa C423/12, Flora May Reyes contro Migrationsverket L’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/ 38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/Cee, 68/360/Cee, 72/ 194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee, 75/35/Cee, 90/ 364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee, deve essere interpretato nel senso che non consente ad uno Stato membro di esigere che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, il discendente diretto di eta` pari o superiore a 21 anni dimostri, per poter essere considerato a carico e rientrare, quindi, nella nozione di «familiare» contenuta in tale disposizione, di avere inutilmente tentato di trovare un lavoro o di ricevere un aiuto per il proprio sostentamento dalle autorita` del suo paese d’origine e/o di aver tentato con ogni altro mezzo di garantire il proprio sostentamento. L’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/ 38 deve essere interpretato nel senso che il fatto che un familiare sia considerato, alla luce di circostanze personali quali l’eta`, le qualifiche professionali e lo stato di salute, dotato di ragionevoli possibilita` di INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 trovare un lavoro e, inoltre, intenda lavorare nello Stato membro ospitante resta irrilevante ai fini dell’interpretazione della condizione di essere «a carico», prevista da detta disposizione. Com’e` noto, la direttiva 2004/38 riconosce il diritto a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri anche ai discendenti diretti di cittadini dell’Unione di eta` superiore a 21 anni purche´ siano a loro carico. Chiamata a precisare la nozione della «vivenza a carico», la Corte pone l’accento sulla necessaria esistenza di una reale situazione di dipendenza del discendente dal cittadino dell’Unione che si e` avvalso della liberta` di circolazione oppure dal coniuge dello stesso: dipendenza che e` certamente ravvisabile qualora, come nel caso di specie, un cittadino dell’Unione effettui regolarmente, per un periodo considerevole, il versamento di somme di denaro al proprio familiare al fine di aiutarlo a sopperire ai suoi bisogni essenziali nello Stato d’origine. In una simile situazione non puo` essere richiesto al discendente di dimostrare di avere inutilmente tentato di trovare un lavoro o di ricevere un aiuto al sostentamento dalle autorita` del paese d’origine e/o di aver tentato con ogni altro mezzo di assicurare il proprio sostentamento: la richiesta di una simile prova renderebbe infatti eccessivamente difficile la possibilita` per quest’ultimo di beneficiare del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante. Sono inoltre del tutto irrilevanti ai fini dell’interpreIII antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. tazione della condizione di «vivenza a carico» le eventuali prospettive di ottenere un lavoro nello Stato membro ospitante, che consentirebbero al discendente del cittadino dell’Unione di non essere piu` a carico di quest’ultimo: se cosı` non fosse, infatti, verrebbe di fatto impedito al familiare di cercare un lavoro nello Stato membro ospitante, violando l’articolo 23 della direttiva che autorizza espressamente quest’ultimo, qualora benefici del diritto di soggiorno, ad intraprendere un’attivita` economica a titolo di lavoratore subordinato o autonomo. Corte di giustizia 16 gennaio 2014, causa C378/12, Nnamdi Onuekwere contro Secretary of State for the Home Department L’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/Cee, 68/360/Cee, 72/ 194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee, 75/35/Cee, 90/ 364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee, dev’essere interpretato nel senso che i periodi di detenzione nello Stato membro ospitante di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che ha acquisito il diritto di soggiorno permanente in tale Stato membro durante detti periodi, non possono essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione, da parte di tale cittadino, del diritto di soggiorno permanente ai sensi di tale disposizione. L’articolo 16, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/ 38 dev’essere interpretato nel senso che la continuita` del soggiorno e` interrotta da periodi di detenzione nello Stato membro ospitante di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che ha acquisito il diritto di soggiorno permanente in detto Stato membro durante tali periodi. Corte di giustizia 16 gennaio 2014, causa C400/12, Secretary of State for the Home Department contro M.G. L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/Cee, 68/360/Cee, 72/ 194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee, 75/35/Cee, 90/ 364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee, deve essere interpretato nel senso che il periodo di soggiorno decennale previsto da tale disposizione deve essere, in liIV nea di principio, continuativo e calcolato a ritroso, a partire dalla data della decisione di allontanamento della persona di cui trattasi. L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che un periodo di detenzione della persona di cui trattasi e` in linea di principio idoneo ad interrompere la continuita` del soggiorno, ai sensi di tale disposizione, e ad incidere sulla concessione della protezione rafforzata da essa prevista, compreso il caso in cui tale persona abbia soggiornato nello Stato membro ospitante duranti i dieci anni precedenti la sua detenzione. Tuttavia, tale circostanza puo` essere presa in considerazione nella valutazione globale richiesta per determinare se i legami di integrazione precedentemente creatisi con lo Stato membro ospitante siano stati o meno infranti. Nelle due pronunce in epigrafe, la Corte e` chiamata a valutare se i periodi di detenzione possono essere presi in considerazione ai fini, rispettivamente, dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente dei cittadini di Paesi terzi familiari di un cittadino dell’Unione e dell’ottenimento di una protezione rafforzata contro provvedimenti di allontanamento dal territorio di uno Stato membro per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza nei confronti dei cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante durante i precedenti dieci anni. Nel rispondere negativamente ad entrambe le domande, la Corte chiarisce che la direttiva 2004/38 mira a rafforzare il sentimento di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione, motivo per cui l’ottenimento del diritto di soggiorno permanente e della protezione rafforzata contro provvedimenti di allontanamento e` subordinato all’integrazione del cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante: integrazione che puo` essere desunta non solo da elementi spaziali e temporali, ma anche da elementi qualitativi. Secondo la Corte, in particolare, il fatto che il giudice nazionale abbia inflitto una pena detentiva senza sospensione e` idoneo a dimostrare il mancato rispetto, da parte della persona di cui trattasi, dei valori espressi dalla societa` dello Stato membro ospitante nel diritto penale di quest’ultimo. Corte di giustizia 12 marzo 2014, causa C456/12, O. contro Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel, e Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel contro B. L’articolo 21, paragrafo 1, Tfue deve essere interpretato nel senso che, in una situazione in cui un cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino di un paese terzo nel corso di un soggiorno effettivo, ai sensi e nel rispetto delle condizioni enunciate agli articoli INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 7, paragrafi 1 e 2, o 16, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/Cee, 68/360/Cee, 72/194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee, 75/35/Cee, 90/364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee, in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza, le disposizioni della medesima direttiva si applicano per analogia quando detto cittadino dell’Unione ritorni, con il familiare interessato, nel proprio Stato membro d’origine. Di conseguenza, le condizioni per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare del menzionato cittadino dell’Unione, nello Stato membro d’origine di quest’ultimo non dovrebbero, in via di principio, essere piu` severe di quelle previste dalla citata direttiva per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che si e` avvalso del proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza. La Corte e` qui chiamata ad affrontare il caso di un cittadino dell’Unione che, nel corso di un soggiorno in uno Stato membro ospitante, ha sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino di un Paese terzo, al fine di chiarire se - qualora il cittadino dell’Unione faccia ritorno nel proprio Paese di origine - le disposizioni della direttiva 2004/38 e l’articolo 21, paragrafo 1, Tfue impediscano a tale Stato membro di rifiutare il diritto di soggiorno al familiare interessato. Nell’affrontare tale questione i giudici di Lussemburgo ricordano che gli eventuali diritti conferiti ai cittadini di Paesi terzi dalle disposizioni in questione sono diritti derivati dall’esercizio della liberta` di circolazione da parte di un cittadino dell’Unione: motivo per cui non puo` essere riconosciuto un diritto di soggiorno derivato a favore di cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui quest’ultimo possieda la cittadinanza. La Corte e` tuttavia ben consapevole che se nel caso in questione non fosse riconosciuto un diritto di soggiorno derivato al proprio familiare, il cittadino dell’Unione - non avendo la certezza di poter proseguire nello Stato membro di origine una vita familiare con i propri stretti congiunti - sarebbe indotto a lasciare la propria patria al fine di avvalersi del suo diritto di soggiorno in un altro Stato membro. Al fine di attribuire efficacia pratica all’articolo 21, paragrafo 1, Tfue, si deve dunque ritenere che al ritorno in patria del cittadino dell’Unione il familiare possa beneficiare del diritto di soggiorno derivato. E` pero` chiaro che INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 l’applicazione delle norme del diritto dell’Unione non puo` estendersi fino alla tutela di pratiche abusive che, pur rispettando formalmente le condizioni previste dalla normativa dell’Unione, perseguano l’obiettivo di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento; ne´ il diritto di soggiorno derivato per un familiare del cittadino dell’Unione puo` sorgere dal cumulo di vari soggiorni di breve durata, come fine settimana o vacanze trascorse in uno Stato membro diverso da quello di cui quest’ultimo possiede la cittadinanza. Corte di giustizia 12 marzo 2014, causa C457/12, S. contro Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel, e Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel contro G. Le disposizioni della direttiva 2004/38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed abroga le direttive 64/ 221/Cee, 68/360/Cee, 72/194/Cee, 73/148/Cee, 75/ 34/Cee, 75/35/Cee, 90/364/Cee, 90/365/Cee e 93/ 96/Cee, devono essere interpretate nel senso che non ostano a che uno Stato membro rifiuti il diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, quando tale cittadino possiede la cittadinanza di detto Stato membro e risiede in questo medesimo Stato, ma si reca regolarmente in un altro Stato membro nell’ambito delle sue attivita` professionali. L’articolo 45 Tfue deve essere interpretato nel senso che attribuisce al familiare di un cittadino dell’Unione, cittadino di un paese terzo, un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza, allorche´ detto cittadino risiede in quest’ultimo Stato, ma si reca regolarmente in un altro Stato membro in quanto lavoratore ai sensi della menzionata disposizione, quando il rifiuto di un siffatto diritto di soggiorno ha un effetto dissuasivo sull’esercizio effettivo dei diritti che al lavoratore interessato derivano dall’articolo 45 Tfue, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. Alla Corte e` chiesto di chiarire se le disposizioni della direttiva 2004/38 e gli articoli 20 Tfue, 21, paragrafo 1, Tfue e 45 Tfue impediscano ad uno Stato membro di rifiutare il diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che - nel svolgere la sua attivita` professionale - si rechi regolarmente in uno Stato membro diverso da quello in cui ha la cittadinanza. Nell’affrontare tale questione, la Corte precisa che l’articoV antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. lo 45 Tfue deve essere interpretato in modo tale che, in un simile caso, al familiare sia riconosciuto un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro d’origine del cittadino dell’Unione, qualora sia accertato che il rifiuto del diritto di soggiorno possa avere un effetto dissuasivo sull’esercizio effettivo del diritto alla libera circolazione dei lavoratori. Tale circostanza deve essere verificata dal giudice del rinvio, che deve tenere in adeguata considerazione gli elementi di fatto che emergono dal caso di specie. In particolare, il fatto che il cittadino del Paese terzo si occupi del figlio del cittadino dell’Unione puo` costituire un elemento rilevante - ma di per se´ non sufficiente - che deve essere preso in considerazione dal giudice del rinvio al fine di verificare se il rifiuto di concedere un diritto di soggiorno a favore del familiare possa avere un carattere dissuasivo relativamente all’esercizio effettivo dei diritti derivanti dall’articolo 45 Tfue. 1.1 Lavoratori extracomunitari: accordi con Stati terzi Corte di giustizia 27 febbraio 2014 causa C656/11, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, sostenuto da Irlanda, v. Consiglio dell’Unione europea, sostenuto da Repubblica francese e Commissione europea Il ricorso presentato da Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord per l’annullamento della decisione 2011/863/Ue del Consiglio del 16 dicembre 2011 e` respinto dal momento che lo scopo principale della decisione impugnata e`, in seguito all’entrata in vigore della nuova normativa dell’Unione in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, quello di attualizzare anche la disciplina che e` stata estesa alla Confederazione svizzera dall’accordo Ce-Svizzera sulla libera circolazione delle persone, e di continuare quindi a mantenere l’estensione dei diritti sociali a favore dei cittadini degli Stati interessati gia` voluta e operata da detto accordo CeSvizzera fin dal 2002. Pertanto, tale decisione poteva essere validamente adottata sulla base dell’articolo 48 Tfue. Nel caso di specie la Corte e` stata investita del ricorso proposto da Regno Unito e Irlanda del Nord per l’annullamento della decisione 2011/863 del Consiglio relativa alla posizione dell’Unione europea in seno al Comitato misto istituito in base all’accordo tra la Comunita` europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera dall’altra, in tema di libera circolazione delle persone, e in particolare riguardo alla sostituzione dell’allegato II di tale accordo sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Tra i motivi del ricorso, il Regno Unito, sostenuto dall’Irlanda, censura il Consiglio per aver considerato l’articolo 48 Tfue VI quale base giuridica sostanziale della decisione impugnata. Nell’affrontare la questione, la Corte ricorda innanzitutto che l’accordo Ce-Svizzera sulla libera circolazione delle persone e` stato approvato con la decisione 2002/309 sulla base dell’articolo 310 Ce (divenuto articolo 217 Tfue); per quanto concerne il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, l’articolo 8 dell’accordo riprende le disposizioni che compaiono all’articolo 48, lettere a) e b), Tfue e che sono dirette a garantire, da una parte, il calcolo totale, ai fini della concessione e del mantenimento del diritto alle prestazioni nonche´ per il calcolo delle medesime, di tutti i periodi presi in considerazione dalle diverse legislazioni nazionali e, dall’altra, il pagamento delle prestazioni alle persone residenti sul territorio degli Stati membri (a cui la Confederazione svizzera, in virtu` dell’accordo stesso, e` assimilabile). L’Unione ha cosı` esteso alla Confederazione svizzera l’applicazione della sua regolamentazione in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, allora contenuta nei regolamenti 1408/71 e 574/72 (ora abrogati e sostituiti dai regolamenti 883/2004 e 987/2009). Questi ultimi regolamenti hanno lo scopo di sostituire le norme di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, modificate e aggiornate piu` volte per tenere conto degli sviluppi intervenuti al livello dell’Unione, ivi incluse le sentenze della Corte, nonche´ delle modifiche apportate alle legislazioni nazionali, modernizzando e semplificando tali norme. Per questi motivi, la decisione impugnata e` legittima in quanto diretta, in ragione di tale evoluzione, ad aggiornare l’allegato II sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale integrandovi i regolamenti 883/2004 e 987/2009, allo scopo di salvaguardare un’applicazione coerente e corretta degli atti giuridici dell’Unione ed evitare difficolta` amministrative, ed eventualmente giuridiche. 2. Sicurezza sociale dei lavoratori migranti Corte di giustizia 27 febbraio 2014, causa C32/13, Petra Wu¨rker v. Familienkasse Nu¨rnberg L’articolo 77, paragrafo 1, del regolamento (Cee) 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunita`, nella sua versione modificata e aggiornata dal regolamento (Ce) 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996, come modificato dal regolamento (Ce) 592/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, deve essere interpretato nel senso che una prestazione come la pensione per l’educazione dei figli prevista all’artiINSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. colo 47, paragrafo 1, del sesto libro del codice della sicurezza sociale (Sozialgesetzbuch, Sechstes Buch), concessa, in caso di decesso, all’ex coniuge del defunto ai fini dell’educazione dei figli di questo ex coniuge, non puo` essere assimilata a una «pensione o [a] una rendita di vecchiaia, di invalidita`, di infortunio sul lavoro, o di malattia professionale», ai sensi di detta disposizione del medesimo regolamento. L’articolo 67 del regolamento (Ce) 883/ 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel senso che una prestazione come la pensione per l’educazione dei figli prevista all’articolo 47, paragrafo 1, del sesto libro del codice della sicurezza sociale rientra nella nozione di «pensione», ai sensi di detto articolo 67. Nel caso di specie il giudice del rinvio ha domandato alla Corte se l’articolo 77, par. 1, del regolamento 1408/71, debba essere interpretato nel senso che una prestazione come la pensione per l’educazione dei figli prevista in Germania, la quale e` concessa, in caso di decesso, all’ex coniuge del defunto per l’educazione dei figli di questo ex coniuge, possa essere assimilata a una «pensione o [a] una rendita di vecchiaia, di invalidita`, di infortunio sul lavoro, o di malattia professionale», ai sensi della citata disposizione del medesimo regolamento. La Corte, considerando che una prestazione come la pensione per l’educazione dei figli prevista dall’Sgb VI presenta maggiormente le caratteristiche di una pensione versata in caso di decesso, come una pensione di reversibilita`, piuttosto che quelle di una delle categorie di pensioni o di rendite specificamente elencate nella disposizione sopra citata, vale a dire le pensioni o le rendite «di vecchiaia, di invalidita`, di infortunio sul lavoro, o di malattia professionale», risponde negativamente. Corte di giustizia 30 aprile 2014, causa C-250/ 13, Birgit Wagener v. Bundesagentur fu¨r Arbeit Familienkasse VillingenSchwenningen In circostanze come quelle del procedimento principale, la conversione valutaria di assegni familiari deve essere effettuata conformemente all’articolo 107, paragrafo 6, del regolamento (Cee) 574/72 del Consiglio, del 21 marzo 1972, che stabilisce le modalita` di applicazione del regolamento (Cee) 1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunita`, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (Ce) 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996, come modificato dal regolamento (Ce) 1386/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2001. L’articolo 107, paragrafo 6, del regolamento 574/72, nella INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 versione modificata e aggiornata dal regolamento 118/97, come modificato dal regolamento 1386/ 2001, deve essere interpretato nel senso che la conversione valutaria di assegni familiari, quali quelli oggetto del procedimento principale, ai fini del calcolo dell’integrazione differenziale degli assegni familiari ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento, deve essere effettuata al corso ufficiale di cambio del giorno del pagamento di tali assegni da parte dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore in questione svolge un’attivita` subordinata. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte anche in questo caso sulla concessione degli assegni per figli a carico in Germania. Questi i fatti all’origine della causa: i coniugi Wagener risiedono in Germania con i tre figli; la signora Wagener non esercita alcuna attivita` lavorativa, mentre il signor Wagener svolge un’attivita` lavorativa subordinata in Svizzera dal 2006; a motivo di tale attivita` ha percepito, in franchi svizzeri, diversi assegni familiari per i suoi tre figli. Tuttavia, contemporaneamente, il signor Wagener ha percepito assegni per figli a carico anche in Germania: dato che la Familienkasse non era stata informata dell’esercizio dell’attivita` professionale del signor Wagener in Svizzera, tali assegni sono stati corrisposti per intero. Al fine di garantire l’effetto utile delle norme anticumulo dirette a garantire al beneficiario di prestazioni corrisposte da piu` Stati membri un importo complessivo delle prestazioni identico a quello della prestazione piu` favorevole a cui ha diritto in virtu` della legislazione di uno solo di tali Stati, l’articolo 107 del regolamento 574/72 deve essere inteso nel senso di riferirsi alla conversione delle prestazioni pagate dallo Stato di svolgimento dell’attivita` lavorativa ove tale pagamento si effettui in qualunque ipotesi, mentre il pagamento delle prestazioni previste dallo Stato di residenza si effettua soltanto a determinate condizioni, ed e` dunque condizionato e incerto. In una controversia come quella di cui al procedimento principale, conclude la Corte, il beneficiario degli assegni familiari corrisposti dallo Stato di svolgimento dell’attivita` lavorativa risiede nello Stato membro che concede l’integrazione differenziale degli assegni familiari cosicche´ gli assegni versati dallo Stato di svolgimento dell’attivita` lavorativa sono trasferiti allo Stato di residenza: solo dopo il pagamento di tale prestazione da parte dello Stato di svolgimento dell’attivita` lavorativa e della conversione del suo importo nella valuta dello Stato di residenza, l’interessato puo` beneficiare di tale integrazione in quest’ultimo Stato qualora l’importo convertito sia inferiore a quello della medesima prestazione dovuta a titolo della legislazione dello Stato di residenza. VII antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 3. Formazione professionale e riconoscimento di titoli e diplomi Corte di giustizia 30 aprile 2014, causa C-365/ 13, Ordre des architectes contro E´tat belge Gli articoli 21 e 49 della direttiva 2005/36/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, come modificata dal regolamento (Ce) 279/2009 della Commissione, del 6 aprile 2009, devono essere interpretati nel senso che ostano a che lo Stato membro ospitante richieda al titolare di una qualifica professionale ottenuta nello Stato membro d’origine e prevista agli allegati V, punto 5.7.1, o VI, di tale direttiva, di effettuare un tirocinio o dimostrare che possiede un’esperienza professionale equivalente per essere autorizzato a esercitare la professione d’architetto. Chiamata a chiarire se gli articoli 21 e 49 della direttiva 2005/36 impediscano ad uno Stato membro ospitante di richiedere al titolare di una qualifica professionale ottenuta nello Stato membro d’origine di effettuare un tirocinio oppure dimostrare il possesso di un’esperienza professionale equivalente per essere autorizzato ad esercitare la professione, la Corte rimarca innanzitutto che scopo della direttiva e` quello di garantire il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali con riferimento ad un certo numero di professioni regolamentate al fine di consentire l’accesso, nello Stato membro ospitante, alla stessa professione per la quale il soggetto e` qualificato nello Stato membro d’origine e di esercitarla sul suo territorio alle medesime condizioni dei cittadini. Tale direttiva, peraltro, non lascia alcun margine di discrezionalita` agli Stati membri: mentre la direttiva 85/38 prevedeva la possibilita` per gli Stati membri di imporre condizioni di tirocinio complementari ai titolari di titoli di formazione rilasciati da un altro Stato membro anche qualora tali titoli beneficiassero del reciproco riconoscimento (articolo 23, paragrafo 1), la direttiva 2005/36 ha infatti soppresso tale facolta`. 4. Parita` di trattamento fra lavoratori e lavoratrici Corte di giustizia 13 febbraio 2014, cause riunite C-512/11 e C-513/11, Terveys- ja sosiaalialan neuvotteluja¨rjesto¨ (TSN) ry v. Terveyspalvelualan Liitto ry, con l’intervento di Mehila¨inen Oy (C-512/11), e Ylemma¨t Toimihenkilo¨t (YTN) ry v. Teknologiateollisuus ry, Nokia Siemens Networks Oy (C-513/11) La direttiva 96/34/Ce del Consiglio, del 3 giugno VIII 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’Unice, dal Ceep e dalla Ces, deve essere interpretata nel senso che osta ad una disposizione di diritto nazionale, come quella prevista dai contratti collettivi di cui trattasi nei procedimenti principali, in virtu` della quale una lavoratrice gestante che interrompe un congedo parentale non retribuito ai sensi di tale direttiva per prendere, con effetto immediato, un congedo di maternita` ai sensi della direttiva 92/85/Cee del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/Cee) non beneficia del mantenimento della retribuzione alla quale avrebbe avuto diritto se tale congedo di maternita` fosse stato preceduto da un periodo minimo di ripresa del lavoro. Con le domande di pronuncia pregiudiziale qui riunite e` stato chiesto alla Corte di chiarire se e` legittimo che un datore di lavoro rifiuti di corrispondere la retribuzione spettante alle sue lavoratrici durante un congedo di maternita`, giustificando tale rifiuto col fatto che i congedi di maternita` richiesti da tali lavoratrici hanno interrotto dei congedi parentali non retribuiti, connessi alla nascita del primo figlio. La Corte si premura immediatamente di precisare che la scelta di una lavoratrice di esercitare il suo diritto al congedo parentale non dovrebbe pregiudicare le condizioni di esercizio del suo diritto a prendere un altro congedo (nel caso di specie, un congedo di maternita` richiesto in seguito ad una seconda gravidanza). Ora, l’effetto di una condizione come quella di cui trattasi e` quindi di obbligare una lavoratrice, al momento dell’adozione della sua decisione di prendere un congedo parentale non retribuito, a rinunciare in anticipo ad un congedo di maternita` retribuito, come previsto dai contratti collettivi applicabili, qualora questa avesse bisogno di interrompere il suo congedo parentale per prendere immediatamente dopo un congedo di maternita`. In queste circostanze, e` chiaro che una lavoratrice sarebbe incitata a non usufruire di siffatto congedo parentale; questa condizione pregiudica l’effetto utile della direttiva 96/34 ed e`, pertanto, illegittima. Corte di giustizia 27 febbraio 2014, causa C588/12, Lyreco Belgium NV v. Sophie Rogiers La clausola 2, punto 4, dell’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995, contenuto nell’allegato della direttiva 96/34/Ce del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’Unice, dal Ceep e dalla Ces, come modificata dalla direttiva 97/75/Ce del Consiglio, del 15 dicembre 1997, INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. esaminata alla luce tanto degli obiettivi perseguiti da tale accordo quadro quanto del punto 6 della medesima clausola, deve essere interpretata nel senso che essa osta a che l’indennita` forfetaria di tutela dovuta ad un lavoratore che fruisce di un congedo parentale a tempo parziale, in caso di risoluzione unilaterale da parte del datore di lavoro, senza motivo grave o adeguato, del contratto di tale lavoratore assunto a tempo indeterminato e a tempo pieno, sia determinata sulla base della retribuzione diminuita percepita da quest’ultimo alla data del suo licenziamento. Nel caso di specie, la domanda di pronuncia pregiudiziale e` stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra la Lyreco Belgium NV e la signora Rogiers in merito al calcolo dell’indennita` forfetaria di tutela a lei dovuta a seguito del suo licenziamento illegittimo, che ha avuto luogo durante un congedo parentale a tempo parziale. Assunta a tempo pieno, la signora Rogiers ha lavorato in Belgio presso la societa` Lyreco in forza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato; rimasta incinta, ha fruito di un congedo di maternita`, che ha prolungato con un congedo parentale di quattro mesi a tempo parziale. A decorrere dall’inizio del congedo parentale, la Lyreco ha risolto il contratto di lavoro della signora Rogiers con un preavviso di cinque mesi. La giustizia belga ha condannato la Lyreco al pagamento dell’indennita` forfetaria di tutela in quanto nessun motivo grave o adeguato giustificava la risoluzione unilaterale del contratto di lavoro durante il congedo parentale. Adita in appello, la Corte del lavoro di Anversa ha sospeso il procedimento e ha chiesto alla Corte di giustizia se, in un caso siffatto, l’indennita` forfetaria debba essere calcolata sulla base della retribuzione diminuita percepita dal lavoratore alla data del suo licenziamento, come sostenuto dalla Lyreco. La Corte ricorda che l’indennita` forfetaria di tutela belga costituisce una misura destinata a proteggere i lavoratori dal licenziamento illegittimo causato dalla domanda o dalla fruizione di un congedo parentale. Tale misura di tutela sarebbe privata di gran parte del suo effetto utile se l’indennita` fosse determinata sulla base non della retribuzione a tempo pieno, bensı` della retribuzione diminuita versata durante un congedo parentale a tempo parziale; un siffatto metodo di calcolo, infatti, potrebbe non produrre un effetto dissuasivo sufficiente ad impedire il licenziamento illegittimo dei lavoratori. Questa valutazione e` confortata dal fatto che, conformemente al diritto dell’Unione, i diritti acquisiti dal lavoratore alla data di inizio del congedo parentale (cioe` l’insieme dei diritti e dei vantaggi che derivano dal rapporto di lavoro) devono restare immutati fino alla fine del congedo. Il diritto ad ottenere un’indennita` forfetaria di tutela in caso di risoluzione unilaterale del contratto senza INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 motivo grave o adeguato fa parte dei diritti acquisiti, in quanto tale indennita` e` dovuta a motivo dell’impiego svolto dal lavoratore e che quest’ultimo avrebbe continuato a svolgere in assenza del licenziamento illegittimo. Corte di giustizia 6 marzo 2014, causa C-595/ 12, L. N. v. Ministero della giustizia - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria L’articolo 15 della direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunita` e della parita` di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternita` da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare a un corso di formazione successivo, del quale tuttavia resta incerto il periodo di svolgimento. L’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 non si applica a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che non riserva una determinata attivita` ai soli lavoratori di sesso maschile, ma ritarda l’accesso a tale attivita` da parte delle lavoratrici che non abbiano potuto giovarsi di una formazione professionale completa a causa di un congedo di maternita` obbligatorio. Le disposizioni degli articoli 14, paragrafo 1, lettera c), e 15 della direttiva 2006/54 sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto. In questo caso la domanda di pronuncia pregiudiziale e` stata presentata nell’ambito di una controversia insorta tra la signora N. e il Ministero della giustizia - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ed ha ad oggetto l’esclusione della signora N. da un corso di formazione per l’assunzione della qualifica di vice commissario di polizia penitenziaria; tale esclusione e` stata determinata dal fatto che la ricorrente e` stata assente dal corso di formazione citato per piu` di trenta giorni, assenza motivata da un congedo obbligatorio di maternita`. Nella sua sentenza, la Corte ricorda innanzitutto che un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternita` costituisce una discriminazione basata sul sesso; alla fine del periodo di congedo per maternita`, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza. Nel caso di specie, e` pacifico che il corso dal IX antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. quale la signora N. e` stata esclusa a causa del congedo di maternita` fa parte delle condizioni di lavoro, in quanto tale corso era tenuto nel contesto del rapporto di lavoro ed era finalizzato a prepararla a un esame che, se superato, le avrebbe permesso di accedere a un livello di carriera superiore. L’esclusione dal corso di formazione a causa del congedo ha avuto un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro della signora N.: infatti, i suoi colleghi hanno avuto la possibilita` di seguire tale corso per intero e di accedere, prima di lei, al superiore livello di carriera di vice commissario, percependo al contempo la retribuzione corrispondente. Pertanto, l’esclusione dal corso di formazione e il conseguente divieto di partecipare all’esame hanno comportato per la signora N. la perdita di un’opportunita` di beneficiare, al pari dei suoi colleghi, di migliori condizioni di lavoro e devono pertanto essere considerati quali integranti un trattamento sfavorevole. Per garantire l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne, prosegue la Corte, gli Stati membri dispongono di un certo margine discrezionale: le autorita` nazionali potrebbero conciliare l’esigenza della formazione completa dei candidati con i diritti della lavoratrice, predisponendo all’occorrenza, per colei che rientra da un congedo di maternita`, corsi paralleli di recupero equivalenti, di modo che la lavoratrice possa essere ammessa in tempo utile all’esame e accedere quindi il prima possibile a un livello superiore di carriera. In tal modo l’evoluzione della carriera della lavoratrice non risulterebbe rallentata rispetto a quella di un collega di sesso maschile vincitore dello stesso concorso e ammesso allo stesso corso di formazione iniziale. La Corte sottolinea, infine, che le disposizioni della direttiva sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto. Pertanto, il giudice nazionale incaricato di applicarle ha l’obbligo di garantirne la piena efficacia disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale contraria. Corte di giustizia 18 marzo 2014, causa C363/12, Z. v. A. Government department, The Board of management of a community school La direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunita` e della parita` di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, in particolare agli articoli 4 e 14, deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternita` a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternita` surrogata, in qualita` di madre committente. La situazione di una simile madre committente in ordine al riconoscimento di un congedo di adozioX ne non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva. La direttiva 2000/78/Ce del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parita` di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sull’handicap il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternita` o a un congedo di adozione a una lavoratrice che sia incapace di sostenere una gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternita` surrogata. La validita` di tale direttiva non puo` essere esaminata in riferimento alla convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilita`, ma la stessa direttiva deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a detta convenzione. Corte di giustizia 18 marzo 2014, causa C167/12, C.D. v. S.T. La direttiva 92/85/Cee del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/Cee), deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere un diritto al congedo di maternita` ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva a una lavoratrice che, in qualita` di madre committente, abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternita` surrogata, nemmeno quando, dopo la nascita, essa effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. Il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafi 1, lettere a) e b), e 2, lettera c), della direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunita` e della parita` di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, deve essere interpretato nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il rifiuto di un datore di lavoro di riconoscere un congedo di maternita` a una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternita` surrogata. Entrambi i casi qui segnalati riguardano la richiesta, da parte di una madre committente che ha avuto un figlio mediante un contratto di maternita` surrogata, di avere il diritto ad un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternita` o a un congedo di adozione; tali richieste sono state respinte con la motivazione che le lavoratrici interessate non sono mai state incinte e che i bambini non sono mai stati adottati dai genitori. I giudici nazionali ai quali le due madri committenti si sono rivolte chiedono se un simile riINSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. fiuto sia contrario alla direttiva sulle lavoratrici gestanti o se esso costituisca una discriminazione fondata sul sesso o sull’handicap (discriminazioni vietate, rispettivamente, dalla direttiva 2006/54/Ce e dalla direttiva 2000/78/Ce). Per quanto riguarda la direttiva 92/85, la Corte ricorda che il suo scopo e` quello di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, considerate come un gruppo esposto a rischi specifici; la disposizione sul congedo di maternita`, in particolare, si riferisce espressamente al parto e ha l’obiettivo di proteggere la madre nella peculiare situazione di vulnerabilita` derivante dalla sua gravidanza. Sebbene il congedo di maternita` sia volto anche ad assicurare la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il suo bambino, tale finalita` riguarda tuttavia «soltanto il periodo successivo alla gravidanza e al parto». Ne deriva che il riconoscimento di un congedo di maternita` sulla base di tale direttiva presuppone che la lavoratrice interessata sia stata incinta e abbia partorito. Quanto alla direttiva 2006/54, la Corte dichiara che il rifiuto di riconoscere un congedo di maternita` ad una madre committente non costituisce una discriminazione fondata sul sesso, in quanto neppure un padre committente ha diritto a beneficiare di un tale congedo e il diniego non sfavorisce in modo particolare i lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori di sesso maschile. Il diniego ad una madre committente di un congedo retribuito equivalente a un congedo di adozione, poi, non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva sulla parita` di trattamento, la quale lascia gli Stati membri liberi di accordare o meno un congedo di adozione e si limita a prevedere che, qualora un siffatto congedo venga riconosciuto, le lavoratrici interessate debbano essere tutelate contro il licenziamento e abbiano il diritto di riprendere il loro impiego o un impiego equivalente. Infine, riguardo alla direttiva 2000/78, la Corte osserva che e` innegabile che l’incapacita` di procreare possa causare a una donna grande sofferenza. Tuttavia, la nozione di «handicap» ai sensi di tale direttiva presuppone che la limitazione di cui soffre la persona, in interazione con barriere di diversa natura, sia in grado di ostacolare la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Ebbene, l’incapacita` di procreare naturalmente non costituisce di per se´, in via di principio, un impedimento per la madre committente ad accedere a un impiego, a svolgerlo o ad avere una promozione. In tale contesto, la Corte dichiara che l’impossibilita` di avere un figlio non costituisce un «handicap» ai sensi della direttiva 2000/ 78 che, di conseguenza, non e` applicabile alla presente fattispecie. In conclusione, nelle due sentenze, la Corte di giustizia stabilisce che il diritto dell’Unione non riconosce INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 alle madri committenti il diritto a un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternita` o di adozione. 4.1 Discriminazioni non di genere Corte di giustizia 16 gennaio 2014, causa C429/12, Siegfried Pohl v. O¨BBInfrastruktur AG Il diritto dell’Unione e, in particolare, il principio di effettivita`, non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che assoggetta a un termine di prescrizione trentennale - che inizia a decorrere dalla conclusione dell’accordo in forza del quale e` stata fissata la data di riferimento ai fini dell’avanzamento o dall’inquadramento a un livello di retribuzione erroneo - il diritto del dipendente di chiedere una nuova valutazione dei periodi di servizio da prendere in considerazione ai fini della fissazione di tale data di riferimento. Nel caso di specie, la domanda di pronuncia pregiudiziale e` stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra il signor Pohl e il suo ex datore ¨ BB, in merito alla determinazione, di lavoro, la O all’atto della sua assunzione a tempo indeterminato avvenuta il 1º luglio 1977, della data di riferimento ai fini dell’avanzamento nella fascia di retribuzione relativa a tale attivita` lavorativa e delle conseguenze della fissazione di tale data (riguardanti, in particolare, il calcolo della sua retribuzione e della sua pensione di vecchiaia). Questi i fatti all’origine della causa: il signor Pohl ha preso servizio presso ¨ BB nel 1974 ed e` stato la societa` dante causa della O assunto a tempo indeterminato da tale societa` nel 1977. Per fissare la data di riferimento ai fini dell’avanzamento del signor Pohl nella fascia di retribuzione relativa alla sua posizione professionale, i periodi di servizio svolti a far data dal compimento del diciottesimo anno di eta` presso altre societa` situate in Austria sono stati presi in considerazione solo a concorrenza della meta` della loro durata, mentre quelli svolti precedentemente al compimento del diciottesimo anno di eta` non sono stati computati. Dopo essere stato collocato a riposo nel 2005, il signor Pohl, inquadrato in seguito alla sua ultima promozione al livello di retribuzione 15, ha reclamato dinanzi al Tribunale di primo grado di Innsbruck di avere invece conseguito il livello ¨ BB fosse di retribuzione 16, e ha chiesto che la O condannata a versargli la differenza tra le prestazioni di trattamento pensionistico percepite e quelle dovute sulla base del livello 16. A suffragio della sua richiesta, il signor Pohl ha addotto che l’esclusione dei periodi di servizio precedenti al 1974 costituiscono una discriminazione diretta fondata sull’eta`. La domanda del ricorrente e` stata respinta in primo grado e tale decisione e` stata impugnata diXI antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. nanzi al giudice del rinvio; quest’ultimo ha sospeso il procedimento e si e` rivolto alla Corte di giustizia, precisando tuttavia che il diritto del signor Pohl di chiedere una nuova valutazione della data di riferimento e` prescritto e che dunque i diritti che il signor Pohl fa valere per ottenere un versamento retributivo e pensionistico complementare sono del pari prescritti. La Corte ricorda che spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalita` procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la piena tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, purche´ dette modalita` non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano ricorsi analoghi fondati sul diritto interno (principio di equivalenza), ne´ rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettivita`). Al riguardo, la Corte rileva che il diritto dell’Unione non prevede regole relative ai termini prescritti per proporre ricorso con riguardo al principio di parita` di trattamento: ne consegue che spetta ad ogni Stato membro interessato disciplinare tale modalita` procedurale, con riserva del rispetto dei principi di equivalenza e di effettivita`. Per quanto riguarda il primo, esso richiede che la complessiva disciplina dei ricorsi si applichi indistintamente a quelli fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli simili fondati sulla violazione del diritto interno. Nella specie, dagli atti sottoposti alla Corte risulta che il termine di prescrizione trentennale previsto dal diritto nazionale austriaco si applichi indipendentemente dal fatto che la violazione del diritto fatta valere ricada nel diritto dell’Unione o nel diritto nazionale; pertanto, siffatta regola non puo` ritenersi in contrasto con il principio di equivalenza. Per quanto concerne il principio di effettivita`, la Corte ha riconosciuto compatibile con il diritto dell’Unione la fissazione di ragionevoli termini di ricorso a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, in quanto termini del genere non siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Dopo aver precisato che una sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bensı` puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata, la Corte conclude che, per quanto riguarda il momento iniziale del termine di prescrizione, esso rientra nell’ambito del diritto nazionale, e l’eventuale accertamento da parte della Corte di una violazione del diritto dell’Unione e` in linea di massima ininfluente su detto dies a quo. XII 5. Lavoro a termine Corte di giustizia 13 marzo 2014, causa C38/ 13, Malgorzata Nierodzik contro Samodzielny Publiczny Psychiatryczny Zaklad Opieki Zdrowotnej im. dr Stanislawa Deresza w Choroszczy La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/ Ce del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro Ces, Unice e CeeP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella in questione nel procedimento principale, la quale prevede, ai fini della risoluzione dei contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a sei mesi, la possibilita` di applicare un termine di preavviso fisso di due settimane a prescindere dall’anzianita` del lavoratore interessato, mentre la durata del preavviso di risoluzione nel caso dei contratti a tempo indeterminato e` fissata in funzione dell’anzianita` del lavoratore interessato e puo` variare da due settimane a tre mesi, quando tali due categorie di lavoratori si trovano in situazioni comparabili. Con la domanda di pronuncia pregiudiziale in questione e` chiesto alla Corte di chiarire se una normativa nazionale come quella polacca che fissa in due settimane la durata del termine di preavviso ai fini della risoluzione dei contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a sei mesi, prevedendo viceversa una durata del preavviso variabile in relazione dell’anzianita` del lavoratore interessato in caso di contratti a tempo indeterminato, contrasti con il principio di non discriminazione previsto dalla direttiva 1999/70. Nel risolvere tale questione, occorre anzitutto accertare se la durata del preavviso per la risoluzione del contratto rientri nella nozione di «condizioni di impiego» rispetto alle quali la direttiva prevede il divieto di trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato: la Corte non ha dubbi in proposito, giacche´ un’interpretazione diversa ridurrebbe l’ambito di applicazione della tutela accordata ai lavoratori a tempo determinato contro le discriminazioni, violando cosı` l’obiettivo perseguito dalla direttiva. Affinche´ si possa ritenere che la norma nazionale violi il principio di parita` di trattamento e` poi necessario accertare se la situazione dei lavoratori a tempo determinato sia comparabile a quella dei lavoratori a tempo indeterminato: un indizio in tal senso e` ravvisato dalla Corte nel fatto che la ricorrente nel procedimento principale in passato era stata assunta per lo svolgimento delle medesime mansioni dal medesimo datore di lavoro mediante un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Alla luce di tali elementi e non ravvisando alcuna giustificazione oggettiva al INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. trattamento meno favorevole riservato ai lavoratori a tempo determinato, la Corte rileva dunque che l’applicazione di durate diverse del preavviso costituisce una differenza di trattamento nelle condizioni di impiego contrastante con l’articolo 4, punto 1, dell’accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70. Corte di giustizia 13 marzo 2014, causa C190/ 13, Antonio Ma´rquez Samohano contro Universitat Pompeu Fabra La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva 1999/70/Ce del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro Ces, Unice e CeeP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale, quale quella controversa nel procedimento principale, che consente alle universita` di rinnovare contratti di lavoro a tempo determinato successivi conclusi con docenti associati, senza alcun limite della durata massima e del numero di rinnovi di tali contratti, qualora tali contratti siano giustificati da una ragione obiettiva ai sensi del punto 1, lettera a), di tale clausola, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Tuttavia, spetta ugualmente a tale giudice verificare, in concreto, che nel procedimento principale il rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi in parola intendesse effettivamente soddisfare esigenze provvisorie e che una normativa come quella controversa nel procedimento principale non sia stata utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli in materia di assunzione di personale docente. Assai interessante e` la domanda di pronuncia pregiudiziale in questione, con la quale e` stata sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia la normativa spagnola in materia di assunzione con contratto a tempo determinato di docenti universitari associati che, diversamente da quanto previsto dalla direttiva e dalla normativa spagnola di carattere generale che l’ha recepita, non individua ne´ le ragioni obiettive che giustificano il rinnovo dei contratti di lavoro a termine, ne´ la durata massima totale degli stessi, ne´ il numero dei rinnovi contrattuali ammessi. Pur ricordando che una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi non e` conforme al diritto dell’Unione (Cg 23 aprile 2009, cause da C378/07 a C380/07, Angelidaki e a., in Racc., 2009, 3071, punto 97, gia` commentata nella rassegna pubblicata in Dir. prat. lav., 2009, 45, inserto), la Corte ritiene ad ogni modo che la conclusione e il rinnovo, da parte delle universita`, di contratti a tempo determinato siano giustificati dall’esigenza di assegnare a specialisti di INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 affermata competenza che svolgono un’attivita` professionale al di fuori dell’ambito universitario lo svolgimento a tempo parziale di incarichi di insegnamento specifici affinche´ questi ultimi mettano a disposizione dell’universita` le proprie conoscenze e esperienze professionali, instaurando in tal modo una collaborazione tra il settore dell’insegnamento universitario e il settore professionale. Secondo tale normativa, infatti, durante un periodo minimo di vari anni precedente l’assunzione da parte dell’universita`, il docente associato deve aver svolto un’attivita` professionale retribuita cui lo abiliti il titolo di istruzione superiore da lui detenuto; i contratti di lavoro in parola sono, peraltro, conclusi e rinnovati a condizione che i requisiti dello svolgimento dell’attivita` professionale siano mantenuti. Alla luce di tali elementi, la Corte ritiene percio` che, fatte salve le necessarie verifiche spettanti al giudice del rinvio, la normativa spagnola stabilisca circostanze precise e concrete in presenza delle quali possono essere conclusi e rinnovati contratti di lavoro a tempo determinato. Peraltro, ad avviso della Corte, poiche´ per essere assunto in qualita` di docente associato l’interessato deve necessariamente esercitare un’attivita` professionale al di fuori dell’ambito universitario e puo` svolgere il suo incarico di docenza soltanto a tempo parziale, la possibilita` di rinnovare ripetutamente contratti di lavoro a tempo determinato non pregiudicherebbe la finalita` - perseguita dall’accordo quadro - di tutelare i lavoratori contro l’instabilita` in materia di impiego: a condizione, chiaramente, che le autorita` nazionali stabiliscano criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo dei contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale e consenta il raggiungimento dello scopo perseguito (Cg 26 gennaio 2012, C586/10, Ku¨cu¨k, non ancora pubblicata in Racc., punto 34, gia` commentata nella rassegna pubblicata in Dir. prat. lav., 2012, 39, inserto). Motivo per cui la normativa nazionale controversa nel procedimento principale risulta conforme alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro. Occorre tuttavia verificare la sussistenza di ragioni di carattere temporaneo che possano giustificare il rinnovo di contratti di lavoro a termine cosı` da accertare il rispetto della premessa sulla quale si fonda l’accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro. A tal proposito, pur correttamente rilevando che i contratti di lavoro a tempo determinato conclusi con i docenti associati rispondono ad un’esigenza permanente delle universita` (considerato che il docente associato svolge compiti ben definiti rientranti nelle attivita` abituali dell’universita`), la Corte ritiene che l’esigenza lavorativa rimanga temporanea poiche´ si presume che i docenti riprendano la loro attivita` professionale a tempo pieno al termine del loXIII antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. ro contratto. Tale tesi troverebbe inoltre conferma nel fatto che i contratti a tempo determinato in questione non possono essere rinnovati per lo svolgimento, in maniera permanente e durevole, di compiti d’insegnamento che rientrano normalmente nell’attivita` del corpo docenti ordinario. Sulla base di tale interpretazione i giudici di Lussemburgo affidano dunque alle autorita` dello Stato membro interessato il compito di garantire il rispetto della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, verificando concretamente che il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi conclusi con docenti associati intenda soddisfare esigenze provvisorie e che una disciplina come quella controversa non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle universita` in materia di assunzione di personale docente. 6. Licenziamenti collettivi Corte di giustizia 13 febbraio 2014, causa C596/12, Commissione europea contro Repubblica italiana Avendo escluso, mediante l’articolo 4, paragrafo 9, della legge del 23 luglio 1991, 223, recante norme in materia di cassa integrazione, mobilita`, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita` europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro, la categoria dei «dirigenti» dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, la Repubblica italiana e` venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva. La normativa italiana in materia di licenziamenti collettivi e` oggetto di un ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione, secondo la quale l’esclusione dei dirigenti dall’ambito di applicazione della procedura di licenziamento collettivo viola la direttiva 98/59, il cui ambito di applicazione si estende a tutti i lavoratori senza eccezione. Del medesimo avviso e` la Corte di giustizia, secondo la quale la nozione di «lavoratore» oggetto dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59 deve essere definita in base a criteri oggettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate: in particolare, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro va ravvisata nel fatto che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un altro soggetto e sotto la direzione di quest’ultimo, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una retribuzione (Cg 11 noXIV vembre 2010, C232/09, Danosa, in Racc., 11405, punto 39, gia` commentata nella rassegna pubblicata in Dir. prat. lav., 2011, 25, inserto). Benche´ sia indiscusso che la categoria dei dirigenti ricomprende persone inserite in un rapporto di lavoro aventi tali caratteristiche, la legge 223/1991 trova applicazione soltanto nei confronti degli operai, degli impiegati e dei quadri. Una giustificazione a tale esclusione non puo` certo essere ravvisata nel riconoscimento ai dirigenti di una tutela di carattere economico in caso di licenziamento, essendo ben piu` ampia la finalita` perseguita dalla direttiva che, ponendo in capo al datore di lavoro l’obbligo di procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori, intende consentire alle parti di verificare la possibilita` di evitare o di ridurre i licenziamenti stessi (Cg 10 settembre 2009, C44/08, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., in Racc., 8163, punti 39 e 47, gia` commentata nella rassegna pubblicata in Dir. prat. lav., 2010, 10, inserto). A prescindere dalle misure sociali di accompagnamento previste per attenuare le conseguenze di un licenziamento collettivo, la mancata attuazione della procedura di consultazione nei confronti di taluni lavoratori priva dunque parzialmente la direttiva del suo effetto utile: ragione per cui la Corte ritiene che la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi previsti dall’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59. 7. Trasferimento d’impresa Corte di giustizia 6 marzo 2014, causa C-458/ 12, L. A. e altri contro Telecom Italia Spa, Telecom Italia Information Technology Srl, gia` Shared Service Center Srl L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2001/23/Ce del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entita` economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento. L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui, dopo il trasfeINSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. rimento della parte di impresa considerata, tale cedente eserciti un intenso potere di supremazia nei confronti del cessionario. Gia` all’indomani della sua pronuncia, questa sentenza - avente ad oggetto la normativa italiana in materia di trasferimento d’azienda - ha suscitato un ampio dibattito giuridico. La domanda di pronuncia pregiudiziale in questione e` stata sollevata dal Tribunale di Trento a cui era stato chiesto da un gruppo di lavoratori di accertare che il conferimento da parte di Telecom Italia ad una societa` da questa controllata di una entita` economica priva del carattere dell’autonomia funzionale preesistente non potesse essere qualificato come trasferimento del ramo d’azienda: motivo per cui i ricorrenti avevano domandato al giudice remittente di dichiarare che il loro rapporto di lavoro continuava a sussistere con Telecom Italia. Nell’affrontare tale questione, la Corte di giustizia ricorda anzitutto che per stabilire se si e` in presenza di un trasferimento d’impresa ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 occorre accertare se l’entita` in questione conservi la propria identita` dopo essere stata rilevata dal nuovo datore di lavoro. Inoltre, ai fini dell’applicazione della direttiva, l’entita` economica deve, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente, intesa come capacita` di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro e di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati, senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro (Cg 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, in Racc., 7491, punti 60 e 51, gia` commentata nella rassegna pubblicata in Dir. prat. lav., 2012, 29). Secondo giurisprudenza costante, non rientra dunque nella sfera di operativita` della direttiva 2001/23 il trasferimento di un’entita` che, anteriormente al trasferimento, non disponeva di un’autonomia funzionale sufficiente: in tal caso, dunque, dalla normativa dell’Unione non puo` derivare alcun obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti. La Corte, ad ogni modo, rileva che la direttiva non vieta di certo ad uno Stato membro di prevedere il mantenimento dei diritti dei lavoratori anche al di fuori dell’ambito di applicazione della direttiva: ravvisando nell’eliminazione dall’articolo 2112 cod. civ. del requisito dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda preesistente al trasferimento la volonta` del legislatore italiano di garantire ai lavoratori una protezione maggiore rispetto a quella prevista dalla direttiva (e non l’intenzione di agevolare forme di esternalizzazione fraudolente, basate sull’accorpamento di diversi spezzoni di attivita` in funzione espulsiva del personale in esso raggruppato), la Corte ha dunque ritenuto la normativa italiana conforme al diritto dell’Unione. INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Ad avviso della Corte e` inoltre irrilevante il fatto che - come nel caso in questione - l’impresa cedente eserciti nei confronti del cessionario un intenso potere di supremazia, che si manifesta attraverso uno stretto vincolo di committenza ed una commistione del rischio di impresa: non risulta infatti da alcuna disposizione della direttiva 2001/23 che il legislatore dell’Unione abbia voluto che l’indipendenza del cessionario nei confronti del cedente costituisca un presupposto per l’applicazione della direttiva stessa. Si deve dunque ritenere che la direttiva possa essere applicata ad un trasferimento tra due consociate di uno stesso gruppo che costituiscono persone giuridiche distinte ognuna delle quali ha contratto rapporti di lavoro specifici con i rispettivi dipendenti, essendo privo di rilievo il fatto che le societa` in questione abbiano non soltanto gli stessi proprietari, ma anche la stessa direzione e gli stessi locali e siano impegnate nell’esecuzione della stessa opera. 8. Diritto sindacale Corte di giustizia 15 gennaio 2014, causa C176/12, Association de me´diation sociale v. Union locale des syndicats CGT, Hichem Laboubi, Union de´partementale CGT des BouchesduRhoˆne, Confe´de´ration ge´ne´rale du travail (CGT) L’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, da solo o in combinato disposto con le norme della direttiva 2002/14/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunita` europea, deve essere interpretato nel senso che esso - ove una norma nazionale di trasposizione di detta direttiva, come l’articolo L. 11113 del code du travail francese, sia incompatibile con il diritto dell’Unione - non puo` essere invocato in una controversia tra privati al fine di disapplicare tale norma nazionale. La domanda pregiudiziale in questo caso verte sull’interpretazione della direttiva 2002/14/Ce in combinato disposto con l’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sull’applicabilita` orizzontale di quest’ultima disposizione. In particolare, la Cour de cassation chiede alla Corte se il diritto fondamentale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (ex articolo 27 della Carta) possa essere invocato in una controversia tra singoli al fine di verificare la conformita` al diritto dell’Unione di una misura nazionale di trasposizione di una direttiva. La normativa nazionale in discussione nel procedimento in esame, escludendo dal calcolo degli effettivi dell’impresa una determinata categoria di lavoratori, XV antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. produce la conseguenza di sottrarre taluni datori di lavoro agli obblighi previsti dalla direttiva 2002/14 e di privare i loro dipendenti dei diritti riconosciuti da quest’ultima. La Corte di giustizia chiarisce pero` che l’articolo 27 della Carta, da solo o in combinato disposto con le norme della direttiva 2002/ 14/Ce, non e` di per se´ sufficiente a conferire ai sin- XVI goli un diritto invocabile in quanto tale, ma, per poter produrre pienamente i propri effetti, «deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale»; per questo motivo, non puo` essere invocato in una controversia tra privati al fine di disapplicare una norma nazionale. INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. ne, alle dipendenze dell’utilizzatore (35). E` stato, poi, dichiarato nullo il termine apposto al contratto di somministrazione stipulato per motivi diversi da quelli dichiarati nel relativo contratto: in queste ipotesi, dunque, il rapporto di lavoro deve essere costituito direttamente in capo all’utilizzatore con effetto ex tunc (36). Deve darsi conto del fatto che una parte (minoritaria) della dottrina ha censurato quella che definisce «logica esegetica giurisprudenziale decisamente restrittiva», ritenendo che la stessa trovi fondamento nel tentativo del legislatore «di rispondere alla crisi occupazionale pensando di colpire il tradizionale sistema delle assunzioni dei lavoratori subordinati (lavoratori a tempo indeterminato, in via generale, o a termine, in via eccezionale) con discipline, in termini previdenziali/assicurativi e, soprattutto di sanzioni, ritenute troppo onerose per qualsiasi datore, spesso costretto a rifugiarsi nella piena evasione» (37). In conclusione, l’indicazione per iscritto delle specifiche ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo costituisce (ossia costituiva) elemento essenziale del contratto, indispensabile per assicurare la trasparenza delle causali addotte e per garantire l’effettivita` della tutela giudiziaria del lavoratore (38). Il controllo giudiziale puo`, pero`, «riguardare soltanto l’accertamento dell’esistenza delle ragioni giustificatrici della somministrazione a termine, e non puo` essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all’utilizzatore: il giudice dovra` limitarsi ad accertare l’effettiva sussistenza dei motivi addotti dal- l’utilizzatore a sostegno del provvedimento e delle scelte gestionali di cui esso e` conseguenza, non potendo invece spingersi a valutare l’opportunita` delle scelte stesse» (39). In altri termini, il Note: (31) Tribunale Treviso, 29 febbraio 2012 e Tribunale Treviso, 16 settembre 2010, entrambe inedite, a quanto consta. (32) Ex multis Tribunale Reggio Calabria, 20 luglio 2007, in Foro it., 2008, I, 294; Tribunale Milano, 21 novembre 2006, Or. giur. lav., 2007, I, 107; Tribunale Milano, 16 ottobre 2006, in Or. giur. lav., 2006, I, 857; Tribunale Piacenza, 27 settembre 2006, in Arg. dir. lav., 2007, 577; Tribunale Milano, 24 dicembre 2005, in Or. giur. lav., 2006, I, 115; Tribunale Milano, 29 agosto 2005, in Riv. critica dir. lav., 2005, 743; Corte d’Appello Firenze, 30 maggio 2005, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 111; Tribunale Roma, 12 gennaio 2005, in Riv. giur. lav., 2005, 707; Tribunale Roma, 3 febbraio 2005, in Riv. giur. lav., 2005, II, 706; Tribunale Ravenna, 7 ottobre 2003, in Lav. giur., 2004, 1283; Tribunale Milano, 21 giugno 2002, in Arg. dir. lav., 2002, 911. (33) Cfr., tra gli altri, L. Menghini, Il lavoro a tempo determinato, in C. Cester, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, in Commentario di diritto del lavoro diretto da F. Carinci, vol. II, tomo II, Torino, 2007, 1251. (34) In tal senso, ad esempio, Tribunale Trani, 10 maggio 2007, n. 2854, in Guida al lavoro, 2007, n. 46, 31 e Tribunale Roma, 3 maggio 2011, in Lav. giur., 2012, n. 5, 495, con commento di R. Poggio. (35) Cassazione, 9 settembre 2013, n. 20598, in Mass. giust. civ., 2013, nonche´ in Dir. giust. online, 2013, 19 dicembre. (36) Cfr. Tribunale Milano, 2 dicembre 2010, n. 5058, in Riv. critica dir. lav., 2010, 4, 1040. (37) Regina, Commento alla sentenza Tribunale Bergamo, 15 giugno 2010, n. 500, in Lav. giur., 2011, 4, 404. Ritiene l’A. che proprio in tema di somministrazione «l’intento del legislatore sia stato sufficientemente chiaro nel consentire l’uso piu` ampio possibile dello strumento, senza poter pensare che l’assenza o la carenza di specificita` nella causale del contratto (peraltro non conosciuto, necessariamente, dal lavoratore) ne potesse inficiare l’essenza». In sintesi, secondo l’A. «una disciplina che, nell’intento del legislatore, doveva essere snella, agevolata economicamente e, soprattutto, scarsamente tangibile dai diretti interessati (lavoratore ed Enti previdenziali), dagli uffici ispettivi e di controllo e, infine, dalla giustizia, e` diventata tutt’altro con abbassamento notevole delle tipiche tutele e, nella sostanza, fortemente a rischio, con pericolo di stravolgimenti giurisprudenziali». (38) Cfr. Tribunale Milano, 30 gennaio 2009, in Riv. critica dir. lav., 2009, 2, 414 (s.m.). (39) D. Serra, La somministrazione di lavoro nelle pubbliche amministrazioni: inapplicabilita` della conversione, in Lav. giur., 2012, 1, 42. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti che che il contratto di somministrazione va ritenuto nullo «solo se non e` stipulato per iscritto, non anche se non contiene l’indicazione delle ragioni (...) di cui al comma IV dell’articolo 20; a fortiori l’insufficiente specificazione di tali ragioni (vizio minore rispetto alla mancata indicazione delle medesime) non comporta l’imputazione ope legis del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore» (31). Tuttavia, occorre segnalare che il primo (maggioritario) dei sopra ricordati orientamenti giurisprudenziali appare coerente con quanto gia` affermato dalla giurisprudenza (32), unitamente alla dottrina (33), in relazione al contratto a termine. Quale la conseguenza? Considerato che, come detto, l’articolo 21 prescrive (rectius, prescriveva) che nel contratto di somministrazione siano indicate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificano il ricorso al lavoro somministrato e che tale indicazione rappresenta un requisito di contenuto - forma del contratto, dalla omissione della stessa deriva la nullita` del contratto di somministrazione e la conseguente costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore (34). Effetto, questo, che si verifica anche nel caso in cui la causale che giustifica l’apposizione del termine sia stata ritualmente inserita in contratto, ma la stessa non risulti veritiera. In questa ipotesi, accertato che la somministrazione di lavoro e` avvenuta fuori dei limiti e delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 276/ 2003, la Suprema Corte ha, infatti, disposto la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sin dall’inizio della somministrazio- 1707 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1708 controllo giudiziario sulle ragioni che consentono il ricorso alla somministrazione di manodopera «e` limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendosi estendere al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, il quale e` tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore» (40). L’utilizzatore deve fornire la prova in concreto in ordine alla «effettiva riconducibilita` dell’assunzione del lavoratore alle suddette ragioni» (41). In definitiva, dunque, incombe sull’impresa utilizzatrice la prova della sussistenza e dell’effettiva riconducibilita` dell’assunzione alle ragioni giustificatrici contrattualmente dedotte e il difetto di siffatta dimostrazione si sostanzia in una ipotesi di somministrazione irregolare di cui all’articolo 27 del D.Lgs. n. 276/2003 (42). Occorre, da ultimo, precisare che, con riferimento alle pub- bliche amministrazioni, la sanzione della costituzione di un contratto di lavoro subordinato e` certamente inapplicabile. Tale soluzione, anzitutto, e` espressamente esclusa dall’articolo 86, comma 9, del D.Lgs. n. 276/2003 e in ogni caso sarebbe incompatibile con la speciale disciplina sulle assunzioni dettata dal D.Lgs. n. 165/ 2001, peraltro in ossequio al superiore principio di cui all’articolo 97 della Costituzione (43). Sotto tale profilo alcune pronunce dei giudici di merito (44) hanno sancito il seguente principio: «chiarito che l’unica conseguenza invocata da chi contesta la legittimita` di un contratto di somministrazione puo` essere quella di cui all’articolo 27, primo comma, citato si deve evidenziare che ai sensi dell’articolo 86, nono comma, dello stesso D.Lgs. n. 276/ 2003 tale norma non trova applicazione alla pubblica amministrazione, nel senso che qualora il soggetto utilizzatore nell’ambito di un contratto di somministrazione il- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 legittimo sia una pubblica amministrazione non si potra` mai chiedere la costituzione del rapporto di lavoro. Pertanto, la domanda con la quale il lavoratore ha chiesto la costituzione del rapporto di lavoro nei confronti dell’Inps, ente utilizzatore, deve essere certamente rigettata, trattandosi di conseguenza espressamente esclusa dalla legge» (45). Note: (40) Cassazione, 8 maggio 2012, n. 6933, in Foro it., 2012, 12, I, 3415. (41) Tribunale Milano, 13 novembre 2008 e Tribunale Milano, 12 novembre 2008, entrambe in Riv. critica dir. lav., 2009, 145 s. (s.m.). (42) Cfr. Tribunale Milano, 26 gennaio 2009, in Riv. critica dir. lav., 2009, 2, 414 (s.m.). (43) Cfr., ex pluris, Cassazione, 20 giugno 2012, n. 10127, in Riv. it. dir. lav., 2012, 4, II, 870 (s.m.); Cassazione, 13 gennaio 2012, n. 392, in Guida al diritto, 2012, 6, 64 (s.m.); Cassazione, 3 giugno 2004, n. 10605, in Giust. civ., 2005, 12, I, 3194; Consiglio di Stato, 27 aprile 2004, n. 2560, in Foro amm. - Cds, 2004, 1104; Corte Costituzionale, 6 luglio 2004, n. 205, in Giur. it., 2005, 678; Corte Costituzionale, 27 marzo 2003, n. 89, in Giur. it., 2004, 19. (44) Cfr., tra le altre, Tribunale Genova, 17 dicembre 2012, n. 2051, inedita, a quanto consta. (45) Tribunale Roma, 4 giugno 2013, n. 8688, inedita, a quanto consta. antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Formule operative Quadri e impiegati con funzioni direttive e orario di lavoro L’art. 17 comma 5 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003 prevede la non applicazione, ad alcune categorie di lavoratori, dei limiti di durata delle prestazioni di lavoro previsti per la generalita` del personale dipendente. In particolare l’esenzione trova applicazione anche quando trattasi «di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo». La nozione, particolarmente ampia, include pertanto non solo i dirigenti propriamente intesi, ma anche gli altri soggetti che svolgono compiti direttivi in base alle disposizioni della contrattazione collettiva, atteso che l’art. 2095 c.c. nel suddividere i dipendenti in 4 categorie legali, specifica che i requisiti di appartenenza devono essere definiti, in assenza di leggi speciali, dalle norme corporative. Mancando, nell’attuale ordinamento lavoristico, una regolamentazione di carattere corporativo, da tempo abrogata, il disposto codicistico e` comunemente considerato riferibile alle discipline dei Ccnl di categoria, quindi alle declaratorie dei mansionari contrattuali nazionali che, in relazione solitamente ai quadri ed al personale impiegatizio di livello superiore, attribuiscono a specifici profili un ruolo di tipo direzionale. Ne consegue innanzitutto l’esclusione di tali categorie dall’obbligo di «riposo giornaliero» che, ai sensi dell’art. 5, richiamato dall’art. 17 comma 5, consiste in «undici ore di riposo consecutivo nell’arco di 24 ore». La circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 8 del 3 marzo 2005 ha precisato che l’obbligo di riposo giornaliero di 11 ore implica «che il datore di lavoro non puo` richiedere al lavoratore lo svolgimento di una prestazione lavorativa, sia a titolo di orario normale di lavoro (anche multiperiodale), sia a titolo di lavoro straordinario, la cui durata determini il mancato rispetto del limite» derivandone quindi la necessita` di non eccedere - a contrario - le 13 ore di lavoro giornaliero. I quadri ed impiegati con funzioni direttive, essendo esentati dal suddetto limite orario, possono quindi prestare legittimamente attivita` lavorativa superiore a 13 ore giornaliere fermo restando, ai sensi del primo periodo del comma 5 dell’art. 17, il «rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute». La medesima disposizione inoltre esclude il personale direttivo: 1) dall’assoggettamento all’orario normale di lavoro, che l’art. 3 fissa in 40 ore settimanali riducibili dalla contrattazione collettiva od articolabili in cicli plurisettimanali; 2) dalla sottoposizione a limiti di durata massima settimanale definiti dal- la contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 4 comma 1; 3) dalla sottoposizione ai limiti di durata media settimanale di 48 ore comprensive delle prestazioni straordinarie, previsti dall’art. 4 comma 2; 4) dai limiti di ricorso al lavoro straordinario previsti dall’art. 5. Il combinato disposto di tali esenzioni implica di fatto la disapplicazione nei confronti del personale direttivo di ogni formula legale, di contingentamento delle prestazioni eventualmente rese in misura superiore all’orario normale di lavoro praticato, nel medesimo reparto/ufficio, dal restante personale, assoggettato invece alle limitazioni suddette. Piu` specificamente le prestazioni eccedenti la media di 40 ore settimanali, eventualmente ridotte dalla contrattazione collettiva, non rappresentano «lavoro straordinario» ai sensi dell’art. 5 per le relative implicazioni tra le quali, ad esempio, l’obbligo di compensazione con le maggiorazioni previste dalla contrattazione collettiva o, in alternativa o in aggiunta, con riposi compensativi. Indicazioni dei Ccnl nei comparti industriali La contrattazione collettiva nazionale esercitata nei principali comparti industriali e` intervenuta sulla gestione dei tempi di lavoro del perso- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti Stefano Malandrini - Confindustria Bergamo 1709 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1710 nale impiegatizio svolgente funzioni direttive integrando le previsioni legali succitate con una duplice modalita`: definendo i livelli di inquadramento dei lavoratori non assoggettati ai limiti di orario e specificando la disapplicazione, per i medesimi, dell’ordinaria regolamentazione delle prestazioni straordinarie. In particolare, per quanto riguarda il primo aspetto, i mansionari inseriti nei piu` diffusi Ccnl hanno sovente riportato, nella c.d. declaratoria ovvero la descrizione generale dei requisiti per la riconduzione al livello d’inquadramento contrattuale, a fini retributivi e normativi, dei singoli profili e delle mansioni elencate, formulazioni propriamente finalizzate a chiarire l’attribuzione di compiti direttivi e/o di coordinamento e/o di autonomia nella determinazione dei tempi individuali di lavoro. Solitamente tale caratteristica e` ravvisabile negli ultimi due livelli d’inquadramento previsti dai mansionari contrattuali nazionali, contraddistinti - oltreche´ dalla spettanza della categoria legale impiegatizia o di quadro - dall’esplicita attribuzione di un ruolo di particolare rilievo nell’organizzazione del lavoro. Tale ruolo non e` necessariamente valorizzato contrattualmente dall’assegnazione della facolta` di dirigere altro personale, essendo sovente bastevole il riconoscimento di una maggiore autonomia nell’organizzare la prestazione lavorativa finalizzandola al perseguimento di un risultato preventivamente assegnato. Ad esempio il Ccnl per l’industria Metalmeccanica del 5 dicembre 2012 specifica, nella declaratoria della 6^ categoria - la penultima del mansionario stante la riconduzione del personale inquadrato in 8a categoria, introdotta dal 1º gennaio 2014, alla categoria legale dei quadri - che il requisito di appartenenza consiste nello svolgere «funzioni direttive o che richiedono particolare preparazione e capacita` professionale, con discrezionalita` di poteri e con facolta` di decisione ed autonomia di iniziativa». Per il personale di 7a categoria e` previsto, in aggiunta a tale caratteristica, la «notevole esperienza» nonche´ il coordinamento di attivita` «fondamentali» o «di alta specializzazione». Viene quindi richiamato e ulteriormente specificato il ruolo direzionale gia` affermato dalla declaratoria valevole per la 6a categoria. Il Ccnl 22 settembre 2012 per l’industria Chimica analogamente attribuisce alle categorie A e B, per quanto attiene le capacita` gestionali, mansioni per le quali occorre esercitare leadership, prendere decisioni, organizzare risorse. Il Ccnl per l’industria Tessile del 4 febbraio 2014 prevede che il personale inquadrato in 7a categoria, unitamente ai quadri inseriti in 8a categoria, svolga «funzioni direttive» con «ampia facolta` di iniziativa ed autonomia». La 6a categoria ha invece «autonomia, responsabilita` e facolta` di iniziativa per l’attuazione dei programmi assegnati», sicche´ la direzionalita` risulta non espressamente attribuita ma da verificarsi in relazione ad ogni caso di specie considerando le modalita` di effettivo esercizio delle prestazioni. Per quanto attiene il secondo aspetto, la contrattazione collettiva e` intervenuta saltuariamente e sovente solo indirettamente, confermando la sussistenza di categorie di lavoratori che, ai sensi del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003, non hanno l’assogget- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 tamento alla disciplina dell’orario di lavoro, come avviene con l’art. 7 del Ccnl per l’industria Metalmeccanica, che rinvia alla disciplina legale. Solo eccezionalmente i Ccnl hanno previsto regolamentazioni specifiche. E` il caso ad esempio del Ccnl 4 febbraio 2014 per l’industria Tessile, il quale dispone all’art. 36 che «per gli impiegati di 7º livello, non assoggettabili alle limitazioni dell’orario di lavoro, il lavoro normalmente eccedente l’orario ordinario contrattuale e che venga prestato con carattere di continuita` per esigenze dell’azienda, sara` retribuito con una maggiorazione (...) convenuta tra le parti, o in misura preventiva forfettaria o di volta in volta». Viene quindi espressamente riconosciuta l’esenzione dalla disciplina legale e contrattuale delle prestazioni straordinarie, supplita per i conseguenti effetti economici da specifiche intese individuali. L’art. 28 del Ccnl per l’industria Chimica prevede invece che gli impiegati direttivi percepiscano un importo pari al 30% della retribuzione relativa al numero di ore risultante dalla differenza tra 13 giornate di lavoro considerate pari a 104 ore e le ore di assenza dal lavoro effettuate nell’anno, come compenso aggiuntivo «tenuto conto della non applicabilita` nei loro confronti della disciplina legislativa e contrattuale in materia di lavoro eccedente e/o straordinario». I Ccnl peraltro si limitano a definire, in riferimento alle prestazioni lavorative ascrivibili alle attivita` direzionali, regolamentazioni valevoli solo per gli inquadramenti regolarmente disposti ossia realizzati imputando le prestazioni lavorative, effettivamente rese, alle declaratorie ed ai profili riportati nei c.d. mansionari. La funzionalita` direzionale cosı` riconosciuta produce l’esenzione dalla disciplina del lavoro straordinario e l’eventuale applicazione di previsioni contrattuali specifiche. I Ccnl prevedono quindi solo schemi atti a ricondurre alcune fattispecie al disposto dell’art. 17 comma 5 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003. Eventuali livelli di inquadramento elevati attribuiti in deroga a tali schemi, solo come condizioni retributive di miglior favore individuale, in alternativa alla concessione di superminimi, o comunque in assenza dei requisiti di autonomia propri dell’attivita` direzionale riportati nella declaratoria contrattuale nazionale, in quanto convenzionalmente esclusa dalle parti, non superano la disciplina legale e contrattuale dei limiti di orario e dei limiti e dei trattamenti spettanti per il lavoro straordinario. Prestazioni straordinarie In particolare i limiti alla prestazione di lavoro straordinario previsti dall’art. 5 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003, rinvenibili nei singoli commi che compongono la disposizione e che non operano per i quadri e gli impiegati con funzioni direttive, sono analiticamente rappresentati da: l’obbligo di un ricorso «contenuto» all’esecuzione di attivita` «oltre l’orario normale di lavoro», secondo la definizione riportata dall’art. 1 comma 2 lettera c)ed intendendosi come normale, ai sensi dell’art.3, un periodo di 40 ore settimanali, ferma restando la facolta` spettante ai contratti collettivi di «stabilire, a fino contrattuali, una durata minore e riferire l’orarionormale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno»; l’eventualita` del ricorso, che non rappresenta quindi il contenuto ordinario della prestazione lavorativa derivante dall’instaurazione del rapporto di lavoro, ma una modalita` ulteriore la cui attivazione deve rispettare i limiti dettati dall’art. 4 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003. Ne consegue che il lavoratore deve comunque non eccedere le 48 ore di prestazione, comprensive del lavoro straordinario, come media per ogni periodo di 7 giorni, calcolata in riferimento ad un arco temporale quadrimestrale che la contrattazione collettiva puo` estendere fino a 12 mesi; il limite di 250 ore annue di prestazione, fatta salva la sussistenza di una eventuale intesa collettiva estensiva o riduttiva o anche introduttiva di vincoli di carattere tipologico, che identifichino un elenco di fattispecie il cui riscontro consente il ricorso legittimo allo straordinario e che non sono correlate al rispetto obbligatorio di un numero predefinito di ore eccedenti l’orario normale. E` il caso ad esempio del Ccnl per l’industria Chimica del 22 settembre 2012, art. 8 lettera e), nel quale si precisa che «il ricorso a prestazioni eccedenti o straordinarie deve avere carattere eccezionale. Esso (...) deve trovare obiettiva giustificazione in necessita` imprescindibili, indifferibili, di durata temporanea e tali da non ammettere correlativi dimensionamenti di organico»; il «previo accordo» individuale tra datore e prestatore di lavoro, necessario in assenza di una differente disciplina contrattuale collettiva, la quale puo` introdurre una disciplina preventiva defi- nendo l’obbligo di prestazione e le eventuali circostanze esimenti o le procedure di preavviso e/o di confronto sindacale. L’esenzione dall’applicazione dell’art. 5 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003 per il personale con funzioni direttive e` formulata dall’art. 17 comma 5 con una dizione ampia, inclusiva di tutte le articolazioni del dettato normativo sopra richiamate, sicche´ per tale categoria di lavoratori la prestazione di lavoro in supero dell’orario normale risulta: frequentemente praticabile, quindi anche con una ricorrenza che la renda ordinaria se necessaria per il corretto adempimento della mansione assegnata. Non occorre che il lavoro svolto in aggiunta rispetto all’orario normale praticato nel reparto o ufficio abbia carattere eccezionale, potendo anche essere prestato reiteratamente se connaturato all’attivita` lavorativa; eseguibile producendo all’occorrenza una concentrazione delle prestazioni aggiuntive in un arco temporale limitato, che determini il superamento delle 48 ore medie settimanali di lavoro indipendentemente dal limite temporale di riferimento legale o definito dalla contrattazione collettiva per la generalita` degli altri dipendenti; realizzabile anche in deroga al limite massimo individuale, quantitativo o tipologico, di ricorso alle prestazioni straordinarie valevole per la generalita` dei dipendenti ancorche´ ridefinito dalla contrattazione collettiva, fatta salva l’eventuale sussistenza di specifici limiti convenzionali, individuali o collettivi, riferiti proprio alle funzioni direttive ma in effetti non rinvenibili nei principali Ccnl industriali, esaminati nei precedenti paragrafi; DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1711 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1712 richiedibile dal datore di lavoro indipendentemente dal consenso esplicito e preventivo espresso dal lavoratore e da eventuali regolamentazioni collettive concernenti in generale la disponibilita` dei dipendenti a prestare all’occorrenza lavoro straordinario, purche´ risulti necessario per l’esecuzione della mansione assegnata. Piu` specificamente, il previo accordo individuale tra datore e prestatore di lavoro per l’esecuzione di lavoro straordinario, previsto dall’art. 5, salvo diversa disciplina collettiva, come requisito per l’imposizione della prestazione aggiuntiva - ad eccezione solo di alcune ipotesi tassative imputabili al riscontro di eccezionali esigenze tecnico-produttive, di casi di forza maggiore o assimilabili, di eventi particolari quali mostre, fiere, manifestazioni etc. - non trova applicazione in relazione al personale con funzioni direttive. Le prestazioni aggiuntive non devono pertanto essere previamente autorizzate e, se eseguite, non devono essere compensate con maggiorazioni e/o riposi. Anche il regime compensativo di maggior favore che i contratti collettivi identificano per retribuire le prestazioni straordinarie e` infatti da intendersi inapplicabile, come gia` accennato, in quanto derivato dal rinvio ai confronti sindacali rinvenibile nel 5º comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003, interamente derogato. Per la natura stessa delle prestazioni che compongono il sinallagma contrattuale, impegnando il dipendente all’esecuzione dell’attivita` necessaria all’assolvimento dei propri compiti, la prestazione aggiuntiva risulta invece obbligatoria, quindi non ovviabile dal lavoratore, ogni qual volta l’adempimento della mansione assegnata determini l’esigenza di un incremento della durata giornaliera delle prestazioni, fermo restando il criterio di autodeterminazione dei tempi di lavoro del personale direttivo richiamato dall’art. 17 comma 5. E` quindi possibile contestare al personale con funzioni direttive, quando assente dal lavoro in orari di apertura degli uffici/reparti di assegnazione, non una riduzione della quantita` del lavoro rispetto all’orario normale praticato dagli altri dipendenti assoggettati ai limiti di orario, bensı` gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla mancata esecuzione dell’attivita` direzionale con una tempistica idonea all’assolvimento dei compiti assegnati, da valutare in base ai generali principi di buona fede e correttezza che condizionano in generale i rapporti contrattuali, anche di lavoro. Si consideri poi che il quadro regolamentare succitato, con le relative implicazioni, trova applicazione in conseguenza della sola esenzione dalla disciplina dell’art. 5 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003 dell’attivita` del personale rientrante nelle categorie individuate dall’art. 17 comma 5. Non occorre quindi inserire espressamente, nella lettera di assunzione o nella lettera di assegnazione del livello di inquadramento che prevede l’esecuzione di attivita` direzionale, una formula che espliciti la gestione dell’orario individuale in deroga ai limiti di esecuzione del lavoro straordinario. Piuttosto le eventuali indicazioni concernenti il regime dei tempi di lavoro possono rilevare a fini probatori, per dimostrare la presenza o assenza di accordi individuali per la disciplina dell’orario che convenzionalmente contingentino le modalita` di esecuzione delle DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 prestazioni ancorche´ in assenza divincoli legali o contrattuali collettivi. Analogamente non e` prospettabile l’applicazione dei vincoli procedimentali che condizionano a livello collettivo la prestazione di lavoro straordinario, imponendo comunicazioni informative o confronti sindacali preventivi o legittimando, entro certi limiti, il rifiuto dell’esecuzione di tali attivita`. Ad esempio non risulta applicabile il disposto dell’articolo 7 sezione IV titolo III del Ccnl 5 dicembre 2012 per l’industria Metalmeccanica, il quale prevede che «nessun lavoratore puo` rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario», introducendo una formulazione che, non prevedendo la necessita` di comprovare preventivamente le ragioni addotte per l’esenzione dall’obbligo di prestazione e non imponendo che le ragioni medesime siano gravi, di fatto legittima in un ampio novero di casi e circostanze il rifiuto del lavoratore, non dedito ad attivita` direzionale, a riscontrare l’eventuale richiesta datoriale. Formule operative Oltreche´ per provare l’assenza di intese individuali difformi, reintroduttive di vincoli di orario, l’inserimento di specifiche clausole nel contratto individuale dei quadri e degli impiegati con funzioni direttive puo` risultare opportuno per regolamentare all’occorrenza alcune modalita` accessorie di esecuzione delle prestazioni correlate al regime dei tempi di lavoro. E` infatti prospettabile, a titolo esemplificativo, che: a) la promozione ad un livello di inquadramento superiore, in conseguenza dell’attribuzione di mansioni comportanti compiti direzionali, in quanto determinativa della perdita dei trattamenti economici contrattuali per lavoro straordinario puo` produrre effetti penalizzanti. Il differenziale retributivo derivante dal nuovo livello puo` infatti risultare inferiore al compenso mediamente percepito dal medesimo dipendente per le prestazioni di lavoro straordinario rese prima della promozione. Sebbene il decremento di reddito conseguente all’esenzione dai vincoli di orario sia una dinamica di per se´ legittima, puo` rappresentare un elemento ostativo all’accettazione, da parte del lavoratore, del nuovo ruolo propostogli. Puo` quindi risultare utile la concessione di importi compensativi. E` ipotizzabile in particolare l’attribuzione di un trattamento aggiuntivo individuale che corrisponda forfettariamente alla media mensile dei compensi per le prestazioni eccedenti l’orario normale non piu` retribuite come straordinario, computate su base annua. L’importo peraltro andrebbe parzialmente ridotto in considerazione dell’incidenza prodotta sugli istituti indiretti e differiti, a fronte della non incidenza dei compensi per lavoro straordinario, salvo differente previsione contrattuale collettiva. Peraltro le prestazioni eccedenti, svolte dal lavoratore dopo la promozione, comportano incrementi del tempo di lavoro in parte riequilibrati dai periodi di mancata presenza al lavoro che il lavoratore medesimo, autodeterminando il proprio regime di orario, puo` decidere di fruire e che devono pertanto essere considerati anch’essi all’atto della quantificazione dell’emolumento. Infine il compenso forfettario, cosı` determinato, puo` essere all’occorrenza riconosciuto esplicitandone la finalizzazione alla valorizzazione economica di prestazioni di lavoro tendenzialmente maggiori rispetto all’orario ordinario del reparto/ufficio di assegnazione. Questo approccio comporterebbe che eventuali successive scelte del lavoratore di gestire la propria prestazione riducendo strutturalmente la presenza individuale al lavoro possono determinare la perdita o il riproporzionamento del trattamento indennitario. In particolare perche´ si possa operare la contrazione e` necessaria l’espressa riconduzione del compenso ad un orario effettivo medio, ancorche´ autodeterminato dal lavoratore; b) al fine di prevenire un sistema di autodeterminazione dell’orario di lavoro che comporti il mancato assolvimento, da parte dell’impiegato o quadro, dei compiti correlati al ruolo attribuitogli per eccessiva assenza dal lavoro, e` altresı` possibile specificare nella lettera di assunzione o di promozione a livelli di inquadramento direzionali l’orario di riferimento del reparto o ufficio di assegnazione, nonche´ la necessita` che la prestazione si svolga senza eccesivi scostamenti rispetto a tale schema di orario. Tale riferimento verrebbe apposto non per la sussistenza di vincoli di orario ma perche´ le parti riconoscono necessario un regime di tendenziale corrispondenza dei tempi di lavoro per il corretto assolvimento della mansione. La ridotta presenza al lavoro, se eccedente certi limiti di compatibilita`, puo` infatti inficiare l’attivita` di coordinamento delle risorse gerarchicamente subordinate alla funzione direzionale, rendere impraticabile l’interrelazione con le altre funzioni apicali presenti in azienda, impedire il monitoraggio diretto di attivita` rese dal restante personale durante l’orario di lavoro ordinario praticato nei reparti/uffici aziendali; c) nel codice disciplinare aziendale, necessario ai sensi dell’art. 7 della legge n. 300 del 20 maggio 1970 per consentire al datore di lavoro l’applicazione all’occorrenza di provvedimenti sanzionatori, potrebbe essere inserito, con finalita` dissuasive, un richiamo alla ne- Indennita` per lavoro eccedente l’orario normale Esempio di clausola: Fermo restando il Suo non assoggettamento all’orario di lavoro, derivante dalla riconduzione delle mansioni da Lei d’ora innanzi praticate al disposto dell’art.17 comma 5 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003, Le viene riconosciuto, a titolo di «indennita` per lavoro eccedente l’orario normale», l’importo di euro ... lordi mensili in aggiunta alle maggiorazioni previste dal Suo nuovo livello di inquadramento. Tale importo Le sara` riconosciuto in caso di presenza in azienda per piu` di ... ore/mese aggiuntive all’orario effettivo previsto, nel medesimo mese, per il restante personale. Presenza al lavoro e orario di riferimento Esempio di clausola: Fermo restando il Suo non assoggettamento all’orario di lavoro, le precisiamo che l’orario ordinariamente praticato nel suo reparto/ufficio di assegnazione e` il seguente: dalle ore ... alle ore ... da lunedı` a venerdı`. Le parti si danno reciprocamente atto che, al fine del pieno assolvimento della mansione assegnata, e` peraltro necessario che i Suoi tempi di lavoro tendenzialmente si conformino all’orario di riferimento come sopra definito. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1713 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1714 cessita` del rispetto dei tempi di lavoro utili al pieno assolvimento dei compiti assegnati. Tale richiamo potrebbe includere espressamente il personale dedito ad attivita` direzionale, il quale pur non avendo vincoli di orario in senso quantitativo e` parzialmente condizionato, come si e` detto, all’effettuazione di periodi di lavoro corrispondenti alle esigenze impostegli dal ruolo. La prospettazione della possibile apertura di procedure disciplinari individuali, nell’ipotesi di gestione inadeguata dei tempi di non lavoro da parte dell’impiegato direttivo o del quadro aziendale, concorrerebbe sia a stimolare l’attenzione delle funzioni direttive ad una adeguata autodeterminazione del pro- prio orario di lavoro, sia ad evidenziare il coinvolgimento di fatto di tutti i lavoratori in un unico regime dei tempi di lavoro, favorendo migliori dinamiche relazionali. Le formule sopra esemplificate rappresentano solo alcune possibili soluzioni finalizzate a favorire la gestione del tempo di lavoro del personale non dirigente ma assegnatario di un ruolo direttivo, contemperando la facolta` di autodeterminazione dei periodi di lavoro e non lavoro con patti o regolamentazioni atte prevenire discrasie operative, ferma restando la necessita` che gli interventi implementati siano sempre preceduti da un’analisi puntuale delle esigenze d’impresa e risultino rispettosi dei criteri di esenzione dai limiti di orario previsti dall’art.17 comma 5 del D.Lgs. n. 66 del 8 aprile 2003. Impiegati direttivi e rispetto dell’orario Esempio di nota integrativa del codice disciplinare aziendale: Si precisa che il quadro sanzionatorio previsto dal Ccnl di categoria negli articoli concernenti la disciplina del lavoro trova applicazione anche alle ipotesi di mancato rispetto dei tempi di lavoro, sia per il personale assoggettato a vincoli di orario sia per il personale che, per le proprie mansioni, e` da intendersi esentato da tali vincoli ma comunque tenuto al tendenziale rispetto di un orario di riferimento. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Agevolazioni Sgravi contributivi e incentivi per lavoro autonomo e imprese Alberto Giordano - Consulente finanziario Stanziamento: 607 milioni di euro. Scadenza: 7 agosto 2014 Sgravi contributivi 2013 per contratti di secondo livello. Finalita` Incentivare i contratti collettivi aziendali e territoriali o di secondo livello che prevedano erogazioni correlate a incrementi di produttivita`, qualita`, redditivita`, sottoscritti dai datori di lavoro e depositati presso le Dtl entro il 30 giugno 2014. Beneficiari Imprese settori vari. Attivita` finanziate Contributi Inps datori di lavoro e lavoratori. Entro il limite del 2,25% della retribuzione contrattuale annua di ciascun lavoratore. Contributi previsti Sgravi contributivi. Entro il limite massimo di 25 punti dell’aliquota a carico del datore di lavoro, al netto delle riduzioni contributive per assunzioni agevolate, delle eventuali misure compensative spettanti e - in agricoltura - al netto delle agevolazioni per territori montani e svantaggiati. Totalmente sulla quota del lavoratore. Modalita` di partecipazione La domanda deve essere inoltrata all’Inps (anche per i lavoratori iscritti all’Inpgi o alle gestioni ex Inpdap e ex Enpals) dalle aziende o tramite intermediari autorizzati per via telematica. La procedura provvede ad assegnare a tutte le istanze un numero di protocollo. La domanda deve contenere: i dati identificativi dell’azienda (per quelle agricole la matricola e` il codice azienda); la tipologia di contratto (aziendale o territoriale) e la data di sottoscrizione; la data di avvenuto deposito del contratto presso la Dtl; l’indicazione dell’Ente previdenziale al quale sono versati i contributi pensionistici; ogni altra indicazione richiesta dall’Istituto. L’ammissione al beneficio riguarda tutte le domande trasmesse entro il periodo indicato dall’Inps. L’ammissione delle aziende allo sgravio contributivo avverra` entro i 60 giorni successivi alla data fissata quale termine unico per l’invio delle istanze. L’Istituto provvedera` a darne tempestiva comunicazione alle aziende beneficiarie e agli intermediari autorizzati. Informazioni Sito www.inps.it. Circolare Inps 17 giugno 2014, n. 78. Messaggio Inps 8 luglio 2014, n. 5887. Regione Piemonte Stanziamento: n.d. Scadenza: modalita` a sportello aperto Misure a favore dell’autoimpiego e della creazione d’impresa. Beneficiari Soggetti con le seguenti caratteristiche: titolari di partita Iva in tutti i settori merceologici e professionali compresi quelli privi di albo o di ordine professionale; abbiano ottenuto la partita Iva a far data dal 1º gennaio dei 2 anni precedenti la data di presentazione della domanda. Non sono ammessi i lavoratori autonomi che nei 3 anni precedenti la data di presentazione della domanda abbiano operato in proprio nello stesso settore di attivita` per la quale si intendono richiedere gli incentivi. Sono altresı` esclusi coloro che svolgono attivita` in forma occasionale o mediante contratti di collaborazione in assenza della partita Iva. Attivita` finanziate Riferimenti normativi Decreto interministeriale 14 febbraio 2014. Formazione professionale e manageriale, spese di assistenza tecnica gestionale connesse all’avvio dell’atti- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti Inps 1715 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. vita`, macchinari e attrezzature, arredi, automezzi, impianti tecnici. Approfondimenti Contributi previsti 1716 Fondo perduto e tasso agevolato. La domanda di finanziamento a tasso agevolato, d’importo complessivo degli investimenti non inferiore a 5.000 euro (Iva esclusa), deve essere finalizzata al conseguimento di uno tra i seguenti obiettivi, riguardante un progetto d’immediata cantierabilita`: a) realizzazione d’investimenti in macchinari, attrezzature, arredi, automezzi (e` escluso l’acquisto di veicoli per il trasporto di merci su strada da parte di soggetti beneficiari di trasporto su strada per conto terzi); b) attivazione degli impianti tecnici necessari per l’esercizio delle attivita`. La domanda di contributo a fondo perduto deve prevedere un importo complessivo delle spese non inferiore a 10.000 euro e non superiore a 20.000 euro. Il contributo e` pari al 40% della spesa ritenuta ammissibile e deve avere un importo minimo di 4.000 euro e un importo massimo di 8.000 euro. La domanda di contributo a fondo perduto deve essere finalizzata al conseguimento di uno o piu` tra i seguenti obiettivi: spese generali di avviamento e spese di assistenza tecnica-gestionale connesse all’avvio dell’attivita`; formazione professionale e manageriale. Le domande per le 2 tipologie di agevolazione possono essere presentate contestualmente o separatamente. Modalita` di partecipazione La domanda di contributo e/o finanziamento deve essere presentata alla provincia, competente per territorio in relazione alla residenza dei soggetti beneficiari. Dopo la registrazione il singolo progetto e` oggetto di una specifica istruttoria tecnica durante la quale possono essere richieste delle integrazioni. La provincia invia la domanda al Comitato tecnico istituito presso Finpiemonte, che esprime parere sull’ammissibilita` della stessa, entro 90 giorni dalla ricezione. sezione F (Costruzioni) del codice Ateco 2007 (imprese operanti nel settore edile ed impiantistico); almeno un’unita` locale (ufficio, magazzino, ecc.) ubicata nel territorio della regione Liguria, regolarmente iscritta alla Cciaa e nella piena disponibilita` dell’impresa; numero di dipendenti in termini di Ula non inferiore a 3 unita`. Informazioni Attivita` finanziate Finpiemonte Spa, galleria San Federico, 54, 10121 Torino; tel. 011.5717711; fax 011.545759; e-mail [email protected]; sito internet: www.finpiemonte.it. Formazione del personale interno; consulenze esterne qualificate, nel limite massimo del 15% della spesa ammissibile complessiva; acquisto di specifico software gestionale (e della relativa licenza) o di servizi on-line (per un periodo non inferiore a 3 anni) per monitorare il livello di sicurezza all’interno dei cantieri. La formazione del personale interno deve essere effettuata esclusivamente da parte di enti di formazione accreditati. La conformita` del sistema di gestione alla norma di certificazione deve essere attestata da parte di organismi accreditati dal sistema nazionale o da strutture equivalenti in ambito internazionale riconosciute dal sistema nazionale. Riferimenti normativi Legge regionale 22 dicembre 2008, n. 34, art. 42. Regione Liguria Stanziamento: n.d. Scadenza: modalita` a sportello aperto Contributi per promuovere la sicurezza dei cantieri e la cultura delle responsabilita` sociale delle imprese. Finalita` Favorire l’adozione da parte delle imprese del settore dell’edilizia e dell’impiantistica di metodologie e sistemi finalizzati a migliorare e garantire la sicurezza dei cantieri, in accordo con norme nazionali, internazionali e comunitarie, e promuovere la cultura della responsabilita` sociale delle imprese e l’adozione di codici etici da parte delle stesse. Beneficiari Le piccole imprese che, alla data di presentazione della domanda, siano in possesso dei seguenti requisiti: iscrizione presso la Cciaa ed attivita` svolta classificata nella DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Contributi previsti Fondo perduto. Fino al 70% del totale delle spese ammissibili, oneri fiscali e previdenziali esclusi. Il contributo totale non puo` comunque superare l’importo massimo di 7.000 euro per impresa. Non sono ammesse richieste di contributo che prevedano un importo di spesa ammissibile inferiore a 3.000 euro. Modalita` di partecipazione La domanda di ammissione al contributo deve essere compilata utilizzando il modulo appositamente predisposto (allegato 1) disponibile in formato elettronico sul sito ufficiale della regione Liguria (http://www.regione.liguria.it) alla voce «Bandi e avvisi» della sezione «Territorio ambiente e infrastrutture/edilizia» e sul sito di Filse Spa (www.filse.it) alla voce «Bandi». La domanda deve essere indirizzata a: Finanziaria ligure per lo sviluppo economico - Filse Spa, via Peschiera, 16 16122 Genova. Le domande devono essere presentate a decorrere dal 4 febbraio 2013 fino ad esaurimento delle risorse disponibili. La domanda deve essere inviata esclusivamente a mezzo raccomandata postale. Sulla busta deve essere apposta la seguente dicitura: «Richiesta di contributi L.R. n. 31/2007, art. 19». La domanda deve contenere la documentazione richiesta e sottoscritta dal legale rappresentante dell’impresa richiedente. Inoltre deve essere trasmessa unitamente a copia fotostatica di idoneo e valido documento di identita` del sottoscrittore, a pena di inammissibilita`. Informazioni Filse Spa, via Peschiera, 16, 16122 Genova; tel. 010.84031; fax 010.814919; e-mail: [email protected]; sito internet: www.filse.it. Riferimenti normativi Legge regionale 13 agosto 2007, n. 31, art. 19. D.G.R. 31 luglio 2009, n. 1069. Fondo per il Microcredito, sezione A. Finalita` Interventi a sostegno delle microimprese, volti sia a contrastare l’economia sommersa sia a sostenere la nuova occupabilita`, l’autoimpiego e l’inclusione di lavoratrici e lavoratori con contratti atipici. Beneficiari Microimprese, in forma giuridica di cooperative, societa` di persone e ditte individuali, costituite e gia` operanti, ovvero in fase di avvio d’impresa. Settori vari. Attivita` finanziate Spese connesse d’impresa. all’avvio Contributi previsti Tasso agevolato. Importo minimo 5.000 euro e massimo 20.000 euro. Durata: 36 - 84 mesi. Tasso d’interesse: 1%. Copertura diretta, tramite Istituto di credito, delle situazioni debitorie indicate dai beneficiari. Pre-ammortamento di 3 mesi seguito dal pagamento di rate costanti mensili. Non saranno applicate spese di istruttoria ai beneficiari. Possono essere richieste al beneficiario altre garanzie personali, ma non reali, patrimoniali o finanziarie. Al beneficiario del prestito non viene erogata liquidita`, bensı`, tramite le banche convenzionate, vengono sanate le posizioni debitorie per le quali, il beneficiario stesso, abbia presentato documentazione giustificativa. I finanziamenti vengono erogati dalle banche appositamente convenzionate con Sviluppo Lazio. no chiamare il numero verde di Sviluppo Lazio 800.264525 per ricevere un codice indentificativo, successivamente saranno contattati da uno degli operatori territoriali dislocati sull’intero territorio regionale. L’iter prevede: colloquio con uno degli operatori territoriali assegnato in base alla logistica territoriale; prima valutazione agevolativa. Nel caso di una valutazione positiva viene rilasciata ai soggetti richiedenti una copia cartacea della domanda alla quale allegheranno i documenti idonei a giustificare la stessa e a dimostrare la capacita` di restituzione del prestito richiesto. La domanda con gli allegati verra` accompagnata da una «lettera di presentazione» rilasciata dagli operatori territoriali ai potenziali beneficiari e, questi ultimi consegneranno copia di tutta la documentazione suddetta all’Istituto di credito convenzionato. Tale lettera segna il momento iniziale del rapporto che deve instaurarsi tra quest’ultimo ed il soggetto richiedente, rapporto che continuera` per tutta la durata del finanziamento, con particolare riguardo alla fase di restituzione del prestito. L’Istituto di credito istruisce la pratica, valutando il merito creditizio, l’ammissibilita` oggettiva e soggettiva e la capacita` di rimborso del beneficiario. Informazioni Sviluppo Lazio, via Vincenzo Bellini, 22, 00198 Roma, tel. 06.8445681; Informalazio 800.264525; sito internet www.sviluppo.lazio.it; www.microcredito.lazio.it. Regione Lazio Stanziamento: n.d. Scadenza: modalita` a sportello aperto. Modalita` di partecipazione Riferimenti normativi I potenziali beneficiari devo- Legge regionale 18 settembre 2006, n. 10, art 1. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1717 1718 Somme erogate e scadenza Soggetti beneficiari DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Le piccole imprese che, alla data di presentazione della domanda, siano in possesso dei seguenti requisiti: iscrizione presso la Cciaa ed attivita` svolta classificata nella sezione F (Costruzioni) del codice Ateco 2007 (imprese operanti nel settore edile ed impiantistico); almeno un’unita` locale (ufficio, magazzino, ecc.) ubicata nel territorio della regione Liguria, regolarmente iscritta alla Cciaa e nella piena disponibilita` dell’impresa; numero di dipendenti in termini di Ula non inferiore a 3 unita`. Stanziamento: n.d. Spese relative a: formazione del personale interno; consulenze esterne qua Regione Liguria Contributi per promuovere la sicu- Scadenza: modalita` a sportello lificate, nel limite massimo del 15% della spesa ammissibile complessiva; acquisto di specifico software gestionale (e della relativa licenza) o di servizi rezza dei cantieri e la cultura delle re- aperto on-line (per un periodo non inferiore a 3 anni) per monitorare il livello di sponsabilita` sociale delle imprese Legge regionale 13 agosto 2007, n. sicurezza all’interno dei cantieri. 31 art. 19 e D.G.R. 31 luglio 2009, n. Contributi previsti. Fondo perduto una tantum. Fino al 70% del totale delle 1069 spese ammissibili, oneri fiscali e previdenziali esclusi. Il contributo totale non puo` comunque superare l’importo massimo di 7.000 euro per impresa. Non sono ammesse richieste di contributo che prevedano un importo di spesa ammissibile inferiore a 3.000 euro. Regione Lazio Stanziamento: n.d. Spese connesse all’avviamento attivita`. Microimprese. Settori vari. Sostegno delle microimprese Scadenza: modalita` a sportello Contributi previsti. Tasso agevolato. Importo minimo 5.000 euro e massi Legge regionale 18 settembre aperto mo 20.000 euro. Durata: 36 - 84 mesi. Tasso d’interesse: 1%. Copertura 2006, n. 10, art 1 diretta, tramite Istituto di credito, delle situazioni debitorie indicate dai beneficiari. Pre-ammortamento di 3 mesi seguito dal pagamento di rate costanti mensili. Non saranno applicate spese di istruttoria ai beneficiari. Soggetti con le seguenti caratteristiche: titolari di partita Iva in tutti i settori merceologici e professionali compresi quelli privi di albo o ordine professionale, che abbiano ottenuto la partita Iva a far data dal 1º gennaio dei 2 anni precedenti la data di presentazione della domanda. Non sono ammessi i lavoratori autonomi che nei 3 anni precedenti la data di presentazione della domanda abbiano operato in proprio nello stesso settore di attivita` per la quale si intendono richiedere gli incentivi. Contributi previsti. Sgravi contributivi. Entro il limite massimo di 25 punti dell’aliquota a carico del datore di lavoro, al netto delle riduzioni contributive per assunzioni agevolate, delle eventuali misure compensative spettanti e - in agricoltura - al netto delle agevolazioni per territori montani e svantaggiati. Totalmente sulla quota del lavoratore. Incentivare i contratti collettivi aziendali e territoriali o di secondo livello Imprese settori vari. che prevedano erogazioni correlate a incrementi di produttivita`, qualita`, redditivita`, sottoscritti dai datori di lavoro e depositati presso le Dtl entro il 30 giugno 2014. Misure previste Tabella di sintesi Stanziamento: n.d. Formazione professionale e manageriale, spese di assistenza tecnica gestio Regione Piemonte Misure a favore dell’autoimpiego e Scadenza: modalita` a sportello nale connesse all’avvio dell’attivita`, macchinari e attrezzature, arredi, autodella creazione d’impresa aperto mezzi, impianti tecnici. Legge regionale 22 dicembre 2008, Contributi previsti. Fondo perduto e tasso agevolato. La domanda di finann. 34, art. 42 ziamento a tasso agevolato, d’importo complessivo degli investimenti non inferiore a 5.000 euro (Iva esclusa). La domanda di contributo a fondo perduto deve prevedere un importo complessivo delle spese non inferiore a 10.000 euro e non superiore a 20.000 euro. Il contributo e` pari al 40% della spesa ritenuta ammissibile e deve avere un importo minimo di 4.000 euro e un importo massimo di 8.000 euro. Inps Stanziamento: 607 milioni di euro Sgravi contributivi 2013 per con- Scadenza: 7 agosto 2014 tratti di secondo livello Decreto interministeriale 14 febbraio 2014; circolare Inps 17 giugno 2014, n. 78; messaggio Inps 8 luglio 2014, n. 5887 Soggetto erogatore, tipologia d’intervento, normativa Approfondimenti antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 26 giugno 2014 Rassegna interpelli Aziende straniere Autorizzazione preventiva per l’assunzione di italiani all’estero Ministero del lavoro, 26 giugno 2014, n. 13 Oggetto: art. 9 del D.Lgs. n. 124/2004 - art. 2, D.L. n. 317/1987 (conv. da L. n. 398/1987) - campo di applicazione. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Direzione generale in merito all’obbligo per le aziende straniere con sede legale e operativa in un territorio extra Ue, facenti parte di un gruppo di imprese ai sensi dell’art. 2359 c.c., di richiedere il rilascio dell’autorizzazione preventiva di cui all’art. 2 del D.L. n. 317/1987 qualora intendano assumere presso la propria sede estera un lavoratore italiano residente in Italia. Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale per le Politiche per i servizi per il lavoro, si rappresenta quanto segue. Preliminarmente si ritiene opportuno rappresentare che il D.L. n. 317/1987 (conv. da L. n. 398/1987) e` stato parzialmente sostituito dal D.P.R. n. 346/1994 che, in ottemperanza alle disposizioni di cui all’art. 2, commi 7, 8 e 9 della L. n. 537/1993, ha disciplinato il procedimento di autorizzazione all’assunzione o al trasferimento in Paesi non aderenti all’Unione europea di lavoratori italiani. La normativa di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 346/1994 dispone espressamente che alla presentazione di autorizzazione preventiva per l’assunzione o il trasferimento all’estero dei lavoratori italiani sono tenuti i datori di lavoro di cui all’art. 1, comma 2, del D.L. n. 317/1987. Nello specifico i datori di lavoro individuati dalla legge sono: «a) i datori di lavoro residenti, domiciliati o aventi la propria sede, anche secondaria, nel territorio nazionale; b) le societa` costituite all’estero con partecipazione italiana di controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile; c) le societa` costituite all’estero, in cui persone fisiche e giuridiche di nazionalita` italiana partecipano direttamente, o a mezzo di societa` da esse controllate, in misura complessivamente superiore ad un quinto del capitale sociale; d) i datori di lavoro stranieri». Dal dettato della citata normativa (cfr. art. 2, D.P.R. n. 346/1994) puo` evincersi che sono soggetti alla richiesta dell’autorizzazione i datori di lavoro che intendono assumere o trasferire all’estero un lavoratore italiano, pertanto si ritiene irrilevante la circostanza per cui il lavoratore debba essere assunto presso il datore di lavoro localizzato in Paese extra Ue e non debba, invece, essere assunto in Italia per prestare la propria attivita` all’estero, atteso anche che l’art. 2 precisa espressamente che sussiste la necessita` dell’autorizzazione sia per l’assunzione all’estero del lavoratore italiano sia per il suo trasferimento. Sotto il profilo operativo, le modalita` di presentazione della richiesta di autorizzazione continuano ad essere regolate dal D.M. 16 agosto 1988, recante la «Documentazione da produrre in allegato alle domande di autorizzazione al reclutamento ed all’espatrio di lavoratori italiani». Tale D.M., al quale si fa integrale rinvio, resta infatti in vigore, attesa la mancata emanazione, entro i termini previsti, del nuovo decreto richiesto dal D.P.R. n. 346/1994 per l’individuazione della documentazione da allegare alle domande di autorizzazione. Nota Rispondendo con l’interpello n. 13 del 26 giugno 2014 all’istanza del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, intesa a chiarire l’obbligo delle aziende straniere di richieDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Interpelli Un’azienda extra Ue, facente parte di un gruppo di imprese, deve richiedere il rilascio dell’autorizzazione preventiva per assumere presso la propria sede estera un lavoratore italiano residente in Italia? 1719 Interpelli antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1720 dere l’autorizzazione preventiva per l’assunzione di un lavoratore italiano, il Ministero del lavoro sottolinea l’applicazione della legge n. 398/1987 nei confronti di qualsivoglia datore di lavoro che intenda impiegare all’estero lavoratori italiani. A seguito dell’intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 369/1985), che ha dichiarato l’illegittimita` delle disposizioni che escludevano dalla tutela previdenziale i lavoratori italiani impiegati in un Paese estero, il D.L. n. 317/1987, convertito in legge n. 398 del 1987, all’articolo 2, al comma 1, ha stabilito che per assumere o trasferire lavoratori italiani per svolgere attivita` lavorative in Paesi extracomunitari e` necessario il rilascio di una preventiva autorizzazione da parte del Ministero del lavoro. In particolare, sono tenuti a richiedere l’autorizzazione: i datori di lavoro residenti, domiciliati e aventi la propria sede, anche secondaria, nel territorio nazionale; le societa` costituite all’estero con partecipazione italiana di controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile; le societa` costituite all’estero, in cui persone fisiche e giuridiche di nazionalita` italiana partecipano direttamente, o a mezzo di societa` da esse controllate, in misura complessivamente superiore ad un quinto del capitale sociale; i datori di lavoro stranieri. Del tutto priva di rilievo e` la circostanza che l’assunzione avvenga in Italia ed il lavoratore sia successivamente trasferito all’estero o che l’assunzione sia effettuata direttamente nel Paese estero. In tal senso l’articolo 2 del D.P.R. n. 346/1994 dispone che i sopraelencati datori di lavoro devono presentare richiesta di autorizzazione, corredata della prescritta documentazione, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, divisione competente della Direzione generale per l’impiego, sia che intendano procedere all’assunzione sia che debbano trasferire lavoratori italiani all’estero. Copia della sola istanza e` trasmessa al Ministero degli affari esteri. Se residenti all’estero, i datori di lavoro possono presentare la richiesta all’ufficio consolare competente, che la trasmette direttamente al Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Alla richiesta devono essere allegati: certificato d’iscrizione alla Camera di commercio o al registro delle societa` di data non anteriore a un mese (per le organizzazioni sindacali non governative il certificato d’idoneita` di cui agli articoli 28 e 29 della legge n. 49/1987) (articolo 1, comma 3, D.M. 16 agosto 1988); copia del contratto di appalto o, se l’attivita` da svolgere all’estero non costituisca l’oggetto di un appalto, la specificazione dell’attivita` contrattuale o del titolo giuridico inerente l’attivita` medesima (per le organizzazioni sindacali non governative una corrispondente dichiarazione rilasciata dal Ministero degli affari esteri) (articolo 1, comma 5); per i datori di lavoro non aventi sede nel territorio nazionale la documentazione relativa al conferimento per atto pubblico del mandato ad una persona fisica o giuridica residente in Italia e della corrispondente accettazione del mandatario con responsabilita` solidale per l’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dal D.L. n. 317/1987 (se la domanda e` presentata direttamente essa va corredata di documentazione equipollente tradotta in lingua italiana e autenticata dalle autorita` consolari italiane) (articolo 1, comma 4). Il rilascio dell’autorizzazione e` subordinato al rispetto delle seguenti condizioni: il trattamento economico e normativo offerto al lavoratore sia complessivamente non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di lavoro vigenti in Italia per la categoria di appartenenza del lavoratore; il contratto di lavoro stabilisca il tipo di sistemazione logistica, impegni il datore di lavoro ad apprestare idonee misure in materia di sicurezza sul lavoro, preveda la possibilita` di trasferire in Italia la quota di valuta trasferibile delle retribuzioni corrisposte all’estero; sia stipulata una polizza assicurativa a favore del lavoratore inviato all’estero a svolgere attivita` lavorativa per ogni viaggio di andata e di ritorno verso il e dal luogo di lavoro e di rientro dal luogo stesso in caso di morte; il Ministero degli affari esteri rilasci il proprio parere preventivo favorevole e non comunichi al Ministero del lavoro che le condizioni generali del Paese di destinazione non offrono idonee garanzie alla sicurezza del lavoratore. I tempi della procedura non sono certo brevi. Prevede infatti l’articolo 5 del D.P.R. n. 346/ 1994, come sostituito dal D.P.R. n. 247/1997, che i l Ministero del lavoro e della previdenza sociale provveda al rilascio dell’autorizzazione nel termine di 75 giorni dalla data del ricevimento della richiesta della societa`, se presentata in Italia, e di 90 giorni, se presentata all’estero, salvo eventuali interruzioni per richieste di modifica o integrazione dell’istanza. Decorsi i termini di cui sopra, opera il silenzio-assenso e l’autorizzazione si intende concessa. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Con l’interpello n. 47/2009, il Ministero del lavoro, ha ritenuto che non sussista un obbligo di comunicazione ai Centri per l’impiego per rapporti di lavoro costituitisi sul territorio di Paesi stranieri, anche se riguardanti l’assunzione di un lavoratore di nazionalita` italiana. In tali casi, peraltro, la conoscibilita` da parte della P.A. della costituzione del rapporto di lavoro e` assicurata dal perfezionamento della procedura di assunzione presso la Direzione regionale di iscrizione del lavoratore interessato, cosı` come previsto dall’articolo 1, comma 4, del D.L. n. 317/1987. Peraltro, l’articolo 1, comma 4, della legge 3 ottobre 1987, n. 398 prevede che «i lavoratori disponibili a prestare all’estero la loro attivita` devono iscriversi in apposita lista di collocamento tenuta dall’Ufficio regionale del lavoro del luogo di residenza il quale rilascia il nulla osta all’assunzione che puo` avvenire con richiesta nominativa». A questo fine, tramite il portale «cliclavoro» e` gestita la Lista italiani all’estero nella quale sono iscritti i cittadini italiani o comunitari disponibili al trasferimento in Paesi extra-comunitari ed alla quale possono accedere i datori di lavoro interessati. Nel caso di datori di lavoro che non hanno sede nel territorio nazionale, la richiesta puo` essere presentata, anche attraverso l’ufficio consolare competente, conferendo mandato per atto pubblico a persona fisica o giuridica residente in Italia (che accetta sempre per atto pubblico). Maria Rosa Gheido e Alfredo Casotti Legislazione: D.L. 31 luglio 1987, n. 317; D.M. 16 agosto 1988; D.P.R. 18 aprile 1994, n. 346; D.P.R. 19 giugno 1997, n. 247. Prassi: Inpdai, circ. 1º dicembre 2000 e circ. 5 dicembre 2000; Inps, msg. 30 dicembre 2003, n. 159; Min. lav., int. 5 giugno 2009, n. 47. Edilizia Indennita` di disoccupazione nelle aree in stato di grave crisi Ministero del lavoro, 26 giugno 2014, n. 14 Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - trattamento di disoccupazione edile ex art. 11, L. n. 223/1991. L’Associazione nazionale costruttori edili ha avanzato istanza di interpello a questa Direzione per avere chiarimenti circa la corretta applicazione del trattamento di disoccupazione edile di cui all’art. 11, L. n. 223/1991. In particolare l’interpellante chiede di sapere se risulta applicabile il punto 3 della Delibera Cipi del 19 ottobre 1993 che fissa in 40 unita` il numero dei lavoratori licenziati cui applicare il citato trattamento di disoccupazione «nelle circoscrizioni che presentino un rapporto superiore alla media nazionale fra iscritti alla prima classe di collocamento e la popolazione residente in eta` da lavoro». Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale per le politiche attive e passive del lavoro e dell’Inps, si rappresenta quanto segue. Come noto, la L. n. 92/2012 ha introdotto un sistema generalizzato di protezione dalla disoccupazione involontaria attraverso l’introduzione delle indennita` di disoccupazione (ASpI e mini AspI). Detta legge ha abrogato, a far data dal 1º gennaio 2017, molti dei trattamenti previgenti, tra i quali il trattamento speciale di disoccupazione per l’edilizia di cui all’art. 11, L. n. 223/1991, il quale trova comunque medio tempore piena applicazione per gli eventi di licenziamento intervenuti entro la data del 30 dicembre 2016 (cfr. Inps circ. n. 2/2013). Si ritiene, pertanto, tutt’ora validamente operante il trattamento di disoccupazione speciale per l’edilizia, cosı` come disciplinato prima dell’entrata in vigore della L. n. 92/2012 e secondo le modalita` dettate dalle diverse disposizioni che ad esso fanno riferimento. Fra queste vanno principalmente segnalate la Delibera Cipi del 19 ottobre 1993, cui rimanda espressamente l’art. 11, comma 2, L. n. 223/1991 e il D.M. 14 gennaio 2003, che individua gli ambiti territoriali circoscrizionali che presentano un rapporto superiore alla media nazionale tra iscritti alla prima classe delle liste di collocamento e popolaDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Interpelli Dopo la riforma Fornero, e` ancora operativo il requisito dei 40 lavoratori licenziati per beneficiare del trattamento speciale di disoccupazione edile? 1721 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Interpelli zione residente interessati dal trattamento di disoccupazione ex art. 11, comma 3, L. n. 223/1991 nella misura prevista dal punto 3 della stessa Delibera Cipi. In sostanza l’art. 11, comma 2, L. n. 223/ 1991 prevede l’applicazione del trattamento speciale di disoccupazione per i lavoratori occupati in lavori edili «nelle aree nelle quali il Cipi (...) accerta la sussistenza di uno stato di grave crisi dell’occupazione» e licenziati a causa di tale stato di crisi. Il trattamento in questione, ai sensi del successivo comma 3, risulta esteso ai lavoratori residenti in circoscrizioni che presentano «un rapporto superiore alla media nazionale tra iscritti alla prima classe di collocamento e popolazione residente in eta` da lavoro». In applicazione di tale precetto il Cipi, con Delibera del 19 ottobre 1993, ha individuato i casi di crisi occupazionale che consentono la fruizione del trattamento speciale di disoccupazione edile definendo, da un lato, la nozione di opera pubblica e di finalita` pubblica e, dall’altro, prevedendo al punto 3, per l’applicazione dell’art. 11, L. n. 223/1991, che «il numero dei lavoratori edili licenziati non deve essere inferiore a 40 unita` (...) nelle circoscrizioni che presentino un rapporto superiore alla media nazionale tra iscritti alla prima classe di collocamento e popolazione residente in eta` da lavoro». 1722 L’effettiva individuazione della misura percentuale del rapporto cui fanno riferimento sia la L. n. 223/1991 che la Delibera Cipi suddetta e` stata effettuata con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 14 gennaio 2003, che ha fissato nel 18,4% la soglia della media nazionale, il superamento della quale comporta l’applicazione del punto 3 della Delibera Cipi e dell’art. 11 della L. n. 223/1991. In allegato al D.M. 14 gennaio 2003 risultano riportati i dati riferibili alle circoscrizioni territoriali che determinano il relativo rapporto percentuale. Si ritiene che tali dati, in assenza della emanazione di successivi Decreti, possano essere ancora utili ai fini della fruizione del trattamento speciale di disoccupazione edile. Pertanto, per individuare le circoscrizioni interessate dalle norme esaminate e` sufficiente consultare gli allegati al citato Decreto. Riconosciute le circoscrizioni nelle quali il rapporto tra iscritti alla prima classe di collocamento e popolazione residente in eta` di lavoro risulta superiore al 18,4%, si applica, fino al 30 dicembre 2016, il trattamento speciale di disoccupazione edile di cui all’art. 11, L. n. 223/1991 per coloro che rientrano nell’area in cui sono ricompresi i cantieri sorti per lo svolgimento di opere con finalita` pubbliche e licenziati, in numero superiore a 40 unita`, a causa di gravi crisi dell’occupazione. Nota L’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) ha chiesto di sapere se, dopo l’entrata in vigore della legge n. 92/2012, e` sempre operativo il requisito delle 40 unita` per il riconoscimento dell’indennita` speciale di disoccupazione edile, in caso di licenziamenti rientranti nella previsione dell’articolo 11 della legge n. 223/1991. Il Ministero del lavoro risponde con l’interpello n. 14 del 26 giugno 2014 confermando l’applicazione della previgente disciplina fino al temine del periodo transitorio disciplinato dalla legge n. 92/2012 che ha introdotto l’assicurazione sociale per l’impiego. Come regola generale, l’articolo 9 della legge n. 427/1975 riconosce il trattamento speciale di disoccupazione per l’edilizia ai lavoratori licenziati da imprese edili ed affini per cessazione dell’attivita`, per ultimazione del cantiere o di singole fasi lavorative o per riduzione di personale. Una norma speciale e` introdotta dal comma 2 dell’articolo 11 della legge n. 223/1991, il quale stabilisce che nelle aree nelle quali il Cipi, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, accerta la sussistenza di uno stato di grave crisi dell’occupazione conseguente al previsto completamento di impianti industriali o di opere pubbliche di grandi dimensioni, ai lavoratori edili che siano stati impegnati, in tali aree e nelle predette attivita`, per un periodo di lavoro effettivo non inferiore a 18 mesi e siano stati licenziati dopo che l’avanzamento dei lavori edili abbia superato il 70%, spetta il trattamento speciale di disoccupazione. Il trattamento e` esteso ai lavoratori non residenti nell’area in cui sono completati i lavori a condizione che essi siano residenti in circoscrizioni che presentino un rapporto superiore alla media nazionale tra iscritti alla prima classe di collocamento e popolazione residente in eta` da lavoro. Il Cipi, con delibera del 19 ottobre 1993 ha individuato i casi di crisi occupazionale nei quali si applica la suddetta disposizione ed ha definito opera pubblica quella in cui siano amministrazioni aggiudicatrici lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, i comuni, gli altri enti locali, gli enti pubblici e le associazioni fra i soggetti anzidetti, di carattere immobiliare, destinata ad un fine pubblico, finanziata in tutto o in parte con fondi dello Stato, delle regioni o di enti pubblici. Rientrano in questa definizione: le opere di edilizia residenziale pubblica ed edifici destinati a scopi amministrativi; DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 i lavori edili relativi ad ospedali, edifici scolastici ed universitari, impianti sportivi e ricreativi; i lavori di genio civile (strade, ponti, ferrovie, aeroporti, pozzi, gallerie, opere fluviali, marittime e idrauliche, ecc.). Per generare il diritto all’indennita` speciale occorre, pero` che il numero dei lavoratori edili licenziati, in un arco temporale di 6 mesi, non sia inferiore a: 40 unita` nelle aree ricomprese nei territori di cui al D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, nonche´ nelle circoscrizioni che presentino un rapporto superiore alla media nazionale fra iscritti alla prima classe di collocamento e la popolazione residente in eta` da lavoro; il numero delle unita` puo` essere ridotto fino ad un minimo di 30 qualora nelle medesime zone il suindicato rapporto fra iscritti alla prima classe di collocamento e popolazione residente in eta` da lavoro sia superiore del 30% alla media nazionale; 80 unita` nelle aree non ricomprese nei territori di cui al precedente punto. Con il decreto ministeriale 14 gennaio 2003 sono state definite le circoscrizioni che presentano un rapporto tra iscritti alla prima classe delle liste di collocamento e popolazione residente in eta` da lavoro superiore alla media nazionale ed e` stato individuato nel individuato nel 18,4% il rapporto medio nazionale. Dal 1º gennaio 2013 la legge n. 92/2012, c.d. legge Fornero, con la finalita` di uniformare e razionalizzare i trattamenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, ha introdotto l’ASpI, in sostituzione dei trattamenti di disoccupazione non agricola ed e` intervenuta anche sull’indennita` speciale in argomento. In particolare, l’articolo 2, comma 71, della citata legge n. 92/2012 abroga, a far data dal 1º gennaio 2017 le seguente disposizioni: articolo 11 comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223; articoli da 9 a 19 della legge n. 427/1975; articolo 3, comma 3, del D.L. n. 299/1994. Per l’anno 2014, i lavoratori che hanno diritto al trattamento speciale di disoccupazione per l’edilizia di cui all’articolo 11, commi 2 e 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223, nonche´ a quello di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 19 luglio 1994, n. 451, percepiscono un importo pari a quello dell’indennita` di mobilita`, mentre quelli che ne hanno diritto per effetto della legge 6 agosto 1975, n. 427, percepiscono, per l’anno 2014, euro 634,07 che, al netto della riduzione del 5,84%, sono pari ad euro 597,04. Tant’e` che per il periodo transitorio, come chiarito dall’Inps con la circolare n. 2/2013, il lavoratore in possesso dei requisiti di cui all’art. 9 della legge n. 427/1975 puo` presentare in alternativa alla domanda di disoccupazione speciale quella per ASpI o Mini-ASpI (nei termini perentori previsti per quest’ultime) perche´ piu` favorevole. Per gli eventi di licenziamento intervenuti entro il 30 dicembre 2016, che generano il diritto al maggior importo in quanto riconducibili ai commi 2 e 3 dell’articolo 11 della legge n. 223/1991 in argomento, continuano ad applicarsi le condizioni di cui alla delibera Cipi del 19 ottobre 1993 e al D.M. 14 gennaio 2003. Le domande di trattamento speciale per l’edilizia con data di licenziamento 31 dicembre 2016 non saranno piu` gestite dall’Inps in quanto la norma sara` abrogata con effetto dal 1º gennaio 2017. Maria Rosa Gheido Legislazione: L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 11, c. 2 e 3; L. 6 agosto 1975, n. 427, artt. da 9 a 19; D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 3. Prassi: Inps, circ. 7 gennaio 2013, n. 2 e circ. 29 gennaio 2014. Aziende sanitarie Enpam e certificazione della regolarita` contributiva Come certificare l’assolvimento degli obblighi contributivi gravanti sulle societa` operanti in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale nei confronti del Fondo degli specialisti esterni dell’Enpam? Ministero del lavoro, 26 giugno 2014, n. 15 Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - certificazione di regolarita` contributiva per le socie- DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Interpelli antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1723 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Interpelli ta` operanti in regime di accreditamento con il S.S.N. e trasmissione dei dati necessari alla verifica del corretto adempimento degli obblighi previdenziali. 1724 L’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri - Enpam - ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Direzione generale in ordine alla certificazione del corretto assolvimento degli obblighi contributivi gravanti sulle societa` operanti in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale nei confronti del Fondo degli specialisti esterni istituito presso il medesimo ente (art. 1, comma 39, L. n. 243/2004). Si pone, altresı`, la problematica afferente alla trasmissione dei dati relativi al fatturato annuo delle societa` in argomento, richiesti dall’Ente ai fini della tutela previdenziale obbligatoria dei medici chirurghi ed odontoiatri impiegati presso dette strutture. Al riguardo e` stato acquisito il parere della Direzione generale per le politiche previdenziali ed assicurative e dell’Inail mentre l’Inps, pur sollecitato, non ha fornito riscontri. Ai fini della soluzione del quesito, occorre innanzitutto sottolineare che il Documento unico di regolarita` contributiva (Durc) attesta la regolarita` e la correntezza degli adempimenti di carattere contributivo da parte di un operatore economico nei confronti degli Istituti previdenziali ed assistenziali. Si ricorda che, in virtu` dell’art. 16 bis, comma 10, D.L. n. 185/2008 (conv. da L. n. 2/ 2009), le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d’ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il Durc dagli Istituti in tutti i casi in cui la legge lo richiede (v. Min. lav. circ. n. 12/2012). Laddove non risulti possibile acquisire il Durc mediante il c.d. Sportello unico previdenziale, come avviene nelle ipotesi di lavoratori autonomi liberi professionisti iscritti alle relative Casse di categoria, queste ultime rilasciano una certificazione equipollente, nel rispetto della normativa previdenziale di settore, che di fatto riproduce contenuti analoghi a quelli previsti per il Durc. Si fa presente che l’art. 15, comma 1, lett. d), L. n. 183/2011, a decorrere dal 1º gennaio 2012, ha previsto una semplificazione in materia di accertamento della regolarita` contributiva, introducendo l’art. 44-bis del D.P.R. n. 445/2000, secondo il quale «le informazioni relative alla regolarita` contributiva sono acquisite d’ufficio, ovvero controllate ai sensi dell’art. 71, dalle pubbliche amministraDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 zioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore». Come previsto dall’art. 31 del D.L. n. 69/ 2013 (conv. da L. n. 98/2013) e, per il passato, gia` chiarito dall’Autorita` per la vigilanza sui contratti pubblici (cfr. Avcp faq D17), l’acquisizione di tale certificazione e` necessaria sia al momento della stipulazione del contratto, sia per il pagamento delle prestazioni relative a servizi e forniture. Per quanto concerne la certificazione della regolarita` contributiva per le societa` operanti in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale, occorre richiamare l’art. 1, comma 39, L. n. 243/2004, il quale sancisce il versamento in favore del Fondo degli specialisti esterni istituito presso l’Enpam di «un contributo pari al 2 per cento del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative (Aa.Ss.Ll.), senza diritto di rivalsa sul Servizio sanitario nazionale. Le medesime societa` indicano i nominativi dei medici e degli odontoiatri che hanno partecipato alle attivita` di produzione del fatturato, attribuendo loro la percentuale contributiva di spettanza individuale». In considerazione del rapporto di concessione ex lege intercorrente tra le societa` in argomento e le Aziende sanitarie locali (cfr. Cass., sez. un., n. 5769/2012), nonche´ dell’esigenza di interpretare in modo uniforme la normativa in materia di regolarita` contributiva, si ritiene che le Aziende sanitarie, oltre all’acquisizione d’ufficio del Durc, siano tenute - sia in sede di stipula del contratto di accreditamento che al momento della liquidazione delle fatture - a richiedere all’Enpam il rilascio della certificazione equipollente al Durc attestante il regolare adempimento degli obblighi contributivi di cui al citato art. 1, comma 39, della L. n. 243/2004. Con riferimento alla trasmissione dei dati relativi al fatturato annuo delle societa` accreditate, si evidenzia che, ai sensi della disposizione normativa da ultimo menzionata, l’obbligo contributivo delle medesime societa` risulta parametrato ad una somma pari ad una percentuale del fatturato annuo afferente alle prestazioni specialistiche rese nei confronti del S.S.N., con indicazione dei nominativi dei medici e degli odontoiatri che hanno partecipato alle attivita` di produzione del fatturato e delle quote contributive di spettanza individuale. Si precisa che il calcolo della base imponibile del contributo in questione puo` essere effettuato solo avvalendosi dei dati in possesso delle Aa.Ss.Ll. che usufruiscono delle presta- antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. in applicazione del dovere di collaborazione previsto dal citato art. 1, comma 39, nei confronti delle societa` in argomento. Cio` appare, altresı`, confermato dal disposto dell’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 196/2003, ai sensi del quale «la comunicazione da parte di un soggetto pubblico ad altri soggetti pubblici e` ammessa quando e` prevista da una norma di legge o di regolamento. In mancanza di tale norma la comunicazione e` ammessa quando e` comunque necessaria per lo svolgimento di funzioni istituzionali». Nota Con l’interpello n. 15 del 26 giugno l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri, Enpam, ha posto alla Direzione generale per l’attivita` ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali richiesta di duplice chiarimento. Il primo tema e` quello relativo al corretto assolvimento degli obblighi contributivi gravanti sulle societa` operanti in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale nei confronti del Fondo degli specialisti esterni. Il riferimento normativo e` rappresentato dall’articolo 1, comma 39, della legge 23 agosto 2004 n. 243 in base al quale si dispone che le societa` professionali mediche ed odontoiatriche, in qualunque forma costituite, e le societa` di capitali, operanti in regime di accreditamento col Servizio sanitario nazionale, devono versare al Fondo di previdenza a favore degli specialisti esterni dell’Enpam un contributo pari al 2% del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative, senza diritto di rivalsa sulle strutture pubbliche. Si prevede ancora che devono essere altresı` indicati i nominativi dei medici e degli odontoiatri che hanno partecipato alle attivita` di produzione del fatturato, attribuendo loro la percentuale contributiva di spettanza individuale. Il Ministero del lavoro nel rispondere all’interpello ribadisce in primo luogo la valenza del Durc quale documento atto a certificare la regolarita` e la correntezza degli adempimenti di carattere contributivo e ricorda come, laddove la normativa lo preveda, le stazioni appaltanti pubbliche lo acquisiscono d’ufficio anche attraverso il canale informatico. Nella fattispecie concreta dei lavoratori autonomi liberi professionisti il documento di regolarita` contributiva e` prodotto dalla Cassa di categoria di riferimento. Viene altresı` richiamata la previsione normativa di cui all’articolo 31 del D.L. n. 69/2013 in base alla quale la documentazione di regolarita` contributiva costituisce «conditio sine qua non» sia per la stipula di contratti pubblici che per il pagamento delle relative prestazioni fornite. In considerazione di tale quadro normativo ed alla luce del rapporto di concessione ex lege che le societa` in accreditamento hanno con il Servizio sanitario nazionale, il parere del Ministero del lavoro e` allora quello per cui le Aziende sanitarie sono tenute, sia nel momento genetico del rapporto che nella fase di liquidazione delle fatture, a richiedere all’Enpam il rilascio della certificazione equipollente al Durc attestante l’ottemperanza alla previsione normativa di cui all’articolo 1, comma 39, della legge n. 243/2004. Ulteriore quesito posto dall’Ente di previdenza riguarda poi, sempre con riferimento alla medesima disposizione di legge, la problematica inerente alla richiesta di trasmissione dei dati relativi al fatturato annuo delle medesime societa` ai fini della tutela previdenziale obbligatoria dei medici chirurghi ed odontoiatri presso le medesime strutture. Il Ministero del lavoro precisa che l’Enpam, assolvendo ad una funzione «pubblicistica ai sensi dell’articolo 38 Cost.», e` legittimata a richiedere alle Aa.Ss.Ll. la fornitura dei dati essendo queste ultime tenute al dovere di collaborazione e, dal punto di vista operativo, uniche tenutarie delle informazioni utili per il calcolo della base imponibile del contributo da versare. Giuseppe Rocco Legislazione: D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196; L. 23 agosto 2004, n. 243; D.L. 29 novembre 2008, n. 185. Prassi: Min. lav., circ. 1º giugno 2012, n. 12. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Interpelli zioni specialistiche e ambulatoriali dei medici e degli odontoiatri operanti per conto delle predette societa`, informazioni necessarie al fine di ottemperare agli obblighi di legge (cfr. sentenza Tribunale Roma, sez. lavoro, n. 7334/2013). La richiesta di fornitura di tali dati appare pertanto legittimata in quanto effettuata dall’ente, nell’espletamento della sua specifica funzione «pubblicistica», volta alla tutela previdenziale ed assistenziale dei medici chirurghi ed odontoiatri (art. 38 Cost.), nonche´ 1725 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Presunzione di collaborazione Fisioterapisti titolari di partita Iva La presunzione relativa di parasubordinazione, di cui all’articolo 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003, si applica ai fisioterapisti? Ministero del lavoro, 26 giugno 2014, n. 16 Interpelli Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - art. 69 bis, D.Lgs. n. 276/2003 - figura professionale del fisioterapista. 1726 La Confindustria ha avanzato istanza d’interpello per conoscere il parere di questa Direzione in ordine alla corretta interpretazione della disciplina di cui all’art. 69 bis del D.Lgs. n. 276/2003, concernente le prestazioni di lavoro autonomo espletate dai soggetti titolari di partita Iva. In particolare, l’istante chiede se la presunzione relativa di parasubordinazione, contemplata dalla citata disposizione, possa trovare applicazione nei confronti della categoria professionale dei fisioterapisti, laddove ricorrano i presupposti previsti dalla medesima norma. Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro, si rappresenta quanto segue. Al fine di contrastare l’utilizzo ‘‘distorto’’ dello strumento delle c.d. partite Iva, l’art. 69 bis del D.Lgs. n. 276/2003 disciplina una presunzione di parasubordinazione in virtu` della quale e` possibile ricondurre le prestazioni di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. nell’ambito della diversa forma di natura autonoma della collaborazione coordinata e continuativa a progetto di cui agli artt. 61 e ss. del citato Decreto. Come chiarito da questo Ministero con circ. n. 32/2012, la predetta presunzione trova applicazione in presenza di determinate condizioni di legge, salvo prova contraria da parte del committente. La stessa presunzione risulta invece esclusa, ex art. 69 bis, comma 2, nelle ipotesi in cui la prestazione implichi competenze teoriche di grado elevato ovvero capacita` tecnico-pratiche, acquisite attraverso rilevanti esperienze e sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali. La presunzione non opera, inoltre, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, in relaDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 zione «alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attivita` professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni». Con Decreto del 20 dicembre 2012 questo Ministero ha provveduto ad effettuare una «ricognizione» delle suddette attivita`, individuando i seguenti criteri di ordine generale: «gli ordini o collegi professionali, i registri, gli albi, i ruoli e gli elenchi professionali (...) sono esclusivamente quelli tenuti o controllati da una amministrazione pubblica di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/ 2001 nonche´ da federazione sportive»; «l’iscrizione e` subordinata al superamento di un esame di stato o comunque alla necessaria valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento delle attivita`». Ai fini della soluzione del quesito, occorre dunque verificare se i due requisiti sopra richiamati siano riscontrabili con riferimento alla figura professionale in esame. Dalla lettura dell’art. 2 del Decreto del Ministero della sanita` del 14 settembre 1994, n. 741, si evince che «il diploma universitario di fisioterapista abilita all’esercizio della professione». Lo stesso viene, infatti, rilasciato a seguito del completamento del corso di studi e del superamento di un esame finale che involge la valutazione di una specifica commissione costituita presso l’Universita`. Il possesso di tale diploma - conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 502/1992 o di diploma o attestato equipollente ovvero titolo riconosciuto ai sensi della normativa statale vigente - costituisce, inoltre, requisito indispensabile ai fini dell’iscrizione negli elenchi professionali dei fisioterapisti, laddove istituiti con legge regionale (cfr. ad es. legge Regione Lazio n. 17 /2002). Alla luce delle osservazioni svolte, si ritiene pertanto che l’attivita` svolta dai fisioterapisti possa essere ricompresa nell’ambito delle prestazioni professionali di cui all’art. 69 bis, comma 3, con la conseguente esclusione dall’applicazione della presunzione, solo nella misura in cui gli stessi risultino in pos- antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. presunzione, resta fermo che laddove siano riscontrabili gli usuali indici di subordinazione, la prestazione di lavoro autonomo dei fisioterapisti potra` essere «direttamente» ricondotta ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Nota L’attivita` del fisioterapista non rientra fra i casi ai quali si applica la presunzione di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003. La norma richiamata prevede come e` noto la trasformazione del rapporto di lavoro autonomo con partita Iva reso dal fisioterapista allo stesso committente in una collaborazione coordinata e continuativa e conseguente pagamento dei contributi all’Inps da parte del datore di lavoro. La presunzione scatta, per esempio, nel caso in cui la prestazione sia resa per lo stesso committente per piu` di 8 mesi all’anno per 2 anni consecutivi o, per avere un reddito, derivante da tale prestazione, che rappresenti piu` dell’80% di quanto fatturato dal soggetto. Il Ministero, con l’interpello n. 16/2014, esclude i fisioterapisti dalla soggezione a tale presunzione. L’iscrizione negli elenchi professionali, o il diploma universitario che abilita alla professione di fisioterapista, collocano tale figura professionale, fra quelle svolte «nell’esercizio di attivita` professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale ovvero appositi registri, albi ruoli o elenchi professionali qualificati» i quali, per espressa previsione del comma 3 dell’articolo 69-bis richiamato, escludono dalla presunzione. L’interpello e` stato posto da Confindustria che ha chiesto alla Direzione generale per l’attivita` ispettiva del Ministero del lavoro un parere concernente, appunto, la corretta interpretazione della disciplina dettata dall’articolo 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003, con riferimento alle prestazioni di lavoro autonomo poste in essere dai soggetti titolari di partita Iva e la presunzione relativa alla parasubordinazione. Si chiede nell’interpello se la presunzione che porta alla trasformazione del rapporto di lavoro autonomo in una collaborazione coordinata e continuativa, possa trovare applicazione nei confronti della categoria professionale dei fisioterapisti. La norma novellata con l’articolo 69-bis ha lo scopo di contrastare il non corretto utilizzo della partita Iva al fine di occultare rapporti di lavoro con elementi di subordinazione. In buona sostanza il fisioterapista che si presenta come lavoratore autonomo con partita Iva nella realta` fattuale fornisce prestazioni di lavoro dipendente rispettando orari e agisce sotto l’eterodirezione del committente - datore di lavoro. Tutto cio` premesso e considerato, ritiene il Ministero che l’attivita` svolta dai fisioterapisti possa essere ricompresa nell’ambito delle prestazioni professionali di cui all’art. 69-bis, comma 3, con la conseguente esclusione dall’applicazione della presunzione, solo nella misura in cui gli stessi risultino in possesso del diploma abilitante, nonche´ iscritti in appositi elenchi professionali, tenuti e controllati da parte di una amministrazione pubblica, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001. A prescindere dall’operativita` o meno della presunzione, resta fermo che laddove siano riscontrabili gli usuali indici di subordinazione, la prestazione di lavoro autonomo dei fisioterapisti potra` essere «direttamente ricondotta ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.» Un avviso ai fisioterapisti giunge dallo stesso Ministero: nonostante il tenore dell’interpello, al lavoratore resta comunque la possibilita` di far causa al presunto datore di lavoro nel caso in cui le prestazioni siano rese con la tipicita` che qualifica un rapporto di lavoro. Alfredo Casotti Legislazione: R.D. 16 marzo 1942, n. 262, art. 2222; D.Lgs 10 settembre 2003, n. 276, art. 69 bis. Prassi: Min. lav., circ. 27 dicembre 2012, n. 32. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Interpelli sesso del diploma abilitante, nonche´ iscritti in appositi elenchi professionali, tenuti e controllati da parte di una amministrazione pubblica, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001. A prescindere dall’operativita` o meno della 1727 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 26 giugno - 1º luglio 2013 Rassegna della Cassazione Violenza sessuale e licenziamento per giusta causa Giurisprudenza Cassazione, sez. lav., 26 giugno 2013, n. 16098 - Pres. Stile - Rel. Arienzo - P.M. (Conf.) Matera - T.C.F. c. Provincia italiana della Congregazione dei figli Immacolata Concezione 1728 L’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, diversamente da quanto avviene con riguardo alle sanzioni di tipo conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude pertanto che la giusta causa possa essere ritenuta sussistente a fronte di comportamento gravissimo del lavoratore, contrario alle regole del buon vivere civile. Il caso Avendo ritenuto un proprio dipendente colpevole di violenza sessuale, con lesioni ai danni di un’altra dipendente, il datore di lavoro lo licenziava per giusta causa. Il lavoratore impugnava la decisione datoriale, ma sia il giudice di primo grado che la Corte d’appello di Roma, con decisione del 9 aprile 2010, respingevano il ricorso, dichiarando quindi legittimo il licenziamento. Nella fattispecie, la Corte territoriale aveva ritenuto provata l’accusa, anche in considerazione del fatto che ad analoghe conclusioni era giunto il giudice penale, in base sia alla diagnosi di lesioni contenuta nel referto del Pronto soccorso che alle contusioni al volto compatibili con la versione fornita dalla parte lesa. La Corte d’appello della capitale aveva quindi ritenuto che fosse stato rispettato il principio di proporzionalita` tra la mancanza commessa dal lavoratore e la sanzione espulsiva e che, quindi, il licenziamento per giusta causa fosse da ritenersi del tutto corretto. Il lavoratore propone quindi ricorso davanti alla Suprema Corte. La decisione e i precedenti A supporto del proprio ricorso, il lavoratore anzitutto sostiene l’inidoneita` ai fini probatori del solo richiamo alla denunzia querela e alla deposizione della teste, argomento respinto dalla Corte in base al principio del libero convincimento del giudice, ritenuto adeguatamente motivato nella sentenza di merito. DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Del pari e` stato respinto il motivo centrato sull’onere della prova della sussistenza della giusta causa che e` posto a carico del datore di lavoro, essendosi quest’ultimo compiutamente adoperato nel fornire le prove degli addebiti contestati, quali l’escussione della teste, la deposizione della parte lesa e il contenuto della denunzia sporta dalla medesima. Tali elementi peraltro erano supportati dalle deposizioni rese da altri testimoni e dai risultati del referto sanitario, elementi posti a base anche della sentenza penale di primo di grado di condanna. Ancora piu` interessante l’ultimo aspetto della decisione in commento, e relativo alla tipizzazione delle ipotesi costituenti giusta causa. Nel caso di specie, il Ccnl applicato al rapporto prevedeva il licenziamento per giusta causa per «molestie di carattere sessuale rivolte a degenti e/o accompagnatori all’interno della struttura». A tale proposito, la Suprema Corte ha del tutto condivisibilmente affermato che non vi sono motivi «per non ritener inclusa nella previsione anche la violenza posta in essere nei confronti di una collega». Infatti, l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, diversamente da quanto avviene con riguardo alle sanzioni disciplinari conservative, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, pertanto, la sussistenza della giusta causa a fronte di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore che risulti in netto contrasto con le norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che l’inadempimento o il comportamento abbia comportato la rescissione del rapporto fiduciario tra datore e lavoratore. In senso conforme Cass. 18 febbraio 2011, n. 4060, in Ced Cassazione, 2011. In materia di molestie sessuali e licenziamento si vedano: Cass. 5 agosto 2010, n. 18279, in Ced Cassazione, 2010; Cass. 18 settembre 2009, n. 20272, in Mass. giur. it., 2009; Cass. 2 maggio 2005, n. 9068, in Mass. giur. lav., 2005, 10, 760; Trib. Milano, 17 ottobre 2000, in Orient. giur. lav., 2000, I, 1093; Pret. Milano, 27 agosto 1997, in Lav. giur., 1998, 516. Tempestivita` del licenziamento Cassazione, sez. lav., 27 giugno 2013, n. 16227 - Pres. Stile - Rel. Napoletano P.M. (Conf.) Matera - Poste Italiane Spa c. T.P. In materia di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nella legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, commi 3 e 4, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa, cosı` da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare piu` efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all’esercizio del relativo potere e l’invalidita` della sanzione irrogata. Il caso A seguito dell’emergere di gravi fatti, un dipendente veniva sottoposto a procedimento penale, poi sfociato in una sentenza di condanna. Il datore di lavoro, dal proprio canto, disponeva la sospensione cautelare dal servizio e, avendo ricevuto comunicazione della condanna in sede penale in data 16 febbraio 2004, solamente in data 7 luglio 2004 comunicava il licenziamento al proprio dipendente. Il lavoratore ricorreva in giudizio lamentando la tardivita` dell’intimazione del recesso e, mentre soccombeva nel primo grado di giudizio, otteneva ragione dalla Corte d’appello di Roma la quale, con sentenza depositata in data 23 aprile 2010, ne accoglieva la domanda. I giudici dell’appello, in particolare, avevano rilevato come non vi fosse alcuna ragione tale da giustificare l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro a distanza di oltre quattro mesi dalla comunicazione della sentenza di condanna con la quale erano stati accertati i fatti che hanno, poi, costituito l’oggetto della contestazione degli addebiti posti a base della risoluzione del rapporto. La stessa Corte non ha mancato di evidenziare come una prima valutazione della gravita` dell’accaduto fosse stata gia` effettuata dalla societa` datrice quando, successivamente all’arresto del dipendente e alla sua rimessione in liberta`, lo aveva sospeso dal servizio. La decisione e i precedenti La societa` ricorre quindi avanti la Suprema Corte con un unico motivo, sostenendo che i giudici di appello hanno omesso di motivare circa le ragioni in base alle quali ritengono che il trascorrere di quattro mesi tra il deposito della sentenza penale di condanna e la contestazione disciplinare ha leso il diritto di difesa del lavoratore. A tale proposito, la Cassazione ribadisce la rilevanza della notorieta` dei fatti (e della loro gravita`), evidenziando come la Corte territoriale - in base alle circostanze dedotte dalla societa` - non ha ritenuto sussistente alcuna valida ragione atta a giustificare il ritardo della contestazione disciplinare, sul presupposto che i fatti relativi erano gia` conosciuti nella loro gravita` dal datore di lavoro sin dal primo momento, convalidando cosı` la tesi secondo la quale i quattro mesi trascorsi dalla comunicazione della sentenza penale di condanna non possono trovare alcuna giustificazione in ragione della complessita` dell’organizzazione aziendale. In argomento, per ricordare i principi affermati dalla giurisprudenza della Suprema Corte, va evidenziato che la tempestivita` della contestazione disciplinare costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato; cosı` Cass. 1º luglio 2010 n. 15649, in Ced Cassazione, 2010; Cass. 6 settembre 2006 n. 19159, in Mass. giur. it., 2006; Cass. 29 marzo 2004 n. 6228, in Ced Cassazione, 2004. In senso conforme anche la recente Cass. 13 febbraio 2013, n. 3532, in Ced Cassazione, 2013, secondo cui, nell’ambito di un licenziamento per motivi disciplinari, il principio di immediatezza della contestazione, pur dovendo essere inteso in senso relativo, comporta che l’imprenditore porti a conoscenza del lavoratore i fatti contestati non appena essi gli appaiono ragionevolmente sussistenti, non potendo egli legittimamente dilazionare la contestazione fino al momento in cui ritiene di averne assoluta certezza, pena l’illegittimita` del licenziamento. Da quanto sopra e` conseguito il rigetto del ricorso e la condanna della societa` ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. Tentativo di conciliazione e interruzione della prescrizione Cassazione, sez. lav., 1º luglio 2013, n. 16452 - Pres. Miani Canevari - Rel. Arienzo - P.M. (conf.) Servello - Pac Diviteliseo di R.D.V. & C. Snc c. F.S. Il tentativo obbligatorio di conciliazione interrompe la prescrizione se comunicato alla controparte; infatti, ai sensi dell’art. 410 c.p.c. la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. Il caso La Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del ricorso proposto da un datore di laDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 Giurisprudenza antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1729 Giurisprudenza antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 1730 voro, riduceva l’importo della condanna alla spese, ma per il resto confermava l’accoglimento della domanda, proposta da una dipendente, di condanna al risarcimento dei danni provocati da un infortunio sul lavoro (investimento da parte di un muletto sul luogo di lavoro), verificatosi nel 1998. Preliminarmente, il giudice d’appello riteneva, respingendo l’eccezione di prescrizione sollevata dal datore di lavoro, che «il termine di prescrizione quinquennale era stato interrotto dalla notifica del primo ricorso introduttivo del giudizio del 26 novembre 1999» e poi ancora «con la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione indirizzata anche all’appellante prima della scadenza del quinquennio». Nel merito, confermava l’accoglimento della domanda, ritenendo che il datore di lavoro avesse «violato le prescrizioni poste dal D.Lgs. n. 626/1994, art. 33, in materia di collocazione e segnalazione delle vie di circolazione dei pedoni e dei veicoli, non potendosi considerare imprevedibile ed abnorme la condotta» della lavoratrice in occasione dell’incidente; inoltre vi era stata «specifica contestazione delle voci di danno liquidate, sicche´ la determinazione quantitativa di quest’ultimo andava confermata». Il datore di lavoro proponeva quindi ricorso per cassazione per cinque motivi, lamentando preliminarmente, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c. in merito alla ritenuta interruzione della prescrizione. La decisione Quanto al primo motivo, dopo avere svolto alcune osservazioni in merito all’interpretazione dell’art. 410-bis c.p.c. (osservazioni condivisibili, ma non piu` attuali, poiche´ questa norma e` stata abrogata nel 2010, quando, per effetto della legge n. 183, il tentativo di conciliazione e` ridiventato facoltativo), la S.C. ha rilevato che, invece, ai sensi del secondo comma dell’art. 410 c.p.c. (norma pure modificata nel 2010, ma il cui secondo comma, che qui interessa, e` rimasto uguale e quindi tuttora vigente), per aversi interruzione della prescrizione e` necessario, attesa la natura recettizia degli atti di interruzione, che la comunicazione pervenga non solo alla Direzione provinciale del lavoro ma anche alla controparte (mediante raccomandata, notifica o altro mezzo equipollente). E nella fattispecie «la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione era stata indirizzata non solo alla Dpl di Latina, ma anche alla societa` appellante, come documentato in atti, prima della scadenza del quinquennio e tanto basta per disattendere la censura, non essendo precisato alcun elemento che valga ad inficiare le argomentazioni della Corte del merito riportate e non essendo neanche precisato se la doglianza sia stata ritualmente avanzata nella fase di DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014 merito». La Cassazione ha poi ritenuto infondati anche gli altri motivi ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese. I precedenti In senso conforme, sulla necessita` che, per determinare l’effetto interruttivo della prescrizione, la richiesta del tentativo di conciliazione debba pervenire (anche) alla controparte, la sentenza in esame richiama espressamente l’insegnamento di Cass., sez. lav., 21 gennaio 2004, n. 967, in Mass. foro it., 2004, 55 s. (per la quale «deve ritenersi che, ai fini dell’espletamento del tentativo di conciliazione, il quale ai sensi dell’art. 412 c.p.c. costituisce condizione di procedibilita` della domanda, sia sufficiente, in base a quanto disposto dall’art. 410-bis c.p.c., la presentazione della richiesta all’organo istituito presso le Direzioni provinciali del lavoro, considerandosi comunque espletato il tentativo di conciliazione decorsi sessanta giorni dalla presentazione, a prescindere dall’avvenuta comunicazione della richiesta stessa alla controparte. Tale comunicazione e` invece necessaria, ai sensi dell’art. 410, comma 2, c.p.c., perche´ si verifichi la interruzione della prescrizione e la sospensione, per il periodo ivi indicato, di ogni termine di decadenza»), e Cass., sez. lav., 18 ottobre 2005, n. 20153, ivi, 2005, 606 s. Su analoghe posizioni si possono anche aggiungere Cass., sez. lav., 16 marzo 2009, n. 6336, in Lav. giur., 2010, 255 ss., con commento di Ferruggia; Cass., sez. lav., 15 maggio 2006, n. 21116, in Riv. it. dir. lav., 2007, I, 188 ss., con nota di Pardini (secondo cui «la mera presentazione della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro, in assenza della sua comunicazione al datore di lavoro, non puo` avere gli effetti interruttivi della prescrizione indicati dall’art. 410 c.p.c., poiche´ quest’ultimo riconnette esplicitamente detti effetti alla «comunicazione» dell’atto alla controparte, e non gia` alla sua «presentazione» alla Commissione di conciliazione»); Cass., sez. lav., 19 aprile 2006, n. 9048, in Mass. giust. civ., 2006, 728; C. app. Milano, 4 maggio 2001, in Giur. lav., 2001, 1100 (che ha pure precisato che, anche se, «in linea di principio, l’atto interruttivo della prescrizione deve essere sottoscritto dal creditore», la richiesta del tentativo di conciliazione puo` produrre tale effetto interruttivo anche se e` sottoscritta da un rappresentante sindacale, essendo qui applicabili anche «le norme speciali di cui agli art. 410, commi 1 e 2, c.p.c., la prima laddove prevede che il tentativo possa essere promosso anche tramite l’organizzazione sindacale cui il lavoratore aderisce, la seconda che stabilisce che la comunicazione alla controparte della richiesta interrompe la prescrizione»). antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 140401 Campagna A4.indd 1 07/04/14 14:45 antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 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